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#non poteva che andare così. “voglio essere importante per te. e non per la gente” dice carlos
der-papero · 3 years
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Andiamo a rubare con Papero - Lezione 9 (parte 1) - Per andare, dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare???
Buongiorno, miei cari Paperdiscepoli, si torna a parlare di Internet, e oggi vediamo come funziona un DNS, e nella successiva seconda parte come incular ... ehm ... come alterare il suo funzionamento per fargli fare quello che vogliamo.
Poiché la lezione di oggi verte su come chiedere informazioni per recarsi in un determinato luogo, chi meglio del Nostro Maestro Supremo può introdurre l'argomento?
Bon, pagato il mio perenne tributo alla divinità napoletana che mi ha permesso di essere quello che sono, andiamo subito sul pezzo che, se ce la facciamo, interrogo pure oggi e, se va bene, boccio anche qualcuno.
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Nota: @belinde aveva già affrontato l'argomento con una simpatica storia che potete leggere qui: https://belinde.tumblr.com/post/647396407510220800
Fino a questo momento, parlando di Internet, io ho sempre parlato di indirizzi IP, anche perché quelli sono gli identificativi di ogni dispositivo connesso ad Internet. Ma sapete anche, dall'esperienza quotidiana, che per navigare non è che vi mettete a sparare numeri a lotto, bensì digitate un indirizzo simbolico, facile da ricordare, e il vostro browser si collega poi al server giusto (in teoria, e capirete nella seconda parte perché ho scritto in teoria). Ad esempio, per collegarvi a Tumblr, scrivete www.tumblr.com, e non 192.0.77.40, ovvero il suo reale indirizzo IP, e il browser fa il resto.
Ma come fa il browser a capire che a www.tumblr.com corrisponde 192.0.77.40? Venite con me!
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Usando una delle mie famose metafore, supponiamo che il Rag. Fantozzi stia cercando l'indirizzo della Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare.
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Cammina per strada e all'improvviso incrocia il Rag. Filini.
"Scusi, Filini, sa dirmi dove abita la Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare?"
Con quel suo solito fare da tuttologo-che-non-sa-un-cazzo, risponde "no, ragioniere, guardi, non lo so, ma me ne occupo io, sono esperto di queste cose, sa? Non si muova da qua, eh?" - "quindi io non vado?" - "no, non vadi, ragioniere, mi aspetti qui".
Filini si reca in un posto dove c'è un esperto che potrebbe conoscere la contessa. Chiede: "scusi, sa mica dove posso trovare la Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare?". L'esperto, dal forte accento romano e con una panza importante, risponde
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"AO', non ce o so dove sta a Contessa tua, venite tutti qua a rompe li coglioni alla gente onesta e lavoratrice, ma li mortaaaaaci vostri!" - "Mario, ma chi è alla porta?" - "Niente, Teresi', è un altro di quei cornuti che vonno sape' daaaa Contessa. Senti, aaa coso, te voglio aiuta', stamme a senti': conosco un posto dove ce stanno tutti i Viendalmare ... TIE', va' qua, e di' che te manno io, HAI CAPITOOOO???".
Armato di santa pazienza, si dirige in questo altro luogo, bussa e risponde il classico imprenditore della Milano da bere. "Cosa è che vuole? Parli piano e scandito, che ho fatto un casino questa notte al Pirata, 2500 euro di champagne ..." - "Guido, ma chi è alla porta?" - "Ma niente, tesoro, è il classico drogato che rompe i coglioni! Ma cosa vuoi, testa?"
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"Si', chiedo scusa, volevo chiedere se sapeva dirmi dove posso trovare la Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare" - "'scolta, animale, io non ho mica da perdere tempo qua, eh, ho da partire per l'Hotel Cristallo di Cortina. Ma sembri uno simpatico, mi scatta l'approvazione, voglio aiutare un giovane come te! Conosco gente importante, gente giusta, con tanto grano, che sanno tutto riguardo ai Mazzanti-Viendalmare. Vai qui, di' che ti manda il Dogui, risultato ga-ran-ti-to! Oh, rapido, mi raccomando!"
Inizia a preoccuparsi che non ne verrà mai a capo, e si reca nella terza casa, dove trova un signore abbastanza basso, un po' in carne, pochi capelli col riporto. "SIIII?" - "Sì, chiedo scusa, sa per caso dove posso trovare la Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare?" - "OOOO MADONNA BENEDETTA DELL'INCORONETA, tutti qua venite? Chi le ha deto il mio indirizzo?" - "Un certo Dogui"
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"Maleducheti sindacheti maledetti lama carniti bentorneti e bentroveti!" - "Nico', chi è?" - "Ma niente, Addolereta, è un terrone maledetto, che se non se va gli spezzo la noce del chepocollo e gli metto le vertebre a trecollo! Sì che conosco la maledetta disgrazieta Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare, la trovi qua, e dille che mi sta sulle pelle" - "In senso epidermico?" - "Noooo di pelle, di rottura di pelle, MI HA ROTTO LE PELLE, VA BENEEEE?????".
Finalmente riesce a tornare dal ragioniere, che l'avevamo lasciato lì per strada ad attendere per tanto tempo, con l'indirizzo della Contessa.
Subito dopo, passa un certo Calboni, e chiede "Scusi, Filini, sa mica dove posso trovare la Contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare?" - "Sì, ecco l'indirizzo".
E il ragioniere, sussurrando in preda al disagio, "ma ... ma ... come? scusi, eh, io ho aspettato tutto questo tempo!"
Calboni, mollandogli un pizzicotto: "EEEE BRAVO, PUCCETTOOOO!!!"
Filini: "oooohhhh, insomma, ragioniere, non stia sempre a lamentarsi, eh. E adesso vadi, su, VADI!".
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Trasliamo questo stupendo racconto nel mondo dell'Internette. Premetto che gli indirizzi IP che userò nell’esempio sono inventati di sana pianta.
Nel mondo dei computer, i server che conoscono i vari indirizzi IP e hanno una mappa di quali siano gli indirizzi sulla base dei nomi simbolici vanno sotto il nome di DNS, Domain Name System.
Guardiamo insieme la seguente figura.
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Il Rag. Fantozzi è il nostro PC, sa che vuole andare su www.google.com, ma non conosce l'indirizzo IP corrispondente. Il Rag. Filini è il primo DNS col quale il nostro PC parla, ed è quello del nostro Internet Provider (ISP). Il PC conosce l'indirizzo IP di questo DNS (204.75.1.27), perché gli viene indicato dal nostro gestore quando il nostro router si collega per la prima volta al provider. Ogni DNS possiede nella propria memoria una tabella che, per semplificare la spiegazione, supponiamo vuota in un primo momento.
Quando digitiamo www.google.com nel browser, il nostro PC, come prima azione, chiede al DNS del nostro provider quale sia l'indirizzo IP corrispondente. Il DNS guarda nella propria tabella (in azzurro) e non trova alcuna occorrenza. A questo punto, mette in attesa il nostro PC e si rivolge ad uno dei Root DNS del pianeta. I Root DNS sono un insieme di server che appartengono a vari enti governativi/enti pubblici/grandi corporazioni, dovrebbero essere 13, e che hanno i primi riferimenti verso altri DNS server. Gli indirizzi di questi Root DNS sono noti a tutti, quindi ogni DNS li conosce a priori.
Il DNS del nostro provider, con la richiesta numero 1 (ovvero Filini che si rivolge al romano), chiede di www.google.com al Root DNS, con l’indirizzo 175.10.97.24. Questo cerca www.google.com nella sua tabella, non trova nulla, e risponde "non conosco www.google.com, ma posso venirti incontro e dirti chi conosce gli indirizzi che finiscono in .com". Così restituisce al DNS del provider l'indirizzo del server DNS di tutti gli indirizzi .com, ovvero 15.3.104.9. A questo punto (così come Filini si rivolge al milanese), con la richiesta 2, il DNS del provider si rivolge al secondo server DNS, 15.3.104.9, e chiede nuovamente di www.google.com. Succede la stessa cosa che è capitata prima: cerca nella propria tabella, non trova www.google.com, ma risponde "non conosco www.google.com, ma posso aiutarti, e dirti chi conosce tutti gli indirizzi che finiscono in .google.com", ovvero 75.21.57.4. Infine, con la richiesta 3, il DNS del provider si rivolge a 75.21.57.4 (il pugliese), chiede di www.google.com, questo server DNS cerca nella propria tabella, trova l'indirizzo di www.google.com che corrisponde a 9.3.209.95 e lo restituisce al provider.
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Oltre a restituire l'indirizzo IP, restituisce anche una indicazione di tempo, nell'esempio che ho fatto è pari a 24 ore. In pratica la risposta sarà "sì, conosco l'indirizzo di www.google.com, è pari a 9.3.209.95, e sappi che sarà sempre questo per le prossime 24 ore, quindi puoi fare a meno di richiedermelo fino a domani".
A questo punto, il DNS del nostro provider annota, nella sua tabella interna (azione 4), che a www.google.com corrisponde 9.3.209.95, che l'indirizzo è valido per 24 ore e finalmente, dopo una lunga attesa, comunica l'indirizzo al browser del nostro PC, che potrà finalmente connettersi e scaricare la pagina. L'intervallo temporale per il quale un indirizzo rimane valido si chiama TTL, ovvero Time To Live. La tabella interna di ogni server DNS va sotto il nome di Cache.
Il nostro vicino di casa (Calboni) chiede pochi istanti dopo, allo stesso DNS 204.75.1.27 (perché ha il nostro stesso provider, magari) l'indirizzo di www.google.com. Poiché l'indirizzo è già nella tabella e le 24 ore non sono ancora trascorse, il DNS non dovrà più fare tutto il cinema di chiedere in giro per il pianeta, potrà direttamente rispondere con l'indirizzo giusto, facendoci fare la figura dei puccettoni.
Ecco come tutti gli indirizzi che usate quotidianamente per navigare e connettervi ai vari servizi vengono tradotti in indirizzi IP, grazie al lavoro costante e paziente di migliaia e migliaia di server che hanno in pancia una rubrica più o meno lunga di nomi e indirizzi IP.
Ovviamente, poteva mancare la nostra rottura di coglioni per rompere tutto il giocattolo? CERTO CHE NO, e vedremo come scassare tutto il sistema con una tecnica che va sotto il nome di
DNS Cache Poisoning
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sturmvndrang · 4 years
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`         #ᴄᴀʀᴘᴇᴅɪᴇᴍʀᴘɢ
  𝖗𝖔𝖒𝖆 𝖍𝖔𝖙𝖊𝖑 𝖕𝖑𝖆𝖟𝖆   ⟡ 𝗇𝖺𝗍𝖺𝗅𝖾 𝟣𝟫𝟨𝟢
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❛  ᴛʜɪʙ ─  Via del corso, hotel Plaza.Sulle loro teste non c’erano le stelle e i rami intrecciati del Vermont, quella sera. Non c’era la neve, il buio, la solitudine, le distese di campagna o le stradine poco popolate di Bennington. Thibault non aveva bisogno di quella semplicità, necessitava di altro. Un’ emozione più forte avrebbe dovuto scuotergli l’esistenza, rendendolo così finalmente lontano e distratto dai suoi nostalgici, tristi e cupi pensieri sulla vita e la morte. E no, no.Non avrebbe più retto il peso di quella monotonia tetra che lo aveva travolto dopo il rito dei sogni. Non ci avrebbe più pensato. E una cena da solo con Elliot nella straordinaria città eterna non era soltanto una distrazione da tutto, piuttosto era stata per lui un’occasione : La rosa da cogliere al momento giusto, la profondità di un attimo imperdibile, irripetibile.Così, grazie a quel viaggio, finalmente Thibault sembrava più sereno e, evidentemente, aveva guadagnato tutte le forze e l’euforia necessaria per colmare il vuoto che, invece, nel suo cuore avevano lasciato i genitori Beauchamp, con la loro patetica e stupida cartolina di Natale.« Ammetto di non aver mai vissuto in tanto lusso, prima di oggi.» Sospirò Thibault, osservando il soffitto dorato e affrescato sopra le loro teste. « Vorrei poterti dire che avrei preferito un ambiente più modesto, ma — con il tempo sto capendo che mi riesce difficile mentirti.» Lo ammise. Si sentì davvero un idiota per averlo detto così, ma riuscì a coprirsi il viso con il menù di Natale, fingendo che quello fosse per lui la cosa più importante : « C’è sempre stato un profondo dissidio tra Italia e Francia in fatto di cucina. Io, come in ogni cosa, mi gusto tutte e due le fazioni senza schierarmi e rischiare di non essere soddisfatto completamente .»
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  Andare a Roma con Thibault era forse la cosa più inaspettata che gli fosse successa quel mese, eppure, per uno strano caso del destino, lo scozzese aveva scoperto che anche il francese aveva scelto l'Urbe come meta delle sue vacanze natalizie: voleva conoscere il cinema italiano, voleva respirarlo o, almeno, era quello che era parso a Elliot, quando l'altro aveva condiviso con lui i suoi piani e, alla fine, aveva fatto quella follia. Aveva biascicato quella proposta. Ed erano partiti insieme dalla Welton, non appena erano iniziate le vacanze di Natale.In quel momento, erano lontani dalla Welton, lontani dal rettore, lontani dagli esami, lontani da ogni pensiero. Thibault si innamorava di ogni vicolo, si perdeva tra le labbra degli italiani, cercava di riprodurre il suono di quelle parole lontane, diverse; Elliot guardava i resti di quel mondo che aveva sempre sentito suo e piangeva davanti alle rovine, sospirava e ricordava. Forse, un tempo, c'era stato, forse aveva camminato per quelle vie come faceva in quei giorni. E il pensiero lo coglieva in ogni attimo, lo faceva distrarre: il secondo prima era in una via illuminata, davanti alle vetrine dei negozi, il secondo dopo si sorprendeva in posto diverso, più antico. Godeva di quella sensazione e contemporaneamente un sussulto lo coglieva tutto, tanto che, subito dopo, si ritrovava vicino a Thibault, davanti al suo sorriso. Le sue parole lo scuotevano. «Perché dovresti mentirmi?» Alzò le spalle, scrutando il volto del francese dietro al menù, e un sorrisetto sornione gli alzò gli angoli delle labbra, mentre cercava di scrollarsi di dosso la sensazione di già vissuto, già visto. «Oh, il mio lignaggio scozzese non può concorrere con la tua gente e il tuo sangue, ma sono costretto ad assegnare il primato del vino agli italiani. Non ho mai assaggiato nulla di così buono.» Accarezzò, poi, il manico del bicchiere, con uno sguardo assorto.
❛  ᴛʜɪʙ ─  E l’odore del vino italiano si fece sentire pungente ed invitante infatti, versato nei calici di vetro splendente, non molti attimi prima che i due iniziassero la conversazione. Thibault approfittò del momento di distrazione di Elliot per non rispondere alla domanda posta, decidendo comunque di abbassare sino alla tovaglia la lista dei piatti prelibati che presto avrebbero arricchito il loro piccolo tavolo ben apparecchiato, evitando così di perdersi un minuto in più per poter inquadrare i colori del suo viso luminoso, ancor più piacevole agli occhi, sotto le luci di quel lampadario barocco. L’imbarazzo, il momento di temporanea perplessità, d’impaccio emotivo dinnanzi a quella situazione, non fu quindi capace di vincere l’intraprendente animo di Thibault Beauchamp.Egli si mostrò ad Elliot subito più deciso e disinvolto, pronto per un recupero, confermato dal solito sguardo ammiccante e sicuro: « Oh, oui. Ma ne hai bevuto troppo poco per esserne un degno estimatore. » Così, senza permesso, il francese si sporse verso di lui, ben concentrato sui suoi occhi azzurri.Con una mano sola, la destra, sollevò la bottiglia orizzontalmente, senza appoggiare il collo sul suo bicchiere. Lo riempì con naturalezza, arrivando al punto giusto: pari a circa un terzo dell’altezza del calice. Un gesto elegante che aveva imparato negli anni, quello, e che lo rendeva a tutti gli effetti un esperto bevitore, un uomo galante, un intellettuale Europeo degno di sedere al tavolo di un simile albergo. « Io stasera voglio dimenticare il Vermont, il mio nome e pure di chi sono figlio. Sarò un aspirante regista alla ricerca della giusta ispirazione e nient’altro. Spero davvero che qualche personaggio importante alloggi qui per le feste. Ho letto almeno una dozzina di giornali diversi su questo: il Plaza è frequentato dai divi più influenti, ma di loro neanche un’ombra, per adesso. »
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  Elliot si allontanò, non appena l'altro si sporse, solo per rivelargli, alla fine di quel movimento, un sorrisetto complice. Era sempre così in pubblico, tanto che lo scozzese si permetteva, al massimo, qualche occhiata nei confronti dell'altro, qualche sguardo fugace, se vedeva qualcun altro nei dintorni. Coglieva l'attimo giusto, quando nessuno guardava, quando tutti apparivano troppo persi nei loro pensieri, quando gli occhi dei passanti non incontravano le loro figure. Si nascondeva e detestava farlo, lui che non rendeva mai conto delle sue azioni, del suo disprezzo, del suo atteggiamento. Eppure non poteva sfuggire al pregiudizio, non poteva sopportare l'idea che potesse succedergli di nuovo quel che già aveva patito. Doveva stare attento. «Sii realistico. Un aspirante regista non può esser venuto a cena con l'unico discendente degli Hampton. Riprova con la tua identità. Va bene staccarsi dalla Welton, dagli americani e da quel buco di Bennington, però ti consiglio di non perderti troppo nella fantasia.» Thibault sembrava molto entusiasta all'idea di poter incontrare i suoi registri preferiti e i divi di cui parlava spesso, mentre erano negli States, e Elliot non scoraggiò il desiderio di farsi avanti dell'altro, per quanto non conoscesse nessuno in quel campo. I nomi dei grandi attori gli sfuggivano tutti, rimanevano dei suoni familiari, cui non riusciva ad associare né un volto, né qualche film. Per strada aveva incrociato lo sguardo di tante persone e non s'era mai chiesto se dietro i loro occhi si nascondesse qualcuno che il francese cercava. «La cosa migliore del Plaza è che ancora non sono riuscito a lamentarmi di nulla. Faccio i miei complimenti al posto, di solito non sono mai così compiaciuto dagli alberghi.» Si riavvicinò al tavolo e rivolse un altro sorriso a Thibault. Chissà se avrebbe avuto fortuna. Se lo chiese, mentre abbassava gli occhi sul suo menù e faceva scorrere gli occhi tra le pietanze.
❛  ᴛʜɪʙ ─  « Non doveva essere una copertura reale, Ennio. Ma un semplice sogno per questa notte. Perdersi nei sogni è la mia specialità e tu dovrai perderti insieme a me.»Thibault gli strizzò un occhio con complicità e poi sorrise, prima di gustarsi altro vino dal calice di vetro, consapevole che presto avrebbe esagerato e alzato troppo il gomito, ma anche del fatto che niente o nessuno lì a Roma si sarebbe imposto per fermarlo. Agivano lontani da quel mondo di restrizioni, finalmente. Erano usciti fuori da quei cancelli, dalle imposizioni, dalle aule, dalla loro piccola prigione americana che, da ottobre a dicembre, non aveva voluto dare tregua.E ancora Thib si guardava intorno alla ricerca della bella Anita Ekberg, o di Marcello Mastroianni, scrutando dietro ogni colonna, da lontano, allungando il collo a destra o a sinistra lentamente, come una giraffa alla ricerca di cibo lì, verso il ramo più alto. E il riscaldamento era acceso, il clima già ben differente dal fastidioso freddo del Vermont, le luci calde e a loro modo affettuose, riunite intorno al grande albero natalizio. il volto curioso di Thibault rimase incantato ed estasiato dalla bellezza e dalla confortevole atmosfera emanata dalla grande sala, ma adesso tornò concertato su quello di Elliot.« Anche per uno piccolo principe come te sarebbe troppo lamentarsi di tutto questo. » Disse Thibault, unendo le mani tra loro mentre lo osservava alzando entrambe le sopracciglia. « Il tuo silenzio è musica per le mie orecchie, se si tratta di lamentele.» ridacchiò spontaneamente e poi svuotò il resto del bicchiere dinanzi a sé.« se durante la permanenza in albergo non conoscerò la fortuna di incontrare qualcuno, potrò certamente consolarmi con l’ingresso libero di Vanzina a Cinecittà. Per me essere lì varrà più di montagne d’oro o d’argento.»
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  « Chissà. La realtà, a volte, è già così bella che i sogni potrebbero solo rovinarla. La Tyche è crudele, sì, tuttavia può anche mostrarsi benevola in certe circostanze. Offenderla, pretendendo di sognare, potrebbe esser segno di tracotanza, non credi? » Rivolse anche lui al francese un sorriso e sorseggiò un po' del suo vino. Non esagerò, non in quel momento: voleva esser sobrio per concedersi qualche battuta più pungente e sottile, invece che cattiva. Quello, del resto, era ciò che rendeva l'ubriaco libero, senza catene: la mancanza di freni inibitori, la mancanza di pensieri, di preoccupazioni. Poteva essere cattivo anche oltre ciò che si concedeva, poteva toccare i punti più profondi di ciò che albergava dentro di lui. Ma non voleva rovinare quel momento, quella volta non sarebbe successo. Quindi si trattenne e si limitò ad alzare un sopracciglio quando l'altro si riferì alle sue lamentele. « Mi ferisci, Beauchamp, se dici queste cose. Soprattutto considerando che ci sono persone che crederebbero soavi pure le mie lamentele. » Rimase in silenzio per un po', un sorriso storto tra le sue labbra, l'ennesimo di quella serata, mentre col piede andava a pestargli lievememte la scarpa. Poi bevve un altro sorso di vino e ridacchiò, non appena sentì il nome di Vittorio Vanzina. « È stato proprio gentile, non credi? È un ragazzo a modo, pacato. Anche carino. Ecco, forse avrei dovuto proporre a lui di venire a Roma. Sono sicuro che si sarebbe divertito. Magari, avrebbe pure appreso qualcosa. Non ne dubiterei: ha risolto l'enigma, è intelligente. » Si divertì a tessere l'encomio di Vittorio e aspettò la reazione di Thibault, mentre le sue dita andavano a giocare con le pagine del menù che il cameriere non aveva ancora portato via. Era sicuro non sarebbe rimasto indifferente, aveva imparato a conoscerlo in tutti quegli anni.
❛  ᴛʜɪʙ ─  Gli occhi marroni di Thibault divennero più spenti, più stanchi e annoiati quando Elliot incominciò a parlare di destino e di crudele Thyche. Non si sarebbe scomodato quella volta, non si sarebbe moderato, non avrebbe rinunciato ai suoi sogni per il volere di una legge ultraterrena. L’illusione addolcisce sempre il cuore dell’uomo e adesso gli sembrava necessaria per sopravvivere a tutte le paure e allo sconforto provato in precedenza. Quello di Roma era il loro nuovo mondo e se lo sarebbe preso tutto, senza restrizioni, senza cautele, senza riserve: solo spasso, solo sapore, sogno, godimento. E gli rispose, gli rispose alzando il mento, con lo sguardo beffardo, pieno di aspettative, pieno di arie. « Oh no, io non credo. » Tagliò corto così, con un sorriso sottile e un cenno della testa frivolo e leggero. « E non credo che ci sia niente di reale in tutto questo. E’ un mondo che di sicuro non mi appartiene ma che voglio rubare al destino, come la più importante delle occasioni mai offerte. Non ho paura di sognare, né della tracotanza, né di questo tremendo e fantomantico rovesciamento della sorte. La tragedia poi, ha le sue emozioni e di conseguenza, i suoi vantaggi. » Spavaldo, alzò le spalle, fece roteare le iridi velocemente e poi sorrise ancora una volta. Si compiacque finalmente nel vedere la bocca di Elliot bagnata dal vino e si immedesimò talmente tanto nell’orlo del suo bicchiere, che quasi non sentì il morbido tocco di quelle labbra addosso: un tocco passionale e travolgente, intimo e nascosto, come le luci soffuse della cinémathèque française. Ma no, non ebbe nemmeno il tempo di pensarci, nemmeno il tempo di avanzare e di rendere più noto il suo desiderio, perché Elliot, quel maledetto, sembrava troppo occupato a tessere le lodi di qualcuno o, più precisamente, di qualcun altro. E Thibault rispose quasi immediatamente, senza però risparmiarsi un sussulto. « Oui, mh-mh. » svogliatissimo nei toni, acido e sgarbato nello scimmiottare subito dopo: « gentile, pacato. . » Gli fece il verso, aggrottando la fronte stufo, colto da un sentimento che difficilmente riusciva a nascondere. « / Carino? / Mon dieu, non essere sciocco. Non stuzzicherebbe nemmeno l’appetito di un cane affamato da mesi. » Affogò nei sorsi di vino i suoi modi sgarbati, non riuscendoci completamente. « E poi lui è già stato qui. Suo padre è Steno. E mi sembra troppo impegnato a tornarsene in Inghilterra dalla sua strega. E’ meglio se lo lasci proprio perdere. » Proseguì, intromettendosi ancora. « E’ poi che c’entra con me e con te? L’ho nominato solo perché ci ha dato il passaggio libero, non perché volevo le tue considerazioni sul suo musetto occhialuto. »
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  In un altro momento, Elliot avrebbe continuato il discorso sul Fato. Avrebbe detto a Thibault che la tragedia e il sangue avevano il loro fascino macabro, che la bellezza della dicotomia degli opposti che mai si sarebbero conciliati diventava un sublime ineffabile per il suo godimento, che ammirava -forse- lo spirito titanico col quale decideva di vivere la sua realtà come un sogno. In che modo, del resto, un eidolon sfuggente che visitava i corpi addormentati, che suggeriva visioni, che non sottostava alle regole del mondo diurno, poteva voler piegare il capo dinnanzi a ciò che la natura desiderava? Hypnos appartneneva ad un reame ben differente, era risaputo, ma Thibault riusciva a mescolare ogni cosa, a riempire le sue giornate di fantasmi e piaceri, a dipingere nello stesso quadro i dettagli più realistici e quelli più stilizzati, in una composizione complessa, eppure armonica. Elliot ne era stupito e avrebbe davvero cercato di cogliere quanto di più profondo da quella conversazione, anche se Thibault appariva già tediato. Fortuna, destino, tracotanza, immortalità: quali argomenti potevano essere più onerosi per la mente di chi cercava di sfuggire da ogni vincolo? Elliot lo vedeva su tutto il volto di Thibault, sulla sua espressione seccata, su quegli occhi marroni che parevano essersi riaccesi solo quando aveva provato ad assaggiare il vino: voleva parlare di altro, voleva perdersi tra fantasie più amene, voleva smetter di pensare alla realtà, alle conseguenze di ogni cosa. La tragedia, del resto, se era davvero inevitabile, sarebbe arrivata a tempo debito. Tuttavia, non fu quella riflessione il motivo per il quale Elliot desistette dal continuare quel discorso, ma la reazione di Thibault ai pochi complimenti che aveva rivolto a Vittorio. Sapeva che non avrebbe apprezzato, certo, ma non si aspettava una reazione del genere. Allora, rise. Rise in modo composto e si concesse un altro sorso dal bicchiere di vetro, poi si rivolse al francese con un'espressione non sincera di stupore. « Sbaglio o colgo una certa gelosia?» Un altro sorriso storto si accomodò tra le sue labbra. «Faresti bene a nutrirla nei suoi confronti: è un gentiluomo e, se è questo ciò che credi non faccia giustizia al suo volto, devi sapere che gli occhiali gli conferiscono uno sguardo più serio, più profondo. » Fece scorrere il menù fino al centro del tavolo con le sue dita, poi guardò negli occhi il francese, per cogliere tutto il suo fastidio. « Se hai il desiderio di imitarmi ancora, fallo. Gli occhiali gli stanno proprio bene. » Calcò l'ultima frase, poi, si bagnò nuovamente le labbra col vino. Non ne sorseggiò molto, volle solo sentire il sapore ancora una volta. Voleva godersi bene la reazione dell'altro. « Per il resto, sai che fa il compleanno tra poco? Forse, dovremmo comprargli qualcosa.»
❛ ᴛʜɪʙ ─  Era a dir poco infastidito dall’atteggiamento di Elliot e glielo si poteva leggere negli occhi infuocati da quell’innegabile sentimento. Non se ne vergognava, non se ne vergognava più. Ascoltò le sue parole con attenzione e non staccò il contatto visivo nemmeno per un momento. Elliot aveva liberato un sorriso dispettoso, lo stesso che fioriva ogni volta in cui cercavano di stuzzicarsi a vicenda. Thibault lo notava comparire in circostanze ben definite e aveva imparato a riconoscerlo. Come un fulmine a ciel sereno, questo distruggeva l’atmosfera di quiete: inaspettatamente arrivava agli albori di un dibattito, nel mezzo delle conversazioni più noiose o prima del sesso, a volte anche dopo.Funzionava, quel sorriso, era simile ad un campanello d’allarme per Thibault e lo faceva sentire sempre pronto a tutto. Perciò replicò con tono deciso, riposizionando subito il fondo del bicchiere sulla tovaglia morbida : « Tutti parlano della gelosia come fosse un sentimento negativo, o un atteggiamento da nascondere o da evitare. Ma dimmi, che c’è da nascondere? Perché lo stai dicendo come se io avessi rubato una mela al mercato, credi sia un’insinuazione sufficiente a farmi sentire in imbarazzo ? No.Trovo però più che irrispettoso da parte tua essere con me e parlare d’altri con carichi ed elogi a dir poco ridicoli: è fuori luogo, non è maniera, non qui. Io stesso, per rispetto tuo, non lo faccio mai. Forse dovrei cambiare consuetudine. Potrei mettermi qui a incorniciare ed elencare tutte le ragazze conosciute nel Vermont, dirti quanto sono carine con il cerchietto, che sono intelligenti, interessanti e così via, ma non ne ho voglia. Pensa che sciocco: ho preferito — senza aver alcun controllo sulla ragione — pensare a te. E si, facciamogli pure un regalo. È gentile, è educato, mi è simpatico ed è anche uno che se ne intende di cinema, se proprio vogliamo aggiungere tutto. Peccato che io non abbia proprio nulla da invidiargli.»E dopo aver concluso stizzito, sorrise senza aggiungere altro. Rapidamente, falsamente, come se volesse sottolineare che la questione fosse terminata lì.
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  Elliot, invece, era divertito e neppure sforzandosi riusciva a comprendere come, nella sua gelosia, Thibault non si fosse reso conto che quella rimaneva una semplice provocazione: pochi complimenti a Vittorio, infatti, erano riusciti a scuoterlo, scuoterlo più di quanto il biondo si sarebbe mai immaginato. Lo scozzese, del resto, così preso da se stesso, in che modo poteva comprendere la gelosia di qualcuno? Era bello, però, Thibault, proprio bello. Elliot ne era affascinato e cercava di stamparsi quell'immagine nella memoria, quello sguardo sicuro, i capelli che gli ricadevano sul volto mentre si agitava, la mano che sosteneva ancora il bicchiere. Aveva catturato tanto i suoi occhi che il biondo fu tentato di stuzzicarlo ancora per un po', solo per godersi la sua espressione, solo per ammirare quella sua bellezza scomposta. E, lontano dal rigore classico, dalla fredda e immobile perfezione attica, il Beauchamp era marmo scolpito dal più ardito degli scultori ellenistici e si presentava ai suoi occhi come il ritratto palpitante di uno splendore quasi barocco. Forse, in un altro tempo, con quell'espressione in volto, con quei ricci ribelli, sarebbe potuto esser scambiato con un'effigie di Alessandro il Grande.Eppure, quando Thibault finì il suo discorso sulla gelosia, Elliot dimenticò ogni suo proposito e il suo unico pensiero si rivolse alla consapevolezza che in qualche modo il francese, il quale continuava pure a lasciarsi trascinare dalle passioni, doveva essere cambiato. Sembrava non avere paura di nessun giudizio, sembrava non temere lo sguardo di nessuno: era così, era assoluto. Ed Elliot, che credeva che non ci fosse nulla di più affascinante e completo di ciò che non accettava compromessi, abbandonò quel sorriso cattivo sul volto, per mostrare uno sguardo più pensieroso. Per un attimo i suoi occhi si smarrirono per il ristorante, poi scosse la testa. « Ci hai riflettuto, dunque » disse solamente e nemmeno lui fu in grado di capire se la sua fosse un'affermazione o una domanda, poi scosse la testa. «No, non hai nulla da invidiargli. » Cercò, dopo essersi guardato in giro ed essersi reso conto che nessuno aveva lo sguardo rivolto verso al loro tavolo, la mano del francese con le sue dita e gliela accarezzò. Era un modo di scusarsi? Era una carezza compiaciuta? O era incerta, incerta per i pensieri che gli avevano occupato la mente? Durò un attimo, ma, quando Elliot lasciò la mano del francese ancora aveva la sensazione della morbidezza della sua pelle tra le falangi pallide.
❛  ᴛʜɪʙ ─  Thibault aveva fatto tesoro di ciò che Elliot gli aveva detto tutte le volte in cui erano rimasti soli a confrontarsi. Si erano attaccati e ripresi nel loro passato e nel loro presente e, in ognuna di queste occasioni, a prescindere dalla ragione o dal torto, Thibault aveva imparato non solo ad accettarsi, ma più precisamente ad amarsi. Era sempre stato sicuro del suo aspetto e del suo carisma ancor prima di conoscerlo ma, ora, ora riusciva anche ad esserlo per le sue scelte e le sue azioni, per le parole dette e per quelle pensate. Si preoccupava poco della morale, si preoccupava ancor meno degli altri. Non c’era nessuno quando era con Elliot, non c’era niente che potesse andar storto, niente che potesse accenderlo più di così e lui lo sapeva: quel piccolo principe, figlio del caos e di Afrodite, lo sapeva bene e se ne approfittava, ma tutti i sacrifici fatti sino a quel punto portavano sempre Thibault ad essere fiero e felice di quella condizione di svantaggio. Anzi no, non era uno svantaggio, era un privilegio.E lui con Elliot era pieno e soddisfatto, fortunato, scelto, suo. E lo guardava ancora con lo stesso carico di malizia, di stima, di sfida, di attenzione, di gratitudine e, anche se ci aveva messo un pizzico in più di sicurezza, di decisione e di rabbia, gli occhi non avevano perso la loro passionale intensità : così violenta da poter spezzare qualsiasi cosa.Non si conteneva dopo tanti bicchieri di vino ed era un po’ troppo arrabbiato al pensiero che egli potesse dare attenzioni a qualcun altro in sua presenza. Erano lì insieme e, lui, Thibault, era più che sicuro di essere partito con la persona giusta. Elliot invece davvero avrebbe preferito portare Vanzina? Davvero aveva osato insinuare di non volere al suo fianco lui, ma un altro durante una simile esperienza ? Vero o falso che fosse, risultava chiaramente inaccettabile.Un attimo prima era stato in paradiso, a sguazzare nel profondo azzurro dei suoi occhi e a desiderare il sapore del vino rosso tra le sue labbra. Un attimo dopo, quelle stesse labbra le avrebbe volute distruggere, perché lo pungevano sempre, lo graffiavano senza nemmeno toccarlo.E quasi non riusciva più a distinguere l’orgoglio dal semplice fluire del desiderio. E lo guardava per trasmettergli quella sensazione: guardami, guarda cosa mi hai fatto, guarda come sono incazzato per te, guarda come mi hai reso grande, migliore. Io sono migliore Elliot, io sono il migliore. Guardami ancora. Sono qui. Ancora, ancora, ti prego.E che domanda, che osservazione stupida quella: aveva riflettuto? Si che aveva riflettuto. Voleva rispondere per le rime. Rifletteva, certo. Non era mica un idiota, né uno sprovveduto senza salvaguardia personale: aveva solo imparato ad avvalersi dei primi consigli dell’ istinto e non più della repressione convenzionale, del freno e della censura: forse non era diventato così bravo davvero, forse era il vino a fare tutto, o magari adesso era stata la magia della carezza di Elliot.Lo stava accarezzando?La sua pelle, la sua pelle morbida, leggera, delicata, la sua pelle era lì sulla sua.La sua pelle, diversa da quella di qualsiasi uomo, diversa pure da quella di qualunque donna. La sua pelle era lì sulla sua.La pelle, la pelle di Elliot, la loro pelle vicina.Il cuore di Thibault venne colto alla sprovvista: all’improvviso sussultò di spasmi e, se solo avesse potuto personificarsi, probabilmente sarebbe risultato come un atleta poco allenato dopo venti giri di campo. Non era pronto. Era durato poco, era finito troppo presto. Era già finito? Ancora, ancora, Toccami, toccami ti prego.« Non ci ho riflettuto a lungo, comunque. Rimuginare troppo fa male alle passioni. » Forse in cuor suo lo aveva sempre saputo: magari quella parte più scura e segreta viveva già in lui da molto tempo, irrequieta e impaziente di essere liberata. Era stato Elliot a liberarla. « E tu sei un sadico stronzetto scozzese.» Aveva solo adesso realizzato e stemperato la gelosia, così sorrise. Sorrise e poi rise, mentre gli effetti del vino si facevano sentire sino alla punta dei capelli. « Mi spieghi come fai a portare sempre le cravatte al collo?» Si scompigliò malamente le ciocche scure, le portò all’indietro e poi allentò notevolmente il nodo di seta intorno al colletto della camicia: « Sono fastidiose. Fa caldo, stringono.» Era un fiume di parole, era il vino, era il vino. « Ti va di fumare?» frugò velocemente tra le tasche vuote. « Putain! Le ho lasciate da qualche parte. Le ho perse.» Sbuffò e sospirò infastidito dal suo stesso disordine, poi però poggiò entrambi i gomiti sul tavolo, inclinò il capo e osservò Elliot silenziosamente. Accennò un piccolo sorriso e alzò le sopracciglia: gliene stava chiedendo una. « Quando saliamo te la restituisco, Je te promets.»❛  
ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  Non sapeva neppure Elliot perché avesse preso quell'abitudine, perché si ritrovasse a compiere quel gesto sempre nella stessa circostanza, sempre con la stessa persona. Gli piaceva stuzzicare Thibault -ne era ben consapevole-, né si sentiva in colpa all'idea di aizzare i suoi spiriti più bollenti per semplice desiderio personale, eppure, alla fine di quei piccoli scontri, sentiva il bisogno di cercarlo ancora, di ritrovare, con quel piccolo gesto, il contatto che aveva spezzato per gioco. A volte, lo faceva con nonchalance, mentre parlava e non si zittiva per un attimo, davanti al volto stanco del corvino; in altre occasioni, invece, le sue dita si intrecciavano a quelle dell'altro con una reticenza che scompariva solo quando le loro mani erano unite e il volto offeso di Thibault non mostrava un'emozione diversa, forse desiderio, forse contentezza, forse conforto. Ancora, lo faceva in modo furtivo, con gli occhi che correvano in ogni direzione, con l'ansia d'esser visto, e il momento in cui le loro mani rimanevano unite era lungo un attimo, una carezza che si dissolveva tanto velocemente quanto il bacio di un sogno all'alba. Tuttavia, chiusi in una stanza, lontani da sguardi indiscreti, quel contatto, di solito così fragile, non s'infrangeva e, delicato, legava la loro pelle, le loro falangi indistricabili. Un nodo di Gordio. E gli occhi di Elliot non esitavano, quando finalmente incontravano il francese, quando, dopo quel momento d'unione, la quiete si ricomponeva. Tutto ritornava al suo posto, quei momenti di conflitto scomparivano, lasciando il posto ad altri discorsi, a conversazioni diverse, talvolta più profonde, talvolta meno intime. Ma ciò non significava che per lo scozzese quei piccoli litigi non avessero importanza o che non nascondessero qualcosa di morbosamente personale, qualcosa che andava ben oltre la semplice provocazione o l'orgoglio o il gioco: si trattava di lasciarsi cogliere in uno stato di instabilità. Un'instabilità potente, un'instabilità sinuosa, Elliot l'avrebbe definita pure sensuale, quando si ritrovava a pensare al modo in cui Thibault si lasciava andare al fuoco e non si curava di alcuna regola, di alcuna etichetta. Del resto, i loro scontri erano scorretti, erano cattivi, erano pure selvaggi, tanto che ogni codice veniva infranto, quando, davanti al giuramento d'esser complici, si ricominciava una lotta estenuante, una lotta che, forse, non avrebbe mai avuto fine. C'era bellezza, infine, in quella violenza gentile, in quella violenza pacata, in quella violenza che si nutriva di sguardi e parole, di occhi che fulminavano e sorrisi che stridevano.«La riflessione, però, ti permette di non considerare ciò che fai sotto l'impulso delle passioni come semplice follia passeggera. Come l'errore di una giornata. Se ci pensi e ci credi, te ne convinci. Sei sicuro d'aver fatto quella cosa, perché era ciò che volevi, al di là dei costrutti che la società ha voluto importi. Ma puoi anche non pensare, certo. E, non pensando mai, non proveresti neppure il rimorso d'aver esagerato, il senso di colpa.» Spostò lo sguardo sulla bottiglia di vino per un attimo, poi i suoi occhi furono di nuovo su Thibault, sulla mano che scompigliava i suoi capelli scuri, quei ricci difficilmente domabili. Rise. «Devo ammettere che sono delle qualità che non esiterei a definire pregi, perciò ti ringrazio.» L'espressione di Elliot si fece decisamente più divertita, quando Thibault cercò di allentare il nodo della sua cravatta. Era bastato un po' di vino perché l'apparenza elegante con la quale s'era recato fino al ristorante dell'albergo fosse svanita: c'era solo Thibault Beauchamp, il suo fastidio per le divise strette, il disprezzo per qualsiasi costrizione. «Sono eleganti, hanno il loro fascino e non stringono affatto. Basta solo abituarsi. Anche se so bene che non vanno particolarmente di moda in Arcadia.» In un altro momento sarebbe andato lui stesso a sistemargli il nodo di quella cravatta, ma lì, in quegli attimi, lontani da qualsiasi persona che li conoscesse, decise che non aveva importanza. Decise che, in fondo, Thibault gli era sempre piaciuto anche per quel motivo, anche per quel disordine che non riusciva mai ad abbandonare. Su di lui stava bene. «Mi offendi con queste promesse.» Disse drammaticamente, dopo la richiesta dell'altro, e prese dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette che portava sempre con sé e glielo porse, facendolo scivolare sulla tovaglia del tavolo. «Sai che non mi faccio problemi ad offrire. Soprattutto se me lo chiedi in questo modo.» Roteò gli occhi subito dopo, poi prese anche l'accendino dalla tasca della giacca scura, e si concesse uno sguardo divertito. Avrebbe mentito se gli avesse detto che lo trovava indifferente, che quella richiesta tacita non l'avesse in qualche modo toccato, ma non disse nulla. Non volle neppure rimproverarlo per quei gomiti sul tavolo, per quel gesto tanto biasimato a casa sua. I suoi precettori dicevano che non permetteva una postura adeguata, elegante e che, per questo motivo, dovesse esser evitato, eppure Elliot non riusciva a cogliere alcuna goffaggine nel Beauchamp, neanche in quel momento. «Ti avverto, però, che non sono aromatizzate come le tue. »
❛  ᴛʜɪʙ ─  Una mente saggia e colta, quella di Elliot Hampton. Una voce da ascoltare con completa ammirazione e dedizione, una fonte, un momento di scambio intellettuale sempre pronto, sempre stimolante. Stimolante. È questo il termine perfetto per descrivere al meglio le conseguenze e gli impulsi irrefrenabili sentiti dal giovane Beauchamp, ogni qual volta quel contatto riusciva a farsi più intimo, più coinvolgente. Intimità fisica, mentale, spirituale addirittura. Ogni respiro, ogni attimo, ogni linea, da quella delle sue mani delicate, a quelle delle sue labbra carnose aveva un significato. La sua voce lo chiamava, lo faceva sentire pazzo e non riusciva a concentrarsi bene, perché il vino era più forte, ed era buono ed era salito, su, su, ancora Thibault, più forte, più forte.Thibault, Thibault si è distratto.La paranoia lo fece per un momento sentire pazzo e, probabilmente era stato Elliot a farlo impazzire, ma ciò accadeva senza che l’altro effettivamente facesse nulla di così eclatante: un incantesimo.Troppo impegnato a gustarsi la sua stessa aria, il suo sguardo, i suoi occhi chiari e limpidi e l’eleganza di ogni suo singolo gesto, Thibault continuò a non badare alla postura. Accavallò una gamba ripensando a ciò che aveva letto per anni sull’Arcadia. Era una regione storica della Grecia, nella penisola del Peloponneso che, nel corso della letteratura, è stata elevata a topos letterario, in quanto percepita come un mondo idilliaco. Un mondo idilliaco, forse al pari del loro mondo, si disse.Ed era questa la carta vincente di Elliot. In ogni parola c’era uno spunto, uno stimolo. E Thib a quei piccoli cenni rispondeva sempre, travolto da una completa mania, la dolce malattia, l’ossessione che così tanto lo infervorava. Guardava Hampton come una scatoletta infiocchettata, tutta elegante, incartata con materiale rumoroso, invitante, da strappare in modo impaziente per poter arrivare presto alla più preziosa delle sorprese.Mille divagazioni, mille viaggi lontani sapeva fare il pensiero di Thibault e, di fronte a lui, ogni minimo particolare poteva essere oggetto di riflessione, frutto di piacere, inizio di un percorso. Ora che andare d’accordo non è più un’impresa tanto difficile, riusciva davvero a comprendere la bellezza del loro rapporto. Perché lo aveva voluto e cercato tanto, Thibault e, adesso si sentiva privilegiato grazie a quella vicinanza. « C’est très bien. Merci beaucoup.» Rispose inclinando il capo mentre i polpastrelli cercavano una delle sigarette. Ne poggiò una lentamente tra le labbra, fece il solito sorriso sornione. Il filtro penzolò appena in avanti e una piccola risata brilla lo colse. Si avvicinò ancora tutto, allungandosi sulla tovaglia, in avanti, lento, impedito e sofferente. Si fermò per parlargli a voce bassa, allontanando la sigaretta ancora spenta per pochi istanti. Le iridi scure fisse sulle sue. Usciamo, dai. Mi sento ridicolo all’idea di essere così ubriaco da poter rovinare tutto in pubblico. Avrebbe voluto dirgli. Esci con me, vediamo a che punto stanno le stelle, se sono diverse da quelle del Vermont e poi parlami di qualche imperatore di Roma che è poi divenuto stella. Vieni con me, parla con me, allontaniamoci un’altra volta da tutti. Aveva in mente di dirgli. Usciamo, dai. Prima che io dia fuoco a questo tavolo che mi separa da te, qui dentro. Un groviglio di istinti e impulsi che, con la giusta volontà riuscì comunque a frenare, tanto da troncare bene e al punto perfetto, tutti gli ipotetici proseguimenti delle richieste iniziali.« Usciamo? »
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  Prima di comprendere Thibault, Elliot aveva imparato a conoscerlo, a superare i pregiudizi che gliel'avevano fatto liquidare come l'ennesimo studente ribelle senza arte, né parte. Era dovuto passar sopra, infatti, a quel fastidio innato del Beauchamp verso le discipline dei loro corsi che richiedessero una maggiore razionalità, un metodo più severo: non gli piaceva, infatti, la linguistica, non gli piaceva la glottologia e ancor meno pareva apprezzare la grammatica. Soprattutto quando era costretto ad applicarla alle lingue antiche, al latino. Ed Elliot l'aveva sempre trovato inconcepibile, tanto che, per questo, l'aveva costretto a subire quel suo atteggiamento di superiorità che ostentava con chi non reputava degno della sua stima. Eppure, col tempo, Elliot s'era dovuto ricredere su quel ragazzo che aveva conosciuto tramite Ophélie, su quel poeta incompreso, che aveva da offrire al mondo più della spiegazione di qualche mutamento fonetico, più di qualche regola ripetuta a memoria, sempre uguale, con una particolare attenzione a non dimenticare le parole esatte. Thibault era più di uno studioso, era più del mondo accademico stesso: era un artista che cercava di dare una forma al suo lavoro; era un esteta che ricercava il bello in ciò che studiava, non ciò che era giusto, non ciò che era reale, ma ciò che conciliasse la sua fantasia, il suo desiderio di creare arte. Aveva qualcosa di divinamente ispirato e, allo stesso momento, pareva non esser per nulla circondato da quell'aura di misticismo che si sarebbe potuta vedere attorno ad un aedo, attorno ad un poeta favorito dalle Muse o invasato da Dioniso. Thibault, piuttosto, aveva i modi e la spontaneità di un figlio dell'Arcadia. Per questo motivo, per scherzo, Elliot aveva iniziato a chiamarlo pastore, ma s'era reso conto che quel piccolo modo di punzecchiare Thibault era, poi, espressione della sua sorpresa, davanti alla sua profondità, davanti a quello spirito incontaminato. Veniva davvero dall'Arcadia, ne era sicuro. Mentre parlavano, gli venne in mente quella discussione che avevano avuto a Maggio, prima che Thibault andasse via, prima che fosse sospeso dal rettore. Era riuscito ad ammettergli quell'ammirazione che aveva sviluppato lentamente solo in quel momento, solo per chiedergli scusa, solo per mostrargli che non era vero che gli era indifferente, che non pensava di lui quello che si ostinava a fargli capire. E, col tempo, forse con pazienza, Elliot aveva mitigato il suo carattere, aveva accantonato l'orgoglio -giusto un po', giusto un pizzico, giusto il necessario per avvicinarsi al francese- e l'aveva osservato da più vicino, finendo per apprezzare l'altro più di quanto si sarebbe aspettato. Amava ancora punzecchiarlo, gli era sempre piaciuto, eppure, in quel momento, gli piaceva fare anche altro in sua compagnia. Era per questo che decise di assecondarlo, dopo avergli acceso la sigaretta, nel momento in cui l'altro si era sporto. Un favore tra due amici: ecco cosa doveva sembrare all'esterno, ecco cosa Elliot si premurò di farlo sembrare agli occhi degli ospiti di quell'hotel facoltoso. «Andiamo. » Disse semplicemente, dopo la sua domanda, e cercò d'apparire più freddo, mentre si alzava in modo furtivo. Sarebbe stato più semplice se fossero stati da soli, se non fossero sempre circondati da chi non li avrebbe mai compresi. Sospirò per questo e si concesse l'ultimo sorso di vino, prima di alzarsi e recarsi in balcone, insieme all'altro. Per fortuna, non c'erano ospiti in quel momento e ad Elliot bastò voltare l'angolo per sentirsi meno rigido, per smettere di lanciare occhiate ad ogni angolo.
❛  ᴛʜɪʙ ─  E allora non se lo fece ripetere due volte, Thib. Si portò via dalla sedia con uno scatto. Incastrò la sigaretta tra le labbra e sorrise come un bambino a cui avevano appena regalato una caramella estratta dal pacchetto più colorato tra tutti quelli del negozio. Non si portò dietro nemmeno il cappotto, voleva starsene libero. Arrivò fino al balcone desolato, oltre il finestrone bianco di quell’albergo a cinque stelle e scorse il paese delle meraviglie, realizzando presto che una bella vista era stata lì ad attenderli da troppo tempo, come il più affascinate degli amanti. Le luci notturne della città eterna lo lasciarono senza parole, senza respiro, lo lasciarono incantato.Un’esperienza come quella gli fece capire che per loro andava bene solo il meglio. Che nella vita non doveva sempre accontentarsi, Thibault, e che anzi, doveva da ora soprattutto imparare a saper pretendere, per poter ottenere risultati sempre più soddisfacenti.Il cuore si riempì di gioia, poiché per lui fu un vero e proprio traguardo contemplare quanto e come insieme fossero arrivati tanto in alto. il Grand Hotel, il Plaza. Esso non solo godeva di un’ubicazione privilegiata e di un abito architettonico monumentale, ma doveva anche parte del suo fascino allo straordinario spazio dedicato al verde. Lo scorgeva ora con gli occhi scuri lì, sotto di loro: giardini verdi, piccole fontane con luci accese, aiuole. Il Palazzo era avvolto da un abbraccio floreale, quello di Madre, Madre Natura. Giardino, giardini, poi il loro bellissimo balcone, una vista panoramica.Tutto era arte, evocazione, ispirazione, vocazione. Riusciva persino ad immaginarsi una melodia.Si trovavano in quel balcone rinominato “ balcone Trinità dei Monti” un luogo altamente suggestivo del Grand Hotel, dove i profumi si fondevano con quello inebriante dei fiori che lo adornavano. Thibault ed Elliot potevano finalmente, e da soli, volgere lo sguardo verso tanta bellezza, verso un nuovo mondo immerso nell’antichità.Da soli ma insieme, da soli insieme. Soli insieme, un solo insieme.Potevano vedere i maggiori monumenti di Roma, quali la chiesa della Santissima Trinità dei Monti, luogo di culto cattolico nel rione Campo Marzio, alle spalle della celebre scalinata di piazza di Spagna; Il complesso architettonico di Villa Medici, situato sulla collina del Pincio; Casina Valadier in Villa Borghese e ancora tanto, tanto altro. Con lo sguardo i due sarebbero potuti andare oltre, giungere fino al Palazzo del Quirinale, Piazza Venezia, rapiti dalla magia e dall’atmosfera che solo Roma, solo Roma poteva davvero offrire.Ma la più bella, la più suggestiva di tutte le viste, distanziava pochi passi da lui. Esattamente due. Adesso uno. Adesso niente. Posò il mento sulla sua spalla, accese la sigaretta e aspirò così profondamente da renderlo partecipe di quell’alito sospeso di passione, nicotina, desiderio, impazienza. « credo di non aver mai avuto il mondo ai miei piedi come in questi momento.» Sussurrò al suo orecchio. « il mondo è nostro, Ennio.» E gli avrebbe baciato anche il collo, ma provò ad esitare. « È tutto nostro.»
❛  ᴇʟʟɪᴏᴛ ─  La vista del balcone lasciò Elliot senza parole e, mentre Thibault si appoggiava alla sua spalla, lui si perse nella vista che si stagliava davanti ai suoi occhi e che gli parve avere il potere di farlo scomparire, fino a non esistere più, a non sentire neppure il calore che tutto il corpo del francese emanava vicino al suo. Ebbe un brivido, all'inizio, nel sentirlo avvicinarsi tanto e un lunghissimo fremito attraversò la sua schiena nel percepire il suo volto contro al suo collo, il suo mento incastrato nella sua spalla, ma non si mosse, né gli sussurrò di allontanarsi, come di solito faceva in quelle occasioni. Erano soli, ora: non c'erano sguardi indiscreti, occhi curiosi, espressioni sconvolte, né lo scozzese fu abbastanza coraggioso da girare lo sguardo verso il francese, di dirgli di aspettare di arrivare in stanza, di finire quella cena, per concedersi quell'intimità. In fondo, erano usciti anche per quello. 𝘗𝘦𝘳 𝘴𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘷𝘪𝘤𝘪𝘯𝘪. Eppure, qualsiasi pensiero affollasse la sua mente, qualsiasi proposito di dire qualcosa sfumò nel momento stesso nel quale le sue iridi parvero smarrirsi tra i meandri di Roma, tra quelle vie che avevano attraversato in quei giorni, tra i monumenti che avevano già visto e quelli che ancora avrebbero dovuto vedere. E, all'improvviso, provò una sensazione di nostalgia per quella città che non aveva mai visto prima, che non gli apparteneva più e che un tempo era stata, in parte, sua; provò nostalgia per quei monumenti ormai diventati solo un ricordo da immaginare, per quelle persone che, in un'altra vita, doveva aver conosciuto e che ora erano solamente gli εἴδωλᾰ che popolavano i suoi sogni, numerosissimi, tutti diversi, eppure incredibilmente legati al suo trascorso. Vedeva spesso quelle figure, quando dormiva, e tutte quante lo facevano tremare, come dei fantasmi che attraversassero quella memoria che non aveva dimenticato tutto il suo passato, che non poteva averlo perduto nell'oblio. Elliot sentiva, in qualche modo, di non aver bevuto abbastanza alla fonte del Lete o di non averlo potuto fare qualcosa di più importante, qualcosa che, forse, il se stesso del passato gli avrebbe rivelato durante qualche notte. Così, il suo pensiero, per un attimo, ritornò a quella notte di ottobre, a quel rituale e il suo sguardo, finalmente, fu su Thibault, ancora appoggiato a lui. «Credo che lo sia sempre stato. » Azzardò e sentì nuovamente quel tremore. «Io so che hai altre idee sulla vita e sulla morte, lo so bene. » Con lentezza accarezzò i suoi capelli, ma solo per un attimo, solo per il tempo necessario ad affondare la mano tra i suoi ricci neri, poi spostò nuovamente lo sguardo al panorama romano. «Però, a volte, ho l'impressione che ci siamo già incontrati. Non in questa vita, no. In un'altra, forse nel passato. Probabilmente, mi inganno, ma sento di averti già conosciuto. E' una sensazione che non so spiegare bene, tuttavia la provo. Ed è come se ti avessi già visto. Non so dove, non so come, non so neppure che aspetto avessi. Ma è come se mi fosse venuto a trovare un fantasma. » I suoi occhi azzurri furono nuovamente sui suoi e, nel voltarsi, si rese conto di quanto fossero vicini in quel momento.               .
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gloriabourne · 5 years
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The one with the messages
"Stanco?"
Fabrizio, steso a terra sul pavimento del teatro in cui avevano appena finito di girare la cartolina per l'Eurovision Song Contest, si voltò verso Ermal e sorrise. "No, in realtà. Anzi, mi sono divertito oggi."
Ermal si lasciò scappare un sorriso mentre continuava ad accarezzare lentamente le corde della sua chitarra. "Sì, anch'io."
"Ti ricordi com'eravamo all'inizio?"
"Che vuoi dire?" chiese Ermal.
"Quando ci siamo conosciuti, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme... Eravamo impacciati, sembravamo quasi impauriti di stare l'uno accanto all'altro."
"Forse un po' lo eravamo. Io lo ero" ammise Ermal senza vergogna.
Lo era stato davvero all'inizio. Un po' perché non è mai facile collaborare con qualcuno per cui provi ammirazione, un po' perché collaborare con qualcuno vuol dire essere disposti a mettersi a nudo e non è mai facile farlo con qualcuno che non conosci bene.
"Un po' lo ero anch'io. Però poi le cose sono cambiate, ci siamo conosciuti meglio" disse Fabrizio.
Ermal rimase in silenzio, con le dita sulla sua chitarra e le parole di Fabrizio in testa.
Già, si era conosciuti meglio e tutto era cambiato. Si era creato un legame che entrambi avevano definito amicizia, ma che con il tempo era diventato molto di più.
Erano diventati complici, due anime affini che si completano.
"Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, l'anno scorso, l'avresti mai detto che saremmo finiti così?" disse Fabrizio a un certo punto.
"Intendi seduti sul pavimento di un teatro di Porto?"
Fabrizio si mise a ridere. "No. Parlo di tutto il resto. I messaggi, le telefonate in piena notte solo per chiederci come stiamo, i video stupidi sui social..."
"Ehi, i video stupidi non dipendono da me! Sei tu che fai quelle facce assurde!" disse Ermal.
"Va beh, hai capito che voglio dire."
"Sì, ho capito. E no, non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo punto, ma sono contento che sia successo."
Fabrizio rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò e si spostò di qualche passo arrivando di fronte a Ermal e tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Quando furono l'uno di fronte all'altro, le mani ancora strette tra loro che sembravano non volerne sapere di staccarsi, Fabrizio disse: "Non c'è nessun altro con cui vorrei condividere tutto questo."
Ermal sorrise. "Vale lo stesso per me, Bizio."
  Le Instagram Stories fatte insieme quel giorno, scorrevano sotto lo sguardo attento di Ermal.
Ormai aveva perso il conto di quante volte le aveva guardate, imprimendo nella sua memoria ogni dettaglio e domandandosi come avrebbe fatto ad abituarsi a stare lontano da Fabrizio quando sarebbe giunto il momento di tornare a casa.
Quel momento sarebbe arrivato presto e tra i vari impegni di entrambi, forse non sarebbe stato nemmeno difficile ritornare alla normalità. Il fatto era che Ermal non era sicuro di volerlo fare. Non era sicuro di sentirsi pronto a salutare quella pace e quella serenità che facevano parte di lui solo quando stava accanto a Fabrizio.
Durante quei giorni insieme, di cose ne avevano dette tante e alcune di quelle cose si erano annidate nella mente di Ermal e non volevano proprio saperne di sparire.
Continuava a ripensare alle foto scattate insieme, ai video stupidi, a Fabrizio che diceva di voler vivere a Lisbona e lui che pensava che sì, sarebbe stato bello vivere a Lisbona ma più di tutto sarebbe stato bello vivere con Fabrizio.
Sospirò mentre abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto e si copriva la faccia con un cuscino.
Se qualcuno gli avesse chiesto quando era successo, quando aveva iniziato a vedere Fabrizio come qualcosa di così fondamentale per lui, probabilmente non avrebbe saputo rispondere.
Era successo lentamente, senza che se ne accorgesse.
Fabrizio gli era entrato nella mente, nel cuore e nell'anima senza chiedere permesso. Aveva invaso ogni angolo, lasciandosi dietro piccoli pezzi di sé che Ermal aveva raccolto e custodito con cura, fino ad arrivare ad amarli. E così, praticamente senza accorgersene, si era innamorato di lui e quando l'aveva capito ormai era troppo tardi per uscirne.
L'aveva negato a sé stesso, si era ripetuto più volte che stava solo confondendo l'amicizia e l'ammirazione con l'amore. Si era imposto di non vederlo diversamente da un amico, perché a lui non piacevano gli uomini e non gli sarebbero mai piaciuti. E poi semplicemente, un giorno aveva smesso di mentire a sé stesso. Aveva smesso di farsi domande e aveva iniziato ad accettare qualsiasi cosa provasse per Fabrizio.
Aveva affrontato l'esperienza a Lisbona con più leggerezza e, forse proprio grazie a quella leggerezza, era riuscito a legarsi ancora di più a Fabrizio. Avevano iniziato a scherzare di più, a prendersi in giro davanti alle telecamere, a ridere senza preoccuparsi troppo di quello che avrebbe pensato la gente.
Ed Ermal si era innamorato un po' di più ogni giorno.
La suoneria del cellulare che lo avvisava di un nuovo messaggio, lo riportò alla realtà costringendolo a smettere di farsi paranoie almeno per un attimo.
Sorrise quando si accorse che era un messaggio di Fabrizio, con allegato un link.
 -Questa ti piace?
 Ermal aprì il link, accorgendosi che Fabrizio gli aveva mandato un annuncio di una casa in vendita a Lisbona.
Sorrise mentre digitava velocemente una risposta.
 -Allora eri serio quando dicevi di voler vivere a Lisbona!
 -Sì, ma solo se vieni con me.
 -E che facciamo? Molliamo tutto e ci trasferiamo qua?
 -Sarebbe bello.
 Ermal sospirò leggendo la risposta.
Già, sarebbe stato bello.
Sarebbe stato bello staccarsi dalla realtà, avere un posto dove scappare quando la vita non andava nella direzione giusta, un posto in cui stare insieme, in cui condividere le giornate. Un posto in cui Ermal si sarebbe innamorato sempre di più di Fabrizio e magari, con il tempo, anche Fabrizio si sarebbe innamorato un po' di lui.
Ermal scosse la testa, cercando di scacciare via i pensieri, mentre Fabrizio gli inviava un altro messaggio.
 -Vieni da me? Facciamo due chiacchiere...
 Ermal sospirò.
Passare del tempo con Fabrizio era una delle cose che preferiva ma non poteva farlo, non in quel momento, non con le immagini di loro due che condividevano una casa ancora in testa.
 -Meglio di no, Bizio.
 -Perché?
 Ermal rimase a fissare lo schermo, indeciso su cosa dire.
Avrebbe potuto semplicemente rispondere che era tardi, che era stanco e che voleva dormire. Ma la verità gli bruciava il cuore e premeva per uscire con una forza che Ermal faceva fatica a controllare.
Mentre aveva lo sguardo ancora fisso sul telefono, la schermata cambiò mostrando una chiamata in arrivo da parte di Fabrizio.
Prese un respiro profondo prima di rispondere, consapevole che più che di un respiro avrebbe avuto bisogno di autocontrollo.
"Ehi."
"Perché non vuoi parlare con me?"
Ermal sorrise sentendo Fabrizio porgli quella domanda con lo stesso tono di un bambino che chiede ai genitori di giocare con lui.
"Non è che non voglio parlare con te. È solo che è tardi."
"Sicuro che è solo per questo?"
"Sì" rispose Ermal dopo qualche secondo.
"C'è qualcosa che non va" disse Fabrizio.
Non era una domanda ed Ermal si stupì della facilità con cui Fabrizio gli leggeva non solo la mente, ma soprattutto il cuore.
"C'è qualcosa. Ma è troppo complicato da spiegare e avrebbe troppe conseguenze" rispose Ermal, ormai sentendosi messo alle strette e sperando che quella risposta bastasse a concludere il discorso.
"Tu non sei il tipo di persona che si preoccupa delle conseguenze prima di dire ciò che pensa. Non ti fai questi problemi."
"Con te me li faccio."
"Quindi questo qualcosa che non va... È colpa mia?"
Ermal smise per un attimo di respirare rendendosi conto di aver parlato troppo e di non sapere più come uscire da quella situazione.
"Ermal?" lo richiamò Fabrizio.
"Eh?"
"Ho fatto qualcosa?"
La voce di Fabrizio era solo un sussurro, il tono quasi timoroso.
"No, no. Non hai fatto niente. È un problema mio" si affrettò a rispondere Ermal.
"Ma hai paura di parlarne con me."
Ermal sospirò. "Se io te ne parlassi, potresti iniziare a vedermi diversamente e io non ho nessuna intenzione di complicare le cose."
"Potresti dirmi qualsiasi cosa e l'opinione che ho di te non cambierebbe."
"Forse" rispose Ermal.
Sapeva quanto Fabrizio tenesse a lui, quanto lo considerasse importante e sapeva anche che quello non sarebbe mai cambiato.
Ma cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo cosa c'era nella sua testa?
Cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si perdeva a pensare a quanto fosse incredibilmente bello, a quanto stesse bene ogni volta che lo abbracciava?
Cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo quante volte Ermal, trovandosi da solo a riguardare foto e video fatti insieme, si era perso ad ammirare ogni dettaglio del suo viso?
E cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si era toccato pensando a lui e poi era finito a sussurrare il suo nome mentre veniva nella sua mano?
C'erano troppi se e Ermal non si sentiva pronto a rischiare tutto.
"Non credevo che pensassi questo di me, che mi ritenessi così superficiale" rispose Fabrizio, ferito dalle parole di Ermal.
"Non penso che tu sia superficiale."
"Credi che potrei vederti in modo diverso se tu mi dicessi cosa ti preoccupa quindi sì, pensi che io sia così superficiale da lasciarmi condizionare da qualcosa che a quanto pare crea problemi solo a te."
Entrambi rimasero in silenzio per un attimo. Ermal troppo sconvolto per dire qualcosa, Fabrizio troppo arrabbiato.
"Avevi ragione. È tardi ed è meglio andare a dormire. Scusa se ti ho disturbato" disse Fabrizio prima di interrompere la telefonata senza aspettare che Ermal rispondesse.
"Fanculo" mormorò Ermal lasciando cadere il cellulare accanto a sé e affondando la testa nel cuscino.
Aveva cercato di trattenersi, aveva evitato di dire a Fabrizio cosa provava per lui per non rendere le cose difficili, e poi alla fine si era complicato tutto comunque.
Anzi, complicato era un eufemismo.
Fabrizio aveva frainteso tutto e Ermal non sapeva cosa fare per farglielo capire.
Fissò per un attimo il telefono, abbandonato accanto a lui sul letto, poi si decise ad afferrarlo e a scrivere un messaggio a Fabrizio.
Doveva parlargli, doveva dirgli tutto. Era disposto ad accettare che il loro rapporto cambiasse, che la situazione diventasse strana e imbarazzante, ma non poteva accettare che Fabrizio fosse arrabbiato con lui e che fosse convinto che Ermal lo considerasse in quel modo.
Per un attimo considerò l'idea di alzarsi e andare semplicemente a bussare alla sua porta, ma gestire l'imbarazzo attraverso uno schermo sarebbe stato più semplice per entrambi.
Digitò velocemente un messaggio e poi lo inviò senza nemmeno rileggerlo, convinto che se ci avesse riflettuto un secondo di più avrebbe cancellato tutto.
Solo dopo averlo inviato, si concesse di ricontrollare le parole che aveva scritto, mentre il peso di quel segreto lo abbandonava lentamente.
 -Non credo che tu sia superficiale. Non l'ho mai creduto. Anzi, credo che tu sia una delle persone migliori al mondo. Ed è per questo che ti scrivo, anche se probabilmente quello che ti dirò cambierà le cose.
Mi sono innamorato di te. All'inizio era davvero solo questo, solo un sentimento troppo forte che mi scaldava il cuore ogni volta che eravamo insieme. Poi è diventato anche altro e ho iniziato ad amare tutto di te, non solo la tua personalità e il tuo carattere. Ho iniziato ad amare il tuo sguardo, il tuo viso, il tuo corpo, ogni cosa di te.
Quando mi hai chiesto di venire da te, dopo tutti quei discorsi ridicoli sul comprare una casa insieme a Lisbona, non potevo dirti di sì. Non potevo guardarti in faccia e fare finta di niente, mentre nella mia testa c'erano solo immagini di noi due insieme.
Il problema non sei tu, sono io e per una volta è la verità e non la solita frase fatta.
Spero che questo non renda le cose troppo complicate perché, nonostante tutto, resti uno dei miei migliori amici. Buonanotte.
 Ermal rimase a fissare lo schermo, notando che Fabrizio aveva visualizzato il messaggio e stava rispondendo. Ma il messaggio che ricevette un attimo dopo non era di certo la risposta che si aspettava.
 -Sei un cretino, Ermal.
 -Scusa?
 -Sei un cretino perché se tu queste cose me le avessi dette un attimo fa al telefono, ti avrei risposto che ti amo anch'io e poi sarei venuto a bussare alla tua porta e ti avrei baciato.
 Ermal rilesse il messaggio tre volte prima di rendersi conto di quale fosse il significato. Poi un enorme sorriso si aprì sul suo volto mentre rispondeva velocemente.
 -Puoi farlo adesso.
 -No.
 -Ma come no?
 -Non ti sei fidato di me, non hai voluto dirmi cosa ti preoccupava. Sono ancora arrabbiato.
 Ermal sorrise capendo immediatamente che Fabrizio stava scherzando. Sapeva che non era veramente arrabbiato - non così tanto da non volerlo vedere almeno - e che stava solo esagerando, probabilmente per scherzare e per spingerlo ad andare da lui.
 -Vuoi che venga io da te?
 Poi mentre aspettava una risposta - che era convinto sarebbe stata positiva - prese una felpa dalla valigia e se la infilò velocemente.
Il cellulare, appoggiato sul comodino, vibrò segnalando un nuovo messaggio ma ormai per l'ennesima volta quella sera, non era ciò che Ermal si aspettava.
 -No.
 -Dai, Bizio. Smettila di fare l'offeso.
 -Non faccio l'offeso. Voglio che tu capisca che se mi avessi detto tutto subito a quest'ora avresti ottenuto qualcosa, ma visto che non è andata così non avrai nulla.
 -Ah, sì? E sentiamo, cosa avrei ottenuto se ti avessi detto tutto subito? A parte il bacio di cui parlavi prima, ovviamente.
 Solo dopo aver inviato il messaggio, Ermal si rese conto di come sarebbe andata a finire la serata.
L'aveva fatto qualche volta - quando stava con Silvia e passavano tanto tempo senza vedersi - ma con Fabrizio era diverso.
Ciò che provava per lui era più profondo di qualsiasi altra cosa avesse mai provato e c'erano ancora troppe parole non dette tra loro. Non era sicuro che quello fosse il modo migliore di continuare quella conversazione.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
 -Vuoi saperlo davvero?
 Ermal sorrise leggendo il messaggio di Fabrizio che, avendo capito che piega stesse prendendo la conversazione, aveva cercato di dargli un'ultima via d'uscita nel caso avesse voluto tirarsi indietro.
E fino a un attimo prima, Ermal avrebbe dato qualsiasi cosa per evitare che Fabrizio leggesse quel messaggio e che la conversazione finisse in quel modo, ma in quel momento si sentiva curioso - e leggermente eccitato - e voleva solo vedere fino a che punto si sarebbe spinto Fabrizio.
 -Sì, dimmelo.
 -Ti avrei spinto in camera continuando a baciarti. Tu probabilmente mi avresti stretto i fianchi, lo fai sempre.
 -Lo avrei fatto sicuramente.
 -Poi ti avrei tolto la maglia.
 -Ero senza maglia fino a un attimo fa, quindi non avresti avuto nulla da togliere.
 -Fino a un attimo fa?
 -Pensavo di venire da te e mi sono infilato una felpa. Sarebbe stato imbarazzante se qualcuno mi avesse visto in corridoio senza maglia.
 -Toglila.
 Ermal rimase a fissare il messaggio incredulo.
Fino a un attimo prima stavano parlando in via del tutto ipotetica. Come erano passati da quello, a Fabrizio che gli ordinava di fare qualcosa?
Un altro messaggio di Fabrizio attirò la sua attenzione.
 -Scusa, forse sono andato troppo oltre. Fai finta che non abbia detto niente.
 Ma Ermal non avrebbe mai potuto fare finta di niente. Non a quel punto, almeno. Non quando se ne stava sdraiato sul suo letto con una dolorosa erezione tra le gambe e il bisogno di toccarsi, ma la voglia che fosse Fabrizio a chiedergli di farlo.
Si sfilò velocemente la felpa, come Fabrizio gli aveva chiesto un attimo prima, e poi riprese la conversazione.
 -L'ho tolta.
 -Non devi farlo se non ti va.
 -Mi va. Avrei solo voluto che fossi stato tu a sfilarmela.
 -Ermal, così mi uccidi.
 Ermal sospirò pensando a quante volte anche lui aveva pensato che prima o poi Fabrizio lo avrebbe ucciso.
Fabrizio che portava sempre la camicia sbottonata e le braccia in vista, Fabrizio che si ostinava a indossare quei pantaloni terribilmente stretti che lasciavano davvero poco spazio all'immaginazione, Fabrizio che gli si buttava addosso per abbracciarlo e Ermal che moriva un po' ogni volta perché riusciva solo a pensare a Fabrizio che gli si buttava addosso per altri motivi.
Ripensò a quando Fabrizio lo aveva abbracciato mentre registravano la cartolina, buttandosi letteralmente tra le sue braccia e premendo ogni centimetro del suo corpo contro il suo. E poi ripensò a quando aveva detto di voler vivere a Lisbona, in quel video postato su Instagram, e subito nella sua mente si erano formate immagini di loro due che inauguravano la casa facendo l'amore in ogni stanza.
Una mano scese rapidamente a toccare il cavallo dei pantaloni, ormai troppo stretto, mentre l'altra digitava velocemente una risposta.
 -Ora capisci come sto io ogni volta che ti vedo.
 -Io non ti ho mai detto che volevo tu mi svestissi. L'ho pensato tante volte, ma non te l'ho mai detto. Quindi fidati, non sai cosa provo in questo momento.
 Ermal distolse lo sguardo dal cellulare puntandolo verso il basso, dove la sua mano continuava a massaggiare la sua erezione attraverso i pantaloni della tuta. Se Fabrizio era convinto di essere l'unico sull'orlo del baratro, si sbagliava di grosso. Ma forse farglielo credere non sarebbe stata una cosa negativa.
 -Allora spiegamelo. Dimmi cosa provi.
 -Ho provato a immaginarti mentre sei davanti a me e io ti tolgo la maglia. E poi tu togli la mia.
 -E poi?
 -Ho immaginato che tu avessi addosso quei pantaloni grigi, oppure quel pigiama orrendo che ti ostini a portarti ovunque. Comunque nelle mie fantasie, nemmeno quelli ti rimangono addosso per molto.
 La mano di Ermal superò il bordo dei pantaloni, andando a sfiorare l'erezione ancora coperta dai boxer.
Immaginò la mano di Fabrizio al posto della sua e sapeva che sarebbe bastato poco per ottenere quello che voleva - avrebbe semplicemente dovuto bussare alla porta accanto - ma non poteva negare di sentirsi eccitato da quella situazione e di essere curioso di vedere fin dove sarebbe arrivata quella conversazione.
 -E...?
 -E mi sto toccando come un ragazzino.
 La consapevolezza che Fabrizio fosse nella sua stessa situazione - e che lo fosse per causa sua - fece sospirare Ermal, costringendolo a chiudere gli occhi per un attimo.
Non era la prima volta che lo faceva, non erano i primi messaggi erotici che leggeva, eppure era come se lo fosse. Era tutto più intenso con Fabrizio.
Superò lentamente l'elastico dei boxer facendo scorrere la mano sulla sua erezione, immaginando che Fabrizio fosse lì a guardarlo, che gli dicesse come farlo, quando accelerare e quando fermarsi.
Immaginò la mano di Fabrizio sostituire la sua e poi ricoprirlo di baci su tutto il corpo, facendolo arrivare al limite, quasi costringendolo a supplicarlo di dargli di più.
Sulla conversazione di WhatsApp rimasta aperta, apparve un altro messaggio di Fabrizio. Come diavolo facesse a continuare a scrivere in quella situazione, Ermal proprio non riusciva a capirlo.
 -Lo stai facendo anche tu, vero?
 -Sì.
 Quando il telefono iniziò a squillare, appena un paio di secondi dopo, Ermal rispose senza nemmeno controllare chi fosse. Sapeva che era Fabrizio.
"Ti pare il momento?" disse Ermal, con il respiro leggermente più corto, mentre attivava il vivavoce e abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto.
"Ho bisogno di sentirti mentre vieni."
"Cazzo, Fabrì. Non puoi dire queste cose."
"Se vuoi riattacco" rispose Fabrizio. Aveva la voce più roca del solito e Ermal per un attimo pensò di venire semplicemente sentendolo parlare.
"Non ci provare."
Per qualche secondo nessuno dei due disse altro. Ascoltare il loro respiro farsi sempre più corto e i gemiti uscire dalla loro bocca era più che sufficiente.
Poi Fabrizio disse: "A cosa stai pensando?"
La sua voce era talmente bassa che per un attimo Ermal credette di averla immaginata.
"A te" rispose semplicemente, mentre i movimenti della sua mano si facevano un po' più veloci.
"In particolare?"  
Ermal non rispose, troppo concentrato sulla voce di Fabrizio e sulle sue fantasie per pensare ad altro e troppo imbarazzato per dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa.
"Ermal..."
La voce di Fabrizio arrivò alle orecchie di Ermal come una supplica, convincendolo a rispondere alla domanda di poco prima.
"Sto immaginando la tua bocca al posto della mia mano."
"Metti una mano tra i miei capelli, per darmi il ritmo. Sei prepotente anche a letto" scherzò Fabrizio, continuando il discorso di Ermal come se fosse lì con lui e tutto quello stesse succedendo davvero.
"Non immagini quanto" mormorò Ermal.
"Lo immagino bene, fidati."
"Non sembra che ti dispiaccia."
"Infatti non mi dispiace."
Ermal sospirò. "Bizio..."
Pochi attimi dopo si lasciò andare nella sua mano, mentre si mordeva il labbro per evitare di gemere. Fabrizio, dall'altra parte, lo seguì un attimo dopo.
Rimasero entrambi in silenzio per un po' ad ascoltare i propri respiri regolarizzarsi, fino a quando Fabrizio, con la voce un po' più bassa e roca del solito, disse: "Stai bene?"
"Sì. Tu?"
"Anch'io. Sto benissimo, in realtà."
Ermal sorrise. Sì, anche lui stava benissimo. Stanco, ma ne era valsa la pena.
"Pensi di farcela ad alzarti e ad aprire la porta della stanza? Tra cinque minuti sono da te" disse Fabrizio.
 Quando pochi minuti dopo Fabrizio entrò nella sua stanza, Ermal non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi imbarazzato per ciò che era appena successo.
Fabrizio gli si buttò letteralmente addosso, circondandogli il viso con le mani e baciandolo lentamente.
"Scusa. Avevo voglia di baciarti da quando mi hai scritto quel messaggio" disse Fabrizio scostandosi leggermente.
Ermal sorrise prima di riprendere a baciarlo.
Aveva immaginato di farlo così tante volte che quasi aveva problemi a credere che stesse succedendo davvero.
Eppure, Fabrizio era davvero lì e lui lo stava davvero stringendo a sé mentre lo baciava in mezzo a una stanza d'albergo di Lisbona.
"Stavo pensando a una cosa..." disse Fabrizio, mentre si separava da Ermal e si sdraiava sul letto.
Ermal sorrise notando che il più grande aveva tutte le intenzioni di restare a dormire lì.
"Cosa?" disse sdraiandosi accanto a lui.
"Lisbona ha una buona influenza su di te. Sei più allegro, ti incazzi di meno, mi confessi di amarmi e poi stai al telefono con me mentre ho uno degli orgasmi migliori della mia vita... Ora capisci perché ho detto che voglio vivere qui?" scherzò Fabrizio.
"Che deficiente che sei" rispose Ermal mettendosi a ridere.
Forse Lisbona aveva davvero qualche potere su di lui, ma non era merito di una città se si sentiva così bene in quei giorni. Era merito di Fabrizio, dei suoi sorrisi, delle sue battute.
Non importava dove fosse, l'importante era che ci fosse Fabrizio con lui.
Anche se davvero a Lisbona doveva ammettere di aver trovato un'atmosfera speciale.
"Bizio?" lo richiamò Ermal.
"Dimmi" rispose Fabrizio, avvicinandosi a Ermal e circondandogli la vita con un braccio.
Ermal si lasciò stringere, mentre accarezzava distrattamente il braccio di Fabrizio. "Niente, volevo solo averti più vicino."
Fabrizio sorrise mentre si sporgeva su di lui per dargli un bacio. Poi tornò a posare la testa sulla sua spalla.
"E pensare che nemmeno volevi parlare con me. Se non lo avessi fatto, a quest'ora saremmo ognuno nella propria stanza" disse Fabrizio.
"Continuerai a rinfacciarmelo?"
"Probabilmente."
Ermal scoppiò a ridere, sentendosi leggero come non si sentiva da tempo.
Fabrizio aveva riportato nel suo cuore tutte le emozioni che Ermal pensava fossero sparite insieme a Silvia, e non poteva che essergliene grato.
Sapeva che le cose non sarebbero state facili, che ci sarebbero stati problemi enormi da affrontare, ma sapeva anche che l'avrebbero fatto insieme. E se la situazione fosse diventata troppi difficile, avrebbero sempre potuto scappare insieme nella loro Lisbona, lì dove tutto sembrava un po' più semplice e loro si sentivano un po' più felici.
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Caro amico,
oggi mi presento a te come B, nessun nome, solo una lettera, B di buio.
Ho deciso di scriverti una lettera importante.
Vorrei tanto raccontarti una storia, la storia di un posto, delle persone che lo popolano e del loro incessante calvario.
Si chiama Taranto, una città creata da un dio che ha voluto farla galleggiare tra le onde del mar mediterraneo.
Non è una metropoli ben organizzata e valorizzata come dovrebbe, ma è tanto bella, sembra una conchiglia, come quelle rosa e grandi che si trovano sulle spiagge, quelle che, se accostate all'orecchio ti fanno sentire le onde.
Ha il sapore del sale e del calore, come il sole estivo che scalda la pelle.
Costruita sulle rovine della Magna Grecia, Taranto si estende colorata e spumeggiante in Puglia.
Tanto bella quanto dannata questa terra.
Vorrei fosse una lettera felice, colma di racconti sulle brache e i delfini che riempiono i mari di questa città, sui sapori forti e tipici della cucina tarantina, sulle feste dei quartieri, le tradizioni e i ritrovamenti spartani del territorio.
Mi rammarica deluderti, caro amico, è una lettera che parla della morte di quella che un tempo era la forte Taras.
Sul magnifico paesaggio c'è un demone che incombe, è una fabbrica un tempo chiamata ILVA e che, da qualche tempo a questa parte, ha cambiato nome e proprietario.
Non importa ora soffermarci su questo ma sulle cause di quello che viene chiamato "Il Mostro".
È una grandissima fabbrica che giorno dopo giorno riempie il cielo di fumo denso rendendo l'aria pesante e pericolosa; quando c'è il vento in alcuni quartieri, quelli più vicini alla fabbrica, ai bambini viene impedito di uscire per andare a scuola o a giocare perché da li arrivano le polveri rosse del minerale.
Ci sono stata di notte in quei quartieri, non si vedono le stelle, tutto il blu della notte viene coperto da una fitta patina rossa che sembra volerti schiacciare.
Il territorio sembra riempirsi di sangue, e quanto ne fa versare quel mostro così perfido.
Qui la gente vive con il grande male, si, il tumore.
Ci si ritrova a lottare per la vita solo respirando, alle volte i bambini nascono lottando.
Ho visto donne disperate abbracciare il corpo del loro neonato morto chiedere a Dio un perché.
Caro amico, ci ho pensato tanto e anche io mi sono domandata perché.
Perché avviene tutto questo?
Come può essere possibile che pur di avere una fabbrica in grado di fruttare denaro si debba far morire qualcuno?
Non è rimasta certo anonima questa cittadina, è arrivata fino ai così detti "piani alti" la problematica inquinamento e morte, ma, è come se alle cariche politiche poco importasse di tutto il dramma che siamo costretti a vivere giorno dopo giorno.
Hanno deciso di salvarla la grande fabbrica.
Decreti a tutela del cancro della città, false indagini statistiche sui danni causati dalle emissioni della fabbrica.
Lo so, amico mio, è triste, ma non è certo finita qui la storia perché oltre al grande Mostro ci sono una marea di altri fattori che distruggono la città.
Basti pensare alla raffineria Eni, ai due inceneritori, alla discarica e al centro di stoccaggio di rifiuti tossici e radioattivi.
Scioccato non è vero?
E se ti dicessi che Taranto è la città che emette il maggior numero di gas serra in tutta Europa?
Se ti dicessi che non muore solo la gente ma anche la terra?
Se ti dicessi che le cose peggiorano ogni istante di più?
A danno della città c'è anche la noncuranza.
Non generalizzerò, ma, posso assicurare che c'è una vasta porzione di popolazione che ha adottato il menefreghismo come stile di vita.
Ho avuto il piacere di conoscere tanta gente, di ogni genere, con differenti ideali, con pensieri di forte contrasto, ho persino conosciuto gente dalla quale bisogna stare lontani e poi ho conosciuto chi ha preferito contribuire all'assassinio del magico borgo.
Non credevo fosse possibile odiare così tanto la propria terra natia al punto di rovinarla dal profondo.
Qui alcuni hanno deciso di perdere le speranze, non si lotta più per la cultura, per i diritti, per la vita.
Vige l'omertà tra le vide di questa terra.
Caro amico, avrei voluto raccontarti di quanto sia grata per essere nata in questo magico posto, però, mentre ti scrivevo ho visto attorno a me, la tristezza mi ha colpito forte il cuore.
Ho tanti amici che hanno deciso di fuggire via da qui, lontano dalla grande gabbia che, a lor dire, poteva solo schiacciare.
Io ho deciso di restare, voglio lottare per le mie radici e per la vita del posto che per me è casa.
Per ora, mio malgrado, c'è solo buio ma io lo so che un giorno tornerà il sole.
Ti terrò informato.
Tua
                                                                         B.
P. S. Una volta qualcuno mi ha detto che anche solo una persona può bastare a cambiare il mondo, e che a poco a poco, cambiamento dopo cambiamento, il sistema muterà completamente.
Spero che tu ti aggiunga a me.
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pArriva un momento, a fine anno in cui i ricordi iniziano a riaffiorare e si iniziano a tirare le somme di ciò che è stato, si cerca di capire che valore hai dato a te stesso nel giro di un anno, se hai appreso qualcosa, se ti sei messo in discussione e sopratutto si ripensa a ciò che si è perso. Penso che quest’anno sia stato un anno di sconfitte per me, di perdite, non solo di persone, di situazioni e di opportunità, ma anche di ciò che era il mio orgoglio. Dico ciò perchè non sono contenta di ciò che sono oggi, affatto, perchè non sono come voglio costantemente far sembrare, ho sentimenti ed un cuore e sogni che vengono infranti. Quest’anno è stato particolarmente un colpo per quella che è la mia sfera sentimentale, ma chi vogliamo prendere in giro, chiamiamolo per quello che è: il mio cuore. L’anno è iniziato con un punialata da parte di un certo Luca, un ragazzo biondo, dagli occhi azzurri che seguiva il primo anno di Storia contemporanea con me, diciamo che il mio intento era buttarmi in qualcosa, il suo buttarmi tra le sue lenzuola..ci è riuscito? No, e mi ha scaricata abbandonando l’università poco dopo. Ci sono stata male? Leggermene ,mi  passata nel giro di un oretta perchè la mia vendetta è stata dimostrargli che sto benissimo, quasi come un caso è arrivato Marco ,colto e interessante, un fotografo dalla barba folta e dal viso di Maluma (si, so chi è e non mi chiedete il motivo), ci siamo frequentati per un mese, ma senza riuscire ad andare troppo oltre dal lato emotivo..ps mese in cui vidi per caso Micheal, che si è ancora oggi la mia criptonite, e iniziammo a parlare. Finita con Marco, scaricata perchè pensava ancora alla ex, decisione prima della quale Michael tentò di baciarmi, decisione dopo la quale baciai Michael (questo per dirvi che in fondo in fondo non mi piace stare con un piede in due scarpe), iniziai a sentirmi con Michael. Dio se ci siamo divertiti quell’estate, non ho mai capito quella specie di rapporto, giuravamo di non vederci più o di non baciarci più mantenendo un rapporto d’amicizia perchè lui non era pronto ad impegnarsi, per poi tornare insieme ogni sera, per sentirci ogni sera in cui lui, ubriaco, decideva che gli mancavo, Il rapporto è finito quando decisi di dirgli che non era così che poteva andare, non potevo aspettare i suoi momenti di evasione per averlo, anche se effettivamente non l’ho mai avuto, ed è finito definitivamente quando lui una sera decise di tirare fuori tutta la sua freddezza con me davanti ad una birra nel terrazzo del Old Bridge, forse per vendetta parecchio tempo dopo che  mi disse che saremmo potuti essere solo amici , stessa sera in cui gli dissi, prima di lasciarci, forse per sempre, che mi stavo vedendo con un ragazzo Alessandro. Alessandro è stata la mia ultima delusione amorosa per quest’anno, anche se la più forte è stata quella di Micheal e devo ammettere che è la prima volta che lo rivelo a me stessa, sono fatta così, quanto più una cosa mi fa star male,quando più non ne voglio parlare con me stessa o sentire l’eco del suo nome. Tornando ad Alessandro, lui è arrivato nel esatto momento in cui sentivo che ero pronta, pronta davvero per una relazione, ripensandoci a posteriori ora capisco il motivo. In ogni caso, ci siamo visti ogni singola sera, sentiti ogni singolo secondo per circa due mesi, che in questo modo sono sembrati anni, ne abbiamo passate tante, il sesso spettacolare, le avventure anche, peccato che lui avesse 9 anni in più di me e derivasse da un ceto ben diverso dal mio, mi scaricò dicendomi che aveva bisogno di qualcuno che potesse permettersi il suo stesso stile di vita, perchè la ragazzina universitaria non può permettersi la vacanza da 3mila euro improvvisata, Il questo modo la corazza del principe, lucidata alla perfezione dai genitori, si dimostrò meno lucente di quella che pareva all’inzio e presto mi accorsi che sarebbe stata una decisione che avrei preso comunque io poco dopo. Devo ammettere che come batosta mi è servita, ho pianto solo in sua presenza e per due giorni, il terzo giorno sono uscita dalla stanza e mi sono rimboccata le maniche per condurre al meglio i miei progetti. Mi è sevito a capire che ciò che sei non deriva da ciò che i tuoi genitori fanno per te, da quante cose ti hanno offerto, ma da ciò che tu fai per te, Io ho un intero futuro da costruirmi, e non sarà facile, però devo dimostrare a tutta questa gente e sopratutto a me che IO POSSO e VOGLIO DI PIù. 
Passando ad altre sfere, anche se non si tratta di una totale divaricazione, anche le amicizie quest’anno sono state messe fortemente in discussione, a partire dalla decisone di non voler più determinate persone nella propria vita, al vedere i reale volto di altre, in un caso però non è bastato nemmeno quello a farmi cambiare idea. Sto parlando di Ilaria, la punialata più grossa, si è ritrovata nella situazione di provare sentimenti forti per la persona che ho amato e odiato per 3 lunghi anni, la punialata più grossa non è stato tanto questo, ma il modo in cui è accaduto il tutto, non ebbe il coraggio di dirmi qualcosa, gli altri lo fecero, i miei occhi capirono e parlò solo quando io le chiesi di vederci e parlare, non ebbe nei miei confronti il rispetto che mi meritavo, l ‘ho perdonata per come si è comportata dopo, ma mai dimenticherò, sopratutto se lei continuerà a rinfacciarmi quella che è stata una sua decisione o fare scenate di gelosia nei confronti della nuova fiamma di Davide...l’ho perdonata, lascio correre ma mi accorgo di tutto e il mio rapporto con lei è ancora in discussione. 
Ma più di tutto ho messo in discussione me stessa, la parte vera..ho messo in discussione una cosa molto importante, che sentivo che stava condizionando il mio rapporto con la’altro sesso, anzi il mio rapporto generale con la fiducia. Ho rivalutato il mio rapporto con Roberto, si tratta di accettazione nei confronti di ciò che non possiamo capire, di apprezzare gli sforzi e capire le pene, è una parte importante della vita di una persona, e chiunque dev’essere completo per poter procedere con la propria vita in modo razionale, e ora c’è pace dentro di me.
C’è pace ma non abbastanza, studiare, andare all’università e dormire non mi basta più, ho bisogno di essere più attiva, e non parlo di aereobica, parlo di buttarsi nelle cose, che sia un associazione universitaria, o una nuova amicizia interessante. Ho lasciato la danza, la palestra..ho bisogno di essere qualcos’altro oltre che una studentessa universitaria.
Ed è da qui che partirò, dare il meglio di me agli esami e pretendere tanto e sforzarmi tanto ma non dedicarmi solo a ciò, 
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Weezer - Everything Will Be Alright in the End
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Se moriremo nell’anonimato, eh, vabbè
Almeno abbiamo fatto un po’ di bordello
(da: Back to the Shack)
1. Ain’t Got Nobody
Non c’ho nessuno
   “Ho fatto ancora un incubo”
“Torna a dormire, tesoro. Vedrai che alla fine passa tutto”
“Vado a L.A.”
“Tutte le ragazze ti adorano”
“Sono fiero di te, figlio mio”
“Ma come fa? È semplicissimo”
“Ascolta, il rock è morto. Le chitarre sono morte”
“Per la serie “dove sono ora”: i The Astronauts, con la loro prima grande hit…”
   Non c’ho nessuno
   Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno che mi ami davvero
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno che mi baci e mi abbracci
   Ho avuto tanta di quella pazienza
In tutta quanta la nazione
Non c’è nessuno in tutto il creato
   Vivo da solo, a casa non c’è nessuno
Si fa fatica a prender sonno
Comincio davvero a impazzire
   Mio padre mi voleva bene
Nessuno mi poteva sfiorare
Poi se n’è andato lassù e mi ha lasciato da solo
La natura umana è fatta così
Ci deludiamo a vicenda
Poi continuiamo a cercare qualcun altro
   Pensavo di avere un’amica
Ma faceva solo finta
Non aveva un’anima, niente da poter stringere
   Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno che mi ami davvero
   Qualcuno da salutare quando torno a casa dal lavoro
Qualcuno che sorride e fa passare il dolore
   Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno
Magari sei tu quella che mi amerà davvero?
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno
Non c’ho nessuno che mi baci e mi abbracci
       2. Back to the Shack
Si torna alla baracca
   Scusate, ragazzi, non avevo capito di avere così tanto bisogno di voi
Pensavo di farmi un pubblico nuovo
Mi ero dimenticato che la musica da discoteca fa schifo
Alla fine non mi è rimasto nessuno e ho cominciato a sentirmi un po’ scemo
Magari è meglio se io suono la chitarra e Pat suona la batteria
   Riportatemi, riportatemi alla baracca
Riportatemi la Strat con la tracolla col lampo
Sfondiamo la porta, più hardcore
Facciamo del buon rock manco fosse il ‘94
Alziamo il volume della radio
Spegniamo quei programmi idioti dove si canta
Io lo so dove dobbiamo andare: tornare alla baracca
   Mi sono finalmente sistemato con la mia ragazza e ho fatto pace con mio padre
Ho dovuto fare qualche cavolata per scoprire chi sono davvero
Do libero sfogo a tutti questi sentimenti, dovesse anche significare non fare successo
Perché è questa la mia vocazione, e non la si può svendere
   Riportatemi, riportatemi alla baracca
Riportatemi la Strat con la tracolla col lampo
Sfondiamo la porta, più hardcore
Facciamo del buon rock manco fosse il ‘94
Alziamo il volume della radio
Spegniamo quei programmi idioti dove si canta
Io lo so dove dobbiamo andare: tornare alla baracca
   Il nostro posto è nel mondo del rock
E da fare ce n’è ancora parecchio
Se moriremo nell’anonimato, eh, vabbè, almeno abbiamo fatto un po’ di bordello
   Riportatemi, riportatemi alla baracca
Riportatemi la Strat con la tracolla col lampo
Sfondiamo la porta, più hardcore
Facciamo del buon rock manco fosse il ‘94
Alziamo il volume della radio
Spegniamo quei programmi idioti dove si canta
Io lo so dove dobbiamo andare: tornare alla baracca
Alziamo il volume della radio
Spegniamo quei programmi idioti dove si canta
Io lo so dove dobbiamo andare: tornare alla baracca
       3. Eulogy for a Rock Band
Compianto per una rock band
   Addio, eroi, avete fatto una bella carriera
Quindici anni di dominio sul pianeta
Ma ora la vostra la luce si sta spegnendo
   Adiós, rock band del nostro cuore
Questo è un omaggio a quello che avete fatto
E a tutto quello per cui lottavate
Chi avrebbe potuto fare di più?
Quando il tempo avanza imperterrito, i mondi vanno e vengono
Noi canteremo le melodie che avete scritto tanto tempo fa
   Le donne urlavano, i ragazzi vi copiavano
Facevate arrivare la gente al pianto, ispiravate
Parlavate per il mondo nelle vostre canzoni
   Adiós, rock band del nostro cuore
Questo è un omaggio a quello che avete fatto
E a tutto quello per cui lottavate
Chi avrebbe potuto fare di più?
Quando il tempo avanza imperterrito, i mondi vanno e vengono
Noi canteremo le melodie che avete scritto tanto tempo fa
   Non dimenticheremo mai i pezzoni che avete scritto
Scompaiano pure
È ora di adagiarvi nella tomba
Scompaiano pure
Addio
   Adiós, rock band del nostro cuore
Questo è un omaggio a quello che avete fatto
E a tutto quello per cui lottavate
Chi avrebbe potuto fare di più?
Quando il tempo avanza imperterrito, i mondi vanno e vengono
Noi canteremo le melodie che avete scritto tanto tempo fa
       4. Lonely Girl
Ragazza solitaria
   La mia ragazza solitaria, la mia ragazza solitaria
Ragazza solitaria, la mia ragazza solitaria
   Eddai, tesoro, io so come si balla
E sono l’unico che un tentativo lo fa
Tu provaci, no? Mica muori
A meno che non ti rifiuti di vivere e ti vai a nascondere stasera
   Sono da solo, decisamente bruttino
Sai cosa si prova, eh?
   Apri le braccia e accoglimi
Non ti farei mai del male, mia cara, perché commetterei peccato
   Sono da solo, decisamente bruttino
Sai cosa si prova, eh?
   Sono sfocato, indegno
Sai cosa si prova, eh?
   Lo so che sei spaventata
Lo so che sei triste
Ma io sono qui per aiutarti a capire che le cose non sono così terribili
   Per cui apri le braccia e accoglimi
Non ti farei mai del male, mia cara, perché commetterei peccato
   La mia ragazza solitaria, la mia ragazza solitaria
Ragazza solitaria, la mia ragazza solitaria
La mia ragazza solitaria, la mia ragazza solitaria
La mia ragazza solitaria
       5. I’ve Had It Up to Here
Ne ho fin sopra i capelli
   Non voglio ritrovarmi omologato come tutti
Non voglio diventare esattamente la cosa che disprezzavo
Non ho bisogno che la mamma mi dia da mangiare la cultura con il cucchiaino
Non voglio risultare trasgressivo quanto un palloncino
   Non voglio che le mie idee vengano contaminate dalla mediocrità
Non voglio che i miei sentimenti vengano annacquati
È importante questa cosa per me
   Ho cercato di darvi il meglio che avevo
Ma voi vi siete tappati le orecchie
E adesso non ne posso davvero più
Ne ho fin sopra i capelli
   Non voglio fare l’ennesimo ragazzo della porta accanto
Non voglio più accontentare la massa
Non ho bisogno di essere amato dal mondo intero
Non voglio vincere la gara della razza umana
Non voglio che la mia musica sia meno conosciuta della mia faccia
   Non voglio fare compromessi con la mia musica per venire acclamato universalmente
Non voglio il consumo di massa, non sono mica un Happy Meal
   Ho cercato di darvi il meglio che avevo
Ma voi vi siete tappati le orecchie
E adesso non ne posso davvero più
Ne ho fin sopra i capelli
   Son venuto via dalla provincia
Nessuno credeva in me
La scalata al successo l’ho dovuta afferrare con gli artigli
Ho dovuto affrontare avversità di ogni tipo
Ah, se pensate che ho bisogno dell’approvazione da parte della folla senza volto
Ah, è lì che vi sbagliate, vi sbagliate di brutto
   Ho cercato di darvi il meglio che avevo
Ma voi vi siete tappati le orecchie
E adesso non ne posso davvero più
Ne ho fin sopra i capelli
Ne ho fin sopra i capelli
       6. The British Are Coming
Arrivano i britannici
   “Benvenuti al primo livello, Literati
La nostra missione è di mantenere viva la tradizione
Spetta a noi
È nostra responsabilità
Chi altro lo farà altrimenti?”
   È questa la notte
Accendete un fuoco nella forgia
Non siamo le monetine nel forziere del vecchio re Giorgio
Una se via terra
Due se arrivano via mare
Gli faremo vedere che siamo i veri figli della libertà
   Stupide giubbe rosse che cercano di comandare
Dicendomi cosa fare e dove andare
Montate a cavallo perché è ora di annunciarlo al mondo
   Arrivano i britannici, arrivano i britannici
Arrivano i britannici
   Cospargiti di fuliggine
Strappa una vecchia maglia di pelle di cervo
Sappiamo che questo sparo sarà udito in tutto il mondo
   Stupide giubbe rosse che cercano di comandare
Dicendomi cosa fare e dove andare
Montate a cavallo perché è ora di annunciarlo al mondo
   Arrivano i britannici, arrivano i britannici
Arrivano i britannici
   È il destino dell’umanità intera
Ci sbarazzeremo di queste catene e di questi ceppi che ci legano
Avanti, diamo fondo a tutte le nostre energie
   Arrivano i britannici, arrivano i britannici
Arrivano i britannici
       7. Da Vinci
Da Vinci
   Ho provato a scattarti una foto
Quando la guardo non si vede nessuno
A volte mi viene da pensare che sei un fantasma
Poi mi viene da pensare chi dei due tormenta di più l’altro
Ho provato a descriverti ai miei amici
Ma loro mi hanno detto di pulirmi gli occhiali
Sei sui generis, amore mio
Non saprei neanche da dove partire
   Nemmeno Da Vinci riuscirebbe a dipingerti
E Stephen Hawking non riuscirebbe a spiegarti
Rosetta Stone non riuscirebbe a tradurti
Sono senza parole
Sono senza parole
Non riuscirei a dirlo in un romanzo
Ho scritto una pagina ma era tremenda
Ora voglio solo cantare il tuo vangelo
Sono senza parole
Sono senza parole
   Ti ho cercata su ancestry.com
Non c’era traccia di una mamma o di un papà
È come se fossi piovuta direttamente dal cielo
Lasciando agli studiosi il compito di capire il perché
Mi piace pensare di essere uno che sa tante cose
Ma con te mi pare di dimenticare tutto
Vorrei poter essere in grado di spiegare chi sei
Ma quando ci provo, non faccio mai tanta strada
   Nemmeno Da Vinci riuscirebbe a dipingerti
E Stephen Hawking non riuscirebbe a spiegarti
Rosetta Stone non riuscirebbe a tradurti
Sono senza parole
Sono senza parole
Non riuscirei a dirlo in un romanzo
Ho scritto una pagina ma era tremenda
Ora voglio solo cantare il tuo vangelo
Sono senza parole
Sono senza parole
   Ne abbiamo fatta di strada
E adesso eccoci qua
Abbiamo superato la notte
So che saremo ancora più forti
Andrà tutto bene
   Nemmeno Da Vinci riuscirebbe a dipingerti
E Stephen Hawking non riuscirebbe a spiegarti
Rosetta Stone non riuscirebbe a tradurti
Sono senza parole
Sono senza parole
Non riuscirei a dirlo in un romanzo
Ho scritto una pagina ma era tremenda
Ora voglio solo cantare il tuo vangelo
Sono senza parole
Sono senza parole
   Sono senza parole
Sono senza parole
       8. Go Away
Vai via
   Ragazza crudele, non farmi più soffrire in questo modo
Sono fuori dalla porta di casa tua che aspetto
E ti dico “Amore, possiamo parlare?”
   Stupido ragazzo, continui a supplicarmi ma non ti faccio entrare
Continui a piangere, ma lo sai bene cos’hai fatto
Non ti faccio rientrare mai più
   E dici “Vai via, vai via, vai via, vai via
Vai via, vai via, vai via, vai via
Qui non tornarci più
Vai via”
   Ho sbagliato
Ho ferito i tuoi sentimenti quando ho fatto quello che ho fatto
L’ho imparata la lezione, la smetto di fare il bambino
Non puoi darmi un’ultima possibilità?
   Al che ti chiedo “Cos’è che aveva lei che io non ho?”
Hai detto che saresti rimasto con me ma poi te ne sei andato via
Ecco perché ti dico di andartene via
   E dici “Vai via, vai via, vai via, vai via
Vai via, vai via, vai via, vai via
Qui non tornarci più
Vai via”
   Ma la mia vita è incompleta senza di te
E ti mancano le piccole cose che facevi con me, ti mancano sì
Non mi riprendi con te?
Era l’ultima possibilità
   “Vai via, vai via, vai via, vai via
Vai via, vai via, vai via, vai via
Qui non tornarci più
Vai via
Vai via e non tornare”
       9. Cleopatra
Cleopatra
   Invecchiamo, il cuore si offusca
Ma la mente è libera di volare dove le pare
La tua bellezza è svanita, sei un guscio rotto
Sono solo i deboli a cadere nel tuo incantesimo
   Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
   È ora di passare alla prossima vita
Tu rinascerai una bellissima bambina
Farai girare la testa a mille uomini
Lady Faraone, il gioiello del Nilo
   Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
   Tutto il vino che abbiamo degustato
Tutto l’amore che abbiamo fatto
Tutte le lire strimpellanti decoreranno la tua tomba
Tutta l’estasi è andata, andata, sparita
   5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40 anni
Sei più vecchia, sei più fredda
5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40 anni
Sei più vecchia, sei più fredda
   Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
Non sei più in grado di controllarmi, Cleopatra, patra, patra
   5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40 anni
Sei più vecchia, sei più fredda
5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40 anni
Sei più vecchia, sei più fredda
       10. Foolish Father
Padre sciocco
   Canzoni d’amore semplici
Canzoni intrise di sangue
Canzoni che escono sbagliate
   Esiti a scagliare la pietra quando i criminali sono le vittime
Ripensando al nostro passato, non c’è un motivo per questi sintomi ora
   Perdona quello sciocco di tuo padre
Ha fatto del suo meglio
Sei sua figlia, e lui farebbe qualsiasi cosa per te
   Pensa a quanto si sentirà devastato mentre avanza verso la tomba
Sapendo che la persona a cui vuole più bene lo odia con tutto il cuore
   Perdona quello sciocco di tuo padre
Ha fatto del suo meglio
Sei sua figlia, e lui farebbe qualsiasi cosa per te
   Questi nucleotidi sono abbinati in un filamento
Fa proprio ridere questa roba che forma un uomo
   Perdona quello sciocco di tuo padre
Ha fatto del suo meglio
Sei sua figlia, e lui farebbe qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per te, qualsiasi cosa per te
Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per te
   Alla fine si sistemerà tutto
Alla fine si sistemerà tutto
Alla fine si sistemerà tutto
Alla fine si sistemerà tutto
Alla fine si sistemerà tutto
Alla fine si sistemerà tutto
       11. The Waste Land
La terra desolata
   (strumentale)
       12. Anonymous
Anonima
   Non so neanche come ti chiami
No, non so che parole dire
Per cui ti chiamo Anonima
Non so neanche come ti chiami
No, non so che parole dire
Per cui ti chiamo Anonima, Anonima
   Guardo la mia vita
Guardo i miei amici
Guardo negli occhi il mio nemico
Tutto quanto è un dono che intendo darti
   Non so neanche come ti chiami
No, non so che parole dire
Per cui ti chiamo Anonima
Non so neanche come ti chiami
No, non so che parole dire
Per cui ti chiamo Anonima
   La mia Anonima, la mia Anonima
La mia Anonima, la mia Anonima
   Ora so, so come chiamarti
Ora so, so come chiamarti
Ora so, so come chiamarti
Ora so, so come chiamarti, come chiamarti, come chiamarti, come chiamarti
       13. Return to Ithaka
Ritorno a Itaca
   (strumentale)
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[ Hunter & Zane _ Johnson’s Party _ #Ravenfirerpg _ #anewmayor ]
* Quella sera il giovane Hunter era Total White e quasi sembrava un divo proveniente chissà da dove. Le sue movenze e quegli occhiali da vista con il riflesso giallastro sembravano, infatti, incorniciare talmente bene quel completo bianco da farlo quasi sembrare uno straniero. A pensarci bene, in parte lo era davvero: aveva vissuto molti anni all’estero e le sue considerazioni nei confronti della sua città d’origine erano totalmente diverse da quelle dei suoi compaesani. Chissà se la persona che aveva a braccetto in quel momento era sulla sua stessa linea d’onda o meno. Con un movimento da Lady Gaga si aggiustò il naso e lo guardò sottecchi. * « Aver accettato di venire qui con me farà parlare i tuoi colleghi, lo sai zuccherino? » * Scherzò, ma in cuor suo stava crepando e anche abbastanza. * Zane Choi *Zane è un po' agitato ad andare a quella festa, non che abbia evitato altri incontri mondani cittadini fin ora per non incontrare il suo ex... Ma perché è come se andasse a casa sua, è imbarazzante. Non ce l'avrebbe fatta da solo, avrebbe chiesto a Willa, ormai è una carissima amica, ma quando gli si è presentata occasione di andare con Hunter...non ha saputo rifiutare, anche se per motivi poco nobili, cioè che inizia a piacergli. Anche stasera infatti è divino e Zane non può fare a meno di guardarlo e sorridere... Per poi sciogliersi quando lo chiama zuccherino, come sempre* Che dovrebbero dire? E anche se fosse...che parlino. Mi hai salvato stasera, il mio dovere di cittadino mi impone di ascoltare i discorsi di tutti i candidati alla carica di sindaco...ma ero piuttosto in imbarazzo a venirci da solo...per via del mio ex...quindi ti devo un favore enorme *ha sganciato la bomba del suo ex, non che lo ami ancora o che la sua presenza lo turbi, ma se lo avesse incrociato da solo e gli si fosse avvicinato per parlagli o salutarlo? Imbarazzante, si evita volentieri questa cosa, soprattutto per stare con Hunter. Spera solo non fraintenda e pensi di essere un modo per ingelosirlo o sciocchezze simili... Perché in realtà è quasi il contrario, anche se Zane sa benissimo che Hunter non è alla sua portata* Hunter Adam Cook * Hunter e la sua divin presenza. Era quello il titolo da dare a quella serata che era al suo solo inizio, ma che, in realtà, sembrava rispettare l’immaginazione di Hunter. Occhi indiscreti su di lui che osservavano, labbra che mormoravano. Essere al casa di chi stava competendo con la sua famiglia era una grande responsabilità, una responsabilità che il divo d’Italia sentiva molto su di sé. Nonostante la sua lingua sempre pronta a rispondere e a difendersi con enormi discorsi, anche improvvisati, il ragazzo aveva cercato qualcuno con cui andare e, follia della follia, aveva chiesto a Zane. Tenerlo così vicino come al momento che si stava verificando era quasi orrendo, pietrificante, non solo perché ormai Hunter era convinto che non fosse il Zane conosciuto un tempo, ma perché egli era totalmente diverso. Questa consapevolezza interiore non fuoriusciva mai, Hunter era un bravo pokerista, pronto a sorridere e a dire bugie. * « Ehi, non ti pensavo così audace! Che parlino, allora. Parlare fa bene al cervello, mettere in moto il loro intelletto per me e te sarebbe sicuramente più entusiasmante di pensare a.... ai Johnson. » * Rise. Era ovvio che il ragazzo non temeva neanche lontanamente i Johnson, anzi spesso li scherniva da lontano. Non avevano eleganza nel parlare, gentilezza, Hunter li vedeva rozzi, pronti solo per il pugilato o qualcosa di simile. Erano diversi, tanto diversi. Fu forse per questo che non appena Zane nominò un Johnson e un ex nello stesso concetto, Hunter scoppiò in una risatina simpatica del tipo “ma davvero?”. * « Il tuo ex? Chi dei tanti fratellini mocciosi? Non hai dei gusti particolarmente fini, sembrano vichinghi! » * Vichinghi. Sì, lo pensava davvero. Zane, il /suo/ Zane non poteva essere quel ragazzo, ora come ora lo sapeva, lo sentiva dentro come una lama nel petto e la consapevolezza d’esser morto, almeno uno dei due presenti. * « Segnerò sulla mia rubrica che mi devi un favore. Sappilo, zuccherino. » Zane Choi Ho smesso di preoccuparmi di cosa pensa la gente, Hunter. Ho quasi trent'anni ormai, anche se mi conservo bene, se voglio uscire con un mio amico lo faccio. Se voglio vivermi la mia sessualità, lo faccio. *gli sorride malinconico, pensando a quanto si sia privato di tutto in vita, di ogni tipo di gioia ed esperienza... Eppure Zane non sa ancora fino a che punto si è privato di ciò che lo rendeva felice in vita, ovvero il ragazzo al suo fianco. Il quale sicuramente si stia chiedendo come è possibile che parole del genere escono dalla bocca di Zane, lo stesso che gli aveva detto che non avrebbe mai e poi mai potuto fare coming out nella sua vita per i suoi genitori* Il più giovane, almeno credo lo sia, Ethan.... Ho avuto modo poi di accorgermi quanto è vichingo anche nella sensibilità...anche se non lo biasimo, io non starei con uno come me se fossi...come voi *non è semplicemente una questione di vivi e morti che sono incompatibili, è una questione di umani e fantasmi. Sono incompatibili e ancor di più lo erano lui e il giovane Johnson. Ma Zane aggiunge qualcosa, qualcosa che rende evidente che non ricordi assolutamente nulla di Hunter* Che dire... Avrò subito il fascino del primo amore, si lo so...ho avuto la mia prima relazione così vecchio ma che devo dire, ognuno ha i suoi tempi ti basta come scusa? Hunter Adam Cook « Smettere di preoccuparsi degli altri è la cosa migliore da fare. Sempre. La gente ama parlare degli altri perché spesso il loro specchio è proprio l’Altro. È importante sapere che vivi una parte di te in maniera decisivamente tranquilla. Spesso non è così facile. » * Ed eccolo lì mentre chiacchierava e chiacchierava senza pensare al fatto che vicino a sé potesse avere una persona a cui quelle parole avrebbero potuto far pensare, eppure Zane non sembrava sapere nulla, ricordare nulla. Era tipico dei fantasmi o...? Per un lieve momento volle quasi sospirare pesantemente, ma alla fine decise di sorridere, sì perché i sorrisi per Hunter potevano essere anche decisi. Era particolare, particolarmente troppo sé se si potesse osare nel dire. * « Oh, Ethan... In effetti penso abbia un sedere niente male e il taglio dello sguardo non mi sembra per niente vichingo.. ma chissà! Ecco... è vichingo anche lui. Benissimo, allora evitiamo di guardarlo, si infatuerebbe con la sua vinchingheria! » * Hunter e i neologismi, parte prima. Era una dote di Hunter andar oltre alle parole e crearle e ricrearle al suo piacimento, ma... ma quello che Zane disse successivamente lo colpì. Cosa significava “come voi”? Deglutì e poi le parole che ne seguirono sembrarono quasi lacerarlo. Zane non ricordava di lui. Zane aveva rimosso tutto, soltanto i suoi mal di testa non rimuovevano nulla? Fu a quel punto che sospirò con aria pensante. * « Mi basta.. » * Tagliò corto e finse, sì, finse, qualsiasi cosa da quel momento in poi. * / Fine ✨
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[ Casa Walker vy &a Kaleb ] #ravenfirerpg
Era uscita da casa di Beth presto mentre lei ancora dormiva aveva un forte male alla testa , per via dell'aver bevuto e fumato troppo il giorno prima ma aveva detto che sarebbe andata altrimenti quello scemo davvero avrebbe fatto Ravenfire strisciando . [..] Busso alla porta ed attese che qualcuno aprisse, per quel giorno aveva il viso umano dato che non voleva far prendere un colpo a Kaleb e soprattutto non sarebbe riuscita a dirgli la verità per Belak. Quel maledetto, prima o poi l'avrebbe fregato Kaleb Mieczyslaw Walker * Il pensiero di Kaleb era fisso sulla sua amica ormai da troppe ore. Aveva giocato con il cellulare, poi, annoiato, si era messo a giocare con le sue mani, ora respirava affannosamente a causa di quella preoccupazione che aumentava sempre di più. Damon non poteva averle fatto questo, no, non ci credeva, non poteva crederci. Appena sentì la porta un grosso sospiro mosse l'anima di Kaleb nonché la sua dannata sedia. Aprì la porta e con quest'ultima anche le braccia. * Ivy , vieni qui! Abbracciami! Stavo collassando... pensavo seriamente di doverti venire a cercare! Ivy Marie-Black *Quando Kaleb apri la porta , quando allargo le braccia per accoglierla , in quel momento Ivy crolló, se con Beth aveva avuto modo di sfogarsi bevendo e fumando per non pensare al dolore. Ma adesso era di nuovo lì e lei semplicemente sedette sulle gambe del ragazzo e si strinse a lui nascondendo il viso nell'incavo del collo, il naso sfiorava la pelle bianca del ragazzo la bestia diceva, mordilo, nutriti del suo dolore, divora la sua anima, ma lei chiuse gli occhi strizzandomi forte e cercando di rimetterla a bada* È andato via...se n'è andato dicendo di non smettere di amare , di amare qualcun altro tanto quanto ho amato lui, Kaleb, come ha potuto dirmi questo è voltarmi le spalle... Kaleb Mieczyslaw Walker * L’ancora. Alcuna volte ripensava al soprannome con cui da sempre lei lo soprannominato e quelle lacrime glielo fece comprendere. La strinse fra le sue braccia. Da ora in poi l’avrebbe curata davvero. Quella ragazza ne aveva bisogno* Ha ragione, non devi smettere assolutamente di amare. Mai. L’amore è tutto, è ciò che ci mantiene vivi.. Può capitare... io ti aiuto a superare tutto Ivy Marie-Black Non posso Kaleb, io non sono capace ad amare ad essere gentile con, con gli umani io sono scorbutica un animale , sei l'unica persona che sopporta il mio caratteraccio oltre gli amici più stretti.. *Disse con le lacrime agli occhi, Ivy sapeva che nessuno poteva amare una bestia come lei e lei amare una persona semplice come un essere umano era troppo forte troppo veloce ed un umano infondo non meritava il suo amore ne era certa.* Lui, lui aveva visto oltre la bestia e si era innamorato di me , avevo aspettato così tanto ed ora..ora non-non c'è più..è andato via per sempre.. *Disse con dei forti singhiozzi, mentre si stringe a di più a lui, sentiva la distruzione ed il cuore farsi a pezzi, come avrebbe affrontato la vita ora senza Damon ..* Kaleb Mieczyslaw Walker Tu sei capace di tutto, è la perdita di un amore importante che ti ha destabilizzato, ma non farlo vincere.. non far vincere quello scorbutico animale che è in te, soprattutto quando la gente deve sapere che tu, invece, sei uno spettacolo danzante, una meravigliosa creatura... * Quando gli occhi di Kaleb si accorsero dell'umidità che stava caratterizzando gli occhi della giovane un pollice andò incontro ad essi per asciugare le lacrime pronte a fuoriuscire. * Non fare così. So che non sono Damon, ma io... io ci sono. Ti voglio bene, lo sai, e non voglio vederti così. Devi essere forte, per me, per te, per tutti.... *La strinse a sé forte e in modo così tanto affettuoso che chiunque avrebbe pensato che fossero fratelli gemelli* Ivy Marie-Black Tu sei sicuramente migliore sia di me che di Damon , Kaleb e davvero tu basteresti per tutta la vita , nemmeno l'amore mi darebbe quello che mi dai tu, ma è difficile..riuscire a non provare dolore..è qualcosa di cui non posso nutrirmi. *Disse con le lacrime che le rigavano il viso prendendo un respiro profondo, sapeva che per lui stava dicendo cose senza senso , perchè non conosceva ancora la sua vera natura ma per lei era difficile non trattenersi e dire cose che riguardava la sua vera natura * Essere forte è difficile ora come ora.. Kaleb Mieczyslaw Walker Io non sono migliore di nessuno. Giorni migliori arriveranno, io ci sono sempre. Io per te... sempre. Io e te... siamo in mezzo, siamo figli di nessuno, siamo i figli di una Ravenfire schiacciata, di una Ravenfire rasa al suolo. Io e te stiamo in mezzo fra una partenza ed un traguardo che si è infranto. Eppure siamo vivi. Dobbiamo combattere... Io e te... nessun altro. * La voce decisa di Kaleb nascondeva il timore di piangere insieme a lei. Si, avrebbe pianto con lei eppure non poteva, no, non poteva perché lei era troppo importante. Voleva bene a Ivy come una sorella, lei era tutto, lei prima di ogni cosa, la sua felicità contava. * Lo so... ma devi farcela. Devi perché non puoi abbatterti. Non è da coraggiosi e tu sei coraggiosa, lo sei sempre stata. Ivy Marie-Black Ivy non aveva mai provato un amore così profondo come quello che aveva vissuto con Damon, l'aveva sempre osservato da lontano e ne era rimasta affascinata, quando era una bambina non capiva ancora bene che cosa provava, sopratutto perchè era sempre insieme a Lucas , dormivano insieme mangiavano cioccolata e si divertivano, crescendo cominciava a capire come si sentiva ogni volta che vedeva Damon con Holly che era una sua cara amica, e come si sentiva quando era con Sunny , sempre avvinghiati , sempre insieme per lei non aveva mai tempo, quello che faceva era dargli una pacca sulle spalle per salutarla dopo di che andava via con quella stupida fata, cosa aveva lei in meno di una fata? Insomma era una Dood, non era forte era vero ma Bethany l'allenava costantemente, l'aiutava a migliorarsi a diventare una vera furia, non avrebbe lasciato che una stupida fata gli portasse via ciò che più amava, già perchè si era resa conto che quello era amore per quanto non volesse ammetterlo, non aveva mai amato nessuno in quel senso, era qualcosa di incontrollabile eppure era successo.. Aveva aspettato così tanto quando lui era sparito, aveva rinunciato alla sua amicizia per Lucas per lui , avevano lottato per quello che erano e lui si era lasciato, convincere da se stesso che per proteggermi da suo padre era meglio lasciarmi andare. "Non..posso.." Disse Ivy che aveva uno sguardo perso , lei era la notte, lei era la paura di un uomo, il mostro che si nasconde nell'armadio per distruggere i sogni dei bambini, una creatura potente che avrebbe spezzato il corpo di un essere umano senza sforzo, ma adesso cosa era?Cosa era senza quella parte amava?Quella parte che le aveva ridato speranza? "Pensavo che non avrei sofferto più così tanto, dopo che la mamma è morta , ma perdere ancora una volta qualcuno che ami..ti distrugge l'anima. Sono coraggiosa, solo perchè non sono normale Kaleb..ma questo non è il momento, per dirtelo , perchè ho bisogno di stare così con te..soli contro il mondo, un mondo che non fa altro che distruggerci . " Kaleb Mieczyslaw Walker * L'amore era qualcosa di eterno, di inspiegabilmente straordinario. Nonostante la vita sbandata di Kaleb, il ragazzo aveva da sempre percepito amore. In ogni angolo di quella casa che ora ospitava i nostri eroi vi era nascosto un po' d'amore lasciato dallo sceriffo, da ogni amico della città e anche da sua madre, la donna che non aveva mai conosciuto. Cosa ne poteva sapere un ragazzino stupido come lui di un amore perso? Era questo il pensiero che dominava la mente del ragazzo in quella circostanza ed invece lui era proprio l'esempio di un amore fragile, di un amore morto, di un amore perso. Legati al concetto di amore perso, i due ragazzi sembravano unirsi in una sfera più intima e più fraterna, quasi più del solito. Kaleb non avrebbe mai abbandonato la ragazzo alla solitudine che, invece, egli aveva vissuto. Perfino l'amore perso di Eliza era stato sentito come qualcosa di particolare, come qualcosa di davvero molto simile a ciò che Ivy aveva passato con Damon. Vibravano d'amore, di un amore a senso unico, o quasi, quei due ed era un'atroce sentenza quella che entrambi stavano vivendo. Nonostante Quentin, nonostante tutto ciò che stava nascendo tra quei due amici, le ferite che Eliza gli aveva provocato non sarebbero mai dimenticate dal ragazzo con gli occhi color nocciola. Con tutta la sua tenerezza, il ragazzo cercò di incontrare lo sguardo di Ivy. Aveva lo sguardo perso, dal suo spirito interno fuggivano sospiri d'amore e di dolore. Sensibile, fin troppo sensibile, Kaleb le percepì e si mise nei suoi panni. Gli occhi lucidi in quel momento lo contraddistinsero, dentro aveva una preghiera muta ed atea che gli rivoltava l'anima, una preghiera destinata a lei. * Puoi... Ivy, tu puoi tutto... ed io non ti abbandonerò. So cosa vuol dire svegliarsi quando tutto sembra perso, svegliarsi e odiarsi fino al contatto con una persona. Sai, Eliza è stata la ragazza che mi ha svegliato dal coma, le devo tutto... le vedo la vita, eppure è andata via. Via.... come Damon. Ora non è il momento giusto per farti abbattere. La vita è così difficile che ci costringe a lottare. Lotta, fallo per te, fallo per me.. fallo per l'Amore, quello puro, quello bello, quello che noi, sfortunati, forse non avremo mai.. * Fece spallucce, accettando quello che aveva detto mentre una lacrima varcò la soglia dei suoi occhi. * Un giorno mi dirai tutto quello che vuoi. Un giorno ci nasconderemo giocando come un tempo, un giorno sorrideremo dopo aver lottato per tutto questo strazio. Siamo legati, Ivy e vederti così mi corrode l'anima... Ivy Marie-Black Il mondo sembra prendersi gioco di noi ogni giorno, ero certa che Damon non avrebbe mai mollato che ce l'avremmo fatta , ma hai ragione guarda Eliza ti ha svegliato , ti ha riportato qui eppure..eppure è andato via. Ma hai ragione noi abbiamo l'uno che sostiene l'altro , siamo legati ed io devo cercare di tirarmi su perchè non voglio farti stare male.. *Ammette alzando lo sguardo su di lui per poggiare una mano sulla sua guancia a togliere quella lacrima che gli riga il viso, doveva provarci per lui , perchè non voleva vederlo così triste* Ci proverò, ci proverò per te , lo prometto Kal, tenterò con tutta me stessa di non perdermi di rimanere sulla retta via e contare sempre sul tuo aiuto Kaleb Mieczyslaw Walker Il mondo può anche prendersi gioco di noi, ma noi non siamo un gioco. Questa è vita e bisogna lottare. Andare via è il segnale che ci indica che dobbiamo andare oltre. Loro ci sono già andati, ora tocca a noi. Insieme ce la faremo. Promesso. Te lo prometto. * Occhi dentro occhi, quella era una vera promessa. Non avrebbe mai e poi mai lasciato Ivy in balia delle onde. Alle parole successive il ragazzo sorrise.* Dobbiamo provarci, insieme. Io non lascerò la tua mano e la tua spalla fino a quando qualcuno mi ucciderà. Ti voglio bene, Ivy. Puoi contare davvero su di me, seppure sono stupido e su una carrozzella * Rise leggermente, ironico come al suo solito. Le braccia di Kaleb strinsero la ragazza, ancorandosi a lei. Lui era la sua ancora, ma lei era altrettanto. Ancorati l’uno all’altro, quei due avrebbero vinto ogni battaglia. *
[Fine 💙💙💙😭😭💙💙 ]
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giancarlonicoli · 4 years
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30 set 2020 20:05
TOP OF THE “POZ” – "IO COCAINOMANE? MI SONO GODUTO LA VITA MA NON MI SONO MAI DROGATO" – POZZECCO SI RACCONTA IN UN LIBRO – I FLIRT CON CACCIATORI E DE GRENET, LE SBRONZE OMERICHE (“MA SEI GIORNI SU SETTE ERO IN PALESTRA A FARMI IL CULO”), LE 22 VITTORIE CONSECUTIVE SULLA PANCHINA DI SASSARI (“HO AVUTO CULO”) E QUELLA VOLTA CHE CON LA CACCIATORI TIRARONO NOCCIOLINE AD ALBERTO SORDI – “SONO STATO UN CRETINO? IO SONO ANCHE IL CRETINO CHE ERO. NON E’ CHE SEI SEMPRE LO STESSO…” – VIDEO
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https://m.dagospia.com/amori-triangoli-e-follie-di-maurizia-cacciatori-io-e-pozzecco-tirammo-noccioline-a-alberto-sordi-185514
https://m.dagospia.com/pozzecco-ho-gufato-l-italbasket-agli-europei-del-99-ecco-il-motivo-de-rossi-ibra-e-il-mona-233620
MARCO IMARISIO per il Corriere della Sera
«Se giochi con i Lego a cinque anni, va bene. Se lo fai a cinquanta, hai qualche problema, oppure sei un pirla. Come dicono quelli che hanno studiato, tertium non datur ...».
Per il suo quarantottesimo compleanno, si è regalato due espulsioni in tre partite, l'ennesimo cazziatone da parte del presidente della squadra che allena, e «Clamoroso», una autobiografia così sincera nel mettersi in piazza con tanto di sbruffonerie e fragilità annesse che la sua fidanzata Tanya non gli ha parlato per giorni a causa del racconto, talvolta esplicito, delle passate avventure.
Gianmarco Pozzecco non sarà mai per tutti. Non ci sarà mai unanimità di giudizio sul suo conto. Sulla sua storia, persino sulle sue doti, a cominciare dall'equilibrio mentale. Con il giocatore che è stato il volto dell'ultima età dell'oro del nostro basket, l'unico a uscire dalla ristretta cerchia di noi malati dello sport più bello del mondo, diventando personaggio televisivo, volto noto, protagonista di vita mondana e di relazioni con fidanzate più o meno famose, ci saranno sempre due partiti.
Ancora oggi, quando il diretto interessato ha più volte dato segni intermittenti di maturità, permane la divisione tra chi continua a considerarlo un mezzo matto esaltato, sempre sul filo della crisi di nervi, una specie di Balotelli che ce l'ha fatta, e chi invece lo ritiene una persona di talento forse solo troppo sincera, al limite dell'autolesionismo.
«Ah, intervisti Pozzecco? È ancora così matto oppure è cambiato?»
Pozzecco, vuole rispondere lei?
«Ci provo. Tutte e due le cose. Ho fatto un sacco di cose stupide, spesso mi sono fatto male da solo. Un certo tipo di vita non mi appartiene più, ma è un passato che non rinnego.
Sono stato un cretino? Io sono anche quel cretino che ero. Non è che sei sempre lo stesso, ognuno di noi contiene cose belle e brutte, errori. E prima di giudicare, forse bisognerebbe sempre conoscere, e sforzarsi di capire gli altri, i loro sbagli, i loro eccessi, la vita che hanno avuto».
Da dove viene questa sua perpetua necessità di dimostrare qualcosa al mondo?
«Mi guardi. Lei è molto più alto di me. Arrivo appena a un metro e ottanta. Sono sempre stato il più piccolo delle scuole che frequentavo con scarso profitto, forse perché ero scemo. Ero un tappo che voleva solo giocare allo sport dei giganti, più scemo di così...».
Era solo una questione di altezza?
«Una sera di tanti anni fa. Casa mia a Trieste. Siamo seduti a tavola in terrazza, per pranzo. Ho 13 anni, e devo scegliere se giocare a pallacanestro in C1 nella squadra allenata dal mio papà, come mio fratello maggiore e più alto, oppure giocare a calcio in terza categoria con il Chiarbola. Io avevo già deciso. Basket, tutta la vita, anzi voglio che il basket diventi la mia vita. C'è solo da aspettare che papà torni a casa, e glielo dirò, facendolo felice. Almeno così immaginavo».
Non fu così che andò?
«Avevo le farfalle nello stomaco, non vedevo l'ora. Lui si sedette e non disse nulla. Io aspettavo il momento in cui mi avrebbe rivolto la parola, lo pregustavo, ma niente, non mi filava. Arrivati al caffè, quasi con nonchalance, si gira verso di me e mi dice: "Allora siamo d'accordo, vai a giocare a calcio, no?". Fu come ricevere un pugno da Mike Tyson. Ko tecnico».
Lei cosa rispose?
«Che obbedivo. Che avrei giocato a calcio. Poi mi alzai da tavola e tornai nella mia stanza, a piangere. E poi feci di testa mia, per la prima di una serie infinite di volte».
Non credo di poter sopravvivere a un'altra storia padre-figlio, c'è già stato Agassi con il suo «Open»...
«Per carità, quel libro non sono neppure riuscito a finirlo, l'ho mollato a pagina 200...».
E perché?
«Agassi ripete a ogni pagina quanto gli faccia schifo il tennis. Abbiamo capito, va bene, peccato per te. Io invece ho amato e amo il basket con ogni mia molecola. Mi ha insegnato a vivere. A gestire la pressione, a stare in gruppo, a tollerare l'errore del compagno. Il basket ha definito quello che sono».
Non le dà fastidio che qualcuno ancora la consideri un pirla?
«Cosa posso farci? Essere discriminato, in ogni senso, è stata la costante della mia vita. Lo so, c'è gente convinta che io sia stato semplicemente un donnaiolo discotecaro, arrivato a certi livelli solo grazie a un po' di talento e tanta fortuna».
Un farfallone, come disse Boscia Tanjevic quando la tagliò dalla Nazionale che nel 1999 poi vinse l'oro agli Europei?
«Ecco, grazie per averlo ricordato... D'accordo, ci sono state tante domeniche che ho fatto l'alba con un drink in mano. Ho preso sbronze omeriche e da ubriaco ero capace di fumare due pacchetti di Marlboro in poche ore. Ma gli altri giorni della settimana? Ero in palestra, a farmi il c... e non c'è nessuno che possa dire che non abbia sempre dato l'anima in campo».
Il giocatore e coach Pozzecco si sente vittima del personaggio che ha costruito?
«No, per nulla. Il basket mi ha concesso una vita incredibile, e me la sono goduta. Ne ho fatte di tutti i colori, in campo e fuori. E nel libro non ne nascondo mezza. Sa perché?»
Per far capire quanto era fuori di testa?
«Anche quello, ok. Ma ho scritto il libro anche per un'altra ragione più importante: vorrei far capire che il giudizio sulle persone non può mai essere definitivo. Che cambiamo tutti, ogni giorno. Non è sempre bianco o nero, non che sei cretino per sempre o cretino mai. Siamo tante cose tutte insieme, ognuno di noi».
La ferisce essere ricordato da qualcuno più per i flirt con Samantha De Grenet o Maurizia Cacciatori che per le vittorie?
«L'unica cosa che mi fa male è quando sento qualcuno dire che ero un cocainomane. Io non mi sono mai drogato nella mia vita. Mai. Ero pazzo? La gente veniva al palazzetto apposta per vedere me, sapeva che mi sarei inventato qualcosa».
Il rapporto difficile con gli allenatori nasce quel giorno a tavola con suo padre?
«No, per carità. Nella mia prima stagione in A2, l'allenatore di allora mi gridò davanti al resto della squadra: "Ma tuo padre, quella sera, invece di andare con tua madre, non poteva farsi una..."».
È ancora vivo?
«Credo di sì. Lo attaccai al muro, e imparò a rispettarmi. Ma il mondo dello sport è ancora pieno di gente così, che umilia l'adolescente sentendosi chissà chi, tirandogli i capelli, insultandolo, con la scusa che è per tirare fuori il meglio da lui. Non è così che si insegna a un giocatore. Non sei un buon coach, sei solo un uomo vile e frustrato».
Quale è stato il suo miglior allenatore?
«Charlie Recalcati, per distacco. Una persona eccezionale. Un uomo che cercava di capire chi aveva davanti, che non ti guardava mai dall'alto».
Non ha avuto problemi anche con lui?
«Qualcuno, superato. All'inizio pensavo addirittura che avesse vinto il suo primo scudetto, a Varese, solo per merito mio, di noi giocatori. Poi lui ne ha vinti a decine, e io sono rimasto a uno. Quindi mi sbagliavo, come sempre. Si impara».
Perché a un certo punto, sul finire dalla carriera da giocatore, lei rinuncia alla televisione, alle serate al Billionaire, alla mondanità?
«Ancora prima di incontrare Tanya, la donna che mi ha cambiato, ho realizzato che non ero felice per via della fama e della celebrità che mi dava il basket. Ero felice perche giocavo a basket. Quando si avvicina la linea d'ombra, il cambio di stagione, con la fine di quella vita, lo spogliatoio, l'adrenalina, il cameratismo, le lacrime di gioia o di rabbia, ecco, è allora che vedi chiaro e capisci quello che conta davvero».
Rimpianti?
«Un po'. Anzi, molto. Essere un personaggio non ha reso la mia vita speciale. Giocare a basket, inseguire la mia passione, è l'unica cosa che mi manca. È un vuoto che può essere colmato solo da un figlio. Lo vorrei tanto».
E se poi le dice che non gli piace il basket?
«Faccio come Erode. No, seriamente. L'unica cosa che ho imparato è che per vivere bene bisogna avere un desiderio, una passione forte. Non metterò un pallone a spicchi in mano a mio figlio, e non ho necessità che segua le mie orme. Mi dispiacerebbe solo vederlo senza un sogno da inseguire, senza qualcosa che lo illumini, che sia leggere o suonare una chitarra. O giocare a basket...».
Come ha fatto un «farfallone» casinista a sfiorare da coach uno scudetto a Sassari vincendo 22 gare consecutive, che credo sia un record?
«Ho avuto culo. Davvero. Una cosa che mi fa impazzire in Italia, è l'importanza che si dà all'allenatore, e non parlo solo di basket. Ce ne sono di due tipi: quelli che pensano di avere la ricetta per far vincere i giocatori, e quelli che invece pensano che siano sempre i giocatori a farti vincere. E se appartieni alla seconda categoria, ti prendi anche un po' meno sul serio, che non fa mai male».
Ma quindi Pozzecco è davvero diventato un vecchio saggio?
«Beh, sono stato Peter Pan per molto tempo, ma fortunatamente oggi non gioco più con il Lego. Anche se l'altra sera mentre guardavo la televisione sono finito su una specie di Masterchef del Lego». Ha cambiato canale? «Sono rimasto sveglio fino all'alba a guardarlo».
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magicnightfall · 7 years
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BECAUSE MY ASS IS LOCATED ON THE BACK OF MY BODY
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Io Taylor Swift me l’immagino un po’ come Sally Brown, la sorella del buon vecchio Charlie: una che ha raggiunto la pace interiore, ma continua ad avere scocciature esteriori. Che si tratti di frequentare quanti e quali ragazzi vuole, di raccontare nelle sue canzoni esperienze di vita vissuta, di decidere in che termini mettere a disposizione la sua musica sulle piattaforme di streaming, di decidere se e come parlare di temi caldi come la politica o le Women’s March, o di donare 250.000 dollari a Ke$ha per aiutarla a sostenere le spese legali del suo processo per violenza sessuale, per qualcuno, per quelli cioè che Gesù chiamava frustrati del cazzo poveri di spirito, questa ragazza ha torto a prescindere.
Chiunque può frequentare chi vuole ma lei no, è una troia.
(vabbè, siamo realistici, è più che altro un privilegio degli uomini poter frequentare chi si vuole senza venire additati)
Qualsiasi cantautore può raccontare nelle sue canzoni le proprie esperienze ma lei no, lo fa solo perché le piace fare la vittima. (a questo link il post sulla faida con Katy Perry)
Qualunque musicista può decidere di non usufruire delle piattaforme di streaming, specie se non retribuiscono adeguatamente gli artisti minori ma lei no, è soltanto un’avida opportunista attaccata ai soldi.
(a questo link il post sulla questione Spotify)
Qualsiasi membro del mondo dello spettacolo può sollecitare la gente ad andare a votare ma omettere di specificare per quale candidato (perché anche negli USA il voto è segreto e personale), ma lei no, doveva dire di votare per la Clinton. Non l’ha fatto, è evidentemente una schifosa supporter di Trump.
Qualsiasi celebrità può semplicemente twittare il proprio sostegno alle Women’s March senza parteciparvi, ma lei no, doveva essere presente contemporaneamente a quella di Washington, di Los Angeles, di Chicago e di Approdo del Re.
Chiunque può donare denaro per aiutare una persona in difficoltà (nel caso di specie, Ke$ha) senza doverlo per forza pubblicizzare ai quattro venti, ma lei no, doveva scrivere un tweet a sostegno, e la donazione non è poi così importante, voglio dire, essere in grado di pagare gli avvocati che ti assistono fa così anni ’90.
Avete capito il meccanismo.
Ma se è vero che Taylor ha un che di Sally Brown, è altrettanto vero che ha pure un che di Elizabeth Swann. Avete presente, sì? Pirati dei Caraibi 3, quando si piazza a muso duro davanti a Beckett e gli fa “noi combatteremo... e voi morirete”. Ecco. Perché puoi anche decidere di andare addosso a Taylor agitando in aria i sassi di Ours e i mattoni di New Romantics, però non lamentarti sei lei ti scruta negli occhi come un Velociraptor... e poi ti asfalta.
Tutto ciò ci porta quindi ai recenti eventi di questo torrido agosto, dove c’è stata un bel po’ di asfaltatura, fatti a loro volta collegati a quelli del giugno 2013.
Nelle puntate precedenti:
Il 2 giugno 2013, durante un meet-and-greet con i fan prima di un concerto a Denver, Taylor posava per una foto con il dj David Mueller e la allora fidanzata di quest’ultimo;
Mueller procedeva quindi ad infilare una mano sotto alla gonna di Taylor palpandole poi il sedere;
Avvertita la sicurezza - ma senza coinvolgere la polizia per evitare che la faccenda diventasse di dominio pubblico - Mueller veniva fatto allontanare;
Venivano altresì avvertiti la madre di Taylor e alcuni membri del suo staff. La foto incriminata veniva quindi trasmessa all’emittente radio KYGO, datrice di lavoro di Mueller;
Due giorni dopo il fatto KYGO licenziava il dj in quanto venivano meno i “requisiti morali” necessari per continuare il rapporto di lavoro;
La foto, intanto, arrivava alla redazione del sito TMZ, e poi veniva “leakata” su internet;
Nel settembre 2015 Mueller citava in giudizio Taylor, sua madre Andrea e il collaboratore di Taylor Frank Bell, sostenendo che le accuse mosse contro di lui fossero false, di aver ingiustamente perso il lavoro a causa delle pressioni del Team Swift nei confronti di KYGO, e di aver visto la sua reputazione rovinata. Secondo Mueller, era stato il suo collega Eddie Haskell ad aver palpato il sedere a Taylor;
Nell’ottobre 2015 Taylor, in risposta, citava a sua volta in giudizio Mueller per molestie sessuali, giudicando pretestuose le affermazioni del dj;
Nell’agosto 2016, Mueller insisteva affinché Taylor facesse cadere le accuse contro di lui;
Mueller chiedeva come risarcimento la ragguardevole cifra di 3 milioni di dollari. Taylor, da parte sua, quella simbolica di 1 dollaro, perché per lei non era questione di fare soldi dal processo, ma di dimostrare al mondo in generale, e alle donne in particolare, che si può, e soprattutto si deve, far valere il proprio diritto di essere le uniche e sole padrone del proprio corpo.
Fast-forward di un anno:
Il processo, di cui riporto e commento le questioni principali, si è aperto il 7 agosto 2017, per concludersi il 14.
L’ho seguito via Twitter: il telefono cinguettava in continuazione le notifiche di tipo tutti i giornalisti presenti a Denver, roba che mi mancava solo il meteorologo e avevo fatto l’en plein.
Al banco dei testimoni si sono succedute un sacco di persone, tra cui gli stessi Mueller e Taylor. Ed è stato il più grande spettacolo dopo il big bang gli spaghetti alla carbonara. 7 agosto:
La testimonianza di Mueller è stata imprecisa, incerta ed evasiva. Prima non ricordava dove aveva messo la mano, poi sì, ricordava di averle toccato le costole, prima il pugno era chiuso, poi il palmo era rivolto orizzontalmente verso il pavimento, poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata.
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[questa foto è stata tra le prove addotte dall’avvocato di Taylor: in effetti, a giudicare dalla posizione del braccio di Mueller, la sua mano poteva toccare le costole di Taylor solo se Taylor fosse stata UN DANNATO PICASSO! Perché oh, a me tredici anni di Grey’s Anatomy hanno insegnato che il culo sta giù e le costole stanno più su, poi non so che telefilm guarda ‘sto maiale...]
Circa invece le presunte pressioni fatte da Taylor, da Andrea e dal management all’emittente radiofonica affinché lo licenziassero, Mueller ha infine ammesso che in effetti la radio già pensava non rinnovargli il contratto ben prima di questa squallida faccenda. Questa cosa si commenta da sola.
Ma forse la parte migliore di tutta la sua deposizione è la seguente. Un’accusa di molestie sessuali certo rovinerebbe la reputazione di chiunque, e infatti nel fare causa a Taylor Mueller non ha tralasciato di farlo presente. Se non fosse che, sempre durante la sua deposizione, ha dovuto ammettere di essere stato lui a parlare della cosa a ben trentasette (T R E N T A S E T T E) persone, quando Taylor aveva rinunciato a chiamare la polizia proprio per evitare di rendere pubblica la cosa. Anche questa cosa si commenta da sola, io mi limito soltanto ad un F4 basita. 10 agosto:
Di contro, Taylor è stata strepitosa. Non ha mai cambiato versione, a differenza di Mueller, non si è mai contraddetta né ha contraddetto le altre testimonianze a suo favore,  è sempre stata precisa nello spiegare i fatti, ha sempre individuato con sicurezza Mueller come autore del fatto (e non Haskell), non ha mai fatto mistero di quanto quel gesto l’abbia disgustata. Tutto questo con una sassiness che Enrico Mentana può soltanto imparare.
Nel corso degli anni aveva già dato prova di non essere abile e pungente con le parole soltanto nei testi delle sue canzoni. Tanto per rinfrescarvi la memoria:
“Davvero non c’è una sensazione comparabile a quella di scrivere una canzone su qualcuno che è stato davvero cattivo con te, qualcuno che ti odia profondamente e rende la tua vita un inferno, e poi vincerci un Grammy” [Grammy Awards 2012]
“Ai fans, che vengono ai concerti e comprano gli album. Voglio soltanto che sappiate una cosa: siete la relazione più lunga e più bella che abbia mai avuto” [Billboard Music Awards 2013]
“Come prima donna a vincere due volte Album of the year ai Grammy, voglio dire a tutte le giovani donne là fuori: ci sarà qualcuno, lungo la strada, che proverà a sminuire il vostro successo o a prendersi il merito per i vostri traguardi o la vostra fama, ma se vi concentrate sul lavoro e non lasciate che questa gente vi distragga, un giorno, quando arriverete dove state andando, vi guarderete intorno e saprete che siete state voi e le persone che vi amano a farvi arrivare fin lì, e sarà la sensazione più grandiosa del mondo” [Grammy Awards 2016]
Così, se Taylor è un po’ Sally Brown e un po’ Elizabeth Swann, mi permetto di dire che è anche un po’ Marco Valerio Marziale.
Marziale è stato un epigrammista romano nato sotto Caligola e morto sotto Traiano. Scriveva cose tipo
“Il tuo cagnolino, Manneia, ti lecca il volto e le labbra: non mi stupisco, poiché ai cani piace mangiare la merda” [Epigrammi, I, 83]
“Vuoi sapere perché non ti mando i miei libretti? Non voglio che mi mandi, Pontiliano, i tuoi” [Epigrammi, VII, 3]
“Vuoi sposare Prisco: non mi stupisco, Paola, scema non sei. Prisco non ti vuole sposare: scemo non è neppure lui”   [Epigrammi, IX, 10]
“Io non so che cos’è quello che tu, Fausto, scrivi a così tante ragazze. So solo questo: che nessuna scrive a te” [Epigrammi, XI, 64]
Così, alla domanda dell’avvocato di Mueller, McFarland, se fosse stato il caso di avere un atteggiamento di critica nei confronti della sua guarda del corpo che non ha impedito il fatto, Taylor ha risposto
“Ho un atteggiamento di critica nei confronti del suo cliente per aver infilato la sua mano sotto la mia gonna e avermi afferrato il culo”
(mic drop #1)
Quando lo stesso avvocato le ha chiesto se il suo team avesse conservato tutte le foto scattate durante il meet-and-greet incriminato [e che quindi avrebbero potute essere prodotte come prova a discarico del suo cliente], Taylor ha risposto
“No, perché ci avete messo due anni per farmi causa”
(mic drop #2)
Quando McFarland ha domandato come mai la gonna non sembrasse arruffata sul davanti, avendo Taylor stessa affermato che Mueller gliel’avesse alzata, lei ha risposto
“Perché il mio culo è situato nella parte posteriore del mio corpo”
(mic drop #3)
Quando McFarland ha osservato che forse quel giorno avrebbe dovuto prendersi una pausa, se Mueller l’aveva tanto sconvolta, Taylor ha ribattuto
“E il suo cliente avrebbe potuto farsi una foto normale con me”
(mic drop #4)
Infine, Taylor ha detto qualcosa che, in effetti, è più una verità universale che una semplice risposta arguta:
“Non permetterò che lei o il suo cliente facciano sembrare questa cosa [il licenziamento] come se fosse colpa mia, perché non lo è”.
(mic drop #5)
Chiunque frequenti internet per qualcosa che non sia soltanto condividere foto di gattini o spoiler di telefilm, avrà infatti certamente notato che - in tema di violenza o molestie sessuali - ci sarà sempre qualcuno che proverà ad addossare una qualche colpa alla vittima, perché magari indossava una “arrapante” gonna corta anziché la tuta da sci. Ecco, così come uno che si veste come il Conte Dracula non sta implicitamente chiedendo di vedersi infilzato il cuore con un paletto di frassino, così una ragazza che sceglie di indossare una gonna corta non sta implicitamente chiedendo di essere molestata.
La colpa è sempre e comunque di chi decide di molestare o di violentare. Scolpitelo nella pietra.
In questo caso in particolare, Taylor ha infatti altresì aggiunto che tutta la malasorte occorsa a Mueller da quel giorno - il licenziamento, la reputazione rovinata - non ha altri artefici se non lui stesso: è stata, né più né meno, la conseguenza delle sue disgustose azioni. 12 agosto:
Il giudice ha ritenuto di sollevare Taylor dalle accuse di aver interferito con il licenziamento di Mueller, perché non c’erano prove che avesse agito in merito, lasciando tuttavia il caso aperto nei confronti di Andrea Swift e Frank Bell. 14 agosto:
Le arringhe finali dei due avvocati, Greg McFarland per Mueller e Douglas Baldridge per Taylor, hanno fondamentalmente fatto il sunto di quanto già argomentato e dibattuto nel corso dei precedenti cinque giorni di udienza. È stato un processo lungo in termini di ore giornaliere ed estenuante in termini di argomenti trattati, e in effetti il sesto giorno entrambe le parti accusavano lo stress accumulato. Mueller era teso e nervoso, ma non ce ne frega assolutamente niente, e Taylor decisamente provata, tanto da scoppiare a piangere durante l’arringa dell’avvocato di controparte.
Da un lato, McFarland ha insistito sul fatto che le accuse mosse contro Mueller fossero assolutamente false, che l’espressione di Taylor nella foto non fosse quella di una che stava venendo molestata e che se avesse provato a scansarsi - come affermato invece dalla controparte - sarebbe apparsa molto più sbilanciata rispetto al centro, e che non c’è alcuna prova che l’aggressione sia avvenuta perché nessuno - né la stessa Taylor né il suo staff - ha agito tempestivamente per fermare Muller.
Ha inoltre ribadito che l’obiettivo del suo cliente non sono i soldi, e che tutte le testimonianze portate da Taylor non fossero attendibili perché provenienti da suoi dipendenti, mentre attendibile doveva essere considerata quella della ex fidanzata di Mueller.
(ochèi, per non sapere né leggere e né scrivere: 1) chiedere tre milioni di dollari non è agire per soldi?; 2) la testimonianza di un dipendente non vale mentre quella di una fidanzata - che peraltro era rivolta verso la macchina fotografica e quindi non può in ogni caso aver visto nulla - sì?)
Dall’altro, Baldridge ha invece argomentato facendo leva sulla scarsa credibilità di uno che ha cambiato versione più di una volta (al contrario di Taylor, che è rimasta coerente nel corso dei quattro anni) e che ha distrutto i dispositivi elettronici contenenti la registrazione della sua conversazione con i suoi datori di lavoro.
E quasi come a voler rendere pan per focaccia a McFarland che ha tirato in ballo l’espressione di Taylor nella foto, così Baldridge ha affermato che quella di Mueller è l’espressione compiaciuta di qualcuno che si sta divertendo a fare qualcosa che non dovrebbe.
In risposta alle allegazioni della controparte sul non aver agito tempestivamente per fermare o segnalare l’aggressione, Baldrige ha poi spiegato che essendo presenti dei bambini nella stanza, il team di Taylor ha ritenuto opportuno aspettare un momento più riservato per far presente la cosa.
Infine, ma non per questo meno importante, Baldridge ha ribadito che, con questo processo, Taylor ha voluto dare un segnale importante a tutte le donne, cioè di avere il coraggio di far valere il proprio diritto di “dire no”.
È stato poi di nuovo il turno di McFarland per le contestazioni, nelle quali ha affermato che “la legge dovrebbe scoraggiare le denunce avventate di abusi sessuali”.
Baldridge ha invece chiosato che Mueller “ha perso il lavoro perché le ha palpato il sedere ed è stato beccato. E ora sta cercando di convincervi ad accanirvi di nuovo contro di lei perché vuole pararsi il deretano. È tempo di porre fine alla persecuzione delle vittime [di abusi] in questa corte e in questa nazione”.
La palla è quindi passata ai giurati (che sono giudici dei fatti, mentre il giudice lo è della legge), sei donne e due uomini, affinché emettessero verdetto unanime basato unicamente su quanto visto e ascoltato in aula, senza dar credito ad eventuali dicerie, pregiudizi o qualsiasi altra cosa appresa al di fuori del tribunale (detto abbastanza in soldoni, le istruzioni del giudice erano molto più specifiche e articolate).
Alle 16:45 ora di Denver, Colorado (00:45 del 15 agosto ora italiana), dopo quasi quattro ore di deliberazione, la giuria ha iniziato a leggere il verdetto (per dovere di cronaca mi sento di dire che stavo letteralmente infartando):
VITTORIA SU TUTTA LA LINEA! TIÈ, INCASSA E PORTA A CASA! WE STAND UP CHAMPIONS TONIGHT!
La giuria ha ritenuto che né Andrea Swift né Frank Bell abbiano interferito con la decisione di KYGO di licenziare Mueller, e soprattutto ha giudicato “preponderanti” le prove secondo le quali Mueller ha molestato Taylor, riconoscendole quindi il famoso dollaro di risarcimento.
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[reazione a caldo: l’eleganza prima di tutto]
E insomma, niente: Mueller, che andava palpando culi, è stato preso a calci nel culo. Io la chiamo giustizia poetica.
[giunta a questo punto, posso spiegare l’abbondare della parola “culo” al posto di più eleganti sinonimi. Non è perché io ami il vernacolo degli scaricatori di porto - ochèi, in realtà sì - ma perché durante le udienze è stata usata la parola “ass”. Si è trattato un modo per sottolineare la volgarità del gesto di Mueller. In effetti, un termine di sapore neutro come “bottom” (fondoschiena) non sarebbe risultato altrettanto efficace]
Ora, se saltellare sulla Luna è stato, per Neil Armstrong, un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità, questo verdetto non è stata solo la vittoria di Taylor contro Mueller, ma la vittoria simbolica di tutte le donne che si troveranno ad affrontare situazioni simili o addirittura peggiori: si deve alzare la testa, e si può ottenere giustizia.
E non è una conclusione scontata: non in un paese come gli Stati Uniti, governato da un presidente che ha affermato che le donne vanno afferrate “by the pussy”. O, per quel che ci riguarda più da vicino, in un paese come l’Italia in cui l’incitamento allo stupro da parte dei webeti è visto come una legittima critica politica all’operato dell’attuale terza carica dello Stato, Laura Boldrini.
E no, non è “solo una palpatina, capirai, c’è di peggio”. Si tratta di lasciar decidere alle donne cosa è o non è tollerabile rispetto al proprio corpo. Ed è sacrosanto.
Ora, riallacciandomi all’apertura del post, cioè che Taylor ha torto a prescindere e ogni cosa che fa la fa per i soldi o per avere pubblicità, c’è qualcuno che avuto il coraggio di dire che anche questo processo potrebbe essere stato soltanto un modo per far parlare di sé. Tutto ciò è meraviglioso, si è raggiunto un livello di complottismo che perfino i terrapiattisti iniziano a sembrare persone ragionevoli. Praticamente, Taylor ha inventato le accuse contro Mueller nel 2013 nella speranza che questi le facesse causa due anni dopo per avere poi un bel po’ di pubblicità nel 2017. Non perdo nemmeno tempo ad arrabbiarmi, perché - come si dice dalle mie parti - poi farei due fatiche, e semplicemente mi inchino di fronte a tali livelli di delirio mentale perché c’è evidentemente del genio.
Poi ci si chiede perché la donne non denuncino e siano restie a chiedere sostegno: se anche una persona ricca sfondata e famosa viene accusata di agire solo per il proprio tornaconto economico o per attirare l’attenzione, come può una persona comune pensare che che la sua voce verrà ascoltata e il suo grido d’aiuto compreso?
E tralasciamo l’omertoso silenzio di tutte quelle persone (specie tra le celebrità) che sono le prime a riempirsi la bocca di femminismo ma quando poi si tratta di difendere T-Swizzle (ma non in quanto Taylor Swift, eh, ma in quanto donna, che per sventura però si chiama Taylor Swift) hanno improvvisamente cose più importanti di cui parlare, oh, hey, comprate il mio singolo, who’s Taylor Swift anyway? Ewww.
Ma questo processo è il saltello sulla Luna di Neil Armstrong. Ed è una vittoria anche per loro.
“Riconosco il privilegio di cui godo nella vita, nella società e nella mia capacità di sopportare gli enormi costi di difendermi in un processo del genere. La mia speranza è che sia d’aiuto a tutte quelle voci che dovrebbero parimenti essere ascoltate. Per questa ragione, nell’immediato futuro farò delle donazioni alle organizzazioni che aiutano le vittime di molestie sessuali a difendersi” ha dichiarato Taylor al termine dell’ultima udienza.
Abbiamo vinto, oh.
E per dirla di nuovo con Elizabeth Swann, su le bandiere.
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eleanordahlia · 4 years
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     👑     —     𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚 & 𝐧𝐞𝐯𝐢𝐥 𝐬𝐭𝐞𝐩𝐡𝐚𝐧      ❪    ↷↷     mini role ❫      parco         abbandonato      17.11.2019  —  #ravenfirerpg
V'era sempre stato un momento della vita della Janssen in cui il bisogno di star da sola superava tutte quelle etichette che lei sapeva indossare perfettamente come un buon paio di guanti. E quella domenica mattina sembrava essere perfetta per una passeggiata in solitudine in un luogo dove la gente difficilmente l'avrebbe trovata, il parco abbandonato. Fin da quando era giunta in città con la sua famiglia, appena qualche anno prima, aveva sempre rifiutato l'idea di andarci, il solo pensiero la intimoriva, ma da quando tutto era cambiato nella sua vita, quel luogo aveva assunto un fascino particolare ai suoi occhi. La vecchia ruota panoramica aveva i giusti toni dark per rendere quel luogo ancor più spettrale, ma soprattutto tutto l'insieme faceva letteralmente venire i brividi. Passo dopo passo, le sue costose scarpe firmate calpestavano il terreno arido di quel luogo mentre la di lei mente sembrava vorticare attorno agli ultimi avvenimenti in città. Aveva rinunciato a capire il motivo per cui aveva compiuto determinati gesti, ma ormai non poteva più continuare a fasciarsi la testa, era giunto il momento di andare avanti e prima l'avesse fatto, prima sarebbe stata meglio. Solo quando fece l'ennesimo passo, qualcosa scattò nel corpo di Eleanor, la quale fu costretta a bloccarsi ed osservare ciò che le stava attorno. Passò in rassegna ogni dettaglio, ogni particolare, e solo quando captò un movimento non troppo distante da lei, Eleanor sorrise nel riconoscere chi vi si nascondeva.
« Dekker devi fare nettamente meglio se vuoi davvero sorprendermi. »
Nevil Stephan Dekker
Quando ha bisogno di riflettere, di pensare, di schiarirsi le idee, tende a recarsi nel parco abbandonato. Luogo tranquillo, solitamente deserto, e senza nessuno a disturbare la propria pace interiore. Già, perché i pensieri di Nevil si stanno sovrapponendo e lui non ci capisce più nulla. Raramente si sente da subito affine a dei completi sconosciuti, eppure con una determinata persona è successo. Tant'è che deve far forza su tutto l'autocontrollo che possiede per non far ciò che desidera già fare, sebbene la sera prima - in palestra - sia stato particolarmente difficile frenarsi. Ecco perché ora si ritrova nel parco, luogo che ha raggiunto appena sveglio, in completo silenzio e con solo una sigaretta retta dalla mancina. Continua a camminare sino al momento in cui percepisce una presenza, e con aria confusa tenta di vedere l'altra figura, senza esporsi subito. Non doveva esser deserto? Solitamente lo è sempre, perché ogni volta che ha bisogno di pensare, di star solo, finisce per trovare qualcun altro a fare le stesse identiche cose? È quando riconosce la fanciulla che esce dalla penombra, mostrandosi così anche alla giovane. Un sorriso compare sulle labbra del bel Dekker, scuotendo appena il capo dalla sua affermazione. “ Evidentemente non sono bravo a sorprendere il prossimo, credevo di esser solo. Cosa ci fai anche tu qui? ,, Esordisce in tono affabile, andando a passarsi la mani libera tra i capelli tenuti ribelli come sempre, mentre aspira di tanto un po' di nicotina dalla sigaretta quasi giunta al termine.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Il sorriso che era comparso poco prima sulle labbra della Janssen era ancora lì, e nel momento in cui venne fuori Nevil, si limitò a scuotere il capo. Ricordava vagamente come i due si fossero conosciuti, subito dopo il suo arrivo a Ravenfire, ma sapeva che era un buon amico e soprattutto aveva affrontato i suoi stessi dubbi. Svegliarsi una bella mattina e scoprire che tutto ciò in cui si credeva era magicamente cambiato, non era affatto semplice ma Eleanor ricordava come i due si fossero trovati in quel momento buio. « Oh andiamo, dovresti essere molto più che bravo, no? » Domandò retoricamente mentre la giovane si voltò ora nella sua direzione. Inclinò di lato il capo prima di avvicinarsi all'amico e fregargli la sigaretta per una rapida boccata di fumo. Increspò così le labbra avvicinando la sigaretta le labbra, ne assaporò così la nicotina prima di buttare fuori il fumo che aveva accarezzato i suoi stessi polmoni. « Avevo bisogno di isolarmi un po'. Sai, qualche momento con i propri pensieri, qualche ora per riflettere... Ti sembrerà strano, ma anche io lo faccio. E tu invece? Sono commossa, sei venuto a cercarmi? » Disse l'esperimento quasi prendendolo in giro, con quel sorriso sulle labbra che era difficile non notare, ma soprattutto che riservava solamente per le persone a cui lei teneva. Era pressoché impossibile che Eleanor lasciasse avvicinare qualcuno a lei, ma Nevil era sempre stato un ottimo amico.
Nevil Stephan Dekker
Il giovane Dooddrear è anche conosciuto per esser geloso delle proprie cose, sigarette incluso, ed è per questo che lancia una mezza occhiataccia alla mora quando gliela ruba direttamente dalle mani. Anche perché, nei momenti in cui i pensieri gli affollano la mente, la nicotina è l'unica cosa che riesce a calmarlo e a fargli distendere i nervi. Un Nevil nervoso non è mai una bella cosa, nonostante si innervosisca raramente, preferendo infatti altri tipi di emozioni. Preferisce persino la tristezza al nervosismo, la tristezza può sfogarla piangendo mentre quando è nervoso rischia di rispondere male a chi si trova davanti. Cosa per cui rischierebbe di sentirsi in colpa, visto che odia profondamente ferire il prossimo. Odia farli rimanere male, e odia offenderli quando non hanno colpa alcuna. Per questo si morde la lingua, prima di rifilare una risposta poco gradita all'amica - e soltanto per la brutta giornata avuta -. “ Non si rubano le sigarette degli altri. ,, Borbotta a mezza voce, andando ad incrociare le braccia al petto. Avanzando subito dopo ancora all'interno del parco, con un'aria quasi pensierosa. Già, nessun sorriso gli incurva le labbra. Nessuna risata abbandona le stesse, e nessun moto di allegria pervade il corpo del ventiduenne. Cosa stranissima, decisamente non da lui, eppure non ci può fare niente. Insomma, i pensieri gli stanno facendo scoppiare la testa ed il cuore sembra volergli uscire dal petto. “ In realtà volevo rimaner solo per pensare, ultimamente dormo poco. Hai avuto anche tu una brutta giornata? ,, Soltanto qui accenna un mezzo sorriso, anche se appare di più come una mezza smorfia stirata. No, non ce l'ha con la giovane anzi, le vuole bene, ma è un insieme di cose che proprio sta faticando a reggere.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Il sorriso accattivante dell'esperimento era ancora lì, sulle di lei labbra, ma nell'osservare le reazione scontrosa dell'amico, si dovette chiedere se quella semplice affermazione non nascondesse qualcos'altro. Eleanor si ritrovò così ad aggrottare dapprima la fronte prima di allungare nuovamente la sigaretta al legittimo proprietario. Più osservava l'amico diventare taciturno, più sentiva che v'era qualcosa che non le stava dicendo, e scoprirlo sembrò diventare il nuovo obiettivo della Janssen. « Non fare il permaloso... » Rimbrottò la Janssen con un leggero ghigno sulle labbra, ma nel vedere che quell'espressione sul volto dell'amico, si chiese se non ci fosse davvero qualcosa di più grave. Avanzò di un paio di passi seguendolo, tentata quasi di fermarlo ma le sue reminiscenze di psicologia le gridavano che fare pressione non avrebbe portato ad alcunché. Affrettò maggiormente il passo fino a raggiungerlo, si affiancò così a lui e tirando un lungo respiro. « Prima tu... Sembra che ci sia qualcosa che ti turbi, e non voglio intromettermi, ma quel volto sai che non ha segreti per me. Che succede? »
Nevil Stephan Dekker
“ Scusami... ,, Mormora subito, sentendosi immediatamente in colpa. Il fatto è che Nevil non è cattivo, non lo è mai stato e mai lo sarà. Non riesce ad esserlo neanche con l'umore sotto i piedi, come in questo momento. Magari risponde male, è vero, ma un secondo dopo si scusa. Esattamente come ha appena fatto con l'amica. Gli dispiace di esser stato tanto scontroso, di esser stato quasi antipatico, ma non è riuscito a trattenersi. Un sospiro frustrato abbandona la bocca del castano, andando ad arrestare il passo. Si porta la sigaretta tra le labbra, così da poter sedersi in mezzo all'erba senza difficoltà, con gli occhi profondi che si posano sul bel viso dell'altra. “ Sono stato tanto antipatico? E... niente, niente di importante. Credo di aver i famosi problemi di cuore. Bella roba. A te cosa succede? ,, Preferisce decisamente cambiare discorso, concentrandosi sulla mora piuttosto che su sé stesso. Odia parlare di sé, odia intristire il prossimo con i propri problemi. Odia esser diventato così debole, così fragile. Nevil non è sempre stato così, ma gli eventi della vita hanno indebolito la corazza che a fatica si era costruito - tra cui, ovviamente, l'ex tanto violento -.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Studiare psicologia era sempre stato un cruccio per i genitori della Janssen che vedevano la giovane a capo dell'azienda di famiglia e approdare nel mondo dell'imprenditoria, eppure Eleanor aveva sempre avuto il desiderio di capire la mente umana. I diversi comportamenti che gli esseri umani ponevano in essere affascinavano la newyorchese che, seppur andasse contro gli ideali dei genitori, aveva fatto sì diventassero la sua battaglia personale. Ma ciò non aveva contribuito a debellare il cinismo dalla bella castana che, non appena sentiva parlare di amore, si ritrovava ad alzare gli occhi al cielo. Inclinò leggermente il capo mentre osservava ora con più attenzione il volto dell'amico che, per quanto si ostinasse a nasconderle le cose, per lei era un libro aperto. Liquidò poi con un semplice cenno della mano le sue scuse, assolutamente non necessarie in quel momento, ma curiosa di scoprire che coda tediasse l'animo del giovane Dekker. « Lascia perdere le scuse. Piuttosto... » Seguì il giovane che nel frattempo s'era seduto sul prato mentre la vista del parco abbandonato svettava su di loro. Certo, non era il luogo ideale per procedere a determinate confidenze, ma quando capitava bisognava prendere la palla al balzo. Eleanor si sedette così a fianco dell'amico ed appoggiò gli avambracci sulle proprie ginocchia piegate, una posa assolutamente non in linea con il suo essere così perfetta. « Sai quanto io odi tutto ciò che riguarda l'amore, assolutamente sopravvalutato, ma il periodo natalizio mi fa mostrare anche il mio lato più tenero — per quanto ne possa avere uno — per cui non tenerti tutto dentro e spara. Potrebbe essere la sua chance di liberare la mente e trovare un po' di pace, no? Poi sarò io a tediarti con i miei lugubri pensieri, non ti preoccupare. »
Nevil Stephan Dekker
Non avrebbe potuto scegliere luogo più lugubre, più deprimente, per poter pensare e, magari, confidarsi con l'amica. Chiaramente non le può dire che si è preso un enorme sbandata per il figlio dei Seered, non può perché tutti sono a conoscenza dell'astio che Edward ha per i Dooddrear, e non vuole mettere nei guai Dylan. Esatto, pensa a salvaguardare il bel rosso piuttosto che sé stesso. Non sa effettivamente di chi può fidarsi, non sa chi sia contro il rappresentante dei veggenti, e non vuol rischiare. Nessun nome uscirà dalle proprie labbra, ma forse può raccontarle la situazione a grandi linee. Non è sciocco, sa quanto potrebbe esser pericoloso se tale rapporto venisse allo scoperto, entrambi rischierebbero la morte. Scuote appena il capo con aria pensierosa, girandosi verso la fanciulla, accennando un lieve sorriso per non farla preoccupare più del dovuto. “ Mi sono preso una sbandata per chi non avrei neanche dovuto guardare, ma non riesco a togliermelo dalla mente. ,, E no, per lui non è un problema ammettere che si tratta di un ragazzo. La sua bisessualità non è mai stato motivo di vergogna per lui, non si è mai vergognato di ciò che è, e mai lo farà. Infatti il problema non è questo, ciò che lo rende inquieto è tutt'altro. Sono ben altri i brutti pensieri che gli invadono la mente, ben altre le problematiche che gli fanno temere questa situazione. Non si pente dei propri sentimenti, ma è rischioso e non può negarlo.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Quando Eleanor aveva esortato l'amico a confidarsi, non aveva pensato minimamente ad un doppio gioco o peggio, Nevil era suo amico, almeno uno dei pochi con cui aveva un reale rapporto. Spesso la newyorchese tendeva a isolarsi, soprattutto ultimamente, ma era davvero curiosa di sapere che cosa turbasse tanto l'amico. Con lo sguardo ben puntato su Nevil, Eleanor attese una sua reazione, un suo cenno e quando confessò quello che per lui sembrava essere un peso enorme, ella inclinò appena il capo. « E immagino che dirmi il chi sia questa persona, sia cosa praticamente impossibile... Ma non è questo il punto. » Replicò la Janssen con un sorriso sulle labbra, mentre osservava con più attenzione il volto di Nevil. Più lo osservava più vedeva la disperazione di quel momento, la tristezza nei suoi occhi ma soprattutto quel senso di abbattimento che più di una volta aveva visto. Eleanor sapeva perfettamente della bisessualità dell'amico, ma mai una volta era stato un motivo di discussione tra loro. Ella era infatti convinta che ognuno amasse chi amasse, senza alcuna differenza di genere, colore o razza, l'amore era amore. « Siamo attratti inevitabilmente da quello che non possiamo avere, Nevil, è una legge di natura. E' come quando ci dicono di non fare una cosa, la nostra indole è quella di andare contro quella dannata imposizione. Piuttosto perché non avresti dovuto nemmeno guardarlo? E' fidanzato? »
Nevil Stephan Dekker
No, non può assolutamente dirle di chi si tratta. E non per lei, ma oramai ha imparato che anche i muri hanno orecchie. Non può rischiare di esser udito da qualcuno, non può rischiare di mandare nei guai il rosso. Sta facendo fatica a non confessarle ogni cosa, a non rivelarle di chi si sta lentamente innamorando, vista la sincerità che ha sempre caratterizzato il bel Dooddrear. Eppure è talmente ostinato a far rimanere nascosto nell'ombra il veggente che riesce anche, miracolosamente, a tener la bocca chiusa. “ Non posso, finirei per mettere nei guai troppe persone. Qua tutti hanno orecchie ovunque, è --- rischioso. ,, Ecco perché di Nevil ci si può fidare, perché potrebbe proteggere le persone che ama anche a costo della sua stessa vita. Sì, è difficile farlo cadere in trappola o indurlo a dire qualche parola di troppo. Il castano è intelligente, abile con le parole, ed ha un cervello molto sveglio. Cosa che tenta di usare sempre in ogni circostanza, a differenza dei suoi coetanei. Un sorriso gli sfugge nell'udire le successive parole dell'amica, andando a mordersi il labbro inferiore con gli incisivi. È pensieroso, forse troppo, ma sta valutando come spiegarle in minima parte la situazione. “ No, non è fidanzato. Fortunatamente non guardo ancora quelli già impegnati. Diciamo che -- beh... le nostre famiglie non vanno molto d'accordo. ,, Ma quanto sembra una cosa alla Romeo e Giulietta? Solo adesso si rende conto di quel che le ha detto, cosa vera in minima parte, e si ritrova a storcere leggermente le labbra in una smorfia. Ama Shakespeare, ma anche vero che la tragedia a cui ha appena pensato non è finita molto bene, e non è neanche durata molto.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Il timore intriso nelle parole dell'amico aveva fatto un poco preoccupare l'esperimento che ora si chiedeva realmente chi fosse questa persona che Nevil avrebbe protetto a qualunque costo. Era ben visibile il suo stato d'animo, e anche se non lo fosse stato, Eleanor ne avrebbe concepito i contorni come quelli di una forma sotto il proprio tatto, eppure v'era qualcosa che non quadrava. Rimase tuttavia con gli occhi fissati sull'amico, in attesa che si decidesse a confessare l'identità misterioso del suo amante, ma per quanto fosse turbato, Nevil era più che deciso a non dire una parola. Eleanor si ritrovò così ad inclinare appena il capo, cercando di lasciar trasparire il lato più empatico di sé. Sapeva cosa voleva dire tenere per sé determinate emozioni, e condivideva il fatto che ormai parlare ad alta voce era un vero e proprio pericolo, ma il fatto di vedere l'amico così tanto nervoso, le fece storcere il naso. « I drammi famigliari non dovrebbero interferire, non credi? » Domandò quasi retoricamente chiedendosi ancora una volta chi sarebbe mai potuto essere la persona che aveva catturato così assiduamente l'attenzione di Nevil. Le sue labbra formarono poi una linea marcata, ripensò al suo amico di infanzia e come le loro famiglie fossero unite prima che quell'amicizia capitolasse, ma Ravenfire era ben lontana dalla sua New York. « Non devi dirmi chi è l'uomo o la donna del mistero, ma non credi che a volte un po' di sano egoismo sia ciò di cui abbiamo bisogno? » Attendeva una risposta dall'amico, ma chiunque fosse la persona del mistero, Eleanor poteva vedere chiaramente che Nevil non avrebbe risposto.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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janiedean · 7 years
Note
Premetto... a me Piton non piace, anche dopo aver scoperto che è un "buono". Lo dico per precisare che SO di avere dei limiti nel giudicare i personaggi che hanno ferito i miei preferiti. Io non riesco a empatizzare con Theon, tutto quello che gli è successo ė diretta conseguenza della sua cattiveria. Anche i suoi POV non sono attendibili per me: ci credo che lui ci crede quando dice che sarebbe voluto morire con Robb, ma non credo che nella realtà si sarebbe comportato in maniera così leale.
uhm allora prima di tutto mettiamo in conto che io sul piton discourse non posso dire/concepire niente e anzi per me dovrebbe bruciare che non posso reggere più la gente che discute di quello che personalmente me pare l’unico personaggio grigio di una serie per ragazzi che m’è sempre stata lì quindi se ha cose in comune con theon o no non voglio giudicare, ma:
tu ovviamente c’hai diritto di fartelo sta sul cazzo theon, cioè a me sta sul cazzo cersei per motivi che ho il diritto di avere quindi non è che voglio convincere nessuno che theon DEVE piacergli, se così la pensi è la tua idea del pg e c’hai il diritto di averla;
detto ciò: cattiveria? insomma. cioè, questo è uno che ha passato dieci anni della sua vita con tre quinti dei suoi familiari immediati abusivi (cioè si ricorda che il fratello lo menava quando era ubriaco), poi si è beccato il trauma della guerra a casa, poi a nove anni l’hanno preso da casa e spedito a WF tipo ‘ehi se tuo padre fa cazzate tu muori ciao’ e tipo l’unica persona che gli ha mai voluto bene *a winterfell* e per la sua splendida personalità è robb che è il figlio di quello che deve ammazzarlo se suo padre sclera, cioè non è che sono le migliori basi per una sana crescita psichica;
poi cioè WF l’ha preso per impressionà suo padre e robb l’ha tradito perché ha scelto la famiglia, però… cioè, perdono, ma questo è uno che per dieci anni si è fatto seghe mentali su QUANDO TORNO A CASA MI VORRANNO TUTTI BENE e che vive di meccanismi di compensazione che non sono *lui*, arriva a casa e viene trattato come è trattato e in una società dove la cosa più importante è appartenere alla tua casata (rega tywin odia tyrion ma gli salva il culo perché è lannister cioè siamo seri). ora, se sta co suo padre ha vaghe speranze di avere il suo titolo, se torna da robb il padre lo disereda e robb è L’UNICA PERSONA CHE SI FIDA DI LUI cioè onestamente, è bello pensare ‘sceglieremmo tutti il bff che ci vuole bene’. è bello. è la scelta morale. ma è quella realistica? io non lo so se l’avrei fatto al posto suo. cioè theon fa la scelta realistica che però non ci piace e quindi poi visto che fa una marea di cazzate dopo gli diamo sotto, ma… non è cattiveria. è istinto di sopravvivenza.
mo, visto che hai citato i libri immagino che li hai letti e… cioè acok è tipo ‘quanto può uscire di testa questo qui’. nel senso, è palese che più va avanti più questo ha seri problemi mentali e non sta agendo secondo un qualsiasi senso logico, nvm che la cosa peggiore che ha fatto - far finta di ammazza bran e rickon/ammazzare i ragazzini - gliel’ha suggerita ramsay, lui di suo manco ci pensava. cioè ha fatto una marea di stronzate orrende ma non perché è cattivo di suo, o perché ci godeva. cioè non ci gode per niente a fa fuori nessuno, non è joffrey o ramsay o cersei o chi per loro. cioè se era joffrey ci pensava lui a fa fuori i ragazzini, o se era joffrey bran e rickon li ammazzava direttamente lui. poi ovvio libera di pensarla diversamente ma… quello non agisce per cattiveria o sadismo, agisce perché pensa che facendo quello che fa gli altri lo apprezzeranno e perché ha manie/problemi dovuti al fatto che vede il mondo in maniera totalmente contorta e che ha passato dieci anni a farsi delusioni e non ha avuto una crescita psichica normale, non perché è uno stronzo;
discorso empatia: ok, parliamoci chiaro. a me theon dopo acok stava sul cazzo cioè non mi suscitava particolari simpatie. poi mi ero convinta fosse morto offscreen. ho cominciato adwd e quando so arrivata a reek (era appena uscito e avevo maratonato e non sapevo NIENTE) non ho capito che era lui per dieci pagine, e tipo mi stava a venì da vomitare perché ero tipo CHE CAZZO E’ STA COSA MA CHI E’ STO DISGRAZIATO MA NON ESISTE. poi ho scoperto che era lui e tipo oltre a vomitarmi in bocca la mia prima reazione è stata cristo ritiro tutto quello che ho mai pensato sul si merita di soffrì male dopo acok perché……. cioè…… parliamo di uno di ventidue anni massimo che sembra uno di 60, ha i denti mezzi spezzati, ha perso non si sa quante dita, è stato abusato in qualsiasi senso (anche sessualmente imo) da un pazzo psicopatico che vuole fargli il lavaggio del cervello e gli tocca dormì coi cani. cioè. non ci sta niente imo che qualcuno abbia fatto che giustifichi sta cosa. ai traditori nel medioevo togli la testa e nel mondo reale se uno fa quello che fa theon in acok lo si manda all’ergastolo nei paesi civili. non esiste proprio che se lo merita o che ‘beh ha fatto cazzate quindi gli tocca’. cioè beccaria per cosa è esistito? la tortura non si giustifica fine. che poi io c’abbia empatia anche per altre cose è un altro discorso ma pure se non ce l’avessi, nessuno si merita quello schifo ed è un fatto oggettivo. e io senza sapere chi era mi stavo a sentì male cioè non posso concepire che dopo una roba del genere e con tutto quello che gli tocca in adwd se lo fosse meritato. ma manco joffrey se lo meritava. cioè rega quando jaime scopre che vargo era stato cannibalizzato era tipo EW CHE SCHIFO anche se si parlava del tizio direttamente responsabile della mancanza della sua mano destra e sicuro vargo l’empatia di jaime non se la meritava, e manco era empatia, era decenza di base. è lo stesso discorso. se l’è cercata non esiste come giustificazione. se non esiste per cersei e la walk of shame non esiste manco per theon e ramsay.
in asoiaf non ci sono pov attendibili. Cioè, davos è attendibile e sam probabilmente pure lo è, e jaime alla fine pure lui. il resto sono tutti unreliable chi più chi meno. ma theon è unreliable in acok imo, in adwd molto meno perché non ha niente da perdere. cioè, questo vuole solo morire. quando dice che sarebbe dovuto morire con robb è il suo momento più basso e quello dove capisce dov’è che ha sbagliato tutto e viene alla fine di un percorso di rinascita interiore/realizzazione del sé che è scritto veramente coi controcazzi, e alla fine appena capisce che sarebbe dovuto crepare con robb fa la prima cosa che ha attivamente deciso senza influenza altrui o senza tenere in considerazione il discorso e come finisco io/come mi avvantaggia da acok, che consiste in… mentire palesemente alle wildling perché se scoprissero che jeyne non è *arya* non la salverebbero per salvarle la vita (e due capitoli prima era ‘theon greyjoy would have helped her but he was reek now’ o quello che era quindi THEON l’avrebbe aiutata, reek no, e voleva farlo da subito ma non aveva mai avuto il coraggio cosa pienamente comprensibile visto che la notte di nozze di ramsay è un doppio stupro ma ok), convincere jeyne a uscirne anche se questa non ci crede ed è mezza traumatizzata e quando le wildling so tipo DATTE UNA MOSSA lui è tipo la cosa più empatizzante del mondo, e poi quando si rende conto che non hanno più la scorta e questa non contribuisce… cioè poteva andarsene da ramsay e dire che jeyne aveva provato a scappare e lui l’aveva ripresa, invece manco ci pensa e salta dalle mura per salvarle la vita?? che è tipo… cioè, theon che salva jeyne e jaime che salva brienne nel 3 sono tipo le uniche due cose in sti libri che sembrano uscite dalle favole tipo valente principe salva la povera principessa in pericolo dal mostro cioè siamo seri. se questo era veramente stronzo/cattivo dentro non lo faceva e l’intero punto è che quel capitolo si chiama THEON mentre gli altri si chiamavano come tutti gli stadi del suo percorso identitario. quello che c’hai davanti nel capitolo ultimo di adwd è theon come sarebbe dovuto essere e come era sotto tutti i meccanismi di difesa e delusioni e DEVO PROVARMI A MIO PADRE. te può piacere o meno, ma non è la stessa persona di acok ed è effettivamente una persona che uno può capire perché robb potesse esserci amico, e detto ciò…
il discorso ‘non ci credo che si sarebbe comportato così’… scusa ma non c’ha senso. il punto uno è che se l’avesse saputo che la sua bravata finiva con robb morto e lui a pezzi letterali ovviamente si sarebbe comportato lealmente (anche se tbh a robb non doveva un cazzo tecnicamente, solo nel tf gli si era inchinato) e/o diversamente. il punto due è che tanto la tragedia della cosa è nel fatto che robb è morto e non può cambiare le cose. e il punto tre… è che…. theon non pensa ‘se non l’avessi tradito ora saremmo bffs’ o ‘sarebbe stato bello reincontrarlo e chiarirci’ o roba simili. theon pensa che sarebbe dovuto crepare con robb durante il red wedding che è tipo il modo più atroce di morire che uno possa concepire cioè rega robb l’hanno letteralmente fatto a pezzi. e quello dice che voleva essere fatto a pezzi con lui. non è una cosa da niente?? certo che ci crede? e certo che se potesse andare indietro ci firmerebbe cinquanta volte per crepare con robb. cioè è il punto dell’intera cosa il fatto che lo capisce quando non c’è più niente da fare che robb era effettivamente così importante per lui che morirci male insieme era quello che avrebbe dovuto fare. ma il punto è che non l’ha fatto e se lo porterà dietro a vita XDDD bello. anzi, anche no. perché è orribile. ma theon è un personaggio tragico cioè XD mo imo il punto intero è che adesso che ha fatto tutta sta strada deve rifarsi una vita essendo la persona che sarebbe sempre dovuto essere e quindi andrà avanti, ma… cioè. si è pentito delle cazzate che ha fatto. ha pagato anche troppo quando mai avrebbe dovuto passare quello che ha passato. è così difficile pensare che… c’è stato il character development e ha capito certe cose e ora non è la stessa persona che era in acok?
cioè, ok, liberissima di pensare altrimenti, ma voglio dire, il mio pg preferito è *robb* e theon non lo odio, mentre invece con cersei ho chiuso quando si è messa a ridere dicendo ‘lol che divertente che catelyn è impazzita vedendo robb che le moriva davanti muahahaha’. il punto è che cersei è una stronza sociopatica a cui frega un cazzo di nessuno se non di se stessa e che non ha nessuna cosa che ai miei occhi la redime (sicuro non le dispiace di tutto il male che ha fatto e sicuro non l’ha fatto per motivi non narcisisti e quella è una che abusava il fratello minore perché lo odia e fine e con jaime lasciamo stare che tbh manipolarti uno coscientemente o meno tutta la vita perché *lui è te* sbattendotene della sua personalità o delle sue opinioni per me è aberrante), theon no e si vede palesemente se confronti i loro capitoli. pure io ho problemi con gente che ferisce/danneggia i miei fave, ma se hanno dei motivi e non lo stanno a fa per cattiveria sono molto più disponibile a vedere il loro lato e theon assolutamente ce li aveva e non lo faceva per cattiveria. e detto ciò, per quanto cersei la odi e pensi che ha fatto tutto quello che ha fatto per i motivi non nobili di cui sopra, comunque non penso si meritasse la walk of shame.
cioè. rega. non se può con sta storia che se l’è cercata. se non ti viene empatia ad uno torturato così ok ma non posso proprio concepire che uno se l’è cercata quando si tratta di torture. fine XD
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fightlifeasawolf · 7 years
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Voglio dirti che non mi sono dimenticato del tuo compleanno, il 26 Luglio, ma che ho aspettato a scrivere tutto questo solamente perché non ho trovato la forza fino ad ora, non so come tu possa prenderla e non voglio rovinarti un giorno così importante..Tu pensi che io mi sia allontanato volutamente da te e che non me ne freghi più niente di te e che possa non riconoscerti più ma la realtà è molto diversa… L'ultimo periodo insieme è stato veramente duro, ti ho persa per l'ennesima volta, poi ritrovata e mi ricordo ancora come fosse ieri quando la sera del 5 dicembre ci siamo salutati, dopo un ultimo bacio e mi ha detto “fai il bravo”; ne avevamo passate tante ma la tua partenza per me è stato il colpo di grazia, dopo tutto quello che era successo, è una cosa che mi ha letteralmente spaccato il cuore ma non te ne faccio una colpa, non ti avrei mai impedito di partire, lo sappiamo entrambi e l'unica cosa che mi rallegra è sapere che mio malgrado, questa esperienza che stai vivendo ti renderà una persona migliore e ti aiuterà a trovare te stessa. A te sembrerà strano ma il sono davvero felice di leggere che ti senti una persona diversa, più matura e migliore, ti avevo detto che questo viaggio ti avrebbe cambiata in meglio, tra i lavori che stai facendo, il fatto di avere orari precisi, di dovere fare per forza cose che non si ha voglia di fare a orari in cui si vorrebbe solo dormire come ad esempio i turni che stai facendo e infatti scrivi che non sei più la piccolina che ricordo. Voglio dirti però che io non sono innamorato della “piccolina”, ma di te; possono sembrare due cose analoghe ma la differenza é abissale. Io so bene che non hai avuto un passato per nulla facile, che sei stata delusa da persone che non ti meritavano e che tutto questo ti ha portato a costruirti un muro intorno, a usare una maschera anche quando eri con me che ci ha rovinati ed è a questo che mi riferisco con “piccolina”, so che non avresti voluto.. Io sono innamorato della persona che forse nemmeno volutamente ti sei dimostrata in certe occasioni, magari senza nemmeno rendertene conto, quando hai abbassato quei muri e sei stata te stessa, la vera te e non quella che vuoi sembrare. Ho impressa nella testa la lettera che mi hai scritto per i nostri tre mesi e soprattutto la parte in cui dicevi che avevi così tanta paura di affezionarti a qualcuno per paura di diventare troppo pesante e rovinare tutto… Ho avuto tanto tempo per ragionarci su e rileggere quella lettera mi ha solamente confermato tutto. Guardati, hai 21 anni, sei una ragazza che ne ha superate veramente tante, sei forte e semplicemente gli anni scorsi ti sei sottovalutata, cosa che ti ho detto una infinitá di volte e di cui finalmente ti resa conto. Mi ricordo quando mi dicevi che non meritavo una persona come te al mio fianco, perché ne combinavi sempre qualcuna, eri scazzata, alti e bassi a non finire ecc ma la verità è che ho sempre saputo come sei realmente e per questo sono dovuto arrivare al punto di dirti brutte cose per darti una “spronata” a reagire e tirare fuori il carattere, ti chiedo scusa per tutte queste cose ma non potevo proprio vederti buttarti via. Mi hai fatto stare veramente male in certe occasioni, per colpa della tua indecisione ma io so che quella persona non eri la vera te ma la maschera che usavi quando stavamo diventando troppo, so che in cuor tuo hai già tutte le risposte che cerchi ma non hai voluto vederle perché ti facevano troppa paura. Quante volte ti ho detto che non ti riconoscevo più gli ultimi tempi? Una infinità… eri sempre scazzata, non avevi voglia di fare niente, mi trattavi male e ti circondavi solamente di gente che ti dava attenzioni ma di cui fondamentalmente non te ne fregava un cazzo. Io non sono scemo, so benissimo che la vera te non era così, perché quando ti sei aperta a me del tutto, senza freni eri l'opposto di quello che ho scritto qualche riga più su. Se come dici tu sono solamente i ricordi a tenerci in vita io avrei tutte le motivazioni di questo mondo per odiarti, perché ho una infinitá di ricordi negativi di noi nei momenti in cui alzavi i muri e scappavi da me. E invece sono qui, dopo 7 mesi di cui da più di 3 in cui non ci sentiamo a dirti tutto questo, a dirti che mi mancano i nostri baci, quelli veri, che mi manca dormire con te tra le braccia, svegliarmi la mattina, aprire gli occhi e per prima cosa vederti, fare colazione insieme, andare al cinema a vedere qualsiasi tipo di film, regalarti rose e fiori a caso solamente per farti sentire speciale e mia, per farmi perdonare quando magari facevo qualche cazzata, i nostri giri in macchina a caso, le nostre canzoni, girare mano nella mano, anche quando guidavo, portarti in posti sperduti a vedere le stelle stesi su una coperta, i “mi manchi” che mi scrivevi a orari indecenti della notte quando magari eri pure ubriaca, i tuoi poemi per messaggio, le tue lettere, la tua casa, i tuoi occhioni marroni, le sere passate a letto insieme a guardare glee e altri film, quando non stavi bene e venivi a cercare i miei abbracci e la mia mano, i tuoi sorrisi e un sacco di altre cose. Non mi mancano per niente i tuoi amici, perché ti hanno solamente usata, perché non li sopporto e perché alcuni hanno cercato di portarti via da me e non so che santo mi abbia trattenuto dal non fare un macello. Non sono i ricordi a tenermi così tanto legato a te, ma il fatto che so come puoi essere se solo mettessi un po’ più di coraggio in noi e in te stessa perché ti ho conosciuta, ho conosciuto anche la parte che tieni nascosta, i tuoi punti deboli e tutto il resto. Avevi solo bisogno di essere capita, non usata. Non ho mai nemmeno lontanamente pensato di sostituire certi componenti della tua famiglia, ma ho cercato in tutti i modi di trattarti allo stesso tempo come la mia ragazza e come componente anche della mia famiglia. A volte mi incazzo da morire perché ci sono persone che non ti meritavano, che ti hanno fatto stare malissimo, che ti hanno usata, che ti hanno rovinata ma che però hanno avuto una possibilità di averti quando ancora riuscivi a dare tutta te stessa, senza freni, senza paure, senza l'ombra di un allontanamento incombente. Quello che forse non hai ancora capito è che io non voglio sentirmi dire da te che mi ami, ma vorrei una possibilità per dimostrarti che posso farti innamorare di me, se solo non frenassi tutto ogni volta. Lo so che hai paura che anche io possa farti del male ma guardami, mi sono fatto a pezzi per te, la mia felicità é correlata alla tua, non potrei mai deluderti come hanno fatto altre persone, perché verrei a fondo con te e lo sappiamo entrambi, ma forse non vuoi ammetterlo perché l'idea ti spaventa troppo. Ti preoccupi che io possa non sapere di che colore hai i capelli, quanto li hai lunghi, che non possa ricordarmi della tua voce, del tuo corpo, non possa sapere che lavoro fai, cosa fai nel tempo libero, se vuoi lavorare o studiare ma a me di tutto questo importa davvero poco, non mi fa differenza a patto che quello che fai ti renda felice, se mi preoccupassi solo di quello sarei superficiale, di belle ragazze è pieno ma in quante possono prendermi il cuore e la mente come hai fatto tu? La risposta è nessun'altra. Sono le piccole cose, quelle di ogni giorno ad avermi fatto innamorare.. Ho avuto tante motivazioni per sparire, il fatto in primis che sei sparita per l'ennesima volta da un giorno all'altro, il fatto che sto attraversando un periodo veramente buio della mia vita e non voglio che tu ne possa pagare anche solo lontanamente le conseguenze, il fatto che sei dall'altra parte del mondo e sentirti senza poterti vedere mi fa vivere con mille paranoie mentali, il fatto che se non fossi sparito per un po’ non ti saresti goduta al meglio la tua esperienza e altre cose che sono secondarie. In più c'è il fatto che le persone che hanno contribuito a rovinarci ti girano ancora intorno come mosche e io lo vedo, non sono scemo e questa cosa proprio non la tollero più, mi avevi detto che sarebbero sparite e che non te ne fregava ma sono ancora lì, belli pronti a sfruttare la prima occasione buona. Il solo pensiero di queste persone, sentire il loro nome o vedere una loro foto mi basta a rovinarmi la giornata, ho la tolleranza verso di loro che è sotto i piedi e non mi vergogno ne mi sento in colpa a dire che sono delle merde per me e che mi sono trattenuto solamente per te, non di certo per me. So che potresti avermi sostituito e la sola idea mi uccide ma so anche che se fosse così ti saresti semplicemente accontentata, come hai fatto con altre persone. Pensi che me ne sia andato per menefreghismo quando la verità è che non ho mai fatto una cosa così difficile in vita mia, sparire dalla persona che amo per darle modo di trovare se stessa, per darle la possibilità di vivere senza il mio continuo inquinamento intorno. Mi sono allontanato anche perché io non mi accontento di avere, a differenza di altri, solamente il 30-40% di quello che potresti darmi per tre-quattro mesi, ma voglio averti tutta per me, al 100% perché sono certo che tu possa essere in grado di rendermi felice. Hai sempre detto che non hai mai messo maschere ma ogni volta che c'era la prospettiva di qualcosa di veramente bello insieme che poteva avvicinarci ancora ti tiravi indietro. Non voglio farti sentire in colpa ma ti chiedo di rifletterci ora che hai tempo, a quei momenti che non potranno più tornare, che avrebbero potuto renderti felice e che invece solamente per paura non sono stati niente. Mi sono allontanato perché ho dovuto, non perché ho voluto. Non potrò tornare finché non troverai del tutto te stessa perché altrimenti ti farei solamente regredire, sarebbe un litigio continuo e quindi ci faremmo del male, a causa delle solite indecisioni so già che potrebbero di nuovo mettersi in mezzo persone a provare di allontanarci. L'unica persona che può renderti una persona migliore sei tu, e sono certo che tu abbia la forza necessaria a farlo, io ho cercato solamente di farti sbattere la testa il meno possibile contro le cose, a volte mi hai ascoltato e altre no… Hai fatto tanti errori in passato e molte volte sono stato io a pagarne le conseguenze ma penso che potresti essere cambiata veramente questa volta e la cosa mi rende davvero felice. Ti sei creduta tanto debole quando in realtà tra i due quella forte eri tu e ora finalmente te ne stai rendendo conto. Magari vedi delle mie foto in cui sorrido e sembro felice ma non lo sono, dico sempre che va tutto bene a tutti e cerco di farmi coraggio quando in realtà se non ho te può andare tutto bene ma non benissimo. Quando ho visto tua sorella (p.s. Non mi sono dimenticato nemmeno del suo di compleanno) al centro commerciale mi aspettavo fin da subito la classica domanda “come va?” a cui ho risposto con il solito “bene”, ma mi sono sentito morire, è stato come rivederti per un attimo e nella mia testa è partito il caos e ricordati che non sei l'unica brava a nascondere quando qualcosa non va. Non sai quante volte ho pianto per te in passato come ora, quante volte ti vorrei vicino e invece mi ritrovo da solo. So bene che tutto questo può sembrare da pazzi ma a tempo debito te ne renderai conto. Mi sono allontanato dalla tua vista, ma ti sono rimasto molto più vicino di quanto tu possa immaginare. Sei in tutto quello che faccio ogni giorno, mi basta un nulla per pensarti.. La mia non è paura di restare da solo, ma è paura di restare senza di te. Vorrei solo avere una possibilità di dimostrati cosa potremmo essere insieme se solo non scappassi da me ogni volta, vorrei solo avere una vera possibilità di farmi amare da te ma non posso darmela da solo, per fare funzionare un rapporto bisogna essere in due, per me saresti in grado di rendermi la persona più felice del mondo, credo in te ma non posso fare sempre tutto io, devi volerlo anche tu. Se pensi che io non abbia paura di amare ti sbagli alla grande, viste anche le mie precedenti relazioni.. non siamo poi così tanto diversi e se ce la ho fatta io devi farcela anche tu che ripeto tra i due sei quella più forte. Ma ti prego di metterci del cuore in tutto quello che fai, senza paure, la forza non ti manca di certo. È vero che sono cambiato, con tutte le altre persone sono molto più distaccato e me ne frego totalmente di quello che dicono e fanno, ma non nei tuoi confronti, non posso cambiare per noi e avremmo da dirci molto più di quanto crediamo, solo siamo i soliti orgogliosi di merda. Avrei veramente un sacco di altre cose da dirti e potrei parlare all'infinito di noi ma non ne ho la forza ora, ho scritto tutto questo senza nemmeno rileggerlo e quindi potrebbero esserci errori grammaticali e discorsi ripetuti ma lo ho scritto con il cuore e mi interessa solamente che arrivino i concetti, non deve essere una cosa bella da leggere, non è un tema a scuola. Ad ogni modo, qualunque cosa tu scelga di fare voglio dirti che mi manchi da morire, che sono felice che tu stia credendo sempre più in tè stessa perché è una cosa che aspettavo da quasi due anni, che spero tu possa fare tutto quello che sogni e che c'è una persona qui che aspetta solo te, anche se magari per te non è più “casa”. Sei la prima persona che ho amato davvero e che tu voglia o meno io non voglio e non ti posso dimenticare, come non posso smettere di provare quello che provo per te. Ti amo, anche se lo sto facendo in silenzio, fuori dalla tua vita. Ti auguro buon compleanno dal più profondo del cuore, mi sarebbe davvero tanto piaciuto essere lì e farti fare qualcosa di speciale e sembrerò illuso ma in un tuo ritorno ci spero sempre, mi manchi.
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villeallen · 5 years
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Cara Elisa,
Passano gli anni, le estati ma tu non smetti di mancarmi.
Soprattutto quando l’estate arriva. 
Non so perché, ma mi logora.
Cerco sempre un senso e una buona pezza per tappare quel vuoto; ma non funziona mai niente.
Non riesco a smettere di essere malinconica, come quell’adolescente che ero solita essere.
Quando si tratta di te, non ho barriere, crollano tutte.
Mi hai conosciuta subito dopo che i miei si erano separati e io ero stata bocciata, finendo nella tua classe. 
Ero diffidente, non credevo più in niente e le persone erano solo state capaci di ferirmi fino quel giorno. 
I miei genitori, i bulli, le amicizie che non erano mai state amicizie, tutto mi aveva resa triste, arrabbiata e molto diffidente nei confronti di tutti. Ero sicura che la gente era solo capace di ferire.
Non avevo mai avuto un vero amico.
E come molte specie di animali, oggi, posso dire che l’umano non è nato per essere solo, è un animale gregario.
Ha bisogno di compagnia. Come dicono gli Smiths: ‘I am human and I need to be loved’.
Non penso di aver mai provato quel sentimento, di contare per qualcuno.
Tu lo sai meglio di me: Dove sono cresciuta io è un manicomio, non ho mai potuto pretendere tanto, come l’affetto. Ho sempre contato su di me quando le cose non andavano, nessuno c’era.
Poi forse è stata colpa del Prof. Rossi, quando durante una delle mie prime assenze aveva spiegato a grandi linee di andarci piano con me, perché venivo da una situazione delicata, e che ero molto timida, di fare voi la prima mossa nei miei confronti.
Ma io mi ricordo di voi: Il primo giorno che misi piede in quella classe risi per tutto il tempo.
Ero seduta ad un banco da sola, in fondo, e vi osservavo tutti quanti, non sapevo nessuno dei vostri nomi, ma a fine giornata li avevo già memorizzati tutti quanti.
Potrei perfino dire la posizione dei banchi e in che ordine eravamo ai posti.
Avevo imparato i vostri nomi durante i racconti che stavate facendo sull’estate, e ridevo così tanto, facevate un sacco di battute tra di voi: Non c’erano distinzioni, sembravate una grande famiglia, nessuno escluso.
Ricordo ad un intervallo, io li passavo in classe a disegnare solitamente perché non avevo nessuno con cui passarlo, e nemmeno volevo. Avevo deciso che se non facevo sapere niente di me a nessuno, nessuno poteva ferirmi. Volevo restare nel mio guscio, per proteggermi.
Ma quell’intervallo arrivò Lorenzo, dandomi una pacca sulla spalla. Io pensai mi volesse prendere in giro. Invece mi disse che disegnavo bene e perché non uscivo a fare l’intervallo con loro. 
Io lo guardai basita, gli dissi che per quel giorno avrei finito il disegno, ma di sicuro d’ora in poi sarei uscita.
Ci volle un po’ di più, in realtà, ma poi arrivasti tu, che nemmeno riuscivo a sopportarti perché stavi sempre con quell’oca di Viola, e pensavo che tu fossi oca come lei visto che eravate sempre insieme.
Ma mi sbagliavo. 
Non so nemmeno come poteste andare d’accordo, col senno di poi.
Quasi mi torturavi, mi perseguitavi pur di comparire tra i miei pensieri e farti notare. 
Avevi deciso che dovevamo diventare amiche, ma tu non mi piacevi per nulla. Non riuscivo ad inquadrarti.
La prima volta mi prestasti il tuo libro di letteratura, se non sbaglio, per fare le fotocopie, poiché il mio non era ancora arrivato.
Mi portavi tu i compiti a casa quando mi assentavo e alla fine ho idea che picchiasti il Prof. Rossi per farti mettere in banco con me.
Eri abbastanza uno strazio.
Ma alla fine ci riuscisti. Indiscretamente mi ponevi domande su di me, su come mi vestivo e tutto senza giudicarmi. Così cominciai ad aprirmi, credo che questo fu dopo la prima metà dell’anno, ti avevo fatta sudare non poco, suppongo.
Dicevi sempre che i miei disegni erano belli, ora non disegno nemmeno più.
Un giorno decisi di passarti il mio quaderno dei disegni, sulla quale facevo anche un sacco di scritti e tu ogni volta che scrivevo qualcosa rimanevi a fissarmi come per chiederti cosa avessi di così importante da scrivere.
Ogni tanto riprendo quei quaderni che riempii nelle ore scolastiche e rileggo quello che scrivevo. Erano le cose più sincere ed emozionanti che abbia mai scritto.
Lontano da tutto ciò che faccio ora.
Crescere fa davvero schifo.
E ti passai un pezzo della mia vita da leggere.
Penso che in quel momento tu ti mettesti in testa che in qualche modo, le cose dovevano cambiare e saresti stata tu a farlo.
Perché se prima eri ossessionata, da quella volta, fu peggio. Non ti levai più di torno.
Ed ero la persona più felice al mondo: Avevo un’amica.
Una di quelle vere.
Mai avute, non sapevo neanche come comportarmi con un amico. 
Ma poi in quella meravigliosa classe imparai che l’amicizia è una cosa semplice e spontanea.
L’anno seguente, litigasti con Viola definitivamente e io te diventammo ufficialmente culo e camicia. Ovviamente io, sempre la camicia.
Ricordo che quando arrivò l’estate del primo anno, puntualmente arrivavi a casa mia alle 14.30, quando iniziavano i Simpson e mangiavamo Nutella e qualsiasi cosa che ci si potesse infilare dentro, preferibilmente salata e poco salutare.
Ti insultavo perché mi interrompevi l’unico programma che guardavo in TV, e tu ti lamentavi del fatto che non ti avessi aiutata a portare sù la bici.
Ah, poi ti ricordi l’anno dopo quando in bici - sulla tua bici - andammo a stalkerare Giuditta?
Perché lei ti aveva detto che non c’era e poi la trovammo in giardino con Viola.
Ma noi ce ne sbattemmo perché con la tua bici che hai guidato tu tutto il tempo (‘perché tu hai più muscoli’), ci eravamo divertite un sacco. Anche quando siamo cadute nel fossato al lato della strada a Garbagnate.
Okay, penso tu in realtà fossi scocciata ma io al pensiero rido ancora ora. 
E tutto rimaneva lì, semplicemente, tra le nuvole.
Pensieri astratti, dove i nostri peggiori pensieri non potevano toccarci perché avevamo l’una per l’altra.
Ricordo che mentre camminavamo sui marciapiedi di Garbagnate, dicevamo quanto odiassimo le nostra famiglie, come andavano le cose, della tua squadra di pallavolo e delle raccomandate che si prendevano ruoli più importanti del tuo. Ed era così. 
Poi la strada che hai fatto la conosciamo entrambe, quindi, lo sai che ho ragione.
E mi manca, dannatamente, tutto questo.
Quelle estati semplici e spensierate.
Impazzisco al pensiero che non saprò mai come sarebbe ora.
Perché tu, da un giorno all’altro mi hai mollata alla mia vita senza ma né perché.
Ho fatto milioni di ipotesi e provato a scriverti più volte ancora, ma non è servito a nulla.
E mi sembra incorretto e sleale da parte tua.
Ed improvvisamente la situazione si è ribaltata, io ti ho cercata ma tu non ti sei mai fatta trovare.
Alla fine l’unica spiegazione è che ti hanno rapita gli alieni e ti hanno fatto il lavaggio del cervello.
Questo spiegherebbe perché ora ascolti quell’orribile musica hipster: Ti avevo dato delle buone basi!
Lo so, ne sono consapevole. Oggi quelle estati sarebbero diverse.
Lo sento anche io, il peso della vita. 
Certe situazioni ti schiacciano e ti cambiano radicalmente, senza volerlo ma succede. 
Ma ogni tanto lo penso, lo desidero, magari in montagna a guardare il mondo dall’alto, io e te, nel silenzio e poi l’eco del vento.
Dopo momenti di pesanti confidenze arriverebbero ancora quelli stupidi e saremmo ancora noi.
Avrei un mondo di cose da raccontarti e sono sicura che ne avresti anche tu. 
In mezzo a tutto il caos veloce che è oggi la vita, ogni tanto potremmo esserci ancora noi.
Se lo volessi.
Sono andata avanti, fingendo che potevo fare a meno di te, ma sono stanca di rimanere delusa dalle persone quando vedo che non sono te.
Non ho più avuto veri amici dopo le medie, solo un sorriso tirato dopo un sorso di birra amara, accorgendomi di non trovare più quelle sensazioni.
E non voglio diventare un’adulta infelice, rancorosa e con rimpianti.
Riuscirò a trovarti di nuovo e ti tirerò un calcio in culo per il tempo che mi hai fatto perdere a cercarti.
Sembra che tu mi abbia cancellata dalle tue memorie, dannati alieni.
Ma ogni tanto mi piace pensare, soprattutto al mio compleanno, quando dopo mesi di inattività sui tuoi social posti una canzone, che sia rivolta a me.
Quest’anno al mio compleanno era ‘Home’, e anche se poi guardando dal di fuori la tua vita, so che non c’entrava più nulla con me, ma mi ha fatto riflettere che in quegli anni per me, sei stata la mia casa. 
E per una persona come me, che ha avuto poco o nulla nella vita, tu hai significato tutto e non potrò mai lasciarti indietro, mettitelo in testa.
Pensa che stupidamente i primi tempi che eri scomparsa, credevo ancora che quando suonava il campanello a caso, fossi tu che venivi a trovarmi facendomi una sorpresa, come facevi quando ti eri trasferita.
Stupidamente mi succede ancora qualche volta di crederci. E ci rimango ancora più male.
Perché a me dopo tutto questo non è mai passata.
Non ho mai trovato un buon amico con cui rimpiazzarti e andare avanti, come fanno tutti.
Io continuo a legarmi a persone che non si interessano di me. Forse è la mia condanna, perché dopo te, per colpa tua, ho fiducia nella gente.
E se queste parole ti hanno fatto tornare alla mente quello che gli alieni ti hanno rimosso, ti prego, torna.
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ggdbcheapsale-blog · 5 years
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Ma il programma migliora. A seconda di quando iniziamo, il modo corretto con cui molti contribuiscono al tuo IRA / 401K e le informazioni sul budget di una persona, con un interesse misto ai tuoi investimenti, Golden Goose Superstar Donna Sneakers otresti ritirarti prima. Voglio dire, molto prima. Come si trova in età 47. ​​ Questi sono in realtà molto normalmente le persone abbastanza che di solito saltano da una possibilità ad una extra senza in realtà seguendo qualunque cosa. E sono attratti dall'inutile 'Fool's Gold' della campagna pubblicitaria più moderna, con tutto ciò che può essere promesso con denaro immediato e denaro standard. Non è indicativo quello che i contenuti dei social media includono. Questa sarà la più importante affermazione di conti 'no duh' più importante di tutte, ma una persona non può che le vecchie cose durante Facebook perché dovresti essere in grado di far avanzare Twitter. Qualcuno non può controllare un canale Youtube senza dubbio la stessa linea di condotta che costruisci un profilo di selezione Golden Goose Sneakers Saldi rani di MySpace. Probabilmente è stato così male prima degli anni '60, quando il denaro poteva essere effettivamente tenuto in un parco per i pensionati di lungo corso, Lyndon Johnson e inoltre la sua allegra band di socialisti approvava le leggi in quel caso i soldi non potevano avere per essere sempre salvati, è possibile andare spesso in denaro generale e questo significa finanziare la sua 'grande società'. Oggigiorno la maggior parte della gente si precipita verso gli schermi dei loro computer e, al tempo stesso, salario e opportunità realizzabili stanno facendo un sacco di lavoro per aiutare a fare la loro grande quantità di denaro. Molto poco fa un po 'più di quel minimo che sopravviverà! Le somiglianze tra questi tipi di due periodi della storia umana sono notevoli! RSS ha sofferto dai suoi inizi tempestivi avendo Netscape che vive nel 1991 e che ha introdotto la prima vera variazione di Google (RDF Riepilogo sito web). Le versioni successive potrebbero probabilmente essere introdotte e trovate popolari, mentre Dave Winer di ScriptingNews e Userland hanno fama che si è considerati abbastanza simili ai papà fondatori di Rss o Atom. Li ho sperimentati ogni singolo. Tutto come il famoso nome significativo lbs. guru della perdita che vendono la tua auto in programmi televisivi. Jenny, East Beach, Atkins lo fai a brandelli. è stato ispirato in un primo momento da Golden Goose Sneakers Saldi uasi di loro. Ho pensato che avrei potuto trovare questa particolare marca d'oro del marchio d'oca d'oro tra tutti. Non ha richiesto troppo tempo per un po 'di entusiasmo per svanire all'aperto. In primo luogo, evita di comprare casa alla vendita irs. L'individuo può mostrare già Golden Goose Saldi eciso su questo. In caso contrario, ecco i motivi principali per cui di solito si acquista casa per le tasse di supporto alla vendita delle tasse: c'è molta concorrenza e le offerte vanno molto in alto; i clienti non possono scrutare le cose prima che gli acquirenti comprino; la maggior parte dal tempo, i clienti pagano le tasse, lasciandoti senza un debito; oltre alla fine, la tua attività ha per te a venire con il proprio intero acquisto proprio lì e in genere lì - in contanti.
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Gli ho sboccato addosso il cuore
Camminava in riva al mare, guardando i suoi piedi e le onde che si scontravano su di essi, scavalcandoli, quasi fossero insignificanti. Sotto lo sguardo a volte attento a volte perso dell’altro. Lei ridacchiava tra se e se, nonostante dentro stesse uno schifo. «Però ...immaginati...chissà come sarebbe bello se...» guardò in basso e una mezza risata interruppe la sua frase «Come sarebbe bello essere...innamorati, ma innamorati davvero, insomma, come quando ti prende la corrente, ti abbraccia, ti stringe, ti avvolge, ti avvinghia e non ti lascia, ti porta via con sé, spesso nei guai ma è sempre così meraviglioso, sempre così rilassante...chissà come sarebbe bello se...se qualcuno mi facesse così, mi prendesse, mi facesse voltare e mi portasse con sé, lontano, ma senza muoversi, con solo due parole, ‘TI AMO’, sarebbe il viaggio più bello di sempre non trovi?» Disse senza alzare lo sguardo. Il contatto coi suoi occhi l’avrebbe uccisa. Il tono allegro le dava quell’aria da bambina che stava giocando in riva al mare. Lui la guardò, non sapeva che rispondere, ma non ce ne fu bisogno, perché lei poi riprese «Io sono innamorata, ma non partirò mai con lui, non mi farà mai voltare, non mi porterà mai con se, non mi farà sognare e volare via con quelle due parole, lo so...me lo hai detto no? Non è quello che vuoi, e va bene così...sai...io non pretendo molto a dire il vero, io voglio solo non stare troppo male, voglio solo che tutto vada bene per un po’ e che tu stia bene...ma non è così…così…le cose vanno bene, e okay, ma io sto male e anche tu...anche se non lo vuoi ammettere...non vuoi che io o chiunque altro ti salvi...e fa male...fa un male assurdo, tu non puoi capire quanto diavolo fa male...e mi fa anche arrabbiare, non riesco ad aiutarti perché tu non vuoi...ma ne avresti bisogno..» disse con semplicità, nonostante la sua voce tremasse ed il suo corpo pure, gli occhi gemevano dal dolore delle lacrime che le continuavano a pungere gli occhi insistendo per uscire. Si rifiutava sempre di mostrargli la parte peggiore di se, o almeno, ha sempre odiato quando lui la vedeva fuori controllo, anche se sotto sotto sapeva che lui avrebbe preferito sempre quando lei si lasciava andare. «Non ho bisogno di essere salvato...non capisco perché dici così, io sto bene...se ritorniamo a quel discorso io te l’ho detto...sto...bene da solo..» «Non è vero! Questo non è stare bene! Non stai vivendo, tu...sopravvivi! È sbagliato così! Tu non hai idea di quanto questo mi faccia arrabbiare! Perché non apri gli occhi! Perché devo stare male io per poterti fare del bene!» Sbottò interrompendolo con le lacrime agli occhi e in respiro affannato. «Io non ce la faccio davvero più! Ti prego lasciati aiutare...ti prego! Se non lo vuoi fare per me fallo almeno per te stesso! Ne hai bisogno! Hai bisogno di stare bene! Quando capirai che io non voglio farti del male!? Quando capirai che io voglio solo aiutarti!?» Lentamente le sue gambe stavano cedendo. «Non sei certo tu che mi dovresti aiutare» «Non ho detto questo, ho detto che devi farti aiutare! Ti prego! Ho bisogno di vedere felice almeno te! Se non posso stare bene io almeno voglio che stia bene tu! Perché non capisci che se stai bene io mi sento meglio? O non conto proprio nulla per te!? Ora buttiamo nel cesso anche un amicizia eh!? Ottimo! Sai cosa ho da perdere!? È troppo che mi sento così da schifo, così presa ingiro, direi che possiamo finirla qui, e quindi forza! Lanciami il colpo di grazia e urlami in faccia che non conto veramente niente per te!» Urlava e urlava, ma a lei non importava, infondo c’erano solo loro, il rumore del mare, gente in lontananza o dal pontile che li guardava ogni tanto. Era sera. Era buio. Si vedevano solo le luci non troppo distanti e i loro occhi rifletterla, oltre che le onde quella della luna. I capelli continuavano a muoversi come avessero vita propria, ogni riccio era una molla pronta a scattare in ogni direzione ad un suo singolo movimento, ma lei li amava, si sentiva fiera di essi, e sentiva di avere più carattere con quei suoi stramaledetti capelli ricci. «Io non ho idea di cosa tu stia parlando, lo sai che per me sei importante, ma ti ho detto che io voglio rimanere tuo amico, tutto qui, ma se sembra così difficile per te perché non me lo hai detto?» «Perché io ti amo! Io ti amo! Non potrei sopportare di non vederti o non sentirti, preferisco farmi del male e continuare a vederti lontano da me piuttosto che non vederti affatto! Starei male comunque! Ti amo! Ti amo ti amo ti amo! Tu non hai idea di quanto mi faccia male dirlo o anche solo pensarlo ogni stramaledetta volta! Fa malissimo! E ti odio perché mi hai fatto questo! Perché mi hai portato ad amarti e non riuscire a fare a meno di te! Ti odio con tutta la mia testa e poi...e poi ti amo con tutto il mio cuore, e...e sono così confusa, non capisco come sia possibile questo ma lo è, il cervello mi dice di lasciarti andare e che non ne vale la pena, e il cuore mi dice che non mi devo azzardare ad arrendere, non ci capisco più niente! Ti prego dimmi che cosa devo fare! Dimmi se è giusto che io stia così o se io meriti qualcosa di meglio! Dimmi se anche io non ho diritto ad essere felice! Dimmi che cosa devo fare!» Le sue lacrime oramai le avevano innondato il viso, le urla erano diventate piene di sofferenza, singhiozzi e sentimento, le gambe avevano lentamente ceduto fino a lasciarla in ginocchio, stretta su se stessa, a stringere il cuore con una mano e un pugno sulla sabbia bagnata con l’altra. Lui rimase seduto a distanza senza osare proferire parola, semplicemente aspettò che lei smettesse di piangere. Quando smise rimase giù un po’, 5, forse 10 minuti circa, sapeva solo che erano minuti interminabili, il silenzio era forte, solo le onde riuscivano a calmarla. Lentamente si alzò, nemmeno si scosse dalla sabbia sul corpo, eccetto quella nei capelli che lasciò muovere selvaggi come sempre. Rimase zitta qualche istante assicurandosi che la sua voce sembrasse tranquilla e cercò le parole, per poi chiedere a voce ferma «Non dovremmo tornare?» La casa affittata per le vacanze dai ragazzi era esattamente di fronte al pontile, ma quella sera sarebbero rimasti soli, dato che l’altra ragazza era insieme al fidanzato e ...beh...non era certo una santa quella sua amica… «Avranno finito?» chiese lui alzandosi, si avvicinò di qualche passo, lei restò immobile, lo avrebbe respinto in ogni modo possibile in questo momento, non poteva permettergli di avvicinarla quando era così debole «Ho idea di si..» «Allora...andiamo...se sei sicura..» Lei si avviò e lui a suo seguito, nel passaggio dalla spiaggia alla strada dei ragazzi seduti su muretto le fischiarono dietro, ma lei continuò con lo sguardo fisso e famelico, li avrebbe sbranati tutti, ma sa che avrebbe solo sprecato energie. E pensare che quella sera sarebbe dovuta rimanere a dormire da loro e, dato che vi erano un matrimoniale, dove stavano l’amica e il fidanzato, lui dormiva sul divano letto, doppio, unico altro posto dove sarebbe potuta stare lei… «Preferisci...che ti porti a casa?» «Magari ti tengo sveglio con i miei singhiozzi e i sensi di colpa ti mangeranno mentre inutilmente tenti di addormentarti» Disse guardando per attraversare. Sapeva che quando era nervosa diceva frasi stupide che sarebbe stato meglio evitare, ma comunque non riusciva mai a fermarsi. «Okay..» disse semplicemente. Non capiva se fosse rimasto senza parole, sconvolto, o se avesse preferito tacere, ma era meglio così, anche se sapeva che prima o poi l’argomento sarebbe nuovamente saltato fuori. Quella sera gli avevo semplicemente sboccato addosso il cuore.
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