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#louis jouvet
idlesuperstar · 9 months
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Jean Gabin as Pepel and Louis Jouvet as The Baron in Les Bas-Fonds [d: Jean Renoir, 1936]
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deathnskulls · 6 months
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Laure Albin-Guillot // Louis Jouvet // 1925
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thebarroomortheboy · 7 months
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Hôtel du Nord | dir. Marcel Carné
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mnetn · 6 months
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ivan 🀄
la dernière fois en cours d'analyse de séquence on a vu un extrait de ce film, ma pote et moi on s'est regardé en ricanant et j'étais très heureuse de voir monsieur jouvet sur grand écran !
purée quelle présence !!! ses grandes jambes qui dépassent du ptit fauteuil mdrrrr. @faisonsunreve (je pense que tu vas aimer)
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gatutor · 1 year
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Dany Robin-Louis Jouvet "Les amoreux sont seuls au monde" 1948, de Henri Decoin.
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letterboxd-loggd · 11 months
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Alibi (L’alibi) (The Alibi) (1937) Pierre Chenal
June 7th 2023
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zizijeanmaire · 9 months
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Luis Jouvet, Medellin, ore 3 del mattino, aprile 1943.
Il sipario è calato. Lo spettacolo è finito. Nessuno è venuto a trovarmi. Sono salito nel mio camerino, solo. Che strana sensazione, sempre, quella di essere ancora truccati e restare così “a metà” sospesi tra il teatro e la vita laica. Scrivo, come è mia abitudine, le osservazioni della recita. Questa sera, ho notato che l’attenzione del pubblico al terzo atto era più alta, più intensa del solito. Mi sono sentito commosso e turbato da una specie di perdita d’identità che mi ha fatto paura. La platea era un cratere che fiammeggiava in silenzio, un riverbero quasi insostenibile. Io dicevo il mio testo come sull’orlo di un abisso con il terrore di urtare su una parola e precipitare giù. Forse mi sono mancati questa sera, il controllo ed il sangue freddo. Forse ho ascoltato troppo, la sala. È un mio difetto. E forse mi sono spinto troppo in là e troppo a lungo. Ma come “fare il teatro” senza pensarlo, senza porsi delle domande? Come stare in mezzo alla gente e non guardarla e non chiedersi, non interrogarsi sul teatro e sul mestiere dell’attore ? Su quello che “il teatro” è? Perché è? Perché lo si fa? Dopo trent’anni di pratica, il teatro mi appare ancora in tutti i suoi aspetti soltanto come un mistero. Provoca in me dei turbamenti profondi, dei disordini interiori difficili da spiegare. So soltanto che ci sono due modi per fare o considerare il teatro: alla superficie o in profondità, o meglio in altezza, voglio dire proiettato nella verticale dell’infinito. Per me, il teatro è questo: una cosa dello spirito, un culto dello spirito. O degli spiriti. Divisa, lacerata continuamente tra sentimenti contrari, la mia vita è passata nel teatro, in una servitù volontaria, dove il disgusto e la vergogna si sono mescolati sempre con il fervore e la fiducia e lo scoraggiamento con l’entusiasmo. Come tutti quelli che operano ed agiscono ho tentato d’imparare e di capire questo gioco, che gioco non è, del recitare e le ragioni di coloro che al gioco partecipano. Non l’ho capito. Ma nonostante tutte le delusioni che ho provato, in questa vita d’illusioni, tutto mi appare ancora oggi meraviglioso, anche se incomprensibile. Chi sono coloro che vengono a sedersi, una sera, in una sala di teatro? Chi sono coloro che parlano e si muovono sulla scena? E chi è colui che ha scritto un’opera drammatica? Tutto ciò che ho cercato di fare nel teatro, tutto ciò che ho cercato di conoscere mi lascia insoddisfatto. Se mi guardo a fondo non ho fatto altro che cercare di sapere e di tutte le calde emozioni che alcuni momenti drammatici mi hanno dato, soprattutto quando parevano indicarmi una scoperta vicina, solo questa curiosità mi resta. La scoperta non l’ho fatta. Continua la ricerca.
Può chiamarsi questa “la ricerca di un dogma?” È l’effimero del teatro che mi fa presentire in lui qualcosa di più grande, dietro? Sono le sue bassezza e le sue miserie che mi fanno cercare delle compensazioni? O è il desiderio di durare, di sopravvivere che mi fa vedere nel teatro qualcosa di spirituale, una specie di rinascita dalla morte, ogni sera? So che c’è in me una tendenza dogmatica e una tendenza mistica. Ma io sono e resto un attore che guida una compagnia di attori, non una specie di santo chiuso nel suo ritiro. Eppure io sento che in questa vita del teatro c’è una specie di corruzione, che nel teatro ci sono sempre degli elementi di corruzione. Essi vengono molto spesso fuori, da coloro che vogliono entrare nel teatro senza averne il diritto. Molto spesso dall’ignoranza di coloro che lo praticano oppure dall’impossibilità di essere sempre all’altezza di quello che io chiamo “stato drammatico” (e che cos’è poi questo teatro?). Intrusi, profani, dilettanti, povera umanità che cerca in qualche modo di raggiungere il sublime. Il teatro: creazione degli uomini per arrivare più in là, più in su? Esorcismo per combattere, ognuno di noi, i fantasmi che ci abitano? Gioco puerile che non va né più in là, né più in su di un gioco di bambini? Nessuno è ancora riuscito a trovare delle spiegazioni vere che riempiano il vuoto immenso di queste domande: cos’è il teatro? E perché si va a teatro? Perché si fa il teatro? E i rischi? È un mestiere quello del teatro in cui si rischia continuamente il disprezzo e la perdita di se stessi. E io ? Per quale anomalia, per quale sregolatezza dei miei sentimenti, proprio come dicono i Padri della Chiesa, mi sono ridotto a questa condizione di volere “far finta” per tutta una vita, di imitare, di … Ma perché “quelli” che mi guardano attoniti e commossi, in silenzio? Forse perché il teatro è fatto per insegnare agli altri altre cose che avvengono intorno a loro, perché essi credono o capiscono che coloro che recitano, sono là per “rivelarli” a loro stessi. Forse il teatro serve per fare sentire loro he hanno un’anima e un’anima immortale. Se è così, allora io sono l’intermediario di un’operazione altissima! Comunque sia, il mio mestiere è l’arte di fare credere qualcosa che non è, l’arte dell’apparenza. Far questo come una “maniera d’essere” e in questo esercizio trovare un equilibrio interiore per potere vivere. Trovare un equilibrio nel suo disequilibrio. Vivere nello sdoppiarsi. Perdersi nel teatro per ritrovarsi. Il segreto dell’attore, forse il segreto di tutto il teatro è qui… e i miei, sono propositi inutili. Ma possono fissare per l’anno 2000 (soltanto qualche decennio da oggi) lo stato d’animo di un attore qualsiasi, in un anno dell’epoca travagliata che stiamo vivendo. Un attore che reinventa, ogni sera, resuscita ogni sera il teatro con tutta la tenerezza che ha per amarlo meglio. È tardi. Non sono andato avanti di un passo. Tutto resta confuso, come sempre. Ho scritto. Sono stanco e non ho nemmeno il coraggio di rileggermi. Mi strucco
Luis Jouvet
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byneddiedingo · 1 year
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Jean Gabin and Louis Jouvet in The Lower Depths (Jean Renoir, 1936) Cast: Jean Gabin, Louis Jouvet, Suzy Prim, Junie Astor, Vladimir Sokoloff, René Génin, Jany Holt, Robert Le Vigan, André Gabriello, Léon Larive, Nathalie Alexeeff. Screenplay: Yevgeni Zamyatin, Jacques Companéez, Jean Renoir, Charles Spaak, based on the play by Maxim Gorky. Cinematography: Fédote Bourgasoff. Jean Renoir's encompassing humanism might have seemed the right sensibility to apply to Maxim Gorky's play about society's castoffs, who live in a crowded flophouse. But Renoir can't avoid "opening up" the play, which takes place entirely in the dingy living quarters and presents the continual conflicts and squabbles among the inhabitants and their greedy landlord. He chooses to begin with the backstory of one of the inhabitants, a baron (Louis Jouvet) so addicted to gambling that he has lost his entire fortune. Pépel (Jean Gabin), a thief who pays his rent at the flophouse by letting the landlord serve as fence for the stolen goods, one night decides to rob the baron's house, unaware that the baron is bankrupt and the authorities are in the process of repossessing everything he owns. When the baron discovers Pépel robbing him, he just laughs and invites Pépel to sit down to supper. The two make friends over the misery of their lives, and the baron moves into the flophouse too. It's a scene of sophisticated comedy that starts the film far away from the madness of the play. Renoir also provides a kind of happy ending, in which Pépel, after serving time in prison for killing the landlord, hits the road with Natasha (Junie Astor), the late landlord's sister-in-law -- a sharp contrast to the play's ending, an ironic moment in which news of the death of one of the inhabitants interrupts a raucous song. Renoir maintained that Gorky had approved of the screenplay, but the film was not released until December 1936 and Gorky died in June of that year, so his opinion of the completed film can't be known. The film is really a reinterpretation of the play in the light of the political turmoil of the mid-1930s in France and the struggle of the Popular Front against the fascists. If it's more Renoir than Gorky, it's still satisfying in large part because of the performances of Jouvet and Gabin, an odd couple whose scenes together are the heart of the film. The ensemble is mostly terrific except for Astor, whose limited range of expressions never brings Natasha to life, and whose pencil-line eyebrows seem out of place on the face of a character who has been bullied into being a scrubwoman in a flophouse. Inevitably, Renoir's The Lower Depths has been compared to Akira Kurosawa's 1957 version, which sticks much more closely to the play. Renoir himself thought Kurosawa's film "more important" than his, and I find it hard to argue otherwise, but it's nice to have two versions by two master filmmakers.
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genevieveetguy · 2 years
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The Lower Depths (Les bas-fonds), Jean Renoir (1936)
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perfettamentechic · 9 months
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16 agosto … ricordiamo …
16 agosto … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2022: Bruce Montague, attore britannico, meglio conosciuto per il suo ruolo di Leonard Dunn nella sitcom televisiva Butterflies. Montague recitò in molti teatri regionali nel Regno Unito, prima di affermarsi come caratterista sulle scene londinese negli anni sessanta. Dagli anni novanta apparve in numerosi musical nel teatro West End. Ha anche recitato in oltre 300 produzioni televisive. Sposato…
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randomrichards · 1 year
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HOTEL DU NORD:
In a boarding house
Gunshots separates couple
Romance with intrigue
youtube
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Louis Jouvet, Lise Delamare, Eve Francis et Sessue Hayakawa dans "Forfaiture" de Marcel L'Herbier (1937) - remake du film "Forfaiture (The Cheat)" de Cecil B. DeMille (1915) et adapté du roman éponyme d'Hector Turnbull (1923) - avril 2024.
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fashionbooksmilano · 1 year
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Molière en Costumes
Véronique Meunier
5 Continents, Milano 2022, 176 pagine, 23,5 x 29,5 cm, francese, ISBN  979-12-5460-003-0
euro 35,00
email if you want to buy :[email protected]
Il volume, riccamente illustrato, è una vera sorpresa per gli occhi del lettore, che viene accompagnato all’interno delle diverse sezioni del libro con lo scopo di celebrare il 400° anniversario della nascita del celebre autore, attore e commediografo francese: Molière!                                                                   Oltre 150 costumi teatrali, così come una collezione di modelli e fotografie costituiscono l’importante apparato iconografico del volume e mettono in luce diversi temi che hanno legato Molière al costume di scena. Selezionati perché oggetti singolari ed emblematici di un regista – Dom Juan di Louis Jouvet, Dandin di Roger Planchon o Le Malade imaginaire di Jean-Marie Villégier – o di un costumista come Suzanne Lalique, Christian Bérard o Patrice Cauchetier. I costumi divengono quindi il riflesso di particolari tendenze: talvolta si tratta di ricostituzione storica, altre di moda del tempo o di trasposizione storica, ma non mancano prodotti dell’immaginazione di un designer.  Le opere e i costumi provengono anzitutto dalle collezioni del Centre national du costume de scène di Moulins, dalla Comédie-Française e dal Dipartimento delle Arti dello Spettacolo della Bibliothèque National de France, ma non mancano prestiti di teatri, compagnie o istituzioni culturali, quali il Théâtre national populaire di Villeurbanne e la Maison Jean Vilar.
Il libro accompagna la grande mostra intitolata “Molière en costumes” organizzata dal Centre national du costume de scène di Moulins dal 26 maggio al 6 novembre 2022.
24/12/22
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focusmonumentum · 2 years
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Le Théâtre des Champs-Élysées
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Le Théâtre des Champs-Elysées ne se situe pas à proprement parlement sur le célèbre axe éponyme, mais sur la non distante avenue Montaigne, proche de la place de l’Alma. Construit en 1913 dans un style sobre et rigoureux, le bâtiment est considéré comme l’un des premiers représentants du style Art déco en architecture. Il abrite actuellement trois salles de spectacle et un restaurant au sommet, aligné sur les immeubles voisins.
Il était initialement prévu que la structure soit en acier, ce qui avait poussé son premier directeur, Gabriel Astruc, à choisir les architectes Henry Fivaz et Roger Bouvard. En 1910, Henry Van de Velde est « appuyé » à Bouvard. Van de Velde fait la connaissance d'Auguste Perret un an après ; c'est alors que la structure est envisagée en béton. Ayant fait appel à l'entreprise Perret pour l'ossature en béton, Van de Velde est finalement évincé du projet. Auguste Perret transige un peu avec ses principes : s'il affirme ultérieurement que le « béton se suffit à lui-même », il habille ici la façade de plaques de travertin et le cadre de scène de plaques de marbre de l'Allier, où sont intégrés plusieurs bas-reliefs en partie basse de l’édifice, de gauche à droite, cinq allégories des arts : La Sculpture et l’Architecture, La Musique, La Tragédie, La Comédie et La Danse, en marbre blanc sculpté par Antoine Bourdelle. Les quatre groupes de poteaux intérieurs sont quant à eux laissés visibles.
Il fut inauguré le 31 mars 1913 par un concert de musique française avec la participation de Camille Saint-Saëns : La Mer de Claude Debussy, L'Apprenti Sorcier de Paul Dukas et le Prélude de Fervaal de Vincent d'Indy (toutes les œuvres étant dirigées par les compositeurs eux-mêmes), ainsi que la création de l’Ode à la musique d’Emmanuel Chabrier. À cette occasion, le faisceau de la tour Eiffel éclaire exceptionnellement la façade du théâtre. C'est dans cette salle qu'eurent lieu en particulier deux créations mondiales qui firent scandale : la première fut la création du Sacré du Printemps d'Igor Stravinsky le 29 mai 1913 (sous la direction de Pierre Monteux), qui suscita un formidable tollé où détracteurs et adjuvants en vinrent aux mains ; la deuxième, le 2 décembre 1954, fut la création de la véritable première œuvre musicale « mixte » (à savoir une œuvre pour instruments de musique et dispositif électroacoustique): Déserts d'Edgar Varèse, avec Pierre Henry à la bande magnétique et Hermann Scherchen à la baguette. Le choc inspiré par les interpolations provoqua huées, rires et quolibets. Le scandale qui en résulta fut comparable à celui du Sacre quelques 40 années plus tôt. À la suite de problèmes financiers, le directeur Jacques Hébertot se brouille avec son associé Rolf de Maré (également impresario des ballets suédois) et quitte le théâtre en 1925, abandonnant la direction de la Comédie à Louis Jouvet, et celle du Studio à Gaston Baty. De Maré fait de la grande salle un music-hall et programme une nouvelle attraction : les Black Birds et les danseurs de la Revue nègre. Parmi eux, une jeune femme noire, à peine couverte d’une jupette de plumes verte, les cheveux courts plaqués sur la tête, fait sensation. Il s’agit de la danseuse Joséphine Baker. Sa façon de se mouvoir dans l’espace, d’emprunter des gestes animaliers ou de faire des grands écarts désarticulés bouscule tous les canons de la danse, dans ces "années folles" empruntes de Charleston. Pour certains, cette impudeur est un scandale. Le journaliste Robert de Flers écrit même : « Nous sommes en train de remonter au singe plus vite que nous en étions descendus. » [...] Mais Baker a ses fans. Parmi eux, les peintres Pablo Picasso (qui la fait connaître dans toute l’Europe), Fernand Léger et Kees Van Dongen, les écrivains René Crevel (qui revient chaque soir pendant un mois), Colette ou encore Jean Cocteau. Née à Saint-Louis, dans le Missouri, d’une mère blanche et d’un père noir, Joséphine Baker échappe par la danse à sa condition. Avec la Revue nègre, elle débarque à Paris, qui deviendra sa terre d’accueil, son fameux « deuxième amour », avec son pays. Elle triomphera aux Folies Bergère quelques années plus tard, mais nous y reviendrons à l’occasion. 
De 1949 à 1978, le Théâtre des Champs-Élysées a accueilli les Musigrains, des cycles de concerts-conférences pédagogiques, axés sur la musique classique, avec des incursions dans la musique contemporaine, la danse classique ou moderne, le folk et le jazz. En 1986, à l’initiative de Georges Francois Hirsch, alors directeur général, une rénovation intégrale de la cage de scène de la grande salle est opérée, remettant en valeur les dorures de l'écran de fond de scène en acier, conçu à l'origine comme un monumental coupe-feu en cas d'incendie, leçon tirée des tragiques incendies de l'Opéra Comique et du Bazar de la Charité à la fin du XIXème siècle. 
Le bâtiment comporte de nos jours trois salles de spectacle, ordonnées comme suit : une grande salle à l'italienne de 1 905 places, destinée à l'opéra et à la musique ; une salle moyenne de 601 places (la Comédie) et une petite de 230 places (le Studio), toutes deux consacrées au théâtre. Haut lieu de la musique classique à Paris (avec la salle Pleyel, la Cité de la Musique et la salle Gaveau), le Théâtre des Champs-Élysées a accueilli de nombreux orchestres symphoniques tels les orchestres philharmoniques de Vienne, de Munich, de New York, l'orchestre symphonique de la Radiodiffusion bavaroise ou l'orchestre royal du Concertgebouw d'Amsterdam. L’Orchestre national de France y est actuellement en résidence.
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Le toit-terrasse du théâtre accueillit en 1924 le tournage d’Entr’acte, le moyen-métrage expérimental de René Clair, à l'occasion de l'entracte du ballet bien nommé Relâche, orchestré par Francis Picabia. Représentant la première intervention du cinéma dans un spectacle de danse, Entr'acte est aujourd'hui considéré comme le film précurseur du mouvement surréaliste au cinéma.
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mnetn · 4 months
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le commissaire calas ⚖
j'ai trouvé ce film en méga bonne qualité ya un bail et je l'avais oublié puis ça m'a fait tikt
lana is so real for this song
von stroheim avec jouvet c'est slayyy, florence marly is iconic vraiment 💅
comment c'est possible de slay AUTANT ???
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louis jouvet 1925
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