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#in Italia è un orrore
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Il lavoro mi chiede un conto corrente Italiano. Per averne uno ho bisogno di un documento d’identità italiano. Per averne uno devo avere la residenza in Italia. Per averla devo avere un appartamento e un lavoro in Italia. Davvero si vede che l’Italia non è abituato/vuole tanti stranieri (anche quando vengono dall’UE). 😂
Almeno ho potuto chiedere e avere il codice fiscale al consolato italiano in Francia.
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moonyvali · 1 year
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Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
Tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.
Ad esempio eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. E come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? «Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità,» sostiene il linguista Cristhopher Clave, «sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. Aveva ragione!
È a ricchezza semantica che ci permette di esprimere con precisione le nostre emozioni, le sensazioni, i pensieri. Quando i vocaboli si riducono, scompaiono anche i concetti astratti equivalenti. Il risultato? Un impoverimento emotivo e concettuale oltre che linguistico. E che dire degli anglicismi?
«A trentaquattro anno ho scelto il “social egg freezing» leggo con orrore su Repubblica. «Un sacchetto di patatine a 1800 dollari, la nuova “trollata” di Demna» recita l’articolo seguente e la mia perplessità aumenta. Eppure l’Italia è la terra che diede i natali a Leonardo da Vinci, a Michelangelo, a Galileo, a Leopardi. Dovremmo essere fieri della nostra storia. Della nostra lingua. Thomas Mann così scrisse: «Non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlino italiano». Cari giornalisti, fate un favore a noi lettori: Thomas Mann definì l’italiano la lingua degli angeli, usatela!
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X Ai miei lettori, è da poco uscita la nuova ristampa del mio romanzo Clodio, se vi piacciono la storia e la filosofia, potete leggerne un estratto gratuito a questo link: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#scuola #lingua #italia #cultura
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anamn3si · 2 years
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Per la rubrica “Graphic design is my passion”, eccoci arrivati al secondo giorno di deposito simboli.
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“L’Italia SÉ desta” è la punta di diamante della giornata, per cui merita un approfondimento. Sono talmente patrioti da presentarsi con un orrore grammaticale in bella vista, il fatto che l’orrore grammaticale sia poi il nome del partito rende il tutto ancor più magico. È l’unica svista? Ovviamente no. La silhouette dei soldati intenti a issare il tricolore è un plagio alla fotografia “Raising the Flag on Iwo Jima” raffigurante sei marines che issano la bandiera americana a seguito della vittoria nella battaglia di Iwo Jima (battaglia in cui l’Italia non ha partecipato) durante la seconda guerra mondiale. Per completare l’opera ai lati sono presenti, totalmente out of context, le 12 stelle dell’UE.
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“DAINO - Difesa Animali Indipendente Organizzata”, ogni commento è superfluo
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“Movimento per l’Instaurazione del Socialismo Scientifico Cristiano - No alla Cassa Forense” (No, non sono le parole intrecciate della Settimana Enigmistica)
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“Quarto Polo”, il cui logo è palesemente un tributo alla ruota finale di Passaparola
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“USE - Stati Uniti d’Europa degli Stati appartenenti all’euro”
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“La gente come noi”
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“Esseritari”
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“Italia || Civiltà Scienza Bellezza”
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Menzione d’onore per la creatività del designer di “Cambiamo!”, che presenta un logo totalmente rivoluzionato a seguito dell’addio al partito da parte di Toti.
Sono sicuro che faticherai a scegliere il tuo preferito @piattume
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palmiz · 1 year
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Nel giugno del 1975, su commissione della rivista newyorkese Antaeus, Eugenia Wolfowicz intervistò Pier Paolo #Pasolini negli studi di Cinecittà, dove il poeta e regista collaborò alla produzione di "Saló o Le 120 giornate di Sodoma":
- Intende dire che la società dei consumi ha invaso anche la Sicilia?
- Non solo l'ha invasa, ma l'ha anche distrutta. E tra qualche anno. Se tu fossi stato lì dieci anni fa e tornassi adesso, non lo riconosceresti affatto. Tutti i giovani sono emigrati. Puoi guidare per ore nella regione della Madonia senza incontrare un solo ragazzo. Non vedrai altro che persone anziane, alcuni bambini e galline. Dove sono finiti i giovani? In Germania, Francia o nord Italia, dove conducono una vita totalmente alienante che distrugge il loro sistema di valori e lo sostituisce con un altro che, per loro, è falso e assurdo. Quei valori sono loro imposti dagli orrori della televisione, della radio e di altri media, e dalle infrastrutture, dalla moda, ecc. Io stesso sono stato costretto a vivere in mezzo a questo orrore, per tutti questi anni. All'inizio, come ti ho già detto, Ho reagito riaffermando i vecchi valori che venivano sostituiti e distrutti. Ora che la situazione è senza speranza, a meno che non mi suicidi o lasci l'Italia, devo adattarmi a ciò che sta accadendo. Come puoi vedere, i miei film riflettono la nuova orribile realtà italiana.
📰 Eugenia Wolfowicz. Intervista con Pier Paolo Pasolini a Cinecittà, riprese del film Salò o le 120 giornate di Sodoma, giugno 1975. Pubblicato nella sezione Cinema e cultura della rivista newyorkese Antaeus n.24, inverno 1976, pp.130-137
📷 Pier Paolo Pasolini durante la conferenza-stampa di "Salò", Cinecittà, teatro 15, maggio 1975 © Gideon Bachmann/Cinemazero/Tutti i diritti riservati
Buona lettura!
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fiordilota · 2 years
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Le persone credono che io sia tipo omofoba, perché uso spesso ma davvero spesso la parola "ricchione".
Da sempre la parola "ricchione" viene utilizzata con scopo lesivo e offensivo. Ma sapete, il peso delle parole non dipende solo da chi le dice, ma anche da come vengono dette, con quale intenzionalità, con quale gerarchia di valore e significato. Pure la parola puttana è offensiva. Se a dirti puttana è il coglione a cui non hai dato precedenza all'incrocio allora sì, ti offendi. Ma se a dirtelo è il tuo uomo mentre ti scopa allora non è poi così offensivo. E così vale pure per la parola ricchione.
Tra l'altro l'evoluzione della società e della cultura avviene sempre attraverso la rottura di paradigmi linguistico culturali, rinegoziando i significati e i simboli di una società. Per cui, usare certe parole che nel nostro tradizionale linguaggio risultano scomode e offensive ci aiuta a capire una cosa: che la lingua è viva ed ha il potere evocativo che NOI le attribuiamo. Dunque, poiché ricchione viene usata come offesa allora è una parola offensiva. E cosa c'è di offensivo nell'essere ricchioni?
Il problema quindi è la parola ricchione (che può essere ri-semantizzata in modo positivo, scherzoso, ironico e provocatorio) o voi che parlate tanto di politically correct senza avere le basi del vivere inclusivo?
Mio fratello è ricchione e non si offende quando lo chiamo così. Si offende quando non è rappresentato politicamente, quando ai colloqui lo scartano perché è ricchione, quando dice di amare i bambini e voi gli rispondete che è ricchione e non potrebbe mai prendersene cura.
La verità è che essere ricchioni in Italia è un problema, che si tratti di lavorare di sposarsi di adottare o di vivere alla luce del sole.
Ma finché vi farà orrore la parola ricchione con tutti i suoi sinonimi, questo discorso non potete capirlo e non potete neppure iniziarlo.
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klimt7 · 3 months
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Dovevano essere "Parole nuove"?
Io direi che sono parole vuote e banalizzanti.
Una vera manipolazione.
Elena Cecchettin critica Mare Fuori a Sanremo 2024 - la Repubblica
Condivido completamente il pensiero di Elena Cecchettin riguardo alla penosa parentesi dedicata dal Festival di Sanremo al tema del femminicidio.
Certe pagliacciate avvallate dal Direttore Artistico Amadeus si commentano da sole.
Far recitare agli attori di Mare Fuori dialoghi senza senzo e senza logica è avvilente.
Trattare un tema duro e drammatico come quello del femminicidio ed edulcorarlo cosi pesantemente da renderlo una sceneggiata dal sapore di "MULINO BIANCO" fa capire quanto la Rai e lo stesso Amadeus non afferrino per nulla il bisogno di rivoluzione culturale di cui si avverte una estrema necessità, oggi in Italia.
Frasi fatte, luoghi comuni giustificati dal fatto che si parla di amore! Non è così. Non funziona così. Occorre guardare in faccia il problema che ci sta davanti.
Non travestirlo da Soap opera alla Baci Perugina.
UNA OPERAZIONE CHE NON FA ONORE A NESSUNO. TANTO MENO ALLA VERITÀ
Sono rimasto schifato, da questa manipolazione andata in onda su un argomento che merita invece profondità, rispetto e sensibilità, e non di essere tramutato in una operetta dei buoni sentimenti.
È come prendersi in giro, trascurando le ragioni sociologiche e senza toccare il nocciolo del problema che è lo scontro di potere fra Patriarcato e mentalità regressive di cui sono portatori in prevalenza i maschi di questo paese ma anche una buona fetta della popolazione femminile e nuovi modelli relazionali di cui oggi c'è un assoluto bisogno.
Fare spettacolo e tramutare il dramma in una commedia buonista è una cosa o-sce-na !
Aggiunge orrore all'orrore e dimostra l'impreparazione di chi crede di fare un'operazione culturale riducendo il tutto, a un quadretto dei buoni sentimenti per far salire gli ascolti, stravolgendo di fatto la dura realtà di questi anni.
Caro Ama, stavolta hai toppato di brutto.
D'altra parte un ex disk-jokey che ne sa di problemi relazionali? La tua cultura vetero paternalistica si coglie anche da questi dettagli.
Voto Zero!
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ginogirolimoni · 4 months
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Tratto da Filippo Ceccarelli, Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua, Feltrinelli, Milano, 2021, pp. 611 - 613.
Gianfranco Fini dice che Giorgia Meloni è antifascista nella sostanza, ciò vuol dire che è antifascista e non lo sa?
Tutti fanno riferimento alla "svolta di Fiuggi" di Fini nel 1995 e alla condanna del "fascismo" dello stesso leader di AN nel 2003 durante una sua visita in Israele, per dimostrare come i nipotini di Mussolini hanno fatto i conti col loro orrendo passato.
In realtà Marcello Veneziani (giornalista vicino alla destra) disse a caldo che a Fiuggi il fascismo fu espulso "come un calcolo". Mentre Fini nel 2003 in Israele non disse, come viene spesso ripetuto, che (il fascismo fu un male assoluto", ma che "le leggi razziali furono un male assoluto", e riguardo all'orrore della Shoa ne parlò come un orrore che il nazismo (non il fascismo) riservò all'intero popolo ebraico.
Nonostante queste cautele, al ritorno in patria, Fini dovette affrontare l'ira dei suoi colonnelli: Storace, Gasparri, La Russa ... da cui partirono nei suoi confronti insulti piuttosto pesanti.
Quando cita Pinuccio Tatarella come politico "geniale" Fini dimostra ancora una volta che non è mai stato capace di valutare la caratura morale di un uomo ... per non parlare delle donne.
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lamilanomagazine · 5 months
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Discorso di fine anno, Mattarella: «Stagione di allarme, angoscia per troppa violenza»
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Discorso di fine anno, Mattarella: «Stagione di allarme, angoscia per troppa violenza». Nell’ultimo giorno del 2023, il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il consueto intervento del Capo dello Stato è andato in onda, a reti unificate, alle ore 20.30. Mattarella ha parlato agli italiani da uno dei saloni del Quirinale, in piedi. Sullo sfondo, oltre alle bandiere di Italia e Ue e Quirinale, anche un albero di Natale. «Questa sera ci stiamo preparando a festeggiare l'arrivo del nuovo anno. Nella consueta speranza che si aprano giorni positivi e rassicuranti». Con queste parole si apre il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che saluta gli italiani con il consueto: «Care concittadine e cari concittadini». «Naturalmente, non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo. Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità. Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana. La violenza. Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate. Le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla. L’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti.   «Ogni guerra genera odio, che durerà per molto tempo» La guerra – ogni guerra – genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti. La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza. E si pretende di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana. Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come - sempre più spesso – accade nelle guerre. Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata; menandone vanto. Vite spezzate, famiglie distrutte. Una generazione perduta. E tutto questo accade vicino a noi. Nel cuore dell’Europa. Sulle rive del Mediterraneo. Macerie, non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni. Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire, brutalità che pensavamo, ormai, scomparse; oltre che condannate dalla storia.   «Serve cultura della pace» La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni. Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano. È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti. Ma impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola del prossimo futuro. Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole. Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone.   «Non sufficiente far tacere le armi, serve educare alla pace» Per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi. Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà. Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Anche nel nostro Paese. Quando prevale la ricerca, il culto della conflittualità. Piuttosto che il valore di quanto vi è in comune; sviluppando confronto e dialogo.   «L’amore non è egoismo o possesso, ma un dono» La violenza. Penso a quella più odiosa sulle donne. Vorrei rivolgermi ai più giovani. Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete.  Penso alla violenza che qualche gruppo di giovani sembra coltivare, talvolta come espressione di rabbia. Penso al risentimento che cresce nelle periferie. Frutto, spesso, dell’indifferenza; e del senso di abbandono. Penso alla pessima tendenza di identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Anche attraverso le accuse più gravi e infondate. Spesso, travolgendo il confine che separa il vero dal falso. Queste modalità aggravano la difficoltà di occuparsi efficacemente dei problemi e delle emergenze che, cittadini e famiglie, devono affrontare, giorno per giorno. Il lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione. Quello sottopagato. Quello, sovente, non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza. Con tante, inammissibili, vittime. Le immani differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio. Le difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi. La sicurezza della convivenza. Che lo Stato deve garantire. Anche contro il rischio di diffusione delle armi.   «I giovani si sentono fuori posto in un mondo che disconosce le loro attese» Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale. In una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo. Dipende da tutti noi far prevalere, sui motivi di allarme, le opportunità di progresso scientifico, di conoscenza, di dimensione umana.   «Democrazia si nutre della capacità di ascoltare» Quando la nostra Costituzione parla di diritti, usa il verbo “riconoscere”. Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato. Ma, anche, che una democrazia si nutre, prima di tutto, della capacità di ascoltare. Occorre coraggio per ascoltare. E vedere - senza filtri – situazioni spesso ignorate; che ci pongono di fronte a una realtà a volte difficile da accettare e affrontare. Come quella di tante persone che vivono una condizione di estrema vulnerabilità e fragilità; rimasti isolati. In una società pervasa da quella “cultura dello scarto”, così efficacemente definita da Papa Francesco. Cui rivolgo un saluto e gli auguri più grandi. E che ringrazio per il suo instancabile Magistero.   «Affermare i diritti significa ascoltare gli anziani» Affermare i diritti significa ascoltare gli anziani. Preoccupati di pesare sulle loro famiglie; mentre il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto. Si ha sempre bisogno della saggezza e dell’esperienza. E di manifestare rispetto e riconoscenza per le generazioni precedenti. Che, con il lavoro e l’impegno, hanno contribuito alla crescita dell’Italia.   «Diritto allo studio ostacolato dai costi di alloggio» Affermare i diritti significa prestare attenzione alle esigenze degli studenti, che vanno aiutati a realizzarsi. Il cui diritto allo studio incontra, nei fatti, ostacoli. A cominciare dai costi di alloggio nelle grandi città universitarie; improponibili per la maggior parte delle famiglie. Significa rendere effettiva la parità tra donne e uomini: nella società, nel lavoro, nel carico delle  responsabilità familiari. Significa non volgere lo sguardo altrove di fronte ai migranti. Ma ascoltare significa, anche, saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite. La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali. Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona - e nella sua dignità - il pilastro irrinunziabile.   «No alla rassegnazione e all’indifferenza» Viviamo, quindi, un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto. Per definire la strada da percorrere,  è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social. Perché la democrazia è fatta di esercizio di libertà. Libertà che, quanti esercitano pubbliche funzioni - a tutti i livelli -,  sono chiamati a garantire. Libertà indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di  potere, possa pretendere di orientare  il  pubblico sentimento. Non dobbiamo farci vincere dalla rassegnazione. O dall’indifferenza. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi per timore che le impetuose novità che abbiamo davanti portino soltanto pericoli. Prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità  è un diritto di libertà. Anche un diritto al futuro. Alla costruzione del futuro. Partecipare significa farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte. Significa contribuire, anche fiscalmente. L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo. Contribuire alla vita e al progresso della Repubblica, della Patria, non può che suscitare orgoglio negli italiani. Ascoltare, quindi; partecipare; cercare, con determinazione e pazienza, quel che unisce.   «La forza della Repubblica è la sua unità» Perché la forza della Repubblica è la sua unità. L’unità non come risultato di un potere che si impone. L’unità della Repubblica è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace. I valori che la Costituzione pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all’identità stessa dell’Italia. Questi valori – nel corso dell’anno che si conclude - li ho visti testimoniati da tanti nostri concittadini. Li ho incontrati nella composta pietà della gente di Cutro. Li ho riconosciuti nella operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano ‘Romagna mia’. Li ho letti negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà. O di quelli che lo fanno a Casal di Principe. Laddove i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile, di impresa sociale, di diffusione della cultura. Tenendo viva la lezione di legalità di don Diana. Nel radunarsi spontaneo di tante ragazze, dopo i terribili episodi di brutalità sulle donne. Con l’intento di dire basta alla violenza. E di ribellarsi a una mentalità di sopraffazione. Li vedo nell’impegno e nella determinazione di donne e uomini in divisa. Che operano per la nostra sicurezza. In Italia, e all’estero. Nella passione civile di persone che, lontano dai riflettori della notorietà, lavorano per dare speranza e dignità a chi è in carcere. O di chi ha lasciato il proprio lavoro – come è avvenuto - per dedicarsi a bambini, ragazzi e mamme in gravi difficoltà. A tutti loro esprimo la riconoscenza della Repubblica. Perché le loro storie raccontano già il nostro futuro. Ci dicono che uniti siamo forti. Buon anno a tutti!... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 7 months
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6 nov 2023 19:01
TIM, STORIA DI UN GRANDE ORRORE/2 – “IL GIORNALE”: “IL PIÙ GRAVE DEGLI ERRORI È SENZA DUBBIO ALL’ORIGINE, QUANDO NEL 1999 IL GOVERNO GUIDATO DA MASSIMO D’ALEMA COSTRINGE TESORO E BANCA D’ITALIA A FARSI DA PARTE DAVANTI ALL’OFFERTA PUBBLICA DA 60 MILIARDI DI EURO LANCIATA DAI COSIDDETTI ‘CAPITANI CORAGGIOSI’ GUIDATI DAL MANTOVANO ROBERTO COLANINNO” – “NEL 1998 TELECOM ITALIA NON HA PRATICAMENTE DEBITI E VANTA UNA REDDITIVITÀ INVIDIABILE, A CONCLUSIONE DEL TRIENNIO DI COLANINNO IL DEBITO È ADDIRITTURA DOPPIO DEL PATRIMONIO…” -
Estratto dell’articolo di Osvaldo De Paolini per “il Giornale”
Una catena infinita di errori: è la sintesi di venticinque anni di Telecom Italia, oggi nota come Tim, da ieri avviata a cedere la rete che ne ha costituito la spina dorsale dalla fondazione.
Una catena di eventi dentro i quali sono condensati tutti i vizi del capitalismo privato italiano esaltati dalla totale inanità o, peggio, dalla complicità di alcuni governi che hanno acconsentito che un campione italiano - sesto gruppo di tlc a livello mondiale e primo in Europa per innovazione tecnologica alla fine degli anni ’90 - venisse spolpato e dilaniato dagli azionisti che di volta in volta ne hanno assunto la guida.
[…] la cessione della rete al fondo americano Kkr, che sarà affiancato dal Tesoro italiano, è una scelta pressoché obbligata. Ma come si è arrivati a tanto? Il più grave degli errori è senza dubbio all’origine, quando nel 1999 il governo guidato da Massimo D’Alema costringe Tesoro e Banca d’Italia (allora soci di Telecom) a farsi da parte in nome di una non meglio precisata «neutralità» davanti all’Offerta pubblica da 60 miliardi di euro, gran parte a debito, lanciata dai cosiddetti «capitani coraggiosi» guidati dal mantovano Roberto Colaninno.
Tre anni dura la cavalcata delle sue truppe prima che Telecom, opportunamente smagrita per fare ricchi i novelli capitalisti, sia ceduta alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera che ne assume il controllo promettendo di ridurre la filiera di scatole cinesi […]. Ma quando Tronchetti approda in Telecom si accorge che molti punti di forza già sono stati indeboliti dal formidabile appetito e dalla scarsa competenza del team dei mantovani.
Basti citare la fusione tra Seat Pagine Gialle e Tin.it di cui vale ricordare i tratti essenziali. Al momento dell’annuncio, primavera 2000, quindi punto più alto della bolla azionaria, Seat capitalizza in Borsa 72 miliardi ben più dell’Eni e dell’Enel - destinati però a scendere a 8 miliardi nel giro di un anno e mezzo. Eppure Colaninno impegna Telecom in un’operazione che costa alla società un deflusso di 6,7 miliardi che, essendo transitato nel percorso Torino-Torino per il Lussemburgo […], non ha lasciato nomi e cognomi dei destinatari finali.
Per non dire della situazione finanziaria: se nel 1998 Telecom Italia non ha praticamente debiti e vanta una redditività invidiabile, a conclusione del triennio di Colaninno il debito è addirittura doppio del patrimonio. […] il problema del debito è stato il principale ostacolo della gestione nei vent’anni successivi, combinandosi con una redditività di base fatalmente in declino a causa di una competizione crescente divenuta esiziale, colpa anche di un gap tecnologico con i competitor che via via è andato ampliandosi.
Si potrebbero scrivere tre libri sulla storia recente di Tim-Telecom, vista l’abbondanza di materiale offerto dai passaggi chiave coincisi con i trasferimenti del controllo.
A cominciare dal primo, frutto della necessità di privatizzare il gruppo nel 1997 per consentire al governo Ciampi di ottenere in extremis l’ammissione dell’Italia all’euro, una privatizzazione che avrebbe dovuto rappresentare la «madre di tutte le privatizzazioni» e che invece si concluse con uno striminzito “nocciolino” di comando grazie al quale la famiglia Agnelli aggiungeva potere a potere sborsando, come è sempre stato nello stile della casa, una manciata di euro.
Ma se i sogni industriali di Tronchetti sono svaniti per le nuove complessità del business e per le crescenti quantità di risorse necessarie, indovinate chi nel 2007 è sceso in soccorso del gruppo telefonico? La solita cordata di «sistema» composta dalle solite grandi banche, ma questa volta affiancate da un partner straniero, l’iberica Telefonica, che di lì a qualche anno diverrà azionista di controllo.
Ma a causa del colossale debito - che nel frattempo era cresciuto ben oltre 30 miliardi - le nuove risorse non bastavano mai, e dopo mille polemiche per aver lasciato i progetti telefonici nazionali in mano a un concorrente straniero, la grande alleanza finisce in gloria, con Telecom trasformata in public company e affidata al mercato in balia del primo raider disposto a versare nuova benzina nei suoi serbatoi.
Ed ecco i francesi di Vivendi, che nel 2016 con poco meno del 25% rastrellato sul mercato per evitare il lancio dell’Offerta pubblica assumono il comando della società. E con il loro arrivo gli errori si moltiplicano. Posto che l’obiettivo ambizioso del gruppo guidato da Vincent Bolloré guardava oltre i confini di Telecom perché comprendeva la conquista di Mediaset per farne un gruppo integrato, il cambio di cinque amministratori delegati alla guida della società (Marco Patuano, Flavio Cattaneo, Amos Genish, Luigi Gubitosi, Pietro Labriola) in solo 8 anni da azionista di maggioranza, la dice lunga su lucidità e chiarezza del progetto. Soprattutto in considerazione del fatto che di aumenti di capitale non si è vista l’ombra. […]
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crazy-so-na-sega · 7 months
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si vuol essere europei od occidentali?
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Le azioni di Hamas nei confronti di Israele hanno rivelato per l’ennesima volta un dato di fatto incontrovertibile, ovvero che nella cosiddetta area tutti i valori più nobili vengono costantemente superati, e sempre rigorosamente all’indietro. Nell’ultima puntata della rubrica polis, che ho l’onore di tenere ogni mercoledì, è stata affrontata la seguente questione, cioè che, accanto a chi sostiene Israele perché difenderebbe la cristianità dall’islamismo, dimenticandosi curiosamente cosa pensano gli appartenenti alla religione ebraica del cristianesimo, e a chi sostiene la causa palestinese ma poi dileggia costantemente gli ucraini che quotidianamente muoiono per difendere esattamente come i palestinesi la propria terra dagli invasori del Cremlino, è emersa una nuova “corrente”, ovvero i presunti neutrali tra Israele e la causa palestinese. Molti di loro si dichiarano fascisti, ma, visto che i fascismi europei furono i più importanti interlocutori e alleati del mondo arabo in chiave antisionista, antisovietica e antimericana, evidentemente sono in totale confusione esistenziale. In verità, ogni giorno che passa, rivelano, esattamente come i russofili, sempre di più la loro natura e, esattamente come questi ultimi, dimostrano di essere stati perfettamente penetrati dai “valori wasp”. Se, infatti, le correnti putiniane sono pregne di visioni messianiche, di deviazioni e malinterpretazioni del tradizionalismo, i cosiddetti neutrali tra Israele e Palestina, ovvero filosionisti che non hanno il “coraggio ” di dichiararlo apertamente, sono impregnati di razzismo borghese, dai tratti veterotestamentari e da “idee suprematiste”. Tutto ciò è indissolubilmente figlio di un’influenza che l’alt right americana esercita sulle destre europee da vario tempo, soprattutto da quando è emerso il problema della “cancel culture”. Alla luce quindi di questi fatti appare opportuno ribadire dei concetti che teoricamente dovrebbero essere scontati, soprattutto perché anche persone valide potrebbero subirne l’influenza. I dogmi da cui partire, anche se tale parola non è esattamente afferente al nostro modus agendi, sono i seguenti: – Non esiste alcuna battaglia comune tra gli europei e gli americani wasp per difendere il mondo bianco. Gli Stati Uniti moderni nascono da europei che rifiutano di essere europei e cercano per loro stessi una nuova terra promessa. Il ruolo esercitato da loro nella seconda guerra mondiale non è che in coerente continuità con le origini dell’Occicente. Da ciò ne consegue che la bussola è l’Europa e non l’Occidente. Ci sono americani validi, ma sono quelli che rifiutano gli Stati Uniti e lottano per riscoprire la propria essenza di europei.
– La cancel culture è un orrore di matrice americana In molti denunciano la cancel culture ma sono evidentemente dimentichi della sua vera matrice, ovvero americana. Il fatto che la destra americana a questa si opponga non deve trarre in inganno. Si tratta di un fenomeno interno, che, come sempre, vede due schieramenti contrapposti tra loro, ma figli del medesimo sistema. Quando in Italia e in Europa si diffusero le teorie sessantottine, il Fronte della Gioventù, i movimenti di destra extraparlamentari e tutte le realtà identitarie d’Europa continuavano a parlare di terza via, di Europa nazione e di terza posizione, certo non pensarono minimamente di compattarsi con i conservatori americani che si opponevano al progressismo – Non ci si oppone alla cancel culture rimanendo schierati in una torretta Proprio come la destra americana, molti in Europa combattono la cultura della cancellazione in ottica esclusivamente reazionaria, ovvero volendo cristallizzare quanto c’era fino a prima che emergesse il fenomeno. L’approccio cui ricorrere non può non essere rivoluzionario e avanguardistico, che è tra l’altro l’unico che può impedire che taluni fenomeni si diffondano sempre più capillarmente in Europa. – Bisogna smetterla di ragionare da abitanti di una colonia Strillare “siamo schiavi degli americani” è ridicolo, ancor di più se si ragiona da schiavi. Coloro i quali asseriscono che è fondamentale cercare sponde e alleanze con il mondo dell’alt right americana, dal momento che inesorabilmente ciò che succede lì si ripete necessariamente in Europa e che quindi va salvata la presunta America migliore per salvare l’Europa, hanno già dato per assodato che saranno degli schiavi in aeternum. Che gli USA possano decadere per fenomeni interni è vero, ma tale probabilità dovrebbe essere vista dagli uomini liberi che hanno voglia di riscattarsi da chi li colonizza da quasi ottant’anni come un fattore positivo, non come una catastrofe. La domanda, quindi, basilare da cui partire è la seguente: si è europei o occidentali? Se si è veramente europei, non basta essere nati in Europa o essere discendenti di antenati europei. È lo spirito europeo che va recuperato, quello spirito che ha appunto forgiò le stirpi europee. Se ci si vuole accontentare di difendere un presunto mondo bianco che includa i distruttori dell’Europa, sicuramente si percorrerà la via più semplice, tuttavia non vi può essere in ciò alcuna risorgenza europea, perché a fare la storia sono gli uomini che accettano le ardue imprese.
-F.Viola
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markv8-blog · 1 year
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🐓Quel Pollaio al di lá del Cimitero🪦 Un "chicchirichí" al calar del sole che proviene oltre la collina di un cimitero 🧟‍♂️ Un vecchio pollaio abbandonato sarà teatro di un orrore mai visto prima 🍗 Un uomo e una donna dovranno sopravvivere a questa ondata di becchi e piume, ma qualcuno è già pronto a combattere questa strana, orrorifica piaga. Siete curiosi di sapere cosa succede e come andrà a finire? Il primo racconto di una breve trilogia Malsana ribattezzata "La Trilogia del Polletto" in onore della famosa trilogia di film "La Trilogia del Cornetto". Fiondatevi su #wattpad e cercate i ⏩Racconti Malsani #raccontimalsani #raccontibrevi #racconti #wattpaditalia #wattpadstories #horror #zombie #pollo #chicken #writing #scrittura #reading #lettura #trilogiadelcornetto #thethreeflavourscornettotrilogy #movie #weird #strano #italia #italy https://www.instagram.com/p/CpfLndTI1Ek/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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angelomeini · 1 year
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Putin (un anno di guerra)
Putin
Il regime di terrore nazionale storico
Con qualche giorno d'anticipo pubblico questa riflessione riguardo l'imminente ricorrenza del 24 febbraio 2023 (un anno di guerra russo-ucraina).
Nonostante la complessità storica di ogni nazione, il succedersi di eventi storici più o meno determinanti, ha prodotto il profilo attuale di qualsiasi nazione (stato sovrano); con il 24 febbraio 2023 ricorrerà il triste anniversario di un anno di guerra in Ucraina. Non è facile parlare in modo obbiettivo dell'argomento, ed è estremamente difficile capire il popolo russo, non ritengo opportuno esternare una critica, ma preferisco esprimere un'opinione personale. Il modello zarista russo si origina nel 1480 circa sotto il governo di Ivan il Grande. Con l'incoronazione di Michele Romanov nel 1613 (primo della dinastia), probabilmente fu consolidato il modello politico giunto alla rivoluzione del 1917. Una tipologia politica notoriamente avvilente e penalizzante per la popolazione, siamo sicuri che non è mai stato un sistema di Monarchia Costituzionale! La monarchia assoluta (autocratica) non differisce molto da una dittatura politica, o come assistiamo con disprezzo e orrore attualmente, ha forti somiglianze con quei regimi teocratici estremisti e repressivi di tutto il medio oriente. Dopo tre secoli di soprusi del regime zarista, nel 1921, si instaura il nuovo regime totalitarista bolscevico teorizzato da Lenin di matrice comunista. Intanto in Italia e Germania si cominciavano a consolidare sistemi dittatoriali di estrema destra fascista. Così, il popolo russo si sottomette ad un sistema tirannico forse peggiore allo zarista, in parole povere: “salta dalla padella nella brace”! Tal regime vede avvicendarsi dittatori sempre peggiori, con periodiche recrudescenze politico-repressive. Nonostante l'apparente allentamento avvenuto con la presidenza di Boris Nikolaevič El'cin e Michail Gorbačēv, l'ascesa al potere di Vladimir Putin ha riportato la Russia nel baratro della più tetra dittatura. Inizialmente Putin era apparso moderato e parzialmente riformatore... nel 2014 aveva comunque manifestato le proprie intenzioni in Crimea. Il campanello d'allarme non è stato recepito correttamente dal mondo intero! Per poco più di un decennio, la Russia ha esportato inimmaginabili quantità di materie prime, favorendo lo sviluppo delle nazioni ricche e sviluppate, sostenendo e sostentando le realtà nazionali povere e meno sviluppate. In breve il mondo intero è diventato dipendente delle interminabili e incessanti forniture di grano, farina, olio, fertilizzanti, terre rare, minerali, metalli e pietre preziose, metalli rari, petrolio, gas ecc, che la Russia offriva e riversava sul mercato globale in quantità progressivamente crescenti. Il 24 febbraio 2022, Putin cosciente del potere acquisito, ha invaso il territorio ucraino con nostalgiche ragioni politiche mascherate dalla pazzesca giustificazione di “operazione speciale” necessaria alla “denazificazione” dell'Ucraina... Con questa Folgorata e dissennata iniziativa bellica, Putin il Deviato (come Ivan il Terribile oppure Trump lo Scoppiato, Biden il Gatto Morto ecc), ha trascinato il mondo intero in un precipizio finanziario spaventoso. Se fino a poco prima non era bastata la pandemia globale da Corona Virus, che aveva inflitto un duro colpo all'economia mondiale, la stupidità orgogliosa di un vecchio dittatore ha assestato al sistema il colpo di grazia... o quasi! Così, giunti all'anno di Grazia 2023, il popolo russo ha accettato e trascorso altri 100 anni alla mercé, ai capricci e alle scelleratezze di un sistema dispotico guidato da politici sempre più demodé, nonostante cattiveria e inaudita ferocia li abbia contraddistinti nel loro avvicendarsi. Cosa aspetta il popolo russo dopo 400 anni di sofferenze, costrizioni e restrizioni? Forse è in trepidante attesa che uno di questi fossili estremisti di matrice bolscevica trascini (oltre la Russia) tutto il mondo in fondo alla rovina? Putin minaccia il mondo? Va anche detto che il mondo lo lascia fare, è come se assecondasse lo svalvolato in attesa di poterlo afferrare per mettergli la camicia di forza! Non è facile affrontare una situazione così allucinante. Putin sembra uno di quei bevitori nei bar, quando ormai la lite tra ubriaconi degenera, minacciandosi a vicenda arrivano a dire anche le peggiori idiozie... si spera che Putin non vada a prendere il fucilino a casa per tornare al bar!
Angelo Meini
19-02-2023
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kritere · 1 year
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Giallo a Messina, 16enne trovato morto carbonizzato sulla strada: nessuna pista esclusa
DIRETTA TV 17 Febbraio 2023 Il cadavere carbonizzato di un ragazzo di 16 anni è stato trovato ieri sera a Merì, piccolo centro a pochi passi da Messina: disposta l’autopsia. Nessuna pista è esclusa. 1 CONDIVISIONI Orrore a Merì, nel Messinese, dove nella serata di ieri è stato trovato in piazza Italia ’90, nei pressi del campo sportivo, il cadavere carbonizzato di un ragazzo di soli 16 anni.…
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potenzialmente-11 · 2 years
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Capitolo 2
La conosco questa sensazione. E' quella parente lontana che tre anni fa a Natale ti ha detto che non crede sia giusto che vengano tutti in Italia, il panettone ti è andato di traverso, il pensiero ai polmoni pieni d'acqua e agli occhi strabuzzati di persone morte decedute finite in mare, vite spezzate, per lei non è giusto.
Ma è Natale, che vuoi farci? Vuoi dire qualcosa? Rovinare la festa? Vite spezzate. In mare.
Vorresti dire qualcosa, ma stai zitto, che è meglio così alla fine?
Io vorrei dirti qualcosa, giuro. Vorrei avere la forza di materializzarti in qualche simbolica forma e parlarti, ma non so come fare, sembra tutto così grande. Ormai sono 3 anni pieni che non mi abbandoni. Sei stato il compagno di vita più fedele che si possa chiedere. peccato per quel famoso discorso del consenso. Non l'hai mai avuto da me. Sei un abusatore. Sei uno stupratore come andrea, johnny, gianmaria. Non mi chiedi il permesso. Arrivi e mi inondi il cervello con la convinzione che non posso farci niente, che avrò sempre questo corpo grasso e sporco e indegno di amore. Infili il tuo cazzo tra le mie meningi e mi suggerisci la morte come unica via. Fatti male, ingozzati, ammazzati, lurida porca che non sei altro, donna, mezza donna, indegno mostro. Fai schifo. Sei uno scherzo della natura. Mi stupri con regolarità allarmante da 3 anni. 3.
lo stupro è uno strumento di potere, non c'entra niente con l'attrazione. e infatti io ti faccio orrore, lo so.
Non so nemmeno più come chiamarti, sei un disturbo alimentare, sei il risultato di tutti i miei traumi, sei gli occhi di elisa che decidono di non vedermi più, sei tutte le persone che mi hanno lasciato in mezzo a una strada.
Non sei me. Non sei me ed io sono stanco di combatterti. COmbatterti non è la via più giusta, devo ascoltarti, accoglierti, capire perché. c'è sempre un perchè.
E in tutto questo mi chiedo se sarò per sempre condannato a vedere il tuo volto poco prima di godere.
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iparchidivertimento · 2 years
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Halloween dell'orrore a MagicLand: solo per chi è davvero coraggioso
Halloween dell’orrore a MagicLand: solo per chi è davvero coraggioso
MagicLand promette orrore e paura per la festa di Halloween più terrificante mai vissuta. Quest’anno, per rendere ancora più spaventose le ambientazioni a tema, le scenografie si arricchiscono di effetti speciali inediti, unici in Italia, capaci di trasportare i malcapitati visitatori in un paesaggio davvero… da incubo! Basterà infatti varcare la soglia di Haunted Hotel e gli sventurati ospiti…
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raffaeleitlodeo · 2 years
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BIBLIOGRAFIA DISARMATA: (CONTRO) IL DISCORSO DI QUARTO - Loredana Lipperini
Perché tornare alla bibliografia disarmata? Perché le cose peggiorano. Gli umori, soprattutto peggiorano. I sentimenti. Già, parlare di sentimenti pare cosa piccola, ininfluente. Ieri, sulla scia di un post di Nicola Lagioia che parlava, pensate un po’, di amore, e di smarrimento davanti all’allucinazione quotidiana che mette in prima pagina la crescente minaccia nucleare insieme alle prove libere della Ferrari e a qualche divorzio di star, abbiamo provato a discutere proprio di questo. Angoscia, sconcerto per quello che sembrava un incubo del passato e torna a incalzarci nel presente: ma soprattutto la “naturalezza” con cui lo accogliamo. “Passami il sale”, scriveva un acuto ascoltatore, “che ora si è fatta?”. E, accanto, i missili che sorvolano i cieli. Ci sono state reazioni molto partecipi e altre molto violente. E’ come se una larghissima parte di chi interviene sul punto fosse coinvolta in una sanguinosa partita a Risiko: se trovate irriverente l’accostamento, ricordate bene che chi sui social scrive che bisogna piangere solo i morti ucraini e non gli altri, o viceversa (così è: alla mia età ero convinta che i morti delle guerre dovessero essere pianti tutti), lo fa da casa sua, dalla sua sedia o poltrona, e con lo stesso straniamento che coinvolge chi, su quello che purtroppo è diventato un altro fronte, si interroga sul crescendo di questo orrore, su questa esaltazione di sangue e morte che sembra dilagare. Se posso, dilaga soprattutto fra i maschi della mia età. Vecchi, dunque. Che forse vedono in questa atroce sete di guerra la possibilità di provare antichi brividi. E quando si parla, appunto, di sentimenti, mostrano lo sprezzo antico verso le donnicciole tremebonde. Eppure,  dovremmo parlarne. Ma non di geopolitica for dummies (quella va lasciata a chi la sa fare, non ai giocatori di Risiko).  Dovremmo parlare proprio di questa perdita di centro, di questa assuefazione, di quella che sembra euforia nel bollare come infami i discorsi di pace. Non sto parlando di quello che avviene in Ucraina: sto parlando di noi, non fosse chiaro. Di come stiamo cambiando. Di come continuiamo a contrapporci. Gli amici contro gli amici, senza chiaroscuri. Stati di allucinazione, sì: ma riconosciamoli, ma fermiamoli, se siamo in tempo. Per la cronaca. Quella che riporto qui sotto è la parte finale del discorso che Gabriele D’Annunzio tenne a Quarto il 5 maggio 1915. Quello che incendiò gli animi all’interventismo. Quello che costò 17 milioni di morti.
“Il fuoco cresce, e non basta. Chiede d’esser nutrito, tutto chiede, tutto vuole. Voluto aveva il duce di genti un rogo su la sua roccia, che vi si consumasse la sua spoglia d’uomo, che vi si facesse cenere il triste ingombro; e non gli fu acceso.
Non catasta d’acacia né di lentisco né di mirto ma di maschie anime egli oggi dimanda, o Italiani. Non altro più vuole. E lo spirito di sacrificio, che è il suo spirito stesso, che è lo spirito di colui il quale tutto diede e nulla ebbe, domani griderà sul tumulto del sacro incendio: “Tutto ciò che siete, tutto ciò che avete, e voi datelo alla fiammeggiante Italia!”.
O beati quelli che più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere.
Beati quelli che hanno venti anni, una mente casta, un corpo temprato, una madre animosa.
Beati quelli che, aspettando e confidando, non dissiparono la loro forza, ma la custodirono nella disciplina del guerriero.
Beati quelli che disdegnarono gli amori sterili per essere vergini a questo primo e ultimo amore.
Beati quelli che, avendo nel petto un odio radicato, se lo strapperanno con le lor proprie mani; e poi offriranno la loro offerta.
Beati quelli che, avendo ieri gridato contro l’evento, accetteranno in silenzio l’alta necessità e non più vorranno essere gli ultimi ma i primi.
Beati i giovani che sono affamati e assetati di gloria, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché avranno da tergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore.
Beati i puri di cuore, beati i ritornanti con le vittorie, perché vedranno il viso novello di Roma, la fronte ricoronata di Dante, la bellezza trionfale d’Italia”
Fonte: https://www.lipperatura.it/bibliografia-disarmata-contro-il-discorso-di-quarto/?fbclid=IwAR3Ts8tNdJc_RqKhsH88TKtaO8TLwWzOQnMU5gM3PMsYZklyvCBLBFRtFTQ
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