Tumgik
#e lei 'quale voce fai'
gaysessuale · 11 months
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io che sbuco dal corridoio che chiedo a mia madre che serie sta guardando già sapendo la risposta perché in parte l'ho tradotta io
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viendiletto · 3 months
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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poisonedbybeauty · 10 months
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Caro Fede,
Tanti auguri di buon compleanno e ti dico subito che ti voglio un mondo di bene.
Questo è il mio momento preferito lo sai: mettermi seduta e scrivere quello che non dico a voce perché non so esprimermi, perché non trovo l’occasione giusta, il coraggio e le parole migliori.
Vorrei dirti un sacco di cose belle perché è il tuo compleanno e perché bisogna dire sempre le cose belle che si pensano di un’altra persona anche se ahimè non lo faccio spesso io…solo quando scrivo e sono “costretta” a riflettere e dire ciò che penso senza troppi freni.
Innanzitutto vorrei dirti quanto sia fiera di te per tutto quello che sei riuscito a fare e che stai facendo, per il coraggio di metterti sempre in gioco, per la tua estroversione, per il tuo senso dell’umorismo, per la tua immensa pazienza e il buon cuore che metti sempre in tutto quello che fai.
Ti ammiro veramente per tutte queste meravigliose qualità e riconosco il tuo essere superiore rispetto a me in questo. Se sono qui accanto a te è perché ho profonda stima di te per queste e altre tue mille sfaccettature (oltre che per l’amore chiaro).
Sei la persona a cui mi sento legata più di chiunque altro, mi sento capita, mi sento apprezzata e amata.
Mi sento male all’idea di perdere una persona come te.
Mi spaventa l’idea di andarmene per un anno senza di te che sei la mia àncora dal giorno in cui ci siamo trovati, ma ho bisogno di farlo perché è così che si diventa grandi. So che non è facile essere la mia àncora. 
So di non essere una persona senza difetti e facile con tutte le mie spine e i miei buchi neri, a volte impossibili da comprendere. In alcuni momenti non mi capisco neanche io. Però ogni tanto mi sembra che tu riesca a capirmi più di quanto riesca a farlo io e mi sorprende perché non credo ci siano tante persone che riescano a capirmi, a comprendere i miei momenti bui, il mio umorismo e i miei sorrisi che a volte non lo sono.
Recentemente su Instagram ho letto un post che diceva “Qual è la persona con cui hai condiviso i momenti migliori della tua vita?”. E ti giuro che io mi sono sforzata di pensare a un’altra persona che non fossi tu ma non ce la facevo proprio. Ora non voglio dire che i bei ricordi sono solo con te perché sarei un’ipocrita ma se randomizzando chiudessi gli occhi e pensassi a dei momenti belli della mia vita, sicuramente per la maggior parte di questi ci sei tu nell’immagine nella mia testa. Perché è così che mi succede, soprattutto la sera quando vado a letto. Appena ho pensato a questa cosa non ti nascondo che ho provato dell’amarezza nel pensare che i ricordi più belli ce li avessi con il mio ex ragazzo, però poi ho pensato a quello che mi dice sempre Franci M. ovvero che bisogna essere grati di quello che c’è stato perché non è detto che nella vita tutti possono provare questo tipo di amore che noi abbiamo provato, a non tutti è concesso e non tutti riescono a trovarlo e io e te siamo fortunati e siamo ancora più fortunati degli altri perché siamo qui ora.
Ti regalo alcuni miei ricordi.
Leuven, il sole e il parco, Batman.
Bruges, Gent e il ristorante marocchino ad Anversa.
La quarantena e il campo da golf.
Lisbona, io e te su un motorino a Cascais.
Viareggio, Puccini, io e te sulla ciclabile che andiamo a prenderci una granita.
Sardegna mentre ti guardo uscire dall’acqua entusiasta del tuo snorkeling prima di andare a fare la passeggiata sulla costa fino a Santa Margherita.
Io e te sul Porsche con il vento tra i capelli.
Io, te e Ginevra sul bagnasciuga che ci abbraccia perché giochiamo con lei.
Ne avrei milioni e so che stasera quando andrò a letto e chiuderò gli occhi me ne verranno in mente altri e per 3 secondi proverò una sensazione bellissima che non so spiegarti proprio bene: è come se mi si gonfiasse il petto ma allo stesso tempo mi si stringesse il cuore. Io sono veramente grata. Immensamente grata perché mi è stata concessa una cosa così bella.
Se devo essere sincera pensavo che la nostra relazione sarebbe stata una funzione esponenziale crescente ma a quanto pare le relazioni non sono come la matematica e le cose non sono così “lineari” e forse la nostra equazione è un po’ più complicata di una semplice y = 2^x . Fa niente Fede alla fine sapremo quale sarà la nostra equazione e sarà tutto più chiaro.
Con amore,
Tua Ema/Tati/Bubu.
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danilacobain · 1 year
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Selvatica - 55. Ultime parole
Come era vuota la sua casa senza Corinna. E gli sembrava un luogo estraneo, come se non gli appartenesse più, come se in tutto quel tempo fosse stata un'altra persona a viverci, non lui.
Si alzò dal letto che troppe volte nell'ultimo periodo aveva condiviso con lei. Le lenzuola stropicciate durante l'ennesima nottata insonne giacevano in un angolo, a occupare il posto di Corinna ormai freddo.
Era trascorsa più di una settimana dal loro ultimo incontro e Ante continuava a svegliarsi nel cuore della notte con una morsa che gli stringeva il petto e le ultime parole che la ragazza gli aveva rivolto che premevano sulle tempie.
Ti odio.
Non ho mai voluto niente da te, volevo solo te.
Addio.
Un'altra giornata di allenamento, a lavorare, correre, sudare. Un'altra giornata trascorsa tra gli amici, ad attendere notizie da parte di Dolokov e inventare scuse con se stesso per non averla ancora chiamata. Lei e solo lei nella sua testa stanca. Lei e solo lei nel suo cuore triste.
Insieme avevano tutto, una complicità da fare invidia, tutta la felicità del mondo. Corinna con le sue menzogne aveva gettato su di loro una densa nube scura dalla quale Ante non riusciva a uscire. Non vedeva al di là di essa, non riusciva più a scorgere la luce.
Attraversò le stanze silenziose buttandovi uno sguardo vacuo. Quella maledetta casa lo rendeva malinconico, non voleva più starci. Avrebbe cambiato appartamento il prima possibile.
***
Un pomeriggio intero in giro per Milano alla ricerca di una casa nuova, con Rade e Mario che si erano dimostrati molto più pazienti di lui. La giornata era stata calda e nel venticello si avvertiva l'arrivo della sera, l'orario dell'aperitivo. Ante fece un sorso dal bicchiere che aveva in mano, osservando un tizio che sorrideva e si avvicinava nella loro direzione.
Rade sembrava conoscerlo, si alzò in piedi e lo salutò stringendogli la mano. Era italiano ma parlava benissimo la loro lingua, un uomo molto elegante, i capelli corti e gli occhiali da vista.
«Dai, siedi con noi. Prendi qualcosa.» Rade gli fece spazio sul divanetto.
Qualche tavolo più in là, delle ragazze stavano guardando nella loro direzione, ridacchiavano e parlavano a bassa voce. Ante si spostò, dando loro le spalle.
«Vi ringrazio, ma sono solo di passaggio», rispose l'uomo, sorridendo. «Salutami tanto Isotta e dille di non dimenticarsi della mostra.»
«Mostra?» chiese Ante, improvvisamente interessato alla conversazione.
«Ah sì, voi non vi conoscete» Rade indicò sia lui che Mario. «Loro sono i miei compagni di squadra Ante e Mario.»
Mario alzò una mano e sorrise, Ante continuò a fissare l'uomo in attesa di una risposta.
«Molto piacere, sono Massimo Lamantini.»
«È un gallerista» aggiunse Rade.
«Un gallerista?» Forse doveva sembrare ritardato perché il tizio lo fissò per un secondo prima di rispondere.
«Sì, sì. Ho una galleria qui vicino. Siete invitati anche voi alla mia prossima mostra, venite insieme a Rade e Isotta.»
Ante si alzò in piedi. «Massimo, la mia...» Frenò la lingua prima di pronunciare la parola "ragazza" solo perché cominciò a sentire delle fortissime fitte al petto. «Una mia amica sta studiando per diventare una gallerista. Posso mandarla da te? Le fai un colloquio e magari la prendi a lavorare con te. È molto preparata e soprattutto ha tanta passione.»
«Ma certo.» Massimo tirò fuori dalla tasca un bigliettino da visita che porse a Ante. «Può venire quando vuole.»
Ante annuì e sorrise, gli strinse la mano in segno di ringraziamento. Poi si sedette di nuovo, guardando Mario e Rade che lo fissavano. Tornò serio. «Che c'è?»
Massimo si congedò e Ante passò il bigliettino a Rade. «Dallo a Corinna.»
Rade strabuzzò gli occhi. «Io?»
«Puoi farglielo dare da Isotta.»
«Ante, hai rotto il cazzo con questa storia» sbottò Mario, fulminandolo con lo sguardo. «Perché l'hai lasciata se continui a pensare a lei, a fare le cose per lei, a preoccuparti per lei? Non potete stare insieme? Sareste sicuramente più felici.»
Ante buttò fuori l'aria dal naso. «Mario, per favore. Non capisci che...»
«Ma per favore, cosa? Le stronzate si fanno nella vita, ok? E lei ne ha fatta una bella grossa, ma chiaramente tu sei ancora innamorato di lei e quindi perché non la perdoni?»
Lo fissò con sguardo di ghiaccio. «Non la voglio vedere, ok?»
Mario allargò le braccia, facendo una smorfia con la bocca. «Ok. Ma questo non è affar nostro.» Tolse il bigliettino da visita dalle mani di Rade e lo piazzò davanti a Ante. «Se tanto ci tieni, glielo porti tu.»
Rade si alzò in piedi, cercando di stemperare la tensione. «Va bene, ragazzi, va bene. Andiamo a casa?»
Ante e Mario si osservarono per un altro paio di secondi. «Sì.»
Aveva ragione, Ante la amava ancora tanto e non era riuscito a trattenersi quando aveva sentito che quell'uomo era un gallerista. Era un sogno di Corinna. Ante voleva solo vederla felice. Afferrò il bigliettino e lo ripose in tasca.
«Ante?»
Una ragazza lo stava chiamando. Ante si mosse verso l'uscita, senza neanche guardare.
«Chi è quella, la conosci?» Mario si accostò la lui.
Scosse la testa, «No, non guardarla. Fai finta di non aver sentito.»
«Ante? Ehi, non mi riconosci?»
Merda, ma chi diavolo era? Sollevò lo sguardo al cielo.
«Ante, mi sa che questa ti conosce piuttosto bene.» Rade sorrise.
Ante si voltò a guardare. Capelli neri e lisci, sguardo provocante e intenso. Ma certo, la conosceva eccome, era la coinquilina di Corinna.
«Ciao.»
Lei si avvicinò. «Ciao! Sono l'amica di Corinna, ti ricordi?»
Ante annuì. «Come sta?» Di nuovo non era riuscito a trattenersi dal chiedere di lei.
La ragazza sorrise. «Bene. Ora ha iniziato a lavorare al museo del Novecento, hai presente? Quello in Piazza Duomo. Non è proprio un lavoro, sta facendo il tirocinio per l'università. È tutta presa e sempre piena di cose da fare. Però... le manchi.»
Ante fissava Monica ma immaginava Corinna e come potesse essere felice in quel momento. Sapeva quanto adorava essere circondata dall'arte, sapeva quanto potesse essere importante per lei. Avrebbe tanto voluto che lo chiamasse, per condividere con lui quel momento. Invece il telefono era sempre rimasto silenzioso.
«Dove andate, ragazzi? Perché non vi unite a noi?» La voce della ragazza lo riportò nel locale. Lei gli fece l'occhiolino. «Tranquillo, non c'è Corinna.» Le riservò un'occhiata gelida, credeva che così lo avrebbe convinto a restare?
Mario fece un passo verso Monica. «Perché no.»
Ante si voltò di scatto verso Mario, aggrottando impercettibilmente la fronte. «Ce ne stavamo andando.»
Monica spostò lo sguardo tra i due, lasciandolo un po' di più su Mario. «Vabbè, se decidete di restare raggiungeteci.»
Ante aspettò che la ragazza si allontanasse, poi si rivolse a Mario. «Sei matto? Vuoi scoparti l'amica di Corinna?»
Rade ridacchiò e Mario alzò le spalle. «È attraente, no?»
Ante sorrise e scosse la testa. «Guarda che quella poi la devi pagare.»
Mario spalancò gli occhi e la bocca. «No... davvero?»
I tre risero insieme, Ante infilò le mani in tasca in cerca delle chiavi della macchina e le dita sfiorarono il cartoncino ruvido del bigliettino da visita. Tornò subito serio e sospirò.
«Io me ne vado, ci vediamo domani.»
Che doveva fare se non voleva vederla? Strinse il cartoncino nella mano mentre si dirigeva verso l'auto. Fu tentato di buttarlo, tanto sarebbe rimasto in quella tasca per sempre. Non sarebbe mai arrivato nelle mani di Corinna. Lei probabilmente stava ritrovando la sua felicità, non c'era bisogno di andare a disturbarla.
Non sarebbe andato da lei per sentirsi dire ancora quelle ultime parole che lo tormentavano.
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littlepaperengineer · 2 years
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Mia madre non ha tutta la ragione. Oggi ho capito una cosa: a modo suo non va comunque contraddetta. Fa comunque di testa sua. Poi ti sopporta, sta zitta, ti fa parlare, ma fa comunque come aveva deciso di fare. Magari davanti a te fa come dici tu, una volta, due, poi piano piano torna come diceva lei.
Ecco perché la casa è il suo mondo, lei li si muove come vuole, mette le cose come vuole. Ecco perché ti fa innervosire, perché fa comunque di testa sua. Vuole essere casalinga, vive per soddisfare i tuoi bisogni come se avesse fatto un patto con qualcuno perché lo ha deciso lei. Se provi ad aiutarla non va bene, non fai le cose come vorrebbe, inizia a dirti di smettere ripetutamente in modo snervante. La posizione dei panni quando stendi, il modo in cui lavi i piatti, il modo in cui lavi a terra. Ti fa solo spolverare e lavare i sanitari del bagno. Però poi si lamenta che nessuno fa niente, senza dirti mai di cosa ha bisogno in un certo momento.
Nei discorsi è proprio la cosa più palese. Quando vuole dire qualcosa a mio padre non va dritta al punto, ci gira intorno e tante volte quella cosa non la dice affatto. Il problema è che tutte le cose che dice di contorno sono quelle peggiori, tutte le idee negative che ha sull'altra persona, che non fanno altro che indisporre quella persona. A volte mi sembra che non arrivi subito al punto perché vuole proprio farti incazzare prima, in modo che quella cosa che voleva dire non la dice affatto o se la dice poi può affermare "vedi, io non posso parlare perché subito ti incazzi".
Quando invece deve ascoltare non ti fa finire, ti completa le frasi con idee sue, come se avesse paura del punto al quale vuoi arrivare. Chiaramente anche in quel caso uno si innervosisce, il discorso non si riesce a finire mai. Quello che sta pensando lo deve dire, non rimane nella sua testa, anche mentre la frase non è ancora finita.
Dall'altra parte c'è mio padre, che sembra abbia qualche sindrome per la quale risponde già con tono di voce incazzato. Poi polemizza ogni cosa che vede, cosa che ho sempre criticato ma che in qualche modo comprendo: se parla comunque non viene ascoltato, allora ti fa fare e poi ti dice che hai fatto una minchiata. Quando ti chiede di fare una cosa in un certo modo non ti spiega perché, anche se un perché c'è quasi sempre; forse sa che con mia madre provare a spiegare è inutile, inizierebbe subito quel giro di parole per il quale alla fine si arriva sempre a dire che lui sta dicendo una stronzata.
Quindi sommando questi due comportamenti ecco spiegata la guerra di casa mia.
La conclusione finale è "ma fai che cazzo vuoooi" verso mia madre, e tapparsi le orecchie verso mio padre. Ed è un po' l'equilibrio che infatti i miei hanno creato. Mia madre nella testa ha un disco rotto che ripete che è sempre e tutta colpa di mio padre, perché questo funziona con tutto. Stessa cosa mio padre, anche senza sapere chi ha fatto una cagata, mette subito al centro mia madre, ed inveisce subito senza aspettare, senza provare a capire.
La cosa che ritengo più triste è che da un sacco di tempo hanno deciso che il giorno del loro matrimonio sia stato un errore. Come faranno a convivere nella vecchiaia? Io me ne scappo.
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yourstruly-mari · 4 months
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Ultimo messaggio al mio ex
Ti auguro una ragazza che aspetti il tuo Buongiorno e la tua Buonanotte, per iniziare e finire bene la giornata, una che sia grata al Cielo anche solo nel riceverli Ti auguro una ragazza che non si arrabbi quando la pioggia magari ti darà noia e non vorrai uscire Ti auguro una ragazza che ami ogni singolo gesto di affetto che mostrerai, e che si senta fortunata quando vorrai stringerle la mano come solo tu fai Una che ti accarezzi i capelli, che si innamori di più anche solo nello scompigliarteli Una che ami il suono della tua voce, non solo quando (in)canti, ma anche solo perché le parli Una che metta tra i 'messaggi preferiti' di WhatsApp praticamente tutti i tuoi messaggi Una che sia fiera dei tuoi studi, una che non te li ostacoli ma che ti incoraggi a fare carriera un giorno Una che seppur impegnata, trovi sempre uno spazio per pranzare con te, una che ti porti a fare gli aperitivi Una che voglia sapere i tuoi gusti, una alla quale interessi sapere cosa ti piace e non ti piace (e magari una che un giorno ti faccia amare i broccoli.. scherzo), una alla quale piaccia l'acqua frizzante Una che ami il tuo umorismo, una che rida anche per le tue battute più tristi, una che rida davvero Una gelosa ma non troppo da farti soffocare, una che abbia paura di perderti, sempre Una che sia fiera di poter conoscere i tuoi genitori, tuo fratello, i tuoi amici, i tuoi parenti, il tuo mondo Una che ti asciughi i capelli, una che ti faccia le sopracciglia in modo decente, una che ti accarezzi i capelli quando la notte ti agiti, una che ti guardi dormire e che realizzi quanto sia fortunata nel poterlo fare Una che sappia cosa regalarti al compleanno Una che ti soddisfi, una che ti assecondi Una che ti porti al cinema, una che sia fiera di quello che sei e fai Una che sia sveglia, una che non abbia la mentalità chiusa Una che aspetti e che vada con i tuoi tempi Una che voglia vederti, vederti e basta, vederti felice, vederti appena sveglio, vederti sbadigliare e addormentarsi con te, vederti che la desideri, vederti con lei, vederti sempre, vederti sempre senza bastarle mai Una che ti rispetti e rispetti il tuo volere Ti auguro una che si fidi, che si fidi di te, che si fidi del vostro "Noi" Una che si senta onorata di essere tua Una che sappia fare un passo indietro, una che scelga te, sempre Ti auguro questo come minimo e molto di più, e queste cose ti auguro di provarle a tua volta un giorno
Sono già gelosa della tua prossima ragazza ahah.. anche se magari non ci stai pensando proprio per niente.. per quando accadrà
Non riesco a perdonarmi per averti fatto allontanare, o comunque per averlo permesso Buongiorno per l'ultima volta, e scusa il disturbo per l'ennesima volta Domani mi pentirò di averti scritto, ma ti ho amato davvero.. mi sono arrabbiata spesso, nelle volte in cui sentivo solo la paura di perderti, ma spesso ho anche scelto di non farlo, ho fatto del mio meglio.. Spero di dimenticarmi di amarti un giorno, spero di dimenticarmelo ogni giorno
Scusami per lo sfogo, non ti disturbo più davvero, ciao amore
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inspiremysoulll · 1 year
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Ho cercato o su wp.
Omino grigio, senza stato.
Mi ha bloccato?
Ha cambiato numero?
Non lo so, non mi importa troppo, semplicemente non meritavo un trattamento così.
Aveva una vita di merda amici, una vita pessima, davvero, e la verità, è che le ho ricordato come si vivesse, come poter avere una vita sana a modo suo, ovviamente.
Perché non ho mai detto si fa così, si vive così.
Anzi, le ho sempre detto, decidi tu, davvero, qualunque cosa amici, le dicevo "hai una voce. Non dimenticarlo".
Non parlerò del suo passato, è suo.
Ma so per certo, che le ho dato un amore e della felicità a cui lei non era abituata, e si, non nego che questo la spaventava, perché la sua confort zone era quella, lo star male, l'evitare i problemi con una canna e colorando un foglio.
Ma che cazzo, davvero più fai bene e più vieni trattato così?
E sapete quale è il problema?
Che sono ancora convinto che sia l'amore della mia vita ahah.
Dio cane.
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janeeyre2022 · 1 year
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7. Il risveglio
35 gennaio dell’anno 3000 d.C., pianeta Terra 2
Il rumore intorno a me è fortissimo, sento il sangue del mio corpo che fluisce, ma non ancora alle estremità. Le dita delle mani e dei piedi sono bianche e addormentate. Ho ancora gli occhi chiusi, cerco di aprirli ma le ciglia sono ghiacciate e incollate fra loro e mi impediscono di spalancarli. Sento delle voci in lontananza e, piano piano, una di loro si avvicina. È una voce femminile, forse la conosco ma non riesco a ricordare.
Sento che la donna inizia a picchiettarmi sulla guancia per farmi reagire, poi mi inietta qualcosa. Dopo un tempo che non so definire, inizio a sentirmi molto meglio e finalmente apro gli occhi. Sopra di me c’è una vetrata immensa dalla quale posso vedere il cielo. A disturbare la mia visuale è quella della donna che mi ha svegliata, ora riesco a riconoscerla, è Hellen Burns. Subito inizio a ricordare il momento precedente alla mia morte, l’ultima visione che ho avuto coincide con quella che ho ora. La donna che mi ha addormentata è la stessa che mi sta svegliando, quindi capisco che deve essersi fatta ibernare anche lei.
“Ciao Jane, ti ricordi di me? Mi sono svegliata da sola, ma non vedendo più nessuno intorno a noi ho svegliato anche te. Dobbiamo fare qualcosa, credo che siamo in un altro pianeta, deve esserci stato qualche problema” dice Helen.
 Il calendario digitale del luogo in cui siamo segna il 35 gennaio dell’anno 3000, non riesco a credere che mi sia risvegliata dopo 978 anni, e con Helen…Ma dov’è Edward?  Mi rendo conto di ciò che ha detto Helen, siamo solo in due, com’è possibile? Inizio ad alzarmi molto lentamente, siamo in una specie di bolla di vetro. Vedo che fuori qualcosa si muove, ma sono sconvolta perché non riesco a capire cosa sia. Sembra una persona, ma è molto diversa da quelle del 2022, ha le gambe molto più corte, non cammina e si muove in una sorta di cabina automatica. All’improvviso entra uomo, si presenta come John Rivers e inizia a parlare con una voce robotica che mi sciocca ancora di più. Riusciamo a farci spiegare cosa è successo. L’uomo ci racconta che 100 anni prima, ovvero nel 2900, la Terra è stata colpita da un meteorite immenso che ha provocato la scissione del pianeta in due distinti. Oggi ci sono quindi due pianeti Terra e noi siamo nel pianeta Terra 2. Io ed Helen siamo rimaste nella metà che è rimasta integra, ancora stanno accertando che nell’altra metà sia rimasto qualche segno di vita. Tra tutti i possibili scenari che immaginavo, questo è forse il peggiore, non avrei mai pensato di svegliarmi senza Edward, ma la cosa peggiore è che non si può sapere se sia vivo o morto…
L’uomo ci dice, inoltre, che consultando il registro dei risvegli, risulta che Edward Rochester si sia svegliato nel 2500, quindi 400 anni prima della divisione della Terra e 500 prima del mio risveglio. Questa è l’unica cosa che so, oltre al fatto che un uomo non può essere ancora vivo dopo 500 anni. Edward è morto ed io con lui, oggi più che mai. La nostra vita insieme è finita quasi mille anni fa e non lo rivedrò più. Mentre guardo il cielo dalla vetrata, in lacrime, penso ad Edward e al nostro ultimo saluto. Mi inietto una dose di Pentothal lasciando prima un biglietto:
Ad Helen, il mio angelo
fai incidere sulla mia lapide: “Il 35 gennaio del 3000 Jane Eyre nasce nel pianeta Terra 2. Nello stesso giorno, alle ore 25.30, Jane Eyre mette fine alla sua vita. Giace con lei il ricordo del suo amato Edward.”
FINE
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lilith270770 · 1 year
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I capelli arricciati scendevano lungo il corpo coprendo il seno generoso di una Donna viziosa e dallo sguardo malizioso, coglievo il suo respiro mentre le forme del corpo in controluce sfumando donano una piacevole sensazione alle emozioni, come un mistero mescolato al peccato.Una serie di pensieri impuri albergava nel mio cervello per uscire l'istante dopo attraverso uno sguardo attento ad ogni piccolo impercettibile movimento che il suo corpo ancora astratto mi regalava.Riuscivo a rimanere ancora fermo ed immobile, l'attesa era come una partita a scacchi, il ticchettio di un orologio a muro era l'unico rumore che riempiva la stanza, forse nel suo volto vi era un sorriso, si forse.Il mio invece era attento e paziente, mi sentivo come il ragno che attendeva la sua preda, paziente dal respiro soave, ignaro che anche un ragno può diventare a sua volta preda, come sa essere meravigliosamente bizzarra la Natura, come può mutare il senso di vittoria in una tremenda sconfitta.Di scatto si alzò in piedi e davanti a me il suo corpo ora non più sfumato dalla luce intensa, diventa nitido come l'alba di una giornata tersa, la guardo con brama, lo sguardo tratteggia i contorni del suo corpo, ammirando i delicati lineamenti, volevo parlare ma le parole restano strozzate in gola, mentre nel suo volto è certo quel sorriso che prima potevo solo immaginare, era un'angelo con gli occhi da diavolo e il mio sguardo si abbassò, fu in quell'esatto istante che da cacciatore divenni preda, e inizio un altro gioco.Iniziò a parlarmi e il timbro della sua voce mi ammaliava, senza capire bene come finii per fare tutto quello che mi ordinava, ero consapevole di starmi a mettere in trappola da solo ma non riuscivo ad oppormi, trovandomi disteso coi polsi legati allo schienale del letto, uguale le caviglie, gambe leggermente divaricate, le sue mani che sfioravano la mia carne che iniziava a bruciare in quell'inferno, la sua voce mi penetrava, ogni sillaba rimbombava nel cervello, dandomi molteplici e opposte sensazioni, ora di serenità e il secondo successivo, che pareva infinito, mi trovavo col cuore in gola, agitato, inquieto, la fissavo, si questo lo ricordo nitidamente.Era china sul mio torace, la mano aperta sfiorava la pelle, le sue labbra si concentrarono verso un capezzolo che divenne sempre più turgido ad ogni leccata, adoro la sua lingua così ribelle ed imprevedibile, poi quel piacevole dolore quando coi denti strizzava quel piccolo chiodo che era diventato un capezzolo, dannata costrizione, l'avrei rivoltata, ahimè intenzione presente solo nel mio cervello, così punendomi strinse più forte labbra e denti e mi lasciai sfuggire un'imprecazione che trovò la sua soddisfazione.Subito dopo ripeté le stesse azioni sull'altro capezzolo, intanto il braccio scendendo iniziò a torturare il mio piacere ora molto attento, con le mano giocava coi peli arruffati che ben presto si ritrovarono attorcigliati a un suo dito e iniziò a tirarli, leggermente, mentre le labbra continuavano a torturarmi, e continuò con quel suo sadico piacere che ora era anche il mio.Ogni tanto cercavo di muovermi agitandomi, ma subito dopo sbuffando ero costretto a rinunciare, potevo solo inarcare e di poco la schiena o allungare il collo, null'altro, ero prigioniero delle mie stesse fantasie, e mi piaceva, ad occhi chiusi mi passavano mille immagini dove era Lei ad essere costretta e legata, così si liberò un sorriso beffardo che mi riportò alla realtà.Lasciò i peli al loro destino, allentò la morsa dal capezzolo diventanto rosso, si alzò in piedi e mi fissò per alcuni attimi, come se stesse pensando alla prossima mossa che non tardò ad arrivare, montò sopra il letto dandomi la schiena, l'avrei dipinta marchiandola coi denti, poggiò le ginocchia sul materasso che affondò di poco sotto al suo peso, si girò come per prendere le misure e si spostò poco più indietro verso di me, macchiandomi il torace coi suoi umori, un'altra occhiata con quel sorriso da sberle, e mentre stavo per prenderla a male parole mi tappò la bocca con la sua fica,
ricacciando indietro tutte quella parole che avrei voluto vomitarle addosso, mi zitti immediatamente, respirando quel sapore intenso che emanava, spalancai la bocca con l'intento di prendere tra le mie labbra le sue che erano umide, la lingua già proiettata verso quel sublime monte, il mio cervello già gustava quel piacere, ma durò un niente, Lei alzò di quel poco il bacino privandomi del mio piacere, solo allora aprii gli occhi e potei vedere la sua fica a pochi centimetri da me, poco sopra e cercando di alzare il busto e allungando anche il collo, restava sempre qual niente a separarci, le urlai Stronza, così forte che echeggio per tutta la stanza per poi sbattere contro una sua risata provcatoria e quasi di scherno, non so cosa le avrei fatto se fossi stato libero, anche se dentro di me cresceva quel senso di vendetta che ero certo mi sarei preso prima o poi, si ma non ora.Continuò a prendersi gioco di me, alzandosi e abbassandosi più volte, nel farlo riuscii a darle alcune leccate, cazzo aveva un sapore che mi scioglieva, entrando fin dentro al cervello e facendo crescere l'eccitazione già alta nella quale mi trovavo, poi si staccò leggermente e si chinò verso la cappella ormai infuocata e grossa, ora ci siamo, mi ripetevo dentro di me, non tenendo in considerazione quanto stronza potesse essere.Sentivo il suo fiato soffiarmi contro l'asta, la punta della lingua passarmi sulla cappella fino a raccogliere qualche goccia che era uscita, i suoi erano gesti teatrali, parlava amme guardando lui, lo accarezzava, lo sfiorava continuamente con la mano e con la pelle del suo viso, lo faceva sparire per un attimo dentro la sua bocca per poi ritrarsi subito dopo, così da sommare eccitazione ad altra eccitazione, voglia ad altra voglia, ma ogni volta che sentiva di avermi portato al limite, si ritirava dando tregua.Andò avanti così alcune volte, potevo solo attendere e muovermi nervosamente, ma era lei a condurre quel perfido gioco, fino a quando al colmo del piacere si alzò per andarsi a sedere sulla poltrona al bordo del letto, stizzito sbuffai, mentre le sue gambe si allungavano lungo al letto, leggermente divaricate, qualche raggio di luce che entrava dalla finestra illuminava quel suo volto da cazzo, nel suo viso un sorriso tirato e quel ghigno arrogante di chi sapeva di star vincendo ma forse, guardandomi, anche consapevole che l'avrebbe pagata e anche cara.Ma continuava a condurre Lei questa battaglia, fai fai le dicevo con voce tremolante, era quasi un singhiozzo di rabbia soffocata, non volevo darle soddisfazione ma non sono sicuro che ci stavo riuscendo, lei lo sapeva, prese un seno con la mano e lo portò verso la bocca, spalancandola fece uscire la lingua che si mise a succhiare il capezzolo, non prima di averla fatta ruotare sull'ampia rosa marrone scura, proseguì prendendolo con le labbra, stringendolo tra i denti, e l'altra mano era in mezzo alle cosce spalancate, la sua fica rossa a due metri da me, la desideravo cazzo, l'avrei divorata come un animale, le dita che prima si sfioravano il clitoride per poi entrare dentro a quella fessura, ne potevo sentire l'odore, intanto in quel suo piacere di dentro e fuori dal ritmo irregolare vedevo i suoi umori appiccicati alla pelle rosa delle sue dita.Immerso in uno strano piacere la vedevo insistere e continuare sempre con più decisione, lo sguardo che ora non riusciva più a guardarmi, l'occhio chiuso e il volto sempre più tirato, ad ogni movimento il suo corpo aveva come degli spasimi, la schiena si inarcava e ogni volta che capitava si tirava forte il capezzolo, fino a lasciarsi scappare dei delicati rantoli di piacevole dolore, poi si fermò, le dita impiantate dentro, ferme, immobili, il respiro sospeso, il corpo teso in quel fascio di nervi e muscoli tirati al massimo, ed eccolo, quell'urlo liberatorio che accompagnava un orgasmo forte e d intenso, la schiena inarcata le ginocchia piegate i muscoli delle cosce scolpiti come marmo, e la fissavo estasiato e gonfio di dolore, avrei goduto su di lei, l'avrei riempita di me,
ma intanto la potevo riempire di bizzarri epitafi che so piacerle molto, si lasciò andare sulla poltrona, il cuore le batteva forte, il respiro veloce, solo qualche minuto dopo tornò normale, alzandosi mi diede un bacio, dolce, delicato, sulle labbra e mi slegò.Mai dare per scontato ciò che all'improvviso potrebbe cambiare, mai pensare di avere tutto sotto controllo, che da cacciatori a prede è veramente un attimo, però sa essere un attimo lungo e piacevole, come piacevole e lunga sa essere l'attesa per una giusta "vendetta".
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tarditardi · 1 year
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"Figli delle stelle”, la nuova cover è firmata da Gianpiero Xp FT Claudio Fiori & Federico Luongo
"Figli delle Stelle", il classico di Alan Sorrenti ha una nuova cover ufficiale, autorizzata dallo stesso artista e dalla casa discografica Ala Bianca Group. La nuova cover del brano l'hanno realizzata tre artisti italiani attivi in tutto il mondo o quasi: Gianpiero Xp, celeberrimo dj, produttore e speaker radiofonico (Radio Ibiza, Studio Più), Claudio Fiori, cantante e pianista di sicuro talento e Federico Luongo, chitarrista jazz (e non solo) che da tempo collabora con musicisti di livello assoluto, hanno deciso di unire le forze per rielaborare una canzone senza tempo. 
Tra le diverse versione spicca quella dedicata al dancefloor curata da Paola Peroni, dj producer bresciana anche lei da anni attiva sulla scena internazionale anche come Miss Groovy e Bacon Popper.  "Figli delle Stelle", tra l'altro, esce su una delle sue label, Intercool Digital. Il Paola Peroni Rmx ha sonorità house adatte al dancefloor ma è anche decisamente piacevole da ascoltare, alla radio e ovunque.
Il Paola Peroni Rmx di "Figli delle Stelle", come del resto la versione originale della cover realizzata da Gianpiero Xp FT Claudio Fiori & Federico Luongo, regalano nuova vita senza stravolgerlo ad un vero capolavoro a metà tra pop, funk e disco. La melodia, questa volta interpretata dalla voce intensa di Claudio Fiori, resta in evidenza, così come l'iconico riff di chitarra che regala un attimo di felicità a chiunque ascolti la canzone.
Pubblicato nel 1977, il brano fu prodotto dall'americano Phil Ramone e fu un enorme successo di quell'anno, rimanendo per ben 16 settimane all'interno della Top 10 dei singoli più venduti. Dette il via alla carriera di Alan Sorrenti, un artista amatissimo ancora oggi, in Italia e non solo.
Gianpiero Xp FT Claudio Fiori & Federico Luongo - "Figli delle stelle"
https://open.spotify.com/album/4guC5gjAX70EN51uCnBGFf?si=U4pH1zqMScOeE0Hlwy7qQQ
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Gianpiero Xp è uno speaker radiofonico Dj Producer, Music Engineer. Art Dir Casa Sanremo THE CLUB da Set 2021 ad oggi. Da Ago 22:Conduttore/Dj Radio Studio Più  Da Lug 2020 a Lug 2022 Art Dir/Conduttore 1 Station Radio. Dal 99 al 2020 Programmatore Musicale/Dj/Conduttore Radio Ibiza. Dal 97 al 99 Dj/Conduttore Radio Marte. Gianpiero realizza piu' di 50 titoli fra Produzioni Dance e Remix Internazionali e Nazionali; collaborazioni con: Alexandra Stan, Parov Stellar, Willy William (Remix di grande successo della Hit Internazionale EGO), Roger Sanchez (Remix pubblicato dalla sua Label), Dj Antoine e molti altri artisti di spessore Mondiale e Nazionale.  Oltre a lavorare come speaker radiofonico per varie emittenti italiane, Gianpiero è il direttore artistico di Casa San Remo The Club: format di successo di Casa Sanremo per giovani talenti del mondo del DJ-set. https://www.facebook.com/GianpieroXP
Claudio Fiori: cantante - pianista professionista italiano, specializzato in Live shows Piano e voce e con band richiesto ed apprezzato non solo in Italia ma anche all'estero: Svizzera, Francia, Inghilterra, Canada, Russia ecc… Claudio Fiori è Autore, compositore, arrangiatore – Musicista versatile e poliedrico. Vincitore dell'accademia di Sanremo nel 1999. Partecipa nel 2000 al Festival di Sanremo con il brano Fai la tua Vita scritto in collaborazione con Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani, autori storici del panorama musicale italiano. Ha all'attivo un disco dal nome "Claudio Fiori" prodotto da Giancarlo Bigazzi nel 2006 e distribuito dalla Mbo di Milano e Universal Music. Nell'estate del 2013 è stato al vertice delle classifiche Dance in Italia, Francia e Brasile con il brano "If I ever" prodotto dal DJ Mario Fargetta (Get far) per il quale Claudio Fiori ha prestato la voce.
Claudio Fiori è produttore dei suoi ultimi lavori discografici "Songs to remember" (2010) e "Acoustic Mood" (2013), "An Opportunity" (2016), "Stringimi di più" (Singolo - Maggio 2020), Claudio Fiori Quintet "Great American Songbook Vol1" (Ottobre 2020). https://www.claudiofiori.it
Federico Luongo: classe '82, nasce a Castellammare di Stabia e vive a Torre Annunziata (NA).  Ha studiato fin da adolescente, unendo lezioni private e percorso accademico con i migliori musicisti italiani, attraverso vari generi musicali dal Jazz al Pop, dal Rock alla Musica Tradizionale. Ha frequentato decine di masterclass con i più importanti maestri della scena jazz mondiale, perfezionando i suoi studi direttamente a New York. Registra centinaia di dischi come Sideman in varie produzioni di ogni tipo. Come Performer svolge un'intensa attività Live dai club, ai teatri, ai concerti in tutto il mondo. Arrangia, compone e suona per le proprie opere e per altri artisti. Ha prodotto 2 dischi come leader, 3 come co-leader e ha scritto 4 libri per chitarra e tutti gli strumenti. Insegna in una scuola di musica e attraverso lezioni online. https://www.federicoluongo.com/web/
Paola Peroni, bresciana, è una tra le dj producer più stimate della scena dance internazionale. Tra le molte, moltissime, produzioni va citata la hit Bacon Popper - "Free", uscita nel 1998 (120.000 copie vendute solo in Francia) e tanti altri successi sfornati sui Media Records. Nel 1991 era già al mixer della discoteca Genux, dove diventa resident dj con lo pseudonimo di DJ Groovy. Da allora la sua carriera è in continua crescita. Tra mille diverse esperienze, va citata la collaborazione con Zucchero, di cui Paola Peroni ha aperto diversi concerti. Inoltre gestisce da tempo la sua label musicale Intercool Digital. 
www.paolaperoni.it
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tempestainmare · 1 year
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Party going to
La lista dei regali tutta all'italiana. Chinonso people alle prese con la ordinary life again. Che popolo di babbani, agendina e... scrivi l'appunto della giornata. O ancora meglio giocattolino elettronico e... app.app.app.org. Invece no, continuano a sentire sempre la stessa melodia "Last Christmas" too. Noi, mamme incomprese alle prese con la lista dei regali di #natale. Terminate le coccole mattutine del venerdì e quella cosa lì della notte dei tempi, l'atto fu. Che lingua assai ardua quella dei Chinonso, eppure basterebbe un soggetto diverso dalla settima persona plurale a-tantum e un IO assoluto. La morte ogni qual volta si presenta la manifestazione pubblica della banda musicale del paese limitrofe, con cadenza settimanale, rigorosamente la sera. Una prestazione di circa 9 minuti di orologio svizzero. La Candela 🕯 rigorosamente in incisione natalizia, il must have della stagione in arrivo. Che cosa vi comunico oggi? Noi mondo esiste e regna in mezzo a noi. Arma segreta? La Finanza. Le maestre di un tempo non esistono più. Si e No! Ci sono e si nascondono bene. Si parla solo di maestre, maestrine e mammine da strapazzo. Tutti che vogliono la cattedra in scienze della comunicazione di quel posto sperduto dal pataterno in cui quella persona lì è stata un tempo sua e oggi è SOLA. Nel paese di Chinonso il venerdì è giorno di riposo, che te ne fai degli ebrei e tutti i filistei. Vigili no, medici no, salumieri no, maestre no, video vedo SI. Tornando alla storia dei regali, senza il maritino che lavora non si possono comprare. Today uno di voi, un nano di soli 8 anni ha esordito dicendo: failed! Bimbo hai ragione. E chi me lo fa fare di sudare per avere le cose quando tu a 8 anni già sai che grazie ad un digito avrai tutto nella vita? POVERA ME TAPINA. Black Friday in anticipo dalle mie zone: tutti avevano uno smartphone #i.phone NUOVISSIMO. Uno addirittura ha solo detto a voce lontanissima "tu sei il problema". E mamma e babbo che ti danno a campare cosa sono? UN PROBLEMONE. Fatti e foste per vivere come la Pia. Trascorsi 6 lunghi anni dalla pubblicazione del mio best seller moon_diale, ancora Chinonso chiede la ristampa. "Copie gratis". Certo babbani, lo scriverò nella letterina a Babbo Natale, Nicola per gli amici di Giuseppe.
Wishlist Christmas L.OVE
Se avete figli, il primo pensiero purtroppo per le vostre finanze va alle insegnanti. Che sia preside o assistente materiale, la facciata va salvata sempre. Il mestiere più inutile ai giorni d'oggi. Il gesto va fatto. Budget per singolo bambino: 12 euro. A scuola di Giuseppe, quello in alto, il regalo va a tutto il corpo scolastico: preside, insegnanti, inservienti e servette.
A quella lì NO. Lei è diversa.
Che significa diversa? Non ha il telefono.
La #SUOCERA. La temibile. Il cesto di Natale come piace al sud dello stivale è la REGOLA. Per chi non lo conoscesse è un insieme di cose che formano una cosa grande. Belli da vedere e una goduria per il pancino. Pandoro NO. Panettone artigianale NO. Panettone canditi e uvetta si e si.
LUI: maglioncino lanoso tema natalizio tocca alla madre di lui. La moglie è sempre indaffarata e si presenterà il 24 con un misero regalino riciclato all'ultimo minuto. Mogli SVEGLIA!!! I mariti non sono diversi dai figli, la cura e l'affetto e qualche gesto di troppo. Poi le lasciano. C'è chi ancora non vi sceglie. Come mai? Per le coppie di fidanzati, nessun problema: il portafogli di babbo 🎅ci salverà!
LEI: che siano 3 anni o 300, il regalo deve essere SPETTACOLARE. Tutto il quartiere social ne deve parlare, l'invidia di ogni amica, l'odio di ogni cugina, il disprezzo di tutte le sorelle.
Dati i tempi, il colera si ma l'AMMORE mai più.
NONNI: Pandoro si, risparmiatevi quel verde pistacchio che non se ne può più. Si, il bene non è per tutti ma DI TUTTI. Un rametto 🌿 tronchetto cioccolato e lemon_age male non è. I vecchi van presi per la gola, non gli amanti. I mariti con la PASTA. Mogli e buoi dei paesi NORDICI. Collana di perle: il top! Cravatta solita no ma una sciarpa sempre gradita.
SPORT: inseganti sono tali in tutti i posti e le posizioni. Dolci no, penseranno di essere grassi già prima di aver consumato il pasto.
Amici: oggettistica sempre gradita.
Genitori: ci pensa Nicola.
Bambini 🧒: giocattoli sempre sempre sempre. Babbo Natale saprà accontentarvi ad una condizione: essere stati buoni. Mai entrare nella lista dei cattivi: il Grinch. Ricordatevi di scrivere una letterina a mano lunga e dettagliata. Nicola non usa la tecnologia ma solo quello che gli serve per mandare avanti la sua azienda. Inserire all'interno della busta ricevuta di pagamento di bonifico: BENEFICIARIO: Natale Babbo in arte Nicola; Via delle renne 154, Lapponia. Polo Sud. CAP 56678. Limite numero pezzi: nessuno. E se Giuseppe volesse un fratellino? Madre certa.
La fabbrica del Natale è già all'opera da circa un mese. La magia consiste nel ricreare l'atmosfera di un momento/posto in cui siamo stati sempre bene. Un posto che esiste solo nella nostra immaginazione profondissima di un mare azzurrissimo: il conto in banca.
Nota dolente: il commercio è fermo. Un orologio guasto che non fa più il suo dovere. Se ci sono riusciti gli inglesi, allora c'è speranza per tutti.
L'AMORE è anche questo, wishlist film da vedere ARRETRATI.
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kon-igi · 2 years
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Ci sono modi per aiutare l'Ucraina? Sul sito della croce rossa ho trovato una raccolta fondi. Ma non so se ci sia altro da poter fare.
Questo post sarà lungo (anche per la mia creazione il Demiurgo s'è scordato di stappare la provetta con l'ingrediente 'capacità di sintesi') ma confido nella sensibilità (e la pazienza) che più e più volte avete dimostrato nel leggermi.
Prima di svelarti quelle due parole che racchiudono il senso di quanto ognuno di noi possa fare per la popolazione ucraina, ti racconterò una storiella sufi che qualche abitante della terra dei sogni m'ha mandato questa mattina, tra il sonno e la veglia.
Quando Kavan Ibn Alborz chiese al suo Imam cosa fosse la guerra e quali le sue vittime, egli invitò il suo discepolo a uscire fuori nel sahn della sua dimora e giocare una partita a scacchi nel tiepido vento della sera.
Almurid - disse - tu sai bene che il gioco degli scacchi fu inventato da un uomo miscredente ma saggio che in questo modo cercò di consolare e aiutare un re che aveva perso il suo unico figlio in una battaglia per cui non aveva studiato la giusta strategia. Quello che tu chiami gioco, però, è il modo in cui il Creatore, sempre sia lodato, semplifica il mondo agli occhi miopi dei suoi figli, perciò disponi i pezzi e alla fine capirai cos'è la guerra e chi sono le vittime.
Kavan spazzò via dalla scacchiera la sabbia accumulata dal vento e cominciò a disporre gli scacchi.
Quelli che abbiamo davanti - disse il Maestro - sono due eserciti assetati di sangue del proprio nemico e mentre il re e la sua consorte mandano ordini dalla sicurezza delle retrovie, i soldati avanzano a versare il proprio sangue.
Entrambi mossero i propri pedoni, scricchiolanti per i granelli di sabbia che il vento continuava ad accumulare.
Morti i fanti - continuò - i Cavalieri caricano il nemico, mentre le torri d'assedio si preparano all'attacco e gli elefanti, che ai barbari occidentali sembrano uno dei loro preti, aspettano di tagliare di traverso il campo di battaglia.
E soffiò sulla scacchiera per far volare via la sabbia, più e più volte mentre la partita proseguiva.
Il sangue è stato quasi tutto versato - disse infine - oramai anche le donne hanno dato la vita per il loro marito Re e questo è il momento in cui ti dico shāh māt, il Re è morto. Hai perso la battaglia.
Kavan si accigliò e poi sorrise - Come sempre, Maestro. Ma allora qual è il significato della guerra e ancora ti chiedo, chi sono le sue vittime?
Non c'è significato - disse rimuovendo gli ultimi pezzi - solo l'eterna attesa del vincitore di diventare il vinto.
Sono loro le vittime? - chiese Kavan Ibn Alborz.
No - rispose il maestro con sguardo triste e con una mano spazzò via tutti i granelli di sabbia dalla scacchiera - Le vittime sono tutte quelle persone che non volevano giocare.
E allora ti dico quali sono quelle due parole che sono diventate il mio motto di vita
NEMO RELICTUS
Nessuno lasciato indietro
Non devi fare qualcosa ‘contro la guerra’ e non devi nemmeno fare ‘qualcosa per l’Ucraina’... quando affronti un 'nemico’ così grande hai perso ancora prima di muovere il pezzo.
Tu dovrai scavare, dipanare e demolire questa cosa mastodontica e invincibile finché non troverai quei granelli di sabbia calpestati e spazzati via da scacchi a malapena coscienti di chi hanno sotto i piedi, l’essenza sofferente alle sue radici, le singole persone che in questo momento stanno soffrendo.
Trovane una e dille che la capisci, che stai soffrendo con lei e che ci sarai sempre per supportarla, ascoltarla e offrirle il tuo aiuto.
Non è poi così difficile, credimi.
E poi fai anche una donazione alla Croce Rossa, a Emergency o a qualsiasi organizzazione (seria) che si sta prodigando per portare aiuti, scendi in piazza, firma, contrapponiti, discuti e arriva anche ad alzare la voce, non per urlare contro chi non capisce ma per darne a chi in questo momento l’ha persa.
Ti senti comunque impotente?
Abbassa il tuo riscaldamento, spegnilo e accendilo solo poche ore oppure spegnilo e basta, negando così quei pochi metri cubi di gas a chi ne trae profitto per espandersi e togliere diritti a quei granelli di sabbia.
Io l’avevo spento per risparmiare in un momento di bisogno e adesso che, per fortuna, non ce n’è più necessità, continuo a tenerlo spento.
Certo, non manderò in bancarotta Putin, come il mio essere vegetariano non salverà le migliaia di animali che ogni giorno vengono macellati ma è una mia scelta di singolo individuo, la cui portata sarà efficace tanti più individui comprenderanno la differenza tra individualismo - sono il centro del mondo e le altre persone semplici attori sul mio palcoscenico - e individualità... sono il centro del mio mondo in una galassia di altri mondi con i quali orbitare assieme.
Non bisogna vincere una guerra... bisogna non far perdere le persone.
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mvpgiannacarletto · 2 years
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Buongiorno a tutt*. Ecco la prima cosina che scrivo pseudo-seriamente, coerente solo grazie all'aiuto di @stoca69 . Dedicata a lei ed un po' a tutto il tumblrcalcio. Storia senza pretese, i commenti sono benaccetti. Declaimer obbligatorio, tutto ciò è frutto della mia fantasia, niente di tutto ciò è mai successo ecc...
Enjoy<3
La prima volta che vede la foto sente un tuffo al cuore. Non si erano fatti promesse, e lui non si era illuso sulla possibile durata della cosa, però mai si sarebbe immaginato quello. Ed ora era lì, un male cane alla coscia, una foto di una mano con al dito un anello, e lacrime che scendevano copiose.
Aveva dibattuto a lungo su cosa scrivergli, ma poi aveva scelto di congratularsi sotto il post e niente di più. L'indifferenza dell'altro gli aveva dato il colpo di grazia: forse si era fatto troppi castelli in aria, e ora non gli era rimasto niente.
Lui non lo aveva cercato, e pur soffrendo come un cane, aveva accettato il suo silenzio. Che trovasse la felicità con qualcun'altra, che lo dimenticasse come se non ci fosse stato nulla, come se lui non contasse nulla.
Il giorno prima della partita, gli arriva una notifica. Un semplice "Ciao. Come stai?". Lui, confuso dal messaggio, risponde con un ancora più banale "Bene. Tu?". Si sente un ragazzino illuso che ora prova a ferire l'amichetto che non sa neanche perché è offeso, però non riesce a smettere. Dopo un patetico botta e risposta, che lo lascia con l'amaro in bocca, è ancora più confuso sul perché l'altro gli abbia scritto.
Quando si vedono per la prima volta ,nel tunnel, circondati dalle rispettive squadre, lui non sa come comportarsi. Decide di fare la persona matura e diplomatica, come si ripromette di essere quando si parla di altri, ma che proprio non riesce ad essere quando c'è di mezzo lui. Decide di cercare un equilibrio tra competitività agonistica, serenità ed indifferenza. Il risultato non è dei migliori, lo vede dagli occhi del suo capitano, ma la soddisfazione personale e il risultato della partita gli fanno accantonare per un po’ il problema.
Problema che si ripresenta ad un paio di ore dal triplice fischio, fradicio e confuso al campanello di casa che Teo a malapena sente sopra il suono della pioggia. Vorrebbe mandarlo via ma allo stesso tempo lo vorrebbe stringere, confortare e non lasciarlo andare mai più. Decide di farlo entrare e cerca di capire la situazione.
"Loca, che ci fai qui?"
Lui si gira verso l'altro e, con sguardo perso, fa spallucce.
Ok, cambio di strategia.
"Gli altri?"
Con voce flebile, come se avesse avuto la gola irritata, risponde con "Sull'autobus verso Torino"
La normale domanda successiva sarebbe stata "E tu?" ma, siccome non è sicuro che l'altro possa rispondergli. Stufo del suo mutismo, gli afferra il braccio per portarlo verso il bagno. Lo lascia alla porta per andare a trovare un pigiama abbastanza grande per l’altro. Lo ritrova esattamente dove l’ha lasciato, con lo sguardo stralunato che vaga per il corridoio soffusamente illuminato. Posa gli indumenti sul puff del bagno, dal quale poi prende un asciugamano, lasciandolo tra le sue braccia. Gli dice di fare con calma e di riscaldarsi, e poi si chiude la porta alle spalle. Pochi secondi dopo sente il rumore della porta della doccia che si chiude e dell'acqua che scorre.
Si dirige verso la cucina, non sapendo bene cosa fare. Lui ha già mangiato, avendo festeggiato con i compagni in un ristorante, ma non può fare a meno di preoccuparsi per l’altro, quindi mette su l'acqua per fare un semplice risotto, perché è quello che gli preparava sempre sua madre quando stava male, e gli ricorda casa e ora Manu è qui e lui... è disperato.
Così, cerca la calma nella familiarità, e nella certezza di poter aiutare l'altro. Dopo aver spento il fornello, sta per impiattare il risotto, quando si volta e nota l'altro, già vestito ma con i capelli ancora bagnati e l'asciugamano ancora in mano. Ed è un po' per memoria muscolare, un po' per istinto che si avvicina, gli prende il panno dalle mani e comincia a passarlo delicatamente tra i ricci dell'altro. Prima tamponando, poi sfregando lentamente, per evitare di fargli del male. Sembra passata un'eternità quando sente una mano posarsi sul suo fianco, e si accorge per la prima volta di cosa sta facendo: sta invadendo lo spazio dell'altro in una parodia di intimità che una volta aveva creduto di condividere, ma che aveva poi realizzato essere solo un'illusione. Allora lascia l'asciugamano sulla testa dell'altro, si allontana, cercando di riprendersi e di calmare i pensieri.
Gli dà silenziosamente le spalle, concentrandosi sulla pentola, per poi poggiare sull'isola della cucina due piatti e due forchette. Invita l'altro a sedersi, e incominciano a mangiare, lui più che altro muovendo il riso a destra ed a sinistra, l'altro letteralmente divorando la propria porzione.
Dopo aver sparecchiato, non è rimasto nient'altro su cui concentrarsi. E l'altro ancora non ha spiaccicato più di due parole e vaghi mormorii. Teo, stanco della giornata e di quella strana tensione che si porta dalla visione della foto, gli chiede nuovamente perché è lì. Lui continua a non rispondere. Sa che non lo sta ignorando, ma sa anche che non riceverà a breve una sua risposta. Così si alza, più lentamente di quanto vorrebbe ma più aggressivamente rispetto al normale e augura la buonanotte all'altro, non prima di dirgli che può usare il divano in salotto.
Cerca di passargli accanto senza toccarlo, per raggiungere in fretta la propria camera, ma viene bloccato da una mano che gli afferra saldamente il polso. Silenzio, seguito poi da un labile "Ti prego, non mi lasciare da solo, non mi abbandonare, non anche tu" Teo è ferito e profondamente rattristato dalla vista degli occhi lucidi dell'amico.
Allora decide di rimanere; gira lentamente il polso così che l'altro non fraintenda il movimento, gli afferra delicatamente la mano e lo porta verso il divano, dove si siedono.
Ancora silenzio, e Teo è sempre stato bravo ad aspettare, ad avere pazienza, ma sente anche un bomba interna che sta per esplodere. All'improvviso, il riccio si gira verso di lui e lo abbraccia, prima rigidamente, poi lasciandosi andare.
Teo non può far altro che girarsi a sua volta e cominciare ad accarezzargli i capelli ancora umidi e la schiena, che incomincia a tremare. Sente i singhiozzi, percepisce le lacrime sul collo e vorrebbe consolare il ragazzo, scacciare lacrime e paure. Ma non sa come fare, quindi si limita ad abbracciarlo e a sussurrargli rassicurazioni.
Dopo quelle che sembrano ore, con il corpo sul suo che smette di tremare e le braccia che non smettono di stringerlo, con voce tremante, il riccio dice "Mi dispiace, sono un cretino per quello che ti ho fatto e per esserti piombato a casa dopo tutti questi mesi... Io… Tu non ti meriti niente di tutto questo".
Per Manuel, gli atti di gentilezza del padrone di casa, la sua pazienza ed il suo aiuto non sono altro che l’ennesima dimostrazione che lui Teo non se l'è mai meritato, e non se lo meriterà mai.
Dal canto suo, Teo non sa come rispondere. Sentire prima le sue lacrime, e poi quelle parole lo ha devastato. Allora, dopo un attimo di silenzio, opta per un sincero "Lo sai che per te ci sarò sempre".
Allora Manuel si allontana, appoggiandosi al bracciolo opposto per poterlo guardare negli occhi "Non dovrebbe essere così. Dovresti incazzarti con me, urlarmi in faccia e cacciarmi fuori, non accogliermi e cucinare per me"
"Manu, non so cosa vuoi che ti dica. Sei un mio amico, sei in difficoltà e sei venuto da me. Io più di aiutarti..."
"È questo che siamo, solo amici ?" chiede sommessamente il riccio.
Teo è perso. A fine europeo avrebbe detto di no, che erano molto di più; pochi mesi dopo avrebbe sempre detto di no, che erano molto di meno, conoscenti, colleghi tutt'al più. Ora non ne era più certo. Manuel mal interpreta il suo silenzio.
"Scusa, tu mi stai dando una mano ed io continuo a comportarmi da coglione. Io non so neanche come iniziare a scusarmi per quello che ho fatto"
"Manu, abbiamo solo perso un po' i contatti, non è certo la fine del mondo" risponde Matteo, facendo finta di non capire che l'altro si stia in realtà riferendo a come gli abbia spezzato il cuore e lo abbia abbandonato, solo per ripresentarsi di punto in bianco, e non di un banale allontanamento.
Manu lo sa, lo vede, lo conosce troppo bene per non capire che Teo gli sta offrendo una scappatoia per non dover affrontare il vero discorso, ma lui è sfinito e svuotato, e vuole soltanto cancellare la piega triste che distorce i tratti gentili del viso del più grande.
"Lo sai che non mi sto riferendo a quello. Cioè sì, anche, ma soprattutto parlo del perché non ti ho più risposto".
Dio, pensa Teo, tutto ma non quel discorso, non ora, non così. Ma sa che scappare non porterà a nulla, e che forse è ora che il suo cuore sia distrutto completamente; perché è pronto anche a questo, se a distruggerlo è il riccio.
Sospirando, risponde "Allora spiegati. Dimmi perché lo hai fatto". Più duro di quanto avrebbe voluto, ma è pronto a sentire la verità.
Annuendo, l'altro incomincia:
"Sono un cretino. Dopo tutto quello che abbiamo passato, i giorni insieme, le notti nello stesso letto, gli abbracci, i baci... ho avuto paura. Temevo che tutto quello per cui ho lavorato così duramente sarebbe andato in fumo, perché io so che per te farei di tutto, anche platealmente, infischiandomene degli altri. Ti avrei fatto mio alla luce del sole, vaffanculo ai tifosi, alle società e alle malelingue. Ma noi viviamo in un mondo che non lo avrebbe accettato, avrebbe distrutto tutto il nostro impegno ed io non potevo permetterlo."
Teo glielo legge in faccia, che questo è solo parzialmente il motivo per cui ha smesso di parlargli, così come Manu gli legge in faccia il fatto che gli voglia far capire che c'è dell'altro. Si conoscono troppo bene, troppo a fondo per non comprendersi con una sola occhiata.
Allora Manu scuote la testa, e continua " Ed ho avuto paura dei miei sentimenti, della loro grandezza e della loro potenza. Io mi conosco, prima o poi avrei fatto una cazzata che ti avrebbe fatto realizzare che sono un coglione, che meriti di meglio. Allora ho preferito allontanarti, fingere di poter avere un matrimonio se non felice almeno sereno, e di saperti al sicuro da me stesso, lontano da me."
A quel punto a Teo scende una lacrima ed uno spezzato "Non potrai mai veramente allontanarmi da te. Mai." E c'è una certezza categorica tale da far perdere il fiato all'altro. L’imposizione di essere forte e non cedere alla tentazione di scrivergli o di chiamarlo, si dissolve completamente; e forse Manuel ha pianto tutte le sue lacrime, ma gli ritornano gli occhi lucidi e il nodo alla gola. Cos'ha fatto per meritarsi Teo?
"Ora lo so, e mi dispiace per averci messo così tanto a capirlo, e per averti fatto soffrire così tanto." dice con voce strozzata.
Poi riprende fiato e, fissando un punto molto poco interessante del pavimento, sussurra "Il matrimonio è saltato."
Teo non capisce subito le parole e, quando lo fa, non è sicuro di cosa stia provando: da un lato è sicuramente felice di sapere che Manuel non sta più con una persona che non lo rende del tutto felice, dall'altro non può che dispiacersi per quel castello di carte pianificato dall'altro, ora crollato e con le carte sparse a terra.
Si limita a guardarlo in faccia, aspettando che l'altro ricambi lo sguardo e continui.
"Non sono più sicuro di averla mai amata veramente. Mi sono semplicemente svegliato un giorno e ho capito che le cose non potevano funzionare. Lei ha pianto un po’, ma ha capito."
A questo punto Teo non può fare altro che domandargli "Manu, perché sei qua?"
"Mi mancavi. Non riuscivo più a sopportare il fatto che non ci parlassimo più, la lontananza mi stava uccidendo." Conclude l’altro, abbassando il capo.
Matteo allora si alza, e Manuel sembra essersi convinto che lo stia abbandonando lui stavolta, e si rassegna. Invece il più giovane sente una mano alzargli il mento e incontra gli occhi dell'altro.
"Io non posso né voglio stare lontano da te. Certo, in questi mesi mi hai ferito, ma capisco le tue ragioni. Solo promettimi di non farlo più"
E non è questo forse il dolore più grande di tutti: avere una persona che ti ama così come sei, nonostante tutto, ed essere consapevole di non essere alla sua altezza.
Ma Manuel non vuole rinunciarci, allora appoggia la mano sinistra al suo fianco.
Teo avvicina lentamente il viso a quello dell'altro, e appoggia la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi. Poi, continuando a tenergli il viso fra le mani, si incontrano a metà strada in un bacio lento.
Si staccano l'uno dall'altro, senza però allontanarsi troppo, solo lo spazio necessario per riprendere fiato, con palpebre che si riaprono tremolanti e respiri che accarezzano le labbra.
Dopo un tempo indefinito, il padrone di casa si alza, tirando su anche il riccio, e lo conduce alla camera da letto. Si sdraiano vicini.
Entrambi sanno che i problemi non sono spariti e che dovranno imparare a convivere con la distanza che li aspetta. Ma sanno anche che non smetteranno mai di amarsi, né di lottare l'un per l'altro.
Ma per stanotte, ad entrambi basta stare vicini e sapere che l'altro ci sarà sempre, nonostante tutto.
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der-papero · 2 years
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Ok, questa foto ha una storia.
Alicante, Spagna. Vado a trovare una amica, che di lavoro fa la hostess nel Casinò della città.
Una sera era di turno obbligatorio, non riuscì a liberarsene, e mi fece "accompagnami, mentre lavoro questo paio di ore ti fai un giro, magari giochi a qualcosa ...", e vabbè.
Vado alle casse, cambio 10 EUR in una unica fiche, da giocare alla roulette, perché la missione era quella, o jackpot o morte. Non ricordo perché, quella sera mi ero fissato col numero 11. Davanti alla roulette c'era una ressa mostruosa, feci fatica a farmi largo per far entrare un braccio e puntare la mia fiche, solo che andai lungo nel tirarla, anziché finire sul numero 11, rotolò sull'8. In preda al panico, feci per chiamare il croupier, ma costui non mi cagava manco di pezza. Allora iniziai ad insistere, alzando sempre di più la voce, quando ad un certo punto, suppongo in inglese ma comunque con un tono scocciato, sbottò un
ma che bbuoooo???
In preda alla vergogna, perché coperto dalle occhiatacce degli astanti, chiesi se cortesemente poteva spostare la mia fiche all'11. Lui, scocciatissimo, allungò quella specie di rastrello senza denti che aveva, e mise la fiche al mio posto desiderato.
Beh, vi lascio immaginare quale numero uscì. Lui mi guardò e mi lanciò un ghigno beffardo, quell'8 che roteava nel piatto della roulette divenne il numero che meglio ha simboleggiato una delle più grandi figure di merda della mia vita.
Finito il turno, la mia amica mi raggiunse, le raccontai l'accaduto, e lei, con una flemma da schiaffi, "ma scusa, la prima regola del casino è MAI SPOSTARE una fiche dal punto in cui è caduta" - "E QUANN CAZZ M'U VULIV RICER???".
Beh, quello che accadde il giorno dopo è la storia raccontata in quella foto.
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pizzettauniversale · 2 years
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Fossi stata in te, il pugno sarebbe partito, ma senza esitazioni. La tua coinquilina è la solita persona viziata, che ha sempre avuto tutto fatto e pronto nella vita, senza sprecarsi e quindi pensa di poter dire e fare come vuole. Ma anche no, sta vivendo con altre persone, che fra l'altro non conosce, può capitare che un giorno si faccia più casino, anche senza volerlo, ma si chiede scusa e basta, ma mica così. Se io vivessi con una persona così, ora le avrei già strappato tutti i capelli e le avrei dato una palata sui denti🙃
Lo vorrei tanto anche io, il punto è che farei esattamente quello che vuole lei. Invece no, io devo fare finta che non esista. Ieri sera sono tornata e sono andata a posare delle cose in cucina dove c’erano lei e la sorella, la quale per due volte mi fa “ciaooo come stai?” e io come se non esistesse. Sta cosa ha fatto rodere il culo a tutte due, per questo dopo che sono andata in camera lei ha iniziato a parlare ad alta voce, a cantare con la sorella che le fa “dai smettila però, si vede che lo fai apposta, va bene che è una sociopatica ma smettila”. Io volevo partire, però ho chiamato il mio ragazzo, mi ha calmata, ho seguito il consiglio della mia amica di mettere le cuffie e ascoltare un po’ di musica, in questo caso ho visto video su tik tok e alla fine se ne sono andate.
Ignorare, più le ignoro più si incazzanp, più le ignoro più fanno le cose apposta, più le ignoro più fanno casino e io ho tutti gli strumenti in mano, registrandole, per farla cacciare di casa entro fine dicembre. Perché o smette, probabile quando lunedì andrà via la sorella, o continua e la faccio levare dal cazzo. È stupida, la persona più stupida al mondo e viziata e io la porterò allo sfinimento.
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sciatu · 3 years
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BRIOSCIA CON GELATO - A vita è na brioscia, na iapruta i coscia, a panza chi crisci e tuttu finisci (antico detto siciliano)
Mimì e Gegè : A Brioscia
“Gegè avanti moviti chi amu ammanciari! (Dobbiamo mangiare)”
In quel momento Gegè odiò nell’ordine : Mimì che eppure amava immensamente, quindi quella brava donna e scassaminchia della suocera, tutto il genere femminile, la domenica intesa come festività da passare con i parenti e tutti i minchia di lavandini con i tubi di plastica che perdevano. Tutte queste cose erano l’una con l’altra intimamente legate.
La domenica perché la terza domenica di ogni mese la passavano dalla suocera
La suocera perché trovava sempre cose da fargli fare come dipingere il soffitto del bagno o riparare un tubo della cucina che perdeva.
Il tubo di plastica perché (minchia!!) non si avvitava come si deve e perdeva sempre in qualunque modo lo sistemasse (stu jarrusu figghiu i buttana).
Gegè infatti da quasi mezzora cercava di avvitare sotto un lavandino della cucina, il tubo di plastica dello scarico dell’acqua che continuava a perdere un insignificante goccio d’acqua. Per la suocera quella goccia microscopica era un fiume immenso, quasi un mare che stava allagando la cucina facendo gonfiare tutti i mobili della stessa, rovinando la struttura del condomino, affossando tutta quella parte della città. Faccia all’aria, la schiena umida d’acqua, gli attributi maschili che giravano all’impazzata fumando peggio dell’ Etna, il pover uomo osservava dal basso verso l’alto il tubo appena sistemato speranzoso che finalmente tutto si fosse sistemato. Invece, ecco la beffarda goccia mostrarsi, allargarsi e poi cadere, giusto in mezzo ai suoi occhi. Smontò di nuovo il tubo imprecando peggio di un portuale livornese, cercando di sistemate meglio la guarnizione.
“Gegè esci che devo riempire la pentola con l’acqua per la pasta, se no ti lavo tutto”
Lui si spinse in avanti restando sempre sulla schiena per non perdere tempo e uscì fuori dal mobiletto sotto il lavandino. Così facendo arrivò proprio sotto le gambe tornite di Mimì che con le cosce divaricate sopra di lui, stava riempiendo la pentola
Restò affascinato osservando le cosce bianche e perfette dell’amata che si ricongiungevano alla stretta striscia della mutandina nera. La camicetta leggera con il disegno di piccoli fiori di pesco che Mimi indossava quando aiutava la madre nei lavori pesanti, dava alla pelle delle cosce una colorazione rosa e questo rese la meravigliosa visione ancora più magica.
“Ah che bel vedere – fece lui sorpreso – quando mi fai dare una bella leccata alla brioscia al gelato che preferisco?”
“Ti piacerebbe … ehh?”
fece lei ironica spostando la pentola sul fornello a gas
“Quando me lo farai fare sarà il più bel giorno della mia vita”
Esclamò lui entusiasta
“Seee!!, mu ‘maginu!! pensa a finire che tra dieci minuti manciamu”
E si spostò ad apparecchiare la tavola.
Lui, sorridendo, rientrò sotto il lavandino e si mise a pensare e a immaginare cosa avrebbe fatto a quelle cosce e quella mutanda, con il tarlo del sesso che scavava nella sua testa facendo
“Crr Crrr Crr”
donandogli visioni paradisiache, ma virtuali, del sesso di Mimì messo li davanti a lui come fosse una brioscia piena di gelato alla crema, alla nocciola o alle amarene e lui che ne poteva disporre per come voleva.
Forse, perché il tarlo che stava scavandogli in testa occupava il 95% del suo pensare, riuscì improvvisamente a sistemare il tubo senza farlo più perdere e senza capire come aveva fatto. Uscì finalmente da quel loculo sotto il lavandino dentro cui stava sepolto da quando era arrivato dalla suocera. Si sistemò alla meno peggio, asciugandosi e pulendosi in tempo per sedersi a tavola davanti ad un piatto poderoso di pasta ncaciata. Fu poi la volta di tre polpette di tritato di maiale e quattro spiedini di braciole cucinate alla brace, quattro bicchieri di un Nero d’Avola denso e molto alcoolico, una coppa piena di un gelato che galleggiava su un laghetto di Whisky, il caffè con paste di mandorla e un bicchierazzo di amaro Averna gelato.
Il solito frugale pasto domenicale.
Come ogni dopopranzo domenicale, in attesa che Mimì aiutasse la madre a mettere a posto la cucina, andò a sdraiarsi sul letto nella camera che era stata di Mimì da bambina, pieni di mobili rosa, barbi e orsacchiotti pelosi. Si sdraiò con la pancia verso l’alto, sorridendo lasciò libero il suo tarlo del sesso, ma prima che le fantasie erotiche si accendessero, lui aveva già perso coscienza.
Si sentì sciacquariari (scuotere) ora da una parte e ora da un'altra, e dopo qualche secondo di nuovo. La sua coscienza lentamente riemerse dal nulla e gli fece aprire gli occhi. Vide solo una tenda che era vicino ai suoi occhi e poi vide che la tenda scendeva dall’alto, da due forme tonde che sporgevano e infine laggiù, in alto e vicino al soffitto, il volto sorridente di Mimì con la fossettina sulla guancia di quando stava facendo una marachella.
Lei lo guardo e il sorriso si allargò ancora di più.
“Rusbigghiti – gli disse la boccuccia dell’amata – oggi è il più bel giorno della tua vita….”
e incominciò a canticchiare un motivetto di quelli sexi alla Marilen Monroe o che si sentono quando le spogliarelliste incominciano il loro numero.
Nello stesso momento la tenda, che poi era la camicetta a fiorellini di Mimì, incominciò a salire seguendo il ritmo della musichetta, per poi aprirsi mostrando le cosce cosciose dell’amata.
D’improvviso il cervello di Gegè si svegliò e tutta la scena, nella penombra della stanza, gli apparve come il sogno che avrebbe voluto fare.
“Tatata-ta-taaa…”
Continuava Mimì mentre finalmente la camicetta si apriva a svelare il cespuglietto di peli che sovrastava il suo pube. Gegè seguì quella macchia nera oscillare a destra e sinistra più volte, ipnotizzato come un topo che fissa gli occhi di un cobra, fino a che lentamente, il cespuglietto incominciò a scendere.
Il primo pensiero che si formò nella mente vuota di Gegè, fu un pensiero mistico sulla bellezza dell’universo, perché quello spettacolo che vedeva aveva la perfezione stessa dell’amore che muoveva il sole e le altre stelle, riassumendo in un solo pensiero una blasfemia religiosa e letteraria di cui però non era assolutamente cosciente essendo per lui certi atti che gli altri definivano impuri, solo puri atti d’amore. Mentre la voce di Mimì accompagnava la discesa del paradiso verso le labbra di Gegè, lui incominciò a baciare le cosce ormai ben assestate intorno alla sua testa, sentendone il profumo del sapone per doccia e la freschezza della carne soda e nello stesso tempo delicata dell’amata. Concentrò i baci dove la coscia si univa al pube, in quella striscia di pelle ancora irritata per la depilazione e quindi si tuffò nel cespuglietto di peli, ancora umidi per la doccia appena fatta e gli sfregò contro il naso a rubarne tutti gli aromi, tirandoli poi con le labbra quasi a volerli strappare ed infine scese sotto di loro e con la lingua violò l’intimità di Mimì la quale reagì con un primo
“Gegè!!!”
il cui tono, tradotto da un punto di vista letterario per facilitartene la comprensione, voleva dire:
“Gegè ma che minchia fai? Stavo scherzando…. se entra la mamma e ci vede così mi muore sul colpo…”
Ma Gegè ormai era in un altro mondo fatto dei sogni che il bambino primordiale che viveva dentro di lui faceva senza freni e limiti e che ora poteva finalmente realizzare. Per cui la sua lingua esplorò tutto il sesso dell’amata per poi penetrare decisamente nella sua profondità e riemergere salendo fino al piccolo bocciolo di carne con cui finivano le labbra di Mimì e li impazzì accarezzandolo intensamente, succhiandolo ed ancora scivolandogli sopra velocemente, ripetutamente, intensamente. Infine, non pago, mandò in esplorazione le sue lunghe dita ad accarezzare la parte interna di dove la lingua si era concentrata. Il volto di Mimì passò ad essere dal sorpreso al curioso, infine coinvolto, tanto che gli occhi le si chiusero e le orecchie le diventarono di un rosso intenso anche loro travolte dal desiderio con cui Gegè aveva contagiato tutto il corpo di lei. Le mani di Mimì scivolarono sul suo corpo e arrivate alle minne le strinsero intensamente, come avrebbe fatto lui, per poi concentrarsi sui capezzolini tirandoli, come avrebbe fatto lui, quindi ridiscesero sul suo corpo e arrivate alla testa di Gegè l’afferrarono e la spinsero contro il corpo di lei che ora si muoveva avanti e indietro con un moto ad arco sempre più stretto, sempre più concentrato. A questo punto dalla bocca di Mimì uscì come un sospiro un secondo
“Gegè”
Sempre per motivi letterari, ti devo tradurre questo sospiro con un
“Gegè amore mio, non ti fermare, continua così…. così….”
Gegè ormai lasciava fare tutto a Mimì che aprì gli occhi e cercò li sotto quelli di lui e vide che osservavano il suo volto mostrare il piacere che provava e incontrando gli occhi di lui, li fissò come a volergli dire tutte quelle cose che mettono nelle canzoni e nelle poesie mentre la sua bocca la stava amando. Gli occhi di lui l’osservavano, la divoravano, la pretendevano, scambiavano con i suoi, parole che non si sarebbero detti mai più, sentimenti la cui forza comprendevano solo adesso, intimità che li avrebbero legati forse per sempre. Ormai i movimenti del bacino di Mimì erano sempre più piccoli, come se in pochi millimetri di pelle, vi fosse concentrata tutta sé stessa, finché d’improvviso lei non strinse gli occhi ed il suo corpo tremò, un terremoto interno che fece vibrare le cosce ed oscillare le minnone mentre il suo io cosciente si spegneva e dopo un tempo che neanche lei percepì si riaccese lasciandola senza forze. Fu quello il momento del suo terzo
“Gegè”
detto senza voce e come se la sua anima si perdesse in un nulla di piacere e di silenzio interiore. Scivolò accanto a lui stringendolo e appoggiando la testa sul suo petto. Restò qualche secondo immobile, quasi a recuperare tutti i pezzi dell’anima che erano andati a finire chissà dove e quindi alzò la testa ad osservarlo. Con la mano gli pulì la bocca umida dei suoi umori e poi si avvicinò e lo baciò, intensamente, cercando con la sua lingua il suo gusto su quella di lui, quasi a ringraziarlo, a diventare una unica entità nei piaceri diversi che avevano avuto, nel confermare il loro amore con un bacio igienicamente questionabile, ma intimamente assoluto.
Si accasciò sul suo petto e chiuse gli occhi senza più muoversi. Gegè pensò che sarebbe stato li un minuto e poi si sarebbe spostato da quella scomoda posizione, invece si riaddormentò quasi subito con il tarlo del senso dentro di lui che si era zittito.
Li sveglio la suocera dopo poco, con la scusa che era una bella giornata e che potevano passarla fuori. In realtà voleva andarsene alla messa serale e le seccava lasciarli a casa a scafuliare (rovistare) tra le sue cose.
Uscirono ancora un po' storditi e mano nella mano se ne andarono per il viale. Arrivati ad una gelateria Gegè si fermò e disse che aveva bisogno di mangiare un po' di gelato che aveva la lingua che gli bruciava. Si prese una brioscia piena di gelato e con la lingua leccò tutto il bordo da cui uscivano i vari gusti trovando un po' di sollievo che il suo volto fece subito vedere.
Mimì sorrise e lui le offrì la brioscia perché anche lei ne prendesse un morso. Mimì invece prese la brioscia e come aveva fatto lui ne percorse la circonferenza con la lingua, lasciando un lungo solco e riempiendosi la lingua di crema. Restò un secondo con la lingua piena di gelato a guardarlo e quindi la inghiotti.
Gegè la guardò affascinato e di nuovo, dentro la sua testa, sentì il tarlo incominciare
“Crr Crrr Crr”
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