Tumgik
#il derby del ping-pong in salsa triste perchè sì
mvpgiannacarletto · 2 years
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Buongiorno a tutt*. Ecco la prima cosina che scrivo pseudo-seriamente, coerente solo grazie all'aiuto di @stoca69 . Dedicata a lei ed un po' a tutto il tumblrcalcio. Storia senza pretese, i commenti sono benaccetti. Declaimer obbligatorio, tutto ciò è frutto della mia fantasia, niente di tutto ciò è mai successo ecc...
Enjoy<3
La prima volta che vede la foto sente un tuffo al cuore. Non si erano fatti promesse, e lui non si era illuso sulla possibile durata della cosa, però mai si sarebbe immaginato quello. Ed ora era lì, un male cane alla coscia, una foto di una mano con al dito un anello, e lacrime che scendevano copiose.
Aveva dibattuto a lungo su cosa scrivergli, ma poi aveva scelto di congratularsi sotto il post e niente di più. L'indifferenza dell'altro gli aveva dato il colpo di grazia: forse si era fatto troppi castelli in aria, e ora non gli era rimasto niente.
Lui non lo aveva cercato, e pur soffrendo come un cane, aveva accettato il suo silenzio. Che trovasse la felicità con qualcun'altra, che lo dimenticasse come se non ci fosse stato nulla, come se lui non contasse nulla.
Il giorno prima della partita, gli arriva una notifica. Un semplice "Ciao. Come stai?". Lui, confuso dal messaggio, risponde con un ancora più banale "Bene. Tu?". Si sente un ragazzino illuso che ora prova a ferire l'amichetto che non sa neanche perché è offeso, però non riesce a smettere. Dopo un patetico botta e risposta, che lo lascia con l'amaro in bocca, è ancora più confuso sul perché l'altro gli abbia scritto.
Quando si vedono per la prima volta ,nel tunnel, circondati dalle rispettive squadre, lui non sa come comportarsi. Decide di fare la persona matura e diplomatica, come si ripromette di essere quando si parla di altri, ma che proprio non riesce ad essere quando c'è di mezzo lui. Decide di cercare un equilibrio tra competitività agonistica, serenità ed indifferenza. Il risultato non è dei migliori, lo vede dagli occhi del suo capitano, ma la soddisfazione personale e il risultato della partita gli fanno accantonare per un po’ il problema.
Problema che si ripresenta ad un paio di ore dal triplice fischio, fradicio e confuso al campanello di casa che Teo a malapena sente sopra il suono della pioggia. Vorrebbe mandarlo via ma allo stesso tempo lo vorrebbe stringere, confortare e non lasciarlo andare mai più. Decide di farlo entrare e cerca di capire la situazione.
"Loca, che ci fai qui?"
Lui si gira verso l'altro e, con sguardo perso, fa spallucce.
Ok, cambio di strategia.
"Gli altri?"
Con voce flebile, come se avesse avuto la gola irritata, risponde con "Sull'autobus verso Torino"
La normale domanda successiva sarebbe stata "E tu?" ma, siccome non è sicuro che l'altro possa rispondergli. Stufo del suo mutismo, gli afferra il braccio per portarlo verso il bagno. Lo lascia alla porta per andare a trovare un pigiama abbastanza grande per l’altro. Lo ritrova esattamente dove l’ha lasciato, con lo sguardo stralunato che vaga per il corridoio soffusamente illuminato. Posa gli indumenti sul puff del bagno, dal quale poi prende un asciugamano, lasciandolo tra le sue braccia. Gli dice di fare con calma e di riscaldarsi, e poi si chiude la porta alle spalle. Pochi secondi dopo sente il rumore della porta della doccia che si chiude e dell'acqua che scorre.
Si dirige verso la cucina, non sapendo bene cosa fare. Lui ha già mangiato, avendo festeggiato con i compagni in un ristorante, ma non può fare a meno di preoccuparsi per l’altro, quindi mette su l'acqua per fare un semplice risotto, perché è quello che gli preparava sempre sua madre quando stava male, e gli ricorda casa e ora Manu è qui e lui... è disperato.
Così, cerca la calma nella familiarità, e nella certezza di poter aiutare l'altro. Dopo aver spento il fornello, sta per impiattare il risotto, quando si volta e nota l'altro, già vestito ma con i capelli ancora bagnati e l'asciugamano ancora in mano. Ed è un po' per memoria muscolare, un po' per istinto che si avvicina, gli prende il panno dalle mani e comincia a passarlo delicatamente tra i ricci dell'altro. Prima tamponando, poi sfregando lentamente, per evitare di fargli del male. Sembra passata un'eternità quando sente una mano posarsi sul suo fianco, e si accorge per la prima volta di cosa sta facendo: sta invadendo lo spazio dell'altro in una parodia di intimità che una volta aveva creduto di condividere, ma che aveva poi realizzato essere solo un'illusione. Allora lascia l'asciugamano sulla testa dell'altro, si allontana, cercando di riprendersi e di calmare i pensieri.
Gli dà silenziosamente le spalle, concentrandosi sulla pentola, per poi poggiare sull'isola della cucina due piatti e due forchette. Invita l'altro a sedersi, e incominciano a mangiare, lui più che altro muovendo il riso a destra ed a sinistra, l'altro letteralmente divorando la propria porzione.
Dopo aver sparecchiato, non è rimasto nient'altro su cui concentrarsi. E l'altro ancora non ha spiaccicato più di due parole e vaghi mormorii. Teo, stanco della giornata e di quella strana tensione che si porta dalla visione della foto, gli chiede nuovamente perché è lì. Lui continua a non rispondere. Sa che non lo sta ignorando, ma sa anche che non riceverà a breve una sua risposta. Così si alza, più lentamente di quanto vorrebbe ma più aggressivamente rispetto al normale e augura la buonanotte all'altro, non prima di dirgli che può usare il divano in salotto.
Cerca di passargli accanto senza toccarlo, per raggiungere in fretta la propria camera, ma viene bloccato da una mano che gli afferra saldamente il polso. Silenzio, seguito poi da un labile "Ti prego, non mi lasciare da solo, non mi abbandonare, non anche tu" Teo è ferito e profondamente rattristato dalla vista degli occhi lucidi dell'amico.
Allora decide di rimanere; gira lentamente il polso così che l'altro non fraintenda il movimento, gli afferra delicatamente la mano e lo porta verso il divano, dove si siedono.
Ancora silenzio, e Teo è sempre stato bravo ad aspettare, ad avere pazienza, ma sente anche un bomba interna che sta per esplodere. All'improvviso, il riccio si gira verso di lui e lo abbraccia, prima rigidamente, poi lasciandosi andare.
Teo non può far altro che girarsi a sua volta e cominciare ad accarezzargli i capelli ancora umidi e la schiena, che incomincia a tremare. Sente i singhiozzi, percepisce le lacrime sul collo e vorrebbe consolare il ragazzo, scacciare lacrime e paure. Ma non sa come fare, quindi si limita ad abbracciarlo e a sussurrargli rassicurazioni.
Dopo quelle che sembrano ore, con il corpo sul suo che smette di tremare e le braccia che non smettono di stringerlo, con voce tremante, il riccio dice "Mi dispiace, sono un cretino per quello che ti ho fatto e per esserti piombato a casa dopo tutti questi mesi... Io… Tu non ti meriti niente di tutto questo".
Per Manuel, gli atti di gentilezza del padrone di casa, la sua pazienza ed il suo aiuto non sono altro che l’ennesima dimostrazione che lui Teo non se l'è mai meritato, e non se lo meriterà mai.
Dal canto suo, Teo non sa come rispondere. Sentire prima le sue lacrime, e poi quelle parole lo ha devastato. Allora, dopo un attimo di silenzio, opta per un sincero "Lo sai che per te ci sarò sempre".
Allora Manuel si allontana, appoggiandosi al bracciolo opposto per poterlo guardare negli occhi "Non dovrebbe essere così. Dovresti incazzarti con me, urlarmi in faccia e cacciarmi fuori, non accogliermi e cucinare per me"
"Manu, non so cosa vuoi che ti dica. Sei un mio amico, sei in difficoltà e sei venuto da me. Io più di aiutarti..."
"È questo che siamo, solo amici ?" chiede sommessamente il riccio.
Teo è perso. A fine europeo avrebbe detto di no, che erano molto di più; pochi mesi dopo avrebbe sempre detto di no, che erano molto di meno, conoscenti, colleghi tutt'al più. Ora non ne era più certo. Manuel mal interpreta il suo silenzio.
"Scusa, tu mi stai dando una mano ed io continuo a comportarmi da coglione. Io non so neanche come iniziare a scusarmi per quello che ho fatto"
"Manu, abbiamo solo perso un po' i contatti, non è certo la fine del mondo" risponde Matteo, facendo finta di non capire che l'altro si stia in realtà riferendo a come gli abbia spezzato il cuore e lo abbia abbandonato, solo per ripresentarsi di punto in bianco, e non di un banale allontanamento.
Manu lo sa, lo vede, lo conosce troppo bene per non capire che Teo gli sta offrendo una scappatoia per non dover affrontare il vero discorso, ma lui è sfinito e svuotato, e vuole soltanto cancellare la piega triste che distorce i tratti gentili del viso del più grande.
"Lo sai che non mi sto riferendo a quello. Cioè sì, anche, ma soprattutto parlo del perché non ti ho più risposto".
Dio, pensa Teo, tutto ma non quel discorso, non ora, non così. Ma sa che scappare non porterà a nulla, e che forse è ora che il suo cuore sia distrutto completamente; perché è pronto anche a questo, se a distruggerlo è il riccio.
Sospirando, risponde "Allora spiegati. Dimmi perché lo hai fatto". Più duro di quanto avrebbe voluto, ma è pronto a sentire la verità.
Annuendo, l'altro incomincia:
"Sono un cretino. Dopo tutto quello che abbiamo passato, i giorni insieme, le notti nello stesso letto, gli abbracci, i baci... ho avuto paura. Temevo che tutto quello per cui ho lavorato così duramente sarebbe andato in fumo, perché io so che per te farei di tutto, anche platealmente, infischiandomene degli altri. Ti avrei fatto mio alla luce del sole, vaffanculo ai tifosi, alle società e alle malelingue. Ma noi viviamo in un mondo che non lo avrebbe accettato, avrebbe distrutto tutto il nostro impegno ed io non potevo permetterlo."
Teo glielo legge in faccia, che questo è solo parzialmente il motivo per cui ha smesso di parlargli, così come Manu gli legge in faccia il fatto che gli voglia far capire che c'è dell'altro. Si conoscono troppo bene, troppo a fondo per non comprendersi con una sola occhiata.
Allora Manu scuote la testa, e continua " Ed ho avuto paura dei miei sentimenti, della loro grandezza e della loro potenza. Io mi conosco, prima o poi avrei fatto una cazzata che ti avrebbe fatto realizzare che sono un coglione, che meriti di meglio. Allora ho preferito allontanarti, fingere di poter avere un matrimonio se non felice almeno sereno, e di saperti al sicuro da me stesso, lontano da me."
A quel punto a Teo scende una lacrima ed uno spezzato "Non potrai mai veramente allontanarmi da te. Mai." E c'è una certezza categorica tale da far perdere il fiato all'altro. L’imposizione di essere forte e non cedere alla tentazione di scrivergli o di chiamarlo, si dissolve completamente; e forse Manuel ha pianto tutte le sue lacrime, ma gli ritornano gli occhi lucidi e il nodo alla gola. Cos'ha fatto per meritarsi Teo?
"Ora lo so, e mi dispiace per averci messo così tanto a capirlo, e per averti fatto soffrire così tanto." dice con voce strozzata.
Poi riprende fiato e, fissando un punto molto poco interessante del pavimento, sussurra "Il matrimonio è saltato."
Teo non capisce subito le parole e, quando lo fa, non è sicuro di cosa stia provando: da un lato è sicuramente felice di sapere che Manuel non sta più con una persona che non lo rende del tutto felice, dall'altro non può che dispiacersi per quel castello di carte pianificato dall'altro, ora crollato e con le carte sparse a terra.
Si limita a guardarlo in faccia, aspettando che l'altro ricambi lo sguardo e continui.
"Non sono più sicuro di averla mai amata veramente. Mi sono semplicemente svegliato un giorno e ho capito che le cose non potevano funzionare. Lei ha pianto un po’, ma ha capito."
A questo punto Teo non può fare altro che domandargli "Manu, perché sei qua?"
"Mi mancavi. Non riuscivo più a sopportare il fatto che non ci parlassimo più, la lontananza mi stava uccidendo." Conclude l’altro, abbassando il capo.
Matteo allora si alza, e Manuel sembra essersi convinto che lo stia abbandonando lui stavolta, e si rassegna. Invece il più giovane sente una mano alzargli il mento e incontra gli occhi dell'altro.
"Io non posso né voglio stare lontano da te. Certo, in questi mesi mi hai ferito, ma capisco le tue ragioni. Solo promettimi di non farlo più"
E non è questo forse il dolore più grande di tutti: avere una persona che ti ama così come sei, nonostante tutto, ed essere consapevole di non essere alla sua altezza.
Ma Manuel non vuole rinunciarci, allora appoggia la mano sinistra al suo fianco.
Teo avvicina lentamente il viso a quello dell'altro, e appoggia la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi. Poi, continuando a tenergli il viso fra le mani, si incontrano a metà strada in un bacio lento.
Si staccano l'uno dall'altro, senza però allontanarsi troppo, solo lo spazio necessario per riprendere fiato, con palpebre che si riaprono tremolanti e respiri che accarezzano le labbra.
Dopo un tempo indefinito, il padrone di casa si alza, tirando su anche il riccio, e lo conduce alla camera da letto. Si sdraiano vicini.
Entrambi sanno che i problemi non sono spariti e che dovranno imparare a convivere con la distanza che li aspetta. Ma sanno anche che non smetteranno mai di amarsi, né di lottare l'un per l'altro.
Ma per stanotte, ad entrambi basta stare vicini e sapere che l'altro ci sarà sempre, nonostante tutto.
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