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#dove inizia il mare?
klimt7 · 5 months
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sara-saragej · 11 months
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Come quando ti trovi a piedi nudi a camminare tra le dune del deserto... ad un tratto, come per magia scorgi il mare...
... si apre così, all improvviso davanti a te: la bellezza di un azzurro...
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... la bellezza di quell' azzurro, azzurro infinito... e quasi stenti a capire dove va a finire l orizzonte ed inizia il cielo.
Ti auguro la magia di un cielo e mare... così.
Azzurro così.
- Sara-
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01.07.23
Like when you find yourself barefoot in the desert dunes... all of a sudden, as if by magic you see the sea... ... it suddenly opens up in front of you: the beauty of a blue...
... the beauty of that blue, infinite blue... and it's almost hard to understand where the horizon ends and the sky begins.
I wish you the magic of a sky and sea... like this.
Blue like this.
-Sara-
Buon Sabato Sera 🥂⭒
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sciatu · 3 months
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Duomo di Taormina
Lascia stare quello che dicono i libri. Non ti serve leggere quando questo piccolo duomo è stato costruito per capire cosa è. Di sicuro, migliaia di anni fa, c’era già li un luogo dedicato a un Dio perché il Duomo è messo di fronte all’infinito, dove il cielo finisce, dove inizia il mare e dal mare nasce, ripido e fiero, il promontorio su cui il Duomo si trova. È un posto dove le anime sentono l’eternità e vorrebbero spiccare il volo per comprendere l’esistenza. Proprio qui, in questo luogo che ci pone di fronte alle domande di cui cerchiamo risposte si trova questa chiesa, proprio qui, di fronte al paradiso, sotto gli occhi di Dio. Non guardare i quadri esposti sopra i suoi altari come se fossero opere d’arte, anche se antichi e preziosi. Sono in realtà le orecchie di Dio, ascoltano le preghiere di chi non può non chiedere, ascoltano i dolori, le speranze, quei peccati nati dal bisogno di cose o da quel bisogno di amore che ci infetta con un male chiamato solitudine. Anche i preziosi marmi degli altari, non sono grandi per mostrare la magnificenza delle pietre siciliane. Sono solo inginocchiatoi, fatti per chi cercava pietà. Ora non vedi le vecchie vestite di nero, pregare i loro santi, perché ormai basta trovare conforto in sentimenti minori, in illusioni scientifiche o sciamaniche, dentro la continua distrazione di Reel e post, nel consumo continuo di cose ed emozioni. Ma questo era ed è il Duomo, la casa delle anime a cui manca la pace. Delle anime che non sanno trovare nessuna pace, spaventate, confuse dalle guerre piccole o grandi, vicine o lontane, dalle stragi straordinarie o dai quotidiani genocidi, anime che cercano motivi, spiegazioni, speranze o certezze per non sentirsi inutili, calpestaste, ignorate, dimenticate. Non guardare il Duomo come se fosse una pietra più o meno antica, un dipinto di secoli fa, una scultura che gli antichi romani hanno lasciato. Consideralo un giardino in cui le anime possano provare respiro, percepire il loro tempo, concepire e cercare l’armonia che hanno perduto, tornare pure, in questo piccolo altare posto di fronte al Paradiso, sotto gli occhi di Dio.
Forget what the books say. You don't need to read when this little dome was built to understand what it is. Certainly, thousands of years ago, there was already a place dedicated to a God because the Cathedral faces infinity, where the sky ends, where the sea begins and from the sea rises, steep and proud, the promontory on which the Cathedral is located. It is a place where souls feel eternity and would like to take flight to understand existence. Right here, in this place that confronts us with the questions to which we seek answers, lies this church, right here, in front of paradise, under the eyes of God. Do not look at the paintings displayed above its altars as if they were works of art, even if ancient and precious. They are in reality the ears of God, they listen to the prayers of those who cannot help but ask, they listen to the pains, the hopes, those sins born from the need of things or from that need of love that infects us with an evil called loneliness. Even the precious marbles of the altars are not so large to show the magnificence of the Sicilian stones. They are just kneelers, made for those seeking mercy. Now you don't see the old women dressed in black, praying to their saints, because now it's enough to find comfort in minor feelings, in scientific or shamanic illusions, in the continuous distraction of Reels and posts, in the continuous consumption of things and emotions. But this was and is the Cathedral, the home of souls who lack peace. Souls who cannot find any rest, frightened, confused by wars small or large, near or far, by extraordinary massacres or daily genocides, souls who seek reasons, explanations, hopes or certainties so they will not feel useless, trampled upon, ignored, forgotten . Don't look at the Duomo as if it were a more or less ancient stone, a painting from centuries ago, a sculpture that the ancient Romans left behind. Consider it a garden in which souls can experience breathing, perceive their time, conceive and seek the harmony they have lost, even return to this small altar placed in front of Paradise, under the eyes of God.
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diceriadelluntore · 5 months
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Storia Di Musica #310 - Captain Beyond, Captain Beyond, 1972
Il mio impegno di scoprire più gruppi e artisti sconosciuti ma autori di dischi eccezionali inizia oggi. E inizia con quello che una volta si chiamava un supergruppo: musicisti provenienti da altre band che, a volte non lasciando definitivamente i loro gruppi di appartenenza, si riunivano per suonare in divertimento ciò che gli interessava di più. La storia di oggi ci porta a Los Angeles ad inizio degli anni '70. La grande stagione della musica californiana è al termine della sua spinta propulsiva, ma ha lasciato sul campo semi che germoglieranno per tanni. I musicisti del gruppo di oggi hanno storie particolari. Rod Evans è britannico, è stato il primo cantante dei Deep Purple, per i primi 3 dischi (quelli dell'avvio psichedelico, Shades Of Deep Purple e lo splendido The Book Of Taliesyn del 1968, e poi Deep Purple del 1969), ruolo che perde per Ian Gillian. Evans abbandona l'Inghilterra e va prima in Florida, dove prova la carriera solista, e poi vira in California, dove prima pubblica un singolo, Hard To Be Without You/You Can´t Love A Child Like A Woman e poi si aggrega al gruppo di oggi. Bobby Caldwell, batterista braccio destro di Johnny Winter, Larry "Rhino" Reinhardt, chitarrista e Lee Dorman bassista, provengono invece dai mitici Iron Butterfly, autori di uno dei brani culto della stagione del rock californiano, In A Gadda Da Vita (titolo che è una storpiatura psicotica di In The Garden Of Eden). In un primo momento della band fa parte anche il tastierista Lewie Gold che però abbandona poco tempo prima le prime registrazioni: Non resta che scegliere un nome, che in stile europeo viene individuato in Captain Beyond, e iniziare a scrivere musica. Il disco d'esordio, omonimo come le storie scelte per gennaio, Captain Beyond, esce nel luglio 1972, prodotto e arrangiato dalla stessa band. In copertina, meravigliosa, un disegno di Joe Garnett su progetto e idea della Pacific Eye And Ear, leggendaria agenzia di stampa creativa che realizzerà centinaia di copertine iconiche negli anni (ve ne ricordo un paio, Toys In the Attic degli Aerosmith, il loghino della moneta di Alice Cooper, molte copertine per i Bee Gees e la copertina di Berlin di Lou Reed).
Captain Beyond (chiamato dagli appassionati "first") è un disco di culto, per via di alcune caratteristiche peculiari per un disco statunitense del periodo e per la qualità eccezionale musicale, dell'amalgama tra i musicisti e i brani eseguiti, tutti a firma Caldwell \ Evans. Innanzitutto, è uno dei pochi dischi americani del periodo che, come i coevi del progressive europeo, in pratica non ha divisione dei brani, registrati come se fossero un'unica e strepitosa suite di 37 minuti. Il disco è un continuo e meraviglioso scorrere da riff a riff, drumbeat a drumbeat, in questo ambito fenomenale il lavoro di Caldwell, maestro dello strumento, che cambia la ritmica più volte nello stesso brano, per un groove irresistibile. È un mix perfetto di rock blues, cavalcate strumentali prog ma anche spesso vicino a quelle della Allman Brothers Band (a tal proposito, è giusto raccontare che il disco fu dedicato alla memoria del da poco scomparso Duane Allman), poiché linee di chitarra veloci e cariche di riff predominano per alcune canzoni prima di rallentare temporaneamente in una pausa fino al successivo decollo. Dal punto di vista dei testi, l'album si differenzia esplorando temi del mondo esterno e significati dell'esistenza, spesso con riferimenti alla luna, al mare, al sole e così via. Rod Evans ha una forte voce rock e si dimostra un grande canante, Rhino suona un'enorme quantità di linee di chitarra cariche di hook e Lee Dorman suona linee di basso complesse (ad esempio, alla fine di As The Moon Speaks-Return) che portano a suoni tipicamente ritmici e agili. Come non ricordare il groove monumentale di Dancing Madly Backwards (On A Sea Of Air), in apertura del disco, oppure la cavalcata strumentale di I Can't Feel Nothin', Pt. 1., il suono psichedelico di Myopic Void che in certi passaggi è meravigliosamente jazz fusion, che sfuma nella hard rock piena di potenza di Mesmerization Eclipse. Come curiosità, segnalo che Thousand Days Of Yesterdays (Intro) come suggerisce il titolo fa davvero da introduzione per Frozen Over, altro grandissimo brano di un disco di qualità decisamente superiore.
Si rimane davvero affascinati da questo disco, che lascia all'ascoltatore la sensazione che il viaggio debba continuare per un futuro indefinito. L'esordio però lascia strascichi: Caldwell ne se va, sostituito da Marty Rodriguez e Guille Garcia, con il timone musicale preso da Lee Dorman che scriverà tutti i brani dell'eccellente Sufficiently Breathless, che esce nel 1973. Per contratto con la Warner Bros. dovevano realizzare un terzo album, questo avverrà solo nel 1977, con il ritorno di Caldwell ma non di Evans, sostituito dal semisconosciuto Willy Daffern: per capire che confusione regnava all'epoca, il brano Dawn Explosion che dava il titolo al disco, Dawn Explosion, non venne nemmeno inserito in scaletta. La band con discontinuità formidabile e continui cambi di componenti è arrivata a suonare concerti fino ad oggi, in ricordo di un disco eccezionale di un periodo musicalmente florido come pochi della storia.
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a-tarassia · 11 months
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luglio col bene che ti voglio
Luglio per me è un brutto mese. Di solito luglio è quel mese in cui cedo alle tristezze, qualunque esse siano al momento. Fa caldo, io soffro moltissimo di pressione bassa e circolazione, inizia a farmi male il corpo, gambe soprattutto e arriva quel languore interiore che immagino sia dovuto ad alcuni transiti stagionali introspettivi che mi fanno vivere le cose che accadono con più dramma, nervosismo e frustrazione. Adesso, vista forse anche la stanchezza, la sensazione è più di pre depressione che tristezza, sono giù di tono, demotivata, indolente. Tutto quello che accade non mi va bene, faccio cose che in altri momenti mi avrebbero riempito di energie e contentezza, mentre adesso preferirei starmene sul divano a scollare tiktok, è nettuno che s’è messo di traverso, sicuro, ma anche che luglio mi ammazza l’anima. Io, però, che mi conosco e conosco la depressione, cerco di spingere la notte più in là forzandomi in attività che so che normalmente mi tirerebbero su di morale, quindi vado in giro, in bici, faccio sport, mangio frutta, metto lavatrici, guardo bellissimi panorami e faccio bagni rinfrescanti dove posso. Circa un paio di settimane fa ero seduta a bordo piscina, era una di quelle domeniche in città in cui avresti mille cose da fare, ma non hai voglia e allora decidi di buttarti in piscina e fare la gara di scivoli, io e luca lo facciamo, proviamo varie posizioni sugli scivoli per vedere quale è più veloce in base alle diverse variabili fisiche. Ero seduta a bordo piscina e mi sono resa conto dopo di aver avuto un momento di dissociazione perché guardavo l’acqua, quel blu tipico delle piscine cittadine, con le tipiche ondine in superficie della gente che si muove e pensavo a quando a luglio era estate davvero, l’estate della gente di mare negli anni ‘90, di quel periodo in cui non hai niente da fare e noi degli anni ’80 eravamo ancora comitive densissime di ragazzi figli di famiglie numerose, minimo due figli di età vicina, a volte tre, al sud anche quattro. La mia comitiva eravamo tipo 40 persone d’estate, ragazzi che vivevamo lì, altri che venivano dal nord e restavano per tipo due mesi chè i genitori lavoravano e loro venivano dai nonni, dagli zii, nessuno o pochi facevano le vacanze all’estero, i voli low cost non esistevano ancora e le famiglie erano troppo numerose, coppie senza figli ve n’erano poche e allora le vacanze estive duravano mesi interi e avevi tempo di farti l’abitudine e la vita diventava diversa per un tempo che all’epoca era lunghissimo. Arrivava l’estate, le mie spiagge venivano invase, arrivava quel tipo che ti piaceva che era cambiato e c’era il fratello più piccolo che intanto era cresciuto, ma anche la cugina nell’arco dell’anno trascorso s’era fatta una ragazza e quindi una concorrente in più o forse alla fine della stagione anche un’amica, tutto poteva succedere. Noi bramavamo quelli che arrivavano, loro desideravano noi che eravamo esotici e abbronzati già a maggio, noi restavamo a vivere anche l’inverno del mare grigio e solitario e loro ci invidiavano, loro se ne andavano nelle città con i cinema e noi li invidiavamo. Mia cugina veniva che era fidanzata col solito di sempre e dopo due giorni lo mollava dalla cabina telefonica per poi riprenderselo a settembre. I giri in motorino, il gregge di ombrelloni, le partite a beach volley fino le nove, i nostri genitori che sanno che siamo al mare, tanto telefonini non ce n’erano e quindi dovevi vivere a fidarti per forza. Le prima canne sotto ai ponti della ferrovia, la ferrovia che passava direttamente  sopra la spiaggia. Il mettersi d’accordo giorno per giorno su dove vedersi e fare la conta di chi manca. Chi scende per primo fa lo squillo a casa. Il primo bacio dietro casa di zia che faceva un caldo torrido e dovevamo rubarle la legna per il falò, tu che mi vomiti addosso durante il falò. Prendiamo il pedalò tanto lo so che poi i maschi giocano a tirarci giù e noi urliamo come se non sapessimo nuotare, tanto chi ti crede sei nato qui, nuotare è la seconda cosa che hai imparato dopo camminare. Le partite a biliardino. I bagni di notte.
Poi man mano le giornate si accorciano, i primi temporali estivi, arrivano i giorni delle partenze, qualcuno parte presto, nemmeno metà agosto, altri tirano fino poco prima dell’inizio delle scuole, conti i giorni che mancano, inizi a fare i ritrovi per i saluti, domani parte Tommaso, giovedì parte Silvia e Roberta e Carmelo quando vanno? Inizia quel treno di malinconia di un pezzo di vita che finisce, quando vivi in un posto di mare ti abitui a dare la scadenza a qualcosa fin da piccolo. Devi fare i conti con questa cosa che la spensieratezza esiste, ma cambia, ritorna e poi cambia, impari a salutare e riabituarti. Riabituarti è doloroso, io lo soffro ancora. Noi avevamo un rituale per decretare la fine dell’estate, appena anche l’ultimo turista era andato via facevamo una pigiama part a casa di uno di noi, ci ritrovavamo una notte intera a raccontarci le cose e rivivere dei momenti e piangere e confessare i segreti, Poi finisce davvero le case si svuotano e sembrano abbandonate, ti riabitui alla vita lenta del mare d’inverno, ricominci con i tuoi ritmi, il gruppo dei soliti, le giornate più corte e le tue intimità e di nuovo quando arriva l’estate con un’onda violenta trascina via quello che conosci e pulisce tutto, ti porta novità e tu devi ripartire, ancora. Tutto questo è finito, il gregge di ombrelloni sulla spiaggia non c’è più e le estati sono sempre più corte. Le cose continuano a finire e ricominciare.
La malinconia della vita di mare è dentro di me, luglio mi uccide, per me è un mese di resa dei conti, finisce una vita e ne inizia un’altra, nel disegno del mio calendario interiore è un punto di rottura prima di agosto, che si trova da solo, come un’anomalia, mese senza spazio né tempo, luglio invece è traguardo prima del nuovo inizio.
Mese di depressione e speranza. Certe volte voglio buttarmi dal balcone, certe volte me ne vado al mare.
Così.
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Anche guardare a terra alle volte può essere importante...
Dove inizia il mare...
Pinerolo, Torino
Domenico Bongiovanni
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scorcidipoesia · 10 months
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Di azzurro inizia la conta del blu.
Laggiù
dove le onde si accompagnano danzando il vento
dove la luce gioca con le armonie di sale e vigne
l’illusione di un immenso davanti
Che come il mare conduca :
Mare
Unica acqua
Uniche mani
Unico disegno
Ancora
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voracita · 4 months
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"Perchè tornare?" e "Il sacro vincolo".
Non è per trarne una morale qualsiasi, o per una qualche forma di ripicca, ma forse solo per sgravarmi un po' del peso di una pesante tristezza, e in qualche modo dimenticare, che racconto queste due piccole storie. Storie qualsiasi, verosimili se non vere, se non altro perchè sono sicuramente storie un po' di tutti. La prima la intitolerei "Perchè tornare?". Inizia a metà dicembre, su un altro social, un social specificamente dedicato all'ampio catalogo delle perversioni sessuali. Lei l'avevo già intravista, e mi ricordavo bene di averla conosciuta, a più riprese, anni addietro, qui su Tumblr, con tutta una serie di confidenze e intimità virtuali che non avevano mai portato a nulla di concreto. Si parlava di 5, 6 anni fa, forse anche 7: una serie di tira e molla, di scuse, di improvvisi ricominciamenti, sicchè di lei ricordavo molti dati di fatto, nome cognome indirizzi studi e molti dettagli dell'immagine del suo corpo, e anche una sorta di linguaggio che avevamo costruito, con cui condividere produzione di fluidi corporei e fantasie irrealizzabili e frustrate.
Fatto sta che mi vede anche lei, a un tratto, e mi scrive. Finge di non essere sicura, "mi sembra di riconoscerti", io vado più dritto al sodo, invece, anche perchè mi accorgo, dal suo profilo, che ora dichiara di vivere molto più vicino a dove mi trovo anche io, quindi, forse, questa potrebbe essere la volta buona, o la peggiore delle volte: comunque una volta diversa. Insiste, lei, perchè la conversazione prosegua su Telegram, e in effetti la conversazione si infittisce, torna su binari che sembrano quelli di un tempo, se non altro sembra esserci da parte sua un interesse personale, autentico, e da parte mia per varie ragioni almeno la curiosità di capire cosa potrebbe essere cambiato.
Si arriva a Natale, poi, o poco prima. Ci sono delle necessità familiari, c'è anche una moltitudine di virus che gira, fra un virus e una tombola scostumata lei sparisce, non si fa più viva. Inizia il 2024 però, ed ecco, ancora, l'ennesima volta: torna. In sostanza lei è fatta così, devo capire, ma il suo interesse per me è speciale, è diverso... Parliamo, ancora, della nostra vita, delle nostre porcherie, anche, del fatto che più che il sexting entrambi abbiamo bisogno di un contatto concreto, ancorchè non necessariamente esclusivo. Ebbene, mi dice: la sua frequentazione di quel social ha dato subito i suoi frutti, c'è un evento, in una villa esattamente a metà strada fra me e te, uno di quegli eventi in cui si va vestiti di nero, di lattice, con le pilloline blu in tasca magari, io vado con una coppia di amici, perchè non vieni anche tu? Il fatto è che io proprio non ho interesse in queste cose, dico. Il gioco come a un asilo di zozzoni, i seminari con l'espertone di turno, il mischione di odori di fumo, di fiche nude e di precum nei pantaloni di lattice....Divertiti, però, divertiti sul serio, non divertirti anzi, fatti scopare sul serio, che ne hai bisogno... Il giorno dopo quel poco che mi scrive è che è arrabbiata, e poi che ha riportato dei danni fisici, anzichè divertirsi. Cerco di capire, non riesco a capire, quasi nulla. Dice e non dice, scrive e non scrive. Si sente poco bene, eppure deve lavorare tanto. Mi preoccupo per lei, e allora sminuisce. Però poi dice di star male ancora. L'ultimo contatto è il 10 gennaio. Scrivo del mare, del tramonto, del mio cazzo e di dove dovrebbero finire le sue mutandine, e di altro ancora, una mossa un po' disperata, un tentativo di risvegliare una comunicazione qualsiasi, almeno. Risponde: che le mie parole la rendono felice, che non desidera altro se non quello che scrivo, che non desidera altro che me. Il tramonto passa in fretta, le rispondo, dopo ti butto un po' d'acqua di mare in faccia.
Ed è così, con questa frase, che tutto finisce, per l'ennesima volta.
Perchè tornare, per sparire ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e ancora, anche dopo 5 anni dall'ultima volta che già era sparita, sempre nello stesso modo?
(Continua con la prossima puntata, "Il sacro vincolo", nel prossimo post).
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poesiablog60 · 10 months
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Parla
Dì qualcosa, una qualsiasi.
Soltanto non stare come un’assenza d’acciaio
Scegli una parola almeno,
che possa legarti più forte con l’indefinito.
Dì “ingiustamente” “albero” “nudo”
Dì “vedremo”
«imponderabile»,
«peso».
Esistono così tante parole che sognano una veloce, libera, vita con la tua voce
Parla
Abbiamo così tanto mare davanti a noi
Dove noi finiamo inizia il mare
Dì qualcosa
Dì «onda», che non sta arretra
Dì «barca», che affonda se troppo la riempi con periodi
Dì «attimo»,
che urla aiuto affogo,
non lo salvare,
Dì, «non ho sentito»
Kikì Dimulà
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yomersapiens · 1 year
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I colpi di tosse
Le raccomandazioni all’autista “qua siamo tutte nonne”
La prima fila ha parlato
Le scarpe che si tolgono
La radio in sottofondo
Le telefonate al figlio piccolo
“Spider-Man ha dormito nel lettone tra te e la mamma?”
I tasti del telefono che fanno rumore
Le videochiamate commoventi
I messaggi vocali alitati
Sussurrare al paesaggio
Colpi di tosse sottomessi
La mascherina sotto al naso
Dormire su due posti
Arriva un messaggio
La sveglia
Le medicine da prendere
La foto al mare
Qualcuno inizia a russare
Tutto il retro del bus segue il buon esempio
“Non ti sento bene sono in galleria”
Non mi sento bene da quando tua mamma dorme con Spider-Man
“Arriveremo tra una o due ore”
Se Dio vuole
Le autostrade qua le hanno iniziate e mai finite
Sono appunti per autostrade che verranno
Chiama papà che ci viene a prendere
Hai visto questo video su TikTok?
Ora te lo mando
“Abbassa il volume che non sento bene la tosse del vicino”
La faccia spiaccicata sul finestrino
L’alone del fiato
La collina appannata
Le fabbriche abbandonate a se stesse
I mattoni a chiudere le finestre
Le risate tra un colpo di tosse e l’altro
Un altro messaggio
La frenata brusca
Le nonnine trattengono il respiro
L’autista insulta la macchina colpevole
Chiede scusa al microfono
Qualcuna grida al miracolo di fine anno
Applausi delle nonnine
Potranno dare la dieci euro ai nipoti
Facciamo sosta nel nulla cosmico
Un distributore automatico vende crackers scaduti il secolo scorso
Un cane è stato eletto sindaco dell’area di servizio
I suoi vecchi padroni sono morti in un incidente stradale
La polizia ha aperto le indagini e lui è il primo indiziato
Il cielo inizia a tossire
Non pioveva da mesi
Le nonnine ringraziano l’autista
“È grazie a lui se la siccità sta per finire”
Come il giorno
Come l’anno
Come il tramonto dietro alla tenda del finestrino
Tutti stanno in silenzio e recuperano le forze
Dovranno raccontare ciò che è accaduto nei dieci minuti in cui non hanno parlato al telefono ai cari e familiari
Scendiamo a destinazione
La mia valigia si è accoppiata con un modello a quattro ruote di una signora borghese
È nato un marsupio con una sola rotella che lei non vuole
Lo adotto e porto con me
Non ho idea di dove siamo e non so a quanti chilometri da casa sono
Per la prima volta non mi pesa
Non aver nulla sotto controllo
Conservo il ricordo del mio eroe nel portafoglio
Una foto scattata di nascosto all’autista
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libero-de-mente · 4 months
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L'ISOLA DEI DIVULGOSI
Canale Ventordici, diretta TV.
Comincia la prima puntata dell'Isola dei Divulgosi.
Inquadratura a tutto campo della spiaggia deserta, il rumore del mare è il sottofondo naturale di questo paesaggio, dove finisce la spiaggia inizia una foresta tropicale.
All'improvviso, con una posa da "cucù" sbuca dalla vegetazione Alberto Angela: - Buonasera e benvenuti a questa puntata. Faremo un lungo viaggio nella sopravvivenza con la cultura.
Mario Tozzi: - Ciao Alberto, hai notato come in alcune zona della costa ci siano depositi antropici? Senza i bagnanti antipatici? Che poi siamo in anticipo? Sull'orario, dico
Roberto Giacobbo: - Salve colleghi, avete mica visto Omar?
Alberto Angela: - No, Roberto. Mario ed è proprio qui - rivolgendosi a Tozzi e allargando le mani con il palmo rivolto in basso - che l'esercito romano sbarcò per conquistare Cartagine.
Roberto Giacobbo: - Omar! Omaaaar! Dove sei?
Mario Tozzi: - Roberto, Omar, Omar... vide 'Omar quant'è bello!
Roberto Giacobbo: - Mario mica si scherza qui, è pieno di gradini. Ma tu hai il permesso speciale per stare qui?
Alessandro Barbero: - Orsù saluto tutti voi cari vassalli, valvassori e valvassini - sorridendo a denti stretti - caro Alberto qui ci fu un massacroH, neh vero?!
Roberto Giacobbo: - Secondo me fu opera degli "aglieni", extraterrestri provenienti dal pianeta Aglio in una dimensione parallela
Alberto Angela: - Roberto, non fidarti di tutto quello che vedi. Anche l'aglio nella padella sembra una patata al forno
Mario Tozzi comincia a scrivere con un pennarello usando la mano sinistra, e al contrario, su una lastra di vetro: "ilucarap id oizaps onu ni onoviv itlom olellarap ehc ùiP"
Avete detto dimensione? - da una nuvola in cielo appare Barbara Gallavotti - la dimensione giusta è la quinta dimensione
Roberto Giacobbo, guardando Barbara Gallavotti: - Una dea, Omar falle una ripresa da qui che la inquadriamo bene
Alessandro Barbero: - La spranga colpisce et non s'arresta una hora, hehehehe
Mario Tozzi: - Alessandro, tutto bene? Ti vedo un po' su di giri
Alessandro Barbero: - Mario, ci sono terre da conquistare. Orsù andiamo a bruciargli le caseH!
Alberto Angela, nel frattempo che i suoi colleghi stavano confabulando, scopre una necropoli e dei reperti paleontologici di eccezionale portata. Cosa? Probabilmente non lo sapremo mai.
Roberto Giacobbo: - Ragazzi ho una notizia in anteprima, tra poco ci raggiungerà Zahi Hawass, che parerà in inglese ma con il doppiaggio in italiano
Alberto Angela: - Zahi, lo conosco!
Roberto Giacobbo: - Co-come lo conosci...
Mario Tozzi: - In realtà lo conobbi anche io, durante un convegno sulla famosa frase trovata incisa nella piramide di Cheope, quella che citava "Si te vede la morte, se gratta"
Roberto Giacobbo: - Ma... ma Zahi aveva detto che ero il suo più grande amico!
Alessandro Barbero: - E beh, Dio hatti dato due gambe e due spalle da omone, che lo Rubeus Hagrid de potteriana memoria, uno gnometto sembri!
Roberto Giacobbo: - Ma è una frase misteriosa?
Mario Tozzi scrive sul vetro "ossorg e ednarg ies ehc odnecid ats iT"
Roberto Giacobbo che legge a testa in giù: - Ah, ho capito! Omar sono l'amico più grosso di Zahi, non è magnifico?
Giunta la sera la comitiva divulgosa si ritrova davanti a un falò, dove a turno si raccontano di bighe e gladi scintillanti, di misteri irrisolti e di irrisolti cervelli, di leggende e di gradini schivati.
Ma sarà in un'altra puntata.
Arrivederci.
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sciatu · 1 year
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Mattino sullo stretto
MILLE PICCOLI NEONATI
OGNI DRAMMA INIZIA CON CALMA  - Bastiano si mise lo zaino sulle spalle, prese l’ombrellone e con una corda se lo mise alla spalla destra. Prese una sedia pieghevole e la sistemò sulla spalla sinistra. Afferrò le due stampelle senza le quali non poteva camminare, controllò nel borsello se aveva preso tutto ed usci nel giardino circondato da alte mura. Percorse, tra gli alberi di limoni, mandarino e nespole, il vialetto che portava fino al portone che dava su uno stradone chiamato pomposamente “lungomare” e che separava la sua casa dalla spiaggia. Uscito dal portone attraversò lo stradone e da li scese lentamente verso il bagnasciuga, sempre mettendo avanti le stampelle poi raggiungendole spingendo per raggiungerle, le gambe magre e deboli, che a stento riuscivano a tenerlo in piedi. A circa cinquanta metri da dove le onde si appiattivano sulla sabbia, si fermò e mise giù lo zaino, aprì la sedia pieghevole e si sedette tra due blocchi di cemento che fungevano da frangiflutti, in modo da essere protetto dal vento. Da seduto piantò l’ombrellone e l’apri in così che coprisse la sedia. Cercò nello zaino e tirò fuori un tablet ma prima di immergersi nella lettura guardò il cielo per vedere come era il tempo. Osservò se si vedevano all’orizzonte lungo lo stretto, le “Calabrie” per capire quanta sarebbe stata afosa la giornata. Se le “Calabrie” fossero state nascoste da un velo grigiastro voleva dire che sarebbe stata una giornata caldissima, appiccicosa e afosa. Infine guardò la spiaggia quasi deserta con alcune barche rovesciate qua e là, dove due pescatori, ognuno con quattro o cinque canne fissate lungo il bagnasciuga,  andavano avanti e indietro seguendo il movimento delle canne ed osservando i galleggianti in mezzo al mare. Era tutto a posto. Sarebbe stata un’altra giornata di sole, rovente e normale, come cento altre e le gambe non gli avrebbero fatto male come quando cambiava il tempo e le ossa rotte in mille pezzi ed aggiustate chirurgicamente, non avrebbero fatto sentire il loro lamento simile a mille lame gelide che scavavano nei suoi arti. Bastiano sorrise soddisfatto, si sentì dell’umore giusto per un buon racconto e sul tablet andò a cercare il libro di Allende che stava leggendo. A quel punto l’imprevisto che è il protagonista inatteso di ogni racconto: una ragazza incominciò a scendere dal lungomare verso la spiaggia. Ora Bastiano, a causa dei suoi problemi fisici, non era uno che cercava l’avventura o pensava solo all’apparato riproduttivo delle donne. In vita sua poi di donne, ne aveva conosciute molte, alcune erano anche professioniste del sesso che avevano fatto di ogni loro gesto e sguardo una reclame ambulante del piacere. Però la ragazza che scendeva, con il suo prendisole nero   capelli di un nero intenso lunghi ed ondulati, gli occhiali scuri di Versace dove brillavano particolari dorati, cosi come d’oro erano le finitura del bikini nero, le scarpe e la borsa che indossava, rendevano quella ragazza Diversa da quelle poche presenti sulla spiaggia. Sapeva di sensualità armonica e selvaggia, di sesso puro, passionale e intenso. Un sesso non descritto dal corpo che non aveva un filo di grasso, dalle abbondanti curve del seno o del di dietro nervoso e ben formato e neanche evidenziato od esaltato da un bikini la cui superfice totale non superava quello del fazzoletto dentro cui la nonna di Bastiano, quando andava a prendere la pensione, metteva i soldi  per nasconderli nel seno. Il sesso, dichiarato e presente, era esplicito nel come si muoveva, in come   la sua gamba si allungava mostrandosi dritta e perfetta per conquistare la spiaggia e di come il suo corpo la seguiva sobbalzando, oscillando, vibrando prima di prendere possesso di un altro metro di universo, mentre i suoi capelli sdraiandosi nel vento che correva, salutava la sabbia alle sue spalle lasciandogli in ricordo un profumo di limoni dolce e costoso. “Chista si si pigghia a coccadunu, su suca comi si saria n’ovu” Pensò ammirato e sebbene lui fisicamente non era messo male con un torace e due braccia da palestrato, riconosceva che quella ragazza lo avrebbe messo in serie difficoltà. Poi, gustando il sapore di sesso e di vita che gli era rimasto nel corpo, tornò a leggere il suo libro assorto dalla scrittura latina dell’autrice. La ragazza nel frattempo si era seduta a una decina di metri da lui invadendo quel pezzo di spiaggia con il profumo della sua sensualità di cui restarono colpiti anche i due pescatori vicini a loro, uno alto e lungo come la fame, l’altro basso grasso e tondo come l’abbondanza. Questi avevano lasciato perdere le loro canne e commentavano con semplice lascivia, quello che quel corpo disteso al sole, suggeriva alla loro libido paesana. Dopo quasi un ora, Bastiano, contento per come la mattinata stava procedendo, allungò le gambe e appoggiando la schiena alla spalliera della sedia, chiuse gli occhi e lasciandosi cullare dal rumore delle onde e dalle grida dei bambini in acqua, cercò di appisolarsi. Ora, poiché nella vita il caos è inevitabile, entrava in scena un secondo imprevisto nella persona di un ragazzo in jeans e camicia bianca che parcheggiata una potente moto sul bordo dello stradone, appese il casco al manubrio e risoluto scese in spiaggia dirigendosi verso la ragazza con un passo veloce e cattivo tanto che a pochi metri da lei, incominciò a inveire “Accà a unni si, buttana chi non si otru? Jo ti spitava a Furci e tu si ca, stinnicchiata o suli” La ragazza al vederlo si alzò di colpo  e presa una pietra di grosse dimensioni in mano gli urlò “Vattinni chi t’ammazzu quant’e veru Diu” Ma lui senza farsi intimidire l’afferrò per i capelli e fermata la mano armata con il sasso incominciò ad urlare “Si na troia, na bucchinara, tu si peggio da medda” “Strunzu, lassimi annari chi mali finisci” Rispondeva la ragazza che malgrado bloccata dalle  forti braccia del ragazzo, non desisteva. I due pescatori si voltarono ad assistere alla scena come tutta quella parte di spiaggia, ma nessuno mosse un passo verso di loro. “Muta disgraziata chi tu si na ruvinafamigghi, a mari t’aiu ittari comi si fa ca munnizza” Per tutta risposta lei gli diede un calcio tra le gambe e dal dolore l’uomo strinse di più i capelli facendola gridare “Lassala stari” Grido Bastiano che al primo battibecco  si era alzato ed aiutato dalle stampelle si eri avvicinato ai due “Fatti i fatti toi, screncu chi  campi cent’anni” “Jo mi fazzu i cazzi toi picchì si non mi scuti, non ci nesci vivu i sta ribba mari” Il giovane stava per rispondergli quando dalla riva del mare si sentì gridare “Bastianu chi c’è cosa?” E quando i tre si girarono per guardare chi aveva urlato videro i due pescatori muoversi. Il lungo levò una canna dal tubo di ferro conficcato nella sabbia che la teneva dritta e lo liberò dal terreno, afferrandolo saldamente in mano ed incominciando a  camminare verso di loro. Il corto lo seguì con una mano in tasca ai pantaloncini da cui estrasse quello che sembrava un bastoncino nero di venti centimetri tenendolo stretto nel pugno. Il giovane capi che era uno “sfilatino” un coltello lungo sui venti centimetri che i pastori usavano per sgozzare in un sol colpo, pecore e capre. Anche Bastiano aveva fatto volare in aria la stampella prendendola al volo pronto a colpire il ragazzo al primo passo che avrebbe fatto verso di lui, e, visto i muscoli del braccio, non sarebbe stato un colpo leggero. Il ragazzo pensò qualche secondo poi spinse via la ragazza “Cu tia fazzu i cunti dopu “ Le disse rabbioso e guardando Bastianu sbottò “Ha ringraziari Diu chi nun mi voggliu luddari i manu cu genti comi a vui” E se ne ando verso la moto ostentando sicurezza e tranquillità Bastianu si avvicinò alla ragazza “Tutto a posto?” Lei fece di si con la testa massaggiandosi il polso che il ragazzo aveva stretto “Vai al mio ombrellone, c’è un po' d’acqua e ti rinfreschi” Nel mentre arrivarono i due pescatori “Oh arriva il settimo cavalleria a salvarmi…. “ “Nui a iddu sabbammu – fece il corto – che se lo prendevi tra le mani, in dui u rumpivi” “U canuscivi  a chiddu Bastià?” “No non l’ho mai visto e ha capito  che non si deve far vedere più” “A lenza a lenza,” gridò il corto sentendo il campanello posto su una canna suonare e corse via, seguito dal lungo che gli gridava “Pigghialu, pigghialu” Bastiano andò dalla ragazza che se ne stava all’ombra raggomitolata ad abbracciare le ginocchia “Tutto bene ?” “Si, si” “Aspetta un po' a muoverti magari quello è la che aspetta” “Vigliacco com’è, è capace che mi aspetta, ma io devo andare” “E non hai la macchina?” “No sono venuta cu l’autobus” “E come per cinque minuti? “Volevo distrarmi un po'” “O non volevi farti trovare?” “Tutte e du cose” Fece seria senza guardarlo “Ma ora devo andare. Conosci qualcuno che mi può portare a piazza Cairoli” Lui la guardò e ora, così da vicino, gli sembrava una bambina con occhiali troppo vistosi e un bikini troppo piccolo.
UN BAMBINO PER STRADA “Vieni, ti accompagno” Disse allora lui quasi seccato di dover lasciare prima del tempo la sua spiaggia “Hai una macchina?” Chiese sorpresa “Si, una piccolina” Si alzò dalla sedia con abilità, spostando il peso prima su una stampella poi sull’altra, raccolse velocemente zaino ed ombrellone e si incamminò. Bastiano e la ragazza salirono sul lungomare dove, una diecina di metri più avanti si fermarono di fronte ad una vecchia golf. A vederla la ragazza si mise a ridere “Sembra una scatola per le scarpe con le ruote” “Se non ti piace te ne puoi andare a piedi “ “No, no, per oggi le avventure bastano” Una volta in macchina, Bastiano partì in direzione della città. La ragazza guardava con curiosità la macchina “Ma non ha i pedali?” “li ha qua sul volante” “E le marce?” “Sempre al volante” “Ma perché? le gambe non le puoi muovere?” “Non completamente” “Ma cosa ti è successo? Pigghiasti a tubercolosi?” “No, ero su un ponteggio che è crollato e le gambe si sono rotte in diversi punti, non sono riusciti a sistemarle per come erano” “O matritta bedda e hai sofferto tanto” “Abbastanza, mi avevano pianto per morto.” Arrivarono ad un semaforo dove una famiglia dell’est stava elemosinando. Un bambino con una chioma bionda spettinata e due occhi enormi di un azzurro chiaro, con una mano sporca batté sul vetro di Bastiano e quando lui si girò a guardarlo allungò la mano con il palmo verso l’alto e la faccia da meschino disperato “Nun haiu nenti” Fece Bastianu agitando l’indice ed il pollice allargati a ribadire la sua povertà. “Nun ci diri accussì” Lo rimproverò la ragazza e preso dalla sacca un enorme portafoglio lo aprì cercandovi qualche moneta, non trovandole, prese l’unico pezzo da cinque euro che abitava sconsolato  in un enorme falda del portafoglio e glielo passò “Daccillu” Disse a Bastianu allungandoglielo “È troppo” replicò lui stupito “Daccillu!!” insistette lei arrabbiata. Controvoglia l’uomo abbassò il finestrino “Teni” Disse al bambino che presa la banconota la guardò sorpreso “Come ti chiami?” Chiese la ragazza ridendo. Il bambino li guardò e disse qualcosa in un'altra lingua. Da dietro incominciarono a suonare perché il semaforo da un millesimo di secondo era diventato verde e Bastianu mise la marcia e partì. “Come ti chiami?” Chiese ancora la ragazza voltandosi sul sedile a vedere la testa bionda che ormai era già sparita dietro il fiume di macchine. “Potevi aspettare un secondo” Disse ancor più arrabbiata a Bastianu “Lui alzò le spalle.” “Non sentivi che stavano suonando e che ci sarebbero saliti addosso” Lei alzo le spalle, cercò nella borsa il suo enorme paio di occhiali neri, li mise agli occhi e a braccia conserte fissò il parabrezza con l’aria seccata, ignorandolo. Bastianu la guardò. “Quello sulla spiaggia … era il tuo fidanzato” Chiese perché lei non pensasse che avesse il cuore di pietra. “Si, uno dei tanti” Rispose lei dura “ah si e quanti ne hai?” Chiese divertito Bastianu “Troppi – fece incazzata - troppi e tutti stronzi” “Perché?” “Perché cosa” “Perché così tanti?” “Perché sono una scema, una cretina e rovino la mia vita dietro agli uomini credendo che mi vogliano bene, invece loro pensano solo a futtiri” Restò qualche secondo in silenzio e poi precisò con cattiveria “La mia vita “di merda” senza un senso o un motivo buttata via con ziti di merda senza senso e motivo, perché non c’è nessuno che può darti quello che ti manca, quello di cui hai bisogno veramente” Bastiano tornò a guardarla Vide che da dietro gli occhiali di tartaruga con filo d’oro stava scendendo una piccola lacrima e si sentì colpevole per la semplice domanda che aveva fatto, per cui pensò di dover di dire qualcosa di serio e consolatorio. “Non devi dire così, la vita è importante, quello che facciamo noi a volte è sbagliato, ma la vita non merita di essere considerata brutta o di merda. Te lo dico io che ci voleva tanto con tanto, che la perdevo”! Lei continuò a guardare davanti a se quasi ignorandolo e allora lui continuò- “Non bisogna confondere la vita con il vivere. Prima di noi ci sono stati milioni di anni in cui non esistevamo e quando moriremo, ci saranno milioni di anni in cui non ci saremo. Pi chistu a vita è un controsenso, uno scandalo in questo universo fatto solo di materia, per questo dobbiamo vivere la nostra vita nel modo migliore, nel modo che riteniamo gli dia più senso. Invece pensiamo che questo insieme di cose e di persone – e con la mano indicò le case e le macchine che li circondavano - sia la nostra vita. In più cerchiamo di vivere negli occhi degli altri, nei desideri che la moda ci obbliga ad avere, nelle relazioni che sono l’ombra di quelle che potremmo avere. Ecco, siamo solo ombre, riflessi, voglie da saziare provvisoriamente, e chiamiamo questo: Vita. Ma non è chista a manera giusta di rispettare il miracolo che è.” Lei lo guardò con aria da compatimento e ironicamente chiese “Ma chi si filosufu?” “No sono uno ca motti a tuccoi ca manu e ha sofferto i peni ill’infennu – rispose seccato – Siamo a piazza Cairoli sei arrivata, scendi” “Graaazie mille” Fece lei con un miagolio da gatta “Pregu pregu” Rispose Bastianu velocemente, pensando che parlare ai sordi non serve a niente. Appena lo sportello si chiuse, corse via, seccato di aver sprecato una giornata dietro a una zalla come quella.
NESSUNO CONOSCE VERAMENTE QUALCUNO - Verso sera, il buio aveva legato insieme il cielo, il mare e la spiaggia accogliendoli nel suo grembo oscuro. La luce delle barche sparpagliate nel buio del mare, sembravano stelle cadenti che si muovevano al rallentatore, mentre sullo stradone   sfrecciavamo macchine, motorini, pulman pieni di persone che tornavano a casa, avvolti nei loro pensieri e storditi di stanchezza. Le falene si agitavano intorno alla luce giallognola dei lampioni e cani randagi abbaiavano lontani tra i casali dei monti nascosti dall’oscurità. Nella sua cucina, Bastianu prese sei bottiglie di birra Messina e le sistemò nello zaino; vi aggiunse un vasetto di olive schiacciate, uno di finocchi selvatici sott’olio, un vasetto di pomodori secchi sott’olio, un bel pezzo di primo sale e un chilo di pane casareccio. Si prese la sedia pieghevole e se ne scese lentamente sul bagnasciuga, raggiungendo i pescatori che al mattino erano corsi in suo aiuto. Il lungo e il corto avevano aggiunto alle punte delle loro canne delle luci giallognole per vedere quando i pesci abboccavano e si muovevano in un tratto di spiaggia che, a causa della luce biancastra delle loro lampade a gas, sembrava un paesaggio lunare. La costa a causa di tutte quelle piccole luci giallastre messe sulle punte delle canne, era diventata  una piccola via lattea. “Bastianuuu – gli grido stupito di vederlo, Nino detto u Cuttu, il pescatore piccolo e tondo che era corso verso di lui con il coltellaccio in mano – voi ncuminciari a piscari puru tu?” “Vi ho portato un aperitivo, almeno se poi mi dovete difendere sarete in forza” “Ma quale difendere e difendere, nui a chiddu sabbammu.” Rispose Filippo, il pescatore alto e si misero tutti e tre a ridere. Aiutarono Bastianu a disporre il contenuto dello zaino su una barca capovolta. Per una mezzora non fecero altro che tagliare pane e parlare delle olive o dei finocchietti, dicendo ognuno la sua: se il migliore primosale era quello di Moltalbano o di Mandanici, giudicando i pomodorini e svuotando le bottiglie con lunghi sorsi come se fossero usciti in quel momento da un deserto rovente. Ad un certo puntu Bastianu chiese “Ma oggi a quei due li conoscevate?” “Bastianu, ti nciuru supra i me figghi chi oggi si du strunzu ti tuccava quantu è veru Diu, a testa ci scippava, comi si era na custaddedda” Rispose pronto u Cuttu, sfogando la rabbia che aveva ancora dentro e che sottolineò con un lungo sorso di birra. “A iddu no canuscia, avia essiri i Missina, idda era Bittina a figghia i me cumpari Gianni, u Prufissuri” Rispose Filippu. U Cuttu sorrise e sottolineò con enfasi. “A buttana” Filippo scosse la testa contrariato “Nun è na buttana” “Ma si fa lassa e pigghia chi masculi … visti chiù minchii idda chi u me urologo” “Non è na buttana” ripetè seccato Filippo, e rivolgendosi a Bastianu come ad una persona che poteva capire e giudicare continuò “A quindici anni un ragazzo della sua età l’ha messa incinta. I parenti di lui lo hanno mandato in America perché non volevano che si la sposasse. Lei il figlio se lo voleva tenere perché era una bambina e pensava che un figlio è un dono di Dio. Invece i suoi parenti le hanno fatto firmare una carta e hanno dato il bambino in adozione. Lei non lo sapeva e quando ha partorito cercava a suo figlio e invece lui chissà dove era. Quando lo ha saputo, sballoi, si strammoi e incominciò a fari cosi strani: mivia, si drugava, annava chi masculi e quannu fici diciottu anni sinni annoi da casa. Dormiva per strada dove capitava. Ora lavora in una tabaccheria dove il padrone se la fotte quando vuole. L’assistente sociali ci dissi a Gianni chi idda fa tutti sti cosi pi sfreggiu e so parenti chi ci rubbaru u figghiu, lo fa per punirli e svergognarli. Ma dentro è rimasta bambina, non ha accettato quello che è successo. Viene al mare sempre qui perché fino a quindici anni veniva qui a divertirsi, ma dai parenti qui intorno, e ne ha tanti, non ci va, non ci interessanu e pensa chi Gianni quannu parra d’idda si metti a cianciri i quantu ci voli beni” U Cuttu non replicò perché forse questa storia la sapeva già. Bastianu mise la mano nello zaino e tirò fuori una bottiglia di spumante “Pinsamu a nui” Disse distribuendo bicchieri di carta e stappandola. “A saluti” Fece riempiendo i bicchieri “A saluti” Risposero i due pescatori e bevvero tutto d’un sorso per non pensare a Bettina e al figlio negato.
L’ALBA E’ SEMPRE UNA PROMESSA - La prima cosa che Bastianu faceva quando si alzava poco prima dell’alba, era attraversare il giardino, aprire la porta e guardare il mare. Se il mare era quieto e sembrava un tappeto azzurro l’osservava incantato, come un contadino che guarda un campo di grano o un’amante che guarda la sua amata arrivare per la strada e osserva con piacere ogni suo gesto, ogni suo sorriso, pregustando la gioia del prossimo abbraccio, il calore che il corpo amato avrebbe dato al suo. Se invece il tempo era brutto e il maestrale urlava riempiendo il cielo di inquiete nuvole color cenere, mentre il mare  sibilando si arrampica scivolando lungo la spiaggia divorandola quasi a voler alzarsi, uscire dai suoi abissi ad assalire e distruggere il mondo, allora Bastiano si avvicinava e si aggrappava al guard-rail sul lato opposto del lungomare e stava li dritto a sfidare la distesa di acqua grigiastra e spumosa, così come aveva sfidato la morte ed il dolore e respirava felice il vento che lo sferzava pieno di salsedine e di furia. Allora si sentiva vivo e capace di domare la sfortuna che lo aveva reso un invalido, un diverso, un inutile. Quel giorno il mare era invece inquieto, smosso da un vento nervoso, fastidioso ed insistente mentre l’alba, lentamente perdeva i suoi colori accesi per trasformarsi in un normale mattino. Si avvicino al guardrail ed osservò la spiaggia vuota. Casualmente guardò verso destra e vide una figura nera seduta sulla panchina sotto una palma piccola e spaurita. Il suo istinto gli diceva che la conosceva, ma da li non vedeva chi era, così si avvicinò per guardarla meglio. Con sua grande sorpresa riconobbe Bettina che avvolta in uno spolverino nero e nascosta dal solito paio di occhiali neri stava fumando guardando il mare. Notò anche che stava tremando per il vento che la investiva e che non era per nulla fermato dai suoi vestiti di cotone leggero. “Buongiorno – le disse sorridendo – cosa ci fai qui alle sei del mattino” Lei lo guardò qualche secondo prima di salutarlo “Ciao … sono già le sei? – restò in silenzio qualche secondo – mi offri un caffè? ho freddo” “Vieni, da questa parte, andiamo nel mio giardino.” La precedette nel portoncino e la fece sedere sul dondolo in un angolo protetto dal vento. Entrò in casa e prese una coperta di pile molto grande che teneva pronta per quando il freddo mordeva le ossa delle gambe e la coprì per bene. Entrò in casa e preparò un caffè lungo, gli mise del latte e un cucchiaino di miele e lo portò alla ragazza. Lei strinse la tazza tra le mani, bevendolo a piccoli sorsi, ed una volta finito gli passò la tazza e disse solo “Scusa, ho sonno” E piegandosi su di un lato si coprì con la coperta e si addormentò. “Buonanotte” Disse Bastiano scuotendo la testa. L’osservò. I capelli erano in disordine e gli occhi erano circondati da un alone nero, sporchi di rimmel colato forse da lacrime. Sulle labbra aveva ancora del rossetto di un bel colore, ma erano ancora le labbra di una bambina. Pensò che lei era un po’come lui: la vita, l’aveva spezzata dentro così come a lui aveva spezzato le gambe. La guardò di nuovo. Era una bambina come aveva detto Filippo. Ma perché stava li a guardarla? Perché era sempre lì a renderla protagonista dei suoi pensieri? Il fatto era che gli piaceva, ma non per il profumo di sesso che emanava. Non sapeva neanche lui perché. Ecco si, gli piaceva perché era fragile terribilmente fragile e reagiva a questa fragilità con durezza e cattiveria. Come un soldato nel mezzo di una guerra. Anche lui era stato un soldato e la sua guerra alla fine non l’aveva vinta. Era questo quello che in lei gli faceva sangue: lottava. Era viva, infrangibile, una donna vera. Ci pensò. Da sola, pensava che non sarebbe mai andata da nessuna parte, cercava sempre bisogno di qualcuno che le riempisse il vuoto che aveva dentro. Lui aveva il mare, i viaggi, i libri. Lei si attaccava a questo e quello sperando di trovare qualcuno che potesse aiutarla a ricucire la sua vita. Doveva trovarle un paio di stampelle con cui affrontare i suoi silenzi. Incominciò a pensare. In mattinata uscì e quando rientrò Bettina era ancora li che dormiva, immersa nell’enorme coperta, con il dondolo che ondeggiava cullandola nel silenzio del giardino. Bastianu cucinò ed apparecchiò in giardino sul tavolo di lava vicino al dondolo e quando fu pronta la tavola e la pasta chiamò la ragazza Lei si alzò lentamente ed intontita si sedette a tavola. Incominciò a mangiare senza mostrare appetito “Buono, non l’avevo mai mangiato” Disse dopo la prima forchettata “Dal pescivendolo ho visto degli scampi e mi è venuta voglia di farli come le ho mangiate una volta a Livorno.” “Ma tu lavori?” “No, non più. Quando ho avuto l’incidente l’assicurazione mi ha riempito di soldi ed io li ho investiti per non dover lavorare più. Ho comprato anche questa casa e l’ho ristrutturata. Il primo piano lo affitto in estate perché non posso salire le scale, questo piano qui sotto l’ho adattato per me e mi sono impegnato a vivere.” “Ma non sei sposato?” “Avevo una zita ma dopo il primo anno di terapie ed interventi mi ha detto che non se la sentiva di fare l’infermiera a vita” “A vita è accussi – commentò lei – amore, amore ma poi quando il “piano” diventa “salita”, tutti scompaiono” “No, non è la vita, sono i rapporti del momento” “Ed io di questi ne so qualcosa” “Ieri ti sei divertita vedo che hai gli abiti da sera” “Ma quali!! Sono uscita con uno che faceva sempre il romantico, si presentava sempre con una rosa, citava sempre versi di Battiato e Neruda, siamo saliti sul promontorio qui sopra per vedere tutto lo stretto illuminato e la prima cosa che mi ha chiesto tra il cantare dei grilli ed il cielo pieno di stelle, è stato di prenderglielo in bocca” “Però, romanticone” “Io non sono una santa, anzi mia nonna mi chiama la Buttanissima. Ma avevo voglia di coccole e tenerezze, se no sarei uscita con uno dei miei amici per cui rispettarmi vuol dire mettermelo di dietro usando la crema Nivea.” “Si molti hanno questa delicata forma di rispetto” “Allora abbiamo incominciato a discutere. Io dai maschi mi so difendere e gli ho quasi cavato gli occhi. Lui tutto incazzato mi ha buttato fuori dalla macchina e se ne è andato lasciandomi li. Sono dovuta scendere dal promontorio a piedi nudi con le scarpe con i tacchi in mano. Appena vedo dove ha parcheggiato la macchina, gli taglio le ruote” “Ma non passava nessuno?” “Erano le quattro del mattino chi doveva passare? Quando sei arrivato tu ero stanca morta e congelata” “Ma non avevi paura a fare tutta quella strada da sola? “ “Io non sono mai sola. Sono una madre, una madre non è mai sola” Bastiano la guardò incerto se chiedere come mai si definiva una madre se non aveva un figlio. Decise di cambiare discorso “Nel poco tempo che ti conosco hai già litigato con un altro zito. Ma non sei stanca di questa vita di correre dietro agli uomini, stanca di tua nonna che ti chiama la Buttanissima.” “E perché? Non faccio nulla di male? Faccio come fanno gli uomini, lascio e prendo! Se sono una troia io, anche loro sono delle troie che se ne tornano dalle loro mogli come se nulla fosse mentre è successo quello che ha fatto Giuda: hanno tradito chi li ama? Cristo ha sempre avuto pietà delle buttane e le ha sempre perdonate, ma a Giuda no, non lo ha ancora perdonato, è sempre all’inferno dove ci andranno tutti gli uomini con cui sono stata….” Lui la guardò facendo una faccia scettica e lei continuò “…o tu sei uno di quelli che scrive Amore con l’A maiuscola, per cui si dovrebbe solo obbedire, subire e farsi scopare?” “Ma io l’amore non l’ho mai incontrato. Quello che si è presentato per tale, è stato l’unico osso che mi è rimasto rotto veramente. Per me puoi fare quello che vuoi finché non ti faranno del male sul serio, perché il  sangue degli uomini è quello di Caino.” Raccolse i piatti e li mise nel carello con cui dalla cucina portava le vivande. “Visto che sei la prima ospite da tanto tempo, per festeggiare ti ho preso i cannoli di don Roberto” Gli occhi di lei si spalancarono dalla contentezza “Che Buoniii: quando venivo qui ne mangiavo sempre più che potevo” “Qui ti puoi sfogare: ne ho preso una dozzina” Bettina non si fece pregare e mentre ne afferrava uno le chiese “Senti dopo devo andare in città vuoi che ti accompagno?” “Se puoi mi faresti un favore “Figurati – rispose sorridendo – lo fai tu a me il favore. Devo portare un regalo ad una persona in ospedale e da solo non ce la farei”
UN ANGELO PER STRADA -  Partirono dopo il caffè.  Salita in macchina Bettina notò nel piccolo sedile di dietro una cassetta di legno con dei limoni simili ai cedri “Ho trovato quei limoni Perrini. Sono una rarità perché sono dolcissimi. Le porto ad una mia amica a Messina. Mi fermo solo per darglieli e poi ti lascio.” Lei non gli fece neanche caso preoccupata a rispondere ai messaggi sul telefonino. Arrivarono al semaforo e si avvicinò nuovamente il bambino biondo che sorridendo allungò la mano. Questa volta Bastiano abbassò il finestrino e gli allungò un euro “Come ti chiami?” Gli chiese sorridendo “Havryil” Rispose il bambino allargando il suo sorriso “Come si chiama?” Chiese Bettina che aveva pescato nella sua borsa una caramella e si era sporta dalla parte di Bastiano per dargliela. “Havryil, è un nome ucraino, vuol dire Gabriele “Che bel nome. Ciao Gabriele, ciao” Fece la ragazza mentre la macchina ripartiva. “Come sapevi che è un nome ucraino” “Ho lavorato da quelle parti, nella raffineria di Odessa.” “Allora hai girato il mondo e avrai guadagnato un sacco soldi” “E ne ho speso altrettanti per curarmi” “Bhe almeno hai visto il mondo. Io più che le baracche di Messina non ho visto” Concluse sconsolata Vi fu silenzio per qualche minuto. “Hai detto prima che una madre non è mai sola. Ma tu hai qualche figlio?” “Scherzavo” Tagliò corto restando in silenzio “No, non scherzavo – concluse dopo un minuto - è che sono una madre senza figli. Ho avuto un aborto tempo fa” Si mise subito a guardare il cellulare per dire che l’argomento era chiuso. Lui l’osservò sott’occhi. “Io volevo tanti figli, perché a casa mia eravamo in tanti. C’era tanto casino e ci divertivamo un sacco. Ma poi è andata così. Ora non saprei come fare a gestire un figlio” Restò un minuto in silenzio perché si era accorto che stava sbagliando strada “Quest’inverno vado a Parigi. Sai quando ero in ospedale pensavo ai viaggi che avrei voluto fare perché ormai non potevo più cambiare il passato, ma potevo creare un futuro diverso” “Per farlo ci vogliono i soldi” “No, bisogna volerlo. Mi avevano detto che potevo camminare solo con la carrozzella. Invece l’anno scorso sono andato da solo a Madrid, quest’anno vado a Parigi, il prossimo anno voglio andare in Norvegia. Io ho imparato questo: soffrire è la benzina delle tue passioni. Ho sofferto tanto che non ho più paura di farmi male, non ho più paura di sbagliare. È come quando il fabbro martella il ferro caldo e tutte le impurezze, le debolezze del metallo vengono fuori e saltano via e resta solo il metallo duro e temprato. È questa consapevolezza che mi da la forza di fare cose che il mio fisico non giustifica. “ Vide l’ingresso dell’ospedale ed entrò di volata salutando la guardia.
UN VERO DOTTORE CURA ANCHE L’ANIMA - Invece di dirigersi verso il parcheggio, andò verso la parte posteriore dell’edificio parcheggiando dove si mettevano i furgoni che raccoglievano le lenzuola sporche. “Per favore prendi la cassetta e vienimi dietro” la ragazza sbuffando prese i Perrini e lo seguì. Sembrava che Bastianu conoscesse tutti i meandri dell’ospedale e la guidò attraverso corridoi e stanze vuote o colme di scrivanie e letti rotti. Arrivò ad un ascensore, e con un coltellino girò la chiave della pulsantiera chiamando l’ascensore. Salirono ad uno dei piani alti arrivando in un corridoio di servizio su cui si affacciavano diverse porte Bastianu si avventurò con prudenza fino ad una porta che dava sulle stanze del ricovero. Affacciò la testa guardando a destra e a sinistra. Vide una dottoressa che parlava con una donna in attesa. Alzo una mano e chiamò “Franca…” La donna si voltò e vedendolo fece una faccia sorpresa e felice. Gli andò incontro con le braccia allargate mentre si nascondevano nel corridoio dell’ascensore. “Bastiano, questa si che è una bella sorpresa.” Lo abbracciò baciandolo “Come stai gioia mia, è tanto che non ti fai vedere, e questa bella ragazza? Non l’hai portata per farmi ingelosire?” “Mi ha aiutato a portarti un regalo” E mostrò la cassetta con i limoni “I Perrini, che buoni… grazie era tantissimo che non ne vedevo. Mi è già venuta l’acquolina in bocca” “Franca lavora qui in ginecologia e gravidanza, è l’ostetrica più brava di Messina, ha fatto nascere non so quanti bambini.” Spiegò a Bettina e si girò subito verso l’ostetrica “Lei è Bettina, le piacciono molto i bambini. Perché non gliene fai vedere qualcuno?” “Non so se si può, ma aspetta, vieni, mettiti questo camice e seguimi. Bastiano aspettaci qui non passeresti inosservato “ La fece uscire nel grande corridoio e da li, tramite una porticina, entrarono in un piccolo corridoio laterale con una parete in vetro. “Guarda, questi sono gli ultimi nati. Quello laggiù è nato ieri pesa quasi quattro chili: un gigante! Quella li è nata questa mattina con un cesareo: aveva il cordone ombelicale intorno al collo.” Bettina guardava come se fosse di fronte ad una vetrina di gioielli e dovesse sceglierne uno. Non batteva neanche le palpebre tanto i suoi occhi erano impegnati ad osservare ogni dettaglio dei bambini. Le smorfie della bocca, le dita ringrinzite che si agitavano, i colli esili e le teste grosse, gli occhi chiusi e i capelli fini e sparsi, i nasini appena pronunciati e le orecchie piccole. I suoi occhi osservavano tutto e la sua bocca, ferma in un sorriso estatico, sembrava che neanche respirasse. Un bambino incominciò a strillare diventando rosso e allargando la bocca a dismisura. Un’infermiera lo prese in braccio e gli guardò il pannolino. Franca le fece cenno di avvicinarsi e lei lo portò vicino alla vetrata proprio davanti a Bettina pensandola una parente. Il piccolo si rasserenò e tornò a dormire. “Questo poverino è il più sfortunato. Sua mamma ha una situazione particolare e verrà dato in adozione” Bettina la guardò poi si voltò verso il bambino e l’osservò con maggiore attenzione, quasi attaccandosi al vetro. Un altro bambino incominciò a piangere e l’infermiera andò a vedere cosa avesse, ma Bettina restò lì a guardare il bambino messo nella culla. “Dobbiamo andare” Le disse Franca toccandole una spalla Lei si girò a guardarla come se la vedesse per la prima volta, poi lentamente si staccò dal vetro e la seguì da Bastiano. Ma restò come assorta nei suoi pensieri e mentre Bastiano salutava l’amica lei si mise di fronte all’ascensore dando loro le spalle. Quando Bastiano la raggiunse vide che stava piangendo.
OGNI TANTO, E’ INEVITABILE FARE GLI STRONZI - L’ascensore si aprì e lei entrò dando le spalle alla porta. Non si voltò ma disse rabbiosa “Si nu strunzu. Nu ranissimu figghiu i buttana. U sai chi i carusi mi fannu cianciri.” “Si sono stato stronzo, ma a volte dobbiamo esserlo. Sono stato il martello che batte il ferro per fargli uscire quella superficialità e irresponsabilità che ti porta a vivere la tua vita alla cieca, sentendoti come di doverti punire o punire tutto il mondo” Arrivarono nei sotterranei e lei usci velocemente, con la testa bassa, le braccia conserte e il passo veloce. Bastianu continuò “Quando conoscerai meglio Franca lei ti dirà che i ragazzi adottati cercano sempre i genitori biologici per capire perché li hanno lasciati, per capire chi sono. E quando tuo figlio ti verrà a cercare e ti chiederà chi sei, cosa hai fatto, cosa gli risponderai? Che hai sucato le minchie di tutta la costa ionica per punire te stessa e la tua famiglia?” Lei si girò nell’androne dove erano, pieno di scrivanie rotte, poltrone sfondate le mura sbrecciate piene di polvere e ragnatele e spazzatura sparsa ovunque e che sembrava essere la rappresentazione dell’anima sua “E allura ? sunnu cazzi mei! Gli dirò quello che gli dovrò dire! Che nessuno mi ha rispettato che nessuno merita di essere considerato. Ma a tia chi  minchia tinni futti? Cu si tu? Me patri? No e allura picchì mi rumpi puru tu i paddi” “Picchi jo era comi a tia. Come a te, vedevo solo il passato che non esiste più. Esiste solo il dolore che ci ha lasciato e se vuoi continuate a vivere, devi tornare a soffrire per cambiarlo.” Lei si voltò inviperita e tornò a dirigersi verso la macchina a passo veloce mentre lui la seguiva affannato con la sua andatura altalenante. “Echi aviria affari? Mio figlio l’ho perso e se come dici tu mi giudicherà capirà il male che mi banno fatto, non ho potuto avere lui, non potrò averne altri, sugnu n’abbiru siccu, n’acqua motta.” “Non è vero è per questo che ti ho portato qua, fra sei mesi c’è il bando per la scuola di ostetrica, se lo chiediamo a Franca, lei ti aiuterà a superarlo, starai sempre in mezzo ai bambini, non ne avrai uno, ma cento, mille, avrai uno scopo, vivrai quello che ami di più: l’amore, l’innocenza che hai perso. Pensaci. Sarà l’ultimo treno che potrai prendere per arrivare a quella serenità che altrimenti non avrai mai” Si fermò e si voltò a guardarlo come a pesare le sue parole, poi velenosamente gli gridò “Strunzati nun dici autru chi strunzati.” Si girò e se ne andò a passo veloce superando la sua macchina senza fermarsi. Lui gli gridò “Vai vai, tanto tu non sarai mai in pace con nessuno, ne con me, ne con i tuoi ziti della minchia, e mai, e ripeto mai, con te stessa” Poi sottovoce aggiunse “Picchì si na strunza” Scosse la testa e salì in macchina. Era incazzatissimo e durante il ritorno a casa non fece altro che dirsi che doveva farsi i cazzi suoi, perché se a quella piaceva fare a sucaminchia, doveva lasciarla fare! Arrivato a casa quando era già buio prese un bottiglione di limoncello da due litri e se ne andò in spiaggia a berlo con Filippo e u Cuttu.
LE MURA DI UNA STANZA DURANTE UN TEMPORALE -Per quattro giorni Bastianu non fece altro che andare in palestra, non tanto per bisogno di esercitarsi  ma solo per sfogare la sua rabbia sollevando pesi e sforzando i muscoli ricuciti delle gambe. Il quinto giorno quando tornò da aver fatto la spesa, mentre sistemava la frutta comprata, notò dalla finestra della cucina, che nel giardino c’era qualcuno sul dondolo. Lasciava sempre la porta del giardino aperta, così che i suoi vicini potevano prendersi qualche limone o le erbe aromatiche che teneva nel giardino, però nessuno si sedeva sul dondolo, così incuriosito uscì a vedere. Trovò Bettina sdraiata sul dondolo con il telefono in mano e con accanto due trolley e un sacco della spazzatura pieno di vestiti. La guardò sorpreso e rassegnato. “E ora, chi succidiu?” Lei lo vide e sorrise “Mi hanno buttato fuori di casa” Bastianu fece una faccia sconsolata e rassegnata “Manciasti?” Le chiese “Non ho fatto neanche colazione” “Vieni che cucino i broccoli” “Non mi piacciono i broccoli” “Ti arrangi: questo c’è” Rispose Bastiano seccato Entrarono in cucina e lui si mise a cucinare. Lei si sedette e vedendo un pane fresco ne staccò un pezzo incominciando a mangiare. “Allora, raccontami daccapo: cosa è successo.” “E’ che ci ho pensato. Ho pensato che forse quello che avevi detto poteva avere anche un senso e il giorno dopo sono andata di nuovo a parlare con Franca. Le ho chiesto se quello che avevi detto tu fosse possibile, se veramente potevo diventare ostetrica e far crescere tanti batuffoli rosei. Lei ha detto che se glielo avessi chiesto tu, ti avrebbe risposto di si che era possibile, perché tu hai una forza di volontà e determinazione incredibile. Se ho anch’io la stessa forza, potrebbe essere possibile, ha risposto. Mi ha fatto andare il giorno dopo come assistente volontaria per vedere se il lavoro mi sarebbe piaciuto.” “E ti è piaciuto?” “C’erano bambini bellissimi, guarda ho fatto le foto. Guarda questo che occhioni che ha” Fece mostrandogli il telefonino e guardando estasiata le foto “Poi è arrivata una famiglia di quelle particolari che hanno più parenti in galera che al camposanto e volevano vedere a tutti i costi un bambino. Hanno aggredito la caposala e sarebbe finita male. Allora mi sono messa di mezzo io e li ho spediti tutti fuori. Franca mi ha detto subito che mi avrebbe aiutato perché aveva bisogno di qualcuno che sapesse gestire le famiglie particolari. Mi ha fatto iscrivere a un’associazione di volontari, così che posso stare li in ospedale, aiutarli e imparare le cose più pratiche. Poi mi ha dato dei libri dicendomi di farmi aiutare da Simone, uno che ha appena superato il concorso.” “Ho capito, già immagino come ti aiuterà questo Simone! E’ anche lui romantico e rispettoso” “Che dici, Simone è ghei, non sai come lo prendono per il culo i dottori! Sono degli stronzi. Lui è un bravo ragazzo e gli piacciono i bambini come a me. Al mattino sono in corsia, al pomeriggio studio con lui. “Allora tutto a posto” “No, perché dove lavoravo prima, in tabaccheria, non potevo più andare e mi hanno licenziato. Siccome il padrone era anche il proprietario della casa dove stavo, mi ha mandato via. Allora mi sono ricordata che tu hai l’appartamento di sopra vuoto e magari io posso starci per un po' di tempo” “Studiando e senza fare cazzate?” “Senza fare cazzate!: giuro su mio figlio. Bastiano, io quel lavoro lo voglio! Quando sono in mezzo ai bambini non penso a tutto quello che è successo e mi sento non dico felice, ma almeno serena. Ti prego. “ Lui si voltò a guardarla, e lei continuò “Non puoi farmi la predica e poi tirarti indietro nel momento che voglio fare quello che mi dici” A quel punto lui si arrese “Va bhe, facciamo la prova: se fai una stronzata o se Franca si lamenta di te, ti butto fuori.” La vita di Bastianu cambiò improvvisamente. Al mattino lei passava da casa sua per un caffè e quindi correva a prendere la corriera per andare in ospedale. Il pomeriggio Bastianu leggeva libri di biologia o di medicina perché la sera lei tornava e mentre pranzavano Bettina, con il libro davanti gli faceva domande a cui lui all’inizio non sapeva rispondere. Sul tardi lei se ne andava a dormire al primo piano e lui la sentiva buttarsi sul letto e li restare immobile stanca e senza forze. Il giorno dopo era la stessa cosa e così il giorno dopo ancora. Quando arrivavano sabato e domenica, Bastianu non voleva sentire ragione e se ne andava in spiaggia. Bettina lo raggiungeva più tardi si metteva all’ombra e leggeva gli appunti chiedendogli spesso il significato di una parola o di una frase. Quando passò un suo cugino e sorpreso di vederla la salutò, lei non alzò neanche gli occhi dal libro e disse tutto di un fiato “Ciao, sto studiando per fare l’ostetrica, Bastiano mi ha dato in affitto la casa al primo piano, nun futtemu e nun semu ziti, di alla nonna che la saluto e che gli voglio bene e a tutti gli altri di non rompermi chiddi chi nun aiu.” Il risultato fu che il giorno dopo, e regolarmente tutti gli altri giorni successivi, al mattino qualcuno bussava alla porta di Bastianu e quando lui apriva si trovava di fronte uno dei tanti cugini più piccoli di Bettina che ripeteva cantilenando la solita frase “Me nonna Bettina ci manna stu paccu a me cugina a dottoressa e ci manna a diri chi ci voli beni, mi studia e mi fa cosi boni” Il pacco conteneva ora zucchine fresche, ora patate, uova, un pollo o un capretto a pezzi. Bettina quando lui glielo raccontò commento solo “Lo vedi, ora da Buttanissima sono diventata Dottoressa. La nonna mi ha perdonato” Bastiano capì che lei vedeva questa salita nella scala dei valori della nonna come una mezza vittoria. Purtroppo però, la vita non è mai in discesa. Una sera, una di quelle sere quando il vento gonfiava il mare e piegava gli alberi, mentre una pioggia intensa e fredda schiaffeggiava i tetti delle case e le strade nere e viscide, Bettina tornò con una faccia scura e cupa. Bastianu le mise davanti un piatto di linguine con le cozze che avrebbe resuscitato un morto. Ma lei con la forchetta allargò la pasta nel piatto e non ne assaggiò un filo “Chi succidiu?” Chiese Bastianu stupito dall’assenza di appetito “Oggi Simone mi ha fatto fare una prova con le domande del bando” “Eh allora? “ “le ho sbagliate tutte. Simone si è incazzato. Dice che studio tutto a memoria senza voler capire. Si è proprio incazzato” “Va bhè era la prima volta….” “Si ma le ho sbagliate tutte. Sono andata nel panico e non ho capito più niente “ “Ecco vedi, c’è un motivo, la prossima volta…” “Non ci sarà una prossima volta, sono un incapace, chi voglio illudere? Scecca ero a scuola scecca sugnu, nun si cava acqua i na petra” Si alzò e se ne salì in silenzio a casa sua. Lui lasciò cadere la forchetta nel piatto e la guardò. Poi si alzo, prese una bottiglia di fuoco dell’Etna, quello che aveva novanta gradi, e se ne versò un buon bicchiere, uscendo nel giardino e sedendosi sul dondolo. Lo bevve a piccoli sorsi osservando la finestra illuminata della camera da letto di lei. Dopo un ora che era seduto sul dondolo, la finestra diventò buia e lui, finendo il liquore d’un fiato se ne andò a dormire, senza neanche sparecchiare la tavola. Era in un dormi veglia oscuro ed inquieto, dove si sentiva sveglio ma vedeva strane persone con la testa da scarafaggio mentre camminava su un’impalcatura fitta di tubi da dove, dai livelli più alti, gocciolava sangue. Qualcuno bussò alla porta. Cercò sull’impalcatura la porta poi alla fine capì che era quella di casa, così si svegliò, si alzò ed andò ad aprire. Era Bettina, avvolta in una coperta che senza dire una parola entrò ed andò dritta in camera da letto dove lui la trovò nel letto, in posizione fetale nascosta sotto lenzuola e coperte. “Allura?” Chiese Bastianu “Non riesco a dormire … il vento … il vento è lo stesso di quando ho partorito … porta disgrazie … ho paura. Stringimi per favore … stringimi.” Lui tirò un sospiro e lentamente con le stampelle, passò dall’altro lato del letto e si sedette. Con le mani alzò le gambe mettendole sotto le lenzuola. Spense la luce e lentamente si avvicinò a lei, stringendola a se. Incominciò a carezzarle i capelli “Quando ero in ospedale ad un certo punto volevo lasciar perdere. Dissi al fisioterapista che non ce la facevo più, di lasciarmi stare. Mi sarei rassegnato a camminare sulla carrozzella. “hai ragione” mi disse. “È più facile cosi. Ma renditi conto che se vuoi prendere la vita solo in discesa, resterai un handicappato. Un menomato. Ma non perché andrai sulla sedia a rotelle. No, chi va sulle sedie a rotelle ha una sua dignità. No. Sarai un handicappato perché avrai rinunciato ai tuoi sogni, a tutto quello che su questo letto hai sperato, desiderato, immaginato. Perché il vero handicappato è chi ha rinunciato, chi ha posto davanti ai suoi sogni, a quello che ha sempre desiderato, la comodità, la sua paura di soffrire, il suo rassegnarsi per piegarsi come tutti al vento che soffia. A volte ha più senso spezzarsi nel tentativo, che piegarsi e allinearsi a quello che tutti gli altri immaginano debba essere il senso della vita di ognuno. Se non hai il coraggio di ribellarti al tuo destino allora sei giustificato, sei uno dei tanti, qualcuno che non ha dato a se stesso il posto che meritava.” Io allora pensai al mio dolore. Lo immaginai brillante e tagliente come bicchiere di cristallo, immaginai di prenderlo in mano e di buttarlo per terra rompendolo in mille pezzi. Da allora non ho più sentito dolore, o meglio lo sento, ma non lo ascolto, non lo considero, non gli do modo di decidere per me.   Tu non sei diversa. Per anni hai avuto solo rabbia, ora hai modo di usare la tua rabbia per costruire qualcosa. Non sarai più la madre di un figlio perduto ma la madre di mille piccoli neonati, ognuno dei quali avrà un pezzo d’amore che a lui non hai potuto dare. E se ci pensi, non è una consolazione, non è un modo per cancellare quanto è successo. Havryil ti ha chiesto di dargli qualcosa e tu gliela hai data, ma loro non possono chiedere, dovranno fare affidamento solo sul tuo amore, sul tuo bisogno di amarli. Oggi è stato solo un incidente di percorso, un segnale che devi dare di più, che devi soffrire di più per raggiungere quello che desideri, perché la sofferenza è il metro con cui si misura la felicità. Noi due siamo uguali: non ci importa di soffrire pur di raggiungere quello che riteniamo sia un diritto della nostra vita.” Lei non rispose e lui pensò che dormisse. Cercò di levare la mano con cui le circondava i fianchi e la pancia, ma lei mugolò qualcosa e con le sue braccia strinse il suo braccio, perché lui non la lasciasse. Nel buio che li avvolgeva come una fredda coperta, pensò che non sarebbe riuscito a dormire in quella posizione scomoda, con tutti quei capelli che lo solleticavano. Sentì la pioggia battere contro i vetri delle finestra e il vento che le aveva portato via il figlio premere contro le mura ella stanza, ma lui le disse in cuor suo, che quel vento maligno non sarebbe passato, non l’avrebbe raggiunta. Lui l’avrebbe protetta. Pensando questo, dopo pochi secondi, si addormentò.
DOMANI…- Aveva sentito la sua sveglia suonare ma si ricordò che era sabato e lei non doveva andate all’ospedale, così si lascio sprofondare nel sonno, rifiutandosi di aprire gli occhi. Passò del tempo di cui non ebbe coscienza, finché sentì che qualcosa lo stava accarezzando. Senti un sussurro, una voce sottile, come lo sciacquio delle onde sul bagnasciuga. “Bastià – faceva – Bastià, rusbigghiti” Aprì gli occhi, ma era buio e vedeva poco e niente. “Bastià, rusbigghiti” Si ricordo che si era addormentato con lei e che forse lo chiamava perché aveva portato il caffè. Aprì di più gli occhi e vide i suoi, due stelle nere luminose, e la sua bocca, rossa, piccola, desiderabile come una ciliegia di maggio, velenosa, come il fiore rosa dell’oleandro. “Chi c’è ?” Chiese la sua bocca a quella di lei “Bastià, ho voglia” Le  rispose quella bocca che era l’unica luce che vedeva “Voglia di chi?” “Ho voglia” E la mano di lei gli disse di che cosa, toccandolo dove ancora dormiva Lui la guardò stupito “Ma …” Cercò di obiettare la sua bocca perché gli sembrava strano quella voglia di che poteva essere suo padre, un padre malmesso e debole. Forse doveva discuterne, ma la bocca di lei gli bloccò il ragionamento, glielo divorò, e la sua lingua, glielo porto via ogni obiezione, come il vento caldo d’agosto ruba i fiori ai gelsomini. E le restituì il bacio, con la stessa intensità perché ora aveva sete di lei, voleva conoscerla in ogni sua parte e la sdraiò sulla schiena e la baciò sul collo e nell’incavo delle spalle stringendole il seno, spremendolo per fargli uscire il succo profumato del piacere. Lei si muoveva cercandolo con il grembo e quando si trovarono e lui incominciava ad amarla lei gli prese una mano e la portò a stringerle il collo “Picchiami, chiamami troia – disse e dentro se pensò – chiamami troia, fammi sentire il nulla che sono, godi della mia umiliazione, fammi sentire un animale, una cosa giustificata solo dal tuo piacere” lui la guardò stupito “Finiscila i giucare” le disse levando la sua mano dal collo e baciandola dove le sue dita avevano lasciato un segno rosso” “Finiscila i giucari – ripeté l’anima di lui – non sono uno dei tanti, non sei per me una qualunque, sei l’innocenza che ho perso, la sofferenza che ho vissuto, il dolore che fino ad oggi mi ha nutrito, il piacere che mi dai, il desiderio che sazi, il domani che rappresenti” “Finiscila di giocare, - ripeté lei dentro di se – vuol dire che quello che dava piacere a quei porci dei miei ziti, non ha più senso, è un gioco per bambini, una ridicola farsa, che non ha motivo o senso e  che con me vuole fare qualcosa di vero, di importante perché e questo quello che io sono per lui, perché lui, contrariamente a tutte quelle inutili ombre, a quei pupi senza anima e cuore che ho conosciuto, lui mi ama, mi vuole per come sono, mi chiede di essere quello che sono.” Allora lo strinse con le braccia e le sue gambe si attorcigliarono alle sue malate e piene di cicatrici, alla sua debolezza, così che la loro pelle fosse una unica cosa, come la loro saliva, il battito dei loro cuori e la loro carne, ed infine salì su di lui perché voleva dargli in dono tutto quello che i suoi amanti le avevano insegnato e si mise a danzare, a ondeggiare a oscillare su di lui come la fiamma di un falò che nella notte brucia le cui fiamme si innalzano al cielo muovendosi come lei faceva sul suo corpo con cui era una unica carne.  Lei lo sentiva come il vento che quel fuoco accarezzava, alimentava, ingrandiva e la seguiva nel suo bruciare, finche le loro anime esplosero, annullandosi nella cenere che erano diventate, morendo l’uno nell’altra, sfinendosi esausti e sazi, dissolvendosi nei loro corpi come fa una candida nuvola nell’azzurro intenso del cielo. Vi fu un lungo silenzio, per farli rinascere e rivivere “Ti è piaciuto? Sono stata brava?” “Si” Rispose brevemente “Perché noi mi hai chiamato troia quando te lo chiedevo” “Perché non lo sei” “Per gli altri lo sono. Non ti piaceva?” “A te piaceva?” “A me … una volta si … mi intrigava dentro  … mi faceva godere di più. Ora non so, ora è tutto diverso” Si fermò disorientata come se stesse dicendo troppo “Ma io non sono così” aggiunse velocemente impaurita dall’aver mostrato qualcosa di brutto, di aver detto per sbaglio qualcosa di intimamente suo e vergognandosi di pensare questo perché sentiva che lui, a differenza di tutti gli altri, quel suo mostrarsi per com’era, in fondo lo meritava. Continuò quasi dicendolo a se stessa – Non sono una troia; è  solo un gioco come hai detto tu non penserai  …” “Non penso nulla. – le diede un bacio sulla fronte – Per me non hai un passato. Sei solo Bettina. Quello che dicono o vedono in te gli altri non mi interessa, perché io so di te quello che gli altri non vedono e che non sapranno mai.” L’osservò stupita, poi girò lentamente lo sguardo nella penombra della stanza quasi spaventata dalla verità che le aveva detto, infine tornò a guardarlo “Tu sei … forte. Riesci a portare su di te tuti i miei sbagli” “Dici? Quando qualcuno ci piace accettiamo tutto quello che è, anche quello che non avrebbe senso” E sorrise Lei ci pensò per quasi un minuto, poi decise di uscire allo scoperto “Questo lo chiamano amore” “Non lo so come lo chiamano. So che adesso è cosi. Deve essere così. Domani magari, invece di accettare tutto, odierò tutto” Lei lo guardò negli occhi e lui continuò “E questo dipenderà da te, da me, da noi” Lei sorrise e il suo sorriso illuminò la penombra “Hai detto … Noi. Vuol dire … che siamo una sola cosa, vuol dire che mi vuoi bene” “Può essere, ma stare insieme una notte non è amore. È solo un inizio” “Io di inizi ne ho avuti tanti, troppi.” Commentò amara, appoggiando la testa sul suo petto. Lui mise le mani tra i suoi capelli accarezzandole la testa “Non ha importanza quanti sono stati gli inizi. Dai senso ad una frase a seconda di dove metti il punto. Se lo metti troppo presto o troppo tardi la frase non ha senso.” “E se non lo metto?” “Vuol dire che quella frase diventa la tua vita” Sorrise ancora e si strinse a lui. Vi fu un silenzio che per i loro pensieri fu come la primavera per i fiori “Ti piace la pasta con la mollica?” “Ti vuoi mettere a cucinare?  Da quando ti conosco non hai toccato una padella neanche per sbaglio” “Voglio fare per te qualcosa che non ho mai fatto per gli altri. La pasta con la mollica mi riesce bene. È l’unica cosa che so fare” “E per ostetricia?” “È stata la prima prova, non vuol dire niente. Non ho più paura, ci riuscirò. Con te accanto ci riuscirò, avrò mille piccoli neonati da far nascere, ognuno avrà il sorriso di mio figlio e quando lui mi cercherà gli dirò che ha mille, diecimila fratelli, tutti figli miei” Si strinse ancora a lui, con la testa sul suo petto chiuse gli occhi e continuò “Sai qual è la parola più bella dopo amore” “Scopare?” Fece lui ridendo “No, scemo, è “domani”! Domani tu sarai ancora qui, domani faremo all’amore, domani farò un nuovo test, domani vincerò il bando, domani sarò ostetrica, farò nascere tanti batufoli rosa, domani vedrò mio figlio …. Domani È una parola bellissima, che adesso per me ha un senso. Una parola dove ci siamo tutti e due.”
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francobollito · 4 months
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~ Questa è una storia che, per quanto vera,
non parte con “Una volta c’era”,
ma inizia invece a narrar del fatto con
“Una volta non c’era affatto”,
Perché all’inizio del tempo antico,
quando vestiva foglie di fico
o pelli, quando poteva averne,
l’uomo viveva nelle caverne
e come un bruto si comportava,
menando tutti con la sua clava,
portando infine questo abominio
nelle riunioni di condominio,
così che tutti, ladri ed onesti
si ritrovavan con gli occhi pesti:
ecco, a quel tempo, un tempo infame,
su questa terra non c’era il pane.
C’era però fra le piante incolte,
che non venivano mai raccolte,
un arboscello dal fusto in riga
che terminava con una spiga,
che nasce d’inverno, sotto la neve,
ma poi diventa, per farla breve,
frutto maturo, per la sua natura
a inizio d’estate, nella calura.
Ci fu qualcuno, chissà chi è stato,
stufo di pranzi da disgraziato,
un tipo sveglio, con gli occhi acuti,
fra quegli uomini tutti barbuti
e donne tristi come epitaffi,
fra cui più d’una aveva i baffi,
che, dando prova del suo talento,
disse “Orca vacca, questo è frumento!”
Quell’uomo rifece, fiutando a naso,
ciò che natura affidava al caso:
arò, zappò, preparò una serra,
prese quei semi e li mise in terra
e faticò fino a che il sedere,
che ha una forma sua di paniere,
cioè rotondo, gli si fece a cubo,
mentre chi invece non faceva un tubo
lo derideva per la sua fatica
con frasi pungenti come l’ortica
e criticava quel farsi il mazzo
come lo stupido critica il pazzo,
quello che fa cose nuove o strane,
come chi ha i denti e vuole il pane,
ma porta il mondo allo stato in cui
o prima o dopo, ha ragione lui.
Così, un bel giorno, non dopo molto,
ci fu alla fine un bel raccolto
di chicchi biondi, gialli come il sole:
tutti dicevano “Ma chi li vuole…!?
Che ci facciamo con questi chicchi?”
E, per disprezzo, davan dei picchi
sopra quel frutto della fatica
e quegli idioti non sapevan mica,
così facendo, di dare l’avvio,
al mal concetto del tuo e del mio,
che già in quel tempo così lontano
c’era l’invidia per chi fa il grano…
L’uomo tornò dopo il disastro
e dato ch’era proprio un furbastro
vide che il frutto del batti e batti
non era cosa d’andar nei matti
ma era una polvere bianca e leggera
con un profumo di primavera
e quando vide la polverina
disse “Orca vacca, questa è farina!”
Si sa, la strada quando s’è presa
dal verso giusto, corre in discesa:
l’uomo di genio si guardò intorno
e in un momento t’inventò il forno,
anche se dopo quella creazione,
dovette chiedersene la ragione:
“Va bè’, t’ho fatto, ora che nervi…
adesso che esisti, a cosa servi?”
Per un momento restò perplesso
ma poi quell’uomo disse a sé stesso
“Lo scoprirò, ma mentre attendo,
io quasi quasi ora lo accendo…”
La sua tribù lo prendeva in giro,
mentre vedevano che col respiro
soffiava dentro a quel nuovo gioco
per attizzare le fiamme al fuoco:
“Cosa combina, ma che cosa fa,
che soffia dentro a quel “coso” là?
Se c’era un dubbio, sembra che adesso
sia confermato: è proprio un fesso!”
Venne dal mare un temporale,
con lampi, tuoni, pioggia infernale.
Per non bagnarsi, scapparon certo
in una grotta tutti al coperto.
Scappò anche l’uomo che lavorava
vicino al fuoco che scoppiettava:
“Di un raffreddore ne faccio a meno
forse son pazzo, ma non son scemo!”
Quando tornò con l’arcobaleno
che attraversava un cielo sereno,
vide che l’acqua ch’era cascata
dal cielo scuro s’era mischiata
fortuna volle, quanto ne basta,
con la farina fuori rimasta,
in un miscuglio che, tira e molla,
più che una pasta sembrava colla.
Forse un’idea non spaccherà un capello,
ma come un lampo taglia il cervello
in un istante, da cima a fondo,
ed è un istante che cambia il mondo.
A quella pasta, quel pensiero astratto,
lui diede forma di un disco piatto
e lo infilò, con un gesto attento,
nel forno acceso che non s’era spento.
Passò del tempo, ma nemmeno tanto
cuoceva il tutto e lui ci stava accanto
bello tranquillo, pur senza sapere,
che prima era un uomo, ora un panettiere.
Ne uscì un profumo che arrivò lassù
dove viveva l’intera sua tribù
che spinta dal richiamo dell’olfatto
venne a vedere ciò che aveva fatto:
vennero giù coi denti preparati
come di solito fanno gli affamati
per controllare se quel buon odore
fosse abbinato con un buon sapore.
Quando c’è fame non ci si fa caso
però c’è sempre quel che storce il naso:
“E’ buono sì, però ci sembra un muro
l’ha appena fatto ed ecco che è già duro!”
Quel panettiere senza una licenza,
che allora ancora si faceva senza,
che però aveva tutti gli attributi
che gli giravano, disse: “Cornuti!”,
disse: “Di fisime ne avete tante,
che non è duro…solo un po’ croccante!
Frenate dunque la vostra stizza,
che volevate, fosse già una pizza?
Migliorerò questo mio prodotto
che sia ben morbido quando sia cotto
e infine, quando sarà sul desco,
più sarà caldo più sarà fresco:
dirà in un modo che val per tutti,
per alti e bassi, per belli e brutti,
in un concetto nobile e arcano
che il pane nostro sia quotidiano,
dirà alla luce di un’altra fame
che non si vive di solo pane
e verrà un tempo, molto vicino,
di pane al pane, di vino al vino,
e per gli uomini crudi e violenti
ci sarà pane per i loro denti,
sarà così che, piaccia o non piaccia,
gli sarà reso pan per focaccia.
Chi vede un fatto ben più scontato,
che può esser zuppa o pan bagnato,
mangi in silenzio le pagnotte gialle
e non stia lì a rompere le palle!”
Ecco la storia, forse sarà vera
soltanto in parte, oppure tutta intera,
perché fra tanti “C’era una volta…”
è il risultato quello che conta.
Da quell’arbusto col fusto in riga
che sale al cielo con una spiga,
da un uomo preso nel suo lavoro
nasce quel piccolo capolavoro:
in un bisticcio fra estate e inverno
cotto in un forno che par l’inferno,
farina, acqua, lievito e strutto,
si chiama pane e questo è tutto. ~
G. Faletti
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maddavvero · 1 year
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Real Fabbrica d’armi Torre Annunziata
 Nel 1758 Carlo III di Borbone decretò l’istituzione della Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata nei pressi della Real Polveriera e divenne la più importante fabbrica per la fornitura militare di armi bianche e da fuoco di tutto il Regno delle Due Sicilie.
L’attività della fabbrica iniziò nel 1761 e di lì a breve venne fondata a Torre anche la Fonderia o Ferriera ubicata nei pressi de castello dei d’Alagno poco distante dal mare. Dalla Real Fabbrica d’Armi di Torre dipendevano gli stabilimenti di Lancusi dove si fabbricavano lame per sciabole e baionette. Gli altri opifici militari come quelli della Mongiana in Calabria, di Poggioreale e la Real Montatura di Napoli erano tutti uniti da una collaborazione produttiva gestita principalmente dalla struttura di Torre. Della qualità produttiva locale fu testimoniata dalla stampa e dai documenti dell’epoca, che annotano sistematicamente modifiche apportate ad alcune armi di origine francesi e belga conferendo ad esse uno stile “napoletano” le cui soluzioni tecniche furono molto apprezzate in tutta Europa.
La testimonianza storica di questa attività è tuttavia oggi attualmente custodita nella Sala d’Armi sita nell’antico edificio della Real Fabbrica d’Armi . Sono circa 70 le armi da fuoco lunghe conservate tra cui pregiati fucili Vetterli, Martin Rumeno, Doersh-Bauwgatten e Mauser 71, oltre a pistole, sciabole, daghe, baionette e pannelli d’indiscusso valore didattico raffiguranti i diversi stadi di lavorazione delle armi e relativi strumenti di lavoro e attrezzi di verifica-funzionalità. La Real Fabbrica d’Armi di Torre Annunziata, che in seguito assunse il nome di “Spolettificio” subì negli anni successivi, varie trasformazioni produttive. Dal 1947 a pochi anni fa si producevano a Torre Annunziata, oltre alle spolette ed artifizi vari, bombe a mano tipo SRCM mod.35 .
Un progressivo ed inarrestabile smantellamento operativo e cognitivo oggi ha ridimensionato e azzerato del tutto l’utilizzo di tale struttura, relegandola ad una semplice officina di recupero e riparazione di mezzi di trasporto militare. Degli “ingegni” tecnologici che ne erano pieni i vetusti locali, manco più l’ombra, il tutto è stato rimosso. Sono rimasti solo i locali dell’antica struttura architettonica, che sperando in una sana politica di recupero, vengano utilizzati, almeno intelligentemente, in Museo permanente degli Ori di Oplonti. Nel pieno dell’emergenza covid, i locali dello stabile furono utilizzati per la produzione delle mascherine.
Da oggi inizia un altro capitolo per la storia di questo importante polo napoletano che persegue l’obiettivo di realizzare un innovativo sistema storico-archeologico-ambientale nel centro storico di Torre Annunziata. L’accordo siglato, infatti, prevede di annettere al Sito archeologico di Oplonti alcune porzioni dello Spolettificio non più utili alle attività amministrative del Ministero della Difesa. Negli edifici dello Stabilimento prenderanno vita nuovi spazi: alcuni destinati ai servizi culturali, una scuola di restauro, ampi depositi per i rinvenimenti archeologici, sale espositive e nuove aree per le attività ricettive e di promozione locale.
Per migliorare la viabilità cittadina, inoltre, saranno incentivati gli interventi di mobilità sostenibile. Nello specifico sarà realizzato un nuovo collegamento pedonale fra il Rione Provolera ed il Rione Murattiano attraverso il sottopasso che taglia longitudinalmente lo stabilimento militare, agevolando il percorso che porta i cittadini verso i diversi edifici scolastici collocati sul territorio.
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qu4lc0s41ncu1cr3d3r3 · 7 months
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Quando ci sarà il silenzio allora parlami
Se non sapremo che dirci allora guardami
Quando il mondo cadrà a pezzi allora salvami
Quando perderò il controllo allora calmami
E se la vita è solo un gioco non ci so giocare
In testa ho ricordi sbiaditi come foto al mare
Nel cuore piovono meteore, non è un temporale
Casa mia sembra un manicomio ed io non ci so stare
E penso alle cose sbagliate solo per non dirle
Poi capisco cos'è sbagliato ma per non sentirle
A volte mentiamo a noi stessi solo per pigrizia
È sempre il punto della fine dove tutto inizia
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nonhovogliadiniente · 9 months
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Volevo dirti che non devi chiuderti al mondo, che ogni tempesta si placa e il sole arriva. Ti stai costruendo un muro attorno e non lasci entrare nessuno, nemmeno me. Non so più in che modo parlarti, non so cosa fare o cosa dire, mi sento sempre come se stessi camminando sulle mine in un campo da guerra. E attenzione, non me ne faccio un problema o un peso perché per te affronterei qualsiasi guerra, ma mi rende molto triste perche sento che anche se facessi di più non basterebbe.
Tu sei il mio posto sicuro e vorrei fosse lo stesso per te. Voglio che quando non hai voglia di vedere o sentire nessuno non includa me. Voglio che quando hai bisogno di un abbraccio cerchi le mie braccia. Voglio che quando hai bisogno di piangere fino allo sfinimento lo fai tra le mie braccia. Voglio che quando sei triste chiami me. Voglio che quando sei felice , lo sei con me. E lo so, è egoistico volere tutto ciò, ma sono così egoisticamente innamorata di te.
Io so che stai soffrendo, so che non ti senti viva e so come stai e vorrei fare qualcosa per aiutarti ma non lo permetti. Vorrei farti sentire viva nello stesso modo in cui ti ha fatto sentire viva lui. Un giorno mi hai detto “è la versione maschile di te” ed in quel momento non ho potuto fare a meno di credere che io e te in un altra vita saremmo state perfette insieme. Avrei potuto darti tutto il mio amore anche in questa vita ma non si può e quindi piano piano sto cercando di lasciar andare via tutto questo amore , inizia a starmi stretto e a consumarmi.
Tutto questo per dirti che ritornerai a stare bene e troverai la persona giusta per te, che non finisce il mondo se una storia non può esistere. Ci cambia come persona, ci rende forti, ci lascia un segno profondo ma ci rende ciò che siamo e saremo. Troverai qualcuno che ti farà sentire viva allo stesso modo.
E mi dirai che ci stai provando ma tu non ci stai provando stai solo soffocando il dolore. Dolore che è dovuto a tanti motivi, dolore che ti sta chiudendo e consumando. Non lasciare che il dolore chiuda tutte le porte , non lasciare che ti cambi e ti rende ciò che non sei. Sei più di tutto questo.
Permettimi di aiutarti, e non lo so in che modo ma voglio provarci , voglio abbattere tutti i muri . Proviamoci insieme , prendimi la mano e non mollarla perche insieme possiamo attraversare questa tempesta di emozioni che stai provando.
Sarò paziente, presente e ti ascolterò sempre.
Prometto di tirarti su il morale sempre o almeno di provarci. Prometto che non faremo mai a meno delle serate passate in macchina a camminare senza una meta e cantando le nostre canzoni. Prometto di abbracciarti sempre perché li e’ dove mi sento più a casa, tra le tue braccia. Prometto di non fare mai a meno dei nostri discorsi sciocchi. Prometto di portarti sempre al mare a vedere le onde quando ne hai bisogno.
Prometto che un giorno faremo quel viaggio insieme. Prometto che riuscirò a portarti su una moto con me. Prometto che un giorno prenderò casa e ti porterò via con me. Prometto di creare una casa nostra, dove tu possa essere sempre te stessa. Prometto che prenderemo un cane. Prometto che cucineremo crêpes almeno due volte a settimana. Prometto di non rovinare più la carbonara a meno che tu mi prometta che mi cucinerai sempre quella buonissima pasta che fai tu. Prometto di creare un ambiente pieno d’amore, tranquillità e serenità.
Tu sei la persona più importante per me e farei qualsiasi cosa per te quindi aggrappati a me, lasciami essere il tuo salvagente.
E ricorda,amore mio,che dietro le nuvole il cielo è sempre azzurro!
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