Tumgik
#credo sia stata colpa di un bastone
omarfor-orchestra · 8 months
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Comunque primo livido ottenuto altro che lacrime io appendo i lividi come medaglie
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m-carefulwithmysoul · 5 years
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30.06.2019
Sono la persona più forte che io conosca. Continuo a ripetermelo guardandomi allo specchio quando situazioni come queste succedono, sono la mia roccia. Devo esserlo. Mi guardo e vedo riflessa la me bambina a cui è stata insegnata l'umiltà e l'arte del nascondere, e mi chiedo come abbia fatto il tempo a passare così in fretta. Ho iniziato a scrivere questo post due giorni fa, quando lui mi ha minacciato. Mi sono bloccata due frasi dopo, non avevo tempo di piangermi addosso. Lo continuo oggi perchè oggi è stata lei a minacciarmi, lui con il braccio contro, lei con il bastone della scopa e tirandomi oggetti contro, per il semplice fatto di averle detto di non urlare, e di risolversi i suoi problemi con la persona in questione. Sono così forte da resistere a tutto, e non mi tiro indietro davanti a nulla. Che sia un muscolo puntato contro la mia faccia o un bastone a colpirmi, che lo facciano, che lo facciano pure. Ormai ho un’elasticità mentale per queste cose che va oltre, ho imparato a controllare le lacrime per non farle scendere quando succede, ho imparato a mostrarmi sempre pronta e con le spalle larghe, pronte a prenderne di ogni. La verità è che sono stanca, stanca di vivere fra questa violenza e quest’odio che continua e continua e non cessa mai fra queste quattro mura, quattro persone diverse che vivono nella stessa casa solo perchè altro posto per andare non c’è. Non mi interessa se mi chiamano “grassa” o il suo preferito “pall’e nzogn” (palla di lardo). Ormai ci sono abituata, non mi fa effetto, lo so già di mio di essere grassa. Le sue parole che derivano dall’odio verso di me e verso questa terra, alla quale è incatenata secondo lei per colpa mia. Non ho chiesto io di nascere, non ho chiesto di essere riportata qui a 8 anni e non ho mai chiesto a nessuno dei due di fare i genitori, mi sono sempre bastata. L’educazione e l’umiltà che credo di avere me li ha insegnati la mia nonna, ed è solo lei che devo ringraziare per questo petto di ferro che mi ritrovo. Posso ringraziare solo lei perchè mi ha insegnato che posso superare tutto, che devo stare tranquilla qualsiasi cosa accada. In fondo cosa puoi dire a una bambina di quattro anni che vede portaceneri di cristallo volare sopra la sua testa? O che le vengono tirati i capelli per essere andata a salutare? O a una bambina di sette anni che trascina il fratello in terra perche ha le mani intorno al collo della madre? Che finirà tutto. Solo quello puoi dirle, mentre la guardi crescere impegnata a nascondere, a non raccontare, a fingere, a fare silenzio. Le insegni che se vuole farsi degli amici l’apparenza è la cosa più importante là fuori, cosa che all’ora non capivo, mi sembrava superficiale, mi ricordo che le chiesi se davvero preferisse andare dal parrucchiere anzichè comprare il pane, e mi rispose che in queste situazioni era la cosa più importante. E lo capisco solo ora che aveva davvero ragione. Se l’avessi capito prima forse ora un po’ di forza in più l’avrei avuta (non è abbastanza?). Non so cosa darei per darti un’altro abbraccio nonna, tornare piccola piccola e sedermi sulla mia mattonella, che poi era solo un mattoncino del camino, di sedermi di nuovo sulla sedia che mi aveva costruito nonno o di rientrare dentro la casetta che aveva costruito tutta per me. Vorrei tornare a quando mi stavi aiutando a studiare la tabellina del due davanti al camino, o a quando giocavamo con la rana di plastica. Mi hai insegnato che ci vuole davvero poco per essere felice nonna, ma sento di non riuscirci più veramente. Ho paura di continuare a crescere e ritrovarmi senza tutto quello in cui credevi tu. Ho paura del mondo senza di te nonna, mi ha spaventato 11 anni e mi spaventa ora, il giorno prima del quinto anniversario della tua morte. Quanto tempo è passato e quanto sono cresciuta. Sono sicura che saresti fiera della persona che sono diventata, ti assomiglio in tante cose. Mi manca giocare a carte con te che mi lasciavi vincere sempre, mi manca bere il thè con te nelle serate fredde. Lo sai nonna, lo prendo ancora il thè. Ho iniziato ad avere una piccola collezione e so che ti piacerebbe un sacco vederla, ma il tuo thè col limone saprà sempre di te e di infanzia. Era bello aspettare e vedere se qualcuno veniva a casa a prendere il thè con noi, mi piaceva ogni giorno non sapere se dovesse arrivare qualcuno, zii e amici, alle 5 puntuali. Mi manca stare in cucina davanti al fuoco, mi manca vedere nonno aggiustarlo. Mi manca stare nel loggiato d’estate al fresco a guardare reazione a catena, mi faceva ridere provare a indovinare le parole con te. Mi mancano i natali tutti insieme, fare l’albero grande grande e cenare tutti insieme, tanto da dover unire due tavoli e uno più piccolo per farci stare tutti. Mi manca sentire lo spirito natalizio, adesso non è niente di più di una tovaglia rossa con piatti di plastica, mentre mangio cose che non mi vanno con persone che mi mettono di mal umore. Mi manca fare i disegni con te, mi manca andare dal dottore e poi tornare a flumini quando era già buio, mi piaceva un sacco stare in macchina con voi. Mi è rimasto anche questo, lo sai? Mi piace ancora tanto stare su strada, fare viaggi lunghi in macchina o in pullman, mi rilassa ancora. Mi manca quando mi cantavi “carissimo chicocchio”, perchè pinocchio non mi piaceva. Mi manca quando prima di dormire mi cantavi la nostra canzoncina un po’ stupida che mi faceva ridere, non so cosa darei per sentirla ancora una volta. Mi manca quando mi prendevi in braccio anche se ti faceva male la schiena e mi cantavi tutte queste canzoni e quando cantavi “amore mio non piangere, che non ti lascio sola. Ti lascio alla tua mamma, che tanto ti consola...” mi veniva sempre da piangere e ti dicevo che non volevo che me la cantassi, e ora ho capito perchè mi faceva piangere, lo stesso motivo per cui piango ora. Perchè non ci sei più. Mi faceva così male all’ora l’idea che tu potessi lasciarmi in quella situazione da sola che mi veniva già da piangere. Ora ci sono immersa in questa situazione da 5 anni nonnina, e me la cavo come meglio posso. Penso alle passeggiate al mare che facevamo di mattina con zio Lino e zia Elena, al mio pozzo alla fine della spiaggia dove trovavo i granchietti. Penso a quando mi facevi ascoltare da tutti mentre cantavo “o mare nero” da piccolissima quando attraversavamo quel pezzetto con le alghe. Mi ricordo che avevo sempre sonno quando andavamo al mare, mi svegliavi sempre alle 7 per arrivare presto e tornare a casa all’ora di pranzo. Adesso sono io quella sempre di fretta, lo sai nonna? Non sono più ritardataria come una volta, adesso sono sempre puntuale. Adesso esco sempre presto, sono io quella che vuole fare le cose da prestissimo. Credo che anche questo me l’abbia passato tu. Mi torna in mente quando per carnevale mi avevi cucito interamente tu il vestito da strega che tanto volevo. Eri una sarta ed eri bravissima, avevi preso le misure e comprato la stoffa, avevi cucito uno spettacolo con pazienza e dedizione. Mi dispiace che negli ultimi anni mi abbia sentito più distante nonna, vorrei poterti dire che non era colpa mia, che ho dovuto, nonna ti giuro ho dovuto diventare fredda da quando sono tornata qui, altrimenti non sarei riuscita a sopravvivere come la persona sensibile che ero e che cerco ancora di nascondere. Ci sono un milione di cose che vorrei dirti e che vorrei farti vedere. Quando mi hanno dato la scatola con le tue cose sono scoppiata a piangere, ho visto il tuo anello e i buoni fruttiferi che mi hai lasciato. La tua scrittura e la scritta dove hai compilato “Miriam Orrù, in qualità di: nonna” mi ha fatto scoppiare a piangere. So già che quei soldi mi serviranno per scappare da qui, ma come posso nonna? Come posso col peso di altre tre persone che se non ci fossi io in casa non saprebbero come andare avanti se non a suon di urla e schiaffi, più di quanto lo facciano già? Ho paura di non riuscire mai ad andarmene da qua, ho troppa troppa responsabilità che non mi spetta. Mi manchi davvero tanto, mi manca vedere nonno normale. Da quando non ci sei tu si è ammalato, non ricorda le cose e si perde sempre. A volte esce in pigiama e quando vado a trovarlo mi scalda il cuore quando non si ricorda dei nomi delle altre persone e quando glielo chiedo io mi risponde sempre “tu sei Mirietta”. Il mio nonnino adorato. Mi manca quando mi chiamavi “sa sposa” o quando per svegliarmi appoggiavo la testa sulle tue gambe quando ti sedevi nel letto e mi facevi le “carezzine” nei capelli dietro l’orecchio, come piacevano a me. Mi manca pranzare con te in giardino quando nonno faceva il pt e gli altri esami e io non potevo avvicinarmi a lui per 24 ore perchè ero troppo piccola. Mi manca giocare con i gatti in giardino, con musetto. Mi manca la capannina dove tenevamo in legno per il camino d’inverno, mi manca vedere nonno legare le fascine. Mi manca vederti seduta a vedere le mie recite, non sai a quante non è venuto nessuno a vedermi e alla fine quando tutti andavano dai genitori io rimanevo con le maestre. Mi ricordo quando in terza elementare forse era venuta la psicologa per i bambini, la chiamavamo “follettina”. Dovevamo scriverle dei bigliettini e metterli in quella casella attaccata al muro della scuola, mi ricordo che scrissi “sono triste perchè non riesco più a sorridere”, non pensavo che qualcuno l’avesse letto veramente. Poi arrivarono i turni per decidere chi far andare a parlare con questa ragazza vestita da elfo, e mi fecero andare per prima. Quando mi chiese il motivo le risposi “perchè nonno sta facendo un sacco di visite e anche quando ci provo non ho mai voglia di sorridere” o comunque una cosa del genere. Era una bugia ovviamente, lo sapevo qual era il vero motivo, ma come mi hai insegnato tu non si può mai parlare di queste cose, e uscii da lì soddisfatta che nessuno aveva scoperto il motivo. Vorrei che ci fossi tu qua ancora una volta per consolarmi come facevi sempre, senza stancarti. Vorrei ancora chiacchierare con te e tornare a casa da scuola e andare a salutare nonno in garage. Vorrei preparare ancora una volta la pasta al forno fatta in casa con te. Vorrei fare ancora la teglia più piccolina a parte per me, perchè non mi piaceva il formaggio. Vorrei tornare nel capannone a fare le pardule e a mangiare l’impasto quando ti giri. Vorrei tornare a bere il thè freddo con te nel loggiato. Vorrei andare ancora in bicicletta e sui pattini mentre mi guardi, mi ricordo che la prima volta che li misi mi dicesti “guarda che brava, hai già preso l’equilibrio!”. Mi lodavi in tutti i modi, e nonostante ciò sono sempre stata la bambina più umile ed educata che esistesse. Ero davvero brava, mi piaceva esserlo. Mi ricordo quando andavamo al parco a sant’andrea e mi piaceva giocare da sola, mi infastidivo quando venivano le altre bambine (e in questo non sono cambiata), mi piaceva giocare con te che mi guardavi da lontano. Mi ricordo il tuo sguardo fiero alla mia prima comunione quando ti avevano scelto per portare il cesto con i viveri sull’altare, lo sapevo che ti avrebbe fatto piacere. O quando feci la cerimonia per diventare chiricchetta, c’eri tu a mettermi il vestito davanti all’altare. Ora non credo di avere tanta fede nonna, mi dispiace. Ma ti prometto che proverò a riavvicinarmi alla chiesa, mai come ora ho bisogno di credere davvero in qualcosa di bello, e per ora è molto difficile farlo. Canto ancora nonnina, sono sicura che mi senti. Non sono più sicura di me stessa e della mia voce come una volta, ma ti prometto anche qui che proverò a fare del mio meglio per migliorare e per migliorarmi. è la tua luce che mi sprona ad andare avanti e sempre lo farà. Ciao nonnina, mi manchi tanto. Sempre tua, Mirietta.
Tumblr media
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Quando voglio sentirmi vivo metto le mani sopra questa tastiera e non le stacco finché non crollo
Come un pugile sul ring, se scrivi e lo fai sul serio, non dovresti mai dire cose inutili o rileggere due volte quello che scrivi, devi colpire in faccia l’avversario, ogni volta che puoi. ogni riga deve essere un colpo tirato sul corpo dell’ abisso, delle giornate infinite e noiose, senza una parola di commozione o epicità.
Sono cresciuto in un appartamento minuscolo, due camere da letto, un bagno, una cucina e un soggiorno, per cinque persone. Non era minuscolo per me, ma per le esigenze di mia madre, che credeva che il giocare dei bambini fosse una precisa strategia per disturbarla nel suo importantissimo lavoro. Mia madre è una filologa, una di quelli che sa l’origine delle parole di una lingua e può ricostruire una cultura dalle origini, perché la lingua è il codice culturale di un popolo ( il che la dice lunga su chi usa XD, xkè etc.). Lei insegna in un Liceo Classico circondata da persone meno formate di lei, che non la sopportano. Praticamente ha un contratto a tempo indeterminato in un inferno in cui nessuno sa apprezzarla o meno perché nessuno ne capisce le competenze. Una morta in vita, in pratica. Questa cosa l’ha sempre spinta a trovare versioni difficili e programmi articolati e complessi per i suoi studenti, per fargli sempre fronteggiare sfide più difficili. Ecco, mia madre è sempre stata un ottimo insegnante. A due mesi di vita mia nonna, quando mi teneva mentre i miei lavoravano, trovava strani lividi tra le mie cosce, roba che non doveva esserci. Mi immagino che tipo a due mesi di vita mentre gli altri bambini vengono cambiati normalmente sopra la lavatrice io vengo preso a schiaffi e rimbalzo come una pallina da tennis, perché magari non apro bene le gambe per farmi pulire il culetto . Questa cosa è andata avanti per anni. Mia madre pretendeva che ogni giorno ci facessimo il bagno in vasca, che non solo è estremamente dispendioso  livello di bolletta, e noi non eravamo ricchi, ma pretendeva che durasse un’ora, così lei poteva avere i suoi momenti di pace.Anni dopo scoprii che scriveva mail a gente, col alcuni gli piaceva anche civettare, maledetta frustrata del cazzo. Il mio lavoro oggi è occuparmi di social media, e dio solo sa quanto avrei voluto saperne di programmazione, fatto sta che quando ero piccolo se mia madre mi trovava nel BIOS del computer mi intombolava di botte perché non sapendo, lei, cosa fosse avrei potuto fare dei danni, così nel dubbio mi menava, e io ho scoperto C++ a 24 anni. Ho scritto il mio diario sullo stato di avanzamento della mia scoliosi sulle  note di sistema di  Windows, mentre mia madre ha backuppato e salvato le mail che aveva su 7 computer diversi, obbligando tutti i familiari a non leggerle, a parole non con un file criptato ( all’ epoca creare un file criptato bastava scegliere l’opzione e inserire la password desiderata, non come oggi). Ma mia madre parla con la stampante dicendole a parole di  continuare a stampare anche quando è inceppata, quindi direi che è alquanto normale. 
Immaginate per un attimo il corpo di una donna di 32 anni abbattersi con tutta la sua forza su un corpo di 8 anni, la sproporzione è enorme, io che ci lavoro con quel bambini, che mi basta una mano per tenerli in braccio mi sorprendo di quanta frustrazione, rabbia e forza doveva esserci per trattarci come bestie in cattività. Ho desiderato infinite volte di suicidarmi. A 5 anni pero picchiato a scuola perché ero “ lo sfigato”, quello “diverso” ( quello con la mamma più puttana di tutti ahhahaha =)) . Mi ricordo che d’estate, finita la scuola avevo le gambe viola, un pò ne avevo prese dai compagni e un po’ dai miei genitori.
Per anni io e mia sorella abbiamo fatto la vasca ba bagno, e in quell’ora giocavamo buttando acqua per terra, e mia madre puntualmente arrivava credendo che l’acqua sarebbe potuta arrivare al piano di sotto. Essendo un bagno isolato con le piastrelle ci sarebbero voluti tra i 24 e i 32 litri d’acqua per fare in modo che essa penetrasse all’appartamento sottostante, ho fatto fare i conti ad un ingegnere ( un ragazzo al quarto anno di ingegneria una domenica pomeriggio al parco, ma credo valga lo stesso). Inutile dire che noi ne gettavamo solo un paio e che nonostante tutto ogni giorno venivamo picchiati sulla carne cruda per quella colpa, e un paio di volte anche col il bastone, nudi, messi al muro per aver bagnato per l’ennesima volta per terra, legna sui genitali nudi, senza difese, eravamo bambini.
Questo è successo ogni giorno della mia vita dai 2 mesi di vita ai 16 anni, finché non ho picchiato mia madre, in un giorno che la luce era andata via e lei aveva deciso di picchiarmi perché la luce è andata via. Non potete capire quanto sia naturale vendicarsi del carnefice, è come  pisciare la mattina presto con la vescica gonfia, una cosa che il corpo fa da sè perché lo sente giusto. Tenete conto che sono la stessa persona che cura i bambini, e li abbraccia anche se mi fanno male oppure mi mandano ai matti, ma loro si sono sempre trovati bene con me e io ho sempre sentito un feeling positivo da loro verso di e viceversa, perché non c’era nulla di innaturale in quel rapporto, anche se si trattava di trattenere un DSA che corre con un estintore in giro per la scuola.
La dose extra di botte arrivava poi : sotto Natale, perché la preparazione della casa stressava la mamma, quando giocavano troppo rumorosamente in camera da letto, quando non mettevamo a posto i nostri giochi, quando si andava a fare compere la domenica, quando c’era qualcosa che non andava  e mia mamma mi veniva a prendere a scuola. Mi viene ora in mente il mio catechista, che giustamente diceva “ se vivi 5 giorni a settimana per star bene solo 2 sei un coglione perché stai perdendo la parte più grossa della tua vita” . Mia madre era capace di vivere in immersione 7 giorni su 7, senza provare a cambiare una virgola della sua vita, ma ripetendosi “ per me è perfetta così”.
Anche mio madre mi picchiava, più forte quando qualcosa non andava. In genere mi pisciavo addosso perché mio padre faceva veramente male. Da piccolo ho rubato le chiavi dell’ asilo nido, ho truffato mia sorella per comprare un giocattolo, mentivi spudoratamente per i miei interessi. Homo homini lupus, non ero più forte dei miei genitori, dovevo fregarli in un altro modo. 
dedicato ad una amica, che spero trovi la forza di uscirne meglio di come ne sono uscito io. Putroppo in Italia ci sono più istruzioni su come si monta la lavatrice che su come si gestiscono i figli, grazie alla chiesa cattolica che fa credere che la famiglia tradizionale che loro intendono sia la perfezione in assoluto. Non è così: la gente fa schifo, ho conosciuto migliaia di genitori in vita mia e solo una parte è davvero eccellente, la maggior parte è mediocre, e una minima parte è come i miei genitori,  che amo definire “ frustrati amanti dei campi di concentramento, tanto da desiderare di ricrearli in casa “. Questa situazione di ignoranza e tolleranza della mediocrità genitoriale, insieme al condizioni di lavoro migliori nelle pregresse generazioni rispetto alle nuove, un potere immenso rispetto ai figli, che non hanno più potere contrattuale. Non bisogna militare solo per il riconoscimento del movimento LGBT ma anche per la totale distruzione dei valori tradizionali che legano la libera persona al potere della famiglia, quando la famiglia non ha autorità morale per applicare questo tipo di sottomissione.
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mostrogobbo · 7 years
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Analisi capitolo 99 e teorie strambe associate (per la pagina di Zio Aristofano, oggi fb non collabora)
Ecco il COMMENTONE. Per renderlo più digeribile proverò a spezzarlo in micro-argomenti, perdonatemi l'usuale prolissità e i concetti spesso aggrovigliati ma di cose da dire che ne sono tanteTROPPE.
Inizio con una teoria che ho imbastito (perchè sono pazza) dal capitolo 97, ossia che Isayama inserisca dei messaggi decisamente più profondi di quelli che si possono percepire in superficie sulle sue tavole. Mi riferisco al momento flashback in cui Reiner deve svegliare Bertholdt da una delle sue assurde posizioni. La questione delle posizioni strambe di Bertl per me è sempre stata molto tenera, probabilmente nascondeva il profondo disagio (anche il suo "dormire come un ceppo" citato d Jean) per ciò che stava facendo come se nel sonno dovesse seppellirlo tutto quanto visto che da sveglio, dei tre, è stato forse il più freddo e distaccato almeno all'apparenza. Tuttavia questa posizione mi è sembrata subito più particolare delle altre e mi ha immediatamente ricordato l'arcano maggiore dell'"Appeso": le mani dietro la schiena come se fosse legato, le gambe sovrapposte (nell'Appeso un piede è dietro il ginocchio), il viso sereno nonostante nella carta, l'uomo appeso sia morto o moribondo.
Cito da Wikipedia: nelle rappresentazioni moderne, l'Appeso è un giovane che appare capovolto, appeso per una caviglia al ramo di un albero o allo stipite superiore di una cornice. Ha una gamba piegata dietro l'altra e i polsi dietro la schiena, presumibilmente legati (Tarocchi Visconti), poiché la posizione nel complesso è associata a un supplizio pubblico. Alcune correnti eretiche, di matrice gnostica, si identificano in questa lama perché incarnano, nei confronti del mondo, il ribaltamento della fede comune.
Nei mazzi più antichi, in cui l'arcano si chiama "Il Traditore" (ad esempio nei Tarocchi di Carlo VI), l'appeso tiene in mano due sacchetti di monete talvolta stilizzati in semplici sfere, a rappresentare il prezzo del suo tradimento.
Sebbene la carta descriva un supplizio, il giovane appeso viene tradizionalmente raffigurato con un volto sereno, in preda all'estasi più che al dolore o all'umiliazione. In alcuni casi, come nel caso dei tarocchi Rider-Waite, ha anche il volto contornato da una aureola. A questi elementi, oltre che alla intrinseca ambiguità grafica della carta (che si presta a essere osservata capovolta) si riconducono molti dei significati simbolici associati all'Appeso in cartomanzia, che lo associano all'accettazione, all'armonia interiore o alla capacità di trascendere le convenzioni e osservare il mondo da un punto di vista più spirituale.
Fine wikiquote.
Al di là della cartomanzia che lascia un po' il tempo che trova, questa descrizione si adatta perfettamente a Bertholdt che io ho sempre visto come una delle vittime, forse proprio la Vittima con la V maiuscola, quello che ha eseguito freddamente e che alla fine è stato castigato, dimenticato, divorato. Il suo ruolo si acuisce soprattutto nel procedere dei capitoli quando lo notiamo essere rimasto molto colpito dal suicidio dell'uomo presso il quale, assieme a Reiner ed Annie è stato mandato a vivere. E' quasi profetico nel suo ricordare ai due amici le ultime parole dell'uomo come in un mantra, il suo ricercare il perchè del gesto ma soprattutto, il perchè della confessione. Reiner ed Annie, molto più pragmatici, quasi non lo ascoltano ma Bertholdt riflette molto su questa cosa, stretto nel suo ruolo di vittima e traditore assieme.
Con il procedere dei capitoli ho provato a prestare attenzione a questi segnali nelle tavole e durante la preparazione del festival di Marley, notiamo molte volte la figura del pagliaccio soprattutto in relazione al gruppetto di Gabi&Co. Se in qualche modo ho cercato naturalmente di associare a Reiner la carta della "Forza", alla fine mi sono dovuta ricredere seguendo le invisibili linee tracciate da Isayama (o forse perchè sono pazza 2.0) e sono finita con l'associarlo alla carta del Matto che nelle illustrazioni popolari è spesso rappresentato con un costume da giullare.
Nella cartomanzia rappresenta l'energia originaria del caos, l'innocenza e la follia. In alcuni tarocchi un cane o un animale lo assale o lo segue. Nei tarocchi Rider-Waite l'uomo cammina sull'orlo di un precipizio e in alcuni mazzi l'uomo ha anche un bastone da passeggio, e quasi sempre è raffigurato nell'atto di camminare, noncurante del disturbo dell'animale o del pericolo che sta correndo.
La potente relazione fra Bertholdt e Reiner sembra esprimersi direttamente in questa carta dove abbiamo il Matto oramai distaccato dalla realtà che cammina sull'orlo del precipizio e la fiera che lo minaccia o lo avverte a seconda del momento. Quante volte Bertholdt ha cercato di tenere il suo amico aggrappato alla loro missione prima che si dissociasse del tutto, perdendolo, infine, solo dopo essere morto?
Ci sarebbe un Arcano Maggiore per tutti i personaggi ma siccome sento in distanza le sirene della neuro che vengono a prendermi, torno al punto.
Il COMMENTONE inizia sul serio, ora.
Ma Falco quanto meriterebbe un abbraccio e una merenda con latte, pane e Nutella? Insomma, è chiaramente il bambino più buono del mondo, spero sinceramente riesca a riprendersi dallo shock di aver infilato Reiner in un potenziale tritacarne con i denti aguzzi...
- Teiber e Magath -
Willy ha il gusto per il dramma e per le cose di forte impatto. Sembra abbia un bisogno fisico che tenere lo sguardo di tutti, popolino appeso alle finestre, ambasciatori e giornalisti nelle prime file, inchiodato sul palco dove si avvicendano le scene della storia di Eldia e di Marley fino a dove tutti le conoscono. Ci accorgiamo subito che questa "interpretazione" lo sta provando: è solo molto nervoso perchè, qualcosa dovesse andare storto, il suo piano andrebbe letteralmente a donnine oppure c'è qualcosa d'altro che nessuno sa? Neppure il suo nuovo amico Magath?
E a proposito di Magath, che si trova a capo della sorveglianza dell'area: Alto Comando di Marley dormi pure sonni tranquilli perchè Theo Magath con i fucili pronti all'uso ha probabilmente già fissato un bersaglio sulle vostre fronti. Ho la sensazione che il colpo di stato sia molto vicino e che, come tale, richiederà il sangue dei potenti per poter rinnovare del tutto la società come si augura Teiber. Ma siamo davvero sicuri che sia Teiber il grande burattinaio?
C'è un'altra persona che sembra molto tesa ma in maniera diversa, la sua è una tensione più statica, un'immobilità quasi ascetica di chi sta sentendo fluire gli eventi già programmati attorno a sé come se ogni pezzo di un immaginario Tetris si stesse sistemando esattamente dove lo voleva.
- Zeke -
Ci siamo abituati a vederlo fuori dalla sua "Bestia" come un giovane uomo piuttosto dimesso, uno che accontenta i superiori nella maniera in cui i superiori lo desiderano, che si fa sottovalutare e che si nasconde con abilità dietro l'ombra del buon coordinatore dei Warrior, che quando dice una cosa e viene sgridato come un cucciolo che ha fatto pipì sul tappeto non se la prende nemmeno con uno sguardaccio. Ma noi ce lo ricordiamo Zeke sul campo di battaglia di Shiganshina, come una specie di dio della guerra che macinava cadaveri senza alcun tipo di rimorso negli occhi. Nelle ultime pagine, vediamo Zeke stretto in una postura molto contenuta, spesso con le mani chiuse in grembo, nessuna parte del suo corpo sembra rilassata. Nella vignetta in cui il soldato misterioso richiama lui, Pieck e Galliard è l'unico a fissare dritto o in basso, le mani strette sulle ginocchia, la schiena rigida. Gli altri sono rilassati, scherzano con i bambini più piccoli, sono pronti a godersi lo spettacolo o nel caso di Porco "non mi divertirò affatto!" (adoro il suo essere sempre così incarognito). Credo che il soldato misterioso possa davvero essere Connie (anche se Isayama me l'ha fatto crescere di sessanta centimetri...) e che abbia fatto finire Pieck e Porco in un posto dove non possano chiedere aiuto, non possano trasformarsi, non possano "farsi male". Sono piuttosto cerca che anche questo facesse parte del piano. Il soldato misterioso, inoltre, chiama Zeke "Jaeger", cosa che non abbiamo mai visto succedere vista la riluttanza proprio di Zeke di associare sé stesso all'odiosa discendenza dei Jaeger.
- Reiner ed Eren -
Qui abbiamo un dialogo molto difficile da capire sotto il primo livello di comprensione. Possiamo supporre un Eren arrivato a Marley arso dalla sete di vendetta, che "non può farne a meno" e "sono venuto a fare quello che hai fatto tu", tipo distruggere ogni cosa. Ma sinceramente, per quanto io abbia considerato sempre Eren un esagitato un po' nevrotico viste le figure di palta che ha collezionato per il suo eccessivo entusiasmo mal veicolato, se non poi riuscire a combinare qualcosa di dritto grazie all'aiuto degli altri o del suo gigante, non credo che sia venuto a Marley dopo quattro anni con questo intento. Non in maniera così banale, almeno. Ricordiamo inoltre le parole di Krueger: "il gigante d'attacco ha sempre combattuto per la libertà" e per quale libertà combatterebbe se fosse venuto fin qui per spappolare famigliole Marleane la cui unica colpa è stata credere alle menzogne governative? Leggendo una lunghissima analisi dal giapponese ho inoltre notato come questo Eren si riferisca a sé stesso in maniera diversa rispetto a come ha fatto sino ad ora. Non provo nemmeno ad approfondire questo argomento perchè non conosco il giapponese e tutta l'analisi era così approfondita che la rovinerei, quindi provo ad offrirvi la versione pasticca liofilizzata. Sembra che questo Eren utilizzi termini che non gli appartengono ma che sembrano più vicini a quelli usati da Krueger in un modo squisitamente linguistico (quindi potrebbe non voler dire niente o, banalmente, che Eren è cresciuto ed è diventato un po' meno pirla). Non ho visto Eren minaccioso verso Reiner: è stato deciso, non poteva sapere come Reiner evidentemente instabile di mente, potesse reagire. Certo, poteva paralizzarsi come ha fatto ma se fosse impazzito del tutto e nel panico si fosse trasformato traducendo l'incontro in una royal rumble da manuale? Quindi Eren lo gela subito, gli mostra la ferita, gli dice in sostanza "mi sto trattenendo, una mossa sbagliata e sbrago tutto il palazzo", quindi gli dice di sedersi e ascoltare la piece teatrale. Dal dialogo di Eren (perchè Reiner, povero, è più una pianta d'arredo a questo punto), leggiamo una consapevolezza nella spedizione dei quattro piccoli Warrior di cui fino a questo punto, dalla parte del Team Paradise non c'è stata traccia. Eren dice "eravate quattro bambini che non sapevano nulla". E a proposito di gente che non sa niente...
- La piece teatrale -
La prima cosa che notiamo è il talento da drammaturgo di Willy. Insomma, one man show, per essere la sua prima opera sembra che piaccia proprio a tutti! Ci raccontano la storia che anche noi conosciamo, lo scontro fra gli otto popoli di Ymir, i giganti, le tensioni e i tradimenti. Ci parla di Helos e del Re Fritz (quanto somiglia a Zeke questo tizio, eh! Pure con questo mantellone che potrebbe coprire la divisa, come se l'avessero vestito in fretta e furia...mhhhh) e ci mostra lo scontro in cui tutti gli attori sono bendati. Questa benda sugli occhi potrebbe essere la metafora per spiegare a tutti come Re Fritz abbia imbastito la pace manovrando i fili grazie alla propria posizione sociale ed al proprio potere di Progenitore. E poi viene sganciata la bomba, la verità rivelata, il fatto che Helos è solo un'invenzione (ma questo piccoletto che interpreta Helos? Sarà mica Levi? Anche qui il gioco delle altezze non è amico di Isayama perchè in un'inquadratura sembra più piccolo di Teiber, che dev'essere alto attorno al metro e settantadue, poi lo vediamo più alto di un dieci centimetri. In sostanza le fazioni si dividono su "E' Levi" o sul "E' Jean".) La faccia del Generale Carby e del suo alto comando sembra un filino di pietra, la tensione cresce fino al suo apice: la rivelazione che l'attentatore alla pace del Re Fritz è Eren Jaeger. Eren aspettava la battuta, ascolta serenamente dallo scantinato. Zeke è sparito, sappiamo che è stato spedito "alla porta principale" ma secondo me è già altrove, o direttamente sul palco con Teiber o con Magath o forse, addirittura alle spalle di Eren e Reiner. Porco e Pieck sono stati messi fuori gioco (ricordiamoci che tutta la zona è stata "preparata" dagli uomini di Teiber quindi potrebbero aver costruito approntato aree per fare... beh, quel che dovranno fare). La misteriosa Kyomi, con il suo sorriso da manekineko, assicura a Teiber il suo supporto... se ne sarà andata? O sarà lì attorno pronta ad intervenire (che sia in qualche modo legata agli Ackerman mi sembra abbastanza evidente).
E insomma.
Sicuramente ho dimenticato mille mila cose, questo numero è stato magnifico, sono sempre più dell'idea che nel 100 sentiremo tuonare "Rains of Castamere" dagli altoparlanti e che la prima battuta sarà "The Jaegers send their regards!"
BOOM, headshot su Carby. Così.
Grazie a Sensei per l'analisi, questo mese ti sei proprio superato! <3
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 26
Era difficile capire chi si sentisse più a disagio, lì dentro.
Kyra sembrava aver preso la decisione di far pesare ad ogni singolo servitore del castello il fatto di farsi comandare dai nobili e ad ognuno di loro scoccava occhiatacce risentite per aver anche solo incrociato il suo cammino, vagando inquieta per le vie del villaggio, facendo di tutto per evitare il castello.
Ichabod, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che fremere dalla voglia di rivedere Katrina, ora sembrava avere improvvisamente le gambe di pietra. Certo non aiutava il fatto che ormai tutto il gruppo era a conoscenza del suo essere un mago del sangue, cosa che, a quanto pareva, trovavano terribile a tal punto da preferire morire ammazzati da un drago, piuttosto che dovere la vita ad una magia del genere.
Senua entrò nella taverna affollata, individuandolo seduto ad un tavolo. Si avvicinò di soppiatto, facendo sobbalzare il mago.
«Che c'è adesso?» Ichabod si girò torvo, un calice di vino ormai vuoto in mano.
«Sono già due giorni che rimandi, non dovresti andare a parlare con qualcuno?»
«Non dovresti farti gli affari tuoi?»
Senua ridacchiò. «E che gusto ci sarebbe... Comunque, senza di me non combineresti niente. Non so proprio come hai fatto fino adesso, sei imbarazzante.» Si sedette di fianco a lui, strappandogli il libro che stava leggendo da sotto il naso e sventolandoglielo davanti. «Qua dentro non c'è niente che possa aiutarti a conquistare la rossa, quindi vedi di darti una mossa.» Ichabod cercò di riprendersi il libro, ma lei fu più veloce, infilandoselo nell'ampia tasca della giacca. «Resterà qui con me finché non sarai andato a parlarci.»
«Si può sapere perché ti interessa tanto?!» Sbottò l'altro.
«Perché sei assolutamente ridicolo. Una scopata non può che farti bene. E dato che è stata in cella per settimane, probabilmente non si rifiuterà di essere sbattuta al muro…»
«Stai zitta!» Il mago sbatté il pugno sul tavolo, scattando verso di lei. «Non osare parlare di lei in questo modo!»
Senua rimase un attimo spiazzata, ma non lo diede a vedere. «Oh, scusa, non volevo offendere il vostro grande amore... Solo ribadire che, se l'ultima scopata l'hai fatta con un demone che gli assomigliava, hai dei problemi belli grossi.»
«Ti avverto, per l'ultima volta...»
Alzò le mani in segno di resa. «D'accordo, ci rinuncio. Ma poi non venire a lamentarti da me.» Tamburellò le dita sulla grossa copertina del libro che gli aveva rubato, saltando giù dalla sedia e allontanandosi senza fretta.
Girato l'angolo, si appiattì contro la parete, lasciando passare qualche minuto, prima di scoccare un'occhiata al salone della taverna. Il mago era rimasto a fissare il bicchiere ormai vuoto, sempre più accigliato.
Possibile che si stesse cagando sotto così tanto, alla sola idea di andare a parlare con Katrina?
Decise, dato che non aveva assolutamente nulla di meglio da fare, di tenerlo d'occhio. Si appostò dietro la legnaia, in attesa che quello uscisse.
Passò almeno un'ora, ma finalmente vide la chioma dell'uomo spuntare dalla porta. Dall'andatura, doveva aver bevuto almeno un altro paio di bicchieri. Lo seguì di nascosto fino al castello, attenta a non farsi notare, fino ad un ingresso secondario.
Senza fare alcun rumore, dopo qualche minuto si infilò anche lei nella porta, acquattandosi nella penombra e scendendo le scale che portavano ai sotterranei. Le torce erano quasi tutte spente e non c'erano guardie in giro, segno che nessuno si aspettava qualche visitatore.
Sentì due voci dal fondo del corridoio, e si appiattì ulteriormente contro il muro di pietra, il fiato sospeso mentre percorreva gli ultimi metri e si nascondeva dietro una serie di barili.
Origliare le era sempre riuscito benissimo. Era un ottimo modo per scoprire segreti di ogni genere, e nei bassifondi le aveva spesso permesso di racimolarsi da vivere, senza per una volta dover spaccare qualche dente per farsi rivelare dove i rivali di Beraht tenessero la roba che contrabbandavano.
«... lo convincerò a lasciarti andare, fidati di me. Gli ho riportato il Sangue, no?»
«E se non bastasse? Sono stata io ad avvelenarlo, mi sorprende che non mi abbia già giustiziato!»
Sentì un colpo metallico. Immaginò che Ichabod stesse prendendo a pugni le sbarre della cella.
«Non glielo permetterò. Dovessi buttare giù questo cazzo di castello dalle fondamenta, ti tirerò fuori da qui, Katrina.»
Ci fu qualche istante di silenzio. Senua si sporse oltre la botte di legno dietro la quale si nascondeva. Grazie ai suoi occhi abituati all'oscurità, poté vedere chiaramente Ichabod chino sulle sbarre della cella, le mani che stringevano il metallo.
«Mi dispiace. Mi sono fatta ingannare e ho rovinato tutto, come al solito.» Senua pensò che davvero Katrina non faceva altro che lagnarsi. Cosa avesse di tanto speciale, proprio non capiva. «Non voglio che tu ti metta nei guai per me, non di nuovo. Se il Conte ha detto che non mi libererà...»
«Cambierà idea. Deve farlo.»
«Ichabod...»
«Non capisci!» Senua sussultò, tornando per un attimo a nascondersi dietro il barile. «Ho... ormai non posso tornare indietro. Ho già fatto di tutto, e la Venator si fida di me. Mi aiuterà a convincere il Conte, e appena ti libereranno scapperemo nell’Impero Samuren.»
«E l’Orda?»
«Alla malora l’Orda!»
“Fantastico.” Pensò Senua, stizzita. “Quindi ha intenzione di tagliare la corda.”
«Pensi che riusciremmo a varcare il confine? Noi due da soli? Con gli Inquisitori a darci la caccia, mezza Bowerstone e due Venator?»
Ichabod sussurrò qualcosa in risposta, ma Senua non riuscì ad afferrare bene le parole. Si sporse di nuovo da dietro la botte.
«Non credi dovremmo fare la nostra parte, per fermare l’Orda?» Chiese Katrina.
L'altro sembrò riflettere a lungo, prima di dare una risposta, la voce a malapena udibile. «Non se significa rischiare la nostra vita.»
«Mi hai salvato già due volte, e non credo proprio di meritarmelo... Quella volta alla Torre… sono stata una stupida… sei finito ne guai per colpa mia…»
Passarono parecchi istanti. Senua immaginò Ichabod arricciarsi le trecce della barba attorno alle dita, come era solito fare quando era teso.
«Non volevo lasciarti sola.»
«Perché Ichabod?»
«Perché ci tengo a te!» Sbottò finalmente. Katrina si zittì. «E non ti avrei mai lasciato, nemmeno quando stavi dietro a quell’idiota di Archer!»
«Non parlare di lui così!»
«Ti ha solo usato, e tu le sei andata dietro come un idiota!»
«Non… non è vero! Era innamorato di me, ma...»
«Ma?! Ma cosa, Katrina?!» Ora stava praticamente urlando. «Appena ha sentito che volevi scappare ti ha tradito. Sarebbe rimasto a guardare Gregor ucciderti, senza battere ciglio!»
«Non puoi saperlo!» Ribatté l'altra, urlando anche lei.
«Invece lo so! Che marcisca, insieme a tutto il Khanduras e a tutta la maledetta Fratellanza!»
«Perché fai così?!»
«Perché ti amo, cazzo!»
Scese il silenzio. Un terribile, denso silenzio, come polvere in uno stretto cunicolo di roccia.
Dopo qualche istante, Katrina sembrò riprendersi un poco dalla sorpresa. «Ichabod, io non...»
Prima che potesse articolare il resto della frase, l'altro gli voltò le spalle, andandosene quasi di corsa. Fortunatamente, non si accorse di Senua, passando a pochi centimetri dalla botte ma superandola di gran carriera.
Rimase impietrita, ascoltando Katrina chiamare l'altro a gran voce, in cerca di spiegazioni.
Una parte di lei sarebbe voluta andare dalla maga e prenderla a calci per essere la più grossa, stupida cretina dalla testa piena di merda dell’intero Khanduras, ma l'altra parte di lei avrebbe voluto trascinare Ichabod indietro con lo stesso trattamento e fargli affrontare la situazione.
Rimase quindi ad arrovellarsi sulla questione, finché alla fine decise che, nonostante tenesse al compagno di viaggio, in fondo non erano fatti suoi.
“E poi, ha detto di volersene andare appena liberato il suo grande amore, no? Può pure andarsene al diavolo, lui e quell'altra.” Pensò risentita, risalendo le scale senza fare rumore, per poi uscire all'aria aperta e tornare in direzione della taverna, la gola secca e un sacco di pensieri a martellarle in testa.
Aveva proprio bisogno di una birra.
Entrata, trovò Lisandra e Castalia sedute ad un tavolino, impegnate in un'animata discussione a bassa voce. La maga sembrava furiosa, e Senua non dovette sforzarsi per immaginarne la causa. Prese in considerazione l'idea di uscire e andarsene di gran carriera prima di trovarsi in mezzo all'ennesima faida, ma ormai era lì...
Prima che potesse raggiungerle, l'anziana si alzò in piedi, afferrando il proprio bastone magico appoggiato alla parete e dirigendosi verso l'uscita, scura in volto.
Senua accennò un saluto, ma l'altra la notò a malapena, sbattendo la porta.
La donna delle montagne incrociò lo sguardo della Venator, che le rivolse un cenno stanco. Sbuffò. Perché non potevano, per una sola volta, tenersi i loro problemi senza buttarli addosso a lei?
Ordinò un paio di boccali grandi di birra scura, prendendo posto accanto alla compagna.
«Per i Sette Inferi, che giornata, eh.»
L'altra manco le rispose, intenta a scavare con il pugnale un solco nel tavolo di legno.
«Così rischia di spuntarsi.»
Ancora nulla.
«Immagino che la vecchia Lisandra sia ancora furiosa per la storia di Ichabod, eh?»
Castalia alzò finalmente lo sguardo, puntandole addosso i suoi brillanti occhi verdi. «Vuoi qualcosa, o sei qui soltanto per infastidirmi?»
“Al diavolo pure te, allora!” Avrebbe voluto rispondere Senua, ma deglutì e cercò di sorridere, sperando che sembrasse un'espressione amichevole e non un ringhio. In quel momento, arrivò la cameriera. «Veramente, volevo sapere come stavi. Vi ho viste litigare e... insomma, pensavo la faccenda fosse risolta.» Afferrò un boccale, sperando che la Druida facesse altrettanto e non le rovesciasse invece addosso dell'ottima birra.
Castalia sospirò, allungando una mano e annusando con sospetto il contenuto del boccale. Sembrò cedere, assaggiandone un po' e storcendo la bocca.
«Ci fai l'abitudine, fidati, almeno questa è roba buona.»
«Magari fosse quello il problema...»
La guardò bene. Sembrava stravolta, gli occhi cerchiati di nero e il volto più pallido del solito. Rimase in silenzio, sperando che l'altra si spiegasse meglio, ma sembrava non averne alcuna intenzione. Restarono sedute per un po' a bere, Senua che ordinò un altro boccale mentre l'altra non era nemmeno a metà.
 Ad un certo punto, Castalia ruppe il silenzio. «A volte credo che dovrei semplicemente lasciar perdere.» Aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Tutto sta andando a rotoli. Non volevo nemmeno diventare un Venator, e...» Bevve dei lunghi sorsi, arricciando il naso. Quando appoggiò il boccale sul tavolo, era vuoto. «Non avrei dovuto lasciare il mio Clan. Probabilmente Rylan avrebbe trovato qualcun altro da reclutare, qualcuno di più bravo, e tutti questi casini non sarebbero successi. Julian sarebbe stato zitto, Miria pure, e Lisandra non avrebbe avuto motivo di...» Si zittì di nuovo, gli occhi lucidi. «Dirtharama, mi sta bene, a viaggiare con tutti questi….»
«Non stai andando così male, sai? L'hai detto tu stessa, a Kamal.»
«E a che serve, se poi ogni volta devo combattere per avere la loro fiducia?»
Senua ci pensò su un po', non sapendo cosa rispondere. «Non so, non credo che nessuno si sia mai fidato di me al punto di seguirmi senza fare storie. Sarà perché tutti la pensano a loro modo, e non puoi sempre convincerli a fare quello che vuoi tu. Però te la stai cavando bene.»
«Dillo a Lisandra, che vuole andarsene. O a Julian, che è furioso perché ho lasciato che un mago del sangue viaggiasse con noi. O quella spocchiosa di Ellena, che dall'alto della sua nobiltà non fa altro che…» Sbatté il boccale vuoto sul tavolo, facendo segno alla cameriera di riempirlo. «Fenedhis lasa, vogliono tornare ad Ostagar…»
«Come mai?»
«Dicono che potrebbero esserci dei documenti importanti contro il Re. Prima spariscono, e ora perdono tempo dietro ad una pila di carta.»
«Magari può esserci davvero qualcosa di valore.»
Le rivolse uno sguardo astioso. «Oh, certo, dimenticavo che tu sei qui solo per riempirti le tasche. Fai pure, aggregati anche tu, sono certa che non gli dispiacerà avere qualcuno che gli guidi l'Aravel mentre loro…»
«Ehi, datti una calmata!» La fermò Senua. «Non sei l'unica ad avere problemi qui, sai? E se non ti va bene guidarli, se sei così certa che andartene sia meglio... Allora vattene. Cosa ti trattiene? Tornatene al tuo clan, vaga per i boschi, fatti una scopata, ma smettila di piangerti addosso!»
Afferrò il boccale di birra e uscì a grandi passi dalla locanda, furente.
Si sedette sotto una tettoia e sbuffò.
«Branco di idioti… vi odio tutti...»
«Non siete l’unica a pensarla così….»
Senua sobbalzò, voltandosi di scatto, giusto in tempo per vedere Riful comparire in uno sbuffo di fumo violaceo.
«Da dove cazzo spunti, tu?!» Sbottò, cercando di nascondere senza successo la sorpresa.
«Credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene.»
La guardò senza capire.
La strega indicò con un dito la tasca della giacca, da cui spuntava il voluminoso tomo che aveva sequestrato a Ichabod poco prima.
«Quello.»
Senua lo estrasse dalla tasca, rigirandoselo in mano e osservandolo meglio. Era grosso, dalla copertina nera segnata dal tempo. «E perché dovrebbe essere tuo?»
«Non esattamente mio, ma di mia madre.»
Qualcosa non tornava. «Perché non te ne sei accorta prima?»
«Prima dimmi, dove l'hai trovato?»
Scrollò le spalle, evasiva. «In giro.»
«Credevo voi fuorilegge foste bravi a mentire. Mi sbagliavo, evidentemente.» Fece un passo verso di lei, cercando di prenderle il libro.
Senua si ritrasse istintivamente, sulla difensiva. «Era alla torre.»
«E ovviamente ne sei entrata in possesso soltanto ora, altrimenti me ne sarei accorta prima.» Commentò Riful. «Ce l'aveva Ichabod, dico bene? In qualche modo deve essere riuscito a nascondermelo, forse un'illusione magica... non importa, adesso dammelo.»
«Non ci penso neanche. Poi se la prenderebbe con me, sai, non ci tengo ad avere una palla di fuoco su per il culo.»
La strega roteò gli occhi al cielo. «Non essere ridicola, probabilmente ce l'ha da settimane, quel topo di biblioteca avrà ormai memorizzato ogni sua parte. Voglio solo darci un'occhiata, ma se proprio ci tieni, andrò a chiederglielo di persona. Sono certa che non lo disturberò affatto, dopo quello che è successo con la sua amata Katrina...»
Senua represse l'istinto di piantarle un coltello nella gamba. «Stavi origliando?!»
L'altra non si scompose minimamente, anzi, sembrava divertirsi. «Non sei l'unica capace di nascondersi, sai? E di sicuro i miei metodi sono più efficaci. Nessuno fa caso ad un piccolo ragno che cammina sul muro...»
Ferita nell'orgoglio, non sapeva cosa ribattere. «Almeno io non rischio di essere spiaccicata con uno stivale.» Bofonchiò arrabbiata.
«Allora, vuoi darmi quel grimorio o devo andargli a peggiorare la giornata?»
Senua capitolò, sbuffando e porgendole il libro.
«Grazie, mi hai risparmiato un'altra scocciatura.» Gli occhi gialli della donna brillavano di bramosia, mentre sfogliava velocemente le pagine consunte. «Mmh, interessante...» Dopo averle rivolto un cenno di saluto, se ne andò in fretta, il naso incollato alle pagine.
Senua si sedette nuovamente sulla cassa di legno. «Mi ucciderà.»
«Kyra?»
La ragazza sbuffò, guardandola dall'alto in basso, le gambe a penzoloni dal tetto del mulino. Osservò Miria arrampicarsi agilmente sulle travi di legno, raggiungendola in poco tempo e sedendole accanto, il respiro un poco affannoso.
«Ti ho cercata dappertutto, sai?»
Grugnì una risposta, spostando lo sguardo sul Lago Calenhad, le cui acque riflettevano la poca luce del sole che filtrava tra le nuvole scure.
Miria rimase in silenzio, ad osservare il panorama con lei. Dopo qualche minuto, la curiosità ebbe la meglio sulla ragazza dai capelli chiari.
«Perché mi cercavi?»
«Non è ovvio? Ero preoccupata. Da ieri non ti si vede in giro, e pensavo...»
«Che avessi ucciso qualche nobile spocchioso?»
La donna scoppiò a ridere. «Sì, qualcosa del genere.»
«Potrei anche farlo, se stiamo qui ancora a lungo.»
«Personalmente, vorrei farmi almeno un altro paio di bagni caldi e profumati, prima di andarmene.»
Kyra sbuffò di nuovo, per niente sorpresa. «Ci sono cose più importanti dell'igiene, in questo momento, tipo fermare una specie di Dio Drago, e la sua armata di Risvegliati….»
«Sicuro, ma nessuno ha mai detto che dobbiamo affrontare Urthemiel puzzando come caproni.»
Kyra sollevò un sopracciglio, guardandola dritta negli occhi. «Siamo nel Khanduras, non hai notato che puzziamo sempre come caproni?»
Miria rimase un attimo spiazzata, per poi sollevare l'angolo della bocca. «Era una battuta? Davvero?»
«Ehm, avrei detto “cani bagnati”, in quel caso.»
«Oh, giusto...»
Kyra sollevò le spalle, lasciandosi sfuggire un sorrisetto. Si accarezzò la nuca, dove una nuova cicatrice spiccava tra le vecchie, a ricordarle del drago che l'aveva quasi uccisa. Sovrappensiero, passò i polpastrelli sulla piccola protuberanza ossea, ancora incredula di essere viva.
«Ti fa male?»
Scosse la testa.
«Ho pregato che funzionasse, ero così spaventata... Ma il Creatore non ci ha abbandonati, non del tutto. Il Sangue…»
«Perché?»
Miria aggrottò le sopracciglia. «Che intendi dire?»
«Il Sangue. Mi ha riportata in vita.» Come spiegarle la sensazione di inadeguatezza dell'essere lì in quel momento, viva e in grado di muoversi, parlare...
«Il Creatore ti ha salvata perché ha un piano per te, Kyra.» Rispose semplicemente l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo che il Creatore, che non si curava degli affari dei mortali, si fosse scomodato a salvare una nullità come lei.
Kyra si morse il labbro inferiore, passando la lingua sulle cicatrici. Non era la prima volta che scampava a morte certa. Aela le aveva raccontato di come l'avevano data per spacciata, vista la gravità delle ferite magiche e fisiche che le avevano procurato Torygg e il suo mago. E nonostante tutto, si era svegliata, era pian piano guarita, anche grazie alla Somma Madre che l’aveva accolta nel suo clan. Ma essere salvata una seconda volta, dopo aver combattuto un drago, dal Sangue dell’Ultimo Nephilim...
Era davvero troppo pensare, anche solo per un attimo, di esserne degna.
Scosse la testa. «È assurdo...»
Miria le afferrò una mano, tenendola tra le sue, morbide e profumate. «Non voglio arrogarmi il privilegio di sapere cosa passa per la mente del Creatore, ma è chiaro che abbia qualcosa in serbo per te. Altrimenti, non ti avrebbe aiutata a guarire dopo quello che ti è successo, sia prima che arrivassi dai Druidi, che contro quel drago. Sei speciale, Kyra.»
La ragazza fece per ritrarre la mano, ma all'ultimo ci ripensò. «Davvero hai delle visioni?»
L'altra annuì. «So che sembrano tutte storie, raccontate per attirare l'attenzione... ma prima di incontrare i Venator, il Creatore mi ha mandato un segno.» Allungò le gambe nel vuoto, sollevando lo sguardo verso le nubi cariche di neve sopra di loro, facendo un respiro profondo. «Ero sull'orlo di un altissimo precipizio, e guardavo impotente mentre l'oscurità inglobava ogni cosa. Quando anche l'ultimo raggio di luce era svanito, ho urlato, ma non riuscivo ad emettere alcun suono. Allora mi sono sentita sollevare, e una forza misteriosa, ma al contempo rassicurante, mi ha spinta a gettarmi nell'abisso.»
«E se fosse stato soltanto un sogno? O un Risvegliato che voleva ingannarti?»
Miria scosse la testa, un sorriso sicuro sul volto. «Mi sono svegliata, e ho provato un desiderio impellente di andare nel giardino dietro il monastero. C'era un cespuglio di rose, che tutte sapevamo fosse ormai morto da tempo: era grigio, rinsecchito e contorto su sé stesso, la pianta più brutta che avessi mai visto. E invece, quel giorno, quando andai a guardarlo... tra i rovi secchi, c'era una singola rosa, bellissima e profumata, i petali morbidi e perfetti.»
Kyra si grattò il moncone di orecchio. «E pensi che sia stato il Creatore, a mandarti visioni sull’Orda e una rosa per avere speranza?»
«Chi altri avrebbe potuto dirmi così chiaramente che dovevo andarmene da lì, lasciare la vita del monastero e andare a cercare coloro che avrebbero fermato Urthemiel?»
«Un sogno e una rosa, non mi sembrano indicazioni molto chiare.»
«Tutto accade per un motivo.»
«Sono quasi morta, due volte. Mi servirebbe una spiegazione più chiara di qualche fiore.» Grugnì la ragazza, guardandosi le punte dei piedi.
Miria sembrò incerta sul da farsi, ma dopo un attimo di pausa, si azzardò a fare la sua domanda. «Posso chiedere cosa ti è successo? Non nei dettagli, ma...»
 Kyra inspirò la brezza gelida, incerta se raccontarle o meno l'accaduto. Miria le piaceva, e non l'aveva mai vista trattare gli altri con cattiveria o superiorità, anzi, era sempre la prima ad aiutare, se ce n'era bisogno. E l'immagine della donna, terrorizzata, che urlava il suo nome sulla cima della montagna del tempio di Birchwood, dopo che era stata mandata a terra dal drago... Il volto di Miria era stata l'ultima cosa che aveva visto prima di perdersi nell'oscurità, e la prima quando aveva riaperto gli occhi.
«Dovevo sposarmi…» Iniziò a raccontare, quasi un sussurro. Gli eventi di quel giorno impressi indelebilmente nella sua mente, sul suo corpo, come se li rivivesse ogni giorno. «Henrik, si chiamava, era arrivato da Melwatch con la promessa sposa di mio cugino. Era un buon partito, e mio padre mi aveva dato l'abito di mia madre, l'avevo riadattato, era bellissimo. Bravil era in festa, il grande albero in piazza addobbato con decine di fiocchi, lanterne e fiori... Poi sono arrivati loro.» Digrignò i denti, l'odio verso Torygg e i suoi che tornava a galla, mai sopito. «Il figlio del Sovrintendente di Tristram e alcuni suoi uomini. Ci hanno trascinate via, me, mia cugina e altre ragazze, prive di sensi, e nessuno ha fatto niente. Non uno degli abitanti di Bravil ha alzato un dito per impedirglielo. Non il capo villaggio, non mio padre, nemmeno i miei vicini di casa, o il ragazzo che lavorava a fianco a me al mercato. Nessuno, tranne mio cugino Soris e Henrik, hanno rischiato la vita per noi. Ho fatto quello che dovevo, per permettere ad Aela e alle altre di uscirne vive...» Finì per perdere la voce. Sentiva gli occhi pizzicarle, ma non sapeva se era rabbia, dolore o vergogna. Non era stata abbastanza forte. Avrebbe potuto uccidere Kendells e i suoi, se fosse stata forte come Castalia, come una vera guerriera, e non una schiava. Aveva fatto del suo meglio, sacrificandosi per gli altri, ma alla fine non le avevano nemmeno concesso la grazia di ucciderla, lasciandola a convivere con la vergogna di quanto aveva dovuto subire.
Se fosse stato davvero il Creatore a salvarla, avrebbe avuto un sadico senso dell'umorismo.
Sentì Miria farsi più vicina, appoggiando la spalla alla sua, le mani ancora intrecciate.
«Mi dispiace, non avrei dovuto chiedere.»
Scosse la testa. «Non importa.»
Rimasero lì, sedute sul tetto del mulino, in silenzio.
Cominciarono a cadere piccoli fiocchi di neve, che appoggiandosi a terra formarono una sottile coltre bianca. Kyra rabbrividì, stringendosi nel mantello di pelliccia. Forse era il caso di rientrare, ma...
«È bellissima, non trovi?»
Si girò verso Miria, che aveva allungato una mano verso l'alto, come ad afferrare i fiocchi. Sembrava rapita, un ampio sorriso sul volto.
Non rispose, limitandosi a guardare il lago. Chissà se si sarebbe ghiacciato, a tal punto da poterci camminare sopra. Aveva sentito che poteva succedere, in inverno.
Uno starnuto la colse di sorpresa, rompendo la pace. «Sarà meglio ripararci, prima di congelare.» Disse, tirando su le gambe e cercando l'appoggio che aveva usato per salire.
In breve tempo, raggiunsero di nuovo il castello. Kyra scoccò alle mura uno sguardo astioso, ma entrò senza fare storie. Il freddo era un ottimo motivo per ingoiare l'orgoglio e l'odio verso la nobiltà umana, per una volta. E il bagno caldo menzionato da Miria non era una cattiva idea...
«Allora, ci vediamo dopo a cena?» Le chiese l'altra.
La ragazza annuì, salutandola. Salì in camera e prese i due grandi secchi che serviva a riempire la vasca.
Andò in direzione del pozzo, rifiutandosi di chiedere aiuto ai servitori del castello. Con qualche difficoltà, iniziò a far girare la manovella per far scendere il secchio, che era già rigida per il ghiaccio. Riuscì a calarlo, mettendosi con tutta la forza a tirarlo su. Le spalle che le dolevano, riempì metà del primo secchio. Sbuffò, riportandolo sul fondo. A metà strada, sudava e ansimava come un mantice.
«Vuoi una mano?»
Sobbalzò e per poco non si lasciò sfuggire la presa.
Julian, il cappuccio del mantello pieno di neve, afferrò la manovella, la mano proprio accanto alla sua. Combatté l'istinto di ritrarsi di scatto. «Ce la faccio da sola.» Ringhiò per lo sforzo.
«Guarda che se congeli, mi toccherà rompere il ghiaccio.» Si mise a ridacchiare da solo.
 Kyra sbuffò, irritata dalle battute del Venator. «Se vuoi aiutarmi, stà zitto e gira.»
Insieme, riuscirono in breve tempo a riempire entrambi i secchi.
«Ora puoi anche andare.»
Il ragazzo rimase a fissarla. «Sono parecchie scale.»
«Non sarà un problema.»
«Insisto.»
Kyra valutò l'opzione di ucciderlo e gettare il cadavere nel pozzo. Purtroppo, dubitava di riuscire anche solo a colpirlo, dato il male terribile che aveva alle braccia dopo tutta la fatica. «D'accordo.» Cedette infine, tirandone su uno e lasciando che Julian prendesse l'altro.
Attraversarono il cortile, quando dei rumori metallici attirarono la loro attenzione.
Castalia incurante della neve e del freddo, mulinava una grossa spada a due mani contro Kamal, che sembrava anche lui assolutamente a suo agio. I due erano talmente assorti nel combattimento, che non si accorsero di essere osservati.
«Mi preoccupa, sai?»
Kyra non rispose, ipnotizzata dalle movenze della Venator. Nonostante il guerriero del Kehjistan fosse decisamente più grosso, la ragazza minuta riusciva comunque a tenergli testa.
«Non so cosa le passi per la testa.» Continuò imperterrito Julian. «E credo sia sempre peggio.»
Si volse verso il Venator, sorpresa. Tornando da Birchwood, le era sembrata di umore molto migliore rispetto a quando avevano iniziato a viaggiare insieme. E il Sangue aveva funzionato, quindi...
«Non dorme, mangia a malapena... E la cosa peggiore è che non si lascia aiutare. So che essere un Venator è difficile, tra i sogni e la Corruzione, per questo cerco di convincerla a dirmi cosa la turba, ma continua a chiudermi fuori.» Fissava Castalia con sguardo triste. «Se solo capissi cos'è che non va, potrei cercare di fare qualcosa...»
L'altra scosse la testa. «Credo non ci sia nulla che tu possa fare.» Non sapeva neanche lei cosa fosse esattamente successo alla Venator, ma era chiaro che aveva ricordi dolorosi legati al suo Clan.
Julian riportò l'attenzione su di lei. «Magari con te si può confidare, no?»
«Perché siamo entrambe Druide?» Ribatté piccata. «Non funziona così.»
Il Venator diventò rosso in volto. «No, non intendevo... Perché sembra averti preso in simpatia. O almeno, non ti ignora o disprezza apertamente. E sei una delle poche persone con cui lo fa.»
«Parla anche con Ichabod e Riful, se per questo. O Senua e Kamal.»
Il ragazzo si grattò la nuca, a disagio. «Sì, beh, non è che posso andare da Rful o gli altri a...» Si zittì, sospirando. «Tienila solo d'occhio, d'accordo? Ho paura che si faccia del male. Solo questo, per favore.»
Kyra osservò la Venator parare con l'elsa della spada un potente fendente alla testa, girando su se stessa e cercando di disarmare Kamal, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio. «Credo sappia cavarsela da sola.»
«Proprio questo mi preoccupa...»
Lasciarono Castalia ad allenarsi, attraversando il cortile e salendo le scale che portavano alle camere degli ospiti. Arrivati di fronte alla camera che Kyra condivideva con l'altra Druida, Julian lasciò a terra il secchio d'acqua, salutandola.
Lei si limitò ad un cenno col capo, ripensando a quanto detto dal ragazzo.
Mentre aspettava che l'acqua si scaldasse, di fronte al camino accesso, guardò verso il cortile, dove i due si stavano ancora allenando. La neve ormai cadeva fitta, rendendole difficile individuarli.
Dopo un po', richiuse le imposte, godendosi il tepore della stanza.
Si spogliò lentamente, togliendosi i vari strati di pelliccia, armatura e abiti.
 Prese i due secchi e li versò nella vasca, riempendola ed immergendovisi dentro. Il vapore le avvolgeva il corpo, mentre l'acqua calda le ammorbidiva la pelle. Si appoggiò al bordo, chiudendo gli occhi. Era una sensazione bellissima, il bagno caldo.
Pochissime volte nella sua vita era riuscita a farne uno, e mai dopo la morte di sua madre.
Scacciò i ricordi, cercando di svuotare la mente. Si ritrovò suo malgrado a canticchiare una ninnananna che Adaia le cantava sempre. Le parole le tornarono in mente, e forse non se le ricordava nemmeno correttamente, ma il ritornello era semplice.
Non temere, mia bambina,
Dovunque andrai,
Ascoltami.
Il pettine che scioglieva i nodi, districando gentilmente la massa di capelli ricci.
A casa ti guiderò.
Le mani profumate della mamma sapevano di gelsomino, con il quale si acconciava la chioma, così simile alla sua.
A casa ti guiderò.
Il suo sorriso, mentre la sollevava dalla vasca, abbracciandola e avvolgendola nell'asciugamano, il gelsomino che riempiva l'aria.
A casa ti guiderò.
Si morse il labbro inferiore, una lacrima che scendeva solitaria sulla guancia, incapace di fermarla. Tirò su col naso. Chissà cosa avrebbe pensato, se avesse saputo che la sua bambina era stata riportata in vita per ben due volte. Forse era proprio la madre che vegliava su di lei. I morti risiedevano al fianco del Creatore, quindi era possibile che lo avesse pregato di guarirla.
Ma in quel caso, non avrebbe potuto semplicemente evitare che si trovasse ad un passo dalla morte?
Avrebbe voluto avere la sicurezza di Miria. Sembrava così certa delle sue visioni, che Kyra quasi ci credeva. Com'era possibile mentire con tanta passione, dopotutto? Le sue parole sembravano vere, ciò che aveva visto poteva davvero essere un avvertimento e al contempo un modo per incoraggiarli ad avere ancora speranza, nonostante tutto quello che stava accadendo.
Eppure...
Immerse la testa sott'acqua, sapendo già che non avrebbe mai trovato una risposta alle sue domande.
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arwenprettygirl · 6 years
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Legge l'ultimo messaggio della ragazza, non le risponde a causa del verde del semaforo appena scattato. Il piede preme il pedale dell'acceleratore mentre innesca la marcia più alta, guidando in direzione dell'abitazione di Arwen. La serata stava per cominciare, entrambi non si erano mai visti ma solo sentiti per messaggio fino a quel momento. Non sapeva come fosse di persona, si era solo limitato a guardare qualche sua fotografia. Le strade della città erano affollate di gente, le file di macchine erano una chiara dimostrazione del traffico cittadino che caratterizzava la Grande Mela, non si sarebbe mai abituato a tutto quello. Solo dopo qualche minuto, raggiunge il palazzo nel quale viveva Arwen. Posteggia la macchina proprio davanti al portone della hall senza preoccuparsi se ci fosse qualche divieto e scende dall'auto, dirigendosi dentro la struttura. ❝Buonasera, sto cercando...❞ La frase viene lasciata in sospeso perché distratto dalla figura della ragazza che aveva riconosciuto subito dopo essersi rivolto all'uomo che faceva da guardia al palazzo. ❝Sei puntuale, volevi proprio essere l'eccezione che conferma la regola.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Ha impiegato ore per scegliere cosa indossare, come acconciare i capelli, se lasciarli sciolti che contornavano il suo viso così estremamente squadrato, o raccoglierli in una morbida crocchia per mettere in evidenza i suoi zigomi alti. Ma alla fine, ce l'ha fatta. I capelli sciolti erano la scelta migliore. Scende con l'ascensore nella hall del suo palazzo con qualche minuto di anticipo, certa che avrebbe sorpreso ancora una volta l'uomo, dimostrandogli che era davvero l'eccezione di cui aveva parlato. Puntuale come un orologio svizzero, la giovane si ferma nella sala attendendo il suo arrivo e quando lo vede varcare l'ingresso, sorride, un sorriso sincero. Non si erano mai visti, ma aveva fatto qualche ricerca, aveva osservato qualche sua foto rimanendo impressionata per quanto i suoi occhi fossero all'apparenza così freddi. ❝Sono stata di parola...❞ Mormora alzandosi in piedi ed avvicinandosi all'uomo. L'espressione sul suo viso tradisce una certa timidezza, le gote appena diventano più rosate, ma il sorriso sulle sue labbra è sbarazzino. ❝Ti avevo detto che sarei stata puntuale. Cosa dici, oltrepassiamo le presentazioni formali?❞
Victor J. Thornburn
Era stata di parola e questa volta era stato lui a farla aspettare anche se non per colpa sua. Sapeva che le strade a quell'ora potessero essere molto trafficate, le persone uscivano da lavoro e chi invece, come loro, usciva per andare a mangiare qualcosa. Lo sguardo è posato su quello della ragazza, la osservava attentamente come se potesse scoprire ogni parte di lei solamente guardandola. Sembrava leggermente imbarazzata  e le guance erano colorato da un leggero rosa che non aveva nulla a che fare con il trucco. ❝Visto che sei stata di parola, ti sei ufficialmente meritata questa cena.❞ Un sorriso appena accennato spunta sulle labbra, mentre le fa cenno di dirigersi verso l'uscita del palazzo così da poter dare ufficialmente inizio a quella serata che avrebbero passato insieme tra una pietanza e un'altra. ❝Tu conosci me, io conosco te. Le presentazioni formali non servono più, Arwen. Sei pronta ad andare? ❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Da quando si era trasferita a New York, aveva preso consapevolezza che per spostarsi da un punto all'altro della città, il fattore tempo era sempre contro di lei. Ecco perché non disse alcunché riguardo al suo lieve ritardo. Il sorriso sulle di lei labbra si amplia, cercando di nascondere il divertimento per quell'affermazione, ma incapace di rimanere in silenzio. ❝Meriterò anche la ricompensa alla fine di questa cena.❞ Replica con un sorriso questa volta più marcato. Nei giorni precedenti, si erano a lungo scambiati messaggi, ma ora che si trovavano insieme, ella avverte quel brivido che aveva provato anche in precedenza. Segue la sua falcata, nonostante i tacchi alti, stringendo la pochette che tiene nella mano destra mentre varcano insieme l'uscita dalla sua residenza. Si avvicina alla macchina posteggiata, e una sferzata d'aria fresca la fa stringere appena nelle spalle. ❝Mai stata così pronta. Mi terrai all'oscuro fino a quando non saremo a destinazione? Posso già dirti che ho una fame da lupi.❞
Victor J. Thornburn
❝Che tipo di ricompensa?❞ Aggrotta la fronte visibilmente curioso prima di distogliere lo sguardo da quello della ragazza. Era arrivato il momento di andare. Per quella serata, aveva lasciato il bastone a casa, camminare senza alcun sostegno stava diventando più semplice seppur costituisse uno sforzo eccessivo per lui ma non era intenzionato a portarlo con se ovunque. L'aiuto del bastone gli impediva di zoppicare in modo troppo eccessivo, evitava che il peso gravasse sulla gamba sinistra aiutandolo a sorreggersi meglio. Usciti dal palazzo, i suoni della città li circondarono così come la leggera aria serale che li costrinse a ripararsi dentro l'auto, così da rimanere al caldo. ❝Te l'ho detto, si trova vicino al Central Park. E' un ristorante non troppo grande, intimo direi e non è troppo elegante.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Una risposta ad una mia qualsiasi domanda... Per iniziare. Poi chissà, pensavi ad un altro tipo di ricompensa?❞ Ridacchia per quell'espressione così seriosa, e soprattutto curiosa da parte dell'uomo. Era certa delle sue capacità, e avrebbe fatto di tutto per vincere, ma non per dimostrare qualcosa, ormai non si trattava più di questo, ma per avere la possibilità di scoprire anche solo un accenno di quell'uomo così misterioso. Lo segue dapprima con lo sguardo, cercando di memorizzare ogni tipo di particolare, ogni minuscolo dettaglio ed imprimerselo nella mente, senza tralasciare, quel quasi inesistente, passo zoppicante. Probabilmente qualsiasi altra donna gli avrebbe chiesto informazioni, lo avrebbe tartassato di domande, ma non Arwen, non lei. Sarebbe stato lui, chissà se e quando, ad affrontare l'argomento. Sarebbe stato lui, se avesse voluto, a raccontarle qualcosa su di lui.   Una volta salita in macchina, ella rilassa le spalle, si lascia invadere dalla brezza fresca autunnale, da quel profumo così intenso. ❝Mi piace che sia intimo, e come ho detto, mi piacciono le cose alla mano. In fondo non sono forse i posti migliori?❞
Victor J. Thornburn
❝Mi sembrava che la sfida si basasse proprio su quello; una risposta ad una tua domanda.  Forse pensavi tu a qualche altro tipo di ricompensa.❞ Uno sguardo veloce in direzione della ragazza prima di sistemarsi meglio sul sedile del guidatore così da rilassare finalmente la gamba, stare in piedi era più difficile e dopo un po' iniziava il dolore. Inserisce le chiavi nel quadro della macchina così da metterla in moto e abbassare il freno a mano pronto per partire. Ci sarebbe stata un po' di strada da fare sopratutto se il traffico fosse stato intenso, sperava di arrivare in orario così che potessero entrambi soddisfare la voglia di cibo. ❝Anche io preferisco i posti non troppo affollati, specialmente i ristorante. Il mormorio in sottofondo mi infastidisce e mi distrae. Quindi si, credo proprio che siano i posti migliori.❞ Gli occhi, questa volta, scrutano la strada. E' concentrato a guidare, entrambe le mani sono posate sul volante. Non c'era alcuna fretta di arrivare e quella sera avrebbe rispettato ogni semaforo e segnaletica stradale, così da non mettere in pericolo la persona che sedeva al suo fianco.
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Sei tu che hai tirato in ballo qualche altro tipo di ricompensa. Ti stai per caso tirando indietro?❞ Domanda con quella punta di divertimento nella voce che non riusciva a tenere a freno. Tutti i suoi movimenti erano precisi, studiati quasi, ma quando Arwen si rilassa seduta all'interno dell'abitacolo, non può fare a meno di guardarlo. Le strade passano, i marciapiedi sono gremiti di persone che si apprestano a tornare a casa o a uscire per una bevuta, eppure tutto sembra lontano ora. ❝Nei luoghi troppo affollati, non si ha la possibilità di ascoltare ciò che dice l'altra persona e viene meno quell'intimità che si condivide davanti a un pasto. Un po' come il vivere fuori città.❞ Apprezza il fatto che segua la segnaletica, i semafori rossi, ma ringrazia quella calma per poterlo studiare meglio: il suo profilo, la linea dura della mascella. Solo quando si rende di fissarlo, volge lo sguardo altrove per un lieve istante. ❝Mi sembra che tu sia molto più tranquillo rispetto a ieri... Tirato qualche pugno a boxe?❞
Victor J. Thornburn
❝Non mi sto tirando indietro. Non per così poco. Ma, del resto, non lo avrei fatto a prescindere❞ Si ferma ad un semaforo rosso, in altre circostante sarebbe passato senza fin troppi scrupoli.  Era solito andare più veloce come se in questo modo i pensieri non potessero sostare per troppo tempo nella sua mente. La velocità, lo rendeva tranquillo. ❝Anche questa volta, sono costretto a darti ragione. Ecco perché mi piacciono le città calme, niente troppo caos e  gente che non fa altro che parlare e parlare dei loro problemi. Lo stesso vale per i ristoranti, troppe voci, troppe storie che si accavallano. ❞ Si volta a guardarla velocemente, la nota mentre lo stava osservando come se anche lei lo stesse studiando attentamente. Non gli davano fastidio gli occhi addosso, era abituato ad essere osservato e soprattutto era una cosa che faceva anche lui. ❝Diciamo di si, ancora non posso fare molti sforzi ma questo non m'impedisce di rilassarmi. Pronta a mangiare? Siamo arrivati.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Allora non hai paura.❞ Mormora appena la ragazza mentre l'automobile si ferma ad un semaforo rosso. Lì, fermi ed isolati da tutti, sembrano isolati da tutto ciò che li circonda e, senza nemmeno accorgersene, si ritrova ad annuire silenziosamente. Basta uno sguardo, uno scambio rapido in cui entrambi si guardando, si studiano ed Arwen accenna un sorriso come se l'avessero beccata a fare qualche malefatta. Aveva notato che era andato con estrema calma nel percorrere il tragitto che li divideva, ma qualcosa le diceva che era qualcosa di controllato, che solitamente non era così che si comportava. ❝Prontissima. Beh, hai l'occasione di rilassarti stasera, no?❞ Scende dalla macchina con un movimento lento per poi chiudere la portiera dell'automobile con un tonfo sordo. Si guarda attorno attendendo che Victor scendesse dalla macchina e la raggiungesse. ❝Sei ancora in tempo per ritirarti se vuoi, ma alla domanda dovrai rispondere ugualmente. Le scommesse sono scommesse, Victor.❞
Victor J. Thornburn
❝Di cosa dovrei avere paura?❞ Domanda del momento in cui la macchina si ferma nel parcheggio di fronte al ristorante. Erano arrivati e ben presto  avrebbero iniziato quella sfida che li avrebbe portati a mangiare più del dovuto. Sarebbe stato divertente vederla in difficoltà a finire il cibo oppure lo avrebbe sorpreso. In entrambi i casi, si sarebbero divertiti entrambi e sarebbe stata una serata rilassante, diversa dalle altre alle quali era abituato. ❝E tu hai la possibilità di mangiare quanto vuoi. Ci guadagniamo entrambi, no?❞ Scende dalla macchina chiudendo lo sportello alle sue spalle, aspetta che anche la ragazza sia scesa, prima di chiudere l'auto con l'apposito telecomando. Fa il giro della macchina solo per raggiungere Arwen e affiancarla così che entrambi potessero raggiungere il ristorante. ❝Non ho intenzione di ritirarmi ma sembra che tu non sia più convinta. Paura che possa vincere? Succederà sicuramente e sarà una bella vittoria. Mi domando se tutto quel cibo riuscirà ad entrarti, lo spazio nello stomaco non è illimitato, ragazzina. Ma questo lo vedremo presto.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Di farti battere da una ragazzina?❞ Domanda quasi con un tono di voce insolente, eppure sempre con quel sorriso divertito sulle labbra carnose che un poco la identificavano. Avrebbe vinto quella sfida, come ogni obiettivo che si era messa in mente nella sua vita, e avrebbe dimostrato la sua tenacia, ma soprattutto era la loro occasione per trascorrere una serata diversa dal solito. Chiude appena le labbra, passa la punta della lingua dapprima sul labbro superiore e subito dopo su quello inferiore prima di girarsi nella sua direzione per un fugace istante. ❝Potrei aggiungere che non è solamente il mangiare, ma anche la compagnia.❞ Confessa mentre attende l'uomo che l'affianca. Non guarda nemmeno ciò che li circonda, punta lo sguardo sulla figura dell'uomo accanto a lei cercando, ancora una volta, di percepire qualcosa in più. A quella domanda, però, scoppia a ridere, una fragorosa risata che le fa portare una mano al décolleté appena scoperto dalla camicia bianca che indossa e che mostra appena il suo seno. ❝ Questa era buona, ragazzone. Io non ho paura, sono praticamente certa di riuscire a sorprenderti. Hai poca fede in me, prima il ritardo e ora questo... Che vinca il migliore! Entriamo, intanto? Ti lascerò anche la scelta del menu, ma ricorda, non trattenerti.❞ In quelle ultime parole vi è qualcosa di più probabilmente, qualcosa che cela ciò che Arwen vorrebbe davvero dire, ma nei suoi occhi sa che si legge ogni cosa.
Victor J. Thornburn
❝Non succederà, mi sembra di ripetertelo all'infinito. Magari, ci sarà un pareggio.❞ Non avevano considerato quell'opzione, era la prima volta che pensava ad un possibile pareggio e se fosse successo davvero non sapeva cosa avrebbero ottenuto entrambi. Ci avrebbero pensato al momento. Arwen sembrava a suo agio in sua presenza, non era intimorita dal suo atteggiamento o dallo sguardo serio dei suoi occhi. Raramente aveva riso, quasi come se avesse dimenticato come si faceva. L'esperienza passata, tutto quello che aveva vissuto, aveva intaccato la sua personalità, cambiandolo completamente. ❝Perché dovrei trattenermi? Non né avevo intenzione, comunque.❞ La risata genuina della ragazza lo colpisce, come se davvero quel che lui aveva detto fosse stato divertente. Diversamente da Arwen, lui si limita a sorridere alzando appena il lati delle labbra all'insù, in un mezzo sorriso divertito. Seppure gli occhi della ragazza erano facili da leggere, gli piaceva tirarle fuori le parole. Voleva farla parlare e  confessare tutto quello che pensava. ❝Prego.❞ Accompagna quell'unica parola con un gesto della mano mentre l'altra aveva tirato verso di se la maniglia della porta così da aprirla e permettere alla ragazza di entrare all'interno del ristorante.
Arwen Grace A. Halvorsen
Scuote appena il capo, ma questa volta decide di rimanere in silenzio, lasciandogli l'ultima parola. Non era mai stato semplice farla tacere, o anche solamente avere l'ultima parola, o avere a che fare con lei e con il suo caratterino, ma deve ammettere che il ragazzone, come lo chiamava lei, sa farci eccome. Da quando si erano incontrati nella hall della sua abitazione, Arwen non ha visto nemmeno una volta un sorriso, un'espressione o un qualsiasi altro cenno che potesse rivelarle il suo stato d'animo, eppure, qualcosa dentro di lei, le dice che poco a poco quell'omone grande e grosso si stesse rilassando. Per davvero. ❝Chissà, magari perché ti senti intimorito o qualsiasi altra sciocchezza maschile vi possa venire in mente di fronte a una ragazzina, appunto.❞ Gli lancia uno sguardo di sfida, e quando la donna intravede il sorriso appena accennato, una sensazione più che piacevole sembra invaderle il petto. Si avvicina alla porta d'ingresso, e dopo un cenno del capo per ringraziarlo e un sorriso sbarazzino sulle labbra, varca la soglia e un ambiente assolutamente intimo e caldo li accoglie. Avverte immediatamente la sua presenza alle spalle, e il suo profumo sembra invaderle le narici, un profumo maschile, forte, un po' come era lui, o almeno così credeva. Avrebbe raccolto ogni informazione e dettaglio che avrebbe potuto, ma non avrebbe fatto l'errore di invadere la sua privacy tempestandolo di domande. Non lei. ❝Un vero galantuomo. E' molto carino qui...❞
Victor J. Thornburn
❝Intimorito? Intimorito da cosa? Dovrei spaventarmi di te? E' la cosa più assurda che io abbia mai sentito.❞ Dopo aver aperto la porta e concesso alla ragazza di entrare per prima all'interno del ristorante, fa il suo ingresso anche lui rimanendo alle spalle di Arwen sovrastandola in altezza. Era più alto di lei nonostante la ragazza fosse abbastanza slanciata, era una modella del resto ed il suo fisico era impeccabile. I due vengono accolti da un cameriere che da loro il benvenuto in quel ristorante non troppo grande, accogliente e perfetto per una serata tranquilla e rilassante. ❝Ho prenotato un tavolo per due, a nome Thornburn.❞ Il ragazzo che li aveva accolti annuisce, invitandoli a seguirlo oltrepassando la fila di tavoli per condurli verso il loro un po' più appartato degli altri così che nessuno li avrebbe potuti disturbare. ❝Quindi dovrei continuare a comportarmi da gentil'uomo? Stasera vuoi proprio approfittare del sottoscritto. ❞ Fa il giro del tavolo solo per andare a scostare la sedia dal tavolo così che lei potesse prendere posto prima di lui, non era abituato a quel genere di galanterie, non ricordava l'ultima volta che aveva portato una donna in un ristorante e offerto lei la cena. Non c'era stata nessuna donna importante in quegli anni ma solo brevi avventure di una notte che finivano sempre al solito modo, con lui che andava via.
Arwen Grace A. Halvorsen
Era come se la presenza dell'uomo alle sue spalle le incutesse timore, ma allo stesso tempo una sorta di sicurezza del tutto nuova. Una volta entrati all'interno del locale, Arwen segue il cameriere che li accompagna nella parte più riservata del ristorante, al riparo da sguardi indiscreti, così da poter rimanere tranquilli e godersi quella serata che era appena iniziata. Alza un angolo delle labbra in un accenno di sorriso, dopo essersi posizionata davanti alla sedia e prima di sedersi volge il capo della sua direzione con uno sguardo probabilmente più sensuale di quanto non fosse intenzionata a fare. ❝Magari sei tu che vuoi approfittare di me.❞ Replica prendendo posto e appoggiando la sua borsa minuscola a lato. Le piacevano quelle galanterie, come ad ogni donna certo, ma a lei non interessavano. Era più interessata alla sostanza che alla forma, ma soprattutto credeva nel fatto che ognuno dovesse essere com'era e non comportarsi in un modo, per così dire, artificiale. Attende che prenda posto, e nel mentre non può fare a meno di osservare la sua forma fisica, il suo petto ampio e quei fianchi stretti che portavano a gambe tornite ben fasciate dai pantaloni. ❝Ciò che voglio è che tu sia te stesso, Victor, che tu ti senta a tuo agio e non che tu debba pensare a come comportarti pensando che possa offendermi. ❞
Victor J. Thornburn
❝Immagino che ti piacerebbe se io approfittassi di te.❞ Si accomoda anche lui sulla sedia posta di fronte a quella della ragazza così che potesse osservarla attentamente, il suo sguardo era attento e annotava ogni minimo particolare,  ogni sua espressione o movimento. Era abituato a studiare il territorio in cui si trovava e lo stesso valeva con le persone, aveva imparato a scrutarle in modo attento e riconoscere ogni forma emozione attraversasse il viso. Non si stava trattenendo con lei nonostante glielo avesse appena ricordato ma, da una parte, non gli piaceva mostrare troppo se stesso. C'era troppa oscurità in lui, poteva essere pericoloso, un degno figlio di suo padre. ❝Sono me stesso, Arwen. Può sembrarti strano o forse non mi crederai ma se non fossi a mio agio non ti avrei neanche invitata, non ti avrei mai proposto di uscire con me e non saremmo qui a parlarne. Non scambiare la gentilezza con il non essere a proprio agio e il non volersi mostrare per quello che si è.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Inarca appena un sopracciglio per poi abbassare lo sguardo sentendo il calore arrivare fino alle gote. Quella sensazione di imbarazzo giunge perfino alle gote che diventano immediatamente più rosee, mentre il cuore manca un battito prima di battere un po' più velocemente. ❝La stessa cosa potrei dirlo io di te.❞ Replica senza così confermare o negare la sua affermazione.  Glielo avrebbe lasciato fare, se lui ci avesse provato? Forse. Avrebbe voluto che lo facesse? Probabilmente sì. Ma dopo? Dentro lei il conflitto interiore continua, fino a quando non decide di mettere a tacere quella vocina dentro di lei e di seguire solamente l'istinto, con le conseguenze belle o brutte che ne sarebbero derivate. Questa volta il viso della giovane si fa più serio, osserva l'uomo di fronte a lei che cela qualcosa di molto più profondo di quanto non voglia dare a vedere, qualcosa che la sembra attrarre sempre di più. Chiunque sarebbe stato probabilmente spaventato, intimorito dalla sua presenza possente, da quegli occhi di ghiaccio, ma non Arwen, non dopo ciò che era diventata. Rimane con lo sguardo puntato sul suo, un lungo sguardo che si scambiano, che probabilmente parla più delle loro parole dette. ❝Ti credo. E sono qui perché avevo davvero voglia di uscire con te, per conoscere o perlomeno imparare a conoscere ciò che vorrai, non ora e magari non qui, dirmi di te. Parlo bene con te, mi sento bene con te, e sto conoscendo il tuo lato gentile in questo momento... E sì, mi piace, Victor.❞
Victor J. Thornburn
Non può non notare quel colore roseo spuntare sulle sue guance, continua ad osservarla mentre lo sguardo della ragazza si abbassa forse per l'imbarazzo del momento. Sapeva tenergli testa e forse era una delle cose che lo avevano colpito maggiormente, non si lasciava battere da nessuno neppure da uno come lui che poteva incutere timore e mettere a disagio. Arwen era naturale, si stava mostrando com'era realmente e questo lo aveva apprezzato più di ogni altra cosa. ❝Non hai negato né confermato niente.❞ Come non aveva fatto lui. Entrambi non aveva risposto a quella domanda velata ma, nonostante ciò, il silenzio poteva significare molto di più rispetto a delle parole. La schiena si rilassa contro lo schienale della sedia mentre ad interromperli è il cameriere con i loro menù e una bottiglia d'acqua che posa sul tavolo prima di tornare al suo lavoro. Aveva interrotto la loro chiacchierata ma Victor non era intenzionato a smettere. ❝C'è ancora una sfida che devi vincere, se lo farai, potrai sapere qualcosa di me ed io potrò sapere ciò che non hai mai rivelato a nessuno. Sono piuttosto curioso di questo ma tempo al tempo. Crede che ci sia qualcosa di me che non sia gentile?❞ La fronte si aggrotta leggermente, voleva conoscere la sua risposta per capire come lo avesse inquadrato. Le persone erano solite farsi un'idea di lui, pensava che lo stesso valesse anche per lei. Una mano si allunga verso il menù che viene aperto mostrano le scritte di tutte le pietanze che preparavano, la fame iniziava a farsi sentire e forse era arrivato il momento di ordinare. ❝E' arrivato il momento di ordinare, scegli quello che più ti piace. Qualsiasi cosa.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Nemmeno tu.❞ Ribatte immediatamente a quelle parole, ma senza che le stesse fossero un'accusa, anzi. Aveva ceduto abbassando lo sguardo, aveva mostrato un accenno di imbarazzo certo, ma non gli avrebbe concesso terreno, gli avrebbe dato del filo da torcere ed era proprio quel battibeccare, e sapersi tenere testa vicendevolmente che la attirava. Ma nonostante questo, quel silenzio, quello sguardo, diceva molto di più di quanto non avessero appena fatto. Prende poi il tovagliolo mettendoselo in grembo, notando la schiena dell'uomo notevolmente più rilassata e nell'esatto momento in cui passa il cameriere, lo ringrazia silenziosamente per prendersi quei pochi secondi per prendere fiato, prima di continuare. ❝Non hai preso in considerazione che ci possa essere anche un pareggio, e in quel caso? Chi avrebbe vinto cosa? Ma devo ammetterlo, non ho ancora idea su cosa chiederti... Ma avrò modo tutta la sera per pensarci e chissà.❞ Smorza il sorriso sulle labbra trattenendo quello inferiore per una frazione di secondo, tra i denti per poi lasciando andare e fargli un semplice occhiolino ammiccando. Prende poi il menu ma senza aprilo diventando appena più seria per rispondere a quella sua domanda. ❝Non ho detto questo. Credo che tu sia una persona gentile, cortese, ma credo che a volte tu ti sforzi di essere qualcosa che non sei per non mostrare ciò che sei realmente. I tuoi occhi celano sofferenza, una sofferenza che io non posso nemmeno immaginare, ma che capisco. Sei controllato, attento, e quando eravamo in macchina ho notato come controllassi ogni cosa, come se fossero tutte variabili da prendere in considerazione.❞ Probabilmente aveva parlato troppo, ma non se ne pentiva. Era schietta, naturale, e non girava troppo intorno alle cose e di certo non avrebbe cominciato proprio ora. Inspira per poi aprire il menu e dare una letta veloce alle pietanze, e ai cibi che avrebbero potuto scegliere. ❝Mi dai carta bianca, eh? Abbiamo detto primo, secondo, contorno e dolce. Lascio a te la scelta del primo, mentre come secondo, mi piacerebbe la carne. Cosa ne dici?❞
Victor J. Thornburn
L'arrivo del cameriere sembrava aver spazzato via quell'atmosfera carica di tensione, aveva permesso a lui di rilassarsi sulla sedia mentre ad Arwen di riprendere controllo del proprio corpo. ❝Certo che ho considerato la possibilità di un pareggio ma ancora non so cosa potremmo ottenere entrambi. Forse, ognuno potrebbe avere la risposta che cerca, sarebbe una vittoria per entrambi e tutti saremmo soddisfatti. Pensi che sia una scelta corretta? Nessuno rimarrà a bocca asciutta.❞ In caso di pareggio, pensava che la proposta appena rivelata alla ragazza potesse essere una soluzione per accontentare entrambi, così che ognuno avrebbe ottenuto ciò che voleva, cioè delle risposte. Entrambi avrebbero messo a tacere la curiosità almeno per un po', del resto c'era molto da raccontare ma il tempo non sarebbe mancato. Lo sguardo continua a vagare su quella lista infinita di pietanze, la ragazza aveva scelto il secondo mentre a lui toccava il primo. Si concentra su alcuni piatti prima di alzare lo sguardo e richiudere il menù con l'aria di chi sapeva fin dall'inizio ciò che avrebbe ordinato. ❝Mi piace avere tutto sotto controllo però mi piace anche perdere il controllo. Non dovrei dirti queste cose visto che non hai vinto nessuna sfida ma qualcosa dovrò pur dirti, no? Sono una persona attenta perché il mio lavoro lo richiede. Se non lo fossi, a quest'ora non sarei qui a parlare con te e ad ordinare dei ravioli con crema d funghi e mandorle. Perché sì, questo sarà il primo. E la carne è perfetta.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Nonostante l'interferenza del cameriere quella tensione sembrava essere solamente smorzata, ma non perduta. Vi era un qualcosa che li accomunava, un filo invisibile che a poco a poso si stava tessendo. Ascolta attentamente le sue parole, e nonostante non avesse preso in considerazione quell'eventualità, deve ammettere che potrebbe essere un buon compromesso. Entrambi avrebbe soddisfatto la propria curiosità, almeno apparente e fino alla prossima sfida, ma senza bruciarsi nel tutto e subito. Le cose vanno coltivate, e il tempo non sarebbe loro mancato. ❝Almeno per ora. Tutti vincono e nessuno perde.❞ Confessa nonostante la sua competitività gridasse che vi fosse un solo ed unico vincitore e sarebbe stata lei.  Umetta poi le labbra nascondendo un sorriso, appena un accenno ammiccante e soddisfatto nell'udire le sue parole. Le piaceva che fosse attento, scrupoloso, ma anche il fatto che gli piacesse perdere il controllo, andando incontro probabilmente a qualche rischio. ❝Quindi cosa dice di me? Che ti ho inquadrato, almeno apparentemente? E direi scelta ottima, che si accompagna alla perfezione con una tagliata di manzo all'aceto balsamico. Un bicchiere di vino? E posso capire non lasciare nulla al caso, ma lasciarsi andare e rischiare, beh...❞
Victor J. Thornburn
❝Mi sembrava la scelta più giusta anche se scommetto che tu voglia vincere ugualmente. O, almeno, provare a farlo. Lo stesso vale anche per me.❞ Anche questa volta le sue labbra si inarcano all'insù in un mezzo sorriso. entrambi avrebbero voluto vincere, entrambi avrebbero voluto ottenere qualcosa ma ancora era presto per decidere il vincitore. Avevano deciso le pietanze da ordinare ed entrambi sembravano convinti della loro decisione così alza la mano per chiamare con un cenno il cameriere, così da attirare la sua attenzione e farlo avvicinare. Era arrivato il momento di ordinare la cena e una bottiglia di vino rosso per accompagnare i pasti gli sembrava perfetto. E' lui a dire le ordinazioni, l'attenzione è rivolta al ragazzo che scriveva accuratamente tutto quel che lui diceva prima di congedarsi nuovamente con un cordiale sorriso. ❝Dicevamo? Ah si.  Piuttosto, credo che a te piaccia perdere il controllo tanto quanto me. Pensi che sia eccitante, né sono sicuro.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Ricambia il sorriso facendo un semplice cenno del capo per annuire alle sue parole. Sapeva perfettamente che entrambi avrebbero voluto vincere, ma i giochi erano appena all'inizio e per designare un vincitore, vi era ancora parecchio tempo. Osserva con attenzione la sua maestria, il suo essere così controllato anche nel chiedere una semplice bottiglia di vino, con sicurezza e scrupolosità. Ad ogni parola, ogni gesto sembra che Victor sia appena più chiaro agli occhi della giovane, intenta a scoprire ogni sfaccettatura, ma era certa che i segreti, i demoni, non sarebbero mai finiti. Il sorriso che ora aleggia sulle labbra di Arwen è ben diverso ai precedenti, più sbarazzino, più malizioso, più spregiudicato quasi. Alza appena una spalla accompagnando quel movimento con una semplice scrollata. ❝Credo che non ci sia nulla di male nel perdere il controllo. La vera eccitazione è il proibito, e tutto sta nel non sapere che cosa accadrà dopo, quando lasci che sia l'istinto a guidarti e non più la mente. Pensavi che mi sarei scandalizzata?❞
Victor J. Thornburn
C'erano molte cose che preferiva tenere per se, non gli piaceva parlare di se stesso, del passato. Avrebbe volentieri evitato perché parlarne significava far tornare tutto alla memoria per poi soffocare gli ogni cosa. Arwen, d'altro canto, nonostante gli apparisse curiosa sapeva stare al suo posto. Sapeva quando porgli delle domande, sapeva cosa dire senza tirarsi indietro e cambiare argomento. Continuava a rispondergli a tono ed era sicuro che in lei ci fosse molto di più ciò che mostrava. ❝Non pensavo fossi così. Non pensavo che le ragazze della tua età potessero essere così o forse tu sei l'eccezione.❞ In quel tavolo lontano da tutti, dagli occhi indiscreti dei clienti che mangiavano indisturbati ed ignari della loro conversazione, potevano parlare senza essere sentiti da nessuno. Era stato furbo ad aver prenotato il tavolo più lontano della sala, così che entrambi potessero approfondire la conoscenza, così che potessero essere più liberi di dire ciò che pensavano.
Arwen Grace A. Halvorsen
Aveva promesso che non avrebbe superato il limite e così avrebbe fatto. Non lo avrebbe tempestato di domande, sul come e sul perché, perché sì, gli interessava, ma per ogni cosa vi era un tempo e ci sarebbe stato un tempo anche per quello. Ad Arwen interessava scoprirlo poco alla volta, e ciò che Victor era disposto a condividere con lei, e non perché messo alle strette. Il sorriso sulle labbra si amplia maggiormente a quelle sue parole che ella interpreta come un complimento. ❝E siamo a quattro... Quattro volte in cui ti ho sorpreso, e non posso non dire che questa volta sono io ad essere sorpresa. Come pensavi che fossi?❞ Domanda con curiosità incurante che qualcuno che potesse origliare, ma grata che nessuno desse loro peso o attenzioni. Era libera di essere se stessa, con i suoi pregi e i suoi difetti, senza la paura di essere giudicata, perché quella era solamente una paura del passato. Quando arriva il cameriere a portare la bottiglia ordinata, questa volta, non ha il potere di interrompere quella tensione che si sta creando, quella elettricità che sembra volare nell'aria. Versa loro da bere nei calici di vetro e si allontana in silenzio, ma lo sguardo di Arwen è posato sull'uomo e nulla la distoglie. ❝Brindiamo alle eccezioni?❞
Victor J. Thornburn
Osserva il sorriso spuntare sulle sue labbra. Un sorriso sincero e sereno di una persona che si stava godendo la serata e la compagnia. Aveva apprezzato quel complimento, la sua non voleva essere una critica, anzi tutto il contrario. Non aveva mai conosciuto ragazze che non si preoccupassero troppo delle conseguenze, che vivevano la vita cogliendo l’attimo giusto. ❝Credevo ti avessi sorpreso con la mia innegabile bellezza. Scherzo, non sono solito vantarmi. Non so, non pensavo che perdere il controllo potesse essere eccitante per te, per esempio. Sei così piccola eppure continui a dimostrarti più matura. ❞ Questa volta torna ad essere serio, era convinto delle parole che stavano uscendo dalla sua bocca. La differenza di età era evidente tra i due, lui forse sembrava dimostrare qualche anno in più mentre lei era una ragazzina che ancora doveva imparare molto dalla vita. Erano due poli opposti che si incontravano senza scontrarsi e andare in mille pezzi. L’arrivo del cameriere interrompe nuovamente la loro conversazione, questa volta i calici vengono riempiti di vino rosso. ❝Alle eccezioni. ❞ Ripete, una volta che il cameriere li lascia soli. Prende in mano il bicchiere per sollevarlo a mezz’aria in direzione della ragazza per fare un brindisi.
Arwen Grace A. Halvorsen
Tutto si tramutava nel cogliere il momento giusto, nel seguire l'istinto e sapere che nulla era realmente in mano nostra. Ma anche in quel caso, vi erano scuole di pensiero piuttosto differenti. Mordicchia il labbro inferiore, questa volta in modo più deciso per nascondere il sorriso sulle sue labbra carnose, ma senza alcun successo. ❝Sergente? Tenente Thornburn è forse in cerca di complimenti?❞ Domanda in modo assolutamente divertita, ma senza confermare che ciò che aveva di fronte le piaceva eccome. I capelli biondi, gli occhi di ghiaccio che nascondevano demoni da affrontare, e pericoli da vivere, ma quella era solamente la forma che nascondeva una sostanza ben più profonda. Questa volta è lei a rilassare la schiena contro lo schienale della sedia sulla quale è seduta, facendo un semplice cenno del capo scuotendolo. ❝E' davvero così importante l'età per te?❞ Domanda a bruciapelo, senza però esserci una punta di risentimento o rabbia. Punta lo sguardo su di lui, analizza i tratti del suo viso imprimendoli sempre di più nella sua mente, ma cercando di intravedere ciò che era davvero nascondeva in quel momento. Il viso della giovane inevitabilmente si fa più serio, prima di allungare una mano e prendere il calice contenente il liquido rosso. ❝Non ci si dovrebbe basare sull'età anagrafica di una persona per giudicarla e verificare il suo grado di maturità, ma piuttosto sulle esperienze che questa ha vissuto. Ci possono essere trentenni che hanno una maturità di un dodicenne e altri che sono più maturi seppur la loro data anagrafica non rappresenti un età troppo altra...❞ Confessa prima di avvicinarsi questa volta con il busto e il braccio appena teso per far tintinnare il suo bicchiere contro quello di Victor, mantenendo tuttavia lo sguardo puntato sul suo, come voleva la tradizione, occhi negli occhi. Sorseggia appena il vino assaporandone il gusto amaro che si sposava benissimo con l'eccitazione che sembrava pervadere l'aria in quel momento. ❝Per perdere il controllo bisogna essere in due però... Cosa pensavi che fosse eccitante per me?❞
Victor J. Thornburn
❝Comandante e no, non sono in cerca di complimenti. Tu si?❞ È visibilmente divertito da quello scambio di battute, non era mai stato il tipo che cercava complimenti né che adorava mettersi in mostra ma era sempre stato consapevole di piacere alle donne, del resto era stato con molte di loro. Adesso era Arwen ad essere rilassata, la vedeva a suo agio e continuava a divertirsi a tenergli testa mentre il sorriso sulle labbra non andava via. ❝In certe situazioni, come l’amicizia, l’età non mi preoccupa. Hai ragione, sono le esperienze che rendono una persona matura. Ma, alla mia età, dal punto di vista sentimentale, qualche dubbio lo avrei. Però, non mi è mai successo, quindi non dovrei preoccuparmene.❞ Gli occhi sono fermi su quelli della ragazza, cerca di cogliere ogni minimo particolare del suo viso. Scende, solo per qualche secondo, ad osservare le sue labbra carnose mentre venivano mordicchiare dai denti, quasi come se fosse una piacevole tortura. Ritorna a posare lo sguardo nel suo, regalarle nuovamente la sua attenzione prima di avvicinare il calice di vino a quello di Arwen e farlo tintinnare. ❝Cosa ti eccita? ❞ Ed è proprio con quella frase appena pronunciata che il cameriere poggia i piatti sul tavolo, servendoli. Aveva sentito ciò che lui aveva domandando alla ragazza, probabilmente lo aveva messo in imbarazzo ma in quel momento non gli importava. Congeda il cameriere con un cenno della mano, come se avesse appena congedato un suo subordinato dopo avergli dato un ordine.
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Comandante Thornburn non ho bisogno di ricevere complimenti per sapere che sono bella, sebbene come ogni donna apprezzi quando me li facciano.❞ Replica immediatamente con una punta di divertimento nella voce e anche nell'espressione facciale. La diverte quello scambio, e Victor è in grado di tenerle testa, cosa che assolutamente non sarebbe accaduta con qualcuno della sua età. Ci era passata più volte, aveva dato loro una chance ma senza alcun successo, e sapeva esattamente il motivo. Ascolta con attenzione quelle parole, mentre il sorriso si smorza appena per poi celare tutto dietro un sorriso e un nuovo sorso di vino. ❝Se non ti è mai successo, come puoi giudicare? Ma soprattutto non credi che ogni persona è diversa?❞ Posa gli occhi sui suoi, sono ormai agganciati e niente e nessuno sono ormai in grado di distoglierli. Scende sulle sue labbra, e più il basso, sul pomo d'Adamo che si muove ad ogni parola, ma questa volta Arwen è costretta ad abbassare il calice di vino e affondare i denti nel suo labbro inferiore per tutt'altro motivo. L'arrivo del cameriere in quell'esatto momento è totalmente ininfluente nel contesto della situazione, non lo vede nemmeno e il gesto di Victor la impressiona in modo assolutamente positivo. Le piace che abbia il controllo, le piace che non lasci interferire terze persone, e nell'esatto momento in cui il cameriere volge le spalle, ella si avvicina al tavolo, quasi sporgendosi. ❝Il non sapere, il pericolo... L'adrenalina e la totale assenza di controllo, puro istinto. Ora lo chiedo a te.❞
Victor J. Thornburn
❝Non hai bisogno di complimento? Eppure, non sono io quello che arrossisce ogni volta.❞  Continuava a metterla alla prova per sapere come avrebbe risposto alle sue provocazioni, sembrava che niente potesse zittirla senza farle rispondere a tono e questo lo apprezzava. L’arrivo del cameriere sembrava non aver imbarazzato Arwen, per lei era come se nessuno fosse venuto ad interrompere quella conversazione e in effetti il ragazzo era stato congedato senza troppi giri di parole perché, in quel momento, era di troppo. ❝Certo che penso che ogni persona sia diversa dall’altra. Se fossimo tutti uguali, sarebbe una tragedia. ❞ La osserva sporgersi verso di lui come se gli stesse rivelando un segreto che nessun altro poteva ascoltare. Si sporge in avanti anche lui per assecondare quel gesto, ascoltando quel che la ragazza aveva da dire. L’adrenalina era sempre piaciuta anche a lui, motivo per cui praticava sport estremi e gli piaceva correre. Allo stesso tempo, amava avere in mano la situazione, decidere ogni cosa. ❝Mi piace perdere il controllo ma allo stesso tempo voglio averlo. Sembra strano ma è così. Questo non significa che non mi lascio andare ma ci sono alcuni momenti in cui mi piace avere la completa situazione in mano.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Apre appena la bocca per replicare, con le gote che diventano appena più rosee, chiara risposta alle sue parole, eppure nulla avrebbe fatto tacere un tipino come Arwen. Poteva imbarazzarsi, poteva perfino essere intimidita a volte, ma non lo dava a vedere, e la sua parlantina era come un fiume in piena. ❝Il fatto che arrossisca non significa che ne abbia bisogno. Comandante Thornburn...❞ Lo chiama ancora una volta con il suo grado, sentendo come scivola bene sulla lingua pronunciare il suo nome, e come la sua sola vicinanza ora la faccia sentire ancora più disinvolta. ❝Meno male allora che tutti siamo diversi...❞ E beh, lei lo era di certo. Non guarda nemmeno il cameriere, era di troppo in quel momento, ed ella ringraziò, ancora una volta, il fatto che fossero in qualche modo appartati, non perché si vergognasse, ma perché credeva che alcune cose dovessero accadere solamente a quattr'occhi. Attende la sua risposta che non tarda ad arrivare, e quando lo ascolta, non può che ritrovarsi d'accordo, capendolo forse più di quanto credesse. ❝Non è affatto strano. Un conto è sapere fin dove ci si può spingere, un altro è essere incoscienti, ma per avere completamente la situazione in mano deve avere qualcuno che te lo permetta. E in questo momento hai il pieno controllo, Victor?❞ Si sporge maggiormente verso di lui, questa volta con un tono di voce più basso, più caldo appena più roco come se in quelle parole vi fosse anche una seconda sfida non detta, mentre lo sguardo non accenna nemmeno per un secondo a sganciarsi dal suo.
Victor J. Thornburn
Arwen non smette di chiamarlo con il suo grado unito al suo cognome, era abituato ad essere chiamato in quel modo ma il tono di voce della ragazza era diverso da quello dei colleghi. Il suo nome, pronunciato da quelle labbra, era più sensuale. Era lei a renderlo in quel modo. ❝Però significa che ti piacciono se a farli sono io. Sei arrossita per me, Arwen.❞ Dice quella frase quasi in un sussurro, lo voce roca e profonda, come un segreto appena condiviso solo con lei. Si domandava come sembravano visti da fuori, una coppia che non smetteva di guardarsi negli occhi neanche per un secondo.  Chissà, cosa pensava la gente. Non che gli fosse mai importato. ❝Penso di avere il controllo. Penso che se ti dicessi di andarcene, tu approveresti e mi seguiresti.  Ma un po’ lo sto lasciando anche a te, perché ti permetterei di fare ciò che vuoi. ❞ Il cibo era stato dimenticato, come se non fosse mai stato portato a tavola e non aspettasse di essere assaggiato. Stavano dimenticando di essere in un luogo pubblico, con il leggero chiacchiericcio un sottofondo e la gente seduta a tavola a godersi tranquillamente la serata. Non c’era più nessuno, per entrambi l’attenzione era focalizzata sull’altro. Arwen si era sporta ancora di qualche centimetro verso di lui, riusciva a guardarla  attentamente negli occhi e memorizzare le sfumature del loro colore.
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Touché.❞ Sussurra in risposta non appena apprende le parole da lui dette. Era vero, non era una che si imbarazzava, ma sentirsi dire determinate cose dall'uomo che le sedeva di fronte, aveva su di lei un certo effetto, ormai era impossibile negarlo. Alle sue parole il sorriso che fino a quel momento aleggiava sulle di lei labbra, ora si fa più ampio, divertito e quasi spudorato. ❝Stai dimenticando la nostra scommessa, o la vuoi spostare su un altro terreno di gioco?❞ Domanda mentre solo appena sente il profumo della prima pietanza che era stata servita. Ormai il cibo sembra aver perso tutto il suo interesse, e i due sembrano essere troppo impegnati per dedicarsi a questo. Non esiste nulla al di fuori dell'altra, e non importa che cosa pensi chi li sta guardando o che cosa dicano, mai una volta aveva dato retta al parere degli altri e non avrebbe di certo cominciato quella sera. Osserva il suo viso, la barba appena incolta e quelle pagliuzze oro che rendevano i suoi occhi ancora più ipnotici. ❝Che cosa vuoi chiedermi, Victor?❞  
Victor J. Thornburn
Un mezzo sorriso spunta sulle sue labbra, aveva ragione riguardo ai complimenti e lei gli aveva appena dato la conferma. Il cibo era stato dimenticato da entrambi, come ad quella sfida lanciata qualche giorno prima avesse perso il suo valore portandoli a pareggiare. Il sorriso di Arwen si distende maggiormente, sembrava aspettarsi qualcosa da lui, magari un invito ad andare via dal ristorante facendo perdere ad entrambi la scommessa. ❝E quale sarebbe questo terreno di gioco? Voglio sapere.❞ Qualunque fosse stata la sua proposta, non si sarebbe tirato indietro ed era convinto che la ragazza avrebbe fatto la stessa cosa se le parti fossero state inverse. Aggrotta leggermente la fronte prima di portarsi il palmo della mano sulla barba, un gesto abituale per lui. ❝Cosa vuoi che ti chieda, Arwen? ❞
Arwen Grace A. Halvorsen
❝Comandante Thornburn, non giochi con me.❞ Lo avverte ma mantenendo un tono di voce basso e roco, mentre la punta della lingua ora passa sulle labbra disegnandone il contorno prima di prendere il calice di vino rosso. Ne beve un sorso, come se con quel gesto potesse prendere tempo, riordinare le idee e tirare fuori un poco della sua razionalità, ma la verità è che non ne voleva sapere. Stanno entrambi giocando, tastando il terreno e il fatto che no si conoscano rende tutto più adrenalinico.   ❝Sei tu che hai accennato al fatto di andarcene, non io... Per cui un'idea ce l'hai.❞ Ribatte mentre osserva il suo movimento estremamente mascolino. Beve un altro sorso di vino prima di tornare a rilassarsi con la schiena contro lo schienale della sedia, mentre la mano destra che teneva in mano il calice, ruota il liquido borgogna. ❝Non sono io a dovertelo chiedere, Victor.❞
Victor J. Thornburn
❝Ti diverte darmi gli ordini? Dovresti sapere che sono io che li do, solitamente.❞ Arwen stava giocando con lui, non solo con le parole ma anche con i gesti e sopratutto con lo sguardo. Gli occhi non si staccavano dai suoi, era una danza di sguardi che non sapeva dove li avrebbe portarti. Ritorna poggiato comodamente con la schiena allo schienale della sedia mentre allunga la mano per prendere una delle forchette che utilizza per rubare dal piatto un raviolo. Lo porta alle labbra che si schiudono avvolgessi intorno ai denti della forchetta prima di masticare lentamente. ❝Non vuoi pregarmi? È un peccato. So che vuoi essere portata via da qui, lo vedo da come sorseggi il vino. Da come mi guardi.❞ Ritorna a parlare solamente dopo aver ingoiato il primo boccone del primo che aveva ordinato per entrambi. La pasta era tiepida, si stava pian piano freddando a causa della loro conversazione che aveva fatto perdere l’attenzione su ciò che nel mentre stava accadendo intorno a loro. ❝Ho il controllo, Arwen. Se non mi  stessi controllando, non saremmo qui.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Decide di non rispondere, per una volta, alla sua domanda, nonostante le costi una certa fatica. Stava perfino esagerando nel bere così tanto vino a stomaco vuoto, ma dopo qualche istante e dopo l'ennesimo sorso, posa il bicchiere distogliendo così lo sguardo dall'uomo. Ha modo così di prendere fiato, di controllare meglio al respirazione e perché no, anche il suo battito cardiaco che sembra essere impazzito negli ultimi istanti. Scoppia successivamente a ridere nell'udire quella parola, pregarlo, e tale affermazione la fa ridacchiare e perfino scuotere appena il capo. Affonda i denti nel labbro inferiore, prima di prendere un raviolo e portarlo alle labbra mangiandolo con un gesto sensuale, forse ancora più accentuato dalla volontà di lei. Manda giù il boccone, prendendosi tempo, un altro sorso di vino e sposta i capelli dietro l'orecchio sinistro avvicinandosi come a confessare qualcosa di estremamente importante. ❝Ti stai trattenendo, e non parlo di gentilezza. Hai il controllo della situazione, e lo hai appena detto, ti stai controllando, perché? Pensi che possa scappare? O pensi che io sia come una delle altre donne che magari hanno superato il limite?❞
Victor J. Thornburn
Arwen non risponde alla sua domanda, rimane stranamente in silenzio e questo gli permette di distogliere lo sguardo da lei per posarlo sul piatto ancora intatto. Con la forchetta, prende un altro raviolo che porta alle labbra, tornando a masticare. Si era dimenticato della fame in quei lunghi minuti tra una chiacchierata ed un’altra ma, una volta assaggiata la pasta, si ricorda di essere affamato. ❝Se non mi controllassi, quasi sicuramente, saremmo finiti a letto insieme prima di cominciare questa cena. Non ci sarebbe stato alcun ristorante, ci saremmo alzati e avrei pagato le ordinazioni. Saremmo andati da me, mandando al diavolo tutto quello che ci ha portati qui.❞ Lo sguardo torna ad essere serio, torna con gli occhi su quelli della ragazza che sorseggiava il suo vino mentre portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio come se volesse ascoltarlo attentamente per non per perdersi neanche una parola del suo discorso. Lui, invece, allunga la mano verso il calice di vino, né beve un lungo sorso per poi asciugarsi le labbra con il tovagliolo che teneva poggiato sulle gambe. Attendeva la risposta della ragazza in silenzio, tra un sorso ed un altro di vino.
Arwen Grace A. Halvorsen
Aveva fatto bene a non rispondere e stare per una volta in silenzio, perché ora stava agendo di puro istinto e le parole dell'uomo erano il volano di cui aveva bisogno per procedere. Lo guarda assaggiare i ravioli e anche lei ne mangia un secondo, assapora il sapore intenso dei funghi accompagnato da quello più dolce delle mandorle, prima di bere l'ultimo sorso di vino. Avvicina il tovagliolo che teneva in grembo alle labbra per asciugarle, con lo sguardo basso per una frazione di secondo, e non appena termina quel movimento, tira indietro la sedia per alzarsi. Torna con lo sguardo sul suo che probabilmente ora la sta guardando come se fosse pazza, ma era stanca di stare ad aspettare, era stanca di sottomettersi alle regole, e ciò che voleva era seguire il suo istinto. Una volta in piedi, fa il giro del tavolo per posizionarsi al lato dove siede lui e allunga una mano come se lo stesse chiamando. ❝Andiamo.❞ Mormora con lo stesso tono di voce prima, basso e roco. Lo sguardo ora è più caldo e deciso, e probabilmente agli occhi di una persona esterna o anche ai suoi occhi, sta sbagliando ma ormai non le interessa più. Vuole seguire il suo istinto, vuole oltrepassare il limite, sentire l'adrenalina che le scorre nelle vene, e sì, sa che può essere pericoloso, ma è proprio questo che la spinge ad agire. ❝Al diavolo la cena, la scommessa... Termina con un pareggio, vinciamo entrambi. Basta controllarti, da quanto posso vedere hai passato la vita a controllarti e sotto gli ordini di qualcuno, adesso basta. Vieni via con me.❞
Victor J. Thornburn
La riposta di Arwen si fa attendere, pensava che si sarebbe limitata a lasciar correre e continuare a mangiare indisturbata come se quella conversazione non fosse esistita. Anche lui, era tornato con lo sguardo sul suo piatto mentre con la forchetta prendeva l’ennesimo raviolo da portare in bocca quando il suono della sedia che striscia sul pavimento lo costringe ad alzare gli occhi verso la causa di quel suono. Era stata Arwen a spostare indietro la sedia. In quel momento, si trovava in piedi di fronte a lui, la mano tesa nella sua direzione come a volerlo intimare ad alzarsi dalla sedia e seguirla fuori dal ristorante. Non da retta alle persone che si sono voltate verso la loro direzione, li stavano guardando ma l’attenzione era rivolta alla ragazza e al fiume di parole che fuoriusciva dalla sua bocca. Se avesse preso la sua mano, avrebbe mandato tutto al diavolo. Non sarebbero potuti più tornare indietro. Le conseguenze non gli erano mai imporrate, gli piaceva correre il rischio ma quella volta si ritrova a riflettere per qualche secondo di troppo, prima di prendere la mano della ragazza e lasciare qualche banconota di troppo in bella vista sul tavolo. ❝Non si torna indietro, Arwen.❞ Era serio, voleva che capisse fino in fondo dove si stavano spingendo entrambi. Avevano appena bruciato tutte le tappe prima del tempo e quella sfida si era conclusa con un pareggio. Entrambi avevano appena vinto.  Intrecciando le dita con quelle della ragazza, si fa strada verso l’uscita del ristorante sotto lo sguardo incuriosito dei clienti che si erano soffermati a guardarli, interrompendo la loro cena.
Arwen Grace A. Halvorsen
Probabilmente chiunque altro avrebbe atteso, qualsiasi altra ragazza avrebbe atteso che fosse l'uomo a fare la prima mossa, o comunque avrebbe atteso un tempo per loro ragionevole. Ma non Arwen. Lei era quella ragazza del tutto e subito, se ne era sempre infischiata delle conseguenze e il motivo per cui era così matura, nonostante i suoi ventun'anni era dovuto al fatto che aveva compiuto fin troppo sbagli in passato. Ma non le importava, era ciò che era. Quando parla, con la mano ancora tesa, Arwen non sa se intreccerà le dita alle sue o se le riderà in faccia. Potrebbe tramutarsi tutto nel suo più grande sbaglio, ma non le importava, vuole sentire ancora quel brivido che non l'ha mai abbandonata da quando si sono incontrati. Segue i suoi movimenti come al rallentatore e quando lo vede alzarsi, intreccia le dita alle sue. ❝Non ho intenzione di tornare indietro. Meglio pentirsi di aver fatto, e non fare affatto.❞ Corre sui stacchi, dietro di lui, mentre le persone li guardano sbigottiti dal loro comportamento, ma a lei non interessa. Giunge fuori, e una sferzata novembrina li investe, ma non è quello a farla rabbrividire, i brividi che prova sono dovuti a tutt'altro.
Victor J. Thornburn
Il suono dei tacchi della ragazza riecheggia nella sala fino a quando l’aria fresca serale non s’imbatte sui loro corpi, li avvolge completamente. Si volta a guardarla velocemente, le loro dita ancora intrecciate, prima di avviarsi verso l’auto parcheggiata a poca distanza dal ristorante. Era stata Arwen a prendere l’iniziativa, qualcosa che non aveva mai visto nelle donne. Fino a quel momento, era sempre lui a prendere decisioni ma con lei era stato diverso e lo aveva  visibilmente sorpreso. La ragazza era pronta a prendersi le sue responsabilità, a sbagliare con lui e pagarne le conseguenze qualora ce n’è fossero state. ❝Non è uno sbaglio. Non lo è per me.❞ Nonostante lo sguardo fosse rivolto alla strada, la teneva d’occhio rivolgendole delle brevi occhiate prima di arrivare alla macchina accompagnandola dal lato del passeggero.
Arwen Grace A. Halvorsen
L'aria fresca s'abbatte su di loro con una sferzata, dichiarando che presto o tardi sarebbe perfino nevicato. Quell'aria la ritempra e le fa perfino piacere sulle gote che erano diventate rosse e calde per quella iniziativa che aveva preso. Mai nella vita era stata lei a prendere un'iniziativa del genere, ma era ciò che si sentiva, ma giusto o sbagliato che fosse, era vero. Stringe le dita attorno alla sua mano, i corpi che ora si muovono rinvigoriti da un ignoto che stavano per scoprire, e quando giungono insieme alla macchina, Arwen di volta, con una distanza minima dal di lui corpo. ❝Non lo è nemmeno per me. Conseguenze o no, non mi interessa...❞ Osserva il suo volto visibilmente sorpreso dal gesto che aveva appena compiuto, osserva i suoi occhi mentre le mani sono ancora intrecciate e loro in piedi nel silenzio della sera a studiarsi per un istante che sembra interminabile. Osserva i suoi occhi, scende sulle sue labbra, il pomo d'Adamo che ora si muove ad ogni respiro per poi guardarlo nuovamente negli occhi. ❝Non sono mai stata più convinta... E a quanto pare, ti piace farti sorprendere da me.❞
Victor J. Thornburn
Erano d’accordo su una cosa, nessuno dei due avrebbe rimpianto quel momento. Quello che stavano facendo, quello avrebbero fatto, non sarebbe stato considerato uno sbaglio. Era la prima volta che l’età non contava perché nonostante la grande differenza che li separava, Arwen era più matura delle altre donne con il quale era stato. ❝Come a te sembra piacere sorprendermi. Sta succedendo troppe volte da quando ti ho conosciuta.❞ Si erano fermati davanti la macchina, nessuno dei due accennava a muoversi né a sciogliere quell’intreccio di dita. È lui a fare la prima mossa questa volta, non sarebbe stata lei a prendere l’iniziativa. Con la mano libera le porta indietro una ciocca di capelli così da scoprirle il volto contornato da un leggero rossore dovuto al freddo ma anche a ciò che stava succedendo in quel momento tra di loro. Le dita indugiano sulla sua guancia rosea mentre lo sguardo ricade sulle sue labbra che si era trovato ad osservare più volte quella sera. Nonostante fosse slanciata, lui era più alto di lei, ed é costretto a piegarsi appena per raggiungere l’altezza del suo viso, lasciando che le punte dei loro nasi si sfiorassero così come le loro labbra. ❝Felice che non ti sia tirata indietro. ❞ Mormora con voce roca contro le sue labbra, prima di poggiare definitamente le proprie su quelle della ragazza, niente di troppo avventato né troppo veloce. Quella sera, nonostante la cena fosse appena saltata, se la sarebbero goduti.
Arwen Grace A. Halvorsen
Rimane lì, in piedi davanti alla sua figura, un corpo snello, forte e che probabilmente portata i segni delle sue missioni. Certo, lei era alta, ma minuta nel complesso e vicino a lui sembrava forse più piccola, ecco da dove derivava quel senso di sicurezza che aveva avvertito. Non molla la presa sulla sua mano, le dita strette in un intreccio studiandosi come se nok avessero fatto altro durante quei momenti all’interno del ristorante, ma ora con una consapevolezza in più. ❝Voglio continure a farlo. ❞ Confessa con un sorriso sulle labbra, un sorriso malizioso ma anche malandrino, ma che lascia spazio ora a una espressione più intesa non appena le loro pelli vengono a contatto. Segue il movimento della sua mano con il capo, inclina così lo stesso ma senza smettere di osservarlo, schiudendo appena le labbra. Lo sguardo indugia sulle di lui labbra, possono persino assaporare il respiro dell’altra con la loro vicinanza e quando i loro nasi si sfiorano, il profumo mascolino di Victor le invade le narici. ❝Puro istinto.... ❞ Mormora appena prima di posare la mano libera sul suo petto coperto, appoggiandosi e ricambiando quel bacio in totale contrasto con il battito del sul cuore. Le labbra accarezzano le sue con un movimento leggero, non studiato, come se da quel bacio potessero conoscersi un po’ di più, ma prendendosi tutto il tempo di cui avevano bisogno.
Victor J. Thornburn
Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in quel parcheggio desolato solo con lei, con le labbra premute contro le sue, durante la loro prima uscita. Non avrebbe mai immaginato che una ragazza così piccola per lui potesse spingersi così tanto oltre, superare ogni limite. Le labbra si assaporavano lentamente, non c'era alcuna fretta in quel bacio, nessuna urgenza, avevano tutto il tempo a loro disposizione per sfilarsi di dosso i vestiti. La mano, ferma sulla sua guancia, si era spostata sulla nuca della ragazza così da spingerla appena contro di se, la stava trattenendo mentre le loro labbra continuavano a toccarsi con più sicurezza. Solo dopo qualche secondo, decide di scostare appena il viso da quello di Arwen, si prende qualche secondo, prima di riaprire gli occhi e guardarla. ❝Cosa vuoi continuare a fare?❞ Mormora contro le sue labbra, allentando la presa sulla sua nuca senza lasciarla andare del tutto. Arwen era poggiata contro di lui, la mano sul suo petto. Non accennava a distanziarsi, come se nessuno dei due volesse davvero allontanarsi l'uno dall'altra.
Arwen Grace A. Halvorsen
Quando aveva accettato di uscire con lui e raccogliere la sua sfida, non aveva minimamente pensato a cosa sarebbe successo. Non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea che tra i due poteva scattare qualcosa, ma non perché non la attraesse, anzi, ma perché Victor sembrava far della loro differenza d'età un problema. Ma Arwen era così, coglieva l'attivo, viveva il presente senza preoccuparsi delle conseguenze, e si godeva ogni istante. Tuttavia la presenza di lui, accentuava quel suo tratto caratteriale, faceva nascere in lei la voglia di spingersi ancora più in là. Assapora le sue labbra senza alcuna urgenza, le schiude appena in modo che possa godersi quel bacio che sembra agognato dopo tutte quelle parole. Si prendono il loro tempo, mentre la mano di Arwen stringe febbrilmente il tessuto che copre il petto dell'uomo, conseguenza diretta della sua mano che scivola tra i suoi lunghi capelli sciolti. Aderisce al suo petto e solo quando la presa viene allentata, la giovane apre gli occhi nascondendo un sorriso sincero con quel rossore sulle gote che la caratterizza. Alza lo sguardo, e fa saettare quegli occhi su di lui, cercando di carpirne le sensazioni che sta provando, mentre la lingua assapora ancora il gusto delle sue labbra e quel respiro fresco che sta cominciando a conoscere. ❝Voglio continuare a sorprenderti, comandante.❞ Stringe la presa delle loro mani intrecciate, mentre con la punta del naso sfiora la sua senza avere fretta. Non doveva essere una corsa per arrivare solamente a destinazione, e il fatto che fossero ancora lì sul marciapiede dove tutti avrebbero potuto vederli, dimostrava quanto volessero godersi ogni tappa. Questa volta è lei a prendere l'iniziativa, alzandosi sulla punta dei piedi nonostante i tacchi e assaporare le sue labbra in modo più profondo, cercando la sua lingua dando origine ad una vera e propria danza.
Victor J. Thornburn
Nessuno dei due accennava a muoversi, si stavano prendendo del tempo per loro come se fossero all'interno di una piccola bolla che lasciava fuori il mondo. C'era solo loro due, nessun altro. Questa volta è Arwen a fare il primo passo, si solleva sulle punte dei piedi nonostante portasse i tacchi e le bocche erano nuovamente l'una premuta sull'altra. Lascia la presa dalla sua mano, per circondare la sua vita con il braccio in modo tale da sorreggerla senza troppi sforzi. Il bacio era diverso dal primo, era più sicuro e le loro labbra avevano preso confidenza così come le loro lingue che si muovevano in una danza, intrecciandosi ed incontrandosi. I loro sapori si erano mischiati proprio come i loro respiri e il loro profumi, tutto era appena diventato una cosa sola. Indietreggia appena, poggiando la schiena contro la portiera della macchina ancora chiusa. Nessuno era uscito dal ristorante e, ancora una volta si chiese cosa avrebbe pensato le persone mentre li vedevano così affiatati, a baciarsi in un parcheggio davanti ad un ristorante. In quel momento, alcun pensiero vorticava nella sua testa, non c'erano preoccupazioni né sensi di colpa per essersi trovato in quella situazione né per aver permesso a qualcuno di avvicinarsi in quel modo. In quel momento, non avrebbe pensato a nulla, si sarebbe goduto la serata e ciò che stava succedendo. Al resto avrebbe pensato in seguito. Ancora una volta, è lui ad interrompere il bacio seppur controvoglia. Ritorna ad osservarla scostando la mano dalla sua nuca per farla tornare sulla sua guancia colorata di rosa. ❝Credo sia arrivato il momento di andare.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Si stavano prendendo il tempo per loro, per godersi quel momento e quel bacio. Chiunque avrebbe guardato nella loro direzione chissà cosa avrebbe pensato, ma ad Arwen non importava alcunché. Non le era mai fregato nulla di ciò che dicesse o pensasse la gente, e di certo non avrebbe cominciato proprio ora. Assapora meglio il bacio, le sue labbra morbide con la lingua che procedeva con stoccate lente e sensuali, godendosi quel momento di intimità. Si appoggia agevolmente a lui, e non appena Victor scioglie quell'intreccio di mani, ella porta il braccio attorno alle sue spalle, nonostante la loro differenza di altezza fosse apparentemente minima. Trattiene per un momento il di lui labbro inferiore tra i denti, senza però provocargli dolore, movimento però che cela un sorriso sbarazzino. Alza lo sguardo su di lui osservandolo questa volta con ancora più attenzione. ❝Andiamo.❞ Replica come se fosse un comando, mentre scioglie successivamente le braccia dietro il suo collo e si stacca seppur controvoglia da quella carezza così delicata in totale contrasto con il suo corpo forte. Accarezza le sue stesse labbra, ancor più morbide, con un sorriso lieve, naturale e per nulla costruito, prima di aprire la portiera della macchina.  ❝Questa è un tipo di ricompensa a cui accennavo prima...❞
Victor J. Thornburn
❝Devo ammettere che questo tipo di ricompensa, mi è piaciuta...❞ Nuovamente quel sorriso che spunta sulle labbra della ragazza e che questa volta viene ricambiato. Arwen si stacca lentamente dal suo corpo e lui lascia libera la portiera così che possa entrare in macchina e ripararsi dal freddo serale. Anche lui, dopo aver fatto il giro dell'auto, prende posto sul sedile del guidatore allacciando la cintura di sicurezza e accendendo l'auto così da poter finalmente uscire da quel parcheggio. Entrambe le cene erano sospese, nessuno dei due aveva voglia di cibo in quel momento e l'unica cosa che volevano entrambi era conoscersi sia con che senza indumenti addosso. ❝Cos'è che non hai mai rivelato a nessuno?❞ Interrompe quel breve momento di silenzio. Quella domanda avrebbe dovuta porla nel momento in cui avesse vinto la sfida ma quella non era mai stata portata al termine. Una breve occhiata in direzione della ragazza, prima di tornare a guardare la strada, guidando verso casa sua. Non le aveva chiesto se fosse ancora sicura di quella decisione, se fosse intenzionata a tornare a casa oppure andare da lui. Lei, non lo aveva fermato e lui non era intenzionato a farlo.
Arwen Grace A. Halvorsen
Ridacchia in modo assolutamente divertito mentre sale in macchina e chiude la portiera con un tonfo sordo, prima di voltarsi nella sua direzione ed osservarlo salire in macchina. I suoi movimenti ora sono meno controllati, meno studiati, e l'aria attorno a loro ha un sapore diverso rispetto a prima, più intensa, con quel pizzico di eccitazione che le fa drizzare la schiena. Ci sarebbe stato tempo per testare la quantità di cibo che avrebbero potuto ingurgitare, ma ora si era dato inizio ad un nuovo genere di sfida, una sfida che sarebbe potuta molto più a lungo che una semplice cena. Il silenzio dell'abitacolo viene rotto solamente da quella domanda, che in parte aspettava, ma che non era ancora pronta ad ascoltare. Chiude gli occhi per un momento prima di aprirli e guardare fuori dal finestrino, i lampioni illuminati e le strade che si susseguono. ❝Ho sofferto di bulimia.❞ Afferma rompendo definitivamente quel silenzio. Volta il capo nella sua direzione e comincia a parlare, ma questa volta osservando davvero la reazione che avrebbe suscitato. ❝Prima che tu dica qualcosa, e mi giudichi, non sempre è tutto rosa e fiori. Ci si aspettava molto da me, mia madre ha mostrato delle mie foto quando avevo solamente sedici anni, e da quel momento sono salita a bordo di questa giostra che è la mia vita. Non essere mai abbastanza, non essere mai all'altezza, beh mia madre sa come farmi sentire inadeguata.❞ Accenna un sorriso di scherno scuotendo il capo come se volesse allontanare il pensiero della madre. Solo quando si fermano ad un semaforo, alza nuovamente lo sguardo reclamando ora la sua di vincita, non intenzionata in alcun modo a fermarsi. Non aveva detto nulla, si era affidata a lui e ovunque stessero andando, a lei non importava, la decisione era presa, lo voleva. ❝E' il mio turno adesso... Durante i tuoi periodi in missione, hai mai trovato qualcuno che ti sia stato davvero accanto?❞
Victor J. Thornburn
Aspetta in silenzio una risposta alla sua domanda. Risposta che non tarda ad arrivare. Non si aspettava niente del genere. Rallenta la velocità così da ascoltare attentamente ciò che lei aveva da dirgli. Non immaginava che una ragazza così sicura di se, avesse potuto soffrire così tanto ma del resto, poteva comprenderla. Non si sarebbe mai permesso di giudicarla, era consapevole che la vita non fosse sempre giusta e che ci si trovava sempre di fronte a difficoltà nonostante si fosse troppo piccoli ed innocenti per affrontarle. ❝Non sarò io a criticarti, Arwen. E non conosco tua madre come non conosco te, non ancora. Ma posso dire che lei si sbaglia, quel che vedo io è diverso dalla ragazza che hai appena descritto. Mi dispiace che lei ti abbia fatta sentire così, che tutto questo ti abbia fatta soffrire.❞ Le sue parole erano sincere, proprio come il suo guardo che si posa sugli occhi della ragazza per qualche secondo di troppo. Conosceva quella sensazione, conosceva anche il dolore e la sofferenza che avevano sempre caratterizzato la sua vita, fin dalla prima infanzia. ❝Non devi più sentirti inadeguata, perché non lo sei. Non c'è niente di inadeguato in te. Niente.❞ Ritorna a guarda la strada, le mani strette sul volante. Era arrivato il momento della verità, anche lei aveva una domanda da porgli e questa non tarda ad arrivare così come la sua risposta. ❝No, non c'è stato nessuno per me. Quando sei in guerra, eviti di affezionarti alle persone perché la morte è sempre dietro l'angolo e non puoi permetterti di essere in lutto perché c'è sempre del lavoro da fare e si deve avere la mente lucida.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Le sue parole la colpiscono in un modo che è perfino difficile da spiegare a parole. Con quelle parole le aveva dato una sorta di conforto, un modo per dirle che lui la stava accettando per com'era, senza nemmeno che la conoscesse. Alza un angolo delle labbra in un accenno di sorriso, una sorta di ringraziamento silenzioso.   ❝Ormai è passato, mia madre è sempre mia madre, e l'altra persona che mi ha portato nel baratro non fa più parte della mai vita... E per quanto riguarda mia madre, beh ognuno ha la propria croce. Non le darò più il potere che aveva, e se mai esisterà qualcuno che possa avere un potere del genere, sarà perché sono io a darglielo.❞ Mormora con tono di voce deciso, nonostante in quel momento un altro ricordo affiora alla sua mente. La bulimia era una conseguenza, un bruttissimo prezzo che lei ha pagato, per colpa di sua madre, ma la donna non era l'unica responsabile. Ma ci sarebbe stato tempo per confessare anche quella parte della sua vita. Il dolore e il senso di colpa che aveva provato erano ormai un ricordo lontano, ormai era una persona nuova, ma come aveva detto a lui poco prima, erano le esperienze a fare una persona e non l'età anagrafica. Amplia il sorriso non appena ascolta quel tono di voce duro, arrabbiato quasi, mentre ella si sporge per dargli una carezza sul volto, i polpastrelli che accarezzano quell'accenno di barba incolta. ❝Lo so.❞ Si limita a dire con quel gesto gentile, delicato in totale contrasto con quella sua voce roca. Abbassa poi la mano mentre arriva il suo turno nel confessare quella tremenda realtà. ❝E' triste, sconsolante ma ti fa capire che devi vivere il presente fino in fondo.❞
Victor J. Thornburn
❝Non devi permettere a nessuno di trattarti in quel modo. Ed è un bene che tu abbia deciso di prendere in mano la tua vita, perché nessuno deve decidere per te. Neanche tua madre.❞ Sapeva cosa significava sottomettersi completamente al volere di qualcuno, lo aveva vissuto sulla sua pelle e ancora lo viveva seppur non direttamente. Non aveva mai sopportato che qualcuno decidesse per lui né tanto meno aveva mai imposto il suo volere a nessuno. Non si aspettava quel gesto da Arwen, la sua mano si era posata sul suo viso, accarezzandolo dolcemente. Non ricordava l'ultima volta che qualcuno l'avesse accarezzato per tranquillizzarlo, era troppo piccolo per ricordare quel gesto ma lui lo aveva fatto tante volte nel corso della sua vita. ❝Ho accettato la morte tanto tempo fa,  sacrificarmi per la patria è quello che ho deciso di fare. Ma si, vivere mi fa apprezzare il presente.❞ O almeno provava ad apprezzarlo. Aveva fin troppi problemi al quale doveva far fronte. Non era poi così forte come sembrava. era più incasinato di quanto pensasse e rimediare era diventato difficile, più del solito.
Arwen Grace A. Halvorsen
❝E’ passato ormai. Prendo io stessa le mie decisioni, come il fatto di essere qui in questa macchina con te.❞ Aveva fatto quel gesto spontaneamente senza vederci nulla di costruito o altro, eppure la sua espressione sembra essere cambia, lui sembra sorpreso. Abbozza un sorriso triste nell’udire quella triste realtà, e in quel gesto Arwen cerca solamente di dirgli che lei c’era. Allontana poi la mano per portarla nuovamente in grembo, mentre osserva la strada procedendo una destinazione ignota. O meglio, sapeva dove ma solo ipoteticamente. ❝Godiamoci il presente, qui e adesso.❞ Mormora Arwen limotandosi a lanciargli solo un’occhiata e fargli l’occhiolino, cercando così di stemperare l’intensità di quel momento. Umetta le labbra passandosi poi una mano tra i capelli e spostarli tutti verso il lato destro del collo mentre osserva il susseguirsi di palazzi. Sapeva che dietro quella maschera che lui indossava, vi nascondevano più demoni di quanto dicesse, ma lei non ne era spaventata, non ne era intimorita, e se avesse potuto dargli sostegno, Arwen l’avrebbe fatto. ❝Dove siamo diretti?❞
Victor J. Thornburn
❝A casa mia.❞ Si volta a guardarla con un accenno di sorriso sulle labbra, l'atmosfera si era appesantita a causa delle loro confessioni ma è servito loro per conoscere una piccola parte della loro vita. La strada, nonostante la città fosse nel vivo della serata, era sgombra di macchine, il traffico non era intenso e gli permetteva di andare ad una velocità sostenuta e raggiungere in pochi minuti la via in cui abitava. Quella sera, sarebbero stati soli. Nonostante condividesse l'appartamento con la sorella, la sera si ritrovava sempre da solo con una bottiglia di birra in mano e i pensieri che gli facevano compagnia. Ferma la macchina in uno dei posti liberi davanti al palazzo in cui viveva, con il suo stipendio si era potuto comprare l'attico di quella costruzione che regalava una bellissima vista su tutta la città, a quell'ora illuminata. ❝Sei ancora sicura? Perché non penso che ti riaccompagnerò a casa tanto presto.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Osserva le vie sgombre di auto, così che possano sfrecciare ad una velocità più sostenuta rispetto a quella di prima. Le piaceva quel brivido, le piaceva quella velocità e osservare il confondersi dei colori che si mescolavano insieme. Ma ciò che le piaceva era il fatto che finalmente Victor si stesse cominciando a lasciar andare, mostrando una piccola seppur minima parte di sé. Rimane in silenzio ricambiando il sorriso, questa volta più malizioso e seducente, mentre affonda i denti nel suo labbro cercando di trattenersi. Osserva i palazzi circostanti prima di voltarsi nella sua direzione e prendersi quel momento prima di scendere. Lo guarda negli occhi, schiude appena le labbra e risponde con una voce decisa, ma allo stesso tempo roca. ❝Mi offenderei se lo facessi. Non sono mai stata così certa, ti ho chiesto di venire via con me... Basta dare ordini e continuare a controllarti, assapora il presente con me, passa la notte con me.❞
Victor J. Thornburn
Arrivati a destinazione, spegne l'auto sfilando le chiavi e slacciando la cintura di sicurezza per potersi voltare a guardarla. Era sollevato e non aveva cambiato idea riguardo la loro notte insieme. Era da folli, due sconosciuti che stavano bruciando tutte le tappe. Era simile ad un salto nel buio ma né valeva sicuramente la pena. Senza accennare una parola, scende dalla macchina  per andare ad aprirle lo sportello del passeggero  così da permetterle di uscire dall'auto. ❝Assaporerò molto di te questa sera, Arwen.❞ Lo dice in un sussurro quasi come se qualcuno li stesse ascoltando, quelle parole erano destinate solo a lei. Allunga la mano nella sua direzione aspettando che la prendesse, così da intrecciare le dita alle sue e incamminarsi verso l'entrata dell'edificio.
Arwen Grace A. Halvorsen
Probabilmente aveva esagerato con le parole, ma era quello che sentiva in quel momento. Non gli avrebbe di certo chiesto di tornare indietro o portarla a casa, e il suo sguardo valeva più di mille parole. Quel momento, quella bolla di sapone in cui si erano rintanati per quella sera, valeva la pena, perché Arwen sapeva che di fronte a sé aveva un uomo, che davvero valeva. Sgancia la cintura di sicurezza e quando scende dalla macchina, bagna le labbra con la lingua mentre il sorriso malizioso, sbarazzino fa capolino sulle sue labbra, insieme al suo immancabile rossore. ❝Ha tutta l'aria di essere una promessa, Victor.❞ Risponde con un tono di voce probabilmente più basso rispetto a quello dell'uomo mentre allunga una mano e prende la sua. Abbassa lo sguardo sulle loro dita che si intrecciano, si accarezzano, immaginando qualcosa che accadrà probabilmente da lì a poco. Inspira il suo profumo, il suo sapore che si mischia perfettamente con l'aria fresca della sera, prendendosi tutto il tempo per giungere all'ingresso del palazzo.
Victor J. Thornburn
❝Lo è, una promessa.❞ Arwen non rifiuta la sua mano ed esce dall'auto che viene chiusa con l'apposito telecomando. Le loro mani sono nuovamente unite e non può far a meno di notare il rossore sulle guance della ragazza. Era sicuro che non fosse dovuto al freddo ma alla sua presenza, alle parole che le aveva detto. Erano pronti a fare quel passo insieme, a godersi la notte l'uno in compagnia dell'altro. Si volevano e questo lo avrebbe potuto vedere chiunque li guardasse in quel momento. C'era attrazione tra loro. Un'attrazione che presto sarebbe stata appagata. ❝Andiamo.❞ Stringendo la mano nella sua, si avvia con passo malfermo verso l'entrata del palazzo. Con la mano libera, prenota l'ascensore così che scendesse al piano terra per poterli accompagnare in alto, verso l'attico. Pian piano era riuscito a rilassarsi e mettere da parte i dubbi per quello che di lì a poco sarebbe successo, non aveva alcuna intenzione di fermarsi e lei sembrava sempre più decisa. Con un leggero strattone, l'avvicina a se, il profumo dolce della ragazza gli invade le narici imprimendosi nella sua mente. La mano finisce sulla schiena di Arwen, facendo aderire il corpo minuto al suo muscoloso. Avvicina il viso a quello della ragazza, poggiando la fronte contro la sua. ❝Potrei non avere intenzione di fermarmi.❞ Mormora con tono di voce roco prima che le porte dell'ascensore si aprissero davanti a loro. Solo in quel momento, allontana il viso da quello della ragazza per poter entrare dentro l'ascensore che li avrebbe condotti nel suo appartamento.
Arwen Grace A. Halvorsen
Era eccitata, e lo dimostrava il fatto che il rossore sulle sue gote non fosse dovuto al freddo di quella sera, ma al calore che lui le stava suscitando. Sentiva il calore correre lungo il suo corpo, partire dalla parte centrale di lei e salire, sempre di più. Nell'aria vi erano promesse non dette, parole silenziose che si erano tramutati in un unico lungo sguardo che valeva molto di più. Chiunque l'avrebbe capito solo guardandoli. Arwen intreccia le dita insieme a quelle dell'uomo, notando il totale contrasto tra le loro pelli, affascinata da quello che nascondeva, mentre cammina al suo fianco, senza tuttavia affrettarsi o fare qualsiasi cosa che gli possa far affaticare alla gamba. Non ha chiesto nulla riguardo a ciò, perché era certa che sarebbe stato lui, qualora volesse, a raccontarle cosa gli era successo. Ma ora non era né tempo né luogo. Oltrepassato l'ingresso, sapeva che qualunque dubbio era stato dipanato, e lo strattone che le riserva le fa emettere un gemito, divertito e allo stesso tempo sorpreso, che le fa colpire il suo seno contro il suo petto. Ne approfitta per incrociare il braccio libero dietro il suo collo, sulla spalla, cominciando ad accarezzare i capelli biondi alla base della nuca. Appoggia la fronte alla sua, inspirando a lungo il so respiro fresco, ed osserva la sua espressione, come si stesse scusando con quelle parole. Sfiora le sue labbra con le proprie, ci gioca, prima di aprire gli occhi e guardarlo come se potesse andare oltre quella maschera. ❝Non voglio che tu lo faccia, non ho paura. Non fermarti.❞ Morde il labbro prima che il suono dell'ascensore li faccia allontanare ancora una volta, ma legati sempre da quelle dita che non si sarebbero staccate per parecchio tempo.
Victor J. Thornburn
Non era intenzionato a fermarsi, non ora, non in quel momento. Le porta dell'ascensore si erano aperte davanti a loro, erano entrati dentro e lui si era affrettato a schiacciare il pulsante con il numero che segnava l'ultimo piano di quell'edificio. Le porte si chiudono davanti ai loro occhi e lui torna a guardare Arwen, mentre lentamente salivano verso l'alto. Ritorna vicino a lei, questa volta le solleva il viso con le dita della mano libera, prima di posare le labbra sulle sue. Un gesto non calcolato ma spontaneo perché né aveva voglia. Con la punta della lingua traccia il contorno delle sue labbra, né assaggia il sapore, prima di andare a cercare la lingua della ragazza che appena trova si uniscono in una lenta danza quasi disperata. Più volte gli aveva detto di non trattenersi, di lasciarsi andare completamente e lo stava facendo. Per la prima volta, dopo essere tornato dalla Siria,  stava abbassando la guardia. Le braccia avvolgono il corpo della ragazza, la stringono contro di se sollevandola da terra, senza interrompere quel bacio che pian piano si era trasformato in qualcosa di passionale.  Nessuno avrebbe potuto interromperli, neanche la voce metallica dell'ascensore che li avvisava che avrebbero raggiunto il piano da lì a poco.
Arwen Grace A. Halvorsen
Questa volta sembrava che l'uomo l'avesse presa alla lettera. Sentiva a poco a poco le emozioni dell'uomo invaderla, quasi come un torrente in piena, eccitandola e facendola sentire viva come mai prima d'ora. Nell'esatto momento in cui le porte si chiusero alle loro spalle, la giovane osserva Victor, alza il mento accompagnato dalla punta delle sue dita, schiudendo poi le labbra non appena vengono a contatto con quelle dell'uomo. Ora c'è un urgenza diversa in quel bacio, una passionalità di prima sembrava essere solamente latente. Assapora le sue labbra, muove la lingua contro la sua in stoccate lente, e in un alcun modo controllato. Aderisce poi al suo corpo e non appena sente il terreno mancarle sotto i piedi si appoggia al corpo di lui, forte, possente, mostrando una forza che la fa desidera qualcosa di più. Non ha intenzione di fermarmi, e quando si rendono conto di essere arrivati, solo un gemito scappa alla giovane. A poco a poco Victor stava abbassando la guardia, la stessa che Arwen aveva intravisto, la stessa che lei stessa aveva alzato cercando di controllarsi. Geme contro di lui mentre le gambe questa volta strusciano contro le sue e il calore dei loro corpi fa irrefrenabilmente aumentare la voglia di scoprirsi.
Victor J. Thornburn
Arwen non lo rifiuta, come avrebbe potuto? Era stata lei a dare inizio a tutto quello, era stata lei a farsi strada tra quelle barriere che lui aveva innalzato per tenere lontano le persone; non voleva farle del male. Entrambi si erano lasciati andare, quell'ascensore era appena diventato lo spettatore di quei baci infiniti. Uno dei privilegi di vivere in un attico era la possibilità di avere come  porta d'ingresso proprio l'ascensore. Quando le porte si aprono accompagnate da un tintinnio metallico, l'uomo si sposta dalla parete con la ragazza tra le braccia, non era intenzionato a lasciarla andare. I loro corpi erano completamente uniti, le mani la sorreggevano dal fondoschiena mentre Arwen era premuta contro di lui, il suo seno coperto dagli indumenti era a contatto con il petto dell'uomo. Non è il momento di farle vedere l'appartamento, per quello ci sarebbe stato tutto il tempo. Ma, adesso, entrambi avevano altro a cui pensare. Allontana il viso da quello della ragazza solo per raggiungere il suo collo che viene tempestato di baci accompagnati dalla punta della lingua che inumidiva la sua pelle, permettendogli di assaggiarla. Come le aveva detto poco prima, non avrebbe assaporato solo il presente con lei ma sarebbe andato oltre, fermandosi ad assaporare anche lei.
Arwen Grace A. Halvorsen
Non era spaventata o anche solo intimidita da ciò che poteva nascondere dietro quella maschera, perché lei aveva visto più di quanto non dicesse. Voleva prenderlo per mano e accompagnarlo oltre i limiti, superarli insieme e rimanere al suo fianco nel momento in cui ne avesse avuto bisogno, perché Arwen era così, tremendamente istintiva. Affonda la lingua contro la sua, la cerca, la brama e la muovo in una danza erotica senza precedenti mentre circonda la sua vita stretta con le cosce. Si aggrappa al suo corpo forte, muscoloso, il suo seno che sfrega contro il suo petto attraverso quei vestiti che sembrano essere diventati di troppo. Ignora completamente il suono dell'ascensore mentre Victor cammina e varca l'appartamento accogliendoli, e finalmente liberi di essere lo stessi. Ella lascia cadere a terra la borsa, si aggrappa alle sue spalle e con un movimento verticale si muove contro di lui, lasciandosi pervadere da quella passionalità che ora crepita attorno a loro. Si staccano appena, lascia andare le sue labbra e cerca di riprendere fiato, sapendo che il corpo ora è accaldato, coperto da un rossore erotico che la fa gemere. I baci che lascia sono umidi, l'assaggia mentre la di lei mano afferra i capelli biondi stringendoli in una presa, accompagnandolo nel movimento mentre incapace di resistere con l'altra mano cerca di sbottonare e togliere i suoi vestiti. ❝Non ho paura... Voglio sentirti.❞ Ripete questa volta con una voce più roca, intensa, come a dargli quella rassicurazione in più. Era stata lei a dare il via a tutto questo, a quella serata, a tendergli la mano, e voleva essere lei quella che lo accompagnava oltre ogni limite, mano nella mano, senza alcuna paura.
Victor J. Thornburn
Non c'erano più occhi indiscreti a guardarli, erano completamente soli l'uno con l'altro, senza che nessuno potesse dire o fare qualcosa. Le mura di quell'appartamento li avevano appena accolti permettendo loro di creare quell'intimità che volevano. Le dita delle mani affondano sul suo fondoschiena coperto, i vestiti erano diventati una barriera che voleva eliminare a tutti i costi. Voleva sentirla, voleva la sua pelle contro la propria, il suo corpo premuto contro il proprio senza alcun indumento a dividerli. La voleva, quella era il suo unico pensiero. La desiderava e   avrebbe appagato quella voglia ricambiata dalla ragazza. Victor avanza fino a raggiungere l'isola della cucina, la fa sedere su di esso mentre Arwen era occupata a sbottonare la camicia per sfilarla. Quella, sarebbe stata la prima volta che lo avrebbe visto nudo, non si era mai preoccupato delle cicatrici sulla sua schiena, il suo corpo era stato martoriato nel corso della sua vita, e quella volta non avrebbe potuto nasconderlo. Oltre alle cicatrici, la sua pelle era marchiata dai tatuaggi, ognuno raccontava una storia diversa. Le mani dell'uomo si posano sul corpo della ragazza, lo percorrono fino a raggiungere il suo seno coperto. Troppo stanco di quei vestiti addosso, decide di togliere la parte superiore e con un movimento veloce ed esperto, apre i gancetti del reggiseno, per poi sfilarglielo senza troppi complimenti.
Arwen Grace A. Halvorsen
Le sue parole riempiono l'aria insieme ai gemiti e i passi che risuonano in quell'attico. Non vi era tempo di fare il giro turistico della casa, entrambi erano troppo impegnati in altre attività e in quel momento il solo desiderio di entrambi era chiaro: togliere di mezzo tutti quei vestiti e assaporare la parte più profonda dell'altra. Scalcia le scarpe che con un tonfo sordo cadono a terra, sul pavimento di marmo probabilmente mentre le labbra di lui tracciano quella scia invisibile sul di lei collo, assaporando la sua carne, il suo profumo. Cerca invano di togliergli la camicia, ma solo quando trova appoggio sull'isola della cucina, ha modo di occuparsi di quei vestiti che sono diventati davvero di troppo in quel momento. Geme e quando finalmente riesce a spogliarlo della camicia osserva sbalordita il suo petto nudo. Qualunque altra donna probabilmente si sarebbe scandalizzata, gli avrebbe chiesto cosa era successo e di raccontar loro ogni storia dietro a ciascuna cicatrice o tatuaggio che fosse, ma ancora una volta Arwen fece di testa sua. Gli lancia dapprima uno sguardo, gioca con le targhette che tiene al collo mordendosi il labbro e si avvicina alla primo tatuaggio, si avvicina con le labbra lasciandogli un umido bacio prima di spostarsi di pochi millimetri. Glieli avrebbe baciati tutti, lasciando che la punta della lingua assaporasse ogni centimetro di lui. Solo quando lo sente slacciare i gancetti del reggiseno, Arwen si alza con il busto, mostrando il seno nudo. Una sferzata d'aria fresca le fa inturgidire maggiormente i capezzoli, diventati ora di un rosa scuso, e quell'eccitazione che ora sente è ormai impossibile da tenere a freno. Osserva con avidità i suoi tatuaggi, mostrando il suo appena sotto il seno, il disegno di una piuma che a mano a mano diventa uno stormo di rondini.
Victor J. Thornburn
Entrambi erano mezzi nudi, l'uno sotto lo sguardo dell'altro. Si ammiravano, lasciavano che gli occhi si abituassero alla penombra così da memorizzare ogni particolare che caratterizzava la loro pelle. Lo sguardo dell'uomo scende sul seno della ragazza, i capezzoli turgidi e più giù un tatuaggio, avrebbe avuto tempo per chiederle il significato, del resto era sicuro che lei avrebbe fatto la stessa cosa con lui. Una mano raggiunge il suo seno, lo stringe tra le dita mentre le labbra raggiungono quelle di Arwen, la baciano lasciando che le loro lingue si incontrassero ed unissero in una danza erotica che non aveva nulla a che fare con i baci dati nel parcheggio del ristorante. Adesso la dolcezza aveva lasciato spazio al desiderio e alla passione. Il bacio  dura fin troppo poco perché la sua meta era un'altra. Si china sul corpo della ragazza, le labbra si schiudono andando ad avvolgere il capezzolo che inumidisce con la punta della lingua, sentendolo turgido al contatto. Voleva dedicarsi a lei, farle sentire la sua presenza sulla sua pelle, lasciarle addosso i segni del suo passaggio così che potesse ricordarlo anche in sua assenza. La mano abbandona il suo seno per privare la ragazza dei suoi indumenti inferiori, niente gli avrebbe impedito di toccarla.
Arwen Grace A. Halvorsen
Si ammirano, si studiano lasciando che gli occhi si abituino all'oscurità di quel momento, memorizzando tuttavia ogni singolo particolare dell'altro. La vista del suo corpo la fa accalorare maggiormente, la fa essere più urgente e il suo volto ora è accaldato e rosso per l'eccitazione del momento. Sente i suoi polpastrelli, ruvidi a causa delle missioni probabilmente, delle armi usate, in totale contrasto con la sua pelle delicata e diafana. Sente la mano sul suo seno, palparlo in modo esperto, accogliendolo in mano, stringendolo e nell'esatto momento in cui compie quel movimento, ella trattiene il suo labbro inferiore tra i denti tirandolo, straziandolo e dando voce a quell'urgenza che prima volevano evitare. Si baciano, si esplorano, guidati dalla passione e dall'erotismo di quel momento e quando l'uomo finalmente fa suo il seno, Arwen afferra con la mano sinistra i suoi capelli tirandoli, strattonandoli e guidandolo sul suo corpo bollente. Sente l'areola diventare più turgida, la sua bocca diventata ora affamata e il capezzolo reagire in modo immediato a quelle stimolazioni, rendendo la giovane totalmente incapace di trattenersi dall'ansimare. I gemiti, gli ansimi invadono la cucina con quell'odore di sesso che inebria tutti i sensi. Con la mano libera grafia le sue spalle muscolose, i suoi tatuaggi e lentamente si adagia con la schiena sul piano della cucina, mostrandogli il suo corpo e sperando che ogni segno rimanesse il più a lungo possibile. Sbottona i jeans mostrando un capo di lingerie in pizzo trasparente nella parte anteriore, alza appena il bacino e si appoggia nuovamente al freddo dell'isola mentre con un movimento fluido la mano di Arwen scende lungo il suo petto, gli addominali fino a disegnarli uno a uno. Lo guarda negli occhi da sotto le lunghe ciglia in attesa che sia lui a prendere l'iniziativa questa volta, desiderosa di dare voce a quella voglia che sembrava correre lungo ogni terminazione nervosa di entrambi. ❝Pelle contro pelle...❞
Victor J. Thornburn
Stacca le labbra dal suo capezzolo che fino a quel momento aveva torturato con la lingua, pizzicandolo con i denti. I gemiti non si erano lasciati attendere, si diffondevano nella stanza come una bellissima melodia che giungeva alle sue orecchie rendendo tutto eccitante. Osserva Arwen con addosso solo quell'unico indumento, un paio di slip in pizzo trasparente, lasciavano intravedere ciò che presto gli sarebbe appartenuto per quella sera. Un sorriso sghembo spunta sulle labbra, lo sguardo era accecato dalla lussuria, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Anche lui, proprio come la ragazza, si sfila gli ultimi l'o indumento che indossava. I jeans insieme ai boxer, abbandonano il suo corpo per raggiungere il pavimento mentre lui avanza nuovamente verso di lei. Porta le mani all'altezza dei fianchi, è lui a volerle togliere quell'ultimo capo che mostrava in modo così sensuale. Senza troppe cerimonie, afferra l'elastico degli slip facendolo scendere lungo le sue gambe, liberandola completamente. ❝Per stasera, sarai completamente mia...❞ Mormora con tono di voce roca mentre con una mano le fa divaricare appena le cosce in modo tale da potersi posizionare in mezzo. Aveva intenzione di farla godere, di ascoltare i suoi gemiti frutto del piacere che provava. La fa stendere con la schiena sul bancone della cucina, mentre l'uomo si china su di lei, sul suo ventre piatto che tempesta di baci prima di lasciare una scia umida, con la punta della lingua, fino a raggiungere l'interno coscia mordendolo appena.
Arwen Grace A. Halvorsen
Accarezza, graffia quegli addominali che portano ad una sottile striscia di pelo che la indirizza sempre più in basso fino a quando Victor non si libera completamente degli ultimi indumenti che indossa. Arwen è incapace di trattenersi, incapace di mettere quel pizzico di razionalità, perché nel silenzio rotto solo dai suoi gemiti, l'unica cosa che vuole è lui. Mostra con orgoglio il suo fisico snello, per nulla imbarazzata e quando lui finalmente la libera di quell'ultimo pezzo di tessuto che la divideva da lui, sospira. Lo sguardo inevitabilmente cade sulla sua erezione, la fa eccitare, bagnare perfino, mentre la sua voce non tradisce alcuna urgenza, ma un possesso che la fa gemere. Apre le cosce, lasciando che l'aria fresca s'abbatta sulla parte più profonda di sé, alza appena le ginocchia posizionandogliele sulle spalle, mentre l'urgenza le fa prendere i seni e giocarci, come aveva fatto lui poco prima. Li tortura, li palpa, gemendo e ansimando. ❝Fammi tua, dimostrami come superi i limiti con me... Ti voglio, Victor.❞ Avrebbe voluto aggiungere che avrebbe potuto farlo altre mille sere, ma in quel momento era meglio godersi il presente e non pensare al domani.
Victor J. Thornburn
L'avrebbe fatta sua quella sera, non l'avrebbe fatta andare via fino a quando il loro piacere non fosse stato del tutto appagato completamente. Le sue gambe si posizionano sulle spalle, come se volesse trattenerlo contro di se, lo voleva e lui l'avrebbe accontentata. Le labbra abbandonano l'interno coscia della ragazza per raggiungere la vera meta di quell'umido e lento tragitto. Posa le labbra sulla sua intimità, le schiude lasciando che la lingua l'assaporasse avidamente come se non avesse aspettato altro nella vita se non quello. Le mani si posizionano ai lati del suo fondoschiena, la tengono ferma così che non potesse muoversi sotto i le sue carezze umide che le regalavano piacere e che eccitavano lui. Gli occhi, all'inizio socchiusi, rivolgono lo sguardo verso la Arwen stesa su quel bancone della cucina, era intenta a toccarsi il seno, torturandosi i capezzoli con le dita dove poco prima c'erano le sue labbra che li succhiavano e li mordevano. La lingua si muoveva esperta su sulla sua intimità, stimolava il clitoride prima che le sue labbra lo intrappolassero per succhiarlo, sentendolo inturgidirsi.
Arwen Grace A. Halvorsen
Lo desiderava, lo voleva e non si sarebbe fermata fino a quando non avesse ottenuto ciò che desiderava. Lo osserva in mezzo alle gambe, chinarsi in avanti e mordicchiare la parte più sensibile della sua coscia, e farsi strada sempre di più verso la sua intimità. Le labbra tracciando un percorso umido, una scia verso il punto centrale e nel farlo ella alza il bacino muovendolo appena con un movimento suadente. Era eccitata, desiderosa di più e il connubio della sua lingua con le di lei mani sul suo corpo la facevano muovere in modo involontario. La lingua di lui si muove in modo esperto, stimolandola, facendole sentire ogni terminazione nervosa, e sentendo i suoi umori scivolare lungo l'interno coscia e le sue labbra. Sente il clitoride gonfiarsi, pulsare quasi per quella tortura facendole urlare e muovere il bacino sul suo volto. Invoca il suo nome, tortura il suo seno godendosi quella piacevole tortura e incapace di tacere confessa ciò che prima si era trattenuta dal dire. ❝Fammi tua, non solo per stasera, Victor...❞
Victor J. Thornburn
Ascolta i suoi gemiti di piacere mentre invocava il suo nome e lui non si sentiva così eccitato da troppo tempo. Voleva di più proprio come lei che continuava ad ondeggiare il suo corpo venendo incontro alle sue labbra che continuavano a regalarle piacere mentre la lingua raccoglieva i suoi umori, assaporandoli. Ci sarebbero state altre notti come quella, notti in qui si sarebbero spogliati dei loro vestiti per essere pronti ad unirsi. Ci sarebbero state notti in cui dopo il aver raggiunto il piacere, si sarebbero soffermati a parlare, a conoscersi non solo fisicamente. Arwen gli stava dando la possibilità di farla sua, non solo per quella sera e lui aveva appena accettato. L'uomo voleva molto di più, voleva sentirsi avvolgere completamente dalla sua intimità, sentirla gemere ancora ma questa volta per la sua presenza dentro di lei. Scosta le labbra dalla sua femminilità, questa volta non è la testa a posizionarsi tra le sue cosce ma è il suo corpo.  Avvicina il corpo esile e nudo della ragazza al proprio, la fa scivolare appena per poi avvicinare la sua erezione contro il sesso di Arwen, strusciandosi. Con una mano, avvicina il membro su quel piccolo foro che prima aveva stimolato con la lingua, assaporandone gli umori. Gli basta un solo colpo di reni per farsi strada fra le sue carni bagnate dall'eccitazione.  Un gemito di piacere sfugge dalle labbra dell'uomo, era un gemito incontrollato e roco impossibile da non udire.
Arwen Grace A. Halvorsen
L'aveva confessato in preda al piacere, ed era la verità. Avrebbe voluto mille di quelle altre sere e non solo per conoscersi dal punto fisico, ma per assaporare ogni lato oscuro che entrambi avevano, come un incastro totalmente perfetto, fatto di luci e ombre. Con il tempo si sarebbero conosciuti, avrebbero parlato, avrebbero fatto altre scommesse e avrebbero riso, mostrandogli che cosa significava avere qualcuno accanto. Nel silenzio di quella cucina Arwen si stava donando all'uomo, aprendosi e mostrando il suo lato più carnale mentre lui le stava riservando le più pie attenzioni. Il corpo della donna si ricopre di un leggero strato di sudore, il clitoride, sotto le sue stoccate decise, diventa sempre più gonfio e la sua femminilità esala quegli umori muschiati che che la fanno rabbrividire. Quando Victor si posiziona in mezzo alle sue cosce, la donna alza lo sguardo, lascia la presa sui suoi seni e accarezza il suo viso, mentre fa scorrere il palmo della mano sulla sua mascella. Aggancia il suo sguardo e nell'esatto momento in cui la penetra con un colpo deciso di reni, un gemito roco, più forte pervade la stanza. Le pareti della sua intimità si allargano accompagnando la sua erezione nel punto più profondo di lei, scivola raggiungendo punti inesplorati e quando ella si avvicina con il busto posa le labbra sulle sue in un bacio quasi violento. ❝Non avere paura.❞ Mormora sulle sue labbra prima di baciarlo più a fondo, cercando in modo disperato la sua lingua e intrecciando le gambe all'altezza delle caviglie dietro la sua schiena. Controvoglia stacca appena le labbra lasciando che siano le fronti a tenersi unite e i loro sguardi, mettendo a nudo non solo il solo corpo.
Victor J. Thornburn
I loro corpi erano completamente uniti tanto da non capire dove finiva uno ed iniziava l’altro. Erano pelle contro pelle, il corpo di Arwen emanava calore dovuto all’eccitazione. La ragazza ansima insieme a lui, i loro respiri si uniscono proprio come i battiti accelerati dei loro cuori. Arwen gli accarezzava il volto per poi poggiare le labbra sulle sue in un bacio passionale che viene ricambiato inoltrando la sua lingua in cerca della gemella. Non voleva trattenersi, quella sera entrambi non avrebbero avuto controllo, sarebbero stati pari, nessuno avrebbe prevalso sull’altro. Le mani stringono i fianchi della ragazza, le dita affondano con fare possessivo sulla sua pelle morbida, facendola arrossare. I movimenti di bacino non avevano niente di gentile, erano profondi andando a toccare la parte più sensibile della sua intimità, sentendola aprirsi completamente a lui, umida e vogliosa di quelle attenzioni di cui non l’avrebbe privata. ❝Dio, Arwen...❞ Pronuncia il suo nome, la voce roca carica di piacere. Continuava a farsi strada dentro di lei, spingendola con le mani contro di se cosi da agevolare quelle penetrazioni veloci e profonde. Non c’era niente di più bello in quel momento, nulla poteva essere paragonato a ciò che stava facendo lì su quel bancone.
Arwen Grace A. Halvorsen
Pronunciare quelle parole fu come sventolare una bandiera rossa davanti a un toro. I gemiti e gli ansimi si fanno più intensi, più forti accompagnati da movimenti più fluidi, più profondi e più spinti. Ella cerca la sua lingua, assapora il suo respiro fresco, i suoi stessi umori baciandolo e gemendo all'interno della sua bocca. Dio, quanto tempo si era trattenuta? Le di lui mani stringono la sua carne con violenza e più lo fa più le scariche della sua intimità di trasmetto all'erezione di marmo, ricoperta di velluto, che spinge sempre più prepotentemente. Il suo fare possessiv la eccita, la fa gemere, e le fa muovere il bacino accompagnandolo nei movimenti. Si apre a lui, alla sua oscurità, al suo membro alla ricerca di quelle attenzioni che vengono racchiuse tutte in quelle due semplici parole, in quell'invocazione che si trasmette al punto centrale del suo corpo. Le penetrazioni si fanno sempre più veloci, profonde ed incontrollate ed Arwen è la prima che cede al piacere più puro frantumandosi in mille pezzi, trasmettendo tutto quell'orgasmo e quell'impeto al corpo di Victor. Trasmette ogni contrazione, ogni goccia del suo piacere liquido riversandosi su di lui urlando ma neanche all'apparenza sazia dell'uomo. Erano solamente un uomo e un donna, che si donavano l'uno all'altra senza remore, senza timori, e ciò che stavano dando vita era qualcosa che sarebbe stato imparagonabile. Nessuno avrebbe prevalso, nessuno avrebbe perso.
Victor J. Thornburn
Nè voleva sempre di più, questo lo dimostravano i suoi affondi dentro di lei, più profondi e rudi come se non né avesse abbastanza. E’ Arwen quella a cedere per prima, si lascia avvolgere dall’orgasmo che si fa strada con prepotenza, con forza. Sente la sua intimità bagnata stringersi intorno al suo membro, si contrae lasciando defluire i frutti di quell’orgasmo raggiunto accompagnato dalle urla e dai gemiti messi a tacere dai loro baci, dalle loro lingue che vorticavano insieme. Non le da il tempo di riprendersi, perché proprio come lei, voleva raggiungere l’orgasmo. La fronte si poggia su quella  della ragazza, gli occhi socchiusi erano anch’essi uniti, come se ogni parte del loro corpo non potesse fare a meno di essere unita. Si spinge nuovamente dentro di lei, lasciando che il piacere invadesse il suo corpo, sgombrandogli la mente.
Arwen Grace A. Halvorsen
Gli affondi erano sempre più profondi, sempre più violenti, in una corsa contro il tempo, come se Victor stesse facendo la sua battaglia personale. Ma la verità era che nessuno dei due ne aveva abbastanza. Arwen cede, raggiunge l'apice dell'orgasmo, il piacere più puro, riversando ogni goccia dello stesso sul suo membro. Le urla si mischiano agli ansimi, ai gemiti che riempiono la stanza mentre le loro fronti combaciano come la parte più intima di loro stessi. Occhi negli occhi, spogliandosi delle loro paure, rimanendo solamente un uomo e una donna che molto probabilmente si erano trovati con i loro demoni, formando un incastro perfetto come tessere di un puzzle. La donna afferra le sue spalle, si aggrappa, lo graffia con le unghie lasciando segni ben minori rispetto alle cicatrici che adornano il suo corpo. Quel contatto diventa ancora più rude, più violento, e non c'è più spazio per pensare, ma esiste solo il godere, loro e di quel momento. Questa volta è lui a riversare il suo piacere dentro di lei, in fiotti caldi che la invadono raggiungendo la parte più profonda di Arwen, e quel gesto è accompagnato da una carezza gentile sul suo volto, sui suoi capelli, mostrando il suo sorriso più sincero.
Victor J. Thornburn
L'orgasmo era vicino, era un crescendo di emozioni pronte a scoppiare. L'ennesimo affondo in quel corpo caldo che lo stringeva tra le braccia, lo graffiava andando ad aggiungere altri segni sulla pelle già adornata di cicatrici che non sarebbero mai andate via. Spinge il bacino contro quello della ragazza, si uniscono come tasselli di un puzzle, completandosi. Sussurra il suo nome contro la pelle della sua spalla, lasciandole un segno visibile del suo passaggio con i denti. Trattenersi era ormai impossibile, voleva superare quel limite insieme a lei ed è proprio in quel momento che l'orgasmo arriva potente, riversandosi a fiotti dentro di lei. Gode di piacere mentre Arwen gli regala una carezza gentile sul volto, un gesto dolce dopo la passione. Gli occhi era rimasti socchiusi, la mente era sgombra di pensieri, ogni muscolo era rilassato. La cerca con lo sguardo, la trova lì ad osservarlo con un sorriso sincero sulle labbra che viene ricambiato. ❝Abbiamo vinto entrambi stasera.❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Sente il suo orgasmo defluire dentro di lei, riversarsi ogni singola goccia, come se quel momento fosse fissato nel tempo e nello spazio, mentre gli occhi scrutano cose che probabilmente non hanno mai fatto vedere a nessuno. Viene morsa, sente il dolore che si mischia al piacere, facendola aderire al suo petto, i seni premuti contro di lui, come se desiderassero di essere più uniti di quanto già non fossero. Godere è l'unica parola che sembra abbia significato in quel momento, ma subito dopo, quando la tempesta passionale sembra avere un minuto di calma, ecco il gesto gentile, la carezza che non si aspetta. Ogni muscolo è rilassato, soddisfatto, la mente sgombra da pensieri, non si pensa a nulla e non si dice nulla, mentre gli occhi osservano e sorridono. ❝Abbiamo vinto entrambi.❞ Ripete le sue stesse parole guardandolo negli occhi, socchiudendoli appena prima di avvicinarsi e posare sulle sue labbra le proprie. Le sfiora, ci gioca, prima di catturarle in un caldo e passionale bacio. ❝Mi piaci di più quando non ti controlli...❞
Victor J. Thornburn
Pian piano torna con i piedi per terra, la mente non è più offuscata dall'orgasmo che lo aveva travolto. Le mani risalgono lungo il corpo della ragazza, si soffermano all'altezza del busto, rimanendo abbracciata a se. Sentiva i suoi capezzoli premere contro il suo petto, come se volessero unirsi a lui, completamente. ❝Pensavo di piacerti di più a prescindere da tutto.❞ Mormora dopo che le sue labbra si erano liberate da quel bacio appassionato. Avevano appena finito eppure nessuno dei due sembrava completamente sazio, entrambi non volevano staccarsi e non accennavano a farlo. Le ruba un altro bacio sulle labbra, soffermandosi su quello inferiore che morde appena con i denti per poi succhiarlo come aveva fatto in precedenza con ogni centimetro del suo corpo. Aveva mantenuto la parola data, aveva assaporato ogni parte di lei e gli era piaciuto.
Arwen Grace A. Halvorsen
Le loro labbra si sfiorano, celano un sorriso soddisfatto, ma loro, nonostante abbiano appena condiviso un momento intimo, non sono ancora del tutto appagati. Desiderano avere di più, i loro corpi uniti si cercano con le mani, con le labbra mentre la mente a poco a poco torna con i piedi per terra. Umetta le labbra ridacchiando, mentre cinge le sue spalle abbracciandolo, senza avere la volontà di allontanarsi da quel luogo in cui si sentiva se stessa. ❝Mi piaci così come sei, ma quando fai cadere i muri che sembri erigere, mi piaci ancora di più.❞ Confessa con un sorriso sincero mentre lo guarda aspettando una possibile reazione. Lì nel silenzio della cucina, il tempo sembra essersi fermato, e la promessa che le aveva fatto prima di entrare in casa era stata più che soddisfatta e mantenuta. Ma ora era arrivato il suo turno, ora voleva essere lei ad assaporare ogni parte del corpo di Victor. Lo bacia questa volta più velocemente mentre si avvinghia al suo corpo sfiorando la punta del naso con la propria. ❝Portami in camera da letto, adesso è il mio turno. Voglio mostrarti quanto mi piaci.❞
Victor J. Thornburn
❝Vieni qui.❞ Il bancone della cucina era stata la prima tappa, non aveva preso in considerazione la camera da letto in quanto era troppo distratto dai quei baci, dalle mani della ragazza che accarezzavano il suo corpo e della proprie impegnate a sfilarle i vestiti di dosso. Ma adesso erano entrambi lucidi e lui era felice di accontentare quella richiesta. Fa in modo che la ragazza si tenesse a lui, le braccia erano intorno al suo collo mentre le gambe circondavano i suoi fianchi. Per tenerla sollevata, le mani scivolano sul suo fondoschiena, lo stringono tra le dita mentre si avvia verso la camera da letto. ❝Puoi mostrarmi tutto ciò che vuoi, senza mai trattenerti.❞ Conosceva la direzione della sua camera a memoria, come una mappa invisibile marchiata nella sua memoria. Raggiunge in fretta la stanza, niente di troppo vistoso ma grande con una vetrata che regalava una bellissima vista. Si dirige verso il letto matrimoniale, adagiando la ragazza sul materasso così che potesse mostrargli ciò che aveva aveva in mente.
Arwen Grace A. Halvorsen
Accoglie quell'ordine con un sorriso, il più grande che potesse sfoggiare mentre si aggrappa all'uomo. Era sempre stata amante dei luoghi strani, del provare cose diverse, del oltrepassare ogni tipo di limite, ma per ciò che aveva in mentre era meglio che si stendessero, magari in un letto. Accarezza i suoi capelli mentre stringe appena le natiche nelle sue mani nonostante entrambi fossero ancora uniti nel modo più intimo possibile. ❝Voglio mostrarti quanto mi piaci, voglio assaporare ogni parte di te e baciare ogni singola cicatrice o tatuaggio che sia. Voglio mostrarti che puoi fidarti di me.❞ Mormora guardandolo negli occhi, uno sguardo serio eppure sensuale, carico di promesse e così facendo poggia i palmi ai lati del suo busto, ritrovandosi sopra di lui, e comincia dal collo, poggiando le sue labbra su quella pelle dura, che nascondeva un uomo che aveva molto da dire.
Victor J. Thornburn
Arwen gli stava provando che poteva fidarsi di lei. Non si era mai fidato di nessuno oltre la sorella, non aveva mai avuto un vero rapporto con una donna perché non voleva legarsi a qualcuno che avrebbe fatto inevitabilmente soffrire. La sua vita era sempre stata fin troppo incasinata anche per lui e porre rimedio era difficile e Victor neanche ci provava. Aveva preferito innalzare delle mura intorno a se, così che nessuno potesse oltrepassare quella parte di lui più buia. ❝Puoi fidarti di me anche tu.❞ Mormora di rimando, gli occhi erano incatenati a quelli della ragazza che, una volta sul letto, si era posizionata su di lui poggiando i palmi delle mani ai lati del busto. Il viso è di nuovo a pochi centimetri da lui ma devi verso chinandosi verso il collo che viene baciato lentamente mentre le mani di Victor accarezzavano la pelle dei suoi fianchi.
Arwen Grace A. Halvorsen
Parlare di fiducia non era mai semplice, soprattutto per chi aveva un passato alle spalle burrascoso, i cui effetti si trasmettevano anche nella vita di tutti i giorni. Eppure l'uomo, che le stava di fronte, aveva cominciando ad aprirsi, a farle scorgere quanta oscurità vi fosse in lui, ma Arwen non ne era affatto spaventata, anzi. Sorride appena di rimando, un sorriso che giungeva fino agli occhi, ma quello sguardo le scaldò qualcosa dentro di sé. Si avvicina al suo collo poggiando le labbra sulla pelle calda, velata di un leggero strato di sudore, ma con il gusto dell'uomo virile che le stava di fronte. Scende lentamente sulla clavicola, tracciando un lungo profilo del suo corpo prendendosi tutto il tempo per assaporare la forza che nascondeva sotto quelle cicatrici. Bacia ogni tatuaggio, ogni cicatrice, attraversa i capezzoli sui si ferma per succhiarli, e muovere la lingua in modo suadente e sensuale, per poi spostarsi sempre più in basso e giungere al suo pube. Alza di tanto in tanto lo sguardo, lo guarda da sotto le lunghe ciglia, e un sorriso malizioso e sghembo fa capolino su di lei, mentre la mano destra afferra la sua asta tornata dura, e ricoperta dei loro umori. ❝Mi sto fidando, Victor... Non ho intenzione di andarmene.❞ Confessa prima cingere il suo sesso con le labbra e farlo scivolare lentamente tra di esse. Scende maggiormente, accarezza la pelle vellutata che ricopre l'acciaio della sua erezione, ed accarezza ogni vena pulsante per assaggiare quella mascolinità. Le mani si spostano sui fianchi, che si muovono appena e ora il silenzio di quella camera è rotto solamente dai movimenti di lei e dai gemiti di entrambi.
Victor J. Thornburn
Arwen si prende del tempo, bacia la sua pelle calda a causa dell'eccitazione, del rapporto appena avuto. Si sofferma a baciare ogni cicatrice, ogni tatuaggio. Nessuna si era mai soffermata su quei segni permanente incisi nella sua pelle, nessuna aveva mai fatto domande e lui non aveva dato alcuna risposta del perché il suo corpo fosse ricoperto da quelle cicatrici ormai vecchie. Gli occhi sono socchiusi, si stava rilassando sotto quei baci lenti ma, allo stesso tempo, era rimasto vigile. Le palpebre si aprono per osservare la discesa della ragazza dal suo corpo fino a posizionarsi tra le sue gambe. Ricambia quel sorriso sensuale e sghembo prima che il  suo membro venisse accolto dalle labbra della ragazza, lasciando che un gemito fuoriuscisse dalla sua bocca schiusa. Victor inarca appena i fianchi per andare in contro a quelle labbra che lo succhiavano, assaggiavano il loro umori mischiati. Il respiro era irregolare così come i battiti del suo cuore. L'aria profumava di sesso mischiata al profumo dei loro corpi che si sfioravano, ancora una volta si completavano nonostante fosse la ragazza a prendersi cura di lui in quel momento. Avrebbe potuta ospitarla in quel letto molte altre notti, avrebbero potuto donarsi l'uno all'altro in molte altre notti di passione, dove entrambi si spingevano oltre il limite, perdendo ogni controllo.
Arwen Grace A. Halvorsen
Avevano così tanto da dire, avevano così tanto da raccontare, e i loro corpi erano solamente tele ricoperti da un accenno di quelle esperienze. Arwen si prende tutto il tempo di cui necessita, lascia che siano le sue labbra a parlare tramite i baci e le carezze, prendendosi questa volta lei cura di lui. Non si trattava più di una corsa all'orgasmo, ma del vero e proprio piacere che provavano nello stare insieme. Alza lo sguardo, di tanto in tanto, per vedere le sue espressioni, per scorgere una parte in più di quell'uomo che la stava attraendo come non mai, prima di ritornare a baciare il glande e far saettare la lingua con maestria sulla sua erezione. Mugola, geme, il tutto in risposta ai suoi grugniti mascolini, sentendo, nonostante quella fosse la prima volta, una complicità e una completezza unica. Quelle due anime si completavano, esattamente come si stavano donando l'uno all'altra in quel momento. Ci sarebbero state altre notti come quelle, altre notti in cui avrebbero parlato, magari abbracciati, o magari altre notti in cui sarebbero rimasti in silenzio a guardarsi, prima di cedere all'istinto più animale che vi era in loro.
Victor J. Thornburn
Le labbra di Arwen si muovevano esperte lungo il suo membro, la lingua stimolava il glande regalandogli brividi di piacere lungo la schiena. I loro gemiti si diffondevano nella stanza come musica, unendosi. Victor pronuncia con voce roca il nome della ragazza, la chiama mentre si lascia avvolgere dal piacere che torna ad annebbiargli la mente, mentre il bacino si muove insieme alla testa della ragazza intenta a farlo godere con la bocca. Arwen stava conoscendo ogni parte di lui, ogni caratteristica del suo corpo senza avere paura né timore di quello che avrebbe aspettato entrambi nel futuro. Per loro, quella sera, c'era solo il presente e avevano intenzione di goderselo fino a quando il sole non sarebbe sorto dando inizio ad un nuovo giorno e forse non vi avrebbero rinunciato neanche dopo.
Arwen Grace A. Halvorsen
Muove le labbra più velocemente, stringono e perfino appoggia anche i denti per poi sostituirli immediatamente con la lingua su quell'erezione che le stava per esplodere in bocca. Gode ne dargli piacere, gode nel momento in cui lui invoca il suo nome, e per come muove il bacino in preda all'istinto più puro. Apre appena gli occhi dicendogli tutto con lo sguardo, un sorriso che giunge agli occhi mentre con la mano, questa volta, si sposta sulla parte dove tutto nasceva. Si dona a lui impavida, mostrandosi com'era, una donna seppur una ragazzina all'anagrafe, capace di tenergli testa, e per nulla spaventata da quell'uomo che era tra le sue mani. La attrae, l'ha fatta sentire viva, e quella notte probabilmente era solamente l'inizio. Non ha paura di quello che può accadere, non ha paura di quello che può sopportare, lei è lui e non ha intenzione di andarsene. Si spinge più a fondo, in modo che non possa nemmeno respirare, inghiottendo ogni singola goccia di piacere, prima di far saettare la lingua sul quel piccolo orifizio da dove ogni goccia di piacere trabocca.
Victor J. Thornburn
Lo sente arrivare, forte e travolgente, l'orgasmo che la ragazza provoca solo con le sue labbra che gli donavano piacere rendendolo vivo, facendogli sentire che era pronta per riceverlo ancora una volta. Il bacino si spinge contro il viso della ragazza, la mano raggiunge la sua testa per tenerla ferma permettendogli di riversare tutto il piacere nella sua bocca. Era stato un gesto spontaneo che molte donne prima di lei non avevano apprezzato, non piaceva loro essere limitate nei movimenti. Un gemito accompagna quei fiotti caldi mentre gli occhi si chiudono lasciando che il piacere scorresse su tutto il suo corpo, rilassandogli i muscoli. ❝Dio...❞ Sussurra tra le labbra strette mentre pian piano torna a riprendere il controllo sul suo corpo. Apre gli occhi per permettere loro di posarsi sulla figura di Arwen ancora tra le sue gambe. Anche lei, lo stava osservando senza alcun imbarazzo, ormai ogni cosa sembrava essere naturale tra loro. ❝Vieni qui...❞
Arwen Grace A. Halvorsen
Il movimento verticale continua ancora e ancora, lasciando che sia la lingua a massaggiare ed assaggiare ogni singola goccia di orgasmo. Sente arrivare il piacere liquido, i suoi fianchi che si alzano quasi involontariamente andando incontro alla sua gola, che si stringe sempre di più mentre la mano si posa sulla sua nuca come se avesse paura che se ne potesse andare. Qualsiasi altra donna probabilmente lo avrebbe guardato male, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata facendo il diavolo a quattro, ma non lei, non Arwen, la quale al quel gesto si spinge ancora di più per accoglierlo più profondamente. Prende quel gesto come un incitamento e il verso, il gemito di piacere che fuoriesce dalle labbra della giovane rispondono a quell'invocazione. Sente i fiotti caldi e densi riversarsi in bocca, accogliendoli come un dono, prima di ingoiare e sentire i muscoli dell'uomo rilassarsi sotto di sé. Alza appena lo sguardo con un sorriso sghembo, divertito e non appena lascia andare la sua erezione dalle labbra, si appresta a lasciare che sia la lingua a tracciare tutto il profilo del suo membro. Lo guarda senza alcuno imbarazzo prima di pulire le sue labbra con un polpastrello e portarlo poi alle labbra succhiandolo, divertita dall'espressione dell'uomo. Gattonando sul letto, si posa sdraiandosi prona, con il mento poggiato sul petto dell'uomo guardandosi come se si vedessero per davvero, e una mano poggiata sul suo addome, come a volerlo abbracciare. ❝Stai per dire qualcosa, lo so... Sono una continua sorpresa per te, non è vero?❞
Victor J. Thornburn
Arwen non si era tirata indietro da quel gesto, lo aveva accolto fino alla base del suo membro lasciando che riversasse tutto il suo piacere accumulato fino a quel momento. Le tracce dell'orgasmo appena raggiunto stavano abbandonando il suo corpo, osserva la ragazza con sguardo soddisfatto mentre si puliva le labbra con il polpastrello del pollice che, subito dopo, viene pulito. A quella richiesta di avvicinarsi, la ragazza non lo fa attendere troppo. Si avvicina  a lui, i loro corpi nuovamente a contatto mentre un braccio le avvolge la schiena andando a tracciare le linee immaginarie della sua spina dorsale mentre lei poggia la mano sul suo addome, come se volesse abbracciarlo. ❝Sei una continua sorpresa per me, dovrò ammetterlo più spesso, vero?❞ Un sorriso rilassato si fa strada sulle sue labbra, questa volta non lo nasconde né lo blocca prima del nascere. Ripiega il braccio libero portandolo dietro la testa a mo' di cuscino mentre lo sguardo era basso verso di lei che sembrava altrettanto rilassata e serena, tanto quanto lui.  
Arwen Grace A. Halvorsen
Si adagia sul suo corpo, poggiando una mano sotto il mento e il petto dell'uomo per non fargli male, mentre l'altro braccio lo abbraccia cominciando a giocare con le dita sulla sua pelle. Lo osserva, ricambia quel sorriso che questa volta arriva fino agli occhi, mentre i loro muscoli sembrano essere indolenziti dopo quella maratona sessuale. Sente la sua mano scivolare lungo la schiena e non le importa se sono nudi e magari lei con i capelli in disordine, Arwen si sente bene, per la prima volta dopo tanto tempo. A quella domanda ridacchia, nasconde il divertimento dietro un'espressione apparentemente pensierosa prima di rispondere. ❝Mmmh... Credo proprio di sì.❞ Risponde ridacchiando ed avvicinandosi alle sue labbra per dargli un bacio veloce, come se fosse una cosa da tutti i giorni. Torna a guardando mentre si mette più comodo mentre lei accarezza il suo petto cominciando a giocare con le dita accarezzando le cicatrici con la sola punta delle dita. Non avrebbe chiesto nulla, semplicemente si sarebbe goduta quel momento insieme. ❝Posso fermarmi qui?❞
Victor J. Thornburn
❝Credi? Non dirmi che ti monterai la testa adesso. Anche se so che gongolerai un po', forse lo stai già facendo.❞ Lo dice con tono divertito ma se avesse gongolato non né sarebbe stato infastidito in fondo lo aveva sorpreso davvero, più di chiunque altra persona avesse incontrato nella sua vita. La lascia sistemare meglio Arwen ed infine ricambia quel bacio a stampo, come se fosse un abitudine baciarsi per loro.   ❝Solo se mi prepari la colazione, domattina.❞ L'avrebbe fatta restare, la notte era ormai scesa e non le avrebbe permesso di tornare a casa da sola. Quella notte l'avrebbero passata insieme, lei avrebbe dormito con lui condividendo lo stesso letto dopo che avevano condiviso molto di più. La lascia accarezzare le cicatrici nel suo addome, non gli davano più fastidio ormai erano parte di lui e non poteva cambiare il passato. Lei non faceva domande eppure immaginava cosa la sua mente stesse pensando, chiunque si sarebbe chiesto l'origine di quei segni frastagliati sul suo corpo.
Arwen Grace A. Halvorsen
Scoppia a ridere perché ancora una volta era stata beccata a gongolare, ma doveva ammetterlo, adorava sorprenderlo. I loro toni giocosi si tramutano successivamente in baci, come se fosse un'abitudine, ma sorpresi che potesse essere tutto così surreale. ❝Ehi, ragazzone... Solo un pochino.❞ Confessa mentre mette davanti a loro le mani la punta dell'indice e del pollice avvicinandole come a indicare quanto stesse gongolando realmente. Divertita, torna poi comoda, nell'incavo del suo abbraccio, godendosi quel momento di quiete, quel calore e quel dolore che provava ad entrambi dove fossero passati i corpi dell'altro. Continua poi a giocare con le cicatrici, accarezzandole sentendo il loro bordo frastagliato e immaginando che cosa dovesse aver subito durante gli anni in missione, ma nel silenzio della stanza non voleva far entrare anche il mostro della guerra tra di loro. Erano Arwen e Victor e non avrebbe lasciando che interferisse alcunché. ❝Mi sembra un giusto compromesso, sì. Uova strapazzate? Bacon? Perché io avrei in mente anche un altro tipo di colazione.❞ Dice scoppiando a ridere e lasciandogli un bacio sul petto prima di voltare il capo e poggiarlo sulla pelle ascoltandone il cuore che batteva forte. Chiuse gli occhi per un momento continuando a giocare con le dita prima di aprirli, ma rimanendo in quella posizione. ❝Ti fanno male?❞
Victor J. Thornburn
❝Io, direi, che sia più di un pochino. Però, per stasera, posso concedertelo. Non approfittartene troppo.❞ La sente ridere, una risata genuina e spensierata un po' come quel momento che stavano vivendo chiusi nella sua camera da letto, un po' come in una bolla privata. Lascia che il la sua testa si appoggiasse sulla sua spalla impedendogli di guardarla ma sentiva dal suo corpo quanto si stesse rilassando in quel letto ed in quella posizione con lui che la teneva stretta al suo fianco permettendole di accarezzarlo laddove nessun'altra riuscita. ❝Quel tipo di colazione che tu stai pensando, è perfetto. Inizierei la giornata nel migliore dei modi. ❞ Tutto era naturale, nessuno dei due era imbarazzato o impacciato nei gesti. Nessuno dei due rimaneva in silenzio per l'incapacità di formulare una frase completa, era come se fossero abituati a tutto quello, come se lo facessero da tanto tempo. Si rilassa anche lui, lo sguardo adesso è posato sul soffitto colorato di bianco seppur alla luce non lo notasse, gli occhi erano socchiusi quando la ragazza gli pone quella domanda che gli fa capire l'argomento del discorso appena intrapreso. ❝Non più. Hanno smesso di far male tanto tempo fa.❞ Non provava più niente quando le toccava, nessun dolore né rabbia, tutto con il tempo era scomparso. La rabbia che portava dentro non era rivolta a se stesso, non gli era mai importato di quei segni visibili sul suo corpo, non quando aveva impedito di farli avere a qualcun'altro.
Arwen Grace A. Halvorsen
A quelle non parole Arwen non può fare a meno di ridacchiare divertita. Sapeva fin dove spingersi, e quella nota di avvertimento nella voce la eccitava. La risata genuina di lei invade quella camera padronale, che non si erano nemmeno presi la briga di osservare, di scrutare attentamente mentre in quella posizione, si sentiva al sicuro. Continua a giocare con le dita, ridacchiando e alzando appena lo sguardo per posarlo sul suo e rispondergli guardandolo negli occhi. ❝La inizierei anche io, sai?❞ Risponde ma senza andare oltre. Il solo pensiero le faceva stringere le cosce, e il solo pensiero di svegliarsi in quel letto la faceva sorridere felicemente. Sono in quella bolla dove niente e nessuno può dar loro fastidio, sono lì, al riparo da tutti mentre le sue dita continuando a scorrere più lentamente questa volta sull'inchiostro presente sulla pelle. Ascolta in silenzio, lasciando che questo cada per qualche momento prima che ella risponda con due semplici parole che però, in quell'istante, significavano più di quanto volesse dire. ❝Mi dispiace.❞ Nonostante il suo corpo non si fosse irrigidito come pensava, non era il momento di chiedere qualcosa su quella parte della sua vita, ma era giunto per lei il momento di parlare. ❝C'è qualcos'altro che non ho mai detto a nessuno... Ne ho parlato con il mio terapista, ma mai nessun altro ha mai saputo la verità. Tu mi chiedi perché mi stia a cuore il discorso età, e perché non lo trovo un ostacolo... Beh, perché avevo diciassette anni quando ho conosciuto l'altra persona che mi ha fatto cadere nel baratro insieme a mia madre, e lui aveva quarantotto anni. Sì, poteva essere mio padre, lo so, ma il mondo della moda può essere difficile, soprattutto se sei all'inizio. Una storia durata tre anni, ma ora è un ricordo lontano. Finalmente è uscito dalla mia vita, e ora sono qui, sto bene...❞
Victor J. Thornburn
❝Né sono sicuro. Voglio entrambe le colazioni domani.❞ Non poteva non approfittare dell'argomento per darle ordini precisi riguardo a quel che avrebbero dovuto fare l'indomani mattina. Avrebbe approfittato di lei, del suo corpo caldo e ancora avvolto nel sonno, per svegliarla completamente regalandole un perfetto risveglio. Il silenzio scende in quella camera da letto, nessuno dice niente, entrambi ascoltavano in silenzio i loro respiri regolari accompagnati dai loro battiti cardiaci. Passa qualche istante prima che il silenzio venga rotto dalla ragazza. Non voleva che si dispiacesse per lui, ormai quella era una storia passata nonostante continuava a tormentarlo nel presente. Arwen non indaga più, le domande era finite ma non le parole. E' lei, questa volta, a mettersi in nudo raccontandogli del suo passato, di un pezzo di vita che aveva dovuto lasciare andare e che l'aveva portata qui, con lui. ❝Cosa è successo tra voi? Non sei costretta a parlarmene se non vuoi. Capisco quanto possa starti a cuore il discorso dell'età e quanto credi che questa non sia un ostacolo. Penso che lo diventi nel momento in cui due persone vogliono due cose diverse ma credo anche che questo possa accadere anche a due persone che hanno la stessa età.❞ Non voleva forzarla a parlare, dal tono di voce riusciva a sentire quanto avesse sofferto in quegli anni nonostante la giovane età. Non voleva riportarla indietro nel tempo, non in quel momento in cui sembrava tranquilla e serena.
Arwen Grace A. Halvorsen
Fa un semplice cenno del capo per annuire a quelle parole, godendosi ancor prima che accadesse quel dolce risveglio che sperava. Gioca con le dita sul suo corpo caldo, e come se l'avesse fatto milioni di volte si aggrappa al suo fianco, intreccia le gambe con le sue ed fa un lungo respiro dopo quella confessione. Sentiva il bisogno di dirglielo, sentiva il bisogno di raccontare, seppur minimamente, quella parte della sua vita, mettendosi a nudo facendo così che fosse lei la prima a dargli fiducia. Tutti gli sbagli che aveva compiuto in passato, l'avevano portata dove era in quel momento, e per quanto avesse sofferto, era lì e di quello ne era grata. ❝Sono stata la causa del suo divorzio.. Mi ha succhiato l'anima. Era come vivere su una roulette russa tutti i giorni, tutto il giorno, ma non era nemmeno questo. Quando sei innamorata accetti tutto, anche quello che ti fa male...❞ Chiude gli occhi allontanando quel pensiero perché ormai era una storia chiusa, e ora voleva ricominciare a vivere, e ci stava riuscendo. Sorride appena mentre si tira su questa volta ed afferra le coperte in fondo ai piedi per coprire i loro corpi nudi. Torna poi ad avvolgere il corpo dell'uomo, con il seno premuto contro il suo fianco mentre dandogli un bacio questa volta più appassionato rispetto al precedente. ❝Ti sorprenderò ancora una volta, e ti dimostrerò che la differenza d'età è solamente un numero, e due persone possono volere la stessa cosa nonostante abbiano due età differenti.❞ Sorride prima di abbracciarlo e sentire la stanchezza prendere il sopravvento, con le palpebre che poco a poco si fanno sempre più pesanti.
Victor J. Thornburn
L'ascolta parlare perché nessuno conosceva quella storia, era appena stato reso partecipe di un pezzo importante della sua vita che l'aveva cambiata, l'aveva fatta crescere e resa la ragazza che era oggi. Si meritava che qualcuno ascoltasse le sue confessioni senza che venisse giudicata perché lui era l'ultima persone che poteva fare una cosa del genere. Non avrebbe ricevuto alcun giudizio né l'avrebbe criticata per quell'esperimenta vissuta tanto tempo fa quando ancora, per lui, era una bambina che doveva imparare molto della vita. ❝Suppongo che sia davvero così, Arwen. Ma hai capito in che situazione eri finita e né sei voluta uscire anche se hai dovuto soffrire credo che né sia valsa la pena dopotutto. Adesso sei più forte di prima, sei maturata grazie alle scelte che hai fatto. Hai imparato dal passato, e questo è tanto.❞ Le sue parole erano sincere, non voleva che la ragazza soffrisse ancora ripensando al suo passato. Non voleva rovinare quell'atmosfera con i loro demoni nascosti dentro di loro. Lascia cadere il discorso, non perché non lo ritenesse importante ma in quel momento sarebbe stato troppo ricordare per entrambi. La lascia libera di muoversi, di prendere le lenzuola con la quale copre i loro corpi nudi prima di tornare stesa al suo fianco, con il suo braccio che avvolgeva il corpo della ragazza. ❝Mi hai sorpreso molto fino ad ora, sono sicuro che riuscirai a farlo più spesso di quanto possiamo immaginare. Ma adesso è tardi, ragazzina.❞ Non ci sarebbero state più parole per quella notte passata insieme. Sarebbero stati solo loro due addormentati, l'uno tra le braccia dell'altro ad aspettare che la notte lasciasse posto alla mattina così da dare vita ad un nuovo giorno.
Arwen Grace A. Halvorsen
Ascolta le sue parole e inevitabilmente un sorriso sincero compare sulle sue labbra. Quelle parole ebbero un effetto travolgente su di lei, ed era soddisfatta della strada fatta finora. Nessun giudizio e nessuna critica arrivò in risposta alle sue parole, ma solo una sacrosanta verità, ora era nettamente più forte, e aveva di certo imparato dal passato. Inspira forte dopo aver raccolto le coperte e averle posate sui loro corpi, e per la prima volta inspira a fondo per respirare il so profumo, abbracciandolo e fondendosi come se potessero diventare una cosa sola. Ci sarebbero stati altri momenti in cui si sarebbe messa a nudo, ma per quella sera era giunto il momento di abbandonarsi alle braccia di Victor che la tenevano stretta. ❝Sei il mio ragazzone.❞ Mormora con la voce assonnata, prima di immergersi completamente in quel sonno che sarebbe stato non solo ristoratore. Per quella sera sarebbero stati loro due, un uomo e una donna, l'uno nelle braccia dell'altra, godendosi minuto dopo minuto, aspettando il giorno dopo ancora e ancora. 
FINE ROLE. 
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 39
Kyra cercò di sistemarsi nuovamente l'elmo sulla testa, in modo che non le schiacciasse troppo l'orecchio intatto. Erano stati forgiati per qualcuno con la testa più piccola della sua, in pratica era grande sulla fronte e stretto sui lati. Anche Castalia sembrava infastidita, ma non lo dava a vedere.
Ichabod, il bastone da mago comodamente trasformato in un ramoscello, si muoveva impacciato nell'armatura, chiaramente non abituato a tutto quel peso. Fortunatamente era più in forma della maggior parte dei maghi, o probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a fare qualche passo.
Ellena, dietro di loro, procedeva in silenzio. La tensione era palpabile.
Il palazzo era cambiato molto poco da l'ultima volta che era stata lì dentro, e ricordava perfettamente dov'erano le camere della Principessa.
La giovane, rinchiusa in una delle sue stanze, li aveva spediti alla ricerca di quel bastardo di Valinis, era lui il mago che aveva imposto il sigillo sulla porta e che probabilmente era al fianco di Lechner lì da qualche parte. Ichabod aveva inutilmente provato a rompere il sigillo, decretando infine che l'unico modo di aprire la porta era impossessarsi della chiave con la runa magica usata per chiuderla.
Trovarono le stanze del Re, e del Sovrintendente completamente deserte, a parte dei documenti che portavano il sigillo della Fratellanza.
«E ti pareva...» Commentò Castalia con uno sbuffo, lanciando un'occhiata alla porta dietro di loro, che conduceva ad una serie di scale verso i piani inferiori. «Sotterranei?»
Kyra deglutì a vuoto, annuendo.
La porta non era nemmeno chiusa. Scesero per degli scalini ripidi e stretti, solo parzialmente illuminati dalle torce.
La prima sala che incontrarono ospitava delle piccole celle a muro, a malapena grandi a sufficienza per ospitare un uomo. L'unica guardia, accanto ad una di esse, si voltò allarmata sentendoli arrivare, ma prima che potesse emettere un suono, un braccio nudo scattò fuori dalle sbarre, afferrandolo per il collo e strattonandolo all'indietro.
Il suono del cranio contro il metallo rimbombò sulle pareti di pietra, mentre il prigioniero recuperava le chiavi della cella, appese alla cintura del cadavere, e si liberava in pochi istanti.
«Aspettavo un'occasione del genere da mesi.» Commentò, la spada della guardia in mano, pronto ad attaccare. Dall'accento sembrava del Kehjistan, ma non ne era sicura. Indossava soltanto una tunica lacera, ma il fisico sottostante, sebbene provato da mesi di prigionia, lasciava intendere che fosse ben addestrato al combattimento.
«Ehi, calmo, non stiamo con Ulfric.» Lo fermò subito Castalia, alzando le mani davanti a sé e togliendosi l'elmo.
L'uomo restò per un attimo spiazzato, ma annuì, abbassando l'arma. «Sono Riordan, Venator di Jader, ma nato e cresciuto qui a Nord, più precisamente a Melwatch. Chi devo ringraziare...?»
«Castalia, dei Clan Mahariel, Venator della Fratellanza. E… Lady Ellena Von Meyer.» Rispose asciutta la ragazza. «Come ha fatto Ulfric a catturarti?»
L'altro rispose con una smorfia. «Finta ospitalità e un calice avvelenato... ma ho piacere di incontrare una dei pochi Venator rimasti nel Khanduras.» Spostò lo sguardo su Ellena. «Le mie condoglianze per quanto accaduto alla vostra famiglia, mia signora. Ricordo Melwatch e la vostra famiglia con grande affetto.»
Lei chinò un poco il capo. «Il responsabile verrà punito come merita, Venator, ma grazie per le vostre parole. Ce la fate a combattere?»
Quello scosse la testa. «Ho paura che mesi di prigionia mi abbiano indebolito troppo.»
«Vai alla tenuta del Conte Volkhardt, l'altro Venator, Julian, si trova lì.» Disse Castalia.
 L'uomo annuì, prima di chinarsi sul cadavere della guardia e cominciare a spogliarlo dell'armatura. La Venator fece cenno agli altri di proseguire. Percorsero un altro corridoio buio, che sbucava in una stanza più grande e illuminata, quattro uomini armati di guardia.
Non riuscirono ad ingannarli e dovettero quindi combattere.
Superarono così gran parte dei corridoi. Kyra era davvero lieta che il mago fosse venuto con loro, da sole sarebbe stato difficile sconfiggerli tutti.
Ad un certo punto, sentirono grida di aiuto provenire da una delle porte laterali.
Sbarazzatisi delle guardie, trovarono un uomo legato ad un'asse, mani e piedi in trazione grazie a due ruote che venivano girate tramite una manovella.
«Aiutatemi! Non lasciatemi qui, liberatemi! È un ordine!»
Chiaramente, era un nobile.
Kyra gli si avvicinò, squadrandolo dall'alto in basso con disgusto. «Non mi pare il modo di chiedere aiuto…»
L'altro le rivolse quello che doveva essere uno sguardo di superiorità, ma che da quella posizione sembrava un patetico tentativo di riacquistare almeno un pizzico di dignità. «Taglia quelle corde, donna! Tsk, non posso credere che mio padre mi abbia tenuto così a lungo qui dentro per poi mandare una stupida femmina a tirarmi fuori...»
Kyra tamburellò sul legno, considerando di lasciarlo lì ancora un po'. «Non ho proprio idea di chi sia tuo padre, ma se credeva di rinchiuderti qua sotto per farti imparare le buone maniere, pare abbia fallito miseramente.»
Prima che potesse rispondere con altri insulti, sopraggiunse Ellena.
«Oswyn?»
Il prigioniero sembrò illuminarsi. «Lady Ellena! Oh, meno male. Dite ai vostri servi di liberarmi subito!!»
«Vedo che mesi di prigionia non vi hanno fatto imparare niente.» Lo interruppe gelida lei, tagliando però le corde che lo legavano. «Senza i miei compagni, sareste rimasto a marcire qui dentro per sempre. Siete fortunato che vostro padre, il Duca Sighard, occupi un ruolo di rilievo per il nostro paese.»
Oswyn si mise in pedi a fatica, barcollando. Scrutò le due donne con supponenza, prima di bofonchiare un ringraziamento che suonava assolutamente falso. Si inchinò poi nuovamente verso Ellena. «Parlerò con mio padre, appena uscito da qui. Picco del Drago e i suoi uomini sono dalla vostra parte, mia signora. Mio padre non aveva idea con quali serpi si fosse schierato.»
«Ce la fate a raggiungere l'uscita? Potrete confondervi con le guardie e tentare di uscire dall'ingresso di servizio.»
L'altro annuì. «Vi ringrazio.»
A Kyra non sfuggì che sembrava essersi rivolto solo e soltanto a Ellena.
«Non fosse stato per suo padre, l'avrei lasciato lì sopra molto volentieri.» Commentò piccata.
Castalia sfiorò con le dita la manovella del meccanismo di tortura, sovrappensiero. «Già.»
Proseguirono attraverso una porta alla loro sinistra, che li condusse verso altre celle. Una voce cantilenante rimbombava tra le pareti di pietra, portandoli ad investigare.
«Creatore abbi pietà del tuo fedele servitore. Concedimi un posto al tuo fianco, le fiamme della tua purezza.»
«Questa tiritera mi sa di Inquisitore.» Commentò acido Ichabod, sbattendo stizzito il bastone da mago sul pavimento. «Non dovremo liberare anche lui, spero.»
E infatti, proprio di un giovane Inquisitore si trattava.
«Oh Creatore, abbi pietà di me!» Esclamò appena li vide. «Volkhardt, sei tu, sorellina?»
Il mago scoppiò a ridere, un suono crudele. «No, non credo, amico mio.»
«Come fai a capirlo?» Chiese Kyra, incuriosita.
 Lo vide sollevare le spalle. «Posso avvertire il lyrum dentro di lui. Anzi, l'assenza di lyrium, per essere precisi. È in astinenza da parecchio.»
«Sono Irminric Eremon, cavaliere dell'Ordine degli Inquisitori.» Si presentò l'uomo. Notò che tremava leggermente. «Non siete uomini di Lechner.»
«No, infatti.»
«Eremon? Siete il fratello della Duchessa Aflstanna Eremon?» Si intromise Ellena, avvicinandosi alle sbarre. «Ichabod, tiralo fuori da qui.»
Il mago però non si mosse. «Non vogliamo chiedere come sia finito qua sotto?»
«Che importa, sua sorella…»
«Ero stato incaricato di dare la caccia ad una Strega scappata dell’Accademia.» Rispose l’Inquisitore, precedendoli. «Creatore, ho fallito, e non ho impedito che usasse la sua magia del sangue per compiere atti atroci. L'ho rintracciata a Bowerstone ma...»
Castalia sbuffò sonoramente. «Fammi indovinare, sta parlando di Katrina.»
Ichabod annuì. Kyra portò istintivamente una mano verso l'arco, nel caso il mago decidesse di uccidere l'uomo indifeso.
«Sì, così si chiamava. Era riuscita a distruggere il suo filatterio, e quindi rendere più difficile l'inseguimento. Ero da solo, quando gli uomini di Lechner mi hanno attaccato, imprigionandomi.»
«Dovremmo quindi esserne dispiaciuti?» Sibilò Ichabod, scintille minacciose che si levavano attorno al suo bastone magico.
Castalia si frappose con un rapido movimento tra lui e il prigioniero. «Ichabod. Katrina è ormai al sicuro, questa vendetta non ha senso.»
La guardò con aria di sfida, e per un attimo Kyra temette che i due sarebbero venuti allo scontro. Alla fine, però, il mago capitolò abbassando il bastone.
«E va bene, Castalia… hai ragione.»
L’Inquisitore non sembrava riconoscente, guardandoli con aria persa. «Siete reali, quindi? Non demoni usciti dai miei sogni?»
«Vostra sorella vi sta cercando. Non si è rassegnata alle voci sulla vostra morte. Vi libereremo e potrete andare da lei.» Rispose Ellena, cercando di convincerlo.
Scosse il capo. «Solo il Creatore può liberarmi dalla vergogna del mio fallimento.» Sollevò la mano destra, dove un piccolo anello dorato spiccava sul dito medio, togliendoselo e consegnandolo alla ragazza. «Portatelo ad Volkhardt. Ditele di pregare per me...»
Prima che potessero ribattere, era già caduto in ginocchio, farneticando frasi senza senso.
I quattro si scambiarono un'occhiata perplessa.
«Se non vuole essere liberato dalla sua prigione di sensi di colpa, sono lieto di accontentarlo.» Decretò Ichabod, prima di dirigersi a passo spedito verso il corridoio.
Dopo un altro breve scontro, si ritrovarono in una stanza più ampia delle altre, con quattro celle anguste per lato. La puzza acre si aggrappava alla gola, e le torce alle pareti erano quasi tutte spente.
Un uomo dalla barba lunga e gli occhi incavati, spettrali, giaceva raggomitolato in una di esse. Sembrò non notarli nemmeno. Avvicinandosi, Kyra lo sentì borbottare qualcosa, la voce troppo bassa per distinguerne tutte le parole.
«... ritirarsi, siamo scappati, le urla...» lanciò un gemito terrorizzato, coprendosi le orecchie e barcollando avanti e indietro, gli occhi folli e spalancati.
«State sprecando il vostro fiato, quel pazzo non sa nemmeno che siete lì.»
Sobbalzò istintivamente, il terrore che le raggelava le membra. Quella voce, Kyra l'avrebbe riconosciuta ovunque. Strinse spasmodicamente l'arco tra le mani, il legnoferro che sembrava tremare quanto lei.
Anche gli altri si erano girati di scatto, ed Ellena stava già andando a controllare. «Chi?»
 «Allontanati da quella cella.» La fermò Kyra, afferrandola per un braccio. Mandando una silenziosa preghiera al Creatore, sperò di non dare a vedere il turbine di emozioni che la stavano inondando.
Entrò nel cono di luce proiettato dalla torcia appesa accanto alle sbarre della cella.
Torygg Kendells, ricambiò il suo sguardo con un'espressione sorpresa.
«Non ci credo… la sgualdrina di Bravil!» Il ghigno crudele, nonostante il viso fosse scavato e sfoggiasse una barba non curata, era lo stesso che infestava i suoi incubi. «Tirami fuori da qui puttana, è un ordine.»
L'uomo sobbalzò, quando lei afferrò con uno scatto una delle sbarre di ferro, sentendo una furia cieca impossessarsi di lei.
«È lui?»
Nemmeno si voltò. Annuì in risposta alla domanda di Castalia, non staccando gli occhi dall'altro.
La Venator si avvicinò, appoggiandosi al muro di pietra.
«Liberatemi immediatamente, maledetti ratti!» Latrò Torygg, strattonando le sbarre della cella. «Ve lo ordino!»
Voleva ucciderlo.
Vedere scorrere il suo sangue sul pavimento, godersi il momento in cui la vita avrebbe abbandonato quegli occhi crudeli, non prima di averlo fatto soffrire come lei aveva sofferto. L'avrebbe fatto urlare, implorare di porre fine a quel tormento. Ma sarebbe stata misericordiosa, a differenza sua. L'avrebbe accontentato, alla fine.
«Ichabod.»
Il mago si fece avanti, affiancandola. Guardò il prigioniero con un misto di disgusto e curiosità. «Conosco almeno una decina di maledizioni per farlo soffrire in modo orrendo per giorni, mesi o anni, se può aiutarti.»
Scosse la testa. «No. Lui è mio.» Indicò la serratura, che il mago ruppe con un semplice incantesimo solo sfiorandola con le dita. La porta si aprì verso l'esterno, mentre Torygg si rannicchiava contro la parete, ora terrorizzato.
«Tu! Mago! Ti darò dei soldi, un sacco di soldi!» Il suo sguardo si soffermò poi su Ellena, riconoscendola. «Lady Von Meyer!»
Kyra si girò di scatto verso di lei, pronta ad uccidere l'uomo all'istante se l'altra avesse anche solo suggerito di risparmiarlo. Non importava quanto aiuto potesse dare loro all'Incontro dei Popoli, Torygg non sarebbe uscito vivo da lì, dovesse pure sfidare la Von Meyer per averlo.
Ellena, tuttavia, incrociò le braccia al petto. «Non avete idea di quanto mi dispiaccia vedervi vivo e in salute, Torygg.» Calcò sul nome con disgusto, sputandolo tra i denti.
L'altro strabuzzò gli occhi senza capire, cercando inutilmente un modo di salvarsi. «Potrò testimoniare contro Lechner! Mi ha rinchiuso qui dentro, dando la colpa alla gente Bravil… e alla ribellione! Non…non voglio morire!»
“Ribellione?”
Quelle parole non avevano senso.
«Cosa intendi per ribellione?!» Sibilò, afferrandolo per il colletto e strattonandolo contro il muro.
Torygg si contorse in un altro ghigno, sputando per terra. «A qualcuno non è andato a genio che tu fossi una gran puttana. Hanno provato a ribellarsi, volevano parlare con il Re in persona...» Si passò la lingua sui denti in un gesto osceno. «Ci siamo divertirti come pazzi a metterli in riga…»
Solo quando sentì lo schiocco si rese conto di averlo colpito, fratturandogli la mascella.
L'uomo cadde a terra con un urlo, sputando sangue sulle pietre.
«Puttana, ti farò scuoiare viva e poi…»
Non seppero mai cose stesse per dire.
Kyra gli rifilò un potente calcio in bocca, gli frantumò almeno quattro denti, dopo di che prese la testa di Torygg, e con tutta la forza che aveva iniziò a sbatterla contro il pavimento, fino a che non vide la massa cerebrale fuoriuscire dal cranio spappolato, e poi ancora, iniziò a tempestare di calci il cadavere, il suono delle ossa rotte una gioia per le sue orecchie.
Stremata, si appoggiò al muro, fissando il cadavere ormai irriconoscibile.
Una mano le si posò delicatamente sulla spalla.
«Ehi. È finita.»
L'uomo che l'aveva torturata, stuprata, privata della sua dignità, che le aveva tolto ogni briciolo di voglia di vivere, senza nemmeno garantirle una morte che le avrebbe concesso la libertà da quei ricordi, giaceva morto ai suoi piedi, macellato come una bestia.
Sentì come se un enorme macigno fosse stato rimosso dalla sua anima.
Annuì, afferrando la mano di Castalia e stringendola.
Era libera.
Libera di andare avanti.
Voltò le spalle al cadavere, ripulendosi sommariamente il volto dal sangue con la manica, e si allontanò.
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