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#costituzionalizzazione
bagnabraghe · 1 year
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Conflitto ed energia politica: Costantino Mortati e Carl Schmitt
Le tesi di Santi Romano (anche rilette alla luce delle interpretazioni di Paolo Grossi e Mariano Croce), per quanto colgano delle dinamiche giuridiche l’intrinseca relazionalità e vitalità sociale sottesa all’ordine, necessitano di essere integrate intingendo la “grammatica del diritto” nella “sostanza paludosa e magmatica della doxa”. È necessario addentrarsi nei “luoghi della decisione” e della…
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adrianomaini · 1 year
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Conflitto ed energia politica: Costantino Mortati e Carl Schmitt
Le tesi di Santi Romano (anche rilette alla luce delle interpretazioni di Paolo Grossi e Mariano Croce), per quanto colgano delle dinamiche giuridiche l’intrinseca relazionalità e vitalità sociale sottesa all’ordine, necessitano di essere integrate intingendo la “grammatica del diritto” nella “sostanza paludosa e magmatica della doxa”. È necessario addentrarsi nei “luoghi della decisione” e della…
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ultimaedizione · 7 months
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Rispetto della Costituzione - di Domenico Galbiati
Premierato, costituzionalizzazione del sistema elettorale maggioritario ed autonomia differenziata rappresentano un “combinato disposto” micidiale, destinato a dissanguare e disarticolare l’ ordinamento democratico del nostro Paese. Dev’essere detto chiaramente agli italiani che questa, non altro, è la posta in gioco. Una proposta di riforma in cui convivono la centralizzazione del potere che sta…
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paoloxl · 4 years
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Poche settimane fa il comune di Verona ha deciso di intitolare una via a uno storico leader della destra radicale italiana, Giorgio Almirante, morto nel 1988, ex dirigente del regime fascista e collaborazionista dei nazisti, divenuto nel dopoguerra fondatore del Movimento Sociale Italiano (MSI).
In Italia esistono già diverse vie e piazze Almirante, ma la notizia ha causato particolari polemiche poiché lo stesso consiglio comunale di Verona ha votato pochi giorni dopo per dare la cittadinanza onoraria alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Segre ha detto che le due scelte del comune di Verona sono incompatibili. «La città di Verona, democraticamente, faccia una scelta e decida ciò che vuole, ma non può fare due scelte che sono antitetiche l’una all’altra», ha scritto Segre.
Il dibattito su Almirante dura da decenni, in parte a causa della sua lunghissima carriera politica – fu parlamentare per quarant’anni, dal 1948 fino alla sua morte – ma soprattutto a causa della sua storia personale estremamente controversa. Durante il regime fascista, Almirante fu un importante dirigente del partito, autore di articoli razzisti e antisemiti; dopo la guerra non rinnegò mai la sua fede fascista, la sua ostilità alla democrazia e la sua ammirazione per Benito Mussolini.
Nato a Salsomaggiore in provincia di Parma nel 1914, Almirante divenne un convinto fascista fin da giovane. Iniziò a lavorare come giornalista e fu uno dei principali redattori de La difesa della Razza, il periodico che iniziò le sue pubblicazioni nel 1938 e che, insieme all’approvazione delle cosiddette “leggi razziali”, segnò la definitiva svolta antisemita e razzista del regime fascista.Uno dei suoi articoli più citati venne pubblicato il 5 maggio del 1942. «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti», scriveva Almirante, «altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei». Per Almirante «non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue».
Alla caduta del regime fascista, nel 1943, Almirante entrò a far parte della Repubblica di Salò, il regime fantoccio che i nazisti instaurarono nell’Italia settentrionale. Grazie alle sue credenziali di giornalista fedele al regime venne nominato capo di gabinetto del ministero della Propaganda. In quel periodo Almirante firmò un manifesto distribuito nella provincia di Grosseto in cui veniva intimato agli sbandati dell’esercito italiano (che dopo l’armistizio dell’8 settembre si trovavano in una situazione di grande confusione) di arrendersi e consegnare le armi alle milizie fasciste o all’esercito tedesco, pena la fucilazione.
Quando il documento venne pubblicato dal quotidiano del Partito Comunista L’Unità, nel 1971, ne nacque una lunghissima battaglia legale. Almirante querelò i giornalisti che avevano pubblicato il manifesto, accusandoli di aver falsificato un documento, e per sette anni L’Unità, Il Manifesto e il leader neofascista si scontrarono in tribunale. Alla fine il procedimento dimostrò che il manifesto era autentico ed era stato effettivamente realizzato da Almirante in quanto capo di gabinetto del ministero della Propaganda. Almirante, però, rifiutò sempre l’etichetta di “fucilitatore” che i giornalisti di sinistra gli avevano attribuito, sostenendo di non aver mai compiuto o ordinato episodi di violenza.
Dopo la guerra Almirante divenne uno dei fondatori e poi segretario del MSI, il più importante partito neofascista italiano, che guidò fino alla sua morte (è il partito da cui poi nacque Alleanza Nazionale). Durante la sua lunghissima carriera politica non rinnegò mai la sua passata appartenenza al regime e la sua fede fascista. «La parola fascista ce l’ho scritta in fronte», disse in un’intervista. Fu sempre critico sulla democrazia («Democratico», disse in un’altra occasione, «è un aggettivo che non mi convince») e, dopo il colpo di stato militare in Cile nel 1973, in un discorso alla Camera auspicò che anche in Italia potesse accadere qualcosa di simile. Era un feroce anticomunista e non nascose mai che piuttosto che una loro vittoria alle elezioni riteneva che sarebbe stata meglio una dittatura militare.
L’unico aspetto della sua precedente carriera su cui fece marcia indietro fu il suo sostegno al razzismo e all’antisemitismo. Per tutta la sua carriera politica gli venne rinfacciato il suo lavoro a La difesa della razza, ma in quasi ogni occasione Almirante prese le distanze da quanto aveva scritto tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta. In una tribuna elettorale del 1967, per esempio, Almirante disse che non aveva «alcuna difficoltà» a respingere il razzismo e che, altrettanto, non aveva «alcuna difficoltà» a inserire il Diario di Anna Frank nella biblioteca del suo partito.
Per queste sue posizioni considerate troppo morbide, Almirante fu criticato tra gli altri dal filosofo ed estremista Julius Evola. Ma nonostante fosse percepito come un “revisionista” dalla destra più estrema e razzista, Almirante non arrivò mai a condannare il regime fascista per le leggi razziali e le persecuzioni degli ebrei e sostenne sempre che le azioni che furono compiute all’epoca erano comprensibili e giustificabili alla luce del contesto storico di quei tempi (la condanna arrivò soltanto quindici anni dopo la sua morte con il suo successore, Gianfranco Fini, che definì il fascismo «male assoluto»).
Almirante accompagnò questi atteggiamenti all’apparenza moderati con un comportamento sobrio e responsabile nella sua attività politica, una tattica che venne chiamata “fascismo in doppiopetto” per indicare come l’ideologia violenta e radicale del fascismo assumesse in Almirante tratti rispettabili ed accettabili nel dibattito pubblico dell’epoca. Tra gli altri episodi, il più famoso fu probabilmente la sua visita alla camera ardente del segretario del PCI Enrico Berlinguer (una visita che fu ricambiata dai dirigenti comunisti quando, nel 1988, fu la salma di Almirante a essere esposta dopo la sua morte). Nonostante questi sui atteggiamenti concilianti, Almirante e il suo partito furono spesso accusati di offrire collaborazione e copertura alla destra extraparlamentare, responsabile di violenza, uccisioni e attentanti. Un episodio famoso è quello degli scontri di Valle Giulia a Roma nel 1968 in cui Almirante (ritratto in una celebre foto con giovani neofascisti armati di bastoni) partecipò e secondo molte testimonianze guidò un’aggressione contro l’occupazione dell’università da parte di studenti di sinistra.
Secondo i suoi difensori la strategia di Almirante portò alla “costituzionalizzazione” dell’estrema destra, evitando che milioni di voti e migliaia di militanti sostenessero partiti e movimenti ancora più estremisti. Per i critici, invece, Almirante aveva soltanto mascherato gli aspetti esteriori di un’ideologia violenta e antidemocratica che, anche grazie a lui, non è stata mai del tutto estirpata dal dibattito pubblico italiano, spesso proteggendo direttamente scelte e atti violenti dei movimenti neofascisti. Negli ultimi anni, e in particolare dopo la sua morte nel 1988, il ruolo di Almirante è stato per molti versi assorbito nella storia dell’Italia democratica, come spesso avviene con le figure del passato. Politici di tutti gli schieramenti, compreso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, hanno partecipato alle commemorazioni della sua figura e ne hanno lodato l’attività politica.
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itisanage · 3 years
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Di cosa stiamo parlando
Spiace, ma fino a un certo punto, che ciò che resta della politica di sinistra non abbia capito cosa bolle nella pentola dello scontro tra le due Americhe. È la Politica. «Politica e democrazia – come dice Pietro De Marco – sono più delle “regole democratiche”. Per parte degli USA il mondo liberal è ormai il Nemico. Sono state superate soglie, di valore e di ragione. Che sia Trump ad interpretare il “non più oltre” ha molte controindicazioni, come per analoghi problemi europei il fatto che vengano rappresentati da Orban ecc. Ma la soglia critica è rivelata del ritorno del Politico come conflitto».
Le polemiche italiche, tutta roba di seconda terza mano, di livello non infimo... inesistente, si attestano sulla dimensione riduttiva della democrazia intesa come mera procedura. La confondono, interessatamente, con la sostanza stessa della democrazia. Ma anche rimanendo sullo stesso piano credo che una delle rotture più clamorose si ebbe quando in occasione di uno dei discorsi di Trump sullo stato della nazione, Nancy Pelosi strappò alle spalle del “suo” presidente il suo discorso. Era un atto che rompeva con ogni protocollo istituzionale e segnava il punto di non ritorno della dialettica tra poteri dello stato federale americano. La delegittimazione del presidente eletto, posso sbagliarmi, ma parte da questa rottura. Che Trump restituisca l’affronto facendo leva su quella parte del popolo che lo sostiene è in certo qual modo naturale. Nei suoi modi testimonia che si è andati oltre. Che questa sia la Politica, il Politico è cosa altrettanto certa. La cosa più temibile, per le attuali conformazioni rappresentative di ciò che resta degli stati occidentali, è il richiamo o l’eco di un richiamo alla possibilità di riaprire i processi di costituzionalizzazione che nei secoli passati, dalle rivoluzioni in poi hanno segnato la storia dell’Occidente.
I segni di una insuperabile stasi sono preponderanti e generalizzati a fronte dei mutamenti profondi che lo spazio politico e quello antropologico sta subendo a opera dei veri poteri in atto, questi sì non costituzionalizzabili e, ciò che è peggio, che non vogliono farsi costituzionalizzare, riconducibili al complesso finanziario-tecno-scientifico. Su questa frontiera non c’è alcuno spazio politico e questo determina l’infantilismo e anche la regressività dei tentativi, per lo più inconsapevoli, di ricrearlo riportando a casa ciò che è irrimediabilmente sfuggito al potere della rappresentanza democratica. Quindi come al solito la sinistra perde l’occasione di discernere e lo fa senza neppure riflettere con gli strumenti teorici che storicamente si è data. È l’anno zero della sinistra in tutte le sue forme e declinazioni. Una cecità così radicata è solo il segno dell’asservimento.
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samdelpapa · 4 years
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2011 - dopo il “GOLPE” al Governo Berlusconi 8 anni di rapine legalizzate e distruzione. La XVIIesima Legislatura volge a termine ed è giunto il momento di tirare le somme e fare il bilancio degli ultimi 7 anni, tutti caratterizzati dal Partito Democratico al Governo del Paese (fatta eccezione per il solo 2012 quando non era al governo ma appoggiava – senza battere ciglio – tutte le nefandezze del Governo Monti). Novembre 2011. Colpo di Stato ai danni del Governo Berlusconi IV. Mario Monti sale a Palazzo Chigi sostenuto da Pdl e Pd: a) riforma Fornero sulle pensioni e nascita del problema degli esodati; b) abbassamento a mille euro del limite di utilizzo del denaro contante in qualsiasi tipo di transazione; c) totale inversione dell’onere della prova a carico del contribuente; d) seconda riforma Fornero che contrae fortemente i diritti fondamentali a tutela del lavoratore; e) forte contrazione della domanda interna attraverso il consolidamento fiscale e la diminuzione delle importazioni (attraverso, appunto, la contrazione della domanda e quindi dei consumi); f) voto favorevole alla ratifica del Trattato intergovernativo denominato “Fiscal Compact” (cioè zero spesa a deficit, riduzione a ritmi criminali del rapporto debito pubblico/Pil e pareggio di bilancio); g) voto favorevole alla vile costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio (Legge costituzionale n. 1/2012); h) Risultati: contrazione del Pil (dal + 0,4% del 2011 al – 2,4% del 2012) e aumento del tasso di disoccupazione (dall’8,4% a poco meno del 13%). Elezioni politiche 2013 e XVIIesima Legislatura. Con appena il 29,55% dei voti, la coalizione di centrosinistra guidata dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani ottiene alla Camera il 55% dei seggi. Nel gennaio 2014 la Corte costituzionale, con sentenza n. 1/2014, dichiara l’incostituzionalità della legge elettorale (il porcellum) con la quale è stata eletta la XVIIesima Legislatura (sia nella parte in cui non consentiva all’elettore di esprimere le preferenze per i candidati, sia nella parte in cui prevedeva l’applicazione di un premio di maggioranza senza prevedere anche una soglia minima di voti perché il premio possa trovare attu https://www.instagram.com/p/B57lqCNi7Pi/?igshid=b0sxyt0p2zv5
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paoloferrario · 5 years
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Manuale di Contabilità e Finanza degli Enti Locali, di Giuseppe Milano - Antonio Rossi - Edizioni Simone, 2019. Indice del libro
Manuale di Contabilità e Finanza degli Enti Locali, di Giuseppe Milano – Antonio Rossi – Edizioni Simone, 2019. Indice del libro
indice
PARTE I
LA FINANZA
Capitolo 1: L’autonomia finanziaria e il federalismo fiscale
Le origini del federalismo fiscale
La costituzionalizzazione dei principi federalisti: la L. cost. 3/2001 e il nuovo art. 119
L’attuazione del federalismo fiscale: la L. 42/2009
A) Il finanziamento delle spese relative alle funzioni degli enti locali
B) I principi cui devono attenersi i decreti attuativi
C) I…
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pangeanews · 6 years
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“L’Italia è un Paese per vecchi e di vecchi. Ma dobbiamo continuare a lottare”. Vittorio Emanuele Parsi (in divisa da rugby) su: futuro della democrazia, oligarchie finanziarie, Europa
La prima domanda sorge spontanea. Cosa ci fa un pluridecorato prof della Cattolica di Milano, direttore dell’Aseri, che sta per ‘Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali’ su un campo da rugby, a darsele di santa ragione per ottenere la divinità della palla ovale? Dopo un po’, la domanda pare cretina. Vittorio Emanuele Parsi, mettiamola così, non è uno che sta a guardare. Non sta in cima agli spalti dello stadio a dettare le strategie di battaglia dei suoi, ben vestito e decorosamente lindo. Parsi è uno che si getta nella mischia. Così – percezione mia – il suo ultimo libro, dal titolo perentorio, Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale (Il Mulino, 2018), non è la consueta ‘operetta’ di un canonico cattedratico. Ovvio. Parsi fa le cose per bene. In duecento pagine piuttosto divulgative indaga la crisi delle certezze economiche occidentali – che significa: mutamento dell’idea stessa di lavoro e dunque del modo di vivere quotidiano – a partire dalla fine della Seconda guerra, focalizzandosi sugli ultimi trent’anni, dalla caduta del muro di Berlino in qua. Parsi mette il bisturi dello storico e dell’analista nelle ulcere: l’Europa conta quasi nulla, l’Italia conta niente, gli Usa di Trump sono indeboliti e possono poco contro le satrapie autoritarie di Russia e Cina, il capitalismo non ci rende più tutti belli, baldi e felici, si è mutato in un “capitalismo della rendita, oligopolistico e finanziarizzato, che non ha alcun senso definire ancora ‘libero mercato’”. Insomma, è il lento, definitivo tramonto dell’Occidente. L’“esperienza fin troppo comune di vivere il crepuscolo di un’epoca che ci era stato fatto credere avrebbe segnato il trionfo dei valori liberali, contrassegnata da una crescente e più equamente distribuita opulenza, dalla rarefazione dell’insorgenza della guerra, dalla generalizzata espansione della tutela di quei diritti individuati durante l’Illuminismo e così faticosamente conquistati e difesi nel corso del Novecento”. Il libro di Parsi, dicevo, non è l’esercizio tronfio di un vip dell’accademia. Parsi parla a cuore aperto, dice quello che nessuno vuole sentirsi dire (“di questo dibattito, i mass media danno ben poca notizia”), abbozza delle soluzioni per evitare che l’Europa si disintegri sotto il peso della sua stanca nobiltà. Studia, reagisce, combatte. Per questo, forse, il suo libro, che evoca il Titanic – le cui bozze, non a caso, sono state perfezionate a bordo della ‘Vespucci’, “novantaquattro giorni indimenticabili di navigazione da Montréal a Livorno, alla quale ho avuto il privilegio e l’onore di partecipare come Capitano di fregata di Stato Maggiore e political advisor” – non è un requiem ma un inno alla lotta. “Non esiste alternativa (mai) a scendere in campo e giocarsela”, mi dirà, più tardi, Parsi. Così il rugby diventa la metafora della strategia dell’onore in un mondo di iene e di faine. (d.b.)
Partiamo con un tema ‘di pancia’. Stretti tra “demagogia populista” e “tecnocrazia oligarchica”, come scrive, rifiutiamo d’intendere che la fatidica crisi economica non è passata, non è parziale, ma sostanziale. Ancor più alla luce di un liberismo ‘teologico’ che rende più forti i forti (pochissimi) e più sfortunati i deboli. Cosa sta succedendo?
Quello che sta succedendo è che la sostituzione del liberalismo con il neoliberalismo ha comportato la riduzione del parametro egemonico in base al quale giudicare e conformare ogni comportamento umano alla pura dimensione economica. Facendo così si è privata l’arena stessa della competizione economica di regole, limiti del campo da gioco e di un arbitro. In tal modo chi era più forte è diventato sempre più forte e tutti gli altri sono stati progressivamente eliminati dal mercato. Il meccanismo non è poi così dissimile da quello che ha costituito la casta degli “oligarchi” dopo il crollo dell’URSS. Lì la privatizzazione selvaggia ha creato una superclasse di ricchi e potenti, qui l’idea che il capitalismo finanziarizzato potesse (sapesse e volesse) autoregolarsi ha prodotto la distruzione dei ceti medi. La crisi ha solo reso evidente e insopportabili le storture di un sistema destinato a generare l’infelicità del maggior numero.
Cosa intende (la cito) per “affaticate democrazie”? Probabilmente con il superamento dei partiti canonici la democrazia è svuotata di senso. Eppure, l’epoca della crisi ha riproposto (in versione pop) antichi reflui di ideologie novecentesche, di destra e di sinistra. Cosa sarà la democrazia, che futuro ha?
L’affaticamento delle democrazie è legato al duplice attacco concentrico portato da chi nega che la globalizzazione produca anche squilibri socio-economici ai quali la politica deve porre rimedio e di chi vorrebbe tornare a un mondo del passato, sovranista o comunitario, che nella realtà non era per nulla un paradiso in terra. Non c’è dubbio che il progresso tecnologico sottoponga a tensione i tempi necessariamente più lunghi della democrazia rappresentativa. Ma dovremmo sempre ricordare che fuori della rappresentanza non esiste democrazia, che quest’ultima è fatta di un momento deliberativo e di un momento di confronto e sedimentazione delle idee. Qualunque forma possa prendere la democrazia del futuro posso dirle che o sarà fondata sulla separazione dei poteri e sulla capacità di far convivere “il popolo” e “le istituzioni” o non sarà tale. Su quest’ultimo punto, la sintesi romana era efficacissima: SPQR, il Senato e il Popolo fanno Roma, nessuno dei due da solo può ergersi a tutto.
Lei analizza, portando in dote diversi fatti storici, un mutamento del baricentro ‘del potere’. Dall’eurocentrismo e dal mondo Usa-dipendente, siamo passati a una sorta di vasta satrapia asiatica. Russia e Cina emergono con prepotenza, e lì la democrazia non è che una fola. Come mai?
Il successo della democrazia nel mondo atlantico è frutto della sua storia particolare e anche delle circostanze, della fortuna, machiavellicamente intesa. La Russia ha conosciuto una breve stagione di confusa, inefficiente e anche corrotta democrazia ai tempi di Eltsin; quella stagione si è chiusa con la premiership e poi le presidenze di Putin. In Cina un movimento verso la democrazia non c’è mai stato. E l’abolizione dei limiti di mandato a Xi ci dice che la convergenza tra i due sistemi è persino nelle forme istituzionali. In Russia come in Cina, “chi governa il Paese possiede il Paese”. Entrambi i Paesi ci dimostrano che il capitalismo può convivere con forme politiche illiberali e autoritarie. Ovvero ci ricordano che il capitalismo è una forma di organizzazione della produzione e delle distribuzione, non un modo di regolare la vita sociale. Quando misuriamo la democrazia solo sul metro dell’efficienza, della sua velocità nel decidere, imbocchiamo già un piano inclinato. Perché la democrazia è un bene, è un valore, in quanto il principio sul quale si basa e che deve riflettere nella sua prassi e nelle sue istituzioni è che “ognuno è titolare dei medesimi inalienabili diritti”, ovvero il principio di uguaglianza. Ciò che dovrebbe inquietarci maggiormente oggi, è che due sistemi così diversi, come quello russo e cinese (da un lato) e quello occidentale (dall’altro) siano perfettamente integrati nello stesso sistema economico globale. Eppure nel primo modello la proprietà privata è tutelata molto relativamente, al punto che potremmo definire un “capitalismo di concessione” (cioè sempre sotto schiaffo del potere politico), mentre nel secondo la sua tutela è sempre maggior e ormai prevalente su ogni altro diritto. La coesistenza è resa possibile dal fatto che l’unica cosa che conta è l’accesso reciproco ai rispettivi mercati. Oggi, l’apertura dei mercati non è più una pratica di politica economica più o meno adeguata a seconda delle stagioni: oggi è un dogma assoluto.
Tutti ci dicono che l’Africa è una risorsa decisiva. Ma l’Africa è già neo-colonizzata dalla Cina, o mi sbaglio? Che futuro per il continente africano?
L’Africa è un continente ricco di risorse naturali e di potenziale forza lavoro. Entro una trentina d’anni sarà il polo nel quale sarà concentrata la più grande massa di popolazione in età da lavoro. Il paradosso è che gli stessi che ci descrivono le potenzialità di questa opportunità, si dimenticano di dirci che il lavoro è sempre meno richiesto. La verità è che il sistema economico contemporaneo è bulimico rispetto al capitale – non gli basta mai, lo divora letteralmente – e anoressico rispetto al lavoro – sempre troppo, troppo pagato, da espellere. Guardate alle previsioni sul saldo tra la distruzione e la creazione di posti lavoro generati dalla robotizzazione e dall’introduzione dell’intelligenza artificiale. Non si tratta di luddismo, ma di ricordare che macchine, robot e computer dovrebbero liberare il lavoro dalla fatica, non cacciare i lavoratori dai processi produttivi. E tutto ciò si può ottenere semplicemente attraverso le regole: ovvero ridefinendo quanta parte dell’incremento di produttività legato all’innovazione tecnologica deve remunerare il capitale e quanto il lavoro.
Lei suggerisce, in calce al volume, la necessità di una Europa più forte che non vada ad avvilire le sovranità nazionali. Non sarebbe bene, a questo punto, una opzione radicale: o solo Europa (senza governi nazionali) o niente Europa (se non come azione di ‘vigilanza’), viste le diversità dei singoli stati europei? L’Europa priva di UK, in effetti, non è, come dire, ‘gambizzata’ in partenza?
L’Unione Europea è un’unione di Stati e pensare che possa trasformarsi in una Federazione continentale è una pura utopia. Oltretutto, ora come ora, abbiamo un ritorno alla prevalenza del ruolo degli Stati e del metodo intergovernativo, legato alla costituzionalizzazione del Consiglio dei capi di Stato e di governo degli Stati membri che di fatto ha potere di impedire che la Commissione possa persino istruire una pratica. Allo stesso tempo, da Schengen in poi, il livello comunitario si è occupato in maniera pressoché esclusiva della costruzione del mercato unico, finendo con l’erodere le risorse finanziarie a disposizione dei governi nazionali per sostenere i sistemi di welfare nazionali. La sensazione di spossessamento delle sovranità cui oggi assistiamo generò come prima risposta il NO al referendum sulla costituzione europea di Francia e Olanda. È da lì che origina il ruolo nuovo e ampliato degli Stati dentro l’Unione ed è sempre da lì che parte l’onda lunga del sovranismo e del pupulismo. E la Brexit. Non c’è dubbio che una UE senza Regno Unito è molto più debole soprattutto verso l’esterno. Detto questo, solo se l’Europa saprà recuperare il suo baricentro tra dimensione nazionale e sovranazionale e tra esigenze delle produttività e della solidarietà, potrà salvare se stessa e tutti noi. Qualche segnale c’è: guardi l’accordo tra Confindustria tedesca e Sindacato dei metalmeccanici, per “lavorare meno ore a pari salario”. Ridiscutere le rispettive quote di appropriazione della ricchezza che insieme si produce.
Ultima. Lei sottolinea, con pertinenza feroce, la situazione culturalmente decentrata, periferica dell’Italia. Se l’Europa può salvarsi, qual è il futuro del nostro Paese in un mondo così complesso, complessivamente pieno di lupi?
Guardi, il problema è che da noi le tendenza culturali, persino lo Zeitgeist, arriva sempre dopo, quando gli altri hanno già cambiato aria, si pongono domande e hanno dubbi, invece di ostentare granitiche certezze. Questo resta un Paese per vecchi e di vecchi, in cui vecchi arnesi della politica pensano che l’innovazione sia attaccare il liceo classico, in cui si finge di dimenticare che l’innovazione tecnologica non arriva se non nella forma dei gps per i nuovi cottimisiti del II millennio, che consegnano cibo cotto per quattro spiccioli. La verità è che la sola fase di modernizzazione anche culturale del Paese è stata il frutto della provvidenziale sconfitta contro gli USA nella Seconda guerra mondiale. Appena il Paese ha rialzato la testa, dopo il miracolo economico, è tornato fuori il solito vecchio provincialismo bigotto e autoreferenziale dell’italietta. Noi il ’68, che dovremmo sempre ricordare quale enorme stagione di cambiamento, modernizzazione e speranza rappresentò, oggi non lo avremmo più, perché siamo nuovamente tornati a essere il Paese chiuso di sempre.
Ultimissima. Un grande esperto di geopolitica e di ‘relazioni internazionali’ cosa ci fa su un campo da rugby? La sua è una anima ‘in battaglia’?
Il campo di rugby insegna la lotta, la tenacia, il sostegno nel rispetto dell’avversario, delle regole e dell’interpretazione che l’arbitro ne da. Insegna che in genere chi è più forte vince (quasi sempre) ma che non esiste alternativa (mai) a scendere in campo e giocarsela. Ricorda che i tuoi compagni, la tua squadra, sono i tuoi fratelli, ma che la comunità mondiale dei giocatori di rugby sono il popolo più grande in cui ti fondi e che tutti gli altri, spettatori e persino chi neppure abbia mai sentito parlare del rugby, debba sempre poter trarre dal comportamento di un rugbista – in campo e fuori del campo – un esempio, un monito e un aiuto a continuare a lottare in quello in cui si crede.
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paoloxl · 7 years
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Alcune note di Ivo Poggiani, presidente della Municipalità 3 del comune di Napoli, sul "laboratorio Sanità".
La bellezza – diceva Peppino Impastato – è l’arma più potente contro la paura e l’omertà. Questa frase viene ripetuta così spesso che, a volte, il suo significato è dato per scontato. A me, invece, sembra fondamentale. Essa apre ad un’idea di opposizione al ricatto criminale che opprime un territorio che non è scontata. Quando si pensa alle camorre, infatti, il senso comune va subito a soluzioni di tipo militare: pattugliamento delle strade, sistemi di vigilanza, controllo serrato. E invece la frase di Peppino ci ricorda che tutto questo non basta: il contenimento delle strategie mortifere dei clan è fondamentale, ma rischia di trasformare la cittadinanza e le istituzioni in una retroguardia di costante difesa da un nemico troppo più forte, perché capace di sfruttare la povertà e l’emarginazione sociale per trovare sempre nuova manodopera che, facilmente, diventa carne da macello nelle guerre che periodicamente infestano il territorio. Perché la camorra è innanzitutto questo: una forma alternativa di controllo delle strade, basata sul ricatto, la paura e l’asservimento prima economico e poi paramilitare dei segmenti sociali più deboli della popolazione. Da quasi due anni, per la recrudescenza delle guerre di camorra, la Sanità vive una quotidianità terribile: quella delle stese, delle sparatorie scellerate negli orari in cui bambini entrano o escono da scuola. Quella che ha portato alla morte di Gennaro Cesarano, un sedicenne “colpevole” di essersi attardato a chiacchierare in piazza con degli amici. Quando è iniziata la mia esperienza di amministrazione del territorio ho trovato un quartiere stremato dalla paura. Un quartiere di cui si diceva unicamente la pericolosità, addossando addirittura la colpa alla presunta omertà dei cittadini. Un quartiere, non a caso, scelto dall’allora Ministro degli Interni Alfano come simbolo dell’intervento armato dello Stato: Piazza San Vincenzo fu scelta infatti come uno dei luoghi in cui installare i presidi dell’esercito che, a tanti mesi dalla loro apparizione, dimostrano oggi la loro inconcludenza di fronte al perpetrarsi delle violenze, dei fenomeni di racket, di guerra per il controllo dello spaccio. Io però, che sono nato e cresciuto su questo territorio, conoscevo e conosco un’altra Sanità. La Sanità cuore di alcune delle meraviglie assolute che la città di Napoli si fregia di possedere. La sanità delle piccole botteghe di eccellenza. La Sanità dei parroci di strada. La Sanità dei comitati di quartiere che difendono il diritto alla salute e il libero accesso alla cultura. Tutto questo doveva essere valorizzato. Doveva diventare il motore di una rinascita e di un’espansione culturale e sociale di un quartiere le cui potenzialità erano incredibili e non sfruttate. Quest’idea è diventata un’idea fissa, che mi ha accompagnato anche nella quotidiana gestione della miriade di incombenze quotidiane che ha ogni Municipalità e, in generale, ogni ente locale colpito dalla crisi economica. Dequalificazione urbana, disservizi, emergenze infrastrutturali: tutto questo è ciò che il Governo Centrale ha lasciato alle realtà locali. La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e l’applicazione di parametri aziendali alle economie locali vuol dire, concretamente, strozzare ogni intervento strutturale di riqualificazione. Tutto questo, però, non poteva e non può essere una scusa per accontentarsi delle briciole dell’esistente. La costruzione di una Municipalità Ribelle, la sperimentazione dell’autogoverno deve essere capace di costruire una sfida in grande a chi oggi vuole trasformare le istituzioni di prossimità in enti di ragioneria. Per questa ragione, prima di tutto, ho deciso di sfidare la paura e fare i nomi di chi, oggi, vuole minacciare il nostro quartiere e stringere gli artigli. Per questa ragione abbiamo deciso di combattere con la cultura e il senso civico il silenzio. Per questa ragione, aiutati e guidati da tutte le forze sane del quartiere, abbiamo provato a valorizzare la storia del nostro territorio con una proposta culturale che fosse alla sua altezza. Le notti bianche, gli eventi di piazza, i concerti gratuiti, tutto questo voleva dire una cosa: attrarre tantissimi cittadini nel nostro territorio perché potessero scoprirne la bellezza e dunque iniziassero a viverlo, a conoscerlo, ad incontrare i piccoli e grandi tesori che si nascondono nell’architettura e nei fregi dei palazzi o nelle botteghe pasticciere ed enogastronomiche in generale. Accanto a questo era importante ricordare il contributo della Sanità alla cultura di Napoli e, in questo senso, le celebrazioni del Cinquantenario della morte di Totò sono un’occasione importante per ricordare che il quartiere che veniva raccontato unicamente come il quartiere covo dei clan, è stato ed è un quartiere di artisti, poeti, teste di serie della tradizione teatrale e cinematografica napoletana. Oggi l’idea che si ha della Sanità in città è cambiata tantissimo: oggi la Sanità, per moltissimi napoletani, è il quartiere delle notti bianche nei Vergini, dei fiocchi di neve di Poppella (e del proiettile-babà, la dolce provocazione all’agguato che ha subito quell’esercizio cui il territorio ha dimostrato estesa ed immediata solidarietà), del presidio in difesa dell'Ospedale San Gennaro e della Salute Pubblica. Il quartiere che ha saputo denunciare le politiche di tagli del governo regionale, imponendo l’ascolto di vertenze cruciali per la difesa dei diritti che sono andate anche al di là del quartiere stesso: penso, ovviamente, in prima istanza alle battaglie di Un Popolo in Cammino, che si sono intrecciate con tanti territori in lotta contro le camorre e che individuavano nell’apertura delle scuole e nella richiesta di misure di sostegno al reddito l’unico antidoto al ricatto criminale nelle periferie della città. Non è un caso – e vengo agli ultimi giorni – che anche quando ci sono Grandi Eventi in giro per tutta la città, la Sanità è il quartiere che finisce sotto i riflettori. È il caso del festival di Sky Arte che – nella percezione comune – è sembrato quasi un evento di quartiere (mentre invece era un evento di portata cittadina, il cui quartier generale era Villa Pignatelli nella municipalità di Chiaia): oggi quello che succede alla Sanità emoziona e fa discutere tante e tanti. Inoltre, il rinnovamento culturale che investe la Sanità non potrà non considerare la sedimentazione nelle generazioni più giovani di un senso comune di appartenenza che dovrà progressivamente identificarsi con la bellezza, appunto. E la bellezza dovrà essere rappresentata anche dalla capacità che sapremo avere di restituire alla scuola, alla cultura, alla formazione quel ruolo fondamentale di sviluppo, progresso, emancipazione che ha perso negli ultimi tempi. Tra le anime belle che popolano questo quartiere è doveroso ricordare le tante educative territoriali, il centro poli-funzionale, il polo territoriale per le famiglie che fanno un lavoro faticoso, ma eccellente e determinante per recuperare dalla strada e dalle diverse forme di devianza i più giovani, quando non i più piccoli, del territorio. Accanto a loro un circuito di presidi e dirigenti scolastici che hanno dimostrato al volontà e la capacità di saper leggere il territorio in cui lavorano, di saperlo interpretare e decodificare, di non arrendersi davanti a nessuna difficoltà, strutturale, economica, ambientale. Nonostante ciò, ancora oggi la Sanità è una zona in cui il tasso di dispersione scolastica e di abbandono è troppo elevato. Compito al quale non possiamo sottrarci come Amministrazione sarà quello di rinsaldare ulteriormente i rapporti fra le scuole e le agenzie territoriali, di attrarre quei finanziamenti necessari perchè l'opera meritoria ed attenta di presidi, docenti, educatori ed operatori sociali venga integrata e potenziata al massimo, perchè nessun bambino o ragazzo rimanga in strada, perchè ad ogni bambino o ragazzo venga offerta la possibilità concreta, organizzata, strutturata di pter sviluppare le proprie competenze ed inclinazioni, perchè ritrovi la fiducia perduta nella formazione culturale e professionale. Perchè i futuri cittadini del Quartiere e della città si riapproprino della consapevole capacità di decidere del proprio futuro. Questo patrimonio ad oggi è evidentemente ancora potenziale e rappresenta un’enorme responsabilità. Si palesano segnali di un'altra realtà possibile per le nostre strade, per il nostro mondo. Sono segnali positivi ed importanti, che vanno compresi, analizzati e – soprattutto – sviluppati ed indirizzati. Nella percezione comune si è sempre detto che la città di Napoli dovrebbe rinascere a partire dal turismo e dalla cultura.
Alla Sanità stiamo provando a dimostrare che tutto questo è possibile. Perché diventi reale, però, la buona volontà delle istituzioni e delle forze sane del territorio non basta: serve che il governo centrale riconosca a Napoli l’autonomia finanziaria che è riconosciuta a Roma. La capitale del Sud Italia deve emanciparsi dal ricatto del debito pubblico e deve poter tornare ad investire risorse pubbliche per la riqualificazione ecologica, sociale e culturale del territorio. Questa è l’unica alternativa credibile e sostenibile che ha di fronte. In caso contrario, dopo qualche fiammata entusiasmante, la città ricadrà nella morsa della revisione di conti e verrà riproposta come città “inferiore”, da saccheggiare quando possibile o da abbandonare alla ricerca di luoghi più accoglienti. Questo non possiamo permetterlo: la Sanità oggi è uno dei laboratori più interessanti di quella che è stata definita l’anomalia napoletana. La strada è lunga ed è in salita, l’importante non è arrivarci presto, ma arrivarci insieme.
Ivo Poggiani – Presidente della Municipalità 3
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