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itisanage · 4 months
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I miei auguri di Natale
[Karl Marx 1847, Miseria della filosofia, 209​ Cap.1, §1] «Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate — virtú, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. — tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore».
Nell’epoca del “giusto valore”, nella quale ogni pur minuto aspetto della realtà possiede il suo “giusto” prezzo “chi siamo noi per giudicare” un nuovo valore senza prezzo? Attaccato al valore c’è sempre un giudizio, c’è sempre qualcuno che valuta, soppesa, misura, sagoma e ritaglia un pezzo di realtà per presentarla sul banco del macellaio di turno. Le guerre, da questo punto di vista, sono decise dal direttore del supermercato che ha tolto i vecchi prezzi e ha deprezzato gli articoli che vuole vendere sottocosto. Il guadagno lo realizzerà con nuovi articoli sugli scaffali. Esseri bianchicci, esangui, linfatici, per i quali il sangue e la passione non hanno più alcun senso e hanno smesso di scorrere, macchine celibi, sonnamboliche, senza ebrezza, che urlano e stridono a comando, agitandosi nel vuoto di cui sono fatti e in cui verranno dispersi. Nemmeno la cenere resterà di loro. Resterà di noi.
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itisanage · 5 months
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Oggi su “Avvenire” la recensione dell’ultimo libro di Roberto Esposito, Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione, dedicato ai processi di istituzionalizzazione della vita... e non solo. Approccio, a mio parere, interessante ma altrettanto discutibile.
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itisanage · 5 months
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Aleksandra Kollontaj e il ritratto che ne fa la mamma di Emmanuel Carrère, Eléne Carrère d'Encausse. Su Avvenire di oggi, con qualche osservazione, del tutto marginale, sull’essere valchiria.
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itisanage · 6 months
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Perché non viene esercitata la misericordia? Eppure è un attributo importante di Dio. Lo stesso Dio pantocratore, vale a dire Colui che possiede non tanto tutta la forza del mondo, e la esercita, bensì la superiorità e ogni preminenza possibile, più volte nella Bibbia si ferma di fronte alla possibilità di colpire e distruggere il popolo che lo ha tradito o che non l’ha ascoltato. Per i Greci era Zeus a conferire, come e quando voleva, il krátos a una delle armate in lotta. Una superiorità che mutava secondo gli umori del dio. Ma lungi dall’essere confinata alla guerra la superiorità è anche una manifestazione del potere esercitato dal re, dal capo, dall’eroe. Il trionfo, il vantaggio che si trasforma in vero esercizio del potere deve sapersi fermare, deve sapersi arrestare. Certo l’esercizio del potere è caratterizzato da un certo progressivo indurimento, un rapprendersi della violenza nel dominio temporalmente più lungo possibile. L’uso che la cultura greca-omerica fa di queste due accezioni – in realtà molto più di due – del krátos, almeno come le spiega Emile Benveniste, è molteplice e si allunga in epoca post-omerica a fornire lemmi a profusione al vocabolario politico occidentale. Il Dio di misericordia rompe con il Dio degli eserciti, anche quando appare nelle “mandorle” bizantine come il Pantocratore. Perché non si riesce più a tener conto di questa rottura? Perché si è regrediti a Omero? Forse addirittura a prima, perché neppure si prende in considerazione la differenza che già la grecità manteneva circa l’uso del krátos! Scrive Benveniste citando la Costituzione di Sparta: “mentre gli altri Greci ammorbidiscono i piedi dei loro bambini calzandoli, gli Spartiati induriscono (kratúnousi) i piedi dei loro, facendoli camminare a piedi nudi”. O rivestiti di acciaio, come i carri armati Merkavah? Nel primo capitolo del profeta Ezechiele, Merkavah è il carro di Dio, dalla cui visione sono nate infinite speculazioni esoteriche, Ma‘aśeh Merkavah e nella tradizione talmudica l’Hekalot. Lo dico da lettore, e solo da lettore quale sono, ma la polarità Atene Gerusalemme rischia di trasformarsi in una ben più terribile Gerusalemme Sparta.
P.S. Misericordia e perdono non stanno perfettamente insieme, ma entrambi possono essere esercitati solo da chi ha forza d’animo. Il perdono di chi vince e quindi perdona chi l’ha costretto a vincere, vale a dire a usare la forza e a conservarla; la misericordia di chi avendo vinto riconosce la sconfitta dell’altro un po’ come la propria, perché ogni vittoria ottenuta con la violenza testimonia non solo della forza ma anche del cedimento alla malvagità altrui.
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itisanage · 7 months
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La recensione di “Avvenire” dell’Ibis di Ovidio. Invettive per tutti. Desiderate una nuova collezione di improperi da affibbiare al vostro nemico di sempre? Fatelo con eleganza... usate Ovidio!
La penna è di Rosita Copioli.
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itisanage · 8 months
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Oggi su “Avvenire” la nuova edizione dei *Ricordi* del Guicciardini, dove la fonte di uno dei più diffusi luoghi comuni sugli italiani - essere gli italiani amanti e sospinti solo dalla cura del *particulare* – trova di che giustificarsi e, forse, superarsi.
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itisanage · 8 months
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Ieri al cinema ad assistere alla proiezione del film su Oppenheimer di Nolan. Non mi dilungo sui “contenuti”. Sono di una chiarezza inequivocabile. Da questo punto di vista lasciano poco spazio alle sottili disquisizioni del tipo cosa ha detto qui, cosa voleva dire in quella scena ecc. Tutto chiaro. Didascalico, quasi. Ma assolutamente uguale, fin nelle battute, alla biografia di Oppenheimer scritta da Bird e Sherwin nel 2012 (Garzanti) da cui è tratto. Non è cosa da poco, visti gli scempi che spesso le riduzioni cinematografiche comportano. Il libro è di 800 pagine con una documentazione riscontrabile frase per frase. Le trascrizioni delle sedute del “processo” sono riportate quasi alla lettera nel film. La maestria tecnica di Nolan, l’uso degli effetti, posti a servizio di un contenuto, lo ribadisco, inequivocabile: il fallimento umano della scienza, la sua intrinseca impossibilità a governare gli effetti dei suoi risultati, affidati unicamente a coloro che ne faranno l’uso che ne vorranno senza tener conto, a questo punto giustamente, delle titubanze umane degli scienziati, che tali sono perché nutrite, in molte loro espressione, della stessa volontà di potenza dei politici e dei militari. L’unico inconveniente, in questo genere di spettacolo, a mio parere grave, ma non dipendente da Nolan, è che un pubblico mondiale abituato a considerare fiction ciò che viene rappresentato sullo schermo attribuirà anche al film lo stesso criterio e crederà che trattasi, appunto, di fiction. Ma non c’è un fotogramma che non appartenga alla descrizione di ciò che è realmente accaduto e documentato dal libro. Le questioni eminentemente filosofiche che stanno all’interno stesso di questa situazione non sono state affrontate neppure nel libro che segue, in fondo, la struttura tipica delle biografie di stile anglosassone (non è certo lo stesso stile del Kantorowicz del Federico II imperatore, tanto per intenderci), ma è proprio questo inner circle che dovrebbe essere affrontato dalla discussione culturale… so che non sarà così. E, ad essere onesto, nemmeno mi dispiace tanto… l’amaro calice di Shiva l’occidente se lo deve bere fino alla feccia!
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itisanage · 8 months
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Le prime due pagine culturali di “Avvenire” di oggi sono dedicate alla figura di Oppenheimer. L'occasione contingente è il film di Nolan, ma sullo sfondo, che dovrebbe diventare finalmente un primo piano, è la guerra tra la Nato e la Russia. È su questo che dovrebbero precipitare le considerazioni degli intervenuti. In ogni caso un inizio di riflessione.
Tra gli articoli pubblicati la mia recensione al libro da cui è tratto il film di Nolan.
P.S. Circolerà, ne sono sicuro, una versione edulcorata del dilemma atomico, nella forma rassicurante, ma moralmente infausta e insostenibile, che in fondo il proliferare degli armamenti nucleari ha garantito la pace durante il confronto USA vs URSS. Non è così. La sopravvivenza dell'umanità la si deve nonostante non grazie alla Bomba.
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itisanage · 9 months
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Ad un certo punto della discussione sull’era atomica, parliamo del 1957, appare il libro di Karl Jaspers, Die Atombombe und die Zukunft des Menschen. Günther Anders si trovava in Giappone per una serie di iniziative contro la proliferazione degli armamenti nucleari. A stretto contatto con le vittime. Quell’esperienza è raccontata in Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki. In Italia fu pubblicata da Einaudi nel 1961 con la prefazione di Norberto Bobbio. Anders non accetta la posizione di Jaspers, dalla quale emergerebbe la possibilità che in date circostanze la guerra nucleare possa essere interpretata come un sacrificio moralmente accettabile. Anders si chiede: chi si dovrebbe sacrificare, a chi e chi sacrificherebbe. In caso di guerra nucleare è l’umanità ad essere sacrificata, da parte di un potere che da lei stessa promana e che diventerebbe lui stesso il dio esigente che impone a tutti l’estinzione per uno soprassalto insensato della propria volontà. Le osservazioni di Anders stigmatizzano un concetto, quello di sacrificio, in quel contesto, senza alcun senso, essendo infatti privo “di un dio a cui si sacrifica, che esige il dono, che lo accoglie e a cui esso è gradito”.
Disperazione piena per un sacrificio senza dativo – non c’è più dio – un sacrificio in bianco. “Com’era innocua [la religiosità vaga e intransitiva dei vecchi secolarizzati] di fronte a questa forma estrema e paurosa di secolarizzazione, la loro fede in bianco!”. Jaspers, forse senza rendersene del tutto conto, restituiva legittimità al sacrificio richiesto dal mondo delle idee, degli ideali politici, della concettualità proliferante dei sostituti di Dio, o degli stessi dèi pretenziosi di un paganesimo che si rinnovava nella forma della potenza economica egemonica di una forma di vita, quella occidentale.
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itisanage · 9 months
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Ci sono cose che andrebbero, quando fossero lette con attenzione, mandate a memoria. E ripetute. Una di queste, tra le tantissime, sta nel resoconto contenuto nella terribile biografia di Oppenheimer di Kai Bird e Martin Sherwin – Garzanti la sta riproponendo per l’occasione offerta dal film che Nolan ne ha tratto.
A Los Alamos si discutono i primi passi della costruzione della bomba atomica. C’è anche Enrico Fermi. Dice a Oppenheimer che ci sarebbe un altro modo di uccidere un gran numero di tedeschi, utilizzando i prodotti della fissione nucleare per avvelenare le derrate alimentari. Oppenheimer discute la proposta con Edward Teller, personaggio per molti aspetti deleterio della fisica applicata alla guerra. Ne parlano con il generale Groves che presiedeva per conto dell’esercito l’intero progetto.
Oppenheimer scrisse a Fermi: “penso che non sia possibile realizzare il piano, a meno che non si possa avvelenare cibo sufficiente a uccidere almeno mezzo milione di persone; infatti non vi è dubbio che il numero delle persone effettivamente colpite, a causa della loro distribuzione non uniforme, sarebbe molto minore”. In altre parole: abbandonarono il progetto perché non sembrava proprio la via migliore per assassinare una percentuale abbastanza significativa di popolazione nemica. Pensate quello che volete, ma in quella circostanza il passo che la ragione umana mosse verso la propria autoconfutazione era stato fatto.
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itisanage · 9 months
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Il Duomo di Pastrufazio vuoto durante i funerali delle signore morte nella casa di riposo interroga i cittadini? Falso. Il Duomo vuoto è esso stesso la risposta all’interrogazione. Si partecipa a un evento. Il funerale non è un evento, o almeno non lo è nel significato che la nostra civilizzazione gli attribuisce. Si partecipa un dolore. Ma la morte non è un dolore per chi muore, ma solo per chi resta. E chi resta dopo le morti di quelle persone è perché le aveva già dimenticate da vive. Il funerale pubblico è un rito non solo religioso, è anche civile. Il civile è il luogo della responsabilità orizzontale degli uomini che si sforzano di vivere insieme. Il rito religioso è il luogo della responsabilità verticale di fronte a Dio. Il loro comporsi insieme è sempre in precario equilibrio. Vi si esercitano spinte diverse, non necessariamente contrapposte, spesso divergenti. Chiamare alle loro responsabilità coloro che si sono assunti “professionalmente” il compito di assistere e accompagnare gli anziani alla fine – questa è la funzione di una casa di riposo – non toglie alcuna responsabilità a coloro che abbandonano gli anziani alla solitudine finale. In una civiltà nella quale la vita è un obbligo da strappare a una morte insensata è la morte stessa a rivelare il significato della vita: solitudine. Il Duomo, vuoto di uomini, è la verità della nostra civiltà.
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itisanage · 10 months
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Di Zola edizioni Medusa ha pubblicato “Viaggio a Lourdes” e “Il dottor Pascal”, acquistabili sul sito Edizioni Medusa: https://www.medusa-mcedizioni.com
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Il romanzo di Zola interroga profondamente i cristiani. Ben oltre le sue qualità narrative. Molte tesi esplicite, se vogliamo datate. Ma la questione centrale rimane quella della salvezza e dell'intervento divino nella storia collettiva dell'uomo e in quella individuale degli uomini. Da lì non si sfugge, ma soprattutto non ci si può allontanare dalle contraddizioni che la soluzione positivista solleva. Nella recensione di «Lourdes» oggi su “Avvenire”.
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itisanage · 10 months
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Fino a qualche settimana fa mi ero tiepidamente convinto che ad ogni passo in direzione della guerra totale si sarebbe intensificata una forma, per quanto embrionale e insufficiente di resistenza. Mi rendo conto, da qualche giorno, che non è così, che nulla ormai, se non una catastrofe interna ai gruppi dirigenti occidentali, possa fermare la guerra.
Ma sia nel caso dell’affermarsi di un nuovo ordine, sia nel caso di un disordine inestinguibile e incontornabile, dai confini sempre mutevoli, ma sempre dolorosi, nel quale l’unica cosa sacrificabile sono gli uomini nelle caratteristiche che conosciamo e gli attribuiamo, l’importante sarà la testimonianza di chi oggi resiste. Non perché potrà evitare il peggio, ma solo per permettere a chi seguirà, o a chi sopravviverà di avere una base di conoscenza e una memoria di cosa potrebbe essere e diventare, se lo vorrà, nel nuovo contesto di distruzione che si preannuncia.
La mia affermazione andrebbe supportata e dimostrata da considerazioni che non riesco a sintetizzare. E spero, possa essere considerata frutto di accecamento e paura. Insomma, un delirio. Ma accenno solo a una circostanza: mentre il pericolo nucleare benché ravvicinato e accelerato rimane sostanzialmente identico a quello percepito nel dopoguerra – percezione però meno diffusa e consapevole –, la dimensione inedita, e anomala rispetto alla situazione del dopoguerra, della nostra situazione è data dal convergere di nuove tecniche, biologiche e computazionali – intelligenza artificiale – che definiscono uno scenario nel quale l’umano in quanto tale è in via di revoca o, il che è lo stesso, sacrificabile.
L’umano è sacrificabile, cancellabile, come è cancellabile la sua storia, la sua dimensione ontologica e i suoi tratti. È questo il peggio nel quale la possibilità concreta di un conflitto nucleare, vale a dire non più possibile bensì probabile, si inserisce.
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itisanage · 10 months
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Questo articolo, tradotto dal quotidiano inglese “Independent” è un altro segnale della preparazione alla Terza guerra mondiale conclamata. Quando vengono chiamati i preti a sostenere la battaglia in quanto tale; sulla natura della quale nulla si dice ma solo si esercita l'effetto emolliente della religione; una religione che arrivata a quel punto può solo accompagnare il combattente al suo destino, allora significa che ci siamo. Questo è lo scenario delle guerre moderne, delle guerre mondiali. L’articolo chiude con un terrificante: «Con l'aiuto dei cappellani militari, il morale dei soldati è alto, ha detto il colonnello Skrybets. Aggiunge di essere fiducioso al “358%” che la tanto attesa controffensiva dell'Ucraina contro la Russia andrà bene. "Il contrattacco”, dice, “non è qualcosa che accade all'improvviso, richiede tanto lavoro"». Anche per i cappellani! La religione torna nella peggiore delle sue vesti novecentesche. Dove hanno fallito le sostanze psicotrope da battaglia entra in campo l'oppio dei popoli? Non va affatto bene. Sono tempi di fortissima regressione.
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itisanage · 11 months
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Mi sono sempre trattenuto dal commentare il trattamento pubblico di un paziente affetto da demenza senile, come l’attuale presidente degli USA. L’immensa storia della pietà – per ciò che ne resta in una cultura occidentale che ormai la porta con sé solo nella forma vilipesa di un’eredità tradita dalle politiche eugenetiche ed eutanasiche – è del tutto calpestata e cancellata.
Questo povero vecchio, più simile a uno dei tanti ragazzi gonfi di fentanil che popolano le strade delle metropoli statunitensi, chiamato a rappresentare le ubbie isteriche di una classe politica mentalmente perversa e allucinata, merita quella pietà che non sempre è concessa agli altri uomini in preda alla demenza senile come lui. Se solo avesse qualcuno che se ne prendesse cura e non continuasse a portarlo in giro come uno zombi maltrattato dalle circostanze storiche. Certo, la sua è una famiglia abituata agli affari e allo sfruttamento delle opportunità di una forma di vita, quella americana, che non ha alcuna pietà nei confronti degli esseri umani che non ce la fanno. Una forma di vita dove il filantropismo è l’ipocrita foglia di fico di processi economici che riproducono costantemente i motivi per essere filantropici, in modo che insieme al beneficiario non abbia a scomparire anche il suo benefattore. La sua non è certo la demenza di un Re Lear, non è il fool che scompagina le carte del potere.
Di lui non si potrebbe urlare neppure “il re è nudo”. La demenza senile non denuda nulla di diverso della fragilità umana, nel suo corso fisico e naturale e del potere rivela solo l’immenso e metastorico male di cui è espressione.
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itisanage · 11 months
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Una cesta di vimini che gronda sangue. I citoyen protestano per il fetore che le più di cento esecuzioni al giorno provocano nella piazza delle esecuzioni. Robespierre decide di far foderare le ceste, e quella più lunga che deve ospitare il corpo decollato da una banda di metallo. Costi aggiuntivi per la nobile attività del boia. La sua, di testa, cadrà in una di quelle ceste. Ebbe la sorte paradossale di essere decapitato dallo stesso che decapitò il Re e che prima del re decapitava con la stessa buona lena, ma senza l'umanistica ghigliottina solo con una mannaia affilata a dovere. La beata innocenza del boia. Su “Avvenire” di oggi.
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itisanage · 11 months
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Non ho preso parte in alcun modo ai commenti sulla morte del noto politico-imprenditore. Non hanno alcun significato, di nessun tipo. Né politico né morale né di costume. È come se un’intera civilizzazione si fosse ribaltata a pancia in su, come lo scarafaggio in cui si trasformò Gregorio Samsa ad un certo punto della sua vita, e da lì avesse cominciato, per effetto del più banale dei prodotti chimici, a zampettare forsennatamente. Poi uno prende la scopa e lo spazza via sul pianerottolo da dove è venuto. Così ho fatto. È la possibilità concreta di una guerra nucleare che dovrebbe occupare le menti migliori, se ancora ce ne fossero. Mentre dopo la II Guerra mondiale l’enormità della potenza atomica, il suo significato e la riflessione sulla dimensione che andava ad occupare dentro l’evoluzione stessa della specie umana e della sua storia, e del suo destino, divenne oggetto di riflessione oggi il pensiero è muto. Gira a vuoto. Certo qualcuno prende ancora qualche pagina di qui o da qualche altra parte, abbondano le note a pie’ di pagina e nemmeno precise. Qualcuno è diventato fenomeno da baraccone. Mi sono venute in mente le scene terrificanti – di una violenza inaudita, altro che i film americani spara tutto di oggi – dell’Angelo azzurro il film del 1930 diretto da Josef von Sternberg, tratto dal romanzo Professor Unrat di Heinrich Mann, quando la mente del professore, vandalizzata da Lola Lola, dopo aver tentato di strangolare la soubrette riesce a strappare la camicia di forza, fugge e muore aggrappato alla sua vecchia cattedra. Dovesse scoppiare la guerra nucleare, e dalle notizie che circolano su diversi organi di stampa, ultimo il Times, l’evenienza sta cominciando a diventare oggetto della riflessione degli strateghi, mi immagino le migliaia e migliaia di professor Unrat che si affrettano verso le cattedre per trasformarsi nell’ombra evanescente che già sono. È un incubo improbabile il mio? Spero. Lo spero proprio. La mia giovane vicina di casa oggi è tornata con la bimba che ha appena partorito. Una nuova vita in questa apoteosi del nulla e dell’inutile, nulla della politica, inutilità del pensiero. Ma non sono riuscito a prendere coraggio e speranza.
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