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#conti te
a-silent-bear · 9 months
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Qualunque decisione tu prenda, in qualunque direzione tu vada, qualsiasi sia il tuo stato d’animo, ci saranno sempre persone contrariate dalle tue scelte. Sempre. Ora le cose sono due: o conosci te stesso talmente tanto da rimanere stabile e indenne, o barcolli e speri di non cadere, laddove sono tutti pronti allo spettacolo.
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omarfor-orchestra · 1 month
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Fiore tu ridi e scherzi ma io Biggio lo metterei veramente a fare qualsiasi cosa
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pgfone · 10 months
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In montagna di solito carico la legna in una piazzola vicino a una casa sperduta nel nulla, in questa casa ci abita una bambina di 6 anni che mi viene a trovare ogni volta che sono li, me la vedo arrivare di corsa col suo cane che la precede sempre sorridente e serena, è una bambina molto intelligente, di solito non ho un buon rapporto con i bambini e sono spesso a disagio, ma lei ha qualcosa di diverso è come parlare con un adulto spensierato e senza filtri di nessun genere, parliamo di tutto mentre carico la legna, mi racconta del suo cane, dei suoi pesci nell'acquario, dei pappagalli, di quello che mangerà a pranzo di quello che le piace e di quello che non le piace e io le racconto delle mie tartarughe dei gatti delle galline e tante altre cose. La mamma spesso la controlla con la coda dell'occhio mentre stende i panni in terrazza e quando guardo verso di lei mi saluta con la mano e la chiama: "Martinaaaaaaa lascia stare Giulio che ha da fareeeeeeeeee". Io la saluto a mia volta con la mano e gli dico "non ti preoccupare mi fa compagniaaaaaaaaa" di solito quando ho finito di caricare o se devo fare qualche manovra pericolosa la riporto a casa, mi da la mano appena le dico "dai ti accompagno a casa che ho finito" e ci facciamo questi 30 metri a piedi con il cane che ci gira intorno come una trottola. Oggi ero parecchio nervoso e scazzato stavo facendo i conti delle pesate e la penna mi scriveva a tratti, così smadonnavo sbattendo la penna sul volante e non mi sono reso conto che Martina era lì a osservarmi, quando ho alzato gli occhi me la sono vista che mi fissava con aria preoccupa , e subito mi dice: sei arrabbiato oggi? E io gli dico, un po' non mi scrive manco la penna.... a queste parole è scattata via a casa, non gli ho dato peso e ho continuato a smadonnare con i miei conti, ma dopo 5 minuti rieccola qui con una penna, mi guarda, mi fa uno scarabocchio sul foglio e mi dice, te la regalo, questa scrive bene così non ti arrabbi più.
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ninoelesirene · 7 months
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Al pronto soccorso una signora con occhi buoni e due occhiaie livide si è avvicinata e mi ha chiesto di usare il mio cellulare per chiamare il figlio: “Sono qui dalle 13” ha detto, “e non ho potuto fargli sapere più nulla”.
Abbiamo riscritto il numero di Luca parecchie volte. Lei pronunciava le cifre, io le digitavo, poi le riguardavamo insieme per vedere se i conti tornassero. Pareva più una poesia di Rodari che un dettato.
Mentre i due finalmente parlavano, la signora ha appoggiato una mano sulla mia spalla e l’ha lasciata lì, finché non è stato il momento di congedarsi: “grazie, gentilissimo, potrei essere una mamma per te.”
Gianesia, questo il suo nome, avrà 85 anni almeno, mentre mia madre è morta a 54. Non ho idea di come sarebbe stata a quell’età e l’immagine che ho di lei è intrappolata in un’epoca di capelli scuri e pelle ancora intatta, di sorrisi sani e nessuna occhiaia livida. Chissà se avrebbe mai chiamato me con il tono timido, ma organizzativo che Gianesia aveva con Luca: quello di un genitore che sa di dipendere, ma non perde l’inclinazione ad accudire. Non lo saprò mai, e fa male. Soprattutto non so come sarei stato io, chi sarei stato io se lei fosse ancora qui e avesse potuto invecchiare, essendo fragile nell’unico modo che ci accomuna tutti. Avrei risposto alla sua chiamata con la stessa attenzione? L’avrei fatta sentire accolta? O mi sarei spazientito, come il figlio della signora che invece mi sedeva di fianco? Non lo so, ma so che sopravvivere significa accettare ciò che è stato e, soprattutto, ciò che non è potuto essere.
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sofysta · 3 months
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Qualcuno pensa che sia molto semplice per me lavorare e vivere a Parigi, altri dicono anonimamente che mon ce la farò mai e che sto perdendo tempo. Perchè ormai le persone pensano pure al posto tuo, giudicano al posto tuo, si fanno 4 conti al posto tuo e credono che sia corretto ergersi sul podio delle verità assoluta. Ebbene io non dico di stare male o che me la stia cavando male qui, ma ripeto che il primo mese e mezzo ho vissuto sul filo del rasoio e non sto qui a raccontare tutti gli escamotage per mangiare la sera. Cmq sia ci sono riuscita e adesso lo stipendio mi permette di stare quantomeno tranquilla. Ma vi svelo un segreto. Pago affitto degli alloggi, abbonamento Navigo mensile, ricarica cell, mensa disneyland al 50%, ed in 2 mesi e mezzo ormai sono uscita a cena solo due volte. Cosa voglio dire? Che può sembrare facile o no pensate quel che volete ma in questo lavoro, come molti altri lavori all'estero, se non cerchi di far quadrare i conti inizialmente per quanto mi riguarda te ne puoi tornare a casa è vero, ma questo accade se non sei ferma sul tuo obiettivo e se cominci a spendere andando in giro ovunque. Io ne ho 1 di obiettivo ( anche abbastanza grande) e sto camminando, a volte correndo, altre inciampando o sbattendo contro un muro e dovesse dipendere da me non mi fermerò mai, come non mi fermeranno le ipotesi altrui.
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Escrevi uma música triste para você, mas nunca fui bom em cantar, todo mundo sabe. Confesso que me surpreendi, pois algo tão bom, nunca escrevi. Muito menos tive o melhor amor do mundo. Escrevi uma música triste, onde falava de todos os nossos momentos, onde eu gritei todos os lamentos e rasguei todas as juras de amor. Escrevi, sobre algo que estava fadado a dar errado, e não é pecado, aceitar que chegou ao fim. Eu escrevi, sobre a gente juntinho, tu fazendo me carinho e eu sorrindo também. Eu gostaria de voltar no tempo, voltar para quando nos conhecemos, quando coloquei os olhos em você e eles brilharam, mas como não posso, eu só escrevi, escrevi a falta que me faz aqui, que queria te ver sorrir, e talvez, só talvez, te deseje o melhor até com outra pessoa. Escrevi uma música triste para você, mas confesso que até fui um pouco egoísta, desejei que não fosse feliz sem mim, pois é isso que desejo agora. Talvez quando eu estiver lá fora, voando pelo mundo que não conheço, eu pense de outra forma. Por mais que eu esteja errado, não posso ficar calado, preciso falar a verdade a você, não foi essa a promessa que fizemos um ao outro? Mas por agora, desejo você comigo, sinto falta do meu abrigo. Que porra é viver sem você!
Escrevi uma música triste, para deixar o meu legado, que foi fadado a ser cantada por outrem, pois como você sabe, eu não canto bem, e muito menor vou chegar aos pés de recitar sonetos ou juras de amor. Sou tímido para um caralho, e talvez por isso nosso amor chegou ao fim. Não te amei com as palavras que deveria, não demonstrei o quanto queria, e talvez a timidez, tenha esfriado o que era tão caloroso. Minhas atitudes eram confusas também, e nem você e nem ninguém, conseguira adivinhar como era difícil se achar insuficiente para alguém que é infinito. Escrevi uma música, triste que falava de amor, a história de um senhor, de engenho com seu escravo, chamado Tristeza. Aquele que foi comprado, e obrigado a ser abusado, pela monarquia que comanda tudo. Escrevi uma carta também, mas não foi de alforria, em que me despedia, e te libertava das amarras que só eu criara agora. Uma carta que nunca enviei, pois até para isso, demorei a ter coragem, quando o assunto era você. Escrevi muito mais que o normal quando terminamos, até estranhei, mas você era meu rei, que partira deixando todas as suas terras para traz, e eu como seu súdito, incapaz de louvá-lo, mesmo que em seu ouvido, como de costume. Tive que me declarar as paredes, e transformar as palavras em artes no papel. Nada tinha significado, nada tinha muita beleza também, até porque essa era a minha forma de amar, meio estranha talvez, um pouco contemporânea, que só você conseguia entender. Era o que eu achava.
Escrevi uma música sobre nós, algo que me fizesse lembrar minimamente de você, porque lhe esquecer é impossível. Mesmo essa canção tendo um foco na tristeza de não ter mais você na minha vida, eu ainda me pego dando sorrisos no canto do rosto, pois o mesmo sentimento de tristeza se mistura com a felicidade, felicidade essa de saber que tivemos momentos incríveis, momentos inesquecíveis contados por meio de uma música. Infelizmente serão apenas marcas do passado, no meu presente já não existe você, no meu futuro incerto talvez você volte, mas acredito fortemente que você estará mais feliz sem mim.
Sentado num quarto escuro ouvindo nossas músicas, escrevendo meus pensamentos no papel, fazendo rimas e mais rimas para lhe descrever, para contar por trás dessa triste musica o quanto eu queria estar com você, o quanto eu queria viver ao seu lado.
O sonho de ter você sempre ao meu lado pode ter acabado, o desejo de chegar juntos ao paraíso após velhos, te amar além da vida carnal, lhe ter para toda eternidade, porem o sonho acabou e talvez o inferno seja mais feliz que o local que lhe escrevo, talvez meu inferno pessoal seja rever você em todos os momentos da minha eternidade, pedindo para acabar a tortura e, ao mesmo tempo, sorrindo por poder te ver.
A vida continua mesmo indo por caminhos diferentes, eu desejo a sua felicidade e sei que você deseja a minha também, mas mesmo assim eu sinto que sempre vou lhe amar, mesmo que não possa ser mais a minha pessoa. Escrevi uma música triste para lembrar o quanto te amei.
Escrevi uma música triste - Thadeu Torres e Brendon Moraes
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angelap3 · 29 days
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Bellissima … Da leggere tutta
Il grande segreto di tutte le donne rispetto ai bagni è che da bambina tua mamma ti portava in bagno, puliva la tavolozza, ne ricopriva il perimetro con la carta igienica e poi ti spiegava: “MAI, mai appoggiarsi sul gabinetto!”, e poi ti mostrava “la posizione”, che consiste nel bilanciarsi sulla tazza facendo come per sedersi, ma senza che il corpo venisse a contatto con la tavoletta. “La posizione” è una delle prime lezioni di vita di quando sei ancora una bambina, importantissima e necessaria, dovrà accompagnarti per il resto della vita. Ma ancora oggi, ora che sei diventata adulta, “la posizione” è terribilmente difficile da mantenere quando hai la vescica che sta per esplodere. Quando “devi andare” in un bagno pubblico, ti ritrovi con una coda di donne che ti fa pensare che dentro ci sia Brad Pitt. Allora ti metti buona ad aspettare, sorridendo amabilmente alle altre che aspettano anche loro con le gambe e le braccia incrociate (è la posizione ufficiale da “me la sto facendo addosso”). Finalmente tocca a te, ma arriva sempre la mamma con la figlioletta piccola “che non può più trattenersi”, e ne approfittano per passarti davanti tutte e due!
A quel punto controlli sotto le porte per vedere se ci sono gambe. Sono tutti occupati. Finalmente se ne apre uno e ti butti addosso alla persona che esce. Entri e ti accorgi che non c’è la chiave (non c’è mai!); pensi: Non importa… Appendi la borsa a un gancio sulla porta e, se il gancio non c’è (non c’è mai!), ispezioni la zona: il pavimento è pieno di liquidi non ben definiti e non osi poggiarla lì, per cui te la appendi al collo ed è pesantissima, piena com’è di cose che ci hai messo dentro, la maggior parte delle quali non usi ma le tieni perché “non si sa mai’. Tornando alla porta, dato che non c’è la chiave devi tenerla con una mano, mentre con l’altra ti abbassi i pantaloni e assumi “la posizione”… Aaaaahhhhhh… finalmente… A questo punto cominciano a tremarti le gambe perché sei sospesa in aria, con le ginocchia piegate, i pantaloni abbassati che ti bloccano la circolazione, il braccio teso che fa forza contro la porta e una borsa di cinque chili appesa al collo. Vorresti sederti, ma non hai avuto il tempo di pulire la tazza né di coprirla con la carta, dentro di te pensi che non succederebbe nulla ma la voce di tua madre ti risuona in testa: “non sederti MAI su un gabinetto pubblico!”. Così rimani nella “posizione”, ma per un errore di calcolo un piccolo zampillo ti schizza sulle calze!!! Sei fortunata se non ti bagni le scarpe. Mantenere “la posizione” richiede grande concentrazione: per allontanare dalla mente questa disgrazia, cerchi il rotolo di carta igienica maaa, cavolo, non ce n’é!!! (Mai) Allora preghi il cielo che tra quei cinque chili di cianfrusaglie che hai in borsa ci sia un misero kleenex, ma per cercarlo devi lasciare andare la porta: ci pensi su un attimo, ma non hai scelta. E non appena lasci la porta, qualcuno la spinge e devi frenarla con un movimento brusco, altrimenti tutti ti vedranno semiseduta in aria con i pantaloni abbassati… NO!!! Allora urli: ‘O-CCU-PA-TOOO!!!’, continuando a spingere la porta con la mano libera, e a quel punto dai per scontato
che tutte quelle che aspettano fuori abbiano sentito e adesso puoi lasciare la porta senza paura, nessuno oserà aprirla di nuovo (in questo noi donne ci rispettiamo molto) e ti rimetti a cercare il kleenex, vorresti usarne un paio ma sai quanto possono tornare utili in casi come questi e ti accontenti di uno, non si sa mai. In quel preciso momento si spegne la luce automatica, ma in un cubicolo così minuscolo non sarà tanto difficile trovare l’interruttore! Riaccendi la luce con la mano del kleenex, perché l’altra sostiene i pantaloni, conti i secondi che ti restano per uscire di lì, sudando perché hai su il cappotto che non sapevi dove appendere e perché in questi posti fa sempre un caldo terribile. Senza contare il bernoccolo causato dal colpo di porta, il dolore al collo per la borsa, il sudore che ti scorre sulla fronte, lo schizzo sulle calze… Il ricordo di tua mamma che sarebbe piena di vergogna se ti vedesse così, perché il suo … non ha mai toccato la tavoletta di un bagno pubblico, perché davvero “non sai quante malattie potresti prenderti qui”. Ma la tortura non è finita… Sei esausta, quando ti metti in piedi non senti più le gambe, ti rivesti velocemente e soprattutto tiri lo sciacquone! Se non funziona preferiresti non
uscire più da quel bagno, che vergogna! Finalmente vai al lavandino: è tutto pieno di acqua e non puoi appoggiare la borsa, te la appendi alla spalla, non capisci come funziona il rubinetto con i sensori automatici e tocchi tutto finché riesci finalmente a lavarti le mani in una posizione da Gobbo di Notre Dame, per non far cadere la borsa nel lavandino. L’asciugamani è così scarso che finisci per asciugarti le mani nei pantaloni, perché non vuoi sprecare un altro kleenex per questo! Esci passando accanto a tutte le altre donne che ancora aspettano con le gambe incrociate e in quei momenti non riesci a sorridere spontaneamente, cosciente del fatto che hai passato un’eternità là dentro. Sei fortunata se non esci con un pezzo di carta igienica attaccato alla scarpa, o peggio ancora con la cerniera abbassata! A me è capitato una volta , e non sono l’unica a quanto ne so! Esci e vedi il tuo uomo che è già uscito dal bagno da un pezzo, e gli è rimasto perfino il tempo di leggere “Guerra e pace” mentre ti aspettava. “Perché ci hai messo tanto?”, ti chiede irritato. ‘C’era molta coda’, ti limiti a rispondere. E questo è il motivo per cui noi donne andiamo in bagno in gruppo, per solidarietà, perché una ti tiene la borsa e il cappotto, l’altra ti tiene la porta e l’altra ti passa il kleenex da sotto la porta; così è molto più semplice e veloce, perché tu devi concentrarti solo nel mantenere “la posizione” (e la dignità). Questo scritto è dedicato alle donne di tutto il mondo che hanno usato un bagno pubblico e a voi uomini… perché capiate come mai ci stiamo tanto dentro.
~(web)~
Art. dal web
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occhietti · 2 months
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Mi piace pensare che i tempi sbagliati non esistano... Che le "cose" (gli incontri di vita e non) accadano quando devono accadere. Con i propri tempi, i propri errori, i propri assurdi conti che non tornano mai.
Mi piace pensare che tutto abbia un senso profondo, a volte confuso, altre solo in parte svelato, spesso ignoto.
Mi piace pensare che un qualsiasi Noi abbia radici nel cuore, prima ancora che "lo e Te" sappiano... E che poi semplicemente ci si riconosca. Per fare un po' di strada insieme. Per farsi un po' di bene e un po' di male. Per lasciare impronte l'uno nella vita dell'altro.
Perché ognuno di noi è il risultato di ogni anima con cui entra in sintonia di cuore o di pensieri.
Ci si tocca così: fondendo appartenenze.
Come Tu che mi tocchi sempre,
anche quando non mi tocchi mai.
- Letizia Cherubino, Se non t’incontro nei sogni, ti vengo a cercare 
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comefiorineldeserto · 8 months
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Che tu possa trovare qualcuno a cui brillano gli occhi quando ti vede, che ti dica che gli manchi, che si prenda cura di te per non perderti mai, che sappia dimostrarti quanto conti e che si vanti di averti al suo fianco, perché te lo meriti.
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Mi piace pensare che i tempi sbagliati non esistano...
Che le cose (gli incontri di vita e non) accadano quando DEVONO accadere.
Con i propri tempi, i propri errori, i propri assurdi conti che non tornano mai.
Mi piace pensare che tutto abbia un senso profondo, a volte confuso,
altre solo in parte svelato,
spesso ignoto.
Mi piace pensare che un qualsiasi "Noi" abbia radici nel cuore, prima ancora che “Io e Te” sappiano...
E che poi, semplicemente, ci si riconosca.
Per fare un po’ di strada insieme.
Per farsi un po’ di bene e un po’ di male.
Per lasciare impronte l’uno nella vita dell’altro.
Perché ognuno di noi è il risultato di ogni anima con cui entra in sintonia di cuore o di pensieri.
Ci si tocca così: fondendo appartenenze.
Come tu che mi tocchi sempre, anche quando non mi tocchi mai.
Letizia Cherubino
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viendiletto · 4 months
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«Erimo quei che xe andadi via…»
Ogni tanto dago un’ociada al mio Nuovissimo Palazzi del 1957. Se trata de una vecia abitudine che me gaveva inculcado la mia seconda mama, la professoressa Maria Concetta Viviano in Berti. Ala parola “Esilio” se lege: “Allontanamento volontario o forzato dalla patria”. Ala parola “Esule” corrisponde la definizion: “Chi o che è in esilio”. Un altro dizionario dise, “Esilio”: l’andare volontariamente o il vivere costretti fuori dalla patria”.
Forse tuto questo vol dir che mi non son un esule; in fin dei conti vivo in Patria! Non ve par?
Alora chi xe esule? Noi o lori? Lori, quei che xe rimasti!? Quei che xe rimasti?
Me par che se andèmo a far ‘ste ciacole dopo 70 ani finimo co’l barufarse de novo, e far saltar fora astio e malanimo.
Cossa fèmo? Dimentichemo?
Distiradi sula «rampa de lancio»
Quei dela mia età se trova oramai tuti distiradi sula “rampa de lancio”, puntadi verso l’alto, pronti a far una bela svolada e andar a trovar quei che ga avudo più premura de noi.
Qualche volta me brusa, quando torno a Fiume, e te trovo qualchedun de quei che non xe andadi via proprio perché i genitori, la familia, iera nati là e là i voleva restar. Me brusa pensar che forse un de quei che me parla e ciacola con mi poderìa esser el fio de quel sporco individuo che ga fato conosser, per la prima e l’unica volta in vita sua, la “residenza turistica” de Via Roma (deta: “nikad doma”) al mio povero papà! Un operaio! Un falegname che ga sgobà tuta la vita. Un polaco, arivado a Fiume co’i mìi noni che no’i saveva parlar altro che polaco e tedesco!
Mio padre, “italian convinto”, ga finido la prima guera mondial drento le trincee italiane e nela seconda lurida guera, ala verde età de 48 ani, el xe andà volontario, de novo a combater come un povero zurlo, per noi, per l’Italia!
Fazemo finta de gnente
Mio papà se ga stancà de viver, a Genova. Lontan dala sua Fiume. El dorme un sono eterno drento una picola nichia sula parte più alta del zimitero de Staglieno. El xe, “ossi contro ossi” in una casetiza insieme con la mia mama. Fino al ultimo giorno de vita el ga sempre parlà in fiuman. El ga vissuto una esistenza fata de ricordi. El se insognava sempre de Fiume, del Corso, del Monte Magior, dela sua bela Fiumara dove el gaveva la botega de marangon.
Adesso el dorme un sono senza sogni cussì che no’l core el ris’cio de riveder, tra i fantasmi dela note interminabile, la figura sporca de quel farabuto co’l muso gialo, che lo ga denunzià ai gianizeri de Tito, de esser stado un fervente italian!
Quel stesso mascalzon che, compena arivadi i drusi in zità, el ga cambià distintivo sula patela dela giacheta! El ga butado via el “fassio” per meter sù la “stela rossa!” Quel stesso infame che, da mediocre imbianchin, de colpo el iera diventado un prepotente dirigente in questura! Omo dela OSNA. Dimentichemo! Fazemo finta de gnente.
Una razion extra de patate boide
A mi me bastarà ricordar el forzado, misero turismo fato dal 1945 al 1947 per i campi profughi de tuta la penisola, insieme al caro indimenticado amico Agostino Sirola, nato a Fianona ma fiuman convinto. Cambiàvimo continuamente campo profughi, andando sempre più a sud. Passando per Roma, dove erimo, ogni giorno, “fissi” al Ministero dell’educazione nazionale per saper qualcosa sula apertura del Colegio de Brindisi. A Roma semo stadi diversi mesi nel Campo profughi del Quadraro. Mi ghe insegnavo qualcosa ai muleti dele elementari che era profughi dala Libia e dala Cirenaica e l’Agostino fazeva el sguatero nela cusina del campo. Una razion extra de patate boide e “saltade” non me mancava mai.
Al Collegio «Niccolò Tommaseo»
A tempo debito semo arivadi, primi assoluti, ala famosa Scola de Marina e ultima temporanea residenza bellica dela Accademia Naval de Livorno. Semo arivadi ancora prima che vegnissi zò el Professor Troili. El signor economo e el segretario, signor Cianciaruso, ne ga sistemado àla bona, in una cantina del Colegio dove, per qualche giorno, gavemo dormido su due letini, con la rede de fero ma senza stramazzi.
Spagheti co’l sugo de pomidori
Magnàvimo, in una saleta, vizin la tavola dei ex funzionari dela scola naval, solo a mesogiorno, spagheti co’l sugo de pomidori. De sera: nisba con contorno de stele in un ziel favoloso. Dopo qualche giorno xe arivà el diretor, el Professor Troili, insieme con quatro o cinque muli del “sientifico”. El resto dela ganga xe arivado a scalioni nel arco de un pèr de setimane. In quel meravilioso colegio che portava el nome de Nicolò Tomaseo (qualche nostro mulo, per far la remenàda, diseva che forse se tratava de un zerto Nikola Tomassic’, dalmato, come lo ciamava i titini…) go passado un ano per ciapar el diploma. Go fato la preziosa esperienza dela vita in coletività. E, per mia fortuna, dopo soli zinque mesi, cominziavo la mia vita de maritimo, imbarcado come “mozo”su un rimorciador nel porto de Savona. Una esperienza molto utile per quanto riguardava tuti i lavori manuali de bordo. Ogni tanto el Comandante, un “paron maritimo” meravilioso, el me fazeva far pratica al timon del rimorciador.
La prima nomina de Comandante
Ero veramente felice e contento ma, ogni volta che zurmàvimo ale varie banchine le grosse navi oceaniche, mi me sentivo el còr come una patata boida. Guadagnavo poco ma gavevo vitto e alogio asicuradi fin che, nel giro de un pàr de mesi, go trovà, con l’aiuto de una cara signorina, segretaria presso la più importante agenzia marittima de Savona, la possibilità de imbarcarme adiritura come alievo ufizial su una nave “Liberty” de diecimila tonelate. Squasi non me sentivo più adosso la scorza de profugo o de esule. Me sentivo libero e, son stado tanto fortunado, de restar imbarcado su quela nave per quasi tre ani consecutivi, senza far una licenza e sbarcar con el grado de terzo uficial. Dopo, la mia carriera xe stada limpida e veloce. A bordo gavevo studiado con grande serietà l’inglese el spagnolo e anca el francese. A 27 ani otegnivo la prima nomina de Comandante con la prestigiosa compagnia genovese “La Columbia”.
La mia famiglia, dopo pesanti peripezie e vessazioni quotidiane, ga podudo finalmente scampar de Fiume per finir in un lontan campo profughi vizin l’Aquila, su per le montagne, in un posto che se ciamava Rojo Pineta. Erimo de novo tuti profughi, esuli. Esuli in Patria.
Erimo quei che xe andadi via…
Reneo Lenski
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romyy999 · 2 months
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Nella vita dovrai fare continuamente i conti con persone che sono convinte di sapere tutto di te quando,
in realtà,
dentro hai un universo tutto da scoprire.
- romyy999
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ninfaribelle · 5 months
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Questa sera tornerai a casa.
Aprirai del vino buono.
Come un coccola leggera
scenderà a scaldarti il cuore.
Penserai che in fin dei conti
non ti manca proprio niente
per essere felice.
Forse un po’ di coraggio in più, ogni tanto.
Ma intanto, goditi il cielo che ti sei guadagnata.
Tu lo sai, quanto ti è costato.
Quel silenzio che hai addomesticato.
Che oggi ti è amico.
Ma un giorno ti ha ucciso.
Perché hai scelto
dove tanti si tiravano indietro
tu hai scelto, di non pretendere amore.
Ad ogni costo.
Solo per bisogno.
Solo per non essere sola.
Quando non era il momento.
Quando non te la sentivi.
Quella forza che non pensavi di avere.
Che oggi parla per te.
Che oggi ti difende dagli sguardi invidiosi.
E chi ti passa vicino
lo sente che la bellezza
nei tuoi occhi
ha vinto.
E non c’è spazio.
Non c’è più spazio vicino a te.
Per chi non sa scegliere.
Non sa rischiare.
Non sa sognare.
Per chi non sa che la notte
ascolta solo, chi la sa ascoltare.
Non c’è più spazio vicino a te
per chi non sa affrontare la vita.
Per chi resta nell’incertezza dell’ombra
e dimentica il bisogno
di riprendere a brillare.
(Andrew Faber - Ph. Io)
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haiku--di--aliantis · 5 months
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Alcuni esseri umani ti arrivano apparentemente come fossero una benedizione. Con loro si sviluppa un legame molto forte. Poi, senza alcuna ragione apparente, d'improvviso accade qualcosa di inatteso. Una svolta, un cambio di rotta radicale. Cambiano gli equilibri e le certezze, i piani del cuore. E devi scegliere come reagire. Fiumi di inchiostro versati, in merito. Ma alla fine la scelta è solo tua. L'anima è la tua. Il dolore e la redenzione sono solo tuoi.
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Magari anche tu sei arrivato qui per essere utile a qualcuno, in passato o nel futuro e non ne hai neppure coscienza. I conti si faranno poi. Tu ama in buona fede, che non sbagli mai. Ama anche chi ti stritola il cuore. Soprattutto chi ti affetta il cuore: amare chi ti ama è troppo facile. Ama chi ti infila una spada nel petto. Perché ne ha bisogno, forse anche più di te.
Aliantis
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Creep - Radiohead (Frank Watkinson, versione sorprendentemente intimistica. Bellissima.)
youtube
Reietto
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quandotuttosifabuio · 3 months
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Si dice che la distanza fisica non conti perché la presenza di chi ami te la porti dentro, tutto vero.
Ma ci sono momenti in cui quella persona ti manca così tanto da stare male.
E capisci che la distanza fisica conta perché, quell'abbraccio che ti manca, ti continuerà a mancare sempre.
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kon-igi · 6 months
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Ciao Kon. Sono una sanitaria pubblica da molti anni. Sempre più spesso sento il peso di un'organizzazione che pezza ma non risolve, delle responsabilità assolte e liquidate con una pacca sulla spalla. Della stanchezza. Non ho più entusiasmo. So che è il momento d'oro del privato, ma non ho mai creduto alla favoletta del Bengodi, prima gli schiavi erano loro, adesso noi, la ruota prima o poi girerà di nuovo e resteranno sempre i conti da pagare. Certe vicende personali rendono tutto più pesante per il lavoro continuo che devo fare su me stessa. La professione mi ha curata tanto, adesso è come se l'avessi associata al mio malessere e volessi almeno cambiare posto... ma finora oltre a sentirmi dire che sono brava e l'occasione ci sarà, non ho ottenuto alcun miglioramento. Anzi. Sento di poter andare avanti, di essermi almeno allontanata un po'dal baratro della depressione, ma sento sempre addosso le sue dita viscide e l'impasse di non saper decidere cosa potrebbe essere meglio per me professionalmente, come mettere in fila le priorità. Non ti chiedo risposte, solo grazie di ascoltarmi, adesso come altre volte. Grazie.
Sai qual è il tuo errore?
Lo stesso che ho fatto io cioè credere che chi è sopra di te nella struttura piramidale organizzativa si occupi della cura degli altri con le tue stesse motivazioni.
E bada bene che il mio non è un giudizio sul singolo (esisteranno sempre persone ben motivate quanto abietti approfittatori) ma una considerazione sul sistema: più sali nella piramide, più paiono piccole le persone, fino ad assomigliare a numeri tutti uguali... e a volte diversi, quindi meno importanti.
E più sali, più diventano grandi le pressioni che ti fanno e i compromessi a cui devi scendere per evitare che il castello di carte crolli.
Perché il castello di carta, questo castello di carta E' destinato a crollare, senz'ombra di dubbio alcuna.
Da una parte c'è l'inclinazione di molte persone alla cura e all'accudimento (alcuni usano il termine 'missione' ma a me fa schifo perché sottintende abnegazione, sacrificio e troppo spesso annullamento) e poi ci sono quelli che soppesano le scelte con la bilancia del profitto, perché in una società come la nostra questo è il metro di misura che va per la maggiore...
L'utilità.
Prendi un cane non perché sia un membro della tua famiglia ma perché faccia la guardia, studi non per essere migliore della persona che eri ieri ma perché ti eleva nella succitata piramide, aiuti qualcuno non perché si vada avanti tutti assieme ma perché poi lui saldi il suo debito con te, costruisci non per la gioia della creazione ma per competere, ami non per 'sentire' l'altro ma perché l'altro ti ascolti e basta.
Io ho 'risolto' il problema fuggendo, letteralmente, anche solo dalla visione di quella piramide (senza nemmeno interessarmi al posto che avevo in essa) e lavorando in un contesto piccolo, in cima a una montagna e fuori dal mondo.
Detto da altri, avevo tutte le carte in regola per 'fare carriera' e per un po' ho avuto il pensiero e l'illusione che, magari, sulla parte alta della piramide avrei potuto fare qualcosa per cambiare le cose ma vedendo con chi avrei dovuto avere a che fare mi sono reso conto che non avrei avuto le forze fisiche e psichiche e che molto probabilmente sarei dovuto soccombere a quella merda che è la realpolitik.
No, grazie.
Preferisco aiutare e prendermi cura degli altri stando in basso, venendo deriso da colleghi che hanno fatto carriera e portando a casa uno stipendio decisamente modesto ma senza aver abiurato nemmeno per un attimo a quello che mi ero ripromesso tanti anni fa, quando ho cominciato a fare questo mestiere...
Nessuno verrà lasciato indietro.
Ed è faticoso perché le bestemmie te la cavano a forza dal cuore, con i loro sotterfugi, i loro compromessi al ribasso e la loro cecità verso tutto tranne che il guadagno e la gratificazione di un ego gonfio come la vescica di un alcolizzato.
E allora non rimane che aiutare dal basso, ignorando le false lodi da giuda iscariota, continuando per la nostra strada e spesso scegliendo quella che per altri è meno conveniente... ma certe persone non cercano il lustro o la gratificazione fine a se stessa.
Io con l'utilità dettata dagli altri è trent'anni che mi ci pulisco il culo.
Piango chi è andato insieme a chi è rimasto, tendo mille mani alle mille e uno persone che hanno bisogno (perché davvero non li puoi salvare tutti) e nella folla con cui proseguo il cammino verso non so dove mi tengo strette le persone a cui voglio bene.
Quando il castello di carte crollerà, tu sarai lontana e di gran lunga migliore di chi ti maledirà, perché nemmeno allora ti avrà voluto dare ragione.
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