Non è proibito volere la tenerezza, volersi unici per qualcuno, chiedere: “mi vuoi bene?” è come chiedere: “ci sono per te? Sono al mondo? Resti con me, a fare mondo insieme?” Che male c’è? Purtroppo abbiamo il mito dell’autonomia, dell’orgoglio, del faccio tutto da me.
Io ho bisogno degli altri e questo bisogno mi fa paura, ma lo sento lo stesso. Siamo interdipendenti, come lo è la pioggia dalla terra e dalle nuvole, come gli alberi dalle radici e dal cielo, come gli animali dal bosco e dagli altri animali, come tutto fa parte di tutto. Un lavoro a maglia è l’universo e ognuno di noi è un punto: che male c’è, se chiediamo all’altro punto, di fare maglia insieme? Se non lo facessimo, al nostro posto, ci sarebbe un buco.
- Chandra Livia Candiani -
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Dove ti sei perduta
da quale dove non torni,
assediata
bruci senza origine.
Questo fuoco
deve trovare le sue parole
pronunciare condizioni
di smarrimento dire:
«Sei l'unica me che ho
torna a casa».
-Chandra Livia Candiani-
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Niente può sanare tutto e tutto collabora a sanare tutto. Forse non saremo mai totalmente sanati, ma impariamo a star bene con le ferite, a portarle come fiori all’occhiello, non medaglie, ma fiori e collane, bellezze sacre perché oscure, misteriose. Le ferite ci fanno unici e insieme parti di un tutto costantemente esposto alla ferita. Se non vogliamo essere feriti, come possiamo entrare in relazione? Chiedere all’altro di non farci male e insieme accettare di essere messi a rischio e di mettere a rischio l’altro è la relazione. Nessuno può davvero risparmiarmi e io non posso risparmiare nessuno. Sapere che feriamo anche noi e non solo siamo feriti è un balzo nella gioia della vera fratellanza e sorellanza: eccomi qua, con le mie mani vuote, diventeranno pugni, ti graffieranno, e tu farai lo stesso, ma non si armeranno, te lo giuro e ti giuro che urlerò “Ahi, ahi!” quando mi farai male e che smetterò di ferirti quando urlerai tu, quando mi avvertirai, perché ti farò male solo per sbaglio, per paura, mai per decisione consapevole, te lo giuro. Lasciamoci graffiare e avvertiamoci a vicenda. Il male è un maestro di tenerezza.
- Chandra Livia Candiani, da 'Tenerezza'
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Il punto in cui si smette di cercare
e ci si dispone a essere trovati,
qualcosa ama il numero dei miei capelli
non sa nome né storia
ma ha memoria di ogni singolo respiro
ama i battiti nella notte
i denti e i pugni stretti
ama lo spalancarsi delle braccia
nell’affidamento, il precario equilibrio
sull’orlo dei precipizi, e i passi oscillanti
sul lago appena ghiacciato.
Ti salvo. Salvo di te il soccorso
e la spinta, l’immisurabile
e il limite. Mi lascio accogliere
con la vigile mutezza
dei piccoli e dei selvatici.
Caduta, ripresa.
Ci sei.
Chanda Livia Candiani, dalla raccolta di poesie "Pane del bosco".
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"Non si incontrano di frequente persone con il cuore vivo. Ci sono tantissime persone intelligenti e anche attente e perfino sensibili, ma il cuore vivo è una qualità piuttosto rara. Anche perché varia, un giorno lo è e il giorno dopo no, un giorno dorme e il giorno dopo è ottuso, un giorno canta e poche ore dopo piange. Però quelli sono i climi del cuore. Il cuore è una dimora. Ma non ha muri, è sconfinato. Per questo è anche pericoloso, perché invece il corpo i confini li ha e vanno rispettati. Il cuore ha un'apertura e una chiusura flessibili, ha i cardini. Il cuore può essere addestrato come si fa con un cavallo, o coltivato come si fa con un orto."
(Chandra Livia Candiani)
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La vita è vasta
ha bisogno di temperature elevate
e di capacità glaciali
di scompiglio del sangue
e di evaporazione,
di sgombero e sedimento.
La vita è grande
le dottrine avare
le menti mercenarie
non la riguardano,
nemmeno la punteggiatura
se non è musicale
la sfiora
perché ha andature immisurabili
e non consente punti fermi
né enunciazioni.
Ha movenze prodigiose
e tregue vulnerabili
nel fitto dell’inaspettato.
La vita ci sfoglia,
siamo appunti serali.
-Chandra Livia Candiani-
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Sono stata spugna. Per molti anni, quasi tutta la
giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lì e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli
altri si sentono invitati a parlare moltissimo. Quando
poi se ne andavano, ero stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire
raggomitolata sotto il piumino e quando provavano
a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo ancora
più stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente
mi chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che
era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo più vedere
nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione
e di approdo a comprendere che stare con il respiro
non è una tecnica ma una storia d’amore, mi sono
tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua
che scorre e la fontana non trabocca. Ma soprattutto,
la fontana è lì a disposizione, chi vuole ci va a bere e
lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è spugna,
è fontana.
__Chandra Candiani, Questo immenso non sapere.
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