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#Storie di soldati
gregor-samsung · 7 months
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“ Il giorno prima, i combattimenti erano stati saltuari e senza esito. Nei punti di scontro il fumo della battaglia era rimasto sospeso tra gli alberi sotto forma di cortine azzurre finché non furono dissolte dal cadere della pioggia. Nella terra ammollata le ruote dei cannoni e dei carri di munizioni tagliavano profondi solchi irregolari, e i movimenti della fanteria sembravano impediti dal fango che si attaccava alle scarpe dei soldati quando, con le divise inzuppate e i fucili malamente protetti dalle mantelline dei cappotti, si trascinavano di qua e di là in linee sinuose per la foresta gocciolante e il campo allagato. Ufficiali a cavallo, col volto che spuntava sotto il cappuccio di tela gommata luccicante come un elmo nero, si facevano strada, isolatamente o a gruppetti casuali, andando avanti e indietro apparentemente senza meta e senza ricevere attenzione da nessuno tranne che dai colleghi. Qua e là qualche morto col vestito sporco di terra, la faccia nascosta da una coperta o all'aria, gialla e terrea sotto la pioggia, aggiungeva la sua influenza demoralizzante a quella degli altri squallidi elementi della scena e intensificava la desolazione generale con un particolare effetto depressivo. Erano molto ripugnanti, questi relitti d'uomini, niente affatto eroici, e nessuno sentiva il contagio del loro patriottico esempio. Morto sul campo dell'onore, sí; ma il campo dell'onore era tanto bagnato! Fa una certa differenza. La battaglia campale che tutti s'erano aspettata, non c'era stata; nessuno dei piccoli vantaggi derivati, ora a questa, ora all'altra parte, in scontri accidentali e isolati, avevano avuto seguito. Attacchi portati senza convinzione provocavano una resistenza ottusa che si accontentava di respingerli. Gli ordini venivano eseguiti con fedeltà meccanica, nessuno faceva niente di piú del suo dovere. — L'esercito è codardo oggi, — disse il generale Cameron, comandante della brigata federale, al suo aiutante maggiore. — L'esercito ha freddo, — rispose l'ufficiale al quale erano state rivolte quelle parole, — e poi... certo, non ha voglia di finire come quello lí. E indicò uno dei cadaveri che giaceva in una pozzanghera; il fango schizzato dagli zoccoli dei cavalli e dalle ruote dei cannoni gli aveva inzaccherato la faccia e i vestiti. Anche le armi da fuoco sembravano contagiate da questa neghittosità militare. Il crepitio dei fucili suonava apatico e poco convincente. Non aveva senso e non destava quasi attenzione né ansia da parte degli altri reparti non direttamente impegnati nella sparatoria e delle riserve in attesa. Uditi da vicino, gli scoppi dei cannoni erano fiacchi in volume e timbro: mancavano di mordente e di risonanza. Sembrava che i pezzi sparassero a salve con cariche ridotte. E cosi la futile giornata si trascinò alla sua tetra fine. Segui una notte di disagio, poi una giornata d'apprensione. “
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Brano tratto dal racconto Un tipo d’ufficiale raccolto in:
Ambrose Bierce, Storie di soldati, traduzione di Antonio Meo, nota introduttiva di Francesco Binni, Einaudi (collana Centopagine n° 41, collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976; pp. 132-133.
[Edizione originale: Tales of Soldiers and Civilians, San Francisco: E.L.G. Steele, 1891]
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frc-ambaradan · 2 years
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Ah yes, Matera...
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Topolino e il segreto dei sassi (2022)
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...Italy's "national disgrace"! 😅
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fridagentileschi · 5 months
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Malva Marina Reyes Hagenaar, la figlia abbandonata di Neruda
Il poeta cileno, Pablo Neruda,ha avuto un'unica figlia dalla prima moglie, María Antonia Hagenaar Vogelzang di origine ebraica che lui aveva ribattezzato ''Maruca''. La bambina nata a Madrid, al principio era stata accolta con gioia dal poeta..fino a quando non seppe che la bimba era affetta da idrocefalia, allora non ci pensera' due volte ad abbandonare mamma e figlia-
Tornera' in Cile a scrivere le sue poesie e a vivere nuove storie d'amore. La moglie che gli neghera' il divorzio provera' a chiedergli aiuto per la figlia che non puo' ne' parlare ne' camminare ma non ricevera' piu' nulla.
La moglie con l'aiuto di un amico andra' a vivere nella capitale olandese essendo lei di origine olandese.
Le difficoltà si susseguono. Maruca vive in pensioni , il denaro si esaurisce e sua figlia, con il cervello sempre più pieno di liquido, richiede molta più attenzione. Attraverso organizzazioni religiose come Christian Science, Maruca riesce a trovare una famiglia di olandesi residenti a Gouda. Hendrik Julsing e Gerdina Sierks che si accordano per prendersi cura della bambina mentre sua madre cerca lavoro a L'Aia, a meno di un'ora di auto. È trattata come una di famiglia fino alla sua morte, ad otto anni, il 2 marzo 1943. Assumono persino una babysitter, Nelly Leijis, per dedicarsi esclusivamente alla bimba.
Maruca, nel frattempo, non rifiuta nessun lavoro. Si offre di pulire i pavimenti, prendersi cura dei malati, qualunque cosa serva per aiutare la figlia indifesa.
Non ha piu' i genitori e sua figlia cammina verso una fine drammatica. Attraverso la mediazione trova finalmente lavoro, anche se non ben pagato, presso l'ambasciata spagnola a L'Aia. È sotto il comando di José María Semprún, padre dello scrittore Jorge Semprún, poi espulso nel 1964 dal Partito Comunista di Spagna (PCE), che Pablo Neruda ammirava così tanto. Ciò che questa donna deve ancora soffrire non lo immagina.
Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, María Antonia fu arrestata dai nazisti - non per essere ebrea, ma per avere un passaporto cileno - e internata nello stesso campo di concentramento dove si trovava Anna Frank. Da Westerbork, progettato per ospitare 107.000 prigionieri, di cui circa 60.000 morti, per lo più ebrei e zingari ai crematori e alle camere a gas di Auschwitz e Treblinka, in Polonia. Maruca vi trascorre un mese tra filo spinato, soldati delle SS e cani addestrati a uccidere. Ma questa volta la fortuna non le avrebbe voltato le spalle. Quando il campo fu rilasciato (15 aprile 1945) dalle truppe canadesi, trovarono vivi solo 876 prigionieri. E tra questi, la moglie abbandonata di Neruda. Nove giorni prima dell'apertura delle porte dell'inferno, Anna Frank, la sua vicina di campo, morì lì.
Non è rimasto nulla di Maria Antonia Hagenaar. Non una lapide che indica la fine del suo percorso . Tre anni dopo il suo rilascio, si reca in Cile per cessare il doloroso capitolo nerudiano. Nel novembre del 1948 firmò il divorzio e un accordo finanziario. Gli ci voleva ancora per tornare in Olanda. Dicono che sia diventata dipendente dall'oppio. Fino a che un cancro la uccise, nel 1965, a L'Aia,ha chiesto di essere seppellita non lontano dalla tomba dove sono i resti della sua amata Malva Marina, che non smise di visitare fino alla fine dei suoi giorni.
L'esistenza di queste due creature e' stata ignorata fino ad ora e sfido a trovarne traccia nella patria di Neruda, il poeta che canto' l'amore come pochi...ma come tanti non seppe amare mai.
Incredibile come nella storia dei comunisti non si trovi un solo essere degno di essere chiamato umano!
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astra-zioni · 6 days
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Da qualche tempo ritorna il tema del rapporto con gli altri, e perché questo si deteriori sempre, continuamente, come una condanna.
Ho smesso di considerarla una condanna derivante da mie mancanze o da mancanze altrui ma più come una naturale conseguenza delle cose.
Quando una persona ha ricevuto amore nella sua vita, lo vedi: lo vedi da come cammina, come si muove nello spazio, lo vedi con la sicurezza che queste persone possiedono nel parlare con gli altri, nel raggiungere i propri obiettivi, nell’avere una solida autostima. E questo avviene perché è come se dietro di loro avessero una corazza di amore solido apposta tra le scapole.
Le persone che non sono state viste, non sono state amate, le riconosco: da come parlano, da come si muovono - è come se girassero scorticate a nudo.
Ormai posso dirlo con certezza, i miei genitori non mi hanno mai voluto autenticamente bene, perché a loro volta erano persone che non sono state amate e protette da chi era chiamato a farlo, e quando non ti viene insegnato e trasmesso l’amore non riesci neanche a provarlo, e se lo provi lo provi a condizioni, lo provi a fasi alterne, lo provi a intermittenza; generando, conseguentemente, una prole confusa, una prole che non capisce quando è amata se lo è davvero e in base a cosa.
Io penso che mio padre abbia cominciato a volermi autenticamente bene e dunque a stimarmi come essere umano quattro anni prima della sua morte. A quel punto ero ormai grande, si chiacchierava dei più svariati temi, riconosceva che avevo dell’intelletto, e forse anche dei valori, ci trovavamo sempre io e lui a parlare o in silenzio. Per questo, dopo il suo suicidio, la cosa straziante è stata dover accettare che lui avesse deciso di andarsene proprio quando avevamo appena cominciato a volerci bene davvero.
Le mie storie sentimentali si infrangono sempre nello stesso punto: questo vuoto desertico che nessuno sente ma comprende solo per vie cognitive. Avendo avuto ormai la mia buona dose di esperienza nei rapporti umani posso dire con certezza che l’unica persona che nella mia vita ho autenticamente amato è stata mia sorella, perché il suo vuoto combacia col mio, abbiamo attraversato lo stesso inferno. È simile a quando due soldati che hanno passato la trincea assieme poi diventano inseparabili. Il motivo è semplice: solo loro due possono realmente capirsi. Ed è anche il motivo per cui i tossicodipendenti finiscono con i tossicodipendenti, i punk con i punk, i letterati con i letterati, non è semplice etichettismo egoico di appartenenza, il filo comune è sempre lo stesso: l’esigenza di sentirsi capiti e di capire veramente qualcuno.
Talvolta questo porta a dinamiche disastrose (vedi i tossicodipendenti), e infatti non ho alcuna intenzione di morire in due di overdose, (per ora), il punto è capire quanto questo vuoto interiore che mi porto dietro dalla nascita possa incastrarsi con quello di un’altra persona. Non è facile, non è impossibile, ma richiede una consapevole solitudine autoindotta. Il problema principale, credo, sia capire cosa sia l’amore per noi e cosa vogliamo ricavarne da questo sentimento sempre più astratto e confuso, ed io voglio ricavarne la comprensione autentica, sentita, sincera. Per farci che poi? Niente, tutto? Il punto è che non mi interessa il fine utilitaristico di questo processo, sono certa che potrebbe non portarmi necessariamente ad avere dei figli, una famiglia e una casa felice e accomodante; il punto essenziale è che se il discrimine è sentirsi capiti e capire l’altro anche solo nello spazio di un’ora, per alcune persone, vale più di cento case, cento bambini e cento cene; vale più di qualsiasi miraggio di felicità.
Non so dove mi porterà questa ostinata ricerca, probabilmente da nessuna parte, ma per la prima volta nella mia vita non ho più intenzione di cedere pezzi di me a favore di qualcuno, affinché sia più “adattabile” a non so quale schema sano e funzionale di coppia.
“La gente ti toglierebbe volentieri pezzi di te, se potesse; ma questo è Frankestein, non è amore”.
Ed io stavolta voglio tenermi tutta intera.
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sciatu · 2 years
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Castello di GRADARA - Residenza di Francesca da Polenta e Paolo Malatesta. (Divina Commedia, Canto V)
Doveva essere una ragazza minuta, giovanissima per innamorarsi di un giovane sentendolo leggere un racconto d’amore e doveva essere anche una ragazza molto sola per voler morire con lui per mano di un marito che di quel ragazzo era il fratello. Il tutto accadde chissà quanti anni fa in un castello ben armato, con mura spesse e solide, grandi stanze dalle mura pitturate per i signori ed altre grezze per i soldati dove dormivano sui tavolati con addosso le armature. Dalle finestre entrava poca luce cosi Messer Paolo, il ragazzo, leggeva con accanto delle candele di cera d’api con voce gentile e modi eleganti. Ogni tanto si fermava e chiamava Madonna Francesca, la ragazza,  ad osservare le miniature del libro dove erano ritratti Messere Lancillotto su un bellissimo cavallo bianco e Madonna Ginevra  vestita alla maniera franca, con una lunga veste ed un cappello a punta. La voce di messere Paolo scivolava tra le stanze buie del castello, descrivendo grandi battaglie, epici duelli e versi d’amore per Madonna Ginevra. Le voci dei soldati che facevano la ronda tra le alte mura dove i piccoli falchi si posavano, il crepitio del fuoco nel grande camino della stanza, il vociare dei servi nelle cucine, coprivano alla fine la voce di Messer Paolo e le domande della piccola e gentile Madonna Francesca. Persino la vecchia serva che ricamava accanto al grande camino, si appisolava, annoiata da tutto quel parlare da poeti che solo i signori capivano e che portavano a lunghe discussioni tra Messere Paolo e Madonna Francesca. Quando e anno prima la ragazza aveva visto per la prima volta il ragazzo, era arrossita sentendo i suoi occhi su di lei e si sentiva felice perché le avevano detto che quello era il suo sposo. Lei lo sposò felice ma scoprì che il matrimonio era per procura e che il vero marito era il fratello del bel ragazzo, il podestà di Pesaro, Gianni lo zoppo, un essere scostante, rude, abituato al comando e ad essere ubbidito. Il ragazzo vide la faccia triste della ragazza quando gli presentò il suo sfortunato fratello e la sua grande, innocente delusione, tanto che per giorni non mangiò ammalandosi. Così il ragazzo incominciò a portarle regali, una coppia di tortore, un cagnolino, dei libri che raccontavano di storie d’amore. Lei tornò a sorridere e gli chiedeva di restare, di leggerle quei racconti o chiedeva indicazioni su i luoghi, i personaggi, gli avvenimenti. Quando il marito tornava al castello, qualcuno gli raccontava di come Madonna Francesca ora fosse serena e di come messere Paolo la facesse ridere in continuazione. Qualcuno aggiungeva, con malizia e veleno, che far sorridere una donna, era il modo più veloce per portarla letto. Ma messere Gianni non poteva diffidare di suo fratello e mandava via quelle male lingue, anche se la vita gli aveva insegnato che tutti avevano un prezzo per tradire: a qualcuno bastavano trenta denari a qualche altro un castello, a qualche altro ancora, un semplice sorriso. Perciò disse alla vecchia serva di riferirgli ogni cosa e che se fosse venuto a conoscenza anche solo di una parola di sua moglie che la vecchia non avesse riferito, le avrebbe strappato gli occhi e l’avrebbe chiusa in una gabbia appesa all’alta torre per farla mangiare viva dai topi e dai corvi. Così la vecchia fingeva di dormire perché un ladro diventa tale solo se gli si da l’occasione. Ma Madonna Francesca e messer Paolo non facevano caso a lei. Erano troppo presi dalle storie, troppo coinvolti nel commentarli, nell’immaginare quei mondi che i libri portavano tra le camere oscure e le mura fredde. Avevano creato un nuovo gioco, lei leggeva le parole di Madonna Ginevra e lui quelle di Lancillotto, cosi da essere, per gioco, per puro innocente e voglioso gioco, i due innamorati. “messere -  diceva lei – se andate in guerra, mettetevi da parte, non siate tra i primi dal cuore ardimentoso ma dalla triste sorte, ne nei secondi che devono affrontare l’urto più forte delle lance. Restate presso il vostro re, proteggetelo e con lui aspettate che la guerra passi” E lo guardava negli occhi sorridendo “Che cavaliere sarei Madonna mia – rispondeva lui tuffandosi nei suoi occhi colore del mare d’estate – se pensassi alla vita mia e come i codardi o gli incapaci, mi nascondessi tra i cuochi e le male donne nel campo del re” “Sareste un cavaliere saggio” “Sarei un vigliacco! Cosa potrei dire alla donna che amo se lasciassi morire al posto mio i miei compagni, quale giuramento onorerei se la mia spada restasse chiusa nel fodero lontano dalla pugna, chi potrebbe amare un vigliacco il cui disonore è nascosto con i panni stesi delle lavandaie” “Vi sonno donne che amerebbero lo stesso perché avreste salvato il loro bene più prezioso…” “Non il nostro re…” “Ma il vostro cuore…” “Quello di un vigliacco” “Quello di chi è amato” “e chi potrebbe osare di amare un cavaliere che fugge la battaglia?” “Chi lo chiama ad una battaglia più grande” “ quale Madonna mia se posso chiederlo?” “quello dell’amore…” E poiché nel libro era scritto che Madonna Ginevra baciava Messer Lancilotto, così fece la ragazza e lo baciò sfiorando le sue labbra. Il ragazzo restò sorpreso, stupito e senza pensarci, solo perché così era scritto nel libro, lui la baciò. La vecchia si mosse ed i due si staccarono facendo finta di niente, pensando che lei, presa dal sonno, non avesse fatto caso a loro. Quando Messer Gianni tornò quella sera, la vecchia gli si avvicinò e gli disse poche parole. Messer Gianni, impallidì e non disse nulla, liberò la vecchia e bevve un bicchiere di vino. Si affacciò alla finestra e pensò a cosa fare. Ma non aveva altro da fare e si sentì debole e senza forze, sentendo il peso del potere e del suo corpo malformato e l’incertezza nelle amicizie e nelle alleanze. Non aveva altro da fare se non quello che leggi e consuetudini gli imponevano di fare. Il giorno dopo la vecchia era impegnata e li lasciò soli. I ragazzi felici per quella improvvisa libertà tornarono a leggere il racconto ma dopo poche righe, chiusero il libro e restarono a guardarsi negli occhi fino a che lui lentamente avvicino le sue labbra alle sue e dopo un secondo di incertezza le baciò. Un urlo scosse la stanza, Dal passaggio che portava alle stanze degli armati, Messer Gianni, lo storpio, il cornuto, uscì gridando con gli occhi fuori dalle orbite, una spada in una mano, uno stiletto nell’altra e si avventò sul fratello che cercò di difendersi fino a che un fendente non gli squarciò la gola e il sangue copioso copri il pavimento di cotto rosso e il suo corpo finì su di esso rantolando cercando aria. La ragazza osservò la scena e quando vide il corpo di lui immerso nel sangue urlò ancora una volta e lo abbracciò cercando di dargli la sua vita. Suo marito la vide abbracciata al fratello e allora prese l’elsa della spada con le due mani e la trapassò facendo finire il cammino dell’arma nel cuore di lui. Li trovarono così. Lei abbracciata al ragazzo con la lunga spada che attraversava il suo corpetto blu con i ricami d’argento, lui con la testa quasi staccata dal corpo e suo fratello in un angolo che, con la testa tra le mani, piangeva disperatamente. Un poeta li ha visti insieme all’inferno, in mezzo a traditori e diavoli, tra urla e sangue, tra fuoco e lacrime, nelle nebbie di zolfo e le urla dei dannati. Nel dolore e l’assenza di ogni luce, il poeta disse che erano in quell’ eterno dolore, mano nella mano, occhi negli occhi e in quell’infernale bolgia, erano gli unici che sorridevano. Ma il poeta che li ha visti, era un grande poeta.
She must have been a tiny girl, very young to fall in love with a young man hearing him read a love story and she must also have been a very lonely girl to want to die with him at the hands of a husband who was the brother of that boy. All this happened who knows how many years ago in a well-armed castle, with thick and solid walls, large rooms with painted walls for the lords and other rough ones for the soldiers where they slept on the planks wearing armor. Little light came in from the windows so Messer Paolo, the boy, read with beeswax candles beside him in a gentle voice and elegant manner. Every so often he stopped and called Madonna Francesca, the girl, to observe the miniatures of the book where Messere Lancillotto on a beautiful white horse and Madonna Ginevra dressed in the French way, with a long robe and a pointed hat were portrayed. Messere Paolo's voice slipped through the dark rooms of the castle, describing great battles, epic duels and love verses for Madonna Ginevra. The voices of the soldiers patrolling the high walls where the little hawks alighted, the crackling of the fire in the large fireplace in the room, the shouting of the servants in the kitchens, eventually covered Messer Paolo's voice and the questions of the little and kind girl,  Madonna Francesca. Even the old servant who embroidered next to the large fireplace, dozed off, bored by all that poet talk that only the gentlemen understood and which led to long discussions between Messere Paolo and Madonna Francesca. When years before the girl had seen the boy for the first time, she blushed at her feeling her eyes and felt happy because her parrents, told her that he was her husband. She married him happily but discovered that the marriage was by proxy and that the real husband was the brother of the handsome boy, the mayor of Pesaro, Gianni the lame, a being unfriendly, rude, accustomed to command and to be obeyed. The boy saw the girl's sad face when she introduced him to her unfortunate brother and her big, innocent disappointment, so much so that she didn't eat for days when she got sick. So the boy began to bring her gifts, a couple of turtle doves, a dog, books that told of love stories. She smiled again and asked him to stay, to read those stories or asked for directions on the places, the characters, the events. When her husband returned to the castle, someone told him how Madonna Francesca was now serene and how Messere Paolo made her laugh all the time. Someone added, with malice and poison, that making a woman smile was the fastest way to get her to bed. But Messere Gianni could not distrust his brother and sent away those evil tongues, even if life had taught him that everyone had a price to betray: for someone thirty denarii was enough for someone else a castle, for someone else, a simple smile . So he told the old servant to tell him everything and that if he knew even one word from his wife that the old woman did not report, he would tear out her eyes and lock her in a cage hanging from the high tower to make it eaten alive by mice and ravens. So the old woman pretended to sleep because a thief becomes a thief only if he is getting the opportunity to be thief. But Madonna Francesca and Messer Paolo paid no attention to her. They were too busy with stories, too involved in commenting on them, in imagining those worlds that books brought between dark rooms and cold walls. They had created a new game, she read the words of Madonna Ginevra and he those of Lancelot, so as they became, for fun, for pure innocent and eager game, the two lovers. "Sir - she said - if you go to war, stand aside, do not be among the first with a daring heart but with a sad fate, nor in the second ones who have to face the strongest impact of the spears. Stay with your king, protect him and wait with him for the war to pass " And she looked into his eyes smiling "What a knight I would be my Madonna - he replied diving into her eyes, the color of the summer sea - if I thought of my life and like cowards or incompetents, I hid myself among the cooks and evil women in the king's camp" "You would be a wise knight" “I would be a coward! What could I say to the woman I love if I let my companions die in my place, what oath I would honor if my sword were sheathed away from the fist, who could love a coward whose dishonor is hidden with the clothes hanging out of the washerwomen " "Do you sleep women who would love the same because you would have saved their most precious possession ..." "Not our king ..." "But your heart ..." "That of a coward" "That of one who is loved" "And who could dare to love a knight fleeing battle?" "Who calls him to a greater battle" "Which Madonna of mine if I may ask?" "That of love ..."
And since in the book it was written that Madonna Ginevra kissed Messer Lancilotto, so did the girl and kissed him touching his lips. The boy was surprised, amazed and without thinking about it, just because it was written in the book, he kissed her. The old woman moved and the two separated, pretending nothing happened, thinking that she, taken from sleep, hadn't paid any attention to them. When Messer Gianni returned that evening, the old woman approached him and said a few words to him. Messer Gianni turned pale and said nothing, released the old woman and drank a glass of wine. He looked out the window and thought about what to do. But he had nothing else to do and he felt weak and without strength, feeling the weight of power and his malformed body and the uncertainty in friendships and alliances. He had nothing else to do but what the laws and customs required him to do. The next day the old woman was busy and she left them alone. The boys happy for that sudden freedom went back to reading the story but after a few lines, they closed the book and stood looking into her eyes until he slowly brought her lips to hers and after a second of uncertainty kissed them. A scream shook the room, From the passage that led to the rooms of the armed, Messer Gianni, the cripple, the cuckold, came out screaming with his eyes bulging, a sword in one hand, a stiletto in the other and rushed on his brother who he tried to defend himself until a blow slashed his throat and copious blood covered the red terracotta floor and his body landed on it gasping for air. The girl observed the scene and when she saw his body dipped in blood she screamed once more and hugged him trying to give him her life. Her husband saw her embraced by her brother and then took the hilt of the sword with both hands and pierced it making the path of the her weapon and end is way in his heart. They found them like this. She embraced the boy with the long sword that crossed his blue bodice with silver embroidery, he with his head almost detached from his body and his brother in a corner who, with his head in his hands, was crying desperately. 
A poet saw them together in hell, in the midst of traitors and devils, between screams and blood, between fire and tears, in the mists of sulfur and the screams of the damned. In pain and the absence of all light, the poet said that they were in that eternal pain, hand in hand, eye to eye and in that hellish bedlam, they were the only ones who smiled. But the poet who saw them was a great poet.
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luigidalise · 1 year
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I caduti nella Resistenza italiana, tra partigiani e soldati, furono complessivamente circa 44700. Altri 21200 rimasero mutilati o invalidi. Le vittime civili di rappresaglie nazifasciste furono oltre 10mila. Ma quello che scompare, dietro ai numeri, è che si trattava anzitutto di persone, ricorda Letizia Giangualano nello speciale del Sole 24 Ore, in occasione del 78mo anniversario della Liberazione. Padri, madri, fratelli, sorelle, figlie e figlie, giovani e giovanissimi, che hanno rischiato la propria vita o l’hanno persa in nome della libertà. Per chi è nato dopo gli anni Novanta, il partigiano evoca un immaginario associato ad una persona anziana che racconta. Ma i fatti narrati rimandano a un’epoca in cui il portatore, o la portatrice della memoria poteva avere tra gli 11 e i 30 anni. Le loro storie, sul sito Noi Partigiani, Memoriale della Resistenza Italiana, che trovate all'indirizzo https://www.noipartigiani.it/interviste Per conoscere. Per ricordare 
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Storie vere di inquisitori e streghe in Sardegna
Nel 1492, quando Tomás de Torquemada nominò Sancho Marin come primo Inquisitore del regno di Sardegna, le oscure mani dell'Inquisizione spagnola si posarono sull'isola. 
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La sede del tribunale locale, inizialmente allestita presso la Chiesa di San Domenico a Cagliari, fu trasferita in un'altra struttura nota come "La Stellada", situata in via dei Giudicati. Il suo scopo era giudicare i cittadini accusati di stregoneria o di altri atti sacrileghi verso la religione ufficiale e costringerli ad abiurare. L'abiura, la rinuncia al proprio credo, era divisa in tre gradi, con il primo, l'abiura De levi, obbligatorio per chiunque fosse sospettato di eresia. Ma anche l'abiura De Vehementi o l'eresia formale, quando l'accusato confessava la propria colpa, erano quasi sempre la conclusione dei processi, con l'avvocato difensore che convinceva l'assistito a confessare sotto la minaccia della tortura o dell'accusa di eresia. Le macabre tecniche di tortura, come il legare i prigionieri ai tiranti, costringerli a bere litri d'acqua, marchiarli a fuoco, o strappare loro le unghie, estorcevano a malcapitato la confessione e la condanna per eresia formale. 
Queste crudeli esecuzioni erano un monito della sinistra influenza dell'Inquisizione sulla popolazione dell'isola.
Nelle tenebre ancestrali del '500 sardo, quando la Chiesa aveva il potere supremo e la minaccia dell'Inquisizione aleggiava come un'ombra sinistra, le abiure erano rituali temuti da coloro che avevano deviato dalla fede. Nelle situazioni più leggere, i sospettati potevano presentarsi dall'inquisitore o dal vescovo per espiare i loro peccati. Ma nei casi più oscuri e macabri, l'abiura veniva preceduta dall'autodafé, una cerimonia nota come "dei penitenziati", in cui il condannato, dopo aver ascoltato una messa solenne, veniva esposto all'umiliazione pubblica.
In questa processione funesta, il reo confesso veniva costretto a camminare vestito con un saio e a piedi scalzi, accompagnato da una folla di soldati, membri del clero e rappresentanti della confraternita della Misericordia, nota anche come "della buona morte". Alla fine del percorso, il condannato veniva fatto salire su un palco dove l'inquisitore pronunciava un sermone e si procedeva con l'abiura.
Chi accettava di rinnegare il proprio credo, a patto di non essere un recidivo, poteva essere perdonato dalla scomunica e salvare la propria vita. Di solito l'imputato era sottoposto a pene severe, che andavano dalle preghiere e digiuni, alle multe e confisca dei beni, all'obbligo di indossare il sambenito, fino ai lavori forzati e all'ergastolo. 
Ma per coloro che rifiutavano l'abiura, non c'era speranza: erano affidati al boia e se non si pentivano, venivano strangolati, impiccati e bruciati. Se rifiutavano anche di pentirsi, venivano arsi vivi, una fine terribile e infernale.
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Nelle prime epoche dell'Inquisizione in Sardegna, dal tempo di Sancho Marin a Giovanni Sanna, la repressione non fu estrema. Tuttavia, quando l'ultimo, sesto Inquisitore dell'Isola, passò l'incarico a suo fratello Andrea Sanna, vescovo di Ales e Terralba, nel 1522, le catture per stregoneria cominciarono a salire.
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Durante l'autodafé tra il 1526 e il 1527, una quantità spaventosa di presunte streghe provenienti da diverse località dell'isola venne condannata al rogo.
Ma nessuno può essere paragonato all'inquisitore Diego Calvo, il più temuto della Sardegna. Secondo documenti antichi, nel 1565, durante l'autodafé in cui Giuliana Trogu, la strega di Baradili, venne giudicata per apostasia, altre ottanta persone furono processate, tra streghe e indagati per superstizioni varie. Alcuni furono graziati con abiura e pene leggere, altri furono torturati e tredici furono arsi vivi in un terribile spettacolo che durò due giorni interi.
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Il successore di Diego Calvo, Alonso De Lorca, che si insediò nel 1568, non fu così crudele come il suo predecessore, ma comunque fu uno dei più temuti inquisitori dell'isola.
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Nel misterioso anno del 1577, l'oscuro caso di Caterina Curcas, abitante di Castel Aragonès, fu uno dei più notevoli esempi della gestione di De Lorca. Caterina fu processata con l'accusa di essere l'amante delle forze tenebrose che regnano nell'oscurità. Durante gli interrogatori, come spesso accadeva, la povera donna confessò, raccontando di aver incontrato un demone chiamato Furfureddo e di essere stata sua concubina per un periodo di tre anni e tre mesi.
La creatura appariva con l'aspetto di un uomo nobile, avvolto in abiti eleganti e di colori sempre vari, e i loro incontri si svolgevano nella "Valle dell'Inferno", un bosco maledetto situato tra Sedini e Castelsardo, dove centinaia di uomini, donne e demoni si riunivano per dare vita a balli selvaggi e orge sacrileghe. Dopo aver confessato e abiurato, Caterina fu condannata a una pena relativamente mite: un anno di prigionia nell'ospedale di Sassari e l'esilio perpetuo dalla sua diocesi. Ma chi può sapere cosa avvenne realmente in quell'oscuro bosco, o quale oscuro destino attendeva Caterina al termine del suo esilio?
Ancora nel misterioso paese di Sedini i documenti ci parlano di una strega di nome Angela Calvia, che fu processata dall'oscuro inquisitore Giovanni Corita, successore di Alonso De Lorca. Giovanni Corita
La Calvia confessò di aver intrattenuto contatti orribili con un demone di nome Corbareddu, il più grande e antico tra quelli che presiedevano alle danze infernali nella "Valle dell'Inferno". Con capelli candidi e apparizioni alternanti di nudo e abbigliamento nobile di verde o nero, la Calvia fu condannata all'autodafé il 14 dicembre 1578, con la pena di tre anni di prigionia, confisca dei suoi beni e l'esilio perpetuo dal suo luogo d'origine. La medesima sorte toccò a Caterina Mafulla di Castelsardo, che confessò di aver partecipato al terribile sabba nella Valle dell'Inferno e di aver incontrato anime conosciute tra i morti.
Nel medesimo anno, sotto l'inquisizione di Giovanni Corita, furono processati Sebastiano Zucca di Ortueri, che confessò di aver venduto la propria anima al diavolo e di aver visitato l'inferno, e Anna Collu di Oristano, accusata insieme al frate francescano Martino de Tori, di aver cercato tesori con l'aiuto di Satana.
Nelle tenebre dei tempi, un'ombra malvagia si levò nella figura dell'inquisitore Antonio de Raya, che insediò il suo potere nel 1581, erede della malvagità del suo predecessore. 
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Egli si confrontò con una strega di Sedini, che aveva preso parte a riti oscuri nella "Valle dell'Inferno", ovvero Giovanna Porcu, la quale fu condannata nel 1583 dopo aver confessato orrori simili a quelli delle sue compagne. Il 14 agosto dello stesso anno, Antonio de Raya emise una serie di condanne all'autodafé, quasi tutte contro streghe. La tragica sorte toccò a Sebastiana Porru di Gemussi, a Caterina Escofera di Cuglieri, accusata di praticare spiritismo e torturata per aver negato di aver fatto un patto con il diavolo; e a Caterina Pira, di Tertenia, levatrice di professione che confessò di trasformarsi in mosca durante la notte per succhiare il sangue dei neonati. Questa trasformazione in strega era possibile grazie all'uso di un unguento magico che veniva spalmato sotto i piedi e sulla fronte. Anche Antonio Orrù, di Escolca, confessò di aver commesso orrori simili, trasformandosi in coga e mordendo i piedi di due innocenti bambini per succhiare loro il sangue mentre dormivano accanto alle loro madri. 
Queste sono le terribili storie degli inquisitori, un'epoca in cui il Male regnava sovrano.
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realnews20 · 13 days
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Roberto Minervini vince il premio per la migliore regia peri I dannati nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2024 (leggi qui la recensione di Anna Maria Pasetti). “Il premio a Roberto Minervini nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes conferma il talento di un autore che ha mostrato negli anni un’idea di cinema ben definita – commenta Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema – e arricchisce il percorso di un regista ormai riconosciuto a livello internazionale. Se nel 2015, sempre qui a Cannes, Roberto Minervini aveva raccontato la terra dimenticata della Louisiana, ora con I dannati volge lo sguardo verso un manipolo di soldati invisibili e lontanissimi dal mondo. Disperazione e paure personali si rispecchiano in quelle di una comunità universale di uomini, bersagliata da un conflitto che guarda alla nostra contemporaneità. E se il film ha catturato i favori della Giuria è anche perché c’è ancora bisogno di dar voce a chi non ne ha e a chi rischia di morire ogni giorno”. Leggi Anche “Rai Cinema – aggiunge Paolo Del Brocco – è da sempre al fianco degli autori, li sostiene con fiducia, investe sul loro talento e spesso, come nel caso di Minervini, è al loro fianco fin da quando muovono i primi passi. Partecipa con passione a quei progetti e storie che comportano sfide e viaggi avventurosi e questo film lo è stato fin da subito. Quando il produttore Paolo Benzi di Okta Film ci ha presentato il progetto abbiamo avuto la convinzione che ci avrebbe portato lontani; a lui e a Roberto Minervini vanno le nostre congratulazioni e con loro condividiamo questo successo”. “Il cinema di Roberto Minervini è un concentrato di realtà, e lo spettatore può trovare nelle sue storie sempre degli strumenti nuovi per riflettere e comprendere meglio ciò che lo circonda – aggiunge Nicola Claudio, presidente di Rai Cinema. Il pubblico che sceglierà di andare a vedere I dannati, in sala in questi giorni, saprà riconoscere di sicuro questa qualità e ci auguriamo che il Premio ricevuto al Festival di Cannes possa dare ancora più prestigio a un film che non passerà di certo inosservato”. Leggi Anche [ad_2] Source link
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Roberto Mieville
DAL CIELO CI GUARDANO
Il primo capo dei giovani missini racconta la sua guerra
Con un saggio biografico sull’autore
a cura di Amerino T. Griffini
“Mi pare di udire ancora l’eco del cannone o il canto dei soldati addossati alla buca più avanzata, e il lamento dei feriti e l’urlo dell’assalto. E l’impeto dei motori lanciati. E la nostalgia delle giornate consumate in battaglia, che tornano a essere più vive che mai. E le franchigie affidate al caso, perché portassero in Patria ancora un saluto. E il dolore, le delusioni, le speranze e le gioie di quelle ore, cui è legata la mia giovinezza. E i racconti uditi, vissuti in spasimo ugualmente ardente da compagni di guerra e di calvario. Storie di guerra. Ancora storie della nostra guerra perduta. Dette e sussurrate. Cantate, queste storie, fra una raffica ed un assalto. Rimpiante quelle ore di battaglia nei lunghi silenzi del nostro disperato ritorno in una terra divenuta irriconoscibile. Storie interminabili di guerra. Storie di minuti che parvero secoli. Storie dette e raccontate per me, per noi reduci non vinti di una guerra perduta. Fremiti indimenticabili, assalti, pattuglie, scorci di pace nel tumultuare della grande battaglia e nell’attesa dell’ultimo minuto, prima del segno stabilito. Bandiere e stendardi indomiti ed indomabili. Fiamme di combattimento che conobbero il sole di El Alamein, ed il tramonto di Tscherkowo e di Sidi Thabet. Dunque, la via che conduceva al cielo era ingombra di eroi.”
Queste pagine, riportate alla luce con una nuova edizione, ripercorrono le gesta dei nostri soldati attraverso la penna di Roberto Mieville, già tenente carrista durante la Seconda Guerra Mondiale, poi preso prigioniero in Africa e rinchiuso nel famigerato “Fascists Criminal Camp” di Herefort, nel Texas. Racconti avvincenti, tragici ed eroici al tempo stesso, narrati da un uomo che – dismessa la divisa – proseguirà la battaglia ideale con il Movimento Sociale Italiano, fedele al celebre motto da lui coniato: “Boia chi molla!”
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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fashionluxuryinfo · 4 months
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Cigala’s SS24 - Che storia, questi (Relaxed) Chino!
I nuovi Relaxed Chino di CIGALA’S per la Primavera/Estate 2024 raccontano di storie avvincenti. Portati in patria a fine ‘800 dai soldati americani e inglesi che avevano combattuto la guerra Ispanico-Americana, i pantaloni Chinos (originariamente solo in cotone color khaki) devono il loro nome ai contadini filippini (i “chinos”, appunto), che usavano indossarli. Si sono sempre distinti per un look elegantemente disinvolto: con il loro taglio classico e sportivo insieme, privi di pinces e stretti sul fondo, non erano i jeans “proletari” e riunivano comfort e aplomb in un unico modello.
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londranotizie24 · 4 months
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La dura vita della trincea: in un libro le storie quotidiane della Prima Guerra Mondiale
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Di Pietro Nigro Di prossima pubblicazione "La dura vita della trincea", ultimo libro di Luigi, Elisa ed Eleonora Damiano che racconta le storie di chi ha vissuto la Prima Guerra Mondiale. La dura vita della trincea: in un libro le storie quotidiane della Prima Guerra Mondiale Sarà dato alle stampe la prossima primavera ma sta già facendo parlare di sé. Si tratta di “La dura vita in trincea. Silenzi e grida nella Grande Guerra”, libro scritto a sei mani da Luigi Damiano, Elisa Damiano ed Eleonora Damiano. Una storia che parte dalla Prima Guerra Mondiale ma che non parla strettamente di guerra. Una storia in cui non si racconta di tattiche, Armate, Divisioni, Brigate o Reggimenti, Battaglioni o Compagnie, ma in cui si narra di vita quotidiana al fronte ponendo in evidenza le fatiche a cui soldati di tutte le età venivano sottoposti. Una storia che mette in risalto il coraggio misto alla paura di quegli uomini, evidenziando quindi l’aspetto umano ed esistenziale di coloro che dovettero subire il dramma della guerra. Il libro racconta del ruolo avuto sia dal personale in uniforme che dalla popolazione civile, evidenziando anche l’apporto dato dalle donne rimaste a casa mentre gli uomini combattevano al fronte, dall’aiuto nei campi all’industria bellica, agli ospedali civili e da campo. “Con l’entrata in guerra l’Italia mobilitò milioni di uomini che dovettero fare i conti con una diversa idea di Patria, separandosi dai propri affetti e luoghi, alterandone lo stile di vita quotidiano e di conseguenza la salute mentale; essi andavano a combattere un nemico per la maggior parte di loro sconosciuto sottostando ad ordini assurdi e confidando in una veloce risoluzione del conflitto – spiegano gli autori - Il campo di battaglia divenne luogo di condivisione di dialetti, lingue ed usi e costumi diversi. Nonostante l’orrore della guerra, la nostra fortuna è stata quella di poter accedere a fonti orali e scritte come racconti dei sopravvissuti o diari ed epistole, sebbene filtrati dalla censura”. E questa storia spiega anche la nascita del concetto di ‘milite ignoto’: i campi di battaglia erano popolati da un’infinità di corpi di soldati uccisi ai quali non veniva data immediata sepoltura e spesso succedeva di non poter neppure riconoscere il caduto e quindi di dargli un nome. “Il libro – proseguono gli autori - racconta fatti e vissuti riguardanti paesi e popoli diversi, tra cui quello britannico, come ad esempio i bombardamenti degli Zeppelin sui cieli di Londra e Edimburgo e di alcune V.A.D. come Vera Brittain, Agatha Christie, Agnes Warner ed altre crocerossine, come pure di scrittori e poeti britannici come Alan Seeger, Isac Rosemberg, Joe McCrae, solo per citarne alcuni, per terminare con i Monumenti e i Sacrari, anche questi non solo quelli dedicati agli italiani. Al termine di tutti i capitoli sono inserite le trascrizioni di lettere o racconti di soldati o di civili”. Insomma, un vademecum che ha il sapore di testimonianza, per non dimenticare ciò che è stato e che ha cambiato per sempre i destini delle generazioni successive. Venti capitoli di storia del primo conflitto bellico di portata mondiale: dalla Bella Epoque a Caporetto, al ruolo delle donne, all’influenza spagnola, ai canti dei soldati, al trattato di pace, ai mutilati, i reduci e i sacrari (solo per citarne alcuni). E, vista la narrazione che coinvolge anche gli eventi bellici avvenuti in territorio britannico, l’obiettivo degli autori, all’indomani della pubblicazione, è quello di riuscire ad organizzare una presentazione del volume proprio a Londra, entro il 2024, possibilmente nel mese di Novembre, perchè cadrebbe nella ricorrenza dei 110 anni dall’ingresso in guerra del Regno Unito. Gli Autori di La dura vita della trincea Luigi Damiano, Comandante di Stazione dell’Arma dei Carabinieri (già autore in precedenza dei volumi “1915-1918. Aneddoti, scritti ed immagini dal fronte” e “1914-1918. Un mondo in subbuglio. Curiosità, Orrori e Idiozie nella Grande Guerra”). Pilota civile e paracadutista civile con licenza di paracadutismo con tecnica di caduta libera (e partecipazione a manifestazioni di specialità quali l’apertura per la pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolore). Elisa Damiano, psicologa clinica e consulente educativa e scolastica, abilitata al servizio di psicologia in farmacia. Specialista in psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia e dell’adolescenza, pratica sia in Italia che all’estero (a livello internazionale e intercontinentale). Eleonora Damiano, insegnante di canto e musicoterapeuta, vocal coach, cantante di formazione classica appassionata di rock e metal. Presta la propria voce a diversi progetti power e symphonic metal. ... Continua a leggere su Read the full article
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gregor-samsung · 1 year
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“ Nella gola, dove a malapena ci stava un cannone, erano ammucchiati i resti di non meno di quattro. Essi avevano notato soltanto il momento in cui era stato ridotto al silenzio l'ultimo pezzo messo fuori uso; non era stato sostituito rapidamente per mancanza di uomini. I rottami erano disseminati sui due lati della strada; in mezzo ad essi gli uomini avevano trovato il modo di tenere aperto un passaggio per il quale ora stava facendo fuoco il quinto pezzo. Uomini? Sembravano demoni d'inferno! Erano tutti senza berretto, denudati sino alla cintola, le loro carni fumanti, nere per le macchie di polvere e gli spruzzi di sangue. Lavoravano come pazzi con calcatoio, cartocci, leva e cordoncino. Mettevano le spalle gonfie e le mani sanguinanti contro le ruote ad ogni rinculo e sollevavano il pesante cannone per rimetterlo in batteria. Non c'erano comandi; in quel terribile ambiente di schianti di bombe, scoppi di granate, frammenti di ferro sibilanti e schegge di legno che volavano per aria, non si sarebbe potuto udire la voce di nessuno. Gli ufficiali, se erano ufficiali, non si distinguevano dai soldati; lavoravano tutti insieme — ognuno finché durava — guidati dall'occhio. Passata la spugna, il cannone veniva caricato; appena caricato, era puntato e sparato. Il colonnello osservò qualcosa di nuovo per la sua esperienza militare, qualcosa di orribile, contro natura: il cannone sanguinava dalla volata! Per la temporanea mancanza d'acqua, l'uomo addetto alla spugna l'aveva immersa in una pozza di sangue dei suoi compagni. In tutto questo lavoro non c'erano scontri; il dovere del momento era ovvio. Quando uno cadeva, un altro, che aveva l'aspetto un po' piú pulito, sembrava scaturire dalla terra sulle orme del morto, per cadere a sua volta.
Con i cannoni distrutti giacevano gli uomini distrutti, accanto ai rottami, sotto e sopra di essi; e dietro, giú per la discesa, quei feriti che potevano muoversi, si trascinavano sulle mani e sulle ginocchia. Il colonnello — per pietà aveva fatto fare dietrofront alla sua cavalcata — dovette passare col cavallo sopra quelli che erano già morti per non schiacciare gli altri che erano ancora parzialmente vivi. In quell'inferno persistette ad andare; si portò di fianco al cannone e, nel fumo della ultima scarica, toccò sulla guancia l'uomo che impugnava il calcatoio, il quale subito stramazzò credendosi colpito a morte. Un demonio dannato sette volte saltò avanti a prendere il posto del caduto, ma indugiò e levò gli occhi all'ufficiale che era a cavallo con uno sguardo spettrale, i denti che lampeggiavano tra le labbra nere, gli occhi fieri e dilatati che ardevano come brace sotto la fronte insanguinata. Il colonnello fece un gesto imperioso e indicò la retroguardia. Quel demonio s'inchinò in segno d'obbedienza. Era il capitano Coulter. Quando il colonnello fece segno di arrestare l'azione, simultaneamente sul campo cadde il silenzio. Il fiume di proiettili non si rovesciò piú in quella gola della morte perché il nemico cessò di far fuoco. Erano ore che il grosso dell'esercito si era allontanato, e il comandante della retroguardia, il quale aveva tenuto a lungo la sua pericolosa posizione nella speranza di ridurre al silenzio l'artiglieria federale, proprio in quel momento aveva fatto cessare la propria. “
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Brano tratto dal racconto Il fatto della Tacca di Coulter raccolto in:
Ambrose Bierce, Storie di soldati, traduzione di Antonio Meo, nota introduttiva di Francesco Binni, Einaudi (collana Centopagine n° 41, collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976; pp. 83-84.
[Edizione originale: Tales of Soldiers and Civilians, San Francisco: E.L.G. Steele, 1891]
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daimonclub · 6 months
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Storie brevi
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Storielle brevi sul Natale Storie brevi e significative. Natale comincia proprio bene. E' la notte del 25 Dicembre. In una misera stalla a Betlemme, un remoto paesello disperso in mezzo al deserto, Maria e Giuseppe sono in piedi da ore, stanchi, davanti alla culla posticcia fatta di paglia e sterpi, ove dimora il bimbo Gesù, coperto appena da un piccolo drappo bianco e candido. Il bimbo geme tremante mentre un bue e un asinello ansimano quel minimo necessario per garantire un po' di tepore, quanto basta appena per sopravvivere al gelido inverno. Orde di curiosi e persone noncuranti del disagio della Sacra Famiglia prendono d'assalto e senza tregua il neonato, portando in dono misere cose, quel poco che potevano permettersi. Qualcuno dei convenuti narra di Erode, che ha sguinzagliato i suoi soldati per massacrare tutti i bimbi maschi della zona. Fa freddo, e fra pastori, pecorelle, angeli e semplici curiosi c'è una ressa della madonna, una calca bestiale. E fu allora che accadde il miracolo. Il bimbo Gesù, poco più che neonato, disse le sue prime, sante parole: "Ma che Natale di merda, quest'anno". Mauroemme Dedicato a tutti gli idioti... Quando Gandhi studiava giurisprudenza all'Università di Londra aveva un professore, Peters, che non lo sopportava; Gandhi, però, non era tipo da lasciarsi intimidire. Un giorno il professore stava mangiando nel refettorio e Gandhi gli si sedette accanto. Il professore disse: Signor Gandhi, lei sa che un maiale e un uccello non possono mangiare insieme? Ok Prof, sto volando via… rispose Gandhi, che andò a sedersi a un altro tavolo. Il professore, profondamente infastidito, decise di vendicarsi al successivo esame, ma Gandhi rispose brillantemente a tutte le domande. Allora decise di fargli la domanda seguente: Signor Gandhi, immagini di stare per strada e di notare una borsa; la apre e vi trova la saggezza e molto denaro. Quale delle due cose tiene per sé? Certamente il denaro, Prof. Ah, io invece al posto suo avrei scelto la saggezza. Lei ha ragione Prof; in fondo, ciascuno sceglie quello che NON ha! Il professore, furioso, scrisse sul libretto la parola IDIOTA e glielo restituì. Gandhi lesse il risultato della prova e tornò subito indietro. Professore, Lei ha firmato l’esame, ma si è dimenticato di mettere il voto! Natale è sempre Natale Un bambino vorrebbe tanto avere l'albero di Natale, ma il povero padre non può comprarlo. Il tempo passa e il Natale si avvicina. Il bimbo è sempre pi triste e malinconico, in tutte le case dei suoi amichetti ormai arrivato un albero, solo la sua rimane spoglia. Così un giorno il papà, stanco di sentire il figlioletto piagnucolare, gli dice: "Non piangere pi piccolo mio, ci ho pensato a lungo e ho deciso di accontentarti. Anche se sono povero, ora esco, e ti prometto che al ritorno avrò con me un meraviglioso abete, e senza spendere un soldo". Così dicendo l'uomo afferra una scure da boscaiolo, si mette gli scarponi da neve e un pesante pastrano, ed esce da casa con passo deciso, dirigendosi verso i lontani monti innevati. Fischiettando soddisfatto, il genitore ritorna dopo appena dieci minuti, e con in spalla un bellissimo albero natalizio, che colloca in soggiorno. Il figlioletto molto stupito gli chiede: "Ma babbo, come hai fatto ad abbattere quel grande abete così in fretta?". "Non l' ho tagliato figlio mio, l'albero l' ho preso al supermercato qui all'angolo". "Al supermercato? Ma allora perché ti sei portato dietro l'accetta?". "Sciocchino, l'accetta serviva per non pagare l'albero". Bilbo Baggins L'integralista del Natale Sei il vero integralista del Natale? Sei il più pericoloso di tutti. Per te a Natale bisogna rispettare scrupolosamente ogni rito e tradizione. Già la settimana prima inizi a controllare la casa dove avverrà lo scambio di doni. Se non c'è l'albero, lo porti tu e lo arredi, se non c'è il presepe, lo fai, se il padrone di casa è ateo, nascondi la grotta di Betlemme nel freezer, l'importante è che ci sia. Inizi a massacrare tutti con telefonate del tipo mi raccomando non regalare una vestaglia a mamma che gliela regalo io, e non scordarti il bambolotto a Serena perché io le regalo la sciarpina. Pedini di nascosto i parenti per accertarsi che facciano gli acquisti giusti. Controlli anche il Natale dei limitrofi, ad esempio ti fai mandare una polaroid del presepe dalla famiglia della fidanzata, o telefoni al tuo dentista chiedendogli perché non ha ancora comprato il panettone. Scegli il menù della cena. Ti presenti con un centrotavola natalizio formato da un bosco di abeti, grappoli di palle e una candela alta un metro che, accesa, ammorba l'aria. Da questa abetaia escono spesso scoiattoli che rubano la frutta. Obblighi i bambini a leggere la poesia, i grandi a cantare Silent Night, il nonno a raccontare il Natale sotto le bombe. Tieni tutti inchiodati a tavola fino a mezzanotte. A mezzanotte, distribuisci tu i regali uno alla volta. Ogni volta il donatore deve spiegare i motivi profondi della sua scelta, e il ricevente deve esternare con un breve discorso la sua gratitudine. Ogni venti regali si canta Astro del Ciel e si mangia un torrone. In una famiglia di dieci persone, questo tipo di distribuzione può durare fino alle sei di mattina. All'alba, se sei anche religioso, trascini tutti a messa, se sei laico li costringi a fare un giro in slitta. Se c'è neve bene, se no si va sull'asfalto. Per difendersi da questo pericoloso individuo, alcune famiglie passano le festività in baite di montagna o, chi può, sulle isole tropicali, ma tu non demordi. Se vedete sull'aereo per i Caraibi un uomo con un albero di Natale e una valigia di panettoni, sappiate che è un'integralista del Natale che sta per colpire a distanza. E Dio non voglia che, per un ritardo, dobbiate passare il Natale in volo con lui. Stefano Benni
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Aforismi celebri sul Natale e la natività Il Presepe Sono cominciati i primi "gingles" natalizi, con tante palle da comprare e alberelli da abbattere. Io vi invito a fare il nostro vecchio e caro Presepe. Ho saputo che a Napoli, la capitale delle statuette di terracotta, hanno preparato nuovi personaggi da mettere sul vostro Presepe, e vi invito a rivolgervi al vostro negoziante per dare aria nuova all'antica tradizione. Qualche suggerimento: dalle montagne di cartapesta dov'e' tracimato il fiume di stagnola che e' precipitato sul laghetto inquinato fatto con lo specchio, si ergono piccole case abusive condonate. L'autostrada, bloccata dai metalmeccanici è baipassata dagli agricoltori lucani che non vogliono le scorie e si avvicinano alla Stalla davanti alla quale pascolano mucche pazze, polli alla diossina e Agnelli spompati. Negozianti che hanno chiuso per la concorrenza dei supermercati arrivano dalla parte opposta su stradine dove qua e là esercitano piccoli artigiani in via d'estinzione e parecchie prostitute. Qualche batuffolo d'ovatta imita la neve e il freddo delle case senza gasolio. Nella capanna c'e' San Giuseppe e la sua solita sega, per la Madonna! E il bambino, sorridente, agita le manine e in un pugnetto stringe la pillola anticoncezionale. Sopra tutti, in un tripudio di angeli, vola San Silvio che dal suo elicottero benedice sorridendo la folla festante e uno striscione sotto di lui recita: "Non ci faremo intimidire" Buona notte. Aldo Vincent Il diavolo e il cavallo Un cavallo era legato a un palo, ma il diavolo lo vide e lo slegò. Il cavallo si avvicinò al campo del contadino e iniziò a rovinare il raccolto. Il contadino si arrabbiò, prese un fucile e uccise il cavallo. Poi anche il proprietario del cavallo si arrabbiò, prese un fucile e si vendicò del contadino. La moglie del contadino vide questo è uccise il proprietario del cavallo. Il figlio del proprietario uccise, per vendetta, la moglie del contadino. I parenti della donna uccisero questo tizio e gli bruciarono la casa... La gente chiese al diavolo: perché hai fatto tutto questo? Il diavolo rispose: Credo di non aver fatto niente di sbagliato, io ho solo lasciato andare il cavallo. MORALE Il diavolo fa solo cose semplici e innocenti e il resto lo facciamo noi stessi. Sa che il male è intrappolato nei nostri cuori. Per questo dobbiamo riflettere attentamente prima di agire. Ricorda: la parola ha potere, pensa prima di agire e pensa prima di parlare. Eremo di Sant'Elia Il topolino Attraverso il buchino del muro il topolino guardava il contadino e la moglie che stavano aprendo un pacchetto. "Che cibo ci sarà?" - si chiedeva il topolino che rimase sconvolto nel vedere che era una trappola per topi. Il topolino fece il giro della fattoria avvisando tutti: - "C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!" Il pollo alzò la testa e disse: "Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto." Il topolino andò dal maiale dicendogli, "C'è la trappola per topi in casa! C'è la trappola per topi in casa!" Il maiale con empatia disse: -"mi dispiace molto, Signor Topo, ma non c'è nulla che io possa fare, eccetto pregare. Ti assicuro che sarai fra le mie preghiere." Il topolino allora andò dalla mucca: -"C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!" La mucca disse, "Ohh.. Sig. Topo, mi dispiace per te ma a me non disturba." Quindi, il topolino tornò in casa, con la testa bassa, molto scoraggiato, per affrontare da solo la fatidica trappola. Durante la notte sentirono uno strano rumore che echeggiò per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si alzò subito per vedere cosa avrebbe trovato nella trappola. Nel buio, non vide che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente morsicò la moglie del contadino che dovette portarla d'urgenza all'ospedale, con la febbre alta. Come molti sanno, nella cultura contadina, la febbre si cura con una zuppa di pollo fresco, quindi il contadino con il suo coltellone uscì nel pollaio per rifornirsi con l'ingrediente principale della zuppa. La malattia della moglie però non passava e così tanti amici vennero a trovarla per starle vicino. La casa era piena e per nutrire tutti, il contadino dovette macellare il maiale. Ben presto la moglie morì e tanta gente venne al suo funerale tanto che il contadino dovette macellare la mucca per offrire il pranzo a tutti. Il topolino dal buchino del muro guardò il tutto con grande tristezza. La prossima volta che sentite che qualcuno sta affrontando un qualche problema e pensate che non vi riguardi, ricordate che quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita. Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda. "Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te." Ernest Hemingway Se volete proseguire nel mondo umoristico potete anche visitare i seguenti links: Aforismi Umoristici Barzellette e motti di spirito Prologo umoristico Umorismo esistenziale George Mikes e l'umorismo Riflessioni sull'umorismo Pensieri umoristici On humour, an article C.W. Brown on homour Citazioni sul Carnevale Il motto di spirito di S. Freud Daimon Humour Club Narrativa umoristica Motto di spirito e citazioni Umorismo nero e lavoro Storie brevi e divertenti Barzellette sul Natale Odio il Natale Cavalla golosa Read the full article
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claudiodangelo59 · 6 months
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ex Allievi in evidenza: TRIESTE.
CONSEGNATO AL SINDACO DIPIAZZA IL LIBRO
“IL REGIO ESERCITO NELL'ADRIATICO NORD - ORIENTALE 1920 - 1940. STORIE DIMENTICATE DI SOLDATI E GENTI DI CONFINE” DELL'EX ALLIEVO DEL 160° CORSO E GENERALE DEI BERSAGLIERI PAOLO STENDARDO
“Al Sindaco Roberto Dipiazza con i sensi della massima stima”. Con questa dedica
al Primo cittadino oggi (venerdì 7 dicembre) il Generale dei Bersaglieri
Paolo Stendardo, accompagnato dalla moglie Valentina Restante, nel corso di un incontro nel Salotto Azzurro ha consegnato al Sindaco Roberto Dipiazza il suo nuovo libro
intitolato “Il Regio Esercito nell’Adriatico Nord-Orientale 1920-1940. Storie di soldati e
genti di confine”.
L’opera, recentemente pubblicata da Luglio
Editore, verte su risvolti
inediti o comunque poco conosciuti della storia del territorio.
Alla consegna del libro è intervenuto l’editore, Claudio Luglio, che ha omaggiato
il Sindaco con una copia del suo volume dal titolo “Mai stato in fuorigioco”.
Nel corso dell’incontro, ringraziando il Sindaco per l’ospitalità, l’autore ha illustrato le ragioni che lo hanno portato a scrivere questo libro e consegnarlo al Primo Cittadino, sottolineando come, proprio nel 2024, si celebrerà il Centenario dell’annessione di
Fiume all’Italia.
questo volume – ha evidenziato ancora Stendardo – è costituita
dal fatto che parla di militari, ma non di guerre, descrivendone la vita di guarnigione e
quella con le proprie famiglie, illustrandone anche le relazioni con le autorità locali e rammentando i fatti e le vicende storiche avvenute in quel periodo”.
Ringraziando per il gradito dono, il Sindaco ha voluto complimentarsi con l’autore,
rimarcando la valenza culturale e didattica della pubblicazione, che potrà contribuire a
portare all’attenzione di un pubblico il più vasto possibile importanti eventi storici, come
quelli descritti nel libro, poco conosciuti o spesso dimenticati.
Paolo Stendardo, classe 1958, è tornato a Trieste, città di origine, conclusa la carriera militare. Nato a S. Giacomo e cresciuto nel rione di Servola, a 19 anni, acquisita
presso il Liceo “G. Galilei” la maturità scientifica, è entrato nell’Accademia Militare di
Modena divenendo Ufficiale dei Bersaglieri.
Venezia Giulia che allora includeva la penisola istriana
mentre il resto della Dalmazia, tranne Zara e alcune isole, dovette essere evacuata dai
nostri militari; assieme ad essi, se ne andarono migliaia di italiani ivi residenti.
che, dopo la parentesi dannunziana, dello Stato libero e commissariamenti successivi porterà, nel 1924, alle celebrazioni solenni a Fiume per la sua unione alla Madrepatria.
di addestramenti e
sperimentazioni di nuove dottrine di impiego a fronte di molteplici riordini dell’apparato
militare.
La costituzione nel 1934 della Guardia alla Frontiera, Corpo ad hoc cui fu devoluta
la sicurezza dei confini, consentì di svincolare da tale compito molte unità del Regio Esercito che divennero disponibili per impieghi fuori dal territorio nazionale. Nel testo, ove
possibile, la mera elencazione dei fatti viene stemperata con articoli di quotidiani e resoconti dei militari stessi dando risalto al ruolo delle famiglie nella vita di guarnigione. Molte
località oggi appartenenti ad altre nazioni vengono citate nella dizione in italiano
dell’epoca.
Il libro in realtà non si ferma all’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 ma guarda
oltre, concludendosi con una bottiglia ritrovata in mare con il messaggio di un marinaio
dell’incrociatore “Fiume” affondato nel 1941 a Capo Matapan, che racchiude in sé tutta
la tragedia di un conflitto che non si poteva vincere ed anticipa quella delle popolazioni
delle terre orientali che di lì, a pochi anni, avrebbero perduto tutto perché i soldati che
avrebbero dovuto difenderle non c’erano più... ben fatto ⭐️🇮🇹⭐️🇮🇹⭐️🇮🇹⭐️🇮🇹 #UnaAcies
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valeriozannoni · 6 months
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storie di resistenza
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agrpress-blog · 6 months
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Il Direttivo della “Fondazione Levi Pelloni”, riunito a Roma sotto la presidenza di Felice Vinci, ha annunciato i nomi degli autori finalisti della XIV edizione del Premio “FiuggiStoria” 2023. I libri selezionati sono stati segnalati dai vincitori le edizioni precedenti, dalle case editrici e dal Comitato di lettura composto dagli “Amici del FiuggiStoria”. Finalisti per la “Saggistica”: Roberto Colozza: “L'affaire 7 aprile” (Einaudi); Eugenio Di Rienzo: “D'Annunzio diplomatico e l'impresa di Fiume” (Rubbettino); Emanuele Ertola: “Il colonialismo degli italiani. Storia di una ideologia” (Carocci editore); Emma Fattorini: “Achille Silvestrini. La diplomazia della speranza” (Morcelliana); Matteo Petrelli e Francesco Fusi: “Soldati e patrie” (Il Mulino); Pier Giorgio Zunino: “Gadda, Montale e il fascismo” (Editori Laterza) Per le “Biografie”: Paolo D’Angelo: “Benedetto Croce. Gli anni 1866-1918” (Il Mulino); Emanuele Di Muro: “Randolfo Pacciardi. Il sogno di una Nuova repubblica italiana” (Efesto); Luigi Giorgi: “Giuseppe Dossetti. La politica come missione” (Carocci editore); Gennaro Sangiuliano: “Giuseppe Prezzolini. L'anarchico conservatore” (Mondadori); Maurizio Sessa: “Edda. Sangue di famiglia” (Edizioni Medicea); Antonio Tedesco “Vittoria Nenni. N.31635 di Auschwitz” (Arcadia Edizioni). Per il “Romanzo Storico”: Ritanna Armeni: “Il secondo piano” (Ponte alle Grazie); Manuela Faccon: “Vicolo Sant'Andrea 9” (Feltrinelli); Valentina Gasparotto: “Diva d'acciaio” (Gaspari Editore); Eleonora Mazzoni: “Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni” (Einaudi); Michela Monferrini: “Dalla parte di Alba” (Ponte alle Grazie); Gaetano Petraglia: “La matta di piazza Giudia” (Giuntina). Per “Diari, Epistolari & Memorie”: Alessandro Carlini: “Nome in codice Renata” (Utet); Caterina Cardona: “Un matrimonio epistolare” (Sellerio); Vittoriano Esposito e Darina Silone: “Il Silone per cui combatto. Lettere 1999-2002” (Ianieri Edizioni); Mara Fazio: “Dal giardino all'Inferno. Lettere di una nonna ebrea dalla Germania” (Bollati Boringhieri); Nico Pirozzi: “Italiani imperfetti. Storie ritrovate di una famiglia di ebrei napoletani” (Memoriae Museo della Shoah); Catia Sonetti: “Attraverso il tempo con le parole” (Il Mulino). Per “Uomini & Storie”: Bruno Cianci: “Una lanterna nel buio. Florence Nightingale la prima infermiera” (Laterza); Eliana Di Caro: “Magistrate finalmente. Le prime giudici d'Italia” (Il Mulino); Sandro Gerbi: “Il selvaggio dell'Orinoco. Sulle orme del padre” (Ulrico Hoepli Editore); Sergio Tazzer: “Milada e le altre” (Kellermann): Enrico Terrinoni: “La vita dell'altro. Svevo, Joyce: un'amicizia geniale” (Bompiani); Marco Ventura: “Il fuoruscito - Storia di Formiggini” (Piemme). La cerimonia di premiazione si terrà il 20 dicembre prossimo in Roma presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto - Camera dei Deputati. Nel corso della cerimonia saranno proclamati anche i La cerimonia di premiazione si terrà il 20 dicembre prossimo in Roma presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto-Camera dei Deputativincitori dei Premi “FiuggiStoriaEuropa”, “FiuggiStoriaMultimedia”, “Menzione Speciale” e “FiuggiScienza”.
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