Tumgik
#Ora uno sta cantando la vita mia
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Someone is doing karaoke since 3 hours and it’s so funny I’m sitting on the balcony smoking and laughing because they’re so off key I love it
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fiafico · 3 years
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Eclisse
L'intera storia è stata ispirata da questa splendida canzone, vi consiglio caldamente di ascoltarla: https://youtu.be/0iU5Snr_D44
•~•~•~•= Atto I =•~•~•~•
Sul calar della sera, quando il sole già si distendeva pigramente sull'orizzonte del mare e la bianca sagoma della luna emergeva dal cielo in fiamme, una donna senza nome, senza onore né virtù, cadde in ginocchio sul ciglio di una scogliera, le braccia spalancate e innalzate verso il cielo. Pregò il sole di risponderle, mentre la tenebra si allungava dietro di lei e le ombre si facevano più dense. La foresta alle sue spalle era animata dai suoni striduli e inquietanti della fauna notturna; un brivido per percorse la colonna vertebrale e poi le scapole. Ciononostante rimase lì, con le ginocchia nell'erba, a pregare. Poi improvvisamente ci fu calore, un immenso e bruciante calore proprio davanti a lei, oltre il bordo della scogliera, ma non osò alzare gli occhi dal terreno. Una voce risuonò nella sua mente, profonda, imperiosa...pericolosa. Le chiese cosa volesse, perché lo disturbasse in un momento come quello. <È per amore>, rispose lei, <Lo rivoglio indietro> <È la Luna che devi pregare per questo, non me> La donna scosse rapidamente la testa, tentando di calmare il tremore che le stava prendendo la voce. <Non c'è più tempo! Sta per abbandonarmi> <Dovresti davvero rivolgerti alla Luna, che non ha pretese. Io esigo un pagamento> <Qualunque cosa! Sono disposta a dare qualunque cosa> Ci fu uno scoppiettio improvviso, come fuoco che divora all'istante un ciocco rinsecchito, o una risata, difficile dirlo. Poi silenzio e quando la voce riprese a parlare, il suo tono era velato dalla più sottile e invisibile punta di rabbia. <Non mentire. Voi umani avete sempre qualcosa che non osereste mai cedere. Siete fatti di desideri e per natura peccate di egoismo, in continuazione. Che cos'è che sei disposta a sacrificare?> <Tutto! Basta che lui torni da me> <Sciocchezze! Non osare mentirmi, donna. Lo vedo nel tuo animo, vedo ciò a cui non rinunceresti mai con assoluta chiarezza> <Qualunque cosa!> <Allora dammelo, dammi l'unica cosa a cui sembri tenere nel tuo piccolo e insulso cuore. Dammi il tuo primo figlio quando nascerà> La donna si fermò, sentì di respirare aria gelida e le mani persero in un'istante il loro calore, nonostante sentisse quell'aura spaventosa bruciarle la pelle e le vesti. Esitò, combattuta.
Poi un'ombra le scivolò lentamente lungo il braccio e comprese di non avere davvero più tempo. La disperazione la vinse in breve tempo.
<Lo farò. Rinuncerò a mio figlio, al secondo, al terzo, a tutti loro, se questo renderà degna di considerazione la mia supplica> Seguì un silenzio così lungo che la donna ebbe paura di essere rimasta sola. Alzò velocemente la testa, ma gridò per il dolore quando si ritrovò accecata da una luce splendente oltre ogni immaginazione. Cadde all'indietro, ansimando e coprendosi gli occhi con le mani, piangendo e lamentandosi, pregando di non aver perso la vista. Poi sentì nuovamente la voce, ora priva di qualsiasi emozione. O forse era solo lei che non riusciva a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi occhi brucianti. <Il patto è fatto. Ora va' e fa che non ti veda mai più, creatura senza cuore, se non il giorno in cui affiderai la tua prole a mani più capaci> Così disse e la donna, senza farselo ripetere due volte, scappò via, incespicando nella vegetazione oscura. Il Sole alzò lo sguardo e vide la Luna, sempre più visibile nel cielo buio. Stava lì, muta e attenta. Una gran seccatura. <Quanto hai visto?>, chiese. L'astro non rispose subito, poi ad un certo punto una voce maschile, piuttosto preoccupata, riempì i suoi pensieri. <Ne sei proprio sicuro, DIO? Avrei potuto accogliere io quella supplica se le avessi concesso ancora un po' di tempo> Quello non disse nulla, semplicemente fissò l'orizzonte e la minuscola porzione di Sole che ancora resisteva oltre la linea del mare. <Soffriranno>, disse ancora la pallida Luna. L'altro si spinse con leggerezza oltre la scogliera, lasciandosi cullare dal vento della montagna, mentre ancora fissava la spada di luce che divideva in due la superficie marina. <Nessuno può pretendere di avvicinarsi tanto al Sole e non scottarsi almeno un po', non è vero?> Poi si adagiò sull'orizzonte e si abbandonò al sonno, lasciando che la luna iniziasse il suo turno come custode dei desideri degli uomini.
•~•~•~•= Atto II =•~•~•~•
Accadde durante una notte di primavera. Un pianto di bambino si levò da una bella casa in aperta campagna e la Luna, sentita la nuova voce, si inclinò per sbirciare tra le tende. Nella stanza illuminata da un camino pieno di legna scoppiettante la donna giaceva esausta in un letto morbido. Accanto a lei un uomo stringeva tra le braccia un neonato. I raggi pallidi non riuscirono a raggiungere il nuovo arrivato e così la Luna non poté vederlo. Tutto quello che fece fu controllare la stanza con attenzione fino al mattino. Quando le prime luci dell'alba proiettarono ombre sulla campagna, l'astro era già sprofondato in un sonno agitato.
Un mese più tardi accadde la tragedia. La Luna osservò impotente la lite sbocciare e poi degenerare attraverso le tende aperte. Il bambino stava nella culla, un dito puntato contro di lui, l'altra mano del genitore stringeva un coltello. L'uomo gridò ancora, facendo sempre la stessa domanda: come può mio figlio avere riccioli biondi e occhi azzurri? Effettivamente, neanche la luce lunare poteva schiarire abbastanza le ciocche castane di entrambi i genitori o illuminare i loro occhi scuri di blu. La donna stava piangendo, fissava il coltello, poi il marito, poi il bambino, e poi di nuovo il coltello. Farfugliava, inventava scuse, ma raramente la Luna aveva visto qualcuno di così poco credibile. Ed era lui di solito a essere testimone di tutti i segreti e le bugie troppo scottanti per essere confidati alla luce del giorno, per cui quello era tutto un dire. La tragedia accadde quando l'uomo si avventò sulla moglie. Non le diede neanche il tempo di gridare prima che lei cadesse in terra senza vita, un taglio profondo le squarciava la gola. Poi l'uomo, tremante e in lacrime, si girò di scatto verso il bambino. La Luna ringraziò il chiarore che già illuminava l'orizzonte. Appena il Sole fece capolino da dietro i dolci pendii la Luna gridò. Gridò così forte che persino le stelle la sentirono, nonostante fosse ormai praticamente scomparsa dal cielo albeggiante. <Il bambino!>
Un uomo correva senza fiato attraverso un bosco, il terreno era in salita e il peso tra le sue braccia gli rendeva ancora più difficile respirare. Raggiunse il bordo della scogliera quando il Sole era già sorto per metà. Lo vedeva all'orizzonte e la sua luce gli deriva gli occhi. Guardò per un'ultima volta il bambino che stringeva al petto: minuscolo, paffuto, bei ricci biondi come il grano e occhi grandi, blu come il cielo a mezzogiorno. Il piccolo lo guardava tranquillo, la testolina inclinata di lato come se non capisse realmente quello che stava accadendo. E come biasimarlo? Non era neanche riuscito a capire perché sua madre fosse improvvisamente caduta per terra. Così tanta innocenza, così tanta purezza. Ma era così sbagliato. <Figlio di un tradimento>, mormorò l'uomo. Tese il braccio in avanti, oltre il bordo. Il bambino stava in equilibrio nelle fasce. Il Sole splendeva all'orizzonte, il freddo vento della notte soffiava forte attorno a lui. Aprì le dita. Una freccia dorata gli trapassò il cranio. Il bambino cadde con un piccolo grido. L'uomo schizzò all'indietro e rotolò nell'erba. Grandi mani calde circondarono il corpicino sospeso oltre la scogliera. Le avide mani della morte reclamarono l'anima dell'uomo negli inferi. Una figura abbagliante fece alcuni passi sull'erba, facendola ingiallire leggermente. Il Sole guardò il bambino nelle sue mani, così piccolo da entrare nei suoi palmi uniti, così simile a lui da spaventarlo. Gli stessi capelli, la stessa pelle chiara, lo stesso sguardo profondo. Rimase a fissarlo in preda all'incertezza per più tempo del previsto, ma si riscosse quando la creaturina gli afferrò un pollice e iniziò a stringerlo tra le sue manine, piegandolo in varie posizioni. Il sentimento che fiorì dentro di lui lo lasciò senza parole. Un calore che non gli apparteneva gli incendiò il petto e sentì l'ebbrezza della vera felicità annebbiare la sua mente e offuscare il suo giudizio. Il bambino rise mentre provava a mordergli sperimentalmente il dito. Non aveva pensato a questo quando aveva esaudito la preghiera di quella donna, non si era immaginato in questo ruolo. Il piccolo mise da parte il pollice e si rivolse direttamente a lui, e poi, sorprendendolo come mai nulla prima di quel momento aveva fatto, gli sorrise. A quel punto DIO pensò davvero di aver perso la testa, ma se la ricompensa per quella follia era un tale, autentico amore, allora forse avrebbe potuto rischiare di allontanarsi un po' dalla retta via. Rivolse lo sguardo all'orizzonte e, vedendo il cerchio brillante ergersi sul mare, si volse di nuovo verso il bambino. Lo sistemò ben bene nelle coperte per proteggerlo dal freddo, poi se lo portò al petto e lo strinse forte. Una sola lacrima di gioia cadde sull'erba mentre sorrideva. <Ciao, Giorno>, disse e pensò che dal quel momento il mondo fosse diventato un posto più luminoso.
•~•~•~•= Atto III =•~•~•~•
Un uomo camminava canticchiando nella campagna, un bambino di poco più di un anno sonnecchiava sereno tra le sue braccia. L'alone pallido e delicato che circondava l'uomo sembrava non disturbare il suo sonno. La Luna sorrise. Cullò ancora il piccolo, cantando una ninna-nanna di cui neanche lui ricordava bene tutte le parole. Ma il suono era piacevole e questo bastava. Alzò lo sguardo verso il cielo puntellato di stelle e le sue vesti candide si mossero nel venticello caldo dell'estate. Presto il Sole sarebbe sorto e Giorno si sarebbe svegliato. <Jonathan> Una voce lo chiamò e non ebbe bisogno di girarsi per sapere chi era. <DIO>, mormorò, <È un po' presto, non trovi?> <Come sta?> Jonathan sorrise. Non era ancora riuscito a trovare le parole giuste per descrivere quanto fosse contento di quella situazione. Il suo cuore vibrava di felicità e sapeva che era lo stesso per la stella del giorno. <Tutto bene, è con me dopotutto. Se continuerai a essere così protettivo con lui, temo che presto o tardi comincerà ad odiarti> Il silenzio che seguì poteva solo essere un segno della preoccupazione dell'altro dopo aver udito quelle parole. Allora Jonathan si voltò, allungò una mano e la posò sulla spalla del Sole, stringendo delicatamente. La sua espressione insicura lo turbò più del necessario. <Va bene, stavo solo scherzando. Stai andando bemissimo> <Lo pensi davvero?> La Luna annuì con convinzione. <Certo. Lui è felice, noi siamo felici. Non vedo lati negativi in tutta questa storia> DIO non sembrava convinto. Girò la testa di lato e lasciò che il suo sguardo vagasse sui profili delle case in lontananza. <Io...spero solo di non aver commesso un errore> Jonathan stava per rispondere, ma Giorno lo batté sul tempo. Il piccolo, svegliatosi probabilmente a causa dei discorsi dei due, si divincolò dalla presa dell'altro e si allungò verso DIO, sul volto rotondo aveva un'espressione piena di determinazione. Il Sole lo afferrò e lo strinse a sé, Giorno si tirò su e gli piantò un tenero bacino sulla guancia. Quello rimase stordito. <Papà>, disse solo il piccolo con decisione. Jonathan sorrise e desiderò poter immortalare quel momento mentre DIO, con un sorriso più radioso del sole di mezzogiorno, baciava il pargoletto sulla fronte e lo stringeva al petto come se fosse una parte della sua anima.
•~•~•~•= Epilogo =•~•~•~•
Il Sole teneva il bambino di giorno, lo faceva giocare e gli insegnava tutto ciò che c'era da sapere sul mondo; la Luna lo cullava di notte, leggendogli favole e insegnandogli a sognare. Dall'alto le stelle guardavano i tre e ogni tanto si avvicinavano per stare col bambino, riempiendo il cielo di frecce argentee e spingendo gli uomini a rivolgere ad esso le loro preghiere.
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lizsunflower · 3 years
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26 dicembre 2020
È arrivato il momento di fermarsi un attimo e tirare un po’ di somme.
Non parto mai con idee precise di quello che voglio scrivere. A volte durante la giornata mi vengono in mente alcune cose ma non ho mai la prontezza di annotarle e tanto meno la capacità di ricordarle.
È passato il Natale, credo il più bello di sempre. Per molti è stato strano, triste, diverso dal solito, ma io ho avuto la fortuna di avere vicino tutto ciò che mi faceva stare bene.
Abbiamo pranzato a casa con i miei, poi sono scesi Giulia e Piero, siamo andati tutti e quattro a salutare le nonne e poi abbiamo passato una serata con tutti i miei amici, cosa posso chiedere di più di questo?
Ho visto i miei genitore sereni, la mia amata nonna contenta e sopratutto ho avuto accanto te che mi rendi così felice e mi fai sentire amata ogni in ogni singolo giorno e in ogni singolo istante.
Abbiamo raggiunto il nostro equilibrio e mi sento davvero libera di provare le emozioni che mi salgono da dentro.
Ieri prima di uscire a fumare una cicca ti sono saltata in braccio, in maniera così spontanea, mi hai detto che ti ha fatto molto piacere perché hai potuto notare quanto io fossi felice e hai appurato che stai riuscendo nel tuo intento nel farlo.
Siamo così simili in così tante cose, nel nostro modo di essere, nel modo di affrontare le cose, nel nostro attaccamento alle nostre fantastiche nonne, nel nostro modo di essere con le persone che amiamo, per l’impegno e l’amore che ci mettiamo in qualsiasi cosa facciamo. Per tutte le nostre coincidenze, dal neo sul piede, alla stessa ferita fatta nello stesso giorno nello stesso punto della mano, dai tatuaggi che abbiamo per le nonne alla quantità di cicche che fumiamo al giorno 😂
Questa mattina ci siamo svegliati abbiamo fatto una doccia, siamo usciti in terrazza e abbiamo guardato mio papà pulire la macchina, stava cantando sereno senza sapere di essere osservato, abbiamo riso tanto nel sentilo “intonare” quegli acuti imbarazzanti, ho avuto per un attimo gli occhi lucidi, non so se per le risate, per aver visto mio papà così contento o se perché in quel momento ci fossi tu accanto a me a goderci un momento del genere.
Mi dici sempre che se non ti avessi raccontato di cosa successe ormai 6 anni fa, tu non avresti mai pensato che mio papà andò via di casa.
Anche noi abbiamo ritrovato il nostro equilibro, sia lui e mia mamma, sia io e lui e io sono veramente felice di questo.
Ho abbassato la guardia anche con lui perché credo che se lo meriti, a modo suo sta dimostrando quanto ci tenga.
Poi ho avuto l’idea della bici, via in sella, abbiamo raggiunto il cimitero, ti ho fatto fare il percorso che faccio di solito io, un saluto a Enri, una cicca da Vani e poi dai nonni. Che personaggi.
È stato un po’ strano all’inizio, non è proprio una cosa così comune da fare, è una cosa che solitamente faccio da sola, ma poi è stato tutto così normale, è stato speciale anche questo, “presentarti” persone che hanno fatto parte della mia vita che purtroppo non ci sono più. È stato normale e speciale perché tu hai la capacità di fare e creare tutto questo, noi due insieme riusciamo a farlo.
Poi siamo andati nel nostro posto, quel magnifico posto, oggi risplendeva con la luce del sole, ho dato da mangiare ad un cigno come faceva il mio nonno poi siamo andati al ponte cercando di riprodurre la nostra prima foto, senza grande successo perché forse siamo così diversi rispetto all’inizio.
Prima mentre guardavamo Pocahontas sono rimasta colpita dal discorso di nonna salice delle increspature dell’acqua, “così piccole all’inizio poi guardate come si ingrandiscono”
Noi siamo così, siamo partiti da un tocco, da un puntino che si trasforma in un piccolo cerchio e ogni cerchio diventa sempre più grande. Noi diventiamo sempre più grandi. I nostri progetti e i nostri obiettivi lo diventeranno. La nostra relazione crescerà sempre di più.
Quel tocco è quel tuo messaggio partito come uno scherzo ma che nascondeva la verità, o forse quella sera, la prima sera dove ci siamo conosciuti. Ha poca importanza da dove siamo partiti, l’importante è ciò che siamo diventati e ciò che saremo in futuro.
Mi hai detto che ti piace la mia famiglia.
E io adoro la tua, la cena della vigilia è stata bellissima, adoro ascoltare i tuoi zii parlare dei loro viaggi, delle loro avventure nel mondo, guardare il loro entusiasmo, la loro complicità “ti ricordi?” quante volte se lo sono ripetuti, sembrava parlassero di un viaggio fatto 5 anni fa, invece era di 20 anni fa.
E io ascoltandoli non riesco a non immaginarci così, per le strade di grandi città a provare cibi mai provati prima, in campagne sperdute con piantagioni di riso in oriente, nelle spiagge bianche delle Maldive, sotto alberi di ciliegio in fiore in Giappone, nella savana circondati da bufali giraffe e leoni e spensierati per mano a camminare sopra le mie adorate piastrelle a fiori per i marciapiedi di Barcellona.
Non vedo l’ora di fare un viaggio con te.
Adoro tua mamma e l’amore che esprime quando parla di voi, adoro come dimostra di credere in voi e nei vostri sogni, rinuncerebbe alla vita per voi.
Amo te, quando mi parli di tua nonna, con tutta quell’emozione e quella fragilità, amo te quando piangi perché ti senti libero di poterlo fare al mio fianco.
Amo provare tutta quell’empatia come prima, mista alla mia immensa paura di perdere la mia nonna, amo anche piangere insieme a te, amo il modo in cui mi parli per farmi calmare dicendo cose fantastiche.
Amo te, i tuoi modi di fare, il modo in cui mi fai sentire, amata e protetta.
La fiducia che ho nei tuoi confronti perché come potrei mai dubitare di un uomo che mi guarda con quegli occhi, pieni di amore e volontà. Non butteresti all’aria tutto questo per una cagata, sei troppo intelligente per farlo.
Sai quanto sia importante per me la fiducia, quanto non siano ammesse le bugie, nessun passo falso, al primo sei fuori e mi pare che tu lo abbia capito.
Non sarò più la persona che ero un tempo, non passerò più sopra a nessun tipo di cosa che mi fa stare male perché io ora mi voglio bene davvero
Ormai è passato più di un anno dal Senegal, quel viaggio che io definisco “il viaggio che mi ha salvato la vita” quanto sono cambiata, quante cose sono cambiate, quante cose sono successe in questo 2020, un anno maledetto alla detta di tutti, un anno di svolta per me, di cambiamenti, anche di sconfitte, ma l’anno della mia vittoria più grande. Tu.
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magicnightfall · 4 years
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(AND MY, MY LOVE HAD BEEN) FROZEN II
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*Attenzione: contiene spoiler, commenti caustici e tracce di frutta a guscio*
Ralph Spacca Internet è stato un quarto di delusione.
Maleficent - Signora del male è stato una mezza delusione.
Frozen II - Il segreto di Arendelle è stato una delusione intera.
Il grafico a torta del mio disappunto ha la farcitura alla confettura di more quando credevi ci sarebbe stata la Nutella.
Frozen - Il regno di ghiaccio è il mio film d’animazione Disney preferito, e siccome riesco a funzionare soltanto un limitato periodo di tempo lontana dalle sorelle di Arendelle, sei anni dopo sono andata al cinema felice come un quokka che ha appena lanciato i piccoli quokki contro il predatore, perché così può vivere un altro giorno.
(che poi, dai, fare cuccioli quokki in questa economia?)
Se non fosse che la felicità di avere un’altra storia ambientata nei fiordi norvegesi ha obnubilato il mio raziocinio, e mi ha resa dimentica del motto che mi aiuta ad arrivare a fine giornata con pacata rassegnazione (motto che, se fossi un personaggio di Game of Thrones, sarebbe sullo stemma della mia casata): “La vita è miseria e poi si muore”.
Ecco. La miseria qua è data dal fatto che Frozen II - Il segreto di Arendelle, è proprio brutto non è assolutamente all’altezza del suo predecessore, e per quel che mi riguarda manca di tutto ciò che ha reso il primo film grandioso.
Alcune cose - ben poche, per la verità - mi sono piaciute, altrettanto poche mi hanno divertita, e sebbene la mia astinenza per le sorelle di Arendelle sia stata abbastanza placata, il film poteva essere migliore.
Molto migliore.
Migliorissimo.
Innanzitutto, non ho potuto fare a meno di notare una certa pigrizia narrativa (che si trascinerà per tutto il film), per cui già all’inizio ho pensato “Sì, vabbè, che palle, andiamo al sodo”. Il film si apre infatti con un flashback di Anna ed Elsa da piccole insieme ai genitori, i quali - oltre ad aver creato traumi indicibili nella psiche delle figlie, come abbiamo avuto modo di scoprire sei anni fa - fanno anche un’altra cosa che mi ha fatto dire “Ma che, davero?”: espongono per mezzo dell’“infodump”. L’esposizione è l’inserimento di informazioni all’interno di una narrazione, e l’infodump è il modo (erroneo) con cui quelle informazioni vengono veicolate al lettore o allo spettatore: tante (troppe) e tutte insieme. Chi fruisce la storia si trova sommerso di nozioni, a carriolate proprio, e non può fare altro che annaspare in cerca di aria. È un artificio, anzi, una paraculata, e non una tecnica narrativa legittima. Questo perché le informazioni vanno diluite e centellinate nel corso della storia (di tutta la storia), non sono mai qualcosa di cui liberarsi furbescamente appena possibile, così da poter passare oltre. Il Re ci rende partecipi all’inizio di tutto ciò che ci servirà dopo (e non sono certo poche cose), e lo stesso fa la Regina, lei però cantando. E il fatto che l’infodump sia camuffato uno da storia della buonanotte e l’altro da canzone è soltanto una paraculata nella paraculata.
Il flashback, invece, è una tecnica ben nota nella narrazione, ma non per questo significa che può essere utilizzata a prescindere e impunemente. Se l’infodump non va mai bene, il flashback deve comunque essere dosato e non abusato, e posto in punti della storia dove è assolutamente necessario che vi sia. Frozen II se l’è sparato proprio all’inizio (della serie “Famo ‘sta sceneggiata così poi passiamo alla roba interessante”), e per me è un grande “no”.
E non fatevi confondere dal fatto che anche Il regno di ghiaccio si apre con Anna ed Elsa da piccole: in quel caso è semplicemente il vero inizio della storia, nel passato rispetto al tempo della storia stessa, che copre velocemente diversi anni fino a quando non ci mettiamo in pari col presente. Nel caso del secondo film, invece, quella scena non è che un non richiesto salto temporale all’indietro rispetto al tempo della narrazione. Ed è proprio questo il problema: io voglio sapere - dopo sei anni - cosa stanno facendo i personaggi che ho tanto amato, come si sono adattati ai cambiamenti portati dal primo film, in che modo sono maturati, quali altre sfide personali li attendono (ovvero quello che il teorico Christopher Vogler etichetta come “Mondo ordinario”, e che colloca all’inizio del primo atto delle storie). Se per rispondere a questi quesiti deve aspettare dieci minuti, il pubblico inizia diventare insofferente. E perché mai alienarselo fin da subito?
In buona sostanza, se l’unico modo che hanno trovato per informare lo spettatore degli antefatti è l’infodump a mezzo flashback, significa che il film andava ripensato strutturalmente daccapo.
A differenza del primo film, che era “character-driven”, Frozen II è invece “plot-driven”. Banalmente, significa che in uno la narrazione “si concentra sul conflitto interno dei personaggi, sui rapporti dei personaggi tra loro. Anche gli obiettivi sono interni. Traumi da superare, errori a cui rimediare, convinzioni da correggere. I cambiamenti sono soprattutto di carattere intimo, personale [...]”, nell’altro “la narrazione si concentra sul conflitto esterno, sull’azione. Gli obiettivi sono esterni: qualcosa da trovare, qualcuno da salvare [...]”*. Nel Regno di ghiaccio, Elsa perde il controllo e Anna vuole aiutarla a sistemare le cose. L’inverno perenne e il pericolo corso da Arendelle sono solo una necessaria conseguenza materiale del malessere immateriale di Elsa e come tale, perché possa risolverla, Elsa deve superare il proprio trauma e accantonare le convinzioni errate che aveva su se stessa. Anna, dal canto suo, deve maturare, e deve colmare quel vuoto che la freddezza di Elsa le ha scavato dentro. In Frozen II, invece, Arendelle è in pericolo perché Elsa, dal nulla e completamente a caso e senza nemmeno avere una mezza idea di come abbia fatto (né lei né noi, perché un conto è l’inverno perenne, coerente coi suoi poteri, e un conto è questo), risveglia i famigerati spiriti della Foresta. Almeno Evelyn che risveglia Imothep ha senso: ha senso perché era un’archeologa competente relegata a fare la bibliotecaria, si trova davanti un manufatto di importanza colossale e decide di leggerlo perché, da persona studiosa e razionale com’è, non crede “alle favole e alle leggende”. Nella decisione di leggere il libro dei morti c’è la solida caratterizzazione del personaggio e la trama si mette inevitabilmente in moto. In Frozen II la cosa è lasciata totalmente a sé stessa, e sebbene sia stata Elsa a risvegliare gli spiriti (cioè ha compiuto attivamente un’azione), il suo gesto non è pregnante come lo è nella Mummia. Gli spiriti potevano risvegliarsi in altre mille maniere diverse, e tutte probabilmente molto più valide.
Quindi, per quanto la posta in gioco sia altissima - la salvezza di Arendelle - non si riesce mai a entrare in sintonia perfetta con le motivazioni dei personaggi, perché il gesto di Elsa non trova una spiegazione sufficientemente apprezzabile, o addirittura adeguata. Dicevo che che l’inverno perenne del primo film è conseguenza del malessere di Elsa. A voler ben guardare (ma proprio con il lanternino) forse si potrebbe dire che anche il risveglio degli spiriti sia conseguenza del (vago e comunque poco approfondito) tormento di Elsa (perché si sente un pesce fuor d’acqua, e sembrerebbe dirlo nella canzone Nell’ignoto): ciò non toglie che non capisco come i suoi poteri di ghiaccio possano fare qualcosa di quel genere. Quindi l’unica risposta che posso darmi è che anche l’azione di Elsa (come i dialoghi tra Anna e Kristoff, e lo vedremo poi) ha avuto luogo soltanto perché così è stato deciso dagli sceneggiatori, e non perché richiesto dallo sviluppo organico della storia (e della psiche del personaggio).
E poi, perché diavolo la voce che chiama Elsa, la chiama proprio adesso? Perché non subito dopo l’incoronazione? Perché non fra vent’anni? Perché non quando era piccola? Perché era in agenda proprio per quel giorno e non per un altro? Perché faceva comodo così? Ochèi.
Siccome la voce, che poi è sua madre (toh!) avrebbe potuto chiamare Elsa in qualsiasi istante dello spazio-tempo, e non c’è una ragione perché lo faccia proprio ora, ciò va a detrimento della caratterizzazione di Elsa. Questo perché Elsa decide di imbarcarsi in un viaggio introspettivo non perché arrivata lei stessa a un punto di rottura, ma perché approfitta di una circostanza capitata in quel momento (e che poteva capitare in qualsiasi altro). Anche se vediamo Elsa agire e prendere decisioni, c’è comunque, nella sua avventura, una componente passiva che mi ha infastidita parecchio.
Per concludere quindi il ragionamento: per quanto, ovviamente, un film plot-driven sia un’opzione validissima (La Mummia che citavo è plot-driven), credo che un sequel di questo genere non possa che risultare soccombente (e molto meno incisivo) rispetto a un predecessore character-driven. Se infatti sei anni fa ero uscita dal cinema con tante riflessioni sulla psicologia dei personaggi, sui conflitti di una e sulla determinazione dell’altra, riflessioni che mi sono divertita a sviscerare in diversi post, questa volta sono uscita con l’unico pensiero di cercare di ricordare dove avevo parcheggiato.
E tutto ciò ci porta all’altro difetto importante di questo film, brevemente già menzionato, ovvero la caratterizzazione dei personaggi. Nel primo Frozen, il disagio di Elsa lo percepiamo fin da subito: ha paura, si considera un mostro, non riesce a venire a patti con la sua natura, per proteggere chi le è più cara ha dovuto allontanarla.
In Frozen II Elsa è ormai regina da sei anni, e noi non abbiamo idea alcuna (o comunque soltanto molto vaga) di come si senta nella sua vita attuale: il fatto che forse non sia mai del tutto riuscita a venire a patti con i doveri che derivano dall’essere regina, e con l’essere l’unica persona di Arendelle ad avere poteri magici lo scopriamo solo alla fine, quando abdica in favore di Anna e decide di restare in mezzo alla foresta, tipo DiCaprio in The Revenant ma con un miglior gusto nel vestire. Ecco, io allora avrei dedicato molto più tempo a scavare nella psicologia di Elsa - e non di una Elsa qualunque ma di una Elsa post Regno di ghiaccio - anziché a istruire il pubblico con una lezioncina sul perché e sul percome della Foresta incantata. Soltanto se avessimo avuto una buona contezza dei suoi tormenti attuali (del tipo: perché nonostante sia stata pienamente accettata dal regno, ancora sente di non appartenere ad Arendelle?) avremmo potuto comprendere molto di più le sue ragioni e le sue decisioni, non ultima quella, insignificantissima, di cedere la corona. Che per carità, io sono davvero felice che Elsa abbia finalmente trovato se stessa e sia in pace nel luogo cui è convinta di appartenere, ma la sua è una risposta a domande che il film ha dimenticato di porci.
D’altro canto, Anna regina è un big fucking yes: la sua ascesa al trono è un quid pluris rispetto a chi ascende soltanto per privilegio di nascita. Anna, infatti, ha dimostrato di avere la personalità di un leader, cosa che (almeno questa) è stata coltivata fin dal primo film. E se qui non ha potuto seguire Elsa fino in fondo, è stato soltanto perché Elsa gliel’ha materialmente impedito. Sebbene Anna sia la sorella minore, per certi versi più immatura, di certo più svagata, non si è mai tirata indietro di fronte a una sfida, e ha sempre dimostrato abnegazione verso gli altri: l’idea di averla in posizione di comando non è affatto campata per aria, e anzi la trovo anche ben giustificata.
La sottotrama relativa a Kristoff e ai suoi goffi tentativi di chiedere la mano di Anna invece è simpatica, ma nulla di più. E i battibecchi tra lui e la principessa sulla carta saranno stati anche carini, ma nella resa sono apparsi forzati, non naturali. Anna sembrava che di proposito volesse fraintendere quello che Kristoff diceva, così tanto per (anche perché dopo tre anni eventuali problemi di comunicazione dovrebbero essere stati risolti). Un esempio su tutti quando, nel mezzo della foresta, Kristoff dice che in circostanze diverse la situazione sarebbe stata piuttosto romantica, e Anna parte subito per la tangente: “In altre circostanze nel senso con un’altra persona?”. Anna, eddaje, non è fisica quantistica, in altre circostanze nel senso “in un momento in cui Arendelle non si trovi sull’orlo della distruzione”. Il suo timore che Kristoff non abbia più interesse per lei, questo sì che è totalmente campato per aria, ed è presente soltanto perché è stato voluto a tavolino in fase di sceneggiatura. Dovrebbero divertire i fraintendimenti di Anna, perché il pubblico sa che è fuori strada (dopotutto Kristoff cerca di chiederle di sposarlo, mica di mollarla), ma in realtà irritano e basta.
E Kristoff, a ogni fraintendimento di Anna, non reagisce mai come sarebbe (narrativamente) opportuno, ma farfuglia sempre e solo giustificazioni senza apportare alcunché alla conversazione. Non c’è mai un vero e proprio “botta e risposta”. Ora, i dialoghi sono l’habitat naturale dei cosiddetti “beat”. I beat non sono altro che transizioni emozionali da un personaggio all’altro. Ad esempio, un personaggio, triste, può dire a un altro personaggio che è triste: quest’ultimo può divenire triste a sua volta, oppure può provare a ribattere e a infondere all’altro un po’ di gioia, e di conseguenza il primo diviene meno triste. Banalmente, quindi, è un costante dare e avere, e si esplica nei dialoghi. Un rimbalzo emozionale continuo da un personaggio all’altro, una partita di tennis giocata con le parole. Nelle scene con Anna e Kristoff questa cosa io, stavolta, non l’ho vista affatto. In un confronto necessario (e in un parallelo perfetto, perché mi vengono in mente le scene a bordo della slitta), i dialoghi tra i due nel Regno di ghiaccio avevano una carica molto più energica, e per ogni colpo sferrato corrispondeva un colpo incassato, da una parte e dall’altra. Pensate ai dialoghi tra Anya e Dimitri in Anastasia (ad esempio, nella seconda scena sul treno) e capirete perfettamente cosa intendo.
E che dire della “morte” di Olaf? Di per sé sarebbe stata una scena dal grandissimo impatto emotivo, traumatizzante perfino, roba che se l’avessi vista da bambina sarei cresciuta disturbata al punto da diventare una serial killer oppure da iscrivermi a giurisprudenza, se non fosse che la lieta risoluzione era stata telefonata già all’inizio del film. Il concetto che “l’acqua ha memoria” è stato ripetuto fino allo sfinimento, così insistentemente (troppo insistentemente) che era ovvio che avrebbe costituito la soluzione di quella sfortunata vicenda. Potreste obiettare che, all’inizio, ancora non si sarebbe certo potuto sapere che Olaf si sarebbe sciolto. No, ma era impossibile anche ignorare le insegne al neon lampeggianti, disseminate nei primi due atti, con scritto “L’acqua ha memoria”. Lo spettatore non dico scafato, ma solo mediamente attento, la prima cosa che pensa è: “Se insistono così tanto su questo concetto, vuol dire che sarà importante più in là”. Lo spettatore può non sapere di cosa quel concetto sia la soluzione, ma non può certo dire di non aver capito che fosse la soluzione a qualcosa. Così, quando vediamo il mucchietto di neve, anziché disperarci ci limitiamo a pensare che non sarà una condizione permanente, e tutta l’emozione che avremmo dovuto provare davanti a una scena simile, semplicemente non la proviamo. E infatti Olaf, novello Nazareno, torna in vita perché il mucchietto di neve ne ha conservata la memoria. Ora, di per sé questa cosa ci starebbe pure, non è sbagliata, anzi, trattasi di una tecnica narrativa imprescindibile. Il problema è che l’hanno usata male. In gergo, piazzare in un punto della storia - in genere nel primo atto - un’informazione che sarà cruciale alla fine prende il nome di “planting and payoff” (semina e raccolta), ed è forse una delle cose che mi piacciono di più dell’arte antica dello storytelling. In questo caso, però, la semina è stata così palese, così lapalissiana, da avere come conseguenza quella di aver svuotato di qualsiasi carica emotiva la resurrezione dell’amato pupazzo di neve. Semplicemente, sapevamo (o ci aspettavamo) che sarebbe accaduto, e non ne siamo stati sorpresi o emotivamente colpiti. È venuto meno, in buona sostanza, quel senso di freschezza, di genialità e di originalità che aveva caratterizzato il Regno di ghiaccio, il quale, in una serie di ben congegnati plot twist e di sovvertimenti del canone delle fiabe (il principe vestito di bianco non è l’eroe ma il cattivo, e il vero amore risolutivo non è quello romantico ma quello fraterno), ha fatto sì che lo scioglimento di Anna ci cogliesse tutti abbastanza impreparati. Non dico che giunti a quel punto fosse impossibile rendersi conto di quello che sarebbe avvenuto, ma di certo non l’abbiamo capito all’inizio del film come in questo caso. Sarebbe stato molto più efficace se avessero fatto un’unica, singola semina di quel concetto, lasciare che lo spettatore lo “registrasse” nel subconscio, e lasciargli fare due più due alla fine,“col senno di poi”, ovvero una volta visto Olaf ricomporsi. Così mantenendo in vita il senso di freschezza e di sorpresa.
Per contro, ben più sottile e per questo molto più apprezzato, il “planting” (che forse è più un foreshadowing, cioè un’anticipazione) di Anna che, all’inizio del film, abbraccia Olaf e gli canta “I’m holding on tight to you” (che nell’adattamento italiano purtroppo si è perso), cosa che la vediamo effettivamente fare quando il pupazzo le muore in grembo.
La memoria dell’acqua, peraltro, costituisce anche un pigro e forzato “plot device”, ovvero l’espediente narrativo per cui un elemento della narrazione viene introdotto dall’autore “in modo deliberato, con lo scopo unico o principale di consentire un determinato sviluppo della trama”**. È proprio grazie ad esso che Elsa scopre i segreti della sua famiglia e di quello che è realmente accaduto alla Foresta incantata, ovvero tutto ciò che serve sapere a lei e ad Anna (che capisce di dover distruggere la diga) per risolvere la situazione. Decisamente troppo comodo così. Anche in questo caso, se l’unico modo per portare avanti la trama è fare uso di mezzucci, significa che la storia ha un problema di fondo abbastanza importante, e andava rivista a livello di struttura.
Altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è il modo in cui viene impedita la distruzione di Arendelle, ovvero Elsa che congela lo tsunami provocato dalla rottura della diga. Tutto bello e tutto giusto e forse anche legittimo, se non fosse che Elsa fino a tre decimi di secondo prima era congelata ella stessa, e il suo arrivo improvviso in sella al cavallo acquatico a salvare la situazione ha tanto il sapore di un deus ex machina. Anche qui, ma che, davero?
Infine, sul serio volete farmi credere che Elsa andrà il venerdì alla serata giochi, ma è restata nella foresta il giorno dell’incoronazione di Anna? Cosa sono, arresti domiciliari? Essù, le basi proprio.
In definitiva, questo film non mi ha lasciato nulla, ma nulla proprio, se non la sensazione che la storia sia stata palesemente (e in modo grossolano) costruita a posteriori, e che all’epoca del primo film non avessero abbozzato nemmeno mezza idea di sequel. Quello che manca è un’organicità, un filo conduttore che sia veramente un ponte tra i due i film (tanto quanto Elsa è un ponte tra due culture), e non una cosa posticcia e incollata ex post come è la storia di questo secondo film. Per dire, veniamo a scoprire che Iduna, la madre di Anna ed Elsa, fa parte - guarda caso - del popolo dei Northuldri, la cui popolazione ha i peculiari tratti somatici delle popolazioni artiche. Ebbene, la genetica non è un’opinione, eppure né Iduna, né Anna né Elsa hanno ereditato alcuno di quei tratti. Ecco, venitemi a dire che questo plot twist non sia stato creato a tavolino anni dopo. Stessa cosa per lo scialle della madre, che guarda caso Elsa inizia ad indossare in questo film, ed è proprio lo stesso scialle che permetterà di riconoscere Iduna come una degli appartenenti ai Northuldri. E lo stesso discorso vale per il vascello di Arendelle scopertosi arenato non nei mari del sud, ma guarda caso nel mare oscuro, a due passi da casa e a due passi dal ghiacciaio Ahtohallan (che sulla mappa sembrava lontanissimo e invece tra quello e Arendelle c’è tipo la stessa distanza che c’è, boh, tra Ancona e Sirolo). Troppi “guarda caso” per i miei gusti, ecco.
Inutile dire che Frozen II mi ha reso timorosa del futuro: c’è un altro film che aspetto con vera impazienza, il sequel di quello che per me è stato il miglior film del 2018, cioè A Quiet Place. E se mi tradisce John Krasinski come mi ha tradito Frozen II, io non ho davvero più alcun motivo per campare andare al cinema.
Per quanto invece riguarda le canzoni, anche se ci ho messo un po’ ad orecchiarle, dai e dai mi sono piaciute. L’unica che, per quanto bellina, mi ha lasciata veramente perplessa è quella di Kristoff, troppo poppettara rispetto al resto, e soprattutto sembrava la parodia (voluta? Non voluta?) di un pessimo video musicale anni ’80. Forse è stato questo il mio più grande “ma che, davero?”.
Ma la verità è che, musicalmente parlando, c’è solo una cosa che è fuori da ogni grazia di Dio: la versione di Nell’ignoto fatta da Giuliano Sangiorgi. Siccome per un’ora e mezza di film non avevo sofferto abbastanza, lui ci ha voluto mettere il carico. Credo che i miei timpani ne siano usciti irrimediabilmente danneggiati, ed è stata la prima volta in vita mia in cui ho rimpianto di non avere l’otite. Sangiorgi macella canta la canzone nei titoli di coda, cosa che in originale è spettata a Brendon Urie dei Panic! At The Disco, con la piccola differenza che il primo, rispetto al secondo, non arriva alle note alte nemmeno con l’ausilio dell’autoscala dei pompieri. Non solo, ma la voce gli cala come un aereo che precipita verso l’inevitabile spiaccicamento, che in tutta onestà è una fine preferibile rispetto al dover sentire lui mentre viene sgozzato. Se pensavate che la versione di All’alba sorgerò fatta da Violetta fosse terribile, fidatevi: questa è peggio. L’unica consolazione è che Serena Autieri nel canto fa sempre la sua porca figura e pertanto la sua interpretazione, calda, lirica, viva, piena di emozione, è approvatissima (e infatti la ascolto a ruota). Come, Ça va sans dire, è approvatissima quella di Brendon Urie.
Ora, mi rendo conto di aver scritto un post veramente molto critico, quindi vorrei chiudere su alcune note positive (note che comunque Sangiorgi non sarebbe in grado di prendere):
la quasi totale assenza dei troll di montagna. Perché davvero, un’altra canzone come quella del primo film e mi sarei fatta brillare in mezzo alla sala;
la salamandra spirito del fuoco, che è carina e coccolosa tanto quanto il Pascal di Rapunzel;
il riassunto di Olaf (sia nel film sia nella scena post credit)
la fiducia incondizionata che Anna ripone in Elsa, e il supporto che non manca mai di darle;
la reunion tra Anna, Elsa, Kristoff e Olaf;
in particolare, quella tra Elsa e Kristoff, perché è bello vedere come il montanaro si sia scavato una nicchia nel cuore della cognata (anche considerato quanto Elsa sia protettiva verso Anna)
la reazione di Anna alla proposta di matrimonio, che ho trovato molto realistica e ben poco cartoonesca. Adesso mi serve un terzo film (possibilmente migliore di questo) con almeno un paio di piccoli quokki dai capelli rossi, perché voglio vedere Anna genitore 1 ed Elsa e Olaf zii;
l’ho già detto e lo ripeto, Anna regina di Arendelle. A vederla, mi sono sentita orgogliosa come una vecchia zia;
Olaf tutto in ghingheri con un abito da cerimonia, nonostante avesse detto che i vestiti gli danno noia, perché evidentemente per Anna era disposto a fare un sacrificio;
il contatto fisico tra le sorelle: non per forza le cose eclatanti come gli abbracci di reunion, ma anche e sopratutto le piccole, come una mano appoggiata su un braccio. Dopo quella distanza che Elsa aveva imposto fino a tre anni prima, vederle così vicine ha sciolto il mio cuore arido e criticone;
in generale, la fotografia, l’animazione e le scene d’azione, che non hanno nulla da invidiare a quelle di un film di avventura dura e pura (ho adorato Anna che si fa inseguire dai giganti e li costringe a distruggere la diga). Se non fosse che con le sole scene d’azione ci faccio poco: io sono affamata di belle storie e di personaggi approfonditi, e questo Frozen II è carente sia delle une sia degli altri.
Quindi niente, credo che ora andrò a rivedermi il Frozen-arc di Once Upon A Time, un telefilm a cui sono affezionatissima anche se fatto da sceneggiatori che più passava il tempo più diventavano cialtroni, ma che almeno quella storyline l’hanno fatta davvero bene. Cosa che di certo non si può dire di questo film. * Le definizioni riportate sono tratte dall’articolo “Meglio un romanzo plot-driven o character-driven?” di Edy Tassi (che ringrazio per avermi concesso di citarle), pubblicato su www.edytassi.it 
** Definizione tratta da Wikipedia alla voce “Espediente narrativo”
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darthreset-blog · 5 years
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Sanremo 2019, serate 4-5
Quante cose da dire. Ho deciso di accorpare le ultime due serate perché non credevo che un post dedicato esclusivamente alla finale sarebbe stato utile, considerando che i brani li ho ascoltati tutti diverse volte e quindi ho un’opinione ben chiara di tutti i partecipanti. Ci tenevo però a dire la mia sui duetti e sulla classifica finale, quindi: presenterò gli artisti in ordine di arrivo, darò un commento finale sul loro Festival con un breve accenno al duetto e poi vi dirò dove si piazzano nella mia classifica personale con un numero tra parentesi.
24) Nino D’Angelo e Livio Cori: il brano era sicuramente debole e l’ostacolo linguistico italiano-napoletano non ha facilitato le cose. Il duetto con i Sottotono ha leggermente migliorato le cose, donando modernità al pezzo. (23°)
23) Einar: anche questo pronosticabile, quasi annunciato. Brano spento e prevedibile, tenuto a galla da Sergio Sylvestre nella serata dei duetti. (21°)
22) Anna Tatangelo: canzone banalmente sanremese, anche se ben eseguita sul palco e che nel duetto con Syria guadagna molti punti. (22°)
21) Patty Pravo con Briga: anche qui era facile pronosticare la brutta posizione: i cantanti non hanno mai mostrato armonia o complicità e il brano era semplicemente attempato. Giovanni Caccamo nella quarta serata non ha migliorato lo scenario. (24°)
20) Negrita: credo sia banale dire che da loro ci si aspettava di più, anche se era chiaro che difficilmente sarebbero arrivati in posizioni di rilievo. Ma la loro musica è interessante, e quindi forse era lecito aspettarsi di vederli almeno nella prima metà della classifica. Bene Enrico Ruggeri la quarta serata, ma veramente ottimo Roy Paci. Il pezzo paga un’inconsistenza complessiva. (14°)
19) Nek: uscito più che sconfitto da un Festival da cui chiedeva poco e niente, destinato (come hanno detto tutti incluso me stesso) a spopolare alla radio i prossimi giorni. E’ stato un piacere ascoltare la sua canzone, personalmente parlando, anche se non condivido la scelta di rallentarla nel duetto con Neri Marcorè. (10°)
18) Federica Carta e Shade: se possibile, dopo le prime sere, sembravano destinati ad arrivare ancora più in basso. Il duetto con Cristina D’Avena sembrava non avergli fatto bene. Non saprei dire se possano dirsi soddisfatti o meno. Nelle sue interviste Shade sembrava contento, va detto. Sta crescendo come artista e a quanto pare va bene così. Brava anche Federica, mi è piaciuta, anche se mi ci è voluto un po’ per farmi apprezzare il loro brano. (11°)
17) The Zen Circus: insensato immaginare che il palco sanremese si sarebbe dimostrato adatto alla loro musica, hanno comunque ricevuto diversi complimenti sul web. Considero molto valida la loro esperienza sanremese, peccato per la serata duetti in cui la presenza di Brunori Sas, a mio parere, non ha accresciuto il valore del loro brano, di per sé coraggioso e affascinante. (5°)
16) Paola Turci: la prima parola che mi viene in mente è: “deludente”. Dopo l’ottimo brano del 2017 era lecito aspettarsi di più, ma purtroppo non è ciò che abbiamo ottenuto. Nella serata duetti, però, con Beppe Fiorello la performance è stata ottima. Tuttavia il brano era debole in partenza e quindi una sola buona esibizione non può bastare. (18°)
15) Francesco Renga: anche lui banalmente sanremese, le sue performance lo distaccano da Anna Tatangelo, la sua curiosa uscita al Dopofestival sulla bellezza delle voci maschili e femminili ha suscitato non poche perplessità. Il duetto con Bungaro non è male, migliora la canzone ma non abbastanza. (19°)
14) Motta: vincitore (discusso e discutibile) del premio come miglior duetto, ha presentato un brano che cattura dopo diversi ascolti. E’ sicuramente un artista di talento, ma personalmente sia da solo che con Nada non mi ha impressionato abbastanza. (12°)
13) Ex-Otago: circondati quasi dall’indifferenza, non mi aspettavo di trovarli qui, ma più in basso. Il loro pezzo non è brutto, ma passa inosservato, e l’intervento di Jack Savoretti non lo ha migliorato. (16°)
12) Ghemon: ci son rimasto male, ritengo che il suo fosse un pezzo valido e meritasse un piazzamento migliore. Si tratta di un incontro tra generi interessante e fresco, mi dispiace sia finito nell’ombra. La sua performance con Diodato ed i Calibro 35 è stata probabilmente una delle mie preferite di tutto il Festival. (2°)
11) Boomdabash: giudizio sospeso fino a giugno. Solo allora verificheremo il vero successo di questo brano. I Boomdabash hanno il merito di aver portato atmosfere nuove a Sanremo. Bene con Rocco Hunt e i Musici Cantori di Milano. (15°)
10) Enrico Nigiotti: molto cantautorale, molto sanremese, molto personale, anche troppo, il suo brano sembra più adatto ad essere cantato in solitudine con la propria chitarra che “di fronte” a dieci milioni di persone. Paolo Jannacci e Massimo Ottoni aggiungono qualcosa al brano, ma non molto. Ha vinto il Premio Lunezia per il valore musical-letterario del brano. (20°)
9) Achille Lauro: lo dico, lo ammetto, lo confesso: avrei preferito vederlo più in alto. Il suo è uno dei pezzi più discussi del Festival, se parli di droga, di auto, se sia una nuova “Vita spericolata”, se sia il simbolo della trasgressione delle nuove generazioni, se sia l’ingresso all’Ariston dell’onda trash che va per la maggiore qui in Italia da un anno a questa parte. Io penso che sia solo una bella canzone rock cantata da un ragazzo con personalità e che non ha paura di esporsi. L’ho davvero apprezzato, e l’esibizione fuori di testa insieme a Morgan è sul podio dei migliori momenti del Festival. (8°)
8) Arisa: molto brava e alternativa nel portare un brano così scanzonato e leggero. Ci voleva, ed è una scelta che alla fine a Sanremo paga, se non altro perché permette di sfuggire dai soliti canoni. Davvero molto bella l’esibizione con Tony Hadley. (9°)
7) Irama: sembrava potesse arrivare sul podio. Aveva grande seguito tra il pubblico, il suo brano era bello e trattava un tema importante. Bravissima Noemi nel duetto, ma dove c’era lei è mancato lui. Peccato. Comunque deve ritenersi soddisfatto, la sua canzone ha fatto breccia nel cuore di molti. (7°)
6) Daniele Silvestri: mi dispiace Daniele, non ce l’abbiamo fatta. Il suo brano, l’ho detto già, era il mio favorito: intelligente, moderno, cupo, ben eseguito. L’aggiunta di Manuel Agnelli (presente nella versione ufficiale) non sono sicuro giovi alla dinamicità e ritmicità della canzone, anche se la rende ancora più scura e dolorosa. Anche in questo caso, ottimo il riscontro di pubblico, con la speranza che ora tutti possano conoscere Rancore, che molti amanti del rap non esitano a definire il miglior esponente italiano del genere. Si è portato a casa diversi premi: Premio Sergio Bardotti per il miglior testo, Premio della Critica Mia Martini, Premio Sala Stampa Lucio Dalla. (1°)
5) Simone Cristicchi: teoricamente da questo punto in poi dovrei essere sempre insoddisfatto perché tutti gli artisti si sono piazzati meglio del mio preferito, ma non è così. Ce ne sono diversi per i quali capisco il miglior piazzamento. Cristicchi è uno di questi. La sua poesia in musica è un piacere per le orecchie e il cuore, e le sue esibizioni con gli occhi lucidi hanno commosso quasi tutti. Scegliere Ermal Meta per il duetto è stata una mossa giusta, visto che entrambi sono sembrati perfettamente a loro agio nell’interpretazione del brano. Ha vinto il Premio Giancarlo Bigazzi alla miglior composizione musicale (assegnato dall’orchestra) e il Premio Sergio Endrigo alla miglior interpretazione. (6°)
4) Loredana Bertè: tra le proteste del pubblico (giustificabili) Loredana è finita fuori dal podio. Questo non toglie che la sua carica e la sua forza siano state tra le caratteristiche che hanno contraddistinto questo Festival. Molti avrebbero voluto vederla premiata come riconoscimento alla carriera, ma lei ha detto che questi giorni sono stati bellissimi lo stesso. Lo sono stati anche per noi che l’abbiamo ascoltata, sia da sola che con Irene Grandi. (4°)
3) Il Volo: e chi l’avrebbe mai detto? Si sa che hanno un gruppo di ammiratori piuttosto specifico, ma non sembrava dovessero arrivare lontano, complice l’aver portato un brano troppo simile a quello con cui avevano vinto nel 2015. Quando è stato rivelato che erano sul podio si è diffuso il panico: erano la variabile impazzita, i preferiti di coloro che giudicano come prima cosa il “bel canto”. Non hanno vinto, l’hanno presa bene. Complimenti per il podio, grazie per aver partecipato. In questo Festival non si giocavano niente, ma sono riusciti a stabilire il loro ruolo di esponenti di spicco della musica italiana soprattutto all’estero. Decisamente interessante il duetto con Alessandro Quarta. (13°)
2) Ultimo: tempo per me di beccarmi l’odio delle appassionatissime fan del giovane romano. La sua ballata farà nascere tantissime coppie nei prossimi mesi, e in generale le sue canzoni saranno la colonna sonora di molte storie d’amore negli anni a venire. Ha fatto ciò che sa fare e lo ha indirizzato a chi sapeva lo avrebbe apprezzato. Stradominatore del televoto, dato per favorito da chiunque, dai bookmakers ai giornalisti alla gente in mezzo alla strada, neanche potevo crederci quando ho sentito che il vincitore non era lui. Non che sperassi nel suo annunciato trionfo, non faccio parte della demografica a cui si rivolge, ma è stata una sorpresa di grandi proporzioni. Il suo brano si è fatto apprezzare poco per volta, per quanto mi riguarda. Fabrizio Moro ha rischiato di buttare tutto all’aria cantando nella sua solita terribile maniera, ma il pubblico pare non essersene accorto. Sicuramente non era la mia canzone preferita, ma vederla in cima come sembrava ovvio dovesse succedere non mi avrebbe dato fastidio. Parentesi sulla conferenza stampa post-serata: sono convinto che Ultimo non volesse mancare di rispetto a Mahmood e sia stato ingenuo a cadere nella provocazione dei giornalisti che volevano chiaramente una polemica da cavalcare. Ulteriore appunto: rispetto tantissimo lui e la sua musica, ma la sua fanbase morbosa e appiccicata mi irrita, nello stesso modo in cui lo faceva quella degli One Direction qualche anno fa. Ha vinto il Premio TIMmusic (per il maggior numero di streaming, ulteriore prova che da casa preferivano lui). Direi che è arrivato il momento di considerarlo ufficialmente un artista di qualità e un nome importante della musica italiana almeno per il prossimo pugno di anni, fino a quando il cuore dei suoi sostenitori non verrà rubato da qualcun altro. (17°)
1) Mahmood: posso dirmi contento, e mi levo subito il peso di menzionare anche gli altri riconoscimenti che ha avuto: Premio Enzo Jannacci alla migliore interpretazione e Baglioni d’oro durante il Dopfestival, premio consegnato all’artista più apprezzato dagli altri partecipanti alla gara. Che dire di lui e della sua canzone? E’ probabilmente quella che guarda più avanti di tutte, ha il suono del 2019, è allineata con quelle che sono le sonorità di questo periodo. Il mix di influenze è una marcia in più, così come lo è il testo. Tra le cose migliori del Festival annovero l’orchestra che esegue i clap durante il ritornello (idea di Dardust, come rivelato in conferenza stampa), che mi ha ricordato l’edizione 2017 in cui i Professori intonavano “alé” durante “Occidentali’s Karma”. Mi è sempre piaciuta l’idea dell’orchestra che prende parte al brano in maniera alternativa dal normale accompagnamento. Quando l’hanno proclamato vincitore non ci credeva neanche lui, e probabilmente gli ci vorrà qualche giorno per capire tutto. Essere ospitato in ogni trasmissione durante la prossima settimana non lo aiuterà. La sua vittoria (merito soprattutto delle giurie, che hanno sovvertito quanto risultava dal televoto, in cui era terzo) è una buona cosa anche in prospettiva Eurovision: difficilmente avremmo potuto proporre un brano più adatto alla manifestazione continentale. Era tra i miei prediletti, ma già vederlo arrivare alla fase a tre è stato bizzarro. Sono felice per lui, ma da adesso in poi viene il difficile. “Vincitore di Sanremo” è una grossa etichetta da tenere, nel corso della carriera. Una critica che gli muovo è aver scelto Guè Pequeno nella serata dei duetti: sembrava assente e poco coinvolto durante l’esibizione. Ha vinto la modernità, ha vinto l’alternativa al classico brano da Sanremo, ha vinto la creatività. Ha vinto Mahmood. *clap clap* (3°)
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wallflowerhere-blog · 5 years
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Voi ce l'avete un film preferito? No,non intendo un film che guardereste mille volte e di cui sapete tutto il copione a memoria. No, dico uno di quei film che vi prendono davvero. Uno di quelli che guardereste per ore escludendovi dal mondo senza nessuna preoccupazione. Uno di quei film che vi fa sentire veri, vivi, umani. Uno di quei film che sai già come va a finire ma ti stupisci sempre, ti emozioni sempre.No? Beh, allora sbrigatevi a trovarne uno perché è fantastico sentirsi capiti. Se invece già ce l'avete allora sono felice per voi. Sapete anche io ce l'ho ed è Noi siamo infinito, in lingua originale “The Perks of Being a Wallflower”, che tradotto sarebbe "I Vantaggi di Essere un Wallflower", cioè una persona che partecipa alle attività sociali (feste, ecc)ma si allontana dalla folla ed evita di stare sotto i riflettori. Infatti Charlie, il protagonista del film, è un ragazzo che partecipa a scuola e tutto ma non ha inizialmente amici e sta tutto il tempo in disparte ad osservare. Io AMO osservare tutto ciò che mi circonda, le persone, la natura e molto spesso mi ritrovo a fare dei ragionamenti magari stupidi ma complessi nella loro semplicità. Ad esempio se sono in macchina e sto guardando fuori dal finestrino mi perdo e penso "ma ci pensi mai che una volta proprio dove stai passando tu ora c'era qualcuno che non conoscerai mai e che magari stava pensando la tua stessa cosa?" oppure "ma ti rendi conto di quello che è stato in grado di   fare l'uomo? Ceh ha è riuscito a trasformare una distesa di terra e alberi in tutto quello che abbiamo noi: edifici, palazzi, uffici, parchi giochi, alberghi. tutto dal niente..wow." E quindi mi perdo nei miei pensieri e potrei starci per ore perché viaggio con la fantasia e mi faccio domande a cui non so e non posso rispondere perché non c'è una risposta ad esempio "E se in realtà tutto questo fosse solo frutto della nostra immaginazione? E se quando moriremo un tizio col camice bianco ci dicesse <<Ciao, complimenti hai superato il test! Benvenuto nella vita vera.>>" Penso sarebbe un trauma. Pensate se tutto il nostro mondo non fosse altro che un giocattolo, della serie che siamo dei minuscoli omini elettronici e che in realtà il cielo no è altro che il soffitto della stanza della bambina o del bambino che ci ospita. Magari siamo dentro una di quelle palle di vetro che se le scuoti scende la neve. Magari tutto questo è solo un test che stanno facendo degli scienziati per migliorare la vita vera nella quale loro vivono. WOW. Ok, sì, sto abbastanza divagando vero? Sono fatta così io, se inizio sarei capace di passare da una matita rossa a parlare di Big Ben senza un preciso motivo ma con un filo logico, magari un po' complesso e difficile da seguire e interpretare, ma logico. Ma torniamo a noi. Abbiamo appurato che avete un film preferito, okay, ma una canzone preferita ce l'avete? Personalmente penso che la canzone sia ancora più importante se possibile, perché la puoi portare con te sempre, basta scaricarla sul cellulare e in un attimo ce l'hai sempre con te, in macchina, in treno, quando hai voglia di camminare e sei sola, o anche semplicemente a casa. Io ne ho una sapete? Si chiama Heroes di David Bowie e,credetemi, stupenda. Ogni volta che la sento mi vengono i brividi e le lacrime agli occhi, non sto scherzando. L'ho conosciuta grazie al film di cui vi parlavo prima. Loro nel film la chiamano "la canzone del tunnel" perché la sentono in radio per caso e una dei tre protagonisti, Sam, Emma Watson, se ne innamora subito e dice al fratello, Patrick, Ezra Miller, di attraversare il tunnel in macchina e poi, una volta arrivati, lei esce dal tettuccio della macchina e apre le braccia come se volesse abbracciare il vento e di sottofondo c'è questa canzone a tutto volume e, giuro, ogni volta che vedo quel pezzo di film mi viene la pelle d'oca quindi si, questa è la mia canzone del tunnel, ma penso che non ne avremo mai una sola, o meglio magari ne avremo una a cui siamo particolarmente affezionati e che ci rimarrà sempre dentro, ma cambieremo sempre la nostra "canzone del tunnel", perché alla fine dipende tutto da noi e della nostra vita, da quello che stiamo passando, dalle nostre abitudini e dai nostri gusti che cambiano col tempo. Ora la mia è Heroes, magari più avanti la cambierò e lo capirò solo quando la sentirò. Vi vorrei raccontare un aneddoto: Nel Giugno dell'anno scorso sono partita con mia mamma e sono andata a Londra, sia per andare a trovare mia zia che erano anni che non vedevo, sia perché ho sempre voluto visitare Londra. Durante il viaggio in macchina verso l'aeroporto io mia mamma e mio papà stavamo ascoltando la musica e stavamo cantando e ridendo. Ad un certo punto però io ho messo le cuffiette ed ho ascoltato questa canzone e ho capito che sarebbe andato tutto bene, ho iniziato a piangere di gioia perché ho realizzato che stavo per esaudire uno dei miei più grandi desideri e i miei genitori mi guardavano piangere e ridere insieme e non capivano. Io in quel momento ho capito che quella sarebbe stata la mia canzone del tunnel e che l'avrei ascoltata ogni volta che avessi fatto qualcosa di grande e di importante per me, un po' come una tradizione. (BTW SE VOLETE ASCOLTATE LA CANZONE E GUARDATE IL FILM CHE MERITANO)
Spero che vi sia piaciuto, Con affetto, Lety.
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volevodirtj · 6 years
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Ermal a Chieti, un tentativo di resoconto (again)
È la terza volta che devo riscrivere tutto, perché il mio computer ricarica a caso la pagina e mi cancella tutto. E ovviamente non salva il post nelle bozze. Bestemmio malissimo.
A ventiquattro ore dal concerto penso di poter affermare con certezza che io non mi riprenderò mai più, né fisicamente (ho dolori in parti del corpo che nemmeno sapevo di avere) né soprattutto psicologicamente (non potete immaginare quante lacrime io abbia trattenuto in queste ultime ore). Potrei riassumere tutto semplicemente con “Li mortacci tua Meta, vaffanculo”, ma stilerò una lista a punti semiseria. Mettetevi comodi, perché c’è tanto da raccontare
 Anche ieri ero in tribuna poveri, ma ho avuto la fortuna di trovare un posto abbastanza centrale (lato Emiliano, per intenderci) ed ero più vicina rispetto al concerto di Fabrizio
Shoutout a Claire Audrin, la ragazza che ha aperto il concerto di ieri. È davvero bravissima, la sua voce mi ha stregata sin da subito. E poi è un sacco carina, ieri era tutta agitata e ansiosa, ha anche fatto cadere tutti i plettri per terra. Andate ad ascoltare qualche sua canzone, merita tantissimo
Il concerto è iniziato alle 21:30 e io sono scattata in piedi non appena hanno spento le luci. Ho ascoltato attentamente l’intro (fino a che non è entrata la band e hanno iniziato tutti a urlare) e già ero emotivamente instabile. Vi lascio immaginare che piega abbia preso la serata
La prima canzone è stata Non Abbiamo Armi, quella che sin da quando è uscito l’album sento un po’ mia. Oltre ad aver sorriso dall’inizio alla fine, sono riuscita a cantare “Ogni dolore ti è servito e non lo sai, a costruire il tuo sorriso, quel bel sorriso che adesso hai”. È stata una rivincita
Alla seconda canzone, Gravita Con Me, quelli dietro hanno cominciato a scartavetrare le ovaie. Una signora è venuta da me e la mia amica chiedendoci di non saltare perché la figlia (che stava tranquillissima, tra l’altro) non riusciva a vedere bene. Non so cosa mi abbia trattenuta dal non mandarla a quel paese nel giro di cinque secondi. Non puoi chiedermi di stare ferma durante Gravita Con Me e in generale durante una canzone movimentata. Piuttosto alzatevi voi e non rompete l’anima a chi vuole godersi il momento a modo proprio. Non siamo al cinema, per la miseria!
Non potete immaginare la faccia di mia sorella alle prime note di Ragazza Paradiso e Amore Alcolico, canzoni che non sopporta. Sono scoppiata a ridere
Dopo Ragazza Paradiso, Ermal era tutto soddisfatto e ha detto “Finalmente dopo due anni ho imparato il testo”. Peccato che durante la serata abbia sbagliato Caro Antonello, Piccola Anima e La Vita Migliore. Nice try Ermal
Parte 9 Primavere e, miracolo eucaristico, non ho pianto. Certo, ci sono andata abbastanza vicino, ma non ho pianto
Dovevate vedere quanto era felice Ermal quando ha visto le fan action durante Caro Antonello e Non Mi Avete Fatto Niente. Sulla prima si è talmente emozionato che per un secondo ho temuto non riuscisse più a cantare. La seconda gli è piaciuta talmente tanto che ha chiesto di fotografarla (Montanari, lo so che hai la foto, ti ho visto col telefono ieri sera. Sei pregato di uscirla)
“Fotografa ‘sta roba qua”
Le versioni di ieri sera di Caro Antonello e Piccola Anima mi hanno lasciato senza parole. Cantale per sempre così, te ne prego
“Ma c’è un letto solo, dormirò per terra” aka Ermal Meta che modifica i testi delle sue stesse canzoni perché non li ricorda
Vietato Morire e Non Mi Avete Fatto Niente le ho urlate, ho buttato fuori tutta la merda che mi portavo dietro da un paio di mesi a questa parte. È stato liberatorio al massimo
A Schegge e Mi Salvi Chi Può ho mollato la macchina fotografica a mia sorella e mi sono appoggiata alla ringhiera, con la mano sinistra sul cuore. Non sono riuscita a sentire il battito, ma sono piuttosto sicura che andasse a tempo con la batteria. Le emozioni, quelle le ho sentite tutte. Mi hanno distrutta quelle due canzoni
Se può interessarvi, durante Schegge ha cantato “liberOOOO” and I was like :)))
Durante Volevo Dirti ero l’unica deficiente che urlava “DAJE VIGE”, facendogli anche dei video. Stessa cosa durante Rien Ne Va Plus, dove Ermal lo ha anche fatto venire avanti a cantare
L’intro di Molto Bene Molto Male è incredibile, non sapevo dove guardare prima. Molto meglio di un porno. @ Ermal, azzardati a levarla dalla scaletta e giuro che ti vengo a prendere a sprangate
Quando sono partite Rien Ne Va Plus e La Vita Migliore ho buttato un urlo che avrebbe potuto buttare giù l’arena
“NON CI CREDO CAZZO ERMAL TI AMO” e due secondi dopo ho detto “Tranquillo, da domani tornerai a starmi sul cazzo”
Breaking news, infatti oggi mi sta sul cazzo
Also, la mia coreografia su Rien Ne Va Plus >>>
Ad un certo punto è partito il coro di “Sei bellissimo” e io, piena fino all’orlo e con la solita classe che mi caratterizza, non sono riuscita a trattenermi e ho gridato in loro direzione un soave “VI TAGLIO LE LINGUE”
Mi Salvi Chi Può e Dall’Alba Al Tramonto una dietro l’altra è illegale, non ho nemmeno fatto in tempo a riprendermi psicologicamente che già stavo saltando e cantando
 “Che parlano di me, di noi E POI UN ALTRO GRANDE CASINO” aka Ermal Meta che inserisce frasi criptiche nelle sue canzoni
Comincia a suonare Piccola Anima chitarra e voce ma si inceppa subito al secondo verso. Scoppia a ridere e dà la colpa a qualcuno in platea, ma non so a chi perché ero troppo impegnata ad urlargli “Ma zitt, che noi le canzoni le sappiamo!”. Ha lasciato che fossimo noi a cantare la prima strofa e il ritornello, dopodiché ha ricominciato dall’inizio con tutta la band
La cosa migliore di Piccola Anima, però, è stato stringere la mia amica dall’inizio alla fine
Penso di aver definitivamente perso la dignità con Umano, che ho gridato a pieni polmoni. Non posso farci nulla, è sempre stata tra le mie preferite
Prima e durante Straordinario ha tirato fuori certe perle, del calibro “Vi faccio dimagrire, caspita!” “Ogni mattina io metto Straordinario e salto, è così che mi mantengo in forma” “Straordinario non è una cover, l’ho scritta io” “Non barate laggiù, vi vedo!”
Sull’”UN DUE TRE SALTA” ho fatto un video talmente disagiante che penso non pubblicherò mai nella vita. Ovviamente non si capisce nulla, dato che ero impegnata a saltare e non ho minimamente pensato a cosa stessi riprendendo
Ermal è peggio di un personal trainer, alla fine della canzone mi sono dovuta sedere per recuperare il polmone che avevo perso
Dopo una breve pausa rientra e canta La Vita Migliore, sbagliando il primo ritornello: invece di “Un sognatore non si perde mai…” canta “Un sognatore, sai, non dorme mai”. Subito dopo che ha cantato “Non dorme mai” ho urlato “BUONANOTTE!” e poco dopo “E STASERA HA SBAGLIATO”. Il video qui.
Dopo La Vita Migliore imbraccia la chitarra e io ero convintissima che avrebbe suonato Quello Che Ci Resta (anche se è più probabile che suoni Black Mamba da ora fino alla fine del tour, piuttosto che quella) e invece Ermal fa “Questa è Voodoo Love” e io “MA VA A CAGARE”
Non mi fa impazzire quella canzone, sorry
Sempre durante Voodoo Love due ragazze ci hanno chiesto se potevano sventolare uno striscione e non appena lo alzano una ragazza dietro di me ha cominciato a rompermi i coglioni, chiedendo di spostarmi più a sinistra (dove appunto c’era il cartellone). Al che le ho fatto notare che c’erano loro e che se ne sarebbero andate alla fine della canzone e lei ha continuato. Mi è dispiaciuto troppo chiedere a una di loro di spostarsi un po’, pur di far tacere quella lì. In fondo, non stavano facendo nulla di male
La prima strofa di A Parte Te l’ha cantata da seduto (e io non ho pensato al fatto che, la settimana scorsa, Fabrizio abbia cantato la prima strofa di Sono Anni Che Ti Aspetto da seduto, no no) e si è creata un’atmosfera magica, che è durata fino alla fine della canzone
“Ma soprattutto grazie a voi, perché senza di voi non funziona”
Prima che cominciasse la parte acustica, delle ragazze in gradinata hanno cominciato a cantare Come Il Sole A Mezzanotte ed Ermal ha detto “Non capisco che canzone state cantando. Di chi è il compleanno?”. Chiunque voi siate, sappiate che avete il mio cuore
Un Pezzo Di Cielo In Più, Era Una Vita Che Ti Stavo Aspettando e Invecchio. Tutte in acustico. Non so come abbia fatto a sopravvivere
Dopo i primi versi di Un Pezzo Di Cielo In Più, Ermal ha asfaltato con classe un coro di galline urlanti con un immortale ed efficacissimo “Statv citt”. In quel momento sono volata
Quando è partita Era Una Vita Che Ti Stavo Aspettando sono quasi scoppiata a piangere per la gioia. È stato il regalo migliore che potesse farci
Invecchio me la sono fatta con gli occhi lucidi, a un passo dal tracollo emotivo
“Cosa c’è nonna” “Niente, è che invecchio” E lì il mio cuore ha fatto crack
A fine concerto, sono uscita dall’arena imprecando e insultandolo, perché con la parte acustica mi ha ammazzata definitivamente
“COME SI È PERMESSO STO STRONZO, IO LO QUERELO, HA ROTTO IL CAZZO, QUESTA È L’ULTIMA VOLTA CHE VADO AD UN SUO CONCERTO (sure darling), LO ODIO DEVE MORIRE” and things like those
 Tralasciando l’ultima parte, Ermal e soci mi hanno regalato una serata più unica che rara, perché io tante emozioni tutte assieme non le avevo mai provate (Ermal è la causa del mio bipolarismo insomma). E niente, già mi manca da morire.
Qua sotto, come al solito, vi lascio qualche foto scattata alla rinfusa con lo zoom quasi al massimo
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senzasterischi · 6 years
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La letteratura molto molto in breve
Avvertenze:
1) L’articolo ha un alto contenuto ironico. Avrei preferito non specificare, visto che nominare l’ironia è un po’ ammazzarla, ma pensando a quello che vedo in giro sul web quotidianamente ho cambiato idea.
2) Le “pillole di letteratura brevissima” sono tutt’altro che tutte mie: hanno collaborato con me Matilde Zambon, Giulia Mangiafico, Zia Cin e Marta Capoccia.
Chi ha il tempo di leggere i classici per intero? Dopotutto siamo nell’era della velocità, no? La formazione scolastica deve incentrarsi sull’utile, sul produttivo, sul rigoroso, eccetera, eccetera. Non c’è tempo di leggere le opere, e a pensarci bene non c’è tempo neanche per i libri di letteratura così come sono ora. Presenti, per esempio, i Luperini? Chi ha il tempo di sciropparsi sei volumi di quella roba?Non c’è da stupirsi se i poveri studenti vanno a studiarsi le sintesi di fine capitolo. Solo che quei riassuntini purtroppo spesso non sono adeguatamente espressivi, non colgono lo spirito dell’autore o dell’opera che si sta studiando. Nel corso di queste ultime ore estive io e i coautori sopracitati ci siamo chiesti proprio questo: come si può combinare la necessaria brevità con un’autentica comprensione?Meno male che ci siamo noi.Noi che vi salveremo le interrogazioni, i test, gli esami, qualunque cosa. Sull’esempio di
questo
e
quest’altro
video di Yotobi, eccoci qua, a presentarvi
la letteratura molto molto in breve
.Così avrete più tempo per dedicarvi a cose
ben più importanti
.
GIUSEPPE PARINI
Quello del cane.
I PROMESSI SPOSI
Asp, succedeva altro dopo le gride?
ADONE di GIAMBATTISTA MARINO
5000 ottave di niente
A MIA MOGLIE di UMBERTO SABA
Chissà perché Lina si è incazzata
VITA DI BENVENUTO CELLINI
Una fiction della Rai
CANZONIERE di FRANCESCO PETRARCA
Petrarca incontrò Laura un lunedì di Venerdì Santo
OSSI DI SEPPIA di EUGENIO MONTALE
No ma che vuol dire “farandola”?
SATURA di EUGENIO MONTALE
Ti chiamo Mosca perché ti voglio bene eh
ALLEGRIA di GIUSEPPE UNGARETTI
PocoDa,Dire
SENTIMENTO DEL TEMPO di GIUSEPPE UNGARETTI
Basta, mi secca andare sempre a capo.
VITA di VITTORIO ALFIERI
Io mangiavo lucertole aperte da ragazzino
tornavo a casa e vomitavo in mezzo al giardino
ah no quello è Fabri Fibra
LEZIONI AMERICANE di ITALO CALVINO
Stai easy che tutti ricordano solo quella sulla leggerezza di essere
ULYSSES di JAMES JOYCE
È lungo.
GIOSUÈ CARDUCCI
Chi ha detto che metrica e retorica non rendono famosi?
DI NUOVO GIOSUÈ CARDUCCI
Intanto io il Nobel l’ho vinto, tiè.
ANCORA GIOSUÈ CARDUCCI
Chi l’ha detto che chi non sa fare insegna?
IL SIMPOSIO di PLATONE
“Naaah… stasera non bevo che sto ancora male da ieri”
SAUL di VITTORIO ALFIERI
Davide, mi stai cantando una canzone perché mi vuoi bene? Muori pezzo di merda
UNO, NESSUNO E CENTOMILA di LUIGI PIRANDELLO
– Hai il naso storto– Sarai bella teFine.
VITA NOVA di DANTE ALIGHIERI
Che bella Beatrice devo dirglielo, ma ora sto male. Cavolo è morta! Ora sto ancora più male.
LA DIVINA COMMEDIA
Il mondo in cui rubare o scialacquare è peggio di ammazzare
DI NUOVO LA DIVINA COMMEDIA
Se mi stai sul cazzo te la faccio pagare peggio del diario di una teenager
DIVINA COMMEDIA: GIRONE DEI SODOMITI
“Non sono omofobo, ho tanti amici gay”
UNA VITA di ITALO SVEVO
Odio i miei colleghi di lavoro e mi lamento per 300 pagine
SENILITÀ di ITALO SVEVO
Un quadrilatero perfetto di gente che non voglio incontrare mai
LUDOVICO ARIOSTO
Beautiful mi fa una pippa
MYRICAE di GIOVANNI PASCOLI
Vivere? È vietato, si pensa solo al passato e ai lutti familiari. Amare? È peccato, ma in segreto posso amare mia sorella. Il cosmo? Piange con la mia piccola anima. E attenti ai temporali…
FUTURISMO
;))))))))) XDDDDDDDDDDDD ^_______^ per fortuna :O .-. .-.  :(((((((((((( O_____________O non c’erano ancora
;P ;P
:____________Qle emoticon  :* :* :### *___________*
ALDO PALAZZESCHI
Crepuscolare ma gli piace la vita, futurista non interventista, cazzo è l’uomo perfetto!
GAIO VALERIO CATULLO
Quello dell’uccello.
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Se avete altre proposte, proponetele liberamente qua sotto oppure nella pagina facebook! Siamo aperti a tutte le proposte. Brevi però, che non c’abbiamo tempo da perdere.
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The Winter Passing - New Ways of Living
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Le chiavi tra le dita di sera
Una lezione imparata a cinque anni
E non potete dire che capite come ci sentiamo
(da: The Street and the Stranger)
1. Ghost Thing
Cosa fantasma*
   Tutti i fantasmi nella stanza
Tutta la paura e i dubbi
Li ho lasciati accumulare senza mai dire una parola
Sono l’ombra di me stesso
È un impianto rotto dove deve stare
Ho dei guai in testa e non riesco nemmeno a star seduto tranquillo
   Se non riesco a perdonare, è tutto inutile, è tutto inutile
Se non riesco a perdonare, è tutto inutile, è tutto inutile
   Perché non puoi dire che non ti sta bene?
Probabilmente io ero nel mio mondo
E tu per tutto il tempo eri al mio fianco
Ma tu giuri che io c’ero
   Fanculo, parliamoci chiaro
Se ho qualcosa da dire, lo dico in ogni caso
Sono l’ombra di me stesso
È un impianto rotto dove deve stare
Ho dei guai in testa e non riesco nemmeno a star seduto tranquillo
Non ci sono mai riuscito comunque
   Perché non puoi dire che non ti sta bene?
Probabilmente io ero nel mio mondo
E tu per tutto il tempo eri al mio fianco
Ma tu giuri che io c’ero
Non riesco a credere a niente e nessuno
Cos’ho che non va?
Questo non è il ragazzo che conoscevo
Ma tu mi leggi dentro
   Ogni cosa a cui abbia voluto bene resterà sul fondo di un bicchiere se non riesco a dimenticare il passato
Ogni cosa a cui abbia voluto bene resterà sul fondo di un bicchiere se non riesco a dimenticare il passato
   Perché non puoi dire che non ti sta bene?
Probabilmente io ero nel mio mondo
E tu per tutto il tempo eri al mio fianco
Ma tu giuri che io c’ero
Non riesco a credere a niente e nessuno
Cos’ho che non va?
Questo non è il ragazzo che conoscevo
Ma tu mi leggi dentro
    * Verosimilmente anche un richiamo alla parola e al concetto del “ghosting”.
       2. The Street and the Stranger
La strada e l’estraneo
   Sto qui seduta col mio cane
E penso al fatto che non mi sento al sicuro in nessun altro posto
Le chiavi tra le dita di sera
Una lezione imparata a cinque anni
E non potete dire che capite come ci sentiamo
   Dimmi che stai bene, ma certo che ci tengo
È che mi sento, mi sento, mi sento spaventato
Sento tantissime cose ultimamente
Dimmi che ti va bene, ti va bene, ti va bene il cambiamento
Devi solo aprire gli occhi
   Tutti quanti che tramano intrighi e complotti
Dei posti dove andare li hanno
Ce l’hanno tutti con me
Mi sa che non ce la faccio più
   Spero che Frank sappia che ci tengo ancora a lui
E spero che la mia famiglia sappia ancora che ci provo
E spero che la società pensi bene di me
Perché Dio non voglia che arrivi il giorno che la pensano diversamente
Dio non voglia quel giorno, Dio non voglia quel giorno, Dio non voglia quel giorno
Dio non voglia quel giorno, Dio non voglia quel giorno, Dio non voglia quel giorno
   Dimmi che stai bene, ma certo che ci tengo
È che mi sento, mi sento, mi sento spaventato
Sento tantissime cose ultimamente
Dimmi che ti va bene, ti va bene, ti va bene il cambiamento
Devi solo, devi solo aprire gli occhi
   Io non ci credo nel mondo perfetto che vai cercando
Io non ci credo
Io non ci credo nel mondo perfetto che vai cercando
Perché io lì non esisto
       3. Melt
Sciogliere
   Sento voci nella testa che mi parlano di errori del passato
Ma è sempre la stessa storia
Mi sono imposta di stare zitta
Perché tendo a dire troppo
Tendo a fare dei veri pasticci
È facile dimenticarti di come sei esattamente finché non parli
   Non c’è una scappatoia
Semmai stavo facendo conversazione giusto per essere gentile
Non ho niente da dire, se non che mi annoi a morte
Incredibile che sono ancora qua
Dovevo prendere e andarmene
Credimi
   Mi fisso su tutti i miei problemi
Mi fisso su tutti i miei problemi
“Non sono l’unica”
Continuo a ripetermi quando non riesco a dormire la notte
O a guardare qualcun altro negli occhi
Mi sento smarrita
È facile dimenticarti di come sei esattamente finché non parli
   Non c’è una scappatoia
Semmai stavo facendo conversazione giusto per essere gentile
Non ho niente da dire, se non che mi annoi a morte
Incredibile che sono ancora qua
Dovevo prendere e andarmene
Credimi
   Quand’è che abbiamo parlato l’ultima volta?
Mi sa che era ottobre scorso
Mi ricordo che dicevi che se non stavo attento, un giorno rischiavo di arrivare dove volevo
Pensavo che stessi scherzando
Eh, e aspettavo che ti mettessi a ridere
Se ti porti addosso il peso delle cose che odi, rischi di annegare nella vasca
Mi viene difficile sentir dire la verità
Ho rubato cose che non potevo usare
Ho dato l’anima in pegno e il suo valore l’ho speso a bere
Mi viene difficile sentir dire la verità
Per cui cambio la pelle che mi ero fatto da giovane
E do il benvenuto all’ultima notte d’inverno
   Non ho mai avuto modo di dire qualcosa
Non ho mai avuto modo
Tu come sei?
Non ho mai avuto modo di dire qualcosa
Non ho mai avuto modo
Tu come sei?
Non ho mai avuto modo di dire qualcosa
Non ho mai avuto modo
Tu come sei?
Non ho mai avuto modo di dire qualcosa
Non ho mai avuto modo
Tu come sei?
       4. New York
New York
   Grande abbastanza e con tutta la saggezza della mia età
Eppure tengo i pugni stretti nelle tasche
Dubito delle parole sagge
Cerco di stare in equilibrio tra il buonsenso e la logica
   Ultimamente faccio un sogno stranissimo
In cui mi schianto con la macchina e non sono mai venuto a sapere
   Tutto quello che hai chiesto
Tutto quello che hai detto
Tutto quello che hai desiderato
Invece resisto abbastanza da guardare che ti allontani
   Cerco di scoprire il significato
Cerco di trasformarlo in oro
Sono stanca di rimuginarci sopra
Dovrebbe essere tutta energia
Dovrebbe essere tutta energia
   Ultimamente mi pongo la domanda
Ma questo è il passato o è il presente?
   Tutto quello che hai chiesto
Tutto quello che hai detto
Tutto quello che hai desiderato
Stufa di dubitare di me stessa e poi pentirmene
Tutto quello che hai chiesto
Tutto quello che hai detto
Tutto quello che hai desiderato
Invece resisto abbastanza da guardare che ti allontani
   Sono più grande ora, sono più grande ora
Sono più vicina ora, sono più vicina ora
Sono più grande ora, sono più grande ora
Sono più vicina ora, sono più vicina ora
   Tutto quello che hai chiesto
Tutto quello che hai detto
Tutto quello che hai desiderato
Stufa di dubitare di me stessa e poi pentirmene
Tutto quello che hai chiesto
Tutto quello che hai detto
Tutto quello che hai desiderato
Invece resisto abbastanza da guardare che ti allontani
       5. Crybaby
Piagnucolone
   Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
   Puoi disegnare qualcosa su un muro se vuoi
Ma sono stanca di fare sempre ‘sti giochetti
E altra cosa:
I tuoi amici possono dire quello che gli pare su di me
Possono dire tutto quello che gli pare
Bla, bla, bla
Io so chi sono i miei amici
Ce li ho tutti al mio fianco
Si contano sulle dita delle mani
Si contano sulle dita delle mani
Non puoi correre a nasconderti per sempre
Lo sappiamo tutti che bisogna andare a incontrare il creatore
La paura più grande di tutte è la paura di non sapere cosa viene dopo
   È inutile costruire castelli per strada
Se li costruisci con mura sottili come un foglio di carta
   Mi sta smascherando come se non avessi nessuna chance
Pensano che abbaio tanto ma che non mordo
Ho passato la vita intera pensando al viaggio che era alle porte
Per cui se io sono un serpente
   Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
   Mentre si piazzano sui loro piedistalli a distribuire sentenze agli sciocchi
Continuando a girare e rigirare sulle stesse cose
Non riesco ad andare avanti così
A nascondermi in una circostanza che non posso evitare
Non sei un santo, non sei uno studioso
Ma ti congratuli comunque con te stesso
   Mi sta smascherando come se non avessi nessuna chance
Pensano che abbaio tanto ma che non mordo
Ho passato la vita intera pensando al viaggio che era alle porte
Per cui se io sono un serpente, tu sei un ratto
   Tu scorri come un torrente o un fiume, in qualunque direzione vada
Tu scorri come un torrente o un fiume, in qualunque direzione vada
   Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
Per favore, non piangere
Non piacciono a nessuno i piagnucoloni
       6. Greetings from Tipperary
Saluti dal Tipperary
   Stavamo cantando “piove sempre, pure d’estate”
Abbiamo smezzato una sigaretta
E tu ti sei girato e mi hai chiesto dove mi vedevo nel giro di un anno
Ho detto “da qualsiasi altra parte, da qualsiasi parte tranne che qua”
   In sospeso, se riuscissi a descriverlo
La testa che scoppia per la paura
Impossibile da nascondere
Ormai lo so che dovrei evitare
Posso prendermela solo con me stesso
Ma certo, sei tu che ti conosci
Non è la prima volta
Non è la prima volta
   Mi ero promesso di non fare questa fine
Ho una paura tremenda a vedermi
Riflettere è una cosa difficile da affrontare
Ogni tanto devi porti la domanda:
Come la risolvo adesso?
   In sospeso, se riuscissi a descriverlo
La testa che scoppia per la paura
Impossibile da nascondere
Ormai lo so che dovrei evitare
Me la posso prendere solo con me stesso
Ma certo, sei tu che ti conosci
Non è la prima volta
Non sarà l’ultima volta
       7. Resist
Opporsi
   Mi sono svegliata tremando dalla notte precedente
La scena in cui corro e cerco di raggiungerti, ma tu te ne sei andato
E so che è a causa di come mi comporto quando sono giù di morale
Capisco perché tu te la possa prendere con me
   Agitata, se riuscissi a spiegarlo
Non riesco a togliermi il pensiero di te che te ne vai
Hai ragione, dovremmo già esserci arrivati
Passo più tempo a chiedere scusa
Devo farti sapere
Siamo noi due
Tu sei tutto
   Tu sei sempre rimasto nell’angolino dove mi rintanavo
Sempre lì ma senza mai giudicarmi
Io intanto sguazzo nella mia insicurezza
È sempre questo periodo dell’anno
Appena prima che si tirino indietro le lancette
Sono forte mentalmente ma ho il cuore fragile
Quando mi perdo nei miei pensieri tu mi fai vedere chiaro
Preferirei essere a casa con te che cercare di raggiungere il sole
   Agitata, se riuscissi a spiegarlo
Non riesco a togliermi il pensiero di te che te ne vai
Hai ragione, dovremmo già esserci arrivati
Ma passo più tempo a chiedere scusa
Devo farti sapere
Siamo noi due
Tu sei tutto
   Sei tu, solo tu
Ogni volta che ci penso
Sei tu, solo tu
Ogni volta che ci penso
Ogni volta che ci penso
Ogni volta che ci penso
   Agitata, se riuscissi a spiegarlo
Non riesco a togliermi il pensiero di te che te ne vai
Hai ragione, dovremmo già esserci arrivati
Ma passo più tempo a chiedere scusa
Devo farti sapere
Siamo noi due
Tu sei tutto
       8. Something to Come Home To
Qualcosa per cui tornare a casa
   Serve un paese per farti stare al sicuro
Servi solo tu per non farmi impazzire
Tu mi hai strappato la benda dagli occhi
Mi hai fatto vedere il buono che c’è in tutte le cicatrici che mi sono venute
Il dolore c’è davvero e va bene così
Non c’è da andare a nascondersi
Quelle cose me le sono portate addosso ogni giorno
   Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Finché non ho trovato te
   Anni che ho guardato dal davanzale di una finestra
Ora tu aspetti, sei la mia spilla da balia
Ma eccomi qua, persa di nuovo tra la gente sotto luci fluorescenti
Il loro scintillio non risplende
Con pensieri a senso unico e applausi
Giurano dedizione alla causa
Ma non sono sicuri dei propri passi
Chi è che striscia e chi è che si avvicina?
   Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Finché non ho trovato
Mi sono sempre sentita come un’estranea qui
Mi sono sempre sentita come un’estranea qui
Mi sono sempre sentita come un’estranea qui
Finché non ho trovato
Finché non ho trovato te
   Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Non ho mai avuto qualcosa per cui tornare a casa
Finché non ho trovato
       9. I Want You
Ti voglio
   La mia è una lettera di scuse formali scritta con sincerità
Non riesco a credere a quello che ho fatto
Non mi smettono di tremare le mani
Perché so che tu ci stai soffrendo
Avevo giurato di proteggerti dal primo giorno
   Ti voglio far sapere che ti amerò sempre
Ti voglio
   Nel frattempo parleremo di cose banali
L’aria sarà secca
Sarò circondata dal rumore bianco
Sarò di secondaria importanza
Mi immaginerò infine come potrebbe essere la vita senza di te
   Ti voglio far sapere che ti amerò sempre
Ti voglio
   Ci vedremo quando si rischiariranno le cose
E lascio alle foglie il compito di farmi sapere che la vita sta cambiando
       10. Mind Yourself
Prenditi cura di te
   Mi è scivolato via un altro anno
Abbandono la mia gioia
Mi è scivolato via un altro anno
Sono il peggior nemico di me stessa
   Ho paura che le cose di cui ho bisogno non le avrò mai
Non starò mai meglio e resterò sempre così
Mi sembra di andare dalla parte opposta
Non sapevo che la vita fosse una gara
Cerca di evitare di avermi tra i piedi
   Non mi deludere
Devo credere che non lo farai
Non mi lasciare qui
Fidati di me, non è colpa tua
Me la prendo io la responsabilità
Non mi deludere
Mi hai chiamato per nome, ma io me ne sono andato
Ti prego, prenditi cura di te
Ho rinunciato a te tanto tempo fa
   Perdo sempre tempo a preoccuparmi del tempo
Non posso cancellare quello che mi si è disegnato dentro la pelle
È tutto vero
Per quanto corro veloce, non mi allontano mai
Perdo sempre tempo a preoccuparmi che perdo tempo
   Dite alla me da piccola che andrà tutto bene col tempo
Non funzionerà proprio tutto
Ma quantomeno può sfoggiare un sorriso, è libera
Dite alla me da piccola che i suoi pensieri erano validi
Partendo proprio dalle basi è arrivata fin qua
Ora può perdonare
   Non mi deludere
Devo credere che non lo farai
Non mi lasciare qui
Fidati di me, non è colpa tua
Me la prendo io la responsabilità
Non mi deludere
Non posso lasciarti andare via, via alla deriva
Ti prego, prenditi cura di te
Posso solo dire che farò del mio meglio
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sayitaliano · 6 years
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Tradurre una canzone || 100daysoflanguages 5
As someone asked, I’ll translate God Rap by Eminem  (did he write the Divina Commedia wth... jk) Just know that rap has deeper meaning and some slang words I might not get sometimes or that are though to translate so yep I leave you also this translation
Dio del Rap 
(ENG lyrics)
Guarda, stavo per andarci piano con te per non ferire i tuoi sentimenti Ma prenderò al volo questa unica possibilità Qualcosa non va, lo sento (sei minuti. Slim Shady, sei in diretta) Ho solo una sensazione, come che qualcosa stia per succedere, ma non so cosa Se ciò significa, quello che io penso significhi, siamo nei casini - grossi casini- E se lui è così fuori come dici, non correrò il rischio Tu eri proprio come il cacio sui maccheroni Inizio a sentirmi come il Dio del Rap, il Dio del Rap Tutta la mia gente dalla prima fila all'ultima annuisca, annuisca Ora chi pensa che le sue braccia siano lunghe abbastanza per tirare schiaffi? Dicono che rappo come un robot, e allora chiamami Rapbot Ma per me fare rap come se fossi un computer deve essere nel miei geni  Ho un portatile nella mia tasca posteriore La mia penna spara se la carico a metà Mi son fatto un grosso rotolo (di soldi) dal guadagno di questo rap Mi guadagno da vivere e da uccidere da questo Fin da quando Bill Clinton stava ancora nel suo ufficio Con Monica Lewinsky che sentiva le sue palle Sono ancora un MC tanto onesto Ma anche tanto maleducato e indecente quanto tutto l'inferno  Sillabe, omicida dipendente (uccidili tutti così) Questo hip hop viscido, beffardo e confuso Non vuoi davvero fare a gara a chi piscia più lontano con questo rap rapido, Che imballa un Mac nel bagagliaio di una Ac, fate i bagagli un backpack rap, sì, bla bla bla Nello stesso preciso momento in cui mi cimento in queste bravate di versi acrobatici, mentre sto cercando di capire Se sarò ancora in grado di rompere un cazzo di tavolo Sulla schiena di un paio di froci e romperlo a metà Ho appena realizzato quanto fosse ironico che io avessi firmato con la Aftermath dopo quel fatto Come sarebbe stato possibile per me non sfondare? Tutto quello che faccio è sganciare delle C (cazzo) di bombe, senti la mia determinazione d'attacco I rappers stanno passando dei momenti difficili, punto, ecco un maxi assorbente A dire il vero si sta mettendo disastrosamente male Per i deboli mentre io sto costruendo magistralmente questo capolavoro mentre Inizio a sentirmi come il Dio del Rap, il Dio del Rap Tutta la mia gente dalla prima fila all'ultima annuisca, annuisca Ora chi pensa che le sue braccia siano lunghe abbastanza per tirare schiaffi? Fatemi dimostrare come mantenere alto il livello di sta merda non sia così difficile Tutti quanti vogliono le chiavi e il segreto per l'immortalità del rap proprio come ce li ho io Beh, ad essere sincero il piano è semplicemente rabbia ed esuberanza giovanile Tutti amano tifare per un seccatore Colpire la terra come se fosse un asteroide, che non ha fatto altro che mirare alla luna da quando Gli MC vengono portati a scuola con questa musica Perchè la uso come un veicolo per irrompere con una rima  Ora dirigo una nuova scuola piena di studenti Io? Sono il prodotto di Rakim, Lakim Shabazz, 2Pac N.W.A, Cube, hey, Doc, Ren, Yella, Eazy, grazie a voi, loro hanno avuto Slim Abbastanza ispirato per farti crescere un giorno, sfondare e essere nella condizione Di incontrare i Run DMC e introdurli nella fottutissima Rock n' Roll Hall Of Fame Anche se entro in chiesa e mi faccio espoldere in una bolla di fiamme La sola Hall of Fame alla quale sono stato introdotto è l'alcool della gloria, Sul muro della vergogna  Voi froci pensate sia tutto un gioco fino a quando non cammino in un ammasso di fiamme Su una tavola, ditemi a che cazzo state pensando? Giovane ragazzo con lo sguardo felice  Così felice che riesco a malapena a dirlo con uno sguardo normale, ragazzo Tu sei testimone di un massacro Come se guardassi una congregazione in chiesa, ragazzo Oy hey, quel ragazzo è felice, questo è tutto ciò che dicono, ragazzo Tu ti prendi il pollice all'insù, una pacca sulla spalla E un modo per andartene dalla tua etichetta ogni giorno, ragazzo Hey, ragazzo, che dici ragazzo? Io ho ottenuto un 'hell yeah' da Dre ragazzo Lavorerò per tutto quello che ho Non ho mai chiesto un cazzo a nessuno, levati di mezzo ragazzo In pratica ragazzo tu non sarai mai capace Di mantenere lo stesso livello ragazzo Perché inizio a sentirmi come il Dio del Rap, il Dio del Rap Tutta la mia gente dalla prima fila all'ultima annuisca, annuisca Il modo in cui corre sulla pista, chiamatemi Nascar Sono il Dale Earnhardt del parcheggio roulotte, il Dio del White Trash Inginocchiatevi davanti al Generale Zod questo pianeta è Krypton, non Asgard Così tu sarai Thor e io sarò Odin, tu rodente io onnipotente Prima assolto poi mi ricarico immediatamente con queste bombe che sto portando E non dovrei essere svegliato, Sono un morto che cammina, ma sono solo un testa parlante, uno zombie che galleggia Ma ho tua mamma che mi fa un pompino  Sono fuori di testa, non abbiamo niente in comune barboncino Io sono un doberman, datti un pizzicotto al braccio e fammi gli ossequi, studente Sono io, la mia onestà è brutale Ma è comunque una onestà futile se non utilizzo ciò che faccio Per qualcosa di buono almeno una volta ogni tanto Quindi voglio assicurarmi che nella mia scrittura a zampa di gallina e confusa Ci siano abbastanza rime per forse cercare di aiutare qualcuno a superare dei brutti momenti Ma mi conservo alcune rime in caso voi senza contratto Rappers affamati mi guardaste come se fossi il pranzo So che c'è stato un tempo in cui Ero il re dell'underground, ma riesco ancora a fare rap come se facessi parte del reticolo di Pharoahe Monch Così sgranocchio le rime, ma a volte quando metti insieme L'attrazione e il colore della mia pelle Diventi troppo grande ed ecco che provano a censurarti Come quel verso che ho detto in 'I'm back' nel Marshall Mathers LP Quello dove ho provato a dire che prendo sette bambini della Columbine Li metto tutti in fila, aggiungo una AK-47, un revolver e un nove millimetri Vediamo se riesco a farla franca ora che non sono così grande come una volta, Ma mi sono trasformato in un immortale che viene da un portale Tu sei rimasto bloccato nella curvatura spazio tempo del 2004 E non so cosa cazzo rappi a fare Tu non hai senso come Raperonzolo con le fottute treccine Tu sei tipo normale, fanculo essere normale E io ho appena comprato la pistola a raggi X dal futuro Per tornare e spararti come quando Fabolous ha fatto incazzare Ray J Perchè Fab ha detto che sembrava un frocio nell'appartamento di Mayweather Cantando ad un uomo mentre suonavano il piano amico, oh amico, c'era uno speciale 24 ore su 24 7 giorni su 7, sul canale via cavo E allora Ray J è andato dritto alla stazione radio proprio il giorno dopo 'Hey Fab, ti uccido' Testi che ti arrivano ad una velocità supersonica (JJ Fad) Uh, sama lamaa duma lamaa tu pensi che io sia umano Cosa devo fare per farti entrare in testa che son un super uomo Innovativo e sono fatto di gomma Quindi tutto quello che mi dici rimbalza da me e si riattacca a te Non affermo mai, più di quanto non abbia dimostrato Come dare a un publico di figli di puttana la sensazione che stiano lievitando Mai sbiadire e lo so che quelli che mi odiano staranno sempre ad aspettare Il giorno in cui potranno dire che sono finito, faranno festa Perchè io conosco il modo per motivarli Facendo musica elevata, tu fai musica per ascensori  Oh, lui è troppo mainstream Beh, questo è quello che fanno quando diventano gelosi, si confondono Non è hip hop, è pop, perchè ho trovato un fottuto modo di fonderlo Con il rock, rap scioccante col Dottore Lanciare Lose Yourself e farli perdere Non so come fare canzoni così Non so che parole usare Fammi sapere quando ti succede Mentre sto stracciando uno qualsiasi di questi versi diversi come te Sipario chiuso, ti sto innavertitamente facendo male Quanti versi devo ammazzare per provare Che se sei bravo almeno la metà a fare canzoni puoi anche sacrificare vergini! Bocciato a scuola, pillole dipendente, Ma guarda i riconoscimenti che le mie abilità mi han portato, Pieno di me stesso, ma ancora affamato, Sono prepotente con me stesso perchè mi obbligo a farmi fare le cose che mi metto in testa di fare E sono mille leghe superiore a te, malato quando parlo in lingue Ma è ancora lingua nella guancia, fottiti Sono ubriaco così Satana prendi sto cazzo di volante, sto dormendo sul sedile davanti Pompando Heavy D and the Boys, ancora massiccio ma funky Ma nella mia testa c'è qualcosa che strattona e lotta Gli angeli combattono con i diavoli ed ecco quello che vogliono da me Vogliono che elimino un pò di odio sulle donne Ma se prendete in considerazione il pungente odio che avevo Allora potreste essere un po’ più pazienti e più comprensivi verso la situazione E capire la discriminazione Ma fanculo, se la vita ti passa i limoni, fai una limonata allora Ma se non riesco a sbattere le donne come cazzo posso fare a far loro una torta allora? Non confonderlo per Satana È un errore fatale se pensi che abbia bisogno di andare all'estero E fare una vacanza con una E farla cadere sulla sua faccia e non essere un ritardato Essere un re? Penso di no, perchè essere un re quando puoi essere un Dio?
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giancarlonicoli · 4 years
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20 GEN 2020 13:40IVA ALL'80 (OGNI ANEDDOTO È UN ROMANZO) - ''MI PENTO DI ESSERMI RIFATTA IL NASO E DELLA COPERTINA DI 'PLAYBOY'. TELEFONAI ALL’UNICO GIORNALAIO DI LIGONCHIO SCONGIURANDOLO DI NASCONDERE TUTTE LE COPIE: MIA MADRE MI AVREBBE RIEMPITA DI BOTTE. MENÒ MIA SORELLA PERCHÉ…'' - ''SONO ENTRATA IN POLITICA PER VENDICARE MIO PARE. SI CANDIDÒ E PRESE UN SOLO VOTO, IL SUO. NEANCHE QUELLO DELLA MOGLIE. LA PRESE PER IL COLLO E LEI... - WALTER CHIARI MI DISSE 'STASERA NOI DUE FACCIAMO L'AMORE'. PENSAVA MI OFFENDESSI''
Aldo Cazzullo per il ''Corriere della Sera''
Il naso di Iva Zanicchi.
«Dopo due femmine, mio padre Zefiro voleva il maschio. Arrivai io. Per tre giorni rifiutò di vedermi. Poi scoprì che ero identica a lui. Le mani, i piedi, il sorriso. Il naso».
L’aquila di Ligonchio.
«Le mie sorelle mi chiamavano Pinocchio. Un complesso terribile. Lo superai solo quando cantai a Sanremo Zingara, con i capelli raccolti in una treccia e il naso bene in vista. Solo allora me lo sono rifatto».
Soddisfatta?
«È una delle due cose di cui mi pento nella vita. Mi sono amputata una parte di me. Un pezzo della mia identità».
L’altra cosa?
«Quando prima di compiere quarant’anni posai nuda su Playboy. Vidi la copertina e fui presa dal panico. Telefonai all’unico giornalaio di Ligonchio scongiurandolo di nascondere tutte le copie: mia madre Elsa mi avrebbe riempita di botte».
A quarant’anni?
«Se è per questo, mamma picchiò mia sorella Maria Rosa il giorno delle nozze: non voleva più sposarsi».
La convinse?
«Mia madre pesava 114 chili ed era convincente».
Lei, Iva, è nata in questi giorni, ottant’anni fa.
«L’inverno del 1940 fu il più nevoso della storia. La strada per Vaglie di Ligonchio, il paese di mamma, mille metri sull’Appennino, era bloccata. Che poi non era una strada ma una mulattiera. Nonno Adamo scese in slitta a prendere l’ostetrica, detta e guff, il gufo, perché era così brutta che i bambini appena messa fuori la testina non volevano più uscire. Ma e guff si rifiutò di mettersi in viaggio sotto la neve».
E sua mamma?
«Fece tutto da sola. Stava mungendo le mucche. Sono nata in una stalla: come Gesù. Non escludo che mi abbia deposto nella mangiatoia».
Il suo primo ricordo?
«Pippo. L’aereo che andava a bombardare la centrale elettrica. Scappai di casa per vederlo. L’aviatore mi fece un cenno di saluto, che ricambiai. Poi lo raccontai a mamma. Che mi riempì di botte».
E suo padre?
«Era prigioniero dei tedeschi, in un campo vicino a Dresda. Tornò che pesava 40 chili. Io mi ero immaginata un eroe: vidi uno scheletro che aveva un piede in una scarpa rotta e l’altro in uno zoccolo. Rimasi delusissima. Piansi per due notti: anche perché prima nel lettone con la mamma dormivo io, e adesso dormiva lui. La terza notte arrivò da me con una carta da zucchero, piena giustappunto di zucchero: “Questo è per te, non dirlo alle tue sorelle” mi sussurrò. Da quella notte fu il mio babbo».
A lungo gli Imi, gli internati militari in Germania, non trovarono il coraggio di raccontare quel che avevano subito.
«Anche mio padre all’inizio non ne parlava mai. Poi ci disse che stava morendo di fame, ed era uscito per scavare qualche patata. Fu bastonato a sangue e condannato a essere fucilato il mattino dopo. La notte un vecchio riservista lo nascose e gli salvò la vita. Capii che mio padre era davvero un eroe. Lo scrissi in un tema. Il maestro mi rimproverò: per lui esistevano solo i partigiani. Ma anche quella di mio padre e degli altri prigionieri fu Resistenza».
E i nonni?
«Il nonno paterno, Antonio, era andato in America a cercare fortuna. Tornò più povero di prima. Faceva il boscaiolo nel Montana; arrivò la grande crisi del legname. L’altro nonno, Adamo, aveva fatto la Grande Guerra. Sua madre, Desolina, aveva un’osteria e una voce potentissima, da soprano drammatico: venivano dai paesi attorno per ascoltarla. Una domenica arrivò uno da Parma che voleva portarla in città a studiare canto e a conoscere Verdi, che era ancora vivo. Il suo fidanzato, mio bisnonno Lorenzo, per gelosia si oppose. In cambio lei si fece sposare. Morì cantando come un usignolo».
Che nome è Desolina?
«In paese non c’era un nome da cristiano. Una ragazza si chiamava Brandina. Un’altra Nicola: quando obiettarono al padre che era un nome da maschio, rispose che finendo per “a” doveva essere per forza un nome da femmina. Mio zio si chiamava Pronto, anche se tutti lo chiamavano Veraldo: che non era granché, ma era pur sempre meglio di Pronto. Mia zia Argentina chiamò le figlie Italia e Emilia. In compenso tutte le donne del paese avevano voci bellissime. In chiesa era commovente sentirle cantare, senza musica, in modo celestiale».
E lei?
«Io avevo una voce un po’ mostruosa, da contralto. Il prete mi sgridava: Iva canta piano, che copri gli altri bambini».
È vero che da piccola rischiò di morire?
«Avevo la febbre a 42 per un ascesso. Le zie tentavano di consolare mia madre: “Iva non ce la farà, ma avremo un angelo che pregherà per noi in paradiso…”. Sentii e feci il gesto dell’ombrello. Altro che angelo…».
La sua carriera comincia con il Disco d’oro di Reggio Emilia.
«Lì conobbi Gianni Morandi, che era fuori concorso perché troppo giovane, e una ragazza che portava un cappellino con veletta: Orietta Galimberti».
Orietta Berti?
«Lei. Insieme cantammo a Sala Baganza, Parma. L’impresario ci fece uno scherzo feroce: disse ai musicisti che in camerino c’erano due entraineuse a disposizione, Orietta e Iva. Entra il pianista, mi chiede “tu sei Orietta o Iva?”, e mi scaraventa sul letto. Scoppiai a piangere: “Allora aveva ragione mamma, a dire che le cantanti sono tutte puttane!”. Lui ci rimase malissimo. Si chiamava Angelo. Diventò il mio primo fidanzato».
Fu la sua prima volta?
«Niente sesso. Mamma non voleva. Persi la verginità a 27 anni, con l’uomo che ho poi sposato: il figlio del proprietario della casa discografica Ri-Fi».
Fu alla Ri-Fi che incontrò Mina?
«Più che Mina, incontrai la sua scia. Una volta le vedevo le gambe, l’altra volta la nuca. Era già una star; eppure non mi ha mai potuto soffrire. Un anno Mina era in Messico, e Antonello Falqui mi propose di aprire Studio Uno con una canzone, subito dopo Carosello: una roba da 25 milioni di spettatori. Mina interruppe la tournée e si precipitò in Italia: “Se prendete quella ragazzotta, perdete me”. Mi cacciarono».
Ma lei cosa pensa di Mina?
«Tecnicamente è stata la più grande. L’ho sempre ammirata ma non l’ho mai temuta: quando dovevo aprire l’ugola dal vivo, non ce n’era per nessuno. Così, quando mi proposero un duetto con lei al Lido di Venezia, accettai subito. Mina rifiutò. Fui sostituita da Claudio Villa».
Con Claudio Villa lei vinse il suo primo Sanremo, nel 1967.
«Ricordo ancora le urla: “Si è ammazzato Tenco!”. Preparai la valigia: ero convinta che avrebbero sospeso il festival. E avrebbero dovuto farlo. Una rivista mi propose la copertina, se fossi andata a deporre rose rosse sulla sua tomba. Li mandai a quel paese».
E Ornella Vanoni?
«Ogni volta a Sanremo trovava il modo di gettarmi nel panico. Stavo per salire in scena e mi faceva: ma come ti hanno truccata, ma quanto ti sta male quel vestito… A me però è sempre stata simpatica».
Nel 1969 lei rivinse con Zingara.
«Oggi mi farebbero cantare: “Prendi questa mano, rom…”».
Perché ha fatto politica?
«Per vendicare mio padre. Si candidò per il Psdi: prese un solo voto, il suo. Neanche quello della moglie. Lui la afferrò per il collo, furibondo. Lei rispose: “Non posso andare all’inferno per colpa tua!”. Il parroco le aveva prospettato le fiamme eterne se avesse votato, non dico comunista, ma socialdemocratico».
Come ricorda il primo incontro con Berlusconi?
«Mi avevano offerto un sacco di soldi per condurre una trasmissione. Rifiutai. Mi invitò a casa sua. Andai in bicicletta — abitavo già qui a Lesmo, vicino ad Arcore —, decisa a chiedere il triplo. Mi portò in un teatrino con il pianoforte. Pensai: ora mi tocca cantare. Cantò lui, per un’ora. Mi affascinò. Parevo Fracchia. Firmai alla cifra che mi avevano proposto».
È rimasta celebre una telefonata di Berlusconi mentre lei era in tv da Gad Lerner: “Iva, si alzi ed esca da quel postribolo!”.
«Quella sera tutti attaccavano Silvio, e io lo difendevo. Ma quando Lerner mi chiese della Minetti, risposi che di lei non mi importava nulla. Berlusconi non stava guardando; la Minetti purtroppo sì, e lo avvisò. Così lui fece quella scenata. Ovviamente rimasi in studio. Qualche giorno dopo ci fu una festa di Forza Italia. Le donne mi guardavano con disprezzo: “Tu cosa ci fai qui? Non ti vergogni?”. Silvio invece mi abbracciò: “Iva, come mi difendi tu non mi difende nessuno!”».
Cosa dovrebbe fare ora?
«Liberarsi da molte delle persone che lo circondano. Parlargli è diventato impossibile. Oggi per me Berlusconi è Piersilvio. Che si sta dimostrando un bravissimo imprenditore».
Come finisce in Emilia?
«Tutti dicono che vincerà la destra. Ma io conosco gli emiliani. Certi contadini hanno ancora il ritratto di Stalin. Secondo me alla fine la sinistra tiene».
Lei per chi voterebbe?
«Io di sinistra non sono, ma guardo le persone. Ho visto in tv la Borgonzoni e non mi è piaciuta. Questo Bonaccini ha governato bene. Perché non riconfermarlo?».
Di Salvini cosa pensa?
«Tutti lo accusano di essere un fannullone. Ma io me lo ricordo a Strasburgo: votava al mattino, andava a fare un comizio in Lombardia, e il mattino dopo era di nuovo lì».
A dire il vero era un noto assenteista.
«È una persona di cuore. Molto affettuoso con i figli: li portava pure al Parlamento europeo, ce li mostrava orgoglioso. Certo, a volte è un po’ eccessivo. Ma l’immigrazione va regolata».
È vero che lei è stata in tournée in Iran con Lando Buzzanca?
«Lui era un divo. Ma la vera star era Moira Orfei, amatissima dagli iraniani, che adorano il circo. Erano gli ultimi giorni del regime, l’impresario sputava sul ritratto dello Scià. Me ne andai in tempo. Moira Orfei rimase. Scoppiò la rivoluzione e perse il circo».
E Walter Chiari?
«Partiamo in tournée nel 1974 e lui mi fa, con il tono con cui si chiede un drink: “Stasera noi due facciamo l’amore”. E perché? “Lo faccio con tutte le attrici. Così si crea una sintonia e lavoriamo meglio”. Dissi di no. Lui si stupì molto: “Sia chiaro però che te l’ho chiesto!”. Pensava mi offendessi. Quella sera ci raggiunse sua madre, una vecchiettina molto simpatica: “Gli hai detto di no al mio Walter? Brava! Finalmente una brava ragazza!”. “Avrà mica parlato con mia mamma?”. “Certo che ho parlato con tua mamma!”».
Si racconta di un suo flirt con Alberto Sordi.
«Mi telefonava a ogni compleanno per farmi gli auguri. Quando facevo Canzonissima, ogni sabato sera mi mandava i fiori con un biglietto carino. Poi mi invitò a Bologna per fare da madrina alla prima del Presidente del Borgorosso football club; il padrino era Beppe Savoldi, il centravanti. Morivo di vergogna: tutti pensavano che fossi l’amante di Sordi. All’epoca ero astemia; quella sera comincio a bere. Mi ritiro in camera, sento bussare: è Alberto, che mi invita nella sua suite. Ci vado. Inevitabilmente lui mi sbatte sul letto; ma non riesce a slacciarmi il vestito, attillatissimo. “Vado di là a spogliarmi” gli sussurro; e fuggo».
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undiariodibordo · 7 years
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Questa foto è di ieri (23 settembre 2017) e questo post lo scrivo principalmente per due motivi: 1. Ricordarmi quante ne ho passate e farmi forza; 2. Ricordarmi quante persone mi sostengono ogni giorno.
Perché questa foto? Più guardo questa foto, più vedo la vera me. Vedo quel “sorriso non sorriso” (come lo definiva qualcuno), vedo quella fossetta alla guancia sinistra che è sempre stata con me, vedo gli occhi di una ragazza che ne ha viste e passate tante, ma davvero tante e nonostante tutti i “non ce la faccio”, “non reggo più”, “se succede questo mi ammazzo”, “non ne posso più”, “no, questo è troppo” ha combattuto e combatte da anni con mostri che porta dentro.
Il 23 settembre 2016 è stato un giorno particolare per me, mi sono risvegliata per la prima volta in ospedale per colpa dell'alcol (del mio problema con l'alcol), mentre esattamente un anno dopo, ho passato un pomeriggio stupendo al mare con uno dei miei migliori amici (uno di quelli che mi sostiene ogni giorno), ho visto uno dei tramonti più belli della mia vita e sono stata davvero bene, ma non solo. Ieri ho bevuto con un ragazzo (uno di quelli che conosco e apprezzo da anni) ma senza esagerare, restando me stessa, ridendo e cantando, amando la vita.
Qualche mese fa, una volta finiti gli esami di maturità scrivevo di D. e di quanto mi facesse male l'essermi lasciata con lui, di quanto non fossi stata in grado di aprirmi con mia madre e tanta altra roba. Ed invece in questi mesi qualcosa si è trasformato. Ho buttato fuori piangendo e singhiozzando determinate cose con mia madre (persona con la quale ho sempre avuto uno strano rapporto, durante tutto il corso della mia vita). Inizialmente ho anche avuto il vomito per le sue reazioni, ma ultimamente sta facendo qualche passo per venirmi incontro ed è davvero molto assurdo e bello per me.
Io mi stupisco ogni giorno per la forza che penso di non avere e che invece poi esce fuori. Mi stupisco di me, ma anche di tante altre cose. Oggi ho visto D. perché avevo bisogno di vederlo, avevo bisogno di parlarci. Mi ha dato della “cagasotto” dopo quello che gli ho raccontato. A volte vorrei solo che lui capisse delle semplici cose… Io con lui mi sento come una bimba alla quale si sono slacciate le scarpe e non sa riallacciarle. Mi sento proprio così, io sono quella bimba che piange perché con le scarpe slacciate non posso continuare a correre, ma caspiterina quel fiocco non so farlo, ho bisogno che qualcuno me lo insegni, ma non imparo proprio subitissimo e quindi per un po’ di tempo devo chiedere aiuto a qualcuno e quel qualcuno per me è lui, e non da ora, non da ieri, ma da anni. Ma non importa, non importa se dopo il suo abbraccio io avevo gli occhi stracolmi di lacrime mentre lui mi apriva lo sportello per mandarmi via, non importa perché io gli ho chiesto di vederci urgentemente e lui c'era e il mio cuore ha sorriso, ha sentito che non sono una stupida ad indossare ogni giorno al collo quella chiave che mi ha regalato, perché in questi quattro anni io ho sempre contato su di lui, anche quando lui non c'era. E questo mi fa sempre sentire meno sola in questo mondo bastardo.
Ma i “grazie” non vanno solo al mio migliore amico, al Galletto, a D. e a mamma che stasera mi ha ascoltata molto (rispetto ai suoi standard).
Un grazie enorme lo devo anche a L. che tutti i giorni continua a sostenermi, con messaggi e chiamate. Lui sa tutti i miei movimenti, per me è un secondo padre. So di poter contare su di lui per qualsiasi cosa, ormai sa tutto di me e senza i suoi consigli mi sentirei persa.
E dopo tutti i grazie ci sono anche due grandi vaffanculo…
1° Vaffanculo in assoluto a LR che diceva di volermi rendere felice e tutte quelle baggianate da stronzo che vuole ottenere solo una cosa (ma tanto non l'hai ottenuta quindi ciaaaaooone).
e 2° Vaffanculo a FF, ragazzo al quale ho fatto da psicologa, mamma, papà, infermiera, amica fidanzata e penso basta, per poi sentirmi dire “eh ma io ho tanti problemi, non ti voglio prendere in giro… continuiamo a vederci, a parlarci, ma non me la sento di stare insieme” Ma il bagno è libero? E vai a cagare vai :)
Ora per finire questo sfogo/monologo interiore/post utile ed inutile ad intermittenza …
Laurè lo vedi che ce la fai? Smettila di pensare il contrario porca puttana!
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magicnightfall · 5 years
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MARVELOUS, MYSTICAL, RATHER SOPHISTICAL (AND PRATICALLY PERFECT)
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Quando venne rilasciato il primo trailer per Mary Poppins Returns, un placido primo pomeriggio di metà settembre, io mi trovavo a bordo di un autobus in direzione stazione di Ancona. Girava da un po’ la voce che sarebbe stato reso pubblico proprio quel giorno, e io avevo in effetti trascorso le precedenti otto ore (il lunedì la mia sveglia suona così presto che è puntata direttamente a “mortaccivostri”) a refreshare tutti i social esistenti  chiedendomi dove diavolo fosse quel video.
All’improvviso, sbam! In un tripudio di cori angelici, di cherubini, serafini e spazzacamini, il trailer.
Ora, dovete sapere che in tutte le mila volte che ho preso quell’autobus, il controllore è passato in due sole occasioni. L’ultima di queste è stata proprio quel lunedì.
Io mi ero appena sparata i tanto agognati due minuti e ventisei secondi, e il mio equipaggiamento di personaggio base consisteva in: n. 2 occhi a cuoricino; n. 1 sorriso ebete; n. 1 saracinesca abbassata nel cervello con un cartello con su scritto “Torno subito”. Se qualcuno avesse sbirciato oltre detta saracinesca avrebbe visto i miei neuroni fare il trenino cantando e sculettando un medley composto da Brigitte Bardot, Bardot, Maracaibo e La Notte Vola.
Io non so, giuro (giuro: non lo dico per aumentare l’effetto drammatico) che non ho idea da quanto tempo il controllore stesse cercando di attirare la mia attenzione. Avete presente Paola Perego che chiama “Presidente? Presidente?” quando Andreotti.exe smise di funzionare? Ecco.
Oh, alla fine il biglietto gliel’ho fatto vedere, eh, non si vada a pensare che con artifizi e raggiri stessi cercando di frodare la Conerobus S.p.A. Gliel’ho fatto vedere, e lui l’ha squadrato, poi ha squadrato me, ha pensato “Questa qua è totalmente fulminata ma almeno il titolo di viaggio è in ordine” e cià.
Morale della favola: quando si tratta di Mary Poppins, o quando si tratta di Emily Blunt (o, a maggior ragione, quando si tratta di Mary Poppins interpretata da Emily Blunt), io perdo totalmente la capacità di intendere e di volere. E, forse, anche e soprattutto la dignità.
It’s a good thing you came along when you did, Mary Poppins
“Arrivederci, Mary Poppins. Non stare via molto” salutava Bert alla fine del primo film.
È stata via cinquantaquattro anni e centoventi giorni.
Si tratta di uno degli intervalli di tempo più lunghi mai registrati tra un film e il suo sequel: se vogliamo escludere Bambi II, che è uscito direttamente in home-video sessantatré anni e centosettantotto giorni dopo, a detenere il record è Fantasia 2000, con i suoi cinquantanove anni e quarantotto giorni.
È un ciclopico lasso temporale - tanto ampio da vedere l’emergere della contestazione giovanile, l’uomo sulla Luna, la fine della guerra del Vietnam, la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS, le guerre jugoslave, l’abolizione dell’apartheid, la nascita di internet, l’11 settembre, la crisi economica più grave dopo quella degli anni ’30 e Leonardo DiCaprio vincere un Oscar - ma Mary non poteva tornare che ora: ora che i tempi sono più bui che mai, ora che c’è l’unica attrice in grado di darle la vita dopo dame Julie Andrews.
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Really? How incredibly rude. One never discusses a woman’s age, Micheal. Would’ve hoped I taught you better.
Non trattandosi di un remake ma di un sequel, questa Mary Poppins è la stessa Mary Poppins del 1964, ma ha caratteristiche peculiari tutte sue che di fatto la rendono una terza versione di se stessa. La pellicola, infatti, ci mostra dei lati della tata che la contraddistinguono tanto da quella del primo film tanto da quella dei libri, nel complesso creando un personaggio più sfumato e sfaccettato pur restando - e lo approfondiremo poi - sempre uguale a se stesso. E, ovviamente, praticamente perfetto.
Nei libri (*), viene descritta una Mary estremamente altera e vanitosa (“Ci teneva a mostrarsi nella sua veste migliore. In realtà, era sicura di mostrarsi sempre nella sua veste migliore”; “Sospirò di piacere quando vide tre se stesse [...] Le sembrava una vista così graziosa che avrebbe desiderato che di se stesse ce ne fossero una dozzina”; “Non guardava altro che se stessa riflessa nel vetro”; “Non aveva mai visto nessuno con una figura tanto elegante e distinta”), superba (“Poi, con un lungo poderoso sospiro, che sembrò significare che aveva formulato il suo giudizio, disse: «Accetto l’impiego.» E più tardi la signora Banks riferì al marito: «L’ha detto proprio come se ci facesse un grande onore.»; “Squadrò altezzosamente”, “Arricciò il naso con superiorità”; “Soggiunse con l’aria di compatirli”), brusca, sempre propensa a dire “no”, con una voce “fredda e chiara che suonava sempre come un ammonimento”, rigida in faccia e con “un terribile sguardo ammonitore” tanto che non la si poteva guardare e disobbedirle.
Gli unici momenti in cui la Mary del libro si mostra vagamente impacciata  sono quando è con Bert (“Mary Poppins abbassò lo sguardo, strisciando la punta di una scarpa sul pavimento, due o tre volte. Poi sorrise alla scarpa in un modo che la scarpa capì benissimo che quel sorriso non era per lei”) e i rari, rarissimi sprazzi di gentilezza riservati ai bambini mandano questi ultimi nel panico più totale, facendogli temere che stia per succedere qualcosa di brutto - nello specifico, che stia per lasciarli (“«Forse sarà soltanto per gentilezza» disse Giovanna per calmarlo, ma si sentì un tuffo al cuore come Michele. Sapeva benissimo che Mary Poppins non perdeva mai il tempo a essere gentile. Eppure, strano a dirsi, durante tutto il pomeriggio Mary Poppins non aveva detto neanche una parola sgarbata”; “Alla fine Michele non poté sopportarlo più a lungo: «Oh, sii sgarbata, Mary Poppins! Sii ancora sgarbata! Non è da te! Oh, mi sento tanto in ansia!»”).
Nel film del 1964 i tratti più spigolosi del personaggio appaiono decisamente smussati, vuoi direttamente dalla sceneggiatura, vuoi dalla grazia e dall’eleganza di cui era (è) infusa Julie Andrews. Tratti che, ad ogni modo, permangono: non a caso, la primissima volta che vediamo Mary la scopriamo intenta a sistemarsi il trucco e a contemplarsi allo specchio. Ancora, è lei stessa a descriversi come “gentile ma anche severissima”, e difatti non lesina sguardi di rimprovero ed espressioni sdegnate, sbuffi di esasperazione o un fermo tono di voce all’occorrenza.
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Dobbiamo aspettare fino alla fine del film per vederla “confusa dai sentimenti” (per quanto lei affermi vivamente di no), e cioè quando si appresta a lasciare i Banks consapevole che il suo compito è finito (almeno per i successivi vent’anni).
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La terza Mary è tutto questo (non sarebbe Mary Poppins, altrimenti), ma dietro ai modi spicci e alle espressioni scioccate e impermalite, specie quando viene fatto riferimento all’età 
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o, peggio ancora, al peso, 
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lascia intravedere anche una buona dose di empatia. La nuova generazione di Banks, infatti, colpita da un terribile lutto, sta cercando di riprendersi da una situazione ben più tragica rispetto a quella di Jane e Michael alla stessa età (cioè quella di avere un padre che, concentrato solo sul lavoro, materialmente presente ma emotivamente distante, non si rendeva conto che presto non avrebbe avuto “bimbi da poter viziar”). Così, quando John le fa notare che nell’ultimo anno, a seguito della morte della madre, sono cresciuti tanto, l’espressione di Mary è dolce e compassionevole, ma Emily è veloce a ricacciarla dentro, e a sostituirla con la pragmaticità che è solita contraddistinguere la tata. Ancora, dopo averli messi a letto, e cantata una dolcissima ninna nanna, al di là della porta chiusa indulge in un sorriso malinconico, di assoluta partecipazione al dolore di tre bambini rimasti orfani di madre.
Non solo, ma questa Mary, per quanto - come da tradizione - sia arrivata volando e abbia compiuto le magie più incredibili, appare anche più umana: di fronte alla porta della bottega della cugina Topsy (una certa Meryl Streep), quando questa le intima di andarsene perché è il secondo mercoledì del mese e il suo mondo si rovescia come una “tartaruga sdraiata su schiena”, la tata è genuinamente colta alla sprovvista. Si è totalmente dimenticata, come una persona normale. Viene mostrata una sorta di fallibilità che è difficile anche solo immaginare di associare alla Mary del libro o a quella del 1964. Badate, si tratta di una dimenticanza, questa, che è ben diversa da quella di cui alla prima metà del film, quando Mary conduce l’allegra brigata alla Royal Doulton Music Hall salvo poi scoprire che si è “dimenticata” di farla apparire: in questo caso, infatti, quando le viene fatto notare, è palese come quella sbadataggine altro non sia se non un calcolatissimo coup de théâtre.
A quella fallibilità fa peraltro eco la stessa Topsy, quando afferma che “Una volta tanto Mary Poppins ha ragione”.
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(Are you, though?)
Ciò non toglie che, per quanto più tenera o più “umana”, o caratterizzata così che emergano sfumature ulteriori rispetto alle descrizioni o interpretazioni precedenti, sempre di Mary Poppins stiamo parlando, cioè del più fulgido esempio - per dirla con Christopher Vogler (**) - di “Eroe catalizzatore”. Si tratta di “figure centrali [...] che non cambiano molto perché la loro funzione principale è provocare una trasformazione negli altri. Come i catalizzatori nella chimica, essi provocano un cambiamento nel sistema senza subire mutamenti. [...] questi Eroi subiscono pochi cambiamenti interiori e intervengono soprattutto per aiutare gli altri o guidarli nella crescita.”
Questo, ovviamente, vale soprattutto per le due Mary cinematografiche, in quanto quella cartacea ha ben poco ruolo nell’arco di trasformazione dei cinque piccoli Banks (o del Banks senior), limitandosi ad arrivare, far vivere loro le avventure più bizzarre e poi ripartire.
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La Mary del 1964, invece, nel rompere gli equilibri (de)cantati da George Banks, fa comprendere a quest’ultimo che il suo ruolo di padre non (deve) consistere soltanto nell’impartire una istruzione rigida, ma anche e soprattutto nell’essere presente in senso affettivo. E quella del 2018 è tornata per ricordare ai bambini di essere bambini, e agli adulti di esserlo stati. Tema, questo, recentemente affrontato dalla Disney anche nel bel Ritorno Al Bosco dei Cento Acri.
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In effetti, questa terza Mary ha anche un ruolo più attivo: è lei che mette (consapevolmente) in moto i meccanismi della trama, consegnando a Georgie lo scatolone che contiene - all’insaputa di tutti - il certificato azionario che stavano cercando, è lei che suggerisce al bambino di accomodare l’aquilone, è lei che evoca la folata di vento decisiva.
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Pratically perfect, in every way
Come Irene Adler è, per Sherlock Holmes, “La Donna” cioè il paradigma di tutto il genere femminile, così Emily Blunt è, per me, L’Attrice. Ha ragione Rob Marshall, il regista, a dire che nessun’altra persona al mondo, dell’uni o del multiverso, avrebbe potuto vestire i panni di Mary Poppins oltre lei.
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Per quel che mi riguarda, con questa interpretazione Emily è entrata nell’Olimpo dei grandi con la stessa prepotenza con cui Mary sfonda la porta della bottega di Topsy. Balla e canta come se lo facesse da sempre, e regala al personaggio guizzi che, vuoi per intuito, vuoi per preparazione o per talento innato, rappresentano la cifra dell’attrice che è. Per fare un esempio, in uno dei numeri musicali più riusciti, dal gusto vaudevilliano, affronta i ritornelli di A Cover Is Not A Book con la cadenza e il tono di voce di un vecchio ebbro (tant’è che, infatti, la canzone è una sorta di discorso diretto dello zio Gutenberg, “ubriaco un giorno sì e uno no”).
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La sua Mary è elegante ed eccentrica, dolce e lapidaria, straordinaria e umana, infallibile e fallibile. Mezzo secolo dopo Emily ha saputo riprendere in mano un personaggio ormai entrato nell’immaginario collettivo (e per il quale Julie Andrews ha vinto l’Oscar alla migliore attrice) e ha saputo infondervi nuova vita senza per questo venire meno agli elementi costitutivi del ruolo. Mi auguro che l’Academy ne tenga conto, o potrei non rispondere più delle mie azioni.
So when life is getting scary, be your own illuminary
La controparte di Mary non è più lo spazzacamino Bert ma il lampionaio Jack, apprendista del primo. Ad interpretarlo Lin-Manuel Miranda, che dimostra di essere a suo agio su un set cinematografico tanto quanto su un palco di Broadway. Ero a conoscenza dell’enorme successo di Hamilton, ma ignoravo che lui fosse un artista tanto talentuoso: ha guadagnato una nuova fan, senza dubbio.
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Once upon a time, there was a man with a wooden leg named Smith.
È stata una fortuna che, a suo tempo, abbia appreso la notizia del cameo di Dick Van Dyke nella privacy della mia camera: fosse accaduto su un autobus il controllore mi avrebbe fatta ricoverare direttamente, tanto mi sono fatta prendere dall’entusiasmo. Qui interpreta Mr Dawes jr, in uno splendido omaggio al suo secondo ruolo nel film del 1964, dove era, oltre a Bert, anche Dawes padre.
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Balloon, she wrote
Se la sala in cui ho assistito alla prima proiezione del film non ha battuto ciglio al palesarsi di Dick Van Dyke (segno che non vede più in là del proprio naso - va da sé che non si è nemmeno resa conto della presenza di Karen Dotrice, la Jane Banks originale), altra storia si è avuta quando è comparsa l’unica e sola Jessica Fletcher, accompagnata da un coro di “aaaaah, guarda chi c’è”. Angela Lansbury è una leggenda del grande e del piccolo schermo, e la sua presenza non è che un valore aggiunto in un film già bello di suo.
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Simply sensational, standing-ovational
P.L. Travers si starà rivoltando nella tomba: già non era entusiasta del fatto che i suoi libri divenissero un film, e non oso immaginare cosa avrebbe pensato se avesse saputo che mezzo secolo più tardi ne avrebbero girato addirittura un sequel (per tacere, poi, di Saving Mr Banks). Magra consolazione sarebbe stata per lei il fatto che Il ritorno di Mary Poppins è, secondo me, davvero un bel film.
Non nego che abbia dei difetti: ad esempio, non mi è piaciuto l’inserimento di un antagonista (un Colin Firth senza infamia e senza lode) perché cosa riuscitissima del primo film era che non vi fosse un vero e proprio cattivo se non le circostanze. Dopotutto, la (nuova) famiglia Banks andava benissimo a rotoli da sola senza la necessità dell’intervento del banchiere a rimarcarlo.
Riconosco altresì che quello che per me è un win per altri è un sin: per dire, ho apprezzato il fatto che i plot point dei due film siano praticamente paralleli, ma quello che per me è l’effetto rassicurante e familiare dell’aristotelica struttura in tre atti per altri può essere banale e “già visto”.
Ad ogni modo, parlando onestamente e con tutto l’amore che mi lega al film del 1964, questo secondo è tutto ciò che speravo sarebbe stato il sequel.
Poiché ho trascorso due ore con gli occhi a cuoricino, ritengo che abbiano saputo mantenere in vita quel senso di magia e meraviglia che è stato la fortuna di Mary Poppins. E non era scontato: il pubblico del 2018 non è lo stesso del 1964. Gli spettatori odierni hanno ormai il palato abituato alle trovate più fantasmagoriche, e se cinquanta anni fa vedere una tata discendere dal cielo o personaggi in carne ed ossa interagire con quelli disegnati sembrava (giustamente) un incredibile incanto, oggi siamo così assuefatti agli effetti speciali che non ci meravigliamo più di niente, e siamo così bombardati da storie di tutti i tipi (e da tutti i medium) che siamo alla costante ricerca di qualcosa che, vuoi per bizzarria, audacia o innovazione (penso a Black Mirror con l’episodio interattivo), riesca ad emergere dal mucchio di un’offerta vastissima. Dice bene Claire all’inizio di Jurassic World: “Siamo sinceri: nessuno si impressiona più con un dinosauro, ormai. Vent’anni fa la de-estinzione è arrivata come una magia. Oggi i bambini guardano uno stegosauro come un elefante al giardino zoologico. [...] I nostri ricercatori scoprono nuove specie ogni anno, ma i consumatori li vogliono sempre più grandi, più rumorosi... più denti.”
Il ritorno di Mary Poppins, invece, fa proprio questo: stupisce. E non tanto (o non solo) con le meraviglie dell’animazione 2D o degli effetti speciali ma con l’intimità di una piccola storia familiare.
Now my heart is so light that I think I just might start feeding the birds and then go fly a kite
Il film è sì un sequel che si regge perfettamente sulle sue gambe, ma è anche un omaggio lungo due ore: non si può fare a meno di notare come il numero dei lampionai richiami, tanto nell’ensamble quanto nelle atmosfere notturne, quello degli spazzacamini. E anche in questa seconda occasione Mary è vestita di rosso, a riprova di quanto nulla sia stato lasciato al caso.
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E la colonna sonora utilizza, in maniera nemmeno sottile, gli inconfondibili temi musicali di quella precedente, contribuendo a solleticare la nostalgia degli spettatori.
Ora, in sala, origliando i commenti, ho sentito che qualcuno si aspettava che Mary cantasse anche Supercalifragilistichespiralidoso: purtroppo non lo fa, ma se avessero prestato maggiore attenzione si sarebbero resi conto che l’adattamento italiano un piccolo easter egg ce l’ha messo: così, nel brano Royal Doulton Music Hall, il verso “At the highly acclaimable, nearly untamable / lavishing praisable, always roof-raisable” diventa “È la supercalibile fragilistibile chespiralibile edosolibile”. Una piccola cosa, ma apprezzalibile.
E sì, vero che le canzoni, per quanto sagaci ed orecchiabili, forse non sono memorabili quanto le altre, ma è altresì vero che mentirei se dicessi di essere uscita dal cinema senza canticchiare The Royal Doulton Music Hall o Trip A Little Light Fantastic.
(e comunque ciò non mi impedirà certo di ascoltare in loop, per il resto della mia esistenza terrena e anche ultraterrena, Emily Blunt cantare)
Dicevo che il film è un lungo omaggio: lo è non solo del suo diretto predecessore, ma anche della fonte originale. Per fare giusto un esempio, la sequenza vaudeville attinge a piene mani dall’universo creato da P.L. Travers: i capitoli 6 e 9 del secondo libro vivono all’interno di A Cover Is Not A Book.
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E il film, già che c’è, si prende la briga di citare anche un altro classico Disney, Pomi d’ottone e manici di scopa (che ha per protagonisti la già citata Angela Lansbury e David Tomlinson, cioè George Banks, e presenta canzoni scartate da Mary Poppins, a chiusura del cerchio): la sequenza subacquea è un diretto rimando a quella dell’altro film.
Entrambe le pellicole poi, con perfetta specularità, terminano con Mary che chiosa sulla sua perfezione, mentre da lontano osserva commossa i Banks che festeggiano la ritrovata serenità al parco, solo che in un caso la nuova leggerezza è data dagli aquiloni, nell’altro dai palloncini.
Now if your life is getting foggy that's no reason to complain, there's so much in store, inside the door of 17 Cherry Tree Lane
Il 2018 è stato l’anno di Emily e delle sue vasche da bagno (ma spero che a casa abbia la doccia, se non altro per motivi ecologici) e quello che mi auguro sia “in store” nel 2019 è una vagonata di premi, a cominciare dal Golden Globe, per il quale ha già beccato la nomination, passando per il SAG e per approdare all’Oscar. Altrimenti, lo ribadisco, potrei non rispondere più delle mie azioni.
E nessun controllore della Conerobus potrà far niente per fermarmi.
Se siete arrivati fin qui bravi, ma fate un ultimo sforzo e mettete un like alla pagina Emily Blunt Italia, che si ringrazia della condivisione dell’articolo.
* P.L. Travers, Mary Poppins, prima edizione digitale 2014 da III edizione Bur ragazzi, giugno 2010. Traduzione di Letizia Bompiani (1935)
** Christopher Vogler, Il viaggio dell’Eroe, Dino Audino Editore, 2010, p. 45
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guanellafilippine · 5 years
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News from Manila #40 - 16 giugno 2019
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Carissimi Amici un affettuoso saluto a tutti Voi. Che bello poter stare ancora con voi e condividere alcuni aspetti di mia vita filippina. Nelle due news precedenti vi ho parlato delle speciali devozioni nelle Filippine (Cristo Nazareno, Santo Nino di Cebu…..). In questo numero vorrei presentarvi una riflessione riguardo alla fede del popolo Filippino, alcune notizie di casa e una richiesta che mi sta tanto a cuore. Buona lettura !
La fede Filippina: la fede dell’uomo semplice e la fede di chi la sta perdendo La fede semplice è la fede della gente comune, operai, contadini, impiegati, uomini e donne di buona fede, che non sempre hanno le parole o la volontà di definire la loro fede. Essi la praticano, questo è tutto. Vivono con essa tutta la loro vita, senza porsi vere domande. La loro fede non è minacciata o distrutta da qualche evento esterno o da difficoltà personali, come un incidente o un lutto in famiglia. Queste persone sono immuni  alle conseguenze dei cambiamenti della civiltà o dello stile di vita. La loro fede fa parte della loro vita per sempre. Essi non la perderanno, qualsiasi circostanza si verifichi. Essa è profondamente radicata in loro, al punto che nulla la potrà portare via. La fede semplice è molto soggettiva, perché questi credenti sono totalmente indipendenti da eventi esterni.  Essa non cerca di comunicarsi agli altri.  Non invita a pratiche comuni, non sollecita e non richiede  scambi di comunità, a differenza delle manifestazioni filippine. Ogni persona vive la sua fede a modo suo. Sempre meno credenti vivono la loro fede in questo modo a causa delle difficoltà di rimanere indipendenti da circostanze esterne, come la cultura, i media, la comunicazione e i viaggi, che invitano a fare paragoni e a interrogarsi sulle proprie pratiche.   Ma ci sono poi i “cittadini contemporanei” che sono preoccupati per la loro vita quotidiana, le assicurazioni per il futuro, la salute, il benessere. Non c’è più spazio, nella loro mente, per domande sulla sorgente dell’essere e della vita. L’individuo finisce per non essere più in grado  di interrogarsi su se stesso e sulle sue origini, dal momento che non ha più alcuna esperienza che gli dica che qualcosa esiste al di fuori di lui. Guardando la realtà internazionale, questa evoluzione non è più appannaggio del mondo occidentale. Essa si verifica in tutte le regioni del mondo in cui è arrivato uno sviluppo economico che porta altre preoccupazioni e altre distrazioni alle popolazioni.   Anche qui da me stiamo assistendo ad un allontanamento dalle preoccupazioni religiose. La persone hanno molte altre possibilità di occupare  la loro mente e il loro tempo, piuttosto che seguire le credenze religiose. Le vocazioni al sacerdozio o alla vita religiosa diventano sempre meno numerose, come nel mondo sviluppato. La globalizzazione della mancanza di fede è ben avviata, e a diverse velocità.  La fede esige ora una forte decisione personale perché sia vissuta in questo contesto. Bisogna essere un vero eroe per mantenerla viva.  
Flores de Mayo 2019 La nostra Comunità in Manila ha celebrato durante il mese di Maggio la festa religiosa di “Flores de Mayo e Santacruzan”. Flores de Mayo, dallo spagnolo "fiori di Maggio", è una delle particolari devozioni alla Beata Vergine Maria regina del Rosario e si svolge per tutta la durata del mese. Protagonisti di questo evento sono stati 85 tra i bambini e ragazzi del nostro oratorio (compresi i nostri disabili) che accompagnati dai catechisti si sono riuniti ogni pomeriggio  per condividere il momento di  catechismo e la recita del Santo Rosario. Il più importante significato della festa è innanzitutto quello legato al ritrovamento della Croce Santa da parte della regina Elena, madre dell'imperatore Costantino. La storia narra che la donna raggiunse Gerusalemme nella speranza di recuperare la croce sulla quale Gesù venne crocifisso. Individuato il punto dove la croce era stata sepolta, Elena fece scavare il terreno finché non ne emersero tre. Quella del Cristo venne riconosciuta subito dopo che una donna malata, toccandola, guarì miracolosamente all'istante. Poiché la festa si celebra tradizionalmente nel mese di maggio, essa è associata alla devozione mariana, particolarmente sentita dal popolo filippino. L’evento di conclude con la processione di “Santacruzan” (dallo spagnolo Santa Cruz, "Santa Croce");  è lo spettacolo rituale  che ha luogo gli ultimi giorni del Flores de Mayo. La processione rende omaggio al ritrovamento della Santa Croce per opera della Regina Elena di Costantinopoli. In testa al corteo uno sciame di bambini, trasformati per l’occasione in angioletti con tanto di ali piumate; dietro di loro, incorniciate da archi floreali e accompagnate ognuna da due cavalieri, sfilano alcune donne, tutte molto giovani, simboleggianti le regine del Rosario: “Reyna Mora”, “Reyna Cleopatra” e così via fino alla “Reyna Elena” e alla “Hermana Mayor”, custode della statua della Madonna di Fatima. A chiudere il corteo, un gruppo di fedeli che accompagnano la processione pregando e cantando.
Notizie di casa Si torna a scuola Lunedì 3 Giugno la nostra scuola speciale “Guanella Center” per ragazzi disabili ha riaperto le porte, 46 gli studenti seguiti dai nostri quattro maestri. Secondo il livello di disabilità gli studenti sono divisi in quattro classi.  La settimana prossima come di consueto celebreremo la Santa Messa d’inizio d’anno, chiamata comunemente Messa dello Spirito Santo. Auguriamo ai nostri giovani studenti di vivere con impegno e generosità l’anno scolastico da poco iniziato. Il 3 Giugno sono anche stati aperti i cancelli di molte scuole pubbliche e milioni di studenti si trovano ora sui banchi di scuola. Il sistema scolastico filippino è attualmente relativamente ampio ed efficiente, considerate le condizioni socio-economiche del Paese. Buoni sono i risultati raggiunti nei campi dell'alfabetizzazione e scolarizzazione elementare, contenuta è la dispersione scolastica e l'accesso alla scuola secondaria è notevolmente diffuso. La qualità dell'istruzione offerta, all'interno della scuola sia pubblica che privata, è però molto variabile e ampio il divario fra i servizi offerti in ambito urbano e quelli disponibili nelle aree rurali. Il costante aumento della popolazione in età scolare, dovuto all'incremento demografico, e il rapido sviluppo economico e sociale esercitano infatti una crescente pressione sulla scuola, a cui lo Stato, gravato da un enorme debito pubblico, non può adeguatamente rispondere. La crescente domanda di istruzione superiore e l'insufficiente articolazione tra formazione e mondo del lavoro hanno inoltre portato al formarsi di una diffusa disoccupazione intellettuale.
Congratulations Brother Arun David e Brother Christian   Il 31 Maggio scorso si è tenuto presso il Centro di formazione teologica Recoletos il “graduation day”. Come centro teologico il centro offre un rigoroso curriculum ecclesiastico in “Bachelor of Arts in Sacro Theology” affiliato con l'Università di Santo Tomas. Due dei nostri studenti di Teologia, Brother Arun David (proveniente dall’India) e Brother Christian (filippino), hanno ricevuto il baccalaureato in sacra teologia. Brother Arun David ha presentato la tesi riguardante “L’Eucaristia centro della vita dell’istituto Guanelliano” e per Brother Christian  la tesi  ha posto l’attenzione sulle  “Apparizioni mariane nel contesto mondiale”. Mentre ci complimentiamo per il risultato ricevuto da due Confratelli, auguriamo a loro di preparasi con impegno alle prossime tappe della professione perpetua e dell’ordinazione sacerdotale.
Richiesta pulmino/Jeepney per i nostri ragazzi disabili Prima di scrivere questo ultimo articolo, nel quale voglio sollecitare amici e conoscenti a sostenere un nostro progetto,  ho pensato che  qualcuno potrebbe dire: “eccolo qua il solito Fra Cercott”…., e avete ragione!  Ma io sono speranzoso e confido nella Santissima Provvidenza, vediamo se riusciamo a realizzare questo sogno per i nostri ragazzi disabili. Come passano gli anni per gli uomini cosi passano gli anni anche per il nostro pulmino. Il nostro L300 Mitsubishi da mesi da segni di sofferenza e le riparazioni ci stanno costando non poco. Cosa fare ? Rimboccarsi le maniche e vedere di trovare una soluzione. Chiaramente avrete capito che ci serve un nuovo pulmino, ma la novità è che vorremo acquistare una Jeepney, un pulmino davvero particolare. La Jeepney è il principale mezzo di trasporto nelle Filippine. Questo particolare veicolo è noto per le sue decorazioni e colorazioni. I numerosi accessori aggiuntivi ne fanno infatti un mezzo di trasporto senza eguali, tanto da averlo reso un simbolo della cultura e arte delle Filippine. Le Jeepney sono prevalentemente utilizzate come mezzo di trasporto pubblico, mentre altri fungono da veicoli personali. E questo è quello che noi vorremmo, una Jeepney per uso privato. La Jeepney ha La capacità di trasportate ben 22 persone, due nella zona guida e 20 persone sedute sui sedili posteriori. Allego due foto per avere un’idea di quello che stiamo chiedendo. Costo del mezzo, con aria condizionata e registrazione/assicurazione è di 985.000 pesos (in euro 17.280 €). Se qualcuno fosse interessato e volesse darci una mano a realizzare il sogno/progetto ecco i dati per eventuali versamenti: ASCI  Filiale di Roma              
Conto Corrente Postale: 70767314
Banca Popolare di Sondrio Filiale 082 Roma:
Iban IT63 O056 9603 2040 0000 7320 X53                   
Sempre  evidenziare bene la causale: PROGETTO JEEPNEY MANILA
  Grazie a quanti ci  potranno sostenere con la loro generosità !
Cari amici vi invio un caloroso saluto da Manila. Per alcuni di voi le vacanze sono già iniziate, altri sono ancora in attesa. Sia per tutti questo periodo di vacanza tempo per un meritato riposo nel quale rinnovare anche la nostra vita alla luce della Fede.
Vi ricordo tutti nella mie preghiere e buon mese del Sacro Cuore di Gesù. Ciao  Fr. Mauro
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Una piccola riflessione sulla "gente famosa" e la differenza di stile. Da una parte due mentecatti come Fedez e J AX. Due tipi che in vita loro non hanno mai lavorato. Cantare quella roba che cantan loro tutto è tranne lavorare, siamo sinceri. A 12 anni componevo rime migliori di quelle zoppe che compone più o meno ogni cantante di quel genere in Itallia. E credo che ogni persona che abbia lo scrivere tra gli hobby sia più capace di questi pseudo cantanti a scrivere testi. Come mai sono famosi, dunque? Perché in Italia paga la mediocrità: Vasco Brondi docet (il migliore cantautore italiano degli ultini 25 anni probabilmente, ma in quanti lo conoscono?) Dicevamo. Questi due grandi artisti, arrichitisi cantando strofe di bassa lega inneggianti al "fare un po' come cazzo mi pare" (conosco bene J AX, è della mia generazione. Ricordo i suoi testi sulla maria e sul "non rispetto delle regole". Conosco meno Fedez. Azzardo che anche lui si sia arricchito cantando stronzate apparentemente "anticonformiste"), questi due grandi artisti, dicevo, si scopre che hanno cacciato via i bambini che andavano da loro a farsi firmare autografi sul diario o sul quaderno. Spieghiamo. C'è sto posto (centro commerciale, libreria, non so) e ci sono i due "grandi artisti anticonformisti alternativi di sto cazzo" che firmano i cd a un banchetto. Solo i cd, attenzione. Giusto: la REGOLA è che si firmano solo i cd. Ma se dopo 4 ore di fila un bambino ti arriva col diario, e non col cd, tu che fai? Pensi: "sti cazzi alle regole" o lo fai allontanare dalla sicurezza mentre piange come un disperato, dicendo poi a una giornalista di Repubblica, interpellato a proposito, che "le regole sono regole, è colpa dei genitori che non dovevano farlo mettere in fila!" INTENDIAMOCI: nulla di "sbagliato", concettualmente. Ci sono delle regole, le faccio rispettare. Nulla di sbagliato, s eparlassimo di altri ambiti, di altre cose. Qui parliamo di pseudo artisti che vi hanno fatto credere (a voi, io non ci ho mai creduto e sti due mi sono sempre stati sul cazzo. fighetti milanesi arrichiti per caso. insulsi artisti del nulla) di essere "alternativi, sporchi cattivi e contro il sistema". Già. Fare i soldi perché si urla di essere CONTRO IL SISTEMA. E far piangere i ragazzini, farli cacciare dalla sicurezza come dei criminali perché "non hanno rispettato le regole". Ipocrita e imbarazzante. Torniamo alla partenza del post: differenze tra artisti. Differenze tra uomini. Avete presente Zerocalcare? Uno che è diventato famoso dopo aver fatto mille lavori di merda, uno che sa cosa significa sudarsi i soldi. Lui sta a firmare autografi anche per 16 ore di fila. Anche fino all'alba, fino a che non c'è più nessuno. L'ho conosciuto, qualche anno fa: fidatevi... non cacciarebbe un ragazzino manco se andasse lì a farsi firmare un fumetto di Recchioni, invece che il suo. Una volta disse, a chi gli chiedeva perché se ne stava fino all'alba a firmare autografi e fare i disegnetti, come dice lui, mentre avrebbe potuto tagliare corto ore e ore prima, disse che prima di diventare famoso lavorava a Fiumicino, all'aeroporto. Faceva le pulizie, o qualcosa del genere. Si alzava alle 4 di mattina per fare un lavoro di merda. Ora fa quello che gli piace fare, si ritiene fortunatissimo. E per questo tirare l'alba ogni tanto per far contenti quelli che gli consentono, con il loro sostegno, di poter fare quello che vuole be', per lui non è un peso. Per lui è il minimo. Capite la differenza tra un artista vero e due buffoni? Capite la differenza tra uno che, seppur arrivato (fumettista più venduto d'Italia, tirature dei suoi albi con numeri da capogiro) se ne va in Siria in zone di guerra per capire cosa succede, perch lui non è "alternativo" solo a parole, e due buffoni di cantanti che non firmano i diari ai ragazzini perché è "contro le regole"? 
David Fivoli
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ilcielodipuglia · 5 years
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C’è un bambino per strada (Armando Tejada Gómez Mendoza, Argentina 21/4/1929 – Buenos Aires, Argentina 3/11/1992) A quest’ora, esattamente, C’è un bambino per strada. Gli dico amore, mi dico, ricordo che io andavo con le prime luci del mio sangue, a vendere, un’oscura vergogna, la storia, il tempo, giornali. Perché è quando ricordo anche le presidenze, urgenti avvocati, conservatori, schifo, quando vengo alla vita cantando l’innocenza, la mia infanzia triturata da scarsi centesimi, dalla quantità minima per pagare la sosta come un carro merci e sapere che a quest’ora ora mia madre sta aspettando, voglio dire, la madre di bambini infiniti che escono e ci chiedono con il loro volto di madre, che avete fatto della vita, dove metterò il sangue, che farò col mio seme se c’è un bimbo per strada. È onore per gli uomini proteggere quel che cresce, preoccuparsi che non ci sia infanzia sperduta per le strade, evitare che naufraghi il suo cuore di barca, la sua incredibile avventura di pane e cioccolata, attraversare i suoi paesi di banditi e tesori, mettendogli una stella al posto della fame, altrimenti è inutile provare sulla terra l’allegria ed il canto, altrimenti è assurdo perché a niente serve se c’è un bimbo per strada. Dove saranno andati i bambini che stavano con me guadagnandosi la vita in ogni dove. Perché su questa strada ostile ferocemente cadde Toto in avanti con il suo poco sangue, con i suoi vestiti di carità, col suo dolore a pezzi. E ora ho bisogno di sapere chi di loro sorride, la mia canzone ha bisogno di sapere se si sono salvati, perché se no è inutile la mia gioventù di musica e che quest’anno mi farà molto male la primavera. Contano due maniere di concepire il mondo. Una, salvarsi da soli, buttare ciecamente gli altri giù dalla zattera e l’altra, un destino di salvarsi con tutti, impegnare la vita fino all’ultimo naufrago, non dormire stanotte se c’è un bimbo per strada. Esattamente adesso, se piove nelle città, se scende la nebbia come un rospo dall’aria e il vento non è nessuna canzone alle finestre, non deve andare il mondo con l’amore scalzo sventolando un giornale come un’ala nella mano, arrampicandosi sui treni, scambiandosi sorrisi, battendosi il petto con un’ala stanca, non deve andare la vita, appena nata, a prezzo, l’infanzia messa a rischio da uno stretto guadagno, perché allora le mani sono due pesi inutili ed il cuore, soltanto, una brutta parola. Quando uno va in giro per il paese o attraversa in treno la geografia del silenzio, la patria esce a guardare l’uomo con i bambini nudi e a chiedere che data corrisponde alla sua fama, che storia lo riguarda, quale luogo sulla carta, perché dentro un Nord dentro un Sud trova la spalla scandalosa delle grandi città nutrendosi di grano, viti, canneti, dove lo zucchero sale come un giunco nell’aria, uno trova, i pochi giornali, un sordo compito di madri con orari e padri silenziosi stremati nelle fabbriche, e ci son giorni in cui camminando all’alba trova il maltempo addormentato con un bambino in braccio. E uno ricorda nomi, aneddoti, signori che a Parigi han bevuto dall’antica bellezza di Dio, sopra la chiatta dove la solitudine gli si è fatta davanti e la natura triste dell’uomo solitario, intanto, le sue signore, si angosciano e cambiano amanti la notte, e il medico la sera, perché la loro angoscia non c’entra con il mondo e sono loro azionisti di ogni bambino scalzo. Loro han dimenticato Che c’è un bimbo per strada, che bambini a milioni vivono per la strada e miriadi di bimbi che crescono per strada. A quest’ora, esattamente, C’è un bambino che cresce. Io lo vedo che stringe il suo cuore piccino, guardandoci noi tutti coi suoi occhi di favola, viene, sale su fino all’uomo che accumula le cose, un lampo tronco gli incrocia lo sguardo, perché nessuno protegge questa vita che cresce e l’amore si è perso come un bimbo per strada.
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