Tumgik
#Marcia dei figli di migranti
abr · 5 years
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Questa mattina, mi sono alzato ...
... obellaciao ciao ciao ciao, e ho portato tutti i miei ragazzi alla marcia per il Pianeta, lasciandoceli e allontanandomi velocemente (*). 
- Perché me l’hanno chiesto e credo nella libertà individuale, anche dei teenagers;
- perché trovo cosa buona e giusta che i ggiovani stiano coi ggiovani; 
(inciso: peccato che non ci siano più tanti ggiovani come quando ero ggiovane; questo sta provocando molte cose brutte per tutti (tipo i migranti: chissà qual’è la causa e quale l’effetto) e soprattutto per i ggiovani, come il loro scarso peso specifico e prospettive in società: altro che clima, per questo - fate più bambini, cazzo! -  i ggiovani dovrebbero marciare contro noi vecchi imho, ma questa è un’altra storia); 
- perché bisogna essere senza cuore (**) per non esser social-qualcosa quando si è teenagers - e bisogna esser senza cervello per rimanerci dopo i 30;
- perché così abbiamo parlato di climate disruption la sera prima a cena. Li ha colpiti la storia delle scoregge di mucca, secondo alcuni pirloni causa non secondaria di innalzamento del CO2 in atmosfera, quindi “da gestire” (se vogliono che mangiate meno carne, non è perché i vitellini gli fanno pena). 
(*) non sono un bimbominkia, cioè uno di quei genitori “amico” dei figli perché ggiovanedentro (in realtà lì solo per controllare),
(**) nel mio caso, mai stato social - qualcosa: allora ero ancora più INTJ di adesso. 
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ultimavoce · 5 years
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Ius Soli e Ius Culturae; La lunga marcia dei nuovi italiani
#IusSoli Vs #IusCulturae. Cos'è che sta realmente a cuore ai #nuoviitaliani?
Ius Soli o Ius Culturae?
Il tema del diritto di cittadinanza ai cittadini extracomunitari, nati sul territorio italiano,  torna ad alimentare il dibattito politico e sociale quotidiano.
La politica ha chiesto realmente ai “nuovi italiani” cosa è davvero importante per loro?
Un diritto acquisito per legge o uno che permetta loro di non essere considerate “persone”  di secondo grado?
E’ probabile…
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paoloxl · 5 years
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(via Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network: Frateli ditaglia)
La meravigliosa performance del consigliere comunale di Ferrara Alessandro Balboni, esponente  e capogruppo di Fratelli d'Italia, avvenuta qualche giorno fa, è assolutamente paradigmatica. Riassume in sé tre capisaldi della destra italiana del Terzo Millennio: 1) l'eterno complesso di inferiorità rispetto a una nebulosa e generica "cultura di sinistra", naturalmente monopolizzatrice e arrogante; 2) le grancasse sul degrado, il decoro e l'incuria, alle quali la civilissima società italiana è cosí sensibile e attenta; 3) i social media. Se qualcuno volesse leggere della vicenda in cronaca, che supera di gran lunga qualsiasi cosa escogitata da Lercio (però questa è vera), può andare sulle edizioni dei vari giornali emiliani e nazionali; in pratica, qualche giorno fa, il consigliere ferrarese Balboni Alessandro, fratello d'Italia sempre alla ricerca di nuovi degradi e nuove incurie da offrire al popolo ferrarese, si è imbattuto, presso la Certosa della città Estense, nientepopodimeno che nella tomba di Torquato Tasso, il sommo poeta della Gerusalemme Liberata che dimorò a lungo presso la corte del duca Alfonso II d'Este. Il Balboni ha prima ricevuto una indignata segnalazione da un cittadino, tale Alessandro Ferretti (la congiura degli Alessandri!) e poi non ha perso tempo per non lasciarsi sfuggire la ghiottissima occasione. Poiché la tomba di Torquato Tasso, al pari di altre, versa in condizioni pietose, dovute ovviamente alla bieca sinistra abbandonatrice d'illustri & itàlici sepolcri, il fratello d'Italia si è quindi recato di persona presso il sepolcro del Poeta accompagnato dal Ferretti segnalatore; i due si sono poi scattati dei selfies a testimonianza dello scempio perpetrato ai danni delle mortali spoglie di uno dei più importanti letterati italiani: Il fratello d'Italia Balboni dinanzi alle urne del Tasso. Indi, il Balboni ha preso la sua bella pagina Facebook e ha vibratamente denunciato lo stato di incuria, di degràdo, di abbandono degli illustri sepolcri della Certosa Ferrarese. Denuncia immediatamente ripresa dall'edizione ferrarese del "Resto del Carlino", che sarebbe consigliabile leggere dato il suo afflato d'indignazione, di amore per la cultura e di orgogliosa rivendicazione: "La cultura è una cosa seria, serissima. La cultura deve essere il motore di Ferrara. [...] Ci siamo sentiti dire che siamo dei rozzi e dei bifolchi senza cultura da una sinistra che per anni si è arrogata il ruolo di depositaria della 'Cultura'. Se questa è la risposta che danno, c'è da interrogarsi ampiamente sul loro operato." Il cittadino Ferretti Alessandro aggiunge: "E pensare -ricorda- che con le scuole ci portavano qui in Certosa per vedere le urne che la città di Firenze (dove ancora riposano le ceneri di Tasso), donò alla nostra città". Di fronte a cotanto scempio, il Balboni non si è fermato: ha infatti constatato anche lo stato di grave abbandono del sepolcro di un altro illustre cittadino ferrarese, l'aviatore fascista Italo Balbo. Qui, come dire, il Balboni giocava in casa. Da segnalare anche la chiusa indimenticabile dell'articolo del "Carlino", un autentica perla del suo autore, tale Federico Di Bisceglie: "Forse, con lo sguardo severo dei secoli, il tormentato poeta in forza alla corte di Alfonso II d'Este scriverebbe la Gerusalemme dimenticata. O la Ferrara che dimentica." Certo che questa Ferrara, specialmente quella del consigliere atque fratello d'Italia Balboni, del cittadino Ferretti e anche dell'articolista carliniano Di Bisceglie, di cose, in effetti, ne dimentica parecchie. Come fatto gentilmente notare a stretto giro di posta -pardon, di social- dal sindaco, Tiziano Tagliani, il quale ha adoperato un decente termine quale castroneria laddove altri sarebbero ricorsi a parole oltremodo più colorite, l'indignato Balboni dovrebbe piuttosto interrogarsi sulla miserrima figura che ha fatto fare ad un'onorata e storica città che, agli inizi del secolo XXI, produce personaggi come lui. E poiché noialtri siamo un po' meno gentili e non ricopriamo cariche istituzionali, possiamo usare le parole colorite di cui sopra: proprio una cosmica figura di merda. La "Ferrara che dimentica", degnamente rappresentata dai Balboni, dai cittadini indignati e dagli articolisti pindarici, si è infatti dimenticata, ad esempio, che Torquato Tasso, sin dalla sua morte avvenuta in Roma nel 1595 (esattamente il 25 aprile di quell'anno: una data che dev'essere senz'altro non molto amata dai Balboni d'Italia), è sepolto giustappunto a Roma, con tutti gli onori e regolare iscrizione in latino, nella chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. Roma, chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. La tomba di Torquato Tasso (quello non dottore). Presso il cimitero della Certosa di Ferrara, che -come ricorda il sindaco- è cimitero cittadino solo dal 1813 (vale a dire 218 anni dopo la morte del Torquato Tasso poeta), si trova sepolto tale dottor Torquato Tasso, un medico ferrarese morto agli inizi del XX secolo, la cui vita, come si legge nell'iscrizione, era stata improntata "ai sublimi ideali del dovere e dell'amore" fra i quali "trascorse la sua intemerata esistenza". Al Balboni sarebbe dunque bastato controllare su Wikipedia, ora che tutti questi meravigliosi marchingegni tecnologici permettono di verificare dove effettivamente si trovi il sepolcro del Poeta senza doversi recare alla chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo a Roma o, peggio, in una biblioteca. Ma anche senza verificare a Roma, in una biblioteca o su Wikipedia, magari qualche piccolo sospetto sarebbe potuto insorgere nella fulgida mente del fratello d'Italia e del suo indignato cittadino segnalatore. Immaginarsi l'immortale Poeta Torquato Tasso sepolto col titolo di "dottore" e con i "sublimi ideali del dovere e dell'amore" è come pensare all'ingegner Dante Alighieri, sposo onorato e marito esemplare, al ragionier Ugo Foscolo per sempre rimpianto dai colleghi della ditta o all'avv. Alessandro Manzoni crudelmente rapito alla fedele sposa e ai figli adorati e per tutta la vita ispirato da princìpi di assoluta giustizia e di severa imparzialità. Il cittadino indignato Ferretti Alessandro, coprotagonista dei selfies, fa poi intravedere uno stupendo e indicativo spaccato delle scuole ferraresi "Leonardo da Vinci" (anzi: "Scuole Prof. Leonardo da Vinci", anch'egli -ovviamente- sepolto a Ferrara) di qualche anno fa, quando le classi -evidentemente- dovevano essere portate presso la tomba del dottor Torquato Tasso dicendo ai bambini e ai ragazzi che là era sepolto il Poeta dell'Aminta (tanto per non nominare la solita Gerusalemme Liberata, e con la certezza che, se qualcuno chiedesse al Ferretti dell'Aminta risponderebbe che si tratta sicuramente di un centrocampista della SPAL degli anni '60). Non solo: le "urne del Tasso", indicate nel selfie dal Balboni con un'espressione dalla quale traspaiono la tempesta di cervello in atto nella sua scatola cranica e il mælstrøm di cultura che gli turbina nel profondo dell'essere, sarebbero state "donate dalla città di Firenze", dove "ancora riposano le ceneri del Tasso". Vale a dire: la città di Firenze (dove al massimo esiste una Piazza Torquato Tasso, in Oltrarno) avrebbe donato a Ferrara solo le urne (una delle quali riempita di terra come un volgare vaso di fiori, come si vede nel selfie del Balboni; sarà mica, per caso, proprio un vaso di fiori?), tenendosi però le ceneri. Dal che, peraltro, si evince che la grandezza del Poeta era tanta, che le sue ceneri sarebbero state addirittura divise in più urne (due etti e mezzo in una, quattro etti in un'altra e così via). E le ceneri del Tasso, Firenze, dove mai le avrà messe? In un cestino alla fermata dell' 11 e del 37 in piazza Tasso? Suggerirei a qualche fratello d'Italia fiorentino di andare a controllare, magari a quel Giovanni Donzelli che fu cacciato a calci nel sedere da un negozio dove si vendono articoli in canapa (pianta tessile utilizzata fin dall'antichità) dopo avere organizzato una pagliacciata mediatica credendo che vi si spacciasse cannabis. Ma le imprese tombali del Balboni e del Ferretti non sono terminate, inserendosi appieno in quella che dev'essere una vera e propria campagna cultural-cimiteriale dei fratelli d'Italia. Come detto, secondo il Balboni e il suo suggeritore, anche la tomba di un illustre ferrarese, Italo Balbo, quadrumviro della Marcia su Roma, comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, aviatore di possenti raid che mostrarono al mondo la giòvine gagliardìa dell'Italia fascista, governatore generale della Libia, potenziale e accreditato rivale del Dvce e, infine, misteriosamente abbattuto per errore dalla contraerea italiana nei cieli di Tobruch il 28 giugno 1940, si troverebbe in stato di abbandono, incuria, degrado ecc. Ignorando quale dottor Italo Balbo, magari ferreo militante comunista della Bassa Ferrarese, si trovi sepolto al Cimitero della Certosa, c'è però da dire che, con le tombe, proprio il Balboni non ci azzecca. L'Italo Balbo fascista & abbattuto si trova infatti sepolto, assieme ad alcuni suoi compagni aviatori e di avventure periti nei raid e in guerra, nel cimitero di Orbetello (Grosseto), per espressa sua volontà manifestata ancora in vita. Orbetello era stata la base di partenza per i suoi raid aerei attorno al mondo. Orbetello (Grosseto). La tomba degli aviatori, capitanati da Italo Balbo. Nella giòvine e confusa mente del Balboni Alessandro da Ferrara, incorniciata da regolare barbetta del III Millennio e giubbone col pelo che è tanto di moda, si agitano quindi tombe. Torquato Balbo, Italo Tasso, e vattelappesca chi altro. Coadiuvato da coltissimi cittadini che, da ragazzi, andavano con le scuole a rendere omaggio alle urne vuote di Torquato Tasso donate da Firenze, del fratelo ditaglia Alessandro Balboni, che -non nutriamo dubbi- proseguirà la sua luminosa carriera politica a base di degradi, incurie, migranti, meloni, glòbbar còntatt e quant'altro, risentiremo senz'altro parlare. Dopo aver finalmente denunciato il grave stato d'incuria della tomba del suo avo Benito Mussolini, che come tutti sanno si trova a Ferrara con tanto di urne, sarà un giorno fatto ministro della 'hurtùra. A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, come cantava l'immortale Poeta Gabriele d'Annunzio (o era Giosuè Pascoli?), la cui urna, degradata e incuriata dalla sinìstra, si trova anch'essa a Ferrara. Gli vorremmo quindi dedicare, modestamente e per chiudere, una canzone dei ferraresissimi Elio e le Storie Tese. Ma un lontano giorno, anche le urne del Balboni, dimenticate e in condizioni di colpevole abbandono al cimitero della Certosa di Ferrara, saranno riscoperte da un suo pronipote, fascista del IV Millennio, e debitamente denunciate; solo che Alessandro Balboni è sepolto a Caltanissetta fin dagli ultimi anni del XXI secolo. Pubblicato da Riccardo Venturi a 22:32:00
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don-vito-rap · 4 years
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#serenabortome qui siamo in Italia vattene dai tuoi padroni russia cina inutile fai ipocrita te e tuoi testimonial gay trans #pedofili varii e #Fai obsolete ville di ricchi atei salone di specchi salone di dei ahahah esiste un solo Dio e x quelli come te c'è solo fuoco eterno IPOCRITA PEGGIORE SULLA TERRA fai finta di commuoverti x anziani #covid19 ma li state ammazzando apposta voi #comunisti x non pagare pensioni, ,,, perché non parli di #denatalita' invece di #carolinamorace che sposa una donna,,, magari voi ricchi elite affittare utero di povere India ucraina etc x avere figli di plastica coi capelli e occhi come volete voi SIETE PEGGIO DEL DOTTORE MENGELE, FATE SCHIFO ALLA CACCA DI RATTO! Peggio del demonio siete,,,, NON AVETE SCAMPO DAL re dei re,,, vi seguirà e finirete stuprate nelle periferie dove ammassati vivono migranti e poveri italiani a cui voi elite piace sottoporre a guerra tra poveri, ,,, questi gatti in preghiera sono Meglio di te e se eri al tempo di mio fratello Noè non ti facevamo salire su arca manco se paghi oro in quintali,,,, sei la più demone della terra, forse solo anticristo ti supera, , dirgli di venirti a difendere non vedo l'ora di farvi la festa,,,, e non nominare mai più Dio invano,,,, se no un infarto a te a tuoi cari per noi é cosa semplicissima! Se Italia è così priva di valori e finge di stare coi giudei,,,, Ma solo in tv eheheh qui sta un arabo e giudeo super vero,,, venuto a giudicarvi CORROTTI COME LA PECE,,,, siete tutti come PILATO E CAIFA E ERODE E SALOME e non arrivate vivi a capodanno,,,CONVERTÌTEVI A DIO UNO UNICO UNIPERSONALE,prima che viene un giorno che vostri sguardi saranno come Jerry lewis ma non per comiche ma x paura COVID È SOLO PRIMA DI CENTO PIAGHE PERCHÉ QUI STA UNO PIÙ DI GIONA PIÙ DI MOSÈ PIÙ DI SALOMONE E FRATELLO DI MUHAMMAD È PIÙ DI OGNI PRETE IMAM RABBINO CHE riuscite a comperarvi io vi spacco i reni polmoni cuore fegato a tutti senza manco sporcarmi le Mani mi basta dire ALIF RA NUN SHIN QAF ed avviene, occhio a cosa dite pensateci bene sempre,atei merde al Muro e basta!!! Bergoglio non rappresenta manco unghia marcia di piede sinistro di quel dubbioso uomo che era Simone figlio di Giona! (presso Don Vito's Cats Bar Home) https://www.instagram.com/p/CGaGFj-JoWM/?igshid=3nkhibg2hjcs
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corallorosso · 6 years
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Madina, la bambina afghana respinta dalla Croazia, è stata sepolta in Serbia A sei anni, uccisa sul confine dopo che la famiglia stava cercando di entrare in Europa. La guardia di frontiera li aveva respinti di Alessandra Muglia Singhiozza sulla terra ghiacciata che copre il corpo della figlia. Madina aveva solo sei anni. La sua vita se l’è portata via un treno di notte al confine tra Serbia e Croazia, mentre camminava lungo un binario sognando l’Europa. Non si dà pace Rahmat Shah Hussein, 39 anni, da due in fuga dall’Afghanistan insidiato da Isis e talebani. Era stato minacciato perché aveva lavorato per le forze americane e voleva mettere la sua famiglia al sicuro. In quattordici avevano attraversato l’Iran e la Turchia, la Bulgaria infine la Serbia. Per quasi un anno sono rimasti intrappolati in quel limbo dove sono si trovano intrappolati altri settemila migranti da quando — nel marzo del 2016 — l’Europa ha chiuso le sue porte a quanti erano in marcia dai Balcani. Gli Hussein erano pronti per l’«ultimo miglio». Ma per passare il confine si sono dovuti dividere: i soldi per avvicinarsi alla frontiera croata in taxi non bastavano per tutti. E hanno iniziato a farsi strada prima la moglie con Madina e altri cinque figli. Oltrepassato un campo con filo spinato — racconta la madre Muslima all’Agence France Presse — sono arrivati in Croazia, stato dell’Unione dove contavano di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Dopo ore di cammino invece le guardie di frontiera li hanno bloccati a Tovarnik, cittadina al confine con la Serbia, e li hanno rispediti indietro. A nulla sono servite le suppliche della madre, che aveva implorato di poter almeno ripartire con la luce del giorno, per far riposare i suoi bambini, quattro sotto i dieci anni. Ma la polizia croata è stata irremovibile: li ha scortati alla frontiera, con l’indicazione di seguire i binari della ferrovia, «senza nemmeno avvisarci che di lì a poco sarebbe passato un treno» ha raccontato la donna. Stremati, al freddo e al buio pesto, Muslima e i suoi figli hanno ripreso il cammino. Fino a quel rumore sordo che si è portato via la sua bambina. Madina è stata investita vicino a Sid, ultima cittadina in Serbia prima del confine croato. È il fratello Rashid a trovare la sorellina, sbalzata di qualche metro e coperta di sangue. Sconvolti, i familiari sono andati a chiedere aiuto alle stesse guardie croate di frontiera che li avevano respinti. Sono rimasti bloccati nella foresta per un’ora, con gli agenti che intimavano loro di aspettare la polizia serba. Nel frattempo la piccola è stata portata via da un’ambulanza: sua madre avrebbe voluto salire a bordo ma le è stato impedito. E nemmeno è riuscita a sapere dove veniva portata. I familiari vengono riuniti a Belgrado ed è qui che, due giorni dopo l’incidente, apprendono che Madina è morta. Madina se n’è andata così, respinta illegalmente da un Paese dell’Unione europea. Secondo Msf, almeno sette profughi, di cui tre bambini, sono morti al confine tra Serbia e Croazia nell’ultimo anno, proprio lungo la linea dei binari tra Tovarnik e Sid. Madina riposa in pace, purtroppo non da sola. Corriere ella sera
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giancarlonicoli · 4 years
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2 MAR 2020 10:00
PENNACCHI: QUANTE NE DICE, MA QUANTE NE HA PRESE - “LA SINISTRA NON CAPISCE CHE LA GENTE VA DA SALVINI NON PER CATTIVERIA O RAZZISMO, MA PERCHÉ…” - LE BOTTE? LE HO SEMPRE PRESE. OGGI, SAREI PERSINO VEGANO, SE NON RIMANESSI UN UOMO DEL VECCHIO MONDO USO A MANGIARE ABBACCHIO” – “SCRIVO PER SENSO DEL DOVERE. MA MI SONO STUFATO - MIO FRATELLO? ERA UN TESTA DI... PERÒ MI MANCA”. "MIA MADRE NON MI HA MAI CAPITO" - LA LEZIONE DELL’ILIADE PER SUPERARE L’ANTIFASCISMO…
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Candida Morvillo per il “Corriere della Sera”
ANTONIO PENNACCHI
A passeggiare per Latina con Antonio Pennacchi si rischia la pelle in vari modi. Perché a un passante che impreca per fatti suoi lui indirizza un «ma vaffa' tu» o perché si ferma in mezzo alla strada al culmine di un' invettiva partita dalla necessità di superare l' antifascismo e approdata all' Iliade , a Priamo e Achille «vittime e carnefici che si abbracciano, piangendo ambedue sul dolore del mondo». Maestro, azzardo timidamente, quell' auto ci stava venendo addosso. Niente.
Pennacchi resta lì. «Priamo piange pensando a suo figlio Ettore ucciso da Achille, Achille lo abbraccia e piange pensando a suo padre, al suo amico Patroclo morto e pure a Ettore, che lui ha ucciso, e a se stesso, che verrà ucciso. E quindi insieme piangono sulla condizione umana, che è la stessa, a prescindere dalla parte in cui stai». Io: maestro, siamo sempre in mezzo alla strada.
Pennacchi, però, sta pensando a sé «fasciocomunista» come nel titolo di un suo celebre libro, e alle botte, vere e metaforiche, date e prese stando da una parte o dall' altra. «Capisce? Io ero Achille e ho dovuto fare Achille. Tu eri Ettore e hai fatto Ettore, ma siamo uguali. È il polemos , è la legge del più forte. Allora, questo Paese deve non perdonare, ma elaborare. Invece, nel 2020, siamo ancora al paradigma antifascista». S' avvia al marciapiede, scuote il capo, avvilito. «Io parlo, parlo, e lei chi sa che scrive».
Andare in giro per Latina con lo scrittore che nel 2010 ha vinto lo Strega raccontando in Canale Mussolini Latina e la sua gente, quei migranti venuti qui a domare paludi, è come trovarsi in un romanzo dal vivo. Ti mostra la Banca d' Italia dove nel '44 i tedeschi fecero saltare il caveau che suo zio svuotò con la carriola, fregando sia i tedeschi sia gli americani, e questa è la scena che apre Canale Mussolini parte seconda . Ti porta nelle piazze dove ha manifestato prima da fascista, poi da sindacalista, quando per trent' anni è stato operaio in fabbrica, e ti porta nel triangolo di vie dove si picchiava col fratello, che si chiamava Gianni, ma è Manrico nel Fasciocomunista e nel film Mio fratello è figlio unico , interpretato da Riccardo Scamarcio mentre Elio Germano fa Antonio e sempre la gente s' affacciava: «Guarda, guarda: so' i due fratelli che vanno a menasse ».
Famiglia contadina, la loro. Sette figli. A Latina con Pennacchi, t' imbatti in Filippo Cosignani, che sta qui in carne e ossa e in Camerata Neandertal , nel memorabile momento in cui il Federale Finestra impone le mani sullo scrittore in sedia a rotelle e gli dice: alzati e cammina. Pennacchi ricorda: «Finestra mi aveva espulso dal Msi nel '67, perché avevo manifestato a favore del Vietnam. L' ultima volta, lo vidi qua in piazza, nel '68. Io stavo con gli studenti, ce le demmo. Dopo trent' anni, scrivo Palude in cui lo piglio in giro e lui mi manda un biglietto: "Libro stupendo". Abbiamo fatto pace».
Lei era davvero rissoso come nei libri?
«Mia madre diceva che non ero un attaccabrighe, ma un catabrighe. Catare, in veneto, significa trovare. Io uscivo e trovavo le brighe».
La volta che ne prese di più?
«A Trieste, da fascio. Sa Trieste libera, la Zona B? Mi ero portato due catene chiodate, ma i carabinieri menavano col fucile».
La Cgil la espulse perché picchiava i capireparto.
«Direi che fu perché adottavo forme di lotta che non ritenevano democratiche».
Deduco che non si è pentito .
«Senta: stavo nel Consiglio di fabbrica della Fulgorcavi, rispondevo agli operai che rappresentavo e facevo quello che dovevo fare».
La volta che ne ha date di più?
«Le ho sempre prese e ormai sono non violento. L' ultima volta, feci a botte quando m' iscrissi all' università a 40 anni. Oggi, sarei persino vegano, se non rimanessi un uomo del vecchio mondo uso a mangiare abbacchio».
Come diventò comunista?
«Finestra m' aveva cacciato, ma avevo 17 anni e l' anno dopo era il '68. Se permette, sono andato dove facevano casino. Ho fatto tutta la trafila: movimento studentesco; marxisti e leninisti; poi, Servire il popolo; Psi, Pci, Cgil».
È stato un buon operaio?
«Sono stato un bravo sindacalista. Bravo operaio lo sono diventato. I primi anni, pensavo che la priorità fosse la lotta di classe».
Oggi per chi vota?
«Turandomi il naso, ho votato Leu. Però di là c' era ancora Matteo Renzi».
Renzi non le piaceva?
«Io considero uguali tutti gli esseri umani. Credo ci sia scintilla divina anche nel filo d' erba e identità sostanziale fra me, il filo d' erba, Matteo Renzi e persino Matteo Salvini».
Che c' entra l' erba con Renzi e Salvini?
«Tutto il bene e il male che c' è in me sta pure dentro di loro. L' avversario non è un mostro alieno. La sinistra non capisce che la gente va da Salvini non per cattiveria o razzismo, ma perché al banco del mercato lui avrà pure frutta pompata, ma il Pd ce l' ha fradicia. Successe lo stesso col biennio rosso: i socialisti non avevano fatto né rivoluzione né riforme e la gente andò da Mussolini. Invece, la storia scritta dai vincitori dice che lo seguirono costretti con la violenza, ma finché ce la raccontiamo così, non capiremo nulla dagli errori del passato».
Le stanno simpatiche le Sardine?
«Sono andato in piazza, sardina fra le sardine, perché sto dalla parte degli ultimi. So che le Sardine, come prima i 5 Stelle, sono il segno di una crisi, ma ormai ho 70 anni... Debbo solo raccontare le mie storie».
Finito Canale Mussolini , disse che era il libro per cui era venuto al mondo e si chiese «e ora che campo a fare?». Che si è risposto?
«Campo perché quella storia non è finita. Sto scrivendo il capitolo tre, ma va per conto suo e vuole diventare altro, e manca il quarto, che però ha il titolo: Declainendfoll , tutto attaccato e italianizzato da Decline and fall of the Romain Empire di Edward Gibbon. Il progetto è scrivere cent' anni di storia. Però lavoro per senso del dovere. In realtà, mi sono stufato».
Perché mai?
«Scrivere non mi piace. È una condanna. È come se quando sono nato mi fosse stato dato il compito di raccontare la mia famiglia, il podere, la nostra storia. Lo capii nel '56, in prima elementare».
E tuttavia inizia a scrivere solo a 36 anni.
«Evitavo. Non volevo. Poi, è morto mio padre, forse fu quello».
Ha detto che Canale Mussolini gliel' hanno dettato i morti: «Le voci mi arrivavano da dentro e a volte mi facevano piangere».
«Ero come posseduto da percezioni extrasensoriali. I morti facevano avanti e indietro e mi dicevano cose. Morti di famiglia, morti mai conosciuti e Gianni che se n' era appena andato. Era squassante. Ma hanno smesso».
In Camerata Neandertal scrive che la liberò un esorcismo.
«Don Mario chiamò gli angeli e gl' intimò di tornare in cielo e lasciarmi stare. A me, ordinò di nascondere le foto dei miei morti. Prima di tutto di Gianni. Ora, non è che ci credo, non so come stanno le cose nell' aldilà... Insomma, non vorrei passare per scemo, ma è per dire che la mia opera è dare voce a chi non c' è più».
Dice che non ha idea dell' aldilà, ma da bambino era felice di stare in seminario.
«Volevo diventare santo, ma con la pubertà scoprii che mi piacevano le ragazze e lasciai.
Oggi so solo che l' inferno è questo qua».
Fu per le voci che andò in analisi?
«No, fu per l' infarto dopo Palude . Mio fratello diceva che era psicosomatica, io dico che è il mio tributo alla scrittura. Ogni romanzo è un malanno: Mammut due ernie, Fasciocomunista secondo infarto e tre bypass, Canale Mussolini una vertebra rotta e barre di titanio nella schiena. Però, ci sono i libri di pancia o di testa. Con i saggi non mi succede niente».
Adesso come sta?
«Pensavo che Storia di Karel , essendo fantascienza, fosse un libro di testa. Ma sempre coloni erano e scavavano canali, conquistavano la terra... Insomma: sempre Latina è. Mi è venuta l' infiammazione del tunnel carpale, la mano duole e non posso più usare il bastone».
Quanto le manca suo fratello?
«Tanto. Era un testa di... Però era forte. Aveva un bel cervello. Forse, diventai comunista per sfidarlo sul suo campo. Era una sfida continua e lui era nato cocco di mamma».
Sua madre la picchiava come nei libri?
«Non mi ha mai capito. Era sempre "Gianni sì, Antonio invece...". A volte, ancora mi chiedo chi sarei stato se mamma mi avesse voluto bene. Lasciamo perdere, va'».
Mi racconti di sua moglie.
«La vidi a un picchetto davanti a una fabbrica occupata, 45 anni fa. Le ragazze non volevano far passare un camion della ditta. Allora, il camion ingrana la marcia e parte. Tutte scappano, eccetto Ivana, che gli si butta davanti. Pensai: questa è la donna della vita mia».
Quanto ci ha messo a conquistarla?
«Parecchio: le parevo matto. Ma abbiamo tirato su, io e lei da soli, in dieci anni, la nostra casa. Abbiamo due figli e due nipoti che sono la mia gioia. Mi è stata vicina quando stavo in cassa integrazione e mi sono laureato e quando ho scritto Mammut e siamo andati con la 127 a lasciarlo a mano agli editori, a Milano».
Ricevette 55 rifiuti.
«Mi sono serviti per riscriverlo e imparare».
Sua moglie le accende una luce in viso.
«Mi toglie ogni ansia. A stare insieme s' impara. All' inizio, c' è la passione, poi devi creare le aderenze all' altro, rinunciare a parti di te».
Lei a che ha rinunciato?
«Io mi affido per ogni scelta a mia moglie».
Che papà è stato?
«Non lo so. Sono un buon nonno però».
Come è fatto un buon nonno?
«Deve essere amato dai nipoti».
Le fa più paura invecchiare o morire?
«Mi fa paura solo il dolore del mondo».
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fashioncurrentnews · 6 years
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Frances Tulk-Hart: Per non dimenticare
Tutto è iniziato con i bambini scomparsi.
A fine maggio, i media americani avevano scatenato l’ennesimo scandalo con protagonista Trump: secondo quanto riportato, il Dipartimento Americano per la Sanità e i Servizi Umani (US Department of Health and Human Services) aveva perso traccia di 1500 bambini migranti. La notizia giunse alla fotografa inglese Frances Tulk-Hart nella campagna del New England, quell’idillio in cui si è rifugiata da quando è diventata mamma. Frances si sentì spezzare il cuore. Lei stessa una migrante (da Londra a New York), nonché madre di due bambine, si sentì travolgere da un misto di angoscia e rabbia: “Come era possibile che fossero stati così incuranti nei confronti di queste piccole vite innocenti? Il pensiero mi faceva stare male. Ma cosa potevo fare?”
La risposta giunse “da qualche parte dell’universo proprio lì in cucina mentre guardavo il telegiornale”. Poteva dipingere.
Tulk-Hart, che all’età di 42 anni appare più una modella che una mamma di campagna, arrivò a New York quando era studentessa di moda e non se ne andò più. Stylist diventata fotografa, ha ritratto nomi quali Maggie Gyllenhal e Jemima Kirke prima di decidere di dedicarsi alla pittura all’incirca cinque anni fa. Il tutto ebbe inizio nella sala d’imbarco di un aeroporto dove, per passare il tempo, iniziò a scarabocchiare su un foglio: tondi per la testa e forme oblunghe per il corpo, esseri umani nello “stadio fetale del loro viaggio”. Quel gesto istintivo si è sviluppato trasformandosi nell’estetica toccante ed emozionale dell’artista formata da acquerelli impalpabili che sembrano creare, o proteggere, una dimensione di innocenza. “Non disegno mai i volti,” ci spiega. “Il linguaggio del corpo è sufficientemente eloquente.” Sconvolta dalla notizia dei bambini scomparsi, Frances Tulk-Hart si promette di dipingerli. Fissa un enorme foglio di carta da acquerello lungo 1 metro e mezzo alla parete quindi inizia a dipingere ogni bambino, ogni piccolo corpo e ogni vita fragile e preziosa. Col procedere dell’estate, le conseguenze della politica di Trump, su cui ora ha fatto retromarcia, emergono in tutto il loro orrore: bambini troppo piccoli per sapere anche solo il nome dei genitori vengono rimossi proprio mentre quei genitori dormono, bambini impauriti chiusi in gabbie di rete metallica, il pianto affranto di madri inconsolabili. Tulk-Hart continua a dipingere. “Era come se fossi in grado di sentire il loro dolore immaginando che fossero le mie figlie ad essere portate via da me.” Il parallelo calza. Postando immagini del quadro man mano che prende vita, Tulk-Hart invita lo spettatore ad immaginare, non semplicemente a firmare una petizione o a partecipare ad una marcia, ma ad immaginare che il proprio figlio, l’affetto più caro e vulnerabile che si ha, ci è stato portato via. Ogni immagine è accompagnata da una didascalia, un dettaglio intimo della vita da madre di Tulk-Hart. Via Facebook e Instagram ha poi invitato altri genitori a condividere momenti intimi della propria vita famigliare, come consolano i propri bambini di notte, quando li baciano sulla fronte o li calmano quando hanno paura. Da elemento interattivo in aggiunta al quadro, questo coinvolgimento tramite i social media ha un effetto profondamente umanizzante, per il fatto che chiede di andare oltre l’oltraggio politico per fare una riflessione personale, operando il passaggio da compassione a empatia. Piuttosto che la rabbia, è l’amore, una riflessione sull’amore parentale, che ci viene in aiuto nel comprendere davvero l’orrore dell’essere separati dalla propria famiglia. Quell’orrore persiste. Come è consuetudine, l’attenzione dei media internazionali si è già spostata su altro. E nonostante centinaia di bambini rimangano separati dai propri genitori, il focus della notizia è già altrove. L’opera di Frances Tulk-Hart ci chiede di continuare a prestare attenzione non solo alle notizie ma anche alle vite umane a rischio. Continuerà a dipingere finché non avrà immortalato ogni bambino allontanato dai propri genitori, diventando così una testimonianza visiva dell’inaudibile numero di vite traumatizzate. L’obiettivo è donare il quadro ultimato ad un museo o, ancora meglio, farlo viaggiare da un museo all’altro del paese quale veicolo per rievocare e promemoria degli effetti delle disumane politiche sull’immigrazione. Il suo scopo? “Ricordare a tutti cosa è successo veramente qui in America. Per non dimenticare.”
  Taiye Selasi
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giuseppebarila · 5 years
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Non indignatevi contro chi ulula a Koulibaly: l’Italia è più razzista di loro
Altro che il Natale. Servivano le curve degli stadi a farci sentire tutti più buoni. Gli ululati razzisti di San Siro al difensore del Napoli Kalidou Koulibaly, per dire, pare abbiano risvegliato una coscienza anti-razzista che, francamente, credevamo sepolta sotto abbondanti strati di porti chiusi e pacchie finite. E allora ecco l’indignazione che si riversa sul calcio, metafora di qualunque cosa, col suo carico di curve chiuse, campionati da sospendere, bambini da tenere lontani dagli stadi.A parlare, purtroppo, non è il nostro anti-razzismo. È la nostra cattiva coscienza che parla, il nostro moralismo da quattro soldi che si indigna per una goliardata di massa, che offende per qualche minuto un fuoriclasse che prende 6 milioni di euro all’anno. Ma che non dice nulla, quando a essere colpiti - per gli stessi identici motivi - sono i più deboli: donne, bambini, poveri, disperati che scappano da guerre e carestie.
Ad esempio: dov’era la vostra indignazione quando il 25 ottobre di due anni fa a Gorino, provincia di Rovigo, un pullman carico di dodici richiedenti asilo donne, e dei loro otto figli, è stato costretto a fare marcia indietro perché gli abitanti del posto, bontà loro, erano stufi? E dov’era il vostro sdegno, il 3 febbraio scorso, quando a Macerata un tizio di nome Luca Traini, col tricolore legato al collo, ha fatto fuoco contro sei persone per il solo fatto che avessero la pelle nera? E dove eravate quando il 14 agosto ministro dell’interno Matteo Salvini ha sequestrato per dieci giorni a bordo della nave Diciotti 177 migranti, 29 dei quali minorenni ridotti a “scheletrini”? E dove quando la giunta comunale di Lodi ha approvato un regolamento discriminatorio che di fatto impediva ai bambini extracomunitari l’accesso allo scuolabus e alla mensa?
Potremmo continuare, che la lista è lunga, ma ci fermiamo qua. E ve lo diciamo noi dov’eravate: stavate applaudendo, soddisfatti che qualcuno si facesse portavoce della vostra esasperazione, del vostro bisogno di fermezza, del vostro desiderio di farla pagare a qualcuno. Sono i vostri voti che parlano. Sono i consensi per la Lega che si impennano dopo la sparatoria di Macerata. Sono le voci dei lodigiani che plaudono alle misure discriminatorie del Comune affermando che gli stranieri sono «come le zecche dei cani». Sono le ali di folla adoranti che accolgono il ministro dell’interno Salvini dopo le prove di forza con le navi Aquarius e Diciotti. Tutti a premiare chi se la prende con gente che ha la pelle più scura della vostra.
Converrete che è difficile credere si tratti di un caso. Ed è per questo che - magari non del tutto consapevolmente - non siete migliori di chi ulula dalle gradinate di San Siro, anzi. Perché il razzismo praticato in silenzio, che si traduce in atti di discriminazione e di violenza è peggio, molto peggio, del razzismo caciarone e simbolico di qualche decina di ultrà, anche se si fa notare di meno. Forse, più che chiudere le curve, servirebbe farsi tutti un bell’esame di coscienza. Chissà che le cose non migliorino davvero, nel 2019.
di Francesco Cancellato, letto qui
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neroenonsoloonlus · 6 years
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Con i migranti per fermare la barbarie
In Italia e in Europa risuonano forti campanelli di allarme. I princìpi di civiltà e di convivenza democratica sono tornati a essere bersagli di chi vuole dividere, reprimere, escludere, cacciare. Razzismo e xenofobia vengono ogni giorno instillati tra gli italiani del Nord e del Sud, e si diffondono nelle città e nelle periferie sociali. Ma se prima si trattava soltanto di segnali universalmente considerati negativi, adesso i sintomi sono rappresentativi di un’involuzione profonda. E fanno paura. A fronte di un cambiamento così preoccupante, è necessario intensificare ed estendere la risposta di popolo contro le violenze, i soprusi, le prepotenze che scendono dall’alto come una nera cappa che copre il nostro Paese. Una risposta in nome dei diritti, del rispetto, del senso di umanità che non possiamo e non dobbiamo smarrire. I primi segnali di un’alternativa sono arrivati con la reazione all’attacco a Riace e al suo sindaco Mimmo Lucano e con la straordinaria sottoscrizione per permettere l’accesso alla mensa e ai servizi di trasporto, ai bambini figli di cittadini stranieri, negati da un’ordinanza dalla Sindaca di Lodi. Così come con la grande risposta delle magliette rosse, con la manifestazione a Catania per pretendere lo sbarco e il soccorso dalla nave Diciotti, con la straordinaria partecipazione alla marcia della pace Perugia-Assisi e il grande consenso che sta raccogliendo il progetto Mediterranea. Da più parti viene la richiesta di una battaglia di civiltà, in difesa della democrazia costituzionale. E contro le diseguaglianze, contro le povertà, sociali e culturali che i ministri dell’odio manipolano, strumentalizzando il disagio e la sofferenza che coinvolgono milioni di italiani, per rivolgere la rabbia nei confronti delle persone più deboli dei nostri tempi: i migranti. A questa gente, a milioni di donne, uomini, bambini viene negato qualsiasi diritto. È un’umanità che fugge da fame, povertà, guerre, terrore. Di questo immenso popolo, una piccola parte vorrebbe venire in Italia, anche solo per attraversarla. Lo vorrebbe fare rivolgendosi agli Stati, legalmente e senza rischiare la vita. Ma leggi e politiche sempre più proibizioniste e liberticide producono morte e sofferenza e alimentano la criminalità e le mafie. In Italia soffia un vento furioso di propaganda e, peggio, di violenza. Il limite della intolleranza si traduce in forme di aggressione e regressione sempre più gravi. I migranti diventano ostaggi, nemici, gente pericolosa. Insultati, picchiati, feriti da armi da fuoco, concentrati in centri invivibili. Adulti, minori, donne sole, bambini trovano in Italia un’ostilità crescente. E come se non bastassero il blocco delle navi e il boicottaggio delle Ong, il governo approva un decreto che, se accolto dal Parlamento, metterebbe ancora più a rischio la loro vita.
Un Decreto che punta a demolire il diritto d’asilo, a consegnare ai privati l’accoglienza puntando sui grandi centri che alimentano corruzione e razzismo, scaricando sui territori costi, disagio e tensione sociale. Eppure nonostante le difficoltà politiche, nonostante i dubbi, nonostante le divisioni, tanti italiani sono disposti a fare argine al drammatico dilagare di comportamenti “cattivi”, che non avevamo ancora mai visto prima verso i più indifesi. Ma c’è di peggio, perché chi perseguita i deboli non se ne vergogna. Ostentando e stimolando odio. A questa vasta area democratica, religiosa e laica, spetta il compito di tenere alta la bandiera della civiltà, della pace, della convivenza tra diversi, della democrazia. La chiesa di Papa Francesco interpreta con lucidità i tempi presenti. Il mondo cattolico, con le sue strutture e i suoi giornali, insieme alle tante associazioni sono già impegnati in aiuto dei migranti e in prima fila contro razzismo e xenofobia. Altrettanto il mondo laico: donne, uomini, giovani e meno giovani, compagne e compagni, preoccupati e convinti della necessità di dare un’ampia e forte risposta alla crescente barbarie.
È il tempo di compiere un primo, grande, passo. Tutti insieme. E possiamo farlo manifestando ‪il 27 ottobre 2018‪, non in una ma dieci, cento città.
Per adesioni: [email protected]
Hanno finora aderito ACTIONAID, AIDOS, ANPI, ANTIGONE, AOI, ARCI, ARCS, AVVOCATO DI STRADA, BAOBAB EXPERIENCE, CEFA, CENTRO ASTALLI, CGIL, , CIPSI, CITTADINANZATTIVA, CNCA, COCIS, COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE, CONCORDITALIA, COSPE, DOKITA, FOCSIV, FOCUS CASA DEI DIRITTI SOCIALI, FORUMSAD, GRUPPO ABELE, GUS, IL MANIFESTO, IL RAZZISMO È UNA BRUTTA STORIA, INTERSOS, JANUAFORUM, LEGAMBIENTE, LIBERA, LINK2007, LUNARIA, MOLTIVOLTI, OSSERVATORIO AIDS-DIRITTI SALUTE, OXFAM, PROACTIVA OPEN ARMS, RETE DEGLI STUDENTI MEDI, TERRES DES HOMMES, STATEWATCH, UDU, UIL, UISP, UN PONTE PER, VIM E inoltre: Ginevra Bompiani, Luciana Castellina, don Luigi Ciotti, Renzo Fior, Raniero La Valle
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foxpapa · 6 years
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Il mio Sud, una storia di spazi pieni e spazi vuoti
Il vuoto è una grande metafora e spiega per cosa sia morto Soumayla Sacko, il maliano ucciso in provincia di Vibo Valentia. Se società e politica abbandonano gli immigrati, lasciando un vuoto, di loro si occupa la mafia che o li arruola o, se conviene, li schiavizza
di ROBERTO SAVIANO
DA : http://www.repubblica.it/cronaca/2018/06/08/news/delitto_soumayla_sacko_roberto_saviano_il_mio_sud-198437129/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1
La storia del nostro Paese è una storia di pieni e di vuoti. Soprattutto di vuoti, vuoti che però non restano tali a lungo perché lo spazio a nostra disposizione è limitato e quindi va occupato tutto. Il vuoto costa caro, il vuoto vale oro. Col vuoto si possono fare affari da decine di milioni di euro. Il vuoto va sfruttato, difeso, presidiato. Il vuoto è una grande metafora, una metafora che spiega moltissime cose. Di certo spiega per cosa sia morto Soumayla Sacko, il 29enne maliano ucciso a San Calogero, in provincia di Vibo Valentia. Ucciso mentre, insieme a Madiheri Drame e Madoufoune Fofana, prendeva lamiere (dalla ex fornace “La tranquilla”, sotto sequestro da anni) per costruire una baracca che non prendesse fuoco. Appena la notizia dell’omicidio è iniziata a circolare, la prima ricostruzione è stata questa: il maliano stava rubando e gli hanno sparato. Sono poi seguite altre ipotesi che ovviamente non potevano ignorare il ruolo che Soumayla Sacko ricopriva nella comunità africana che coltiva la Piana di Gioia Tauro. Soumayla non era un ladro, ma un attivista dell’Usb, in prima linea per tutelare i diritti degli immigrati schiavizzati nelle campagne calabresi. Gli inquirenti sospettano dell’omicidio di Soumayla Antonio Pontoriero, agricoltore della zona, che pare presidiasse la fornace da furti attribuiti agli extracomunitari. A che titolo presidiasse — è il nipote di uno degli indagati per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici nel terreno dell’ex fornace , ma a quanto pare parla di quel luogo come di «roba sua» — e cosa ci fosse ancora da rubare dopo quasi dieci anni di sigilli, resta da chiarire. Ma forse, in quel luogo, su cui si estende la longa manus dei Mancuso di Limbadi, a essere tanto disperati da prendere comunque materiale erano solo gli immigrati. O forse, nonostante non ci fosse più niente da rubare se non lamiere, presidiare significava dire: noi ci siamo e non permetteremo ad alcuno di usare questo vuoto come fosse terra di nessuno. È quindi il luogo dove è morto Soumayla l’origine di tutto. Sì, il buco nero che in questi anni si è allargato a dismisura e che ha fagocitato la Calabria — e il Sud intero — nell’assenza della politica. Tanto assente da non essere in grado nemmeno di leggere e interpretare ciò che accade, di essere presente e provare a dare risposte. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha ricordato Soumayla in Parlamento solo giorni dopo la sua morte. Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, non ha ancora pronunciato una parola su un attivista che si occupava di condizioni di lavoro, una materia che sarebbe di sua competenza. E poi c’è il silenzio dell’onnipresente ministro dell’Interno, Matteo Salvini, entrato in Parlamento come senatore eletto proprio nel collegio di Rosarno, Calabria, Italia. O forse no, forse Salvini quella terra nemmeno la considera Italia. Dunque, è morto un attivista maliano che faceva, in condizioni di estremo disagio e di estremo pericolo, il lavoro che dovrebbe fare la politica e che, a quanto pare, come sempre, la politica non farà. E non lo farà perché la Calabria serve a racimolare voti e far salire senatori in Parlamento; svolta questa funzione, che resti pure ostaggio delle organizzazioni criminali, che in fondo riescono anche a mantenere un certo ordine, come e a quale prezzo, poco importa. Ma tutto parte da San Calogero. Del luogo dove è stato ucciso Soumayla, la fornace oggi in disuso, l’inchiesta “Poison” parla come di una discarica illegale dove tra il 2000 e il 2007 sarebbero state intombate nel sottosuolo circa 130 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi. Ecco, questa è la dinamica del Sud, da sempre: spazi vuoti riempiti di merda, sopra e sotto terra. Merda di ogni tipo: stupefacenti e monnezza. La fornace di laterizi di San Calogero, chiamata “La tranquilla” per l’omonima località in cui si trova — nome che oggi suona inquietante — secondo l’inchiesta sarebbe stata usata per lo smaltimento illecito di rifiuti di provenienza industriale, in particolare delle centrali termoelettriche a carbone dell’Enel di Brindisi, Priolo Gargallo (Siracusa) e Termini Imerese (Palermo). Il vecchio titolare della fornace, Antonio Romeo, era morto in circostanze misteriose, precipitato con la sua auto lungo il costone della provinciale per Nicotera. Dall’inchiesta emerge che il meccanismo con cui si intombava era semplice: sulla carta l’organizzazione faceva risultare che i fanghi industriali sarebbero stati riciclati nel campo dell’edilizia e invece venivano semplicemente sotterrati, nonostante avessero alte percentuali di nichel, vanadio e cromo. Un giro d’affari, secondo la Guardia di Finanza di Vibo Valentia, di 18 milioni di euro. Vicino alla fornace si estendono agrumeti e dal luglio 2010 il prefetto di Vibo Valentia ha ordinato la distruzione della frutta coltivata in quell’area. Ma l’attenzione per la fornace oggi è massima perché siamo a un punto di svolta per chi ha interessi su di essa. Il 28 giugno è stata fissata un’udienza del processo “Poison” e quel giorno potrebbe essere dichiarata la prescrizione. A quel punto l’area della fornace potrebbe tornare nella disponibilità dei titolari. L’anno scorso, il deputato del M5S Paolo Parentela si è occupato di questa vicenda in un’interrogazione parlamentare: sarebbe opportuno che trasmettesse quanto di sua conoscenza ai colleghi della maggioranza. Parlarne, approfondire e soprattutto essere fisicamente a San Calogero e a San Ferdinando ora non sarebbe solo auspicabile, ma sarebbe proprio quello che la politica per troppo tempo non ha fatto e oggi deve fare. Altrimenti il cambiamento dov’é? Perché questo è San Calogero, questo è San Ferdinando e questo è il Sud: quel vuoto abbandonato a se stesso, quel vuoto che gli appetiti criminali possono riempire, quel vuoto infelice in cui ci si ripetono fesserie come «non c’è lavoro per noi, figuriamoci per voi» tanto spesso da iniziare a crederci sul serio. E nel frattempo gli immigrati vengono, occupano spazi abbandonati, fanno lavori abbandonati, prendono materiali abbandonati per costruirsi ripari che non brucino nelle campagne arse dal sole. Quindi non vengono a rubare lavoro ai figli legittimi di questa Italia, ma a fare lavori che per gli italiani non hanno valore. E dove non c’è più valore per il lavoro, c’è valore per la schiavitù, c’è spazio per la schiavitù. Qualcuno dichiara che i migranti diventano braccia operative della criminalità organizzata: quando questo accade lo Stato ha fallito due volte, perché le organizzazioni criminali hanno sempre avuto un’attitudine xenofoba ma poi, quando capiscono che c’è convenienza, traggono il massimo vantaggio possibile. Perché lasciamo alle mafie un margine d’azione tanto ampio? Del resto, i rapporti tra comunità immigrate e criminalità organizzata ci raccontano anche la storia, che non ci piacerà per niente, dei rapporti tra le comunità immigrate e la politica, e la società civile. Quando nel 1989 Jerry Masslo fu assassinato a Villa Literno, 200 mila persone scesero in piazza a Roma e fu allora che l’Italia riconobbe agli stranieri extraeuropei lo status di rifugiato. Quando nel 2008 Giuseppe Setola, con il suo gruppo di fuoco, compì la strage di Castel Volturno come atto terroristico per provare a dominare l’intera comunità africana, le reazioni della società civile si fecero sentire e fu in quel momento che dissi, riferito alla marcia pacifica che seguì la strage, che i migranti vengono in Italia non solo a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche per difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere. Al tempo ad attaccarmi per queste mie parole furono i Salvini — che allora erano ancora pochi — e i neonazisti di Stormfront; a tanti altri le mie sembrarono parole di buon senso. Poi ci fu la rivolta di Rosarno, nel 2010, come reazione al ferimento da parte dei figli di un boss locale di due extracomunitari, a cui avevano sparato addosso come fossero bestie da scacciare. E poi arrivò Yvan Sagnet, l’ingegnere del Camerun che nel 2011 guidò il primo sciopero organizzato di migranti nelle campagne di Nardò, che accese i riflettori sui processi al caporalato e pose la necessità di una legge più strutturata. E pensare che a me tutto questo sembrava troppo poco, che ho sempre sperato che potessimo fare di più, e invece i ragazzi che hanno manifestato per la morte di Soumayla erano pochi, così pochi e circondati da un clima politico fetido, da farmi rimpiangere quei risultati. Manifestavano con cartelli fatti alla buona: pezzi di cartone col volto di Soumayla stampato su fogli A4. E, colpo di grazia, alla manifestazione per la morte di un ragazzo straniero che difendeva i diritti dei lavoratori, non era presente uno solo dei capi dei maggiori sindacati confederali. Non so se sia sufficientemente chiaro ciò che sta avvenendo: man mano che società civile e politica abbandonano gli immigrati, lasciando un vuoto, di loro si occupa la criminalità organizzata, che quando riesce li arruola, quando conviene li schiavizza. Il Sud è una storia di spazi pieni e vuoti: la logica è la stessa per tutto, per la terra e per gli uomini. La terra abbandonata diventa discarica, i migranti demonizzati, isolati e abbandonati in attesa di essere cacciati, diventano per le mafie prede inermi. Però il cortocircuito nasce per tutti, per la politica e per le organizzazioni criminali, quando ci si trova al cospetto di persone come Soumayla Sacko, persone consapevoli del loro ruolo e forse anche dei rischi che comporta ricoprirlo. Gli immigrati arrivano in territori svuotati dall’emigrazione: oltre 200 mila persone ogni anno ormai lasciano l’Italia e il dato singolare è che gli italiani all’estero sono in numero quasi pari agli stranieri in Italia: 5 milioni. Gli italiani se ne vanno perché non c’è lavoro? Non esattamente: gli italiani se ne vanno perché vogliono migliorare le loro condizioni di vita, perché non vogliono — come dar loro torto — raccogliere arance e pomodori a due euro l’ora per 12 ore al giorno. Gli immigrati vengono a fare questi lavori e mentre noi siamo fermi a «li vogliamo o non li vogliamo» c’è chi ha già deciso che servono e senza clamore li usa. Usciamo dunque da questa gabbia e lavoriamo per garantire agli immigrati che si trovano e lavorano in Italia permessi di soggiorno e contratti di lavoro dignitosi. Questo dobbiamo fare e non perché siamo buoni, non perché siamo caritatevoli, non perché è giusto, ma perché solo così l’Italia può sopravvivere. C’è del lavoro, c’è chi se ne occupa, facciamo in modo che tutto rientri nella legalità. Da questa prospettiva, cosa significa che non possiamo accogliere? Dove sarebbe l’invasione? Quand’è esattamente che abbiamo smesso di ragionare? Oggi dobbiamo essere al fianco delle comunità migranti. Dobbiamo farci garanti dei loro diritti come esseri umani e come lavoratori. La loro dignità è la nostra dignità. La loro vita è la nostra vita. Se non lo facciamo, il vuoto che lasciamo noi lo riempiono le organizzazioni criminali che vendono allo Stato la loro capacità di domare, con la violenza e la sopraffazione, ogni possibile e sacrosanta richiesta di diritti e dignità. È questo che vogliamo? Che le mafie gestiscano ciò che noi non riusciamo a gestire? È questo che chiediamo alla politica? Di armarci contro i nostri alleati invece che combattere, insieme, un avversario comune? Le comunità migranti sono ormai nel Dna del Sud, perché al Sud la terra è piena del loro sudore, del loro sangue, perché la terra accoglie la placenta in cui nascono i figli neri d’Italia. Non solo italo-africani ma afro-meridionali. A San Calogero è stato ucciso un meridionale e altri due sono stati feriti. Meridionali che sono come sangue che torna a scorrere in vene che stanno subendo un’emorragia letale, di italiani che emigrano. E per fortuna Soumayla Sacko, Madiheri Drame e Madoufoune Fofana arrivano esattamente nel posto da cui tutti vogliono scappare. Riempiono un vuoto e dobbiamo per questo esser loro grati. Il cambiamento, quello vero, parte da qua. E non ci sono scorciatoie.
Immagine di Marta Signori : ritratto di  Roberto Saviano
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Milano: Corteo No Invasione
Sabato 27 maggio il Comitato cittadino No Invasione di Milano, ha organizzato una manifestazione di protesta contro il costante arrivo di clandestini che con la loro presenza oramai fuori da ogni controllo ha creato, nella città, situazioni di forte degrado e seri problemi di ordine pubblico.
 La federazione milanese del MSFT ha accettato di partecipare alla manifestazione e vi ha preso parte con una nutrita rappresentanza.
 E’ stata l’occasione per ribadire la nostra chiara posizione in merito all’arrivo inopinato di clandestini nelle nostre città.
Abbiamo ribadito con forza la contrarietà alla politica falso buonista del Governo italiano e la nostra avversione all’operato di queste supposte ONG che, sorte come funghi, molte volte celando interessi economici e mafiosi, miranti a un vero commercio e allo sfruttamento delle risorse boldriniane, stante quanto sta piano piano emergendo dalle indagini scaturite dalle dichiarazioni del Dott. Carmelo Zuccaro, Procuratore della Repubblica di Catania.  
 I livelli di guardia sono stati abbondantemente superati, il grado di esasperazione nei cittadini è altissimo, le condizioni di convivenza difficilissime, i fatti delinquenziali ascrivibili alle “risorse” sono in continuo crescendo e creano panico oltre che per il numero anche per le tipologie: scippi, aggressioni, stupri, spaccio, prostituzione, oscenità, abusi di ogni genere sono oramai all’ordine del giorno.
 Le nostre forze di polizia sembrano non essere in grado di contenere questi continui atti criminali, e certo non per mancanza di professionalità.
I cittadini dal canto loro vivono una situazione di forte disagio che spesso tracima nel vero e proprio terrore.
Interi quartieri sono invivibili, la sera, ma non solo la sera, è pressoché impossibile transitare per alcune zone.
Le persone evitano di spostarsi se non accompagnati, le ragazze subiscono ogni genere di affronto e a volte subiscono anche delle violenze fisiche.
 A questi che sono i più evidenti segni di un’invasione che sta modificando la nostra vita quotidiana si assommano altri aspetti meno immediati nella percezione ma non per questo meno gravi.
 Il numero sempre crescente di bambini figli di clandestini che nascono in Italia, e sappiamo che il Governo non eletto ha in mente l’approvazione dello Ius Soli; la preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di case popolari ai migranti; l’accoglienza dei nuovi arrivati in strutture alberghiere e comunque in centri finanziati dallo Stato, mentre ai terremotati del  Centro Italia vengono promesse le case che poi non arrivano; la disoccupazione in continuo aumento; la povertà  che cresce in modo esponenziale; i suicidi di chi non riesce a dare un pasto ai propri cari continuano ciclicamente.
 Tutto questo non serve a toccare la sensibilità dei nostri governanti le cui coscienze sono, evidentemente, tutte protese verso i finti profughi che, però, garantiscono voti, e a volte anche guadagni economici.
 Tutti questi disagi ha voluto rappresentare la manifestazione organizzata dal Comitato cittadino No Invasione, appunto con la marcia dell’altro ieri.
Nessun simbolo di Partito, anche se noi missini eravamo presenti ufficialmente e con un folto numero, il Comitato voleva che fosse una manifestazione di popolo.
Forse ci si aspettava qualche presenza maggiore, una partecipazione massiccia della gente per dare consistenza alla manifestazione.
Ma considerato il clima di tensione che il Regime artatamente crea attorno alle manifestazioni identitarie non ci stupiamo che sia andata così.
Resta la valenza dell’azione e la rivendicazione, nostra e non solo, d’irrinunciabili posizioni in merito all’arrivo di clandestini.
L’attenzione adesso va alla ventilata approvazione della legge sullo Ius Soli.
Noi riaffermiamo qui la nostra assoluta contrarietà, coscienti come siamo dell’esiziale effetto che avrebbe sulla nostra Nazione.
L’approvazione di questa Legge porterebbe l’Italia a diventare, in breve tempo, una Nazione simile alla Francia o all’Inghilterra. Nazioni che hanno fatto del multirazzismo la regola della loro esistenza.
Basta vedere come sono ridotte per capire che è assolutamente necessario impedire che una Legge così deleteria sia approvata anche in Italia.
Noi vigileremo, faremo come sempre del nostro meglio per informare i connazionali, lo faremo con ogni sorta d’intervento che sia nelle nostre possibilità; invitiamo tutti, di là delle posizioni partitiche a unirsi a noi in quella che può essere la madre di tutte le battaglie: la battaglia per la sopravvivenza dell’Italia.      
 Mario Settineri
Segreteria Nazionale MSFT
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paoloxl · 6 years
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Un nutrito gruppo di associazioni organizza una manifestazione in numerose piazze italiane. L’appuntamento è per sabato prossimo, 27 ottobre, “non in una ma dieci, cento città”, affermano. Già tante, le adesioni. Qui di seguito l’appello.
In Italia e in Europa risuonano forti campanelli di allarme.
I princìpi di civiltà e di convivenza democratica sono tornati a essere bersagli di chi vuole dividere, reprimere, escludere, cacciare.
Razzismo e xenofobia vengono ogni giorno instillati tra gli italiani del Nord e del Sud, e si diffondono nelle città e nelle periferie sociali. Ma se prima si trattava soltanto di segnali universalmente considerati negativi, adesso i sintomi sono rappresentativi di un’involuzione profonda. E fanno paura.
A fronte di un cambiamento così preoccupante, è necessario intensificare ed estendere la risposta di popolo contro le violenze, i soprusi, le prepotenze che scendono dall’alto come una nera cappa che copre il nostro Paese. Una risposta in nome dei diritti, del rispetto, del senso di umanità che non possiamo e non dobbiamo smarrire.
I primi segnali di un’alternativa sono arrivati con la reazione all’attacco a Riace e al suo sindaco Mimmo Lucano e con la straordinaria sottoscrizione per permettere l’accesso alla mensa e ai servizi di trasporto, ai bambini figli di cittadini stranieri, negati da un’ordinanza dalla Sindaca di Lodi.  Così come con la grande risposta delle magliette rosse, con la manifestazione a Catania per pretendere lo sbarco e il soccorso dalla nave Diciotti, con la straordinaria partecipazione alla marcia della pace Perugia-Assisi e il grande consenso che sta raccogliendo il progetto Mediterranea.
Da più parti viene la richiesta di una battaglia di civiltà, in difesa della democrazia costituzionale. E contro le diseguaglianze, contro le povertà, sociali e culturali che i ministri dell’odio manipolano, strumentalizzando il disagio e la sofferenza che coinvolgono milioni di italiani, per rivolgere la rabbia nei confronti delle persone più deboli dei nostri tempi: i migranti.
A questa gente, a milioni di donne, uomini, bambini viene negato qualsiasi diritto. È un’umanità che fugge da fame, povertà, guerre, terrore. Di questo immenso popolo, una piccola parte vorrebbe venire in Italia, anche solo per attraversarla. Lo vorrebbe fare rivolgendosi agli Stati, legalmente e senza rischiare la vita. Ma leggi e politiche  sempre più proibizioniste e liberticide producono morte e sofferenza e alimentano la criminalità e le mafie.
In Italia soffia un vento furioso di propaganda e, peggio, di violenza. Il limite della intolleranza si traduce in forme di aggressione e regressione sempre più gravi. I migranti diventano ostaggi, nemici, gente pericolosa. Insultati, picchiati, feriti da armi da fuoco, concentrati in centri invivibili. Adulti, minori, donne sole, bambini trovano in Italia un’ostilità crescente. E come se non bastassero il blocco delle navi e il boicottaggio delle Ong, il governo approva un decreto che, se accolto dal Parlamento, metterebbe ancora più a rischio la loro vita.
Un Decreto che punta a demolire il diritto d’asilo, a consegnare ai privati l’accoglienza puntando sui grandi centri che alimentano corruzione e razzismo, scaricando sui territori costi, disagio e tensione sociale.
Eppure nonostante le difficoltà politiche, nonostante i dubbi, nonostante le divisioni, tanti italiani sono disposti a fare argine al drammatico dilagare di comportamenti “cattivi”, che non avevamo ancora mai visto prima verso i più indifesi. Ma c’è di peggio, perché chi perseguita i deboli non se ne vergogna. Ostentando e stimolando odio.
A questa vasta area democratica, religiosa e laica, spetta il compito di tenere alta la bandiera della civiltà, della pace, della convivenza tra diversi, della democrazia. La chiesa di Papa Francesco interpreta con lucidità i tempi presenti. Il mondo cattolico, con le sue strutture e i suoi giornali, insieme alle tante associazioni sono già impegnati in aiuto dei migranti e in prima fila contro razzismo e xenofobia. Altrettanto il mondo laico: donne, uomini, giovani e meno giovani, compagne e compagni, preoccupati e convinti della necessità di dare un’ampia e forte risposta alla crescente barbarie.
È il tempo di compiere un primo, grande, passo. Tutti insieme. E possiamo farlo manifestando il 27 ottobre 2018, non in una ma dieci, cento città.
Per adesioni: [email protected]
Hanno finora aderito
ACTIONAID, AIDOS, ANPI, ANTIGONE, AOI, ARCI, ARCS, AVVOCATO DI STRADA, BAOBAB EXPERIENCE, CEFA, CENTRO ASTALLI, CGIL, , CIPSI, CITTADINANZATTIVA, CNCA, COCIS, COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE, CONCORDITALIA, COSPE, DOKITA, FOCSIV, FOCUS CASA DEI DIRITTI SOCIALI, FORUMSAD, GRUPPO ABELE, GUS, IL MANIFESTO, IL RAZZISMO È UNA BRUTTA STORIA, INTERSOS, JANUAFORUM, LEGAMBIENTE, LIBERA, LINK2007, LUNARIA, MOLTIVOLTI, OSSERVATORIO AIDS-DIRITTI SALUTE, OXFAM, PROACTIVA OPEN ARMS, RETE DEGLI STUDENTI MEDI, TERRES DES HOMMES, STATEWATCH, UDU, UIL, UISP, UN PONTE PER, VIM
E inoltre: Ginevra Bompiani, Luciana Castellina, don Luigi Ciotti, Renzo Fior, Raniero La Valle
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paoloxl · 7 years
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Lo avevamo scritto nell'appello che ha lanciato l'iniziativa. Il 19 marzo per noi, per la campagna #overthefortress, era una sfida. Ma la potenza di “Side by side” è stata che questa sfida sono stati in tanti, tantissimi, in tutto il Veneto, ma anche da fuori regione, ad accettarla, a farla propria, a condividerla. La marcia per l'umanità che oggi, con la partecipazione di oltre 5000 persone, ha attraversato la città di Venezia ce lo dimostra. “Side by side”  - ovvero fianco a fianco -  è stato il frutto di un grande lavoro territoriale, fatto di assemblee, di volantinaggi, di incontri pubblici, di passaparola, di condivisioni sui social network, di ore passate a fare cartelli e striscioni. Oggi a Venezia siamo riusciti ad uscire dall'invisibilità e contrapposto alla barbarie dell'intolleranza e del razzismo istituzionale, una narrazione diversa e potente, che parla il linguaggio dei diritti e delle buone pratiche d'accoglienza, della solidarietà, della cooperazione sociale tra migranti e cittadini italiani. Operatori sociali, attivisti, richiedenti asilo, artisti e tanti cittadini comuni, tutti assieme, per ribadire un concetto chiaro e senza alcun fraintendimento: il Veneto non deve essere il territorio del razzismo, né della discriminazione né tantomeno dei grandi “centri lager” dove si ammassano le persone, e per trasformarlo radicalmente c'è bisogno dell'impegno e del lavoro capillare di tutti.  In Veneto, come nel resto d'Italia e d'Europa, la situazione è pesante, soffia il vento dell'odio e della diffidenza verso i migranti, uno stratagemma orchestrato per generare paura ed allarmismi, i quali rimangono il terreno più fertile per i populisti ed i razzisti, siano essi nazionalisti oppure autoctoni. Ed ecco che il “nuovo” nemico sul quale scaricare gli istinti più beceri di una società imbarbarita dalla crisi economica e sociale è il “profugo”, che viene nel migliore dei casi apostrofato come clandestino e spesso trattato come un individuo senza diritti e spogliato di ogni dignità.  La campagna overthefortress ha scelto di lanciare questa sfida, di aprire questo spazio pubblico in una giornata altamente significativa. Ha voluto farlo raccogliendo l'appello partito dai rifugiati del City Plaza di Atene, un invito alla mobilitazione europea proprio nei giorni del primo anniversario dell'infame accordo tra l'Unione Europea e la Turchia. Quel patto scellerato, sottoscritto il 18 marzo del 2016 da tutti i capi di Stato europei, che non solo ha determinato la chiusura della rotta balcanica, ma ha definito in modo inequivocabile che in questa l'Europa che si vanta di essere dei diritti e della civiltà, non c'è posto per chi fugge dalla guerra e dagli effetti delle politiche neoliberiste e coloniali che stanno saccheggiando e impoverendo i paesi del sud del mondo.  Overthefortress in questi anni di attività lungo le principali rotte migratorie ed i confini dell'Europa fortezza è stata osservatrice dei mutamenti delle politiche europee, i quali hanno prodotto l'innalzamento di muri e barriere normative, e un susseguirsi di abusi e violazioni dei diritti umani: la cifra di tutto ciò è oggi rappresentata dai migranti abbandonati in condizioni disumane in Serbia, dalle preventivate deportazioni di massa e dal Migration Compact. L'Italia del governo Gentiloni ha da poco sottoscritto un accordo con la Libia che richiede l'intervento della guardia costiera libica per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale e rispedire i migranti in Libia, quando tutti sanno che quel paese non può essere considerato sicuro: lì i migranti subiscono torture, violenze, stupri, trattamenti inumani e degradanti. E nel frattempo, mentre l'Europa è intenta a sottoscrivere accordi bilaterali con le dittature ed i corrotti premier africani, il numero delle vittime della traversata del Mediterraneo aumenta inesorabilmente. Donne, uomini e bambini piangono madri, padri, figli, fratelli e sorelle.  I tanti interventi che si sono susseguiti al microfono lungo l'intero tragitto, hanno voluto ribadire il rifiuto del paradigma securitario e di criminalizzazione dei migranti: la politica di blocco e respingimento dei migranti sono degli atti di guerra nei loro confronti inaccettabili; al tempo stesso il cosiddetto piano Minniti e il decreto legge che porta la firma del ministro dell'interno e di quello della giustizia Orlando avallano una narrazione distorta sui richiedenti asilo, criminalizzandoli e rendendo ancora più complicata la possibilità di ottenere il riconoscimento della protezione internazionale. Ancora più grave è l'ipotesi di aprire un nuovo CIE, ora denominato CPR (Centro per il rimpatrio), in ogni regione. “Abbiamo lottato quindici anni contro la Bossi-Fini ed ora ci ritroviamo un decreto legge che è l'esatta continuità di quella visione paranoica e razzista delle migrazioni”.  Il decreto Minniti-Orlando è incostituzionale e produrrà un incremento dei migranti irregolari, ampiamente ricattabili e senza alcun diritto. E di fronte ad una “clandestinizzazione” di massa, che rischia di colpire anche i migranti che risiedono oramai da anni in Italia, non c'è altra strada se non quella di rivendicare il diritto all’emersione dal “soggiorno in nero” e quindi lottare per il riconoscimento del diritto di restare.  Rispetto al tema dell'accoglienza c'è l'urgenza di superare il modello fallimentare dei grandi centri - come quelli di Conetta e Bagnoli - legati perlopiù a logiche di business, per andare nella direzione di un'accoglienza diffusa e dignitosa. Da una parte serve obbligare dal basso i sindaci di tutti i comuni ad accogliere, facendoli quindi aderire alla rete del servizio d'accoglienza SPRAR, dall'altro occorre sperimentare forme innovative e alternative a quelle già esistenti. Alcune di queste esperienze, sia di accoglienza che di inclusione sociale, sono già dei percorsi reali e praticabili, la priorità deve essere quella di farle divenire un nuovo sistema virtuoso che sostituisca la logica emergenziale e speculativa.  L'happening finale che ha chiuso la grande giornata di mobilitazione ha portato sul palco di campo S. Angelo alcune delle più significative esperienze di buona accoglienza e di progetti legati all'inclusione sociale, ma anche la voce di richiedenti asilo che denunciano le condizioni indegne dei grandi centri d'accoglienza, e infine quella delle lotte sindacali dei cittadini stranieri nei luoghi veneti del lavoro sfruttato.  E proprio su questi punti è necessario continuare a mantenere alta l'attenzione e rafforzare il percorso del "Veneto che accoglie", costruendo degli ulteriori momenti di incontro e approfondimento per dotarci di una cassetta degli attrezzi che ci permetta di affrontare in maniera più efficace i nodi critici anche in vista degli appuntamenti che ci vedranno impegnati nei prossimi mesi: il 22 Aprile a Pontida, per la giornata dell'orgoglio antirazzista, e il 20 giugno, giornata internazionale del Rifugiato.
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