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#Gli affamati
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Bertolt Brecht
Gli affamati — Mattia Insolia
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yourtrashcollector · 1 year
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Eravamo malati di desiderio. Scintille nel buio, abbiamo illuminato la notte e siamo bruciati di incanti e meraviglie. E di questa certezza vivrò per sempre.
Mattia Insolia, Gli affamati
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viendiletto · 3 months
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Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
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curiositasmundi · 14 days
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Congratulazioni e un sentito ringraziamento per essere qui – nonostante le minacce, nonostante la polizia fuori da questa sede, nonostante la panoplia della stampa tedesca, nonostante lo Stato tedesco, nonostante il sistema politico tedesco che vi demonizza per essere qui.
«Perché un congresso palestinese, signor Varoufakis?», mi ha chiesto di recente un giornalista tedesco. Perché, come ha detto una volta Hanan Ashrawi, «non possiamo contare sul fatto che i silenziosi raccontino le loro sofferenze». Oggi, la ragione di Ashrawi si è rafforzata in modo deprimente, perché non possiamo contare sul fatto che i silenziosi, che sono anche massacrati e affamati, ci raccontino dei massacri e della fame.
Ma c’è anche un’altra ragione: perché un popolo fiero e dignitoso, il popolo tedesco, viene condotto su una strada pericolosa verso una società senza cuore, facendosi associare a un altro genocidio compiuto in suo nome, con la sua complicità.
Non sono né ebreo né palestinese. Ma sono incredibilmente orgoglioso di essere qui tra ebrei e palestinesi – di fondere la mia voce per la pace e i diritti umani universali con le voci ebraiche per la pace e i diritti umani universali, con le voci palestinesi per la pace e i diritti umani universali. Essere qui insieme oggi è la prova che la coesistenza non solo è possibile, ma che è già tra noi.
«Perché non un congresso ebraico, signor Varoufakis?», mi ha chiesto lo stesso giornalista tedesco, immaginando di fare il furbo. Ho accolto con favore la sua domanda. Perché se un solo ebreo viene minacciato, ovunque, per il solo fatto di essere ebreo, porterò la Stella di David sul bavero della giacca e offrirò la mia solidarietà, a qualunque costo, in ogni modo. Quindi lasciatemi esser chiaro: se gli ebrei fossero sotto attacco, in qualsiasi parte del mondo, sarei il primo a chiedere un congresso ebraico in cui esprimere la nostra solidarietà.
Allo stesso modo, quando i palestinesi vengono massacrati perché sono palestinesi – secondo il dogma che per essere morti e palestinesi devono essere di Hamas – indosserò la mia kefiah e offrirò la mia solidarietà a qualunque costo, in qualunque modo. I diritti umani universali o sono universali o non significano nulla.
Tenendo presente questo, ho risposto alla domanda del giornalista tedesco con alcune domande da parte mia: 
Esistono due milioni di ebrei israeliani, che sono stati cacciati dalle loro case e messi in una prigione a cielo aperto ottant’anni fa, sono ancora tenuti in quella prigione a cielo aperto, senza accesso al mondo esterno, con cibo e acqua minimi, senza possibilità di una vita normale o di viaggiare da nessuna parte, e che in questi ottant’anni vengono periodicamente bombardati? No.
Gli ebrei israeliani vengono affamati intenzionalmente da un esercito di occupazione, con i loro bambini che si contorcono sul pavimento e urlano per la fame? No.
Ci sono migliaia di bambini ebrei feriti, senza genitori superstiti, che strisciano tra le macerie di quelle che erano le loro case? No.
Gli ebrei israeliani vengono bombardati dagli aerei e dalle bombe più sofisticate del mondo? No.
Gli ebrei israeliani stanno subendo il completo ecocidio di quel poco di terra che possono ancora chiamare propria, senza che sia rimasto un solo albero sotto cui cercare ombra o di cui possano gustare i frutti? No.
Oggi i bambini ebrei israeliani vengono uccisi dai cecchini per ordine di uno Stato membro delle Nazioni Unite? No.
Oggi gli ebrei israeliani vengono cacciati dalle loro case da bande armate? No.
Oggi Israele sta combattendo per la sua esistenza? No.
Se la risposta a una di queste domande fosse sì, oggi parteciperei a un congresso di solidarietà ebraica.
Oggi ci sarebbe piaciuto avere un dibattito decente, democratico e reciprocamente rispettoso su come portare la pace e i diritti umani universali a tutti – ebrei e palestinesi, beduini e cristiani – dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con persone che la pensano diversamente da noi. Purtroppo, l’intero sistema politico tedesco ha deciso di non permetterlo. In una dichiarazione congiunta che comprende non solo la Cdu-Csu (Unione cristiano-democratica-Unione cristiano-sociale in Baviera) e l’Fdp (Partito liberale democratico), ma anche l’Spd (Partito socialdemocratico), i Verdi e, cosa notevole, due leader di Die Linke (La Sinistra), lo spettro politico tedesco ha unito le forze per garantire che un dibattito così civile, in cui possiamo essere in disaccordo, non abbia mai luogo in Germania.
Dico loro: volete metterci a tacere, vietarci, demonizzarci, accusarci. Pertanto non ci lasciate altra scelta che rispondere alle vostre ridicole accuse con le nostre accuse razionali. Siete voi a scegliere questo, non noi. Voi ci accusate di odio antisemita. Noi vi accusiamo di essere i migliori amici degli antisemiti, equiparando il diritto di Israele a commettere crimini di guerra con il diritto degli ebrei israeliani a difendersi. Ci accusate di sostenere il terrorismo. Noi vi accusiamo di equiparare la legittima resistenza a uno Stato di apartheid con le atrocità contro i civili, che ho sempre condannato e sempre condannerò, chiunque le commetta – palestinesi, coloni ebrei, la mia stessa famiglia, chiunque. Vi accusiamo di non riconoscere il dovere del popolo di Gaza di abbattere il muro della prigione a cielo aperto in cui è stato rinchiuso per ottant’anni, e di equiparare questo atto di abbattimento del muro della vergogna, che non è più difendibile di quanto lo fosse il muro di Berlino, ad atti di terrore.
Voi ci accusate di banalizzare il terrore del 7 ottobre di Hamas. Noi vi accusiamo di banalizzare gli ottant’anni di pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele e l’erezione di un ferreo sistema di apartheid in tutta Israele-Palestina. Vi accusiamo di banalizzare il sostegno a lungo termine di Benjamin Netanyahu ad Hamas come mezzo per distruggere la soluzione dei due Stati che dite di favorire. Vi accusiamo di banalizzare il terrore senza precedenti scatenato dall’esercito israeliano sulla popolazione di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Accusate gli organizzatori del congresso di oggi di essere, cito, «non interessati a parlare delle possibilità di coesistenza pacifica in Medio Oriente sullo sfondo della guerra a Gaza». Dite sul serio? Siete fuori di senno?
Vi accusiamo di sostenere uno Stato tedesco che è, dopo gli Stati uniti, il maggior fornitore di armi che il governo Netanyahu usa per massacrare i palestinesi come parte di un grande piano per rendere impossibile la soluzione dei due Stati e la coesistenza pacifica tra ebrei e palestinesi. Vi accusiamo di non aver mai risposto alla precisa domanda cui ogni tedesco deve rispondere: quanto sangue palestinese deve scorrere prima che il vostro giustificato senso di colpa per l’Olocausto venga lavato via?
Quindi di nuovo vogliamo esser chiari: siamo qui a Berlino con il nostro congresso palestinese perché, a differenza del sistema politico e dei media tedeschi, condanniamo il genocidio e i crimini di guerra indipendentemente da chi li commette. Perché ci opponiamo all’apartheid nella terra di Israele-Palestina, a prescindere da chi abbia il coltello dalla parte del manico, proprio come ci siamo opposti all’apartheid nel Sudamerica o in Sudafrica. Perché siamo a favore dei diritti umani universali, della libertà e dell’uguaglianza tra ebrei, palestinesi, beduini e cristiani nell’antica terra di Palestina.
E per essere ancora più chiari sulle domande, legittime e maligne, a cui dobbiamo sempre essere pronti a rispondere:
Condanno le atrocità di Hamas?
Condanno ogni singola atrocità, chiunque sia l’autore o la vittima. Quello che non condanno è la resistenza armata a un sistema di apartheid concepito come parte di un lento ma inesorabile programma di pulizia etnica. In altre parole, condanno ogni attacco ai civili e, allo stesso tempo, festeggio chiunque rischi la vita per abbattere il muro.
Israele non è forse impegnato in una guerra per la sua stessa esistenza?
No, non lo è. Israele è uno Stato dotato di armi nucleari, con l’esercito forse più tecnologicamente avanzato del mondo e la panoplia della macchina militare statunitense alle sue spalle. Non c’è simmetria con Hamas, un gruppo che può causare gravi danni agli israeliani ma non ha alcuna capacità di sconfiggere l’esercito israeliano, né di impedire a Israele di continuare a mettere in atto il lento genocidio dei palestinesi sotto il sistema di apartheid che è stato eretto con il sostegno di lunga data degli Stati uniti e dell’Unione europea.
Gli israeliani non hanno forse ragione di temere che Hamas voglia sterminarli?
Certo che sì! Gli ebrei hanno subìto un Olocausto che è stato preceduto da pogrom e da un profondo antisemitismo che ha permeato l’Europa e le Americhe per secoli. È naturale che gli israeliani vivano nel timore di un nuovo pogrom se l’esercito israeliano cede. Tuttavia, imponendo l’apartheid ai propri vicini e trattandoli come subumani, lo Stato israeliano alimenta il fuoco dell’antisemitismo e rafforza quei palestinesi e israeliani che vogliono solo annientarsi a vicenda. Alla fine, le sue azioni contribuiscono alla terribile insicurezza che consuma gli ebrei in Israele e nella diaspora. L’apartheid contro i palestinesi è la peggiore autodifesa degli israeliani.
E l’antisemitismo?
È sempre un pericolo chiaro e presente. E deve essere sradicato, soprattutto tra i ranghi della sinistra globale e dei palestinesi che lottano per le libertà civili dei palestinesi in tutto il mondo.
Perché i palestinesi non perseguono i loro obiettivi con mezzi pacifici?
Lo hanno fatto. L’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha riconosciuto Israele e ha rinunciato alla lotta armata. E cosa ha ottenuto in cambio? Umiliazione assoluta e pulizia etnica sistematica. Questo è ciò che ha alimentato Hamas e lo ha issato agli occhi di molti palestinesi quale unica alternativa a un lento genocidio sotto l’apartheid di Israele.
Cosa si dovrebbe fare ora? Cosa potrebbe portare la pace in Israele-Palestina?
Un cessate il fuoco immediato. Il rilascio di tutti gli ostaggi – quelli di Hamas e le migliaia trattenuti da Israele. Un processo di pace, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sostenuto da un impegno della comunità internazionale a porre fine all’apartheid e a salvaguardare uguali libertà civili per tutti.
Per quanto riguarda ciò che deve sostituire l’apartheid, spetta a israeliani e palestinesi decidere tra la soluzione dei due Stati e quella di un unico Stato federale laico.
Amici, siamo qui perché la vendetta è una forma pigra di dolore. Siamo qui per promuovere non la vendetta, ma la pace e la coesistenza in Israele-Palestina. Siamo qui per dire ai democratici tedeschi, compresi i nostri ex compagni di Die Linke, che si sono coperti di vergogna abbastanza a lungo, che due torti non fanno una ragione e che permettere a Israele di farla franca con i crimini di guerra non migliorerà l’eredità dei crimini della Germania contro il popolo ebraico.
Al di là del congresso di oggi, in Germania abbiamo il dovere di cambiare il discorso pubblico. Abbiamo il dovere di convincere la grande maggioranza dei tedeschi onesti che i diritti umani universali sono ciò che conta. Che «mai più» significa «mai più per nessuno». Ebrei, palestinesi, ucraini, russi, yemeniti, sudanesi, ruandesi – per tutti, ovunque.
In questo contesto, sono lieto di annunciare che il partito politico tedesco Mera25 di DiEM25 sarà sulla scheda elettorale per le elezioni del Parlamento europeo del prossimo giugno, cercando il voto degli umanisti tedeschi che desiderano un membro del Parlamento europeo che rappresenti la Germania e che denunci la complicità dell’Ue nel genocidio, una complicità che è il più grande regalo dell’Europa agli antisemiti in Europa e oltre.
Vi saluto tutti e vi suggerisco di non dimenticare mai che nessuno di noi è libero se uno di noi resta in catene.
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colonna-durruti · 1 day
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“Gli affamati ed i disoccupati sono il materiale con il quale si edificano le dittature.”.
“Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero”.
Sandro Pertini
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ilpianistasultetto · 1 year
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La nuova battaglia identitaria della PDC Meloni e' dire basta alla cultura di sinistra che imperversa in questo Paese dal giorno successivo al 25-aprile-1945. Capisco che analizzare la storia culturale di questo Paese da parte di una diplomata liceale che poi ha trascorso la sua vita tutta interna a un gruppo politico puo' essere impresa titanica ma la storia culturale di questo Paese e' sotto gli occhi di tutti. Probabilmente gli anni '60 e '70 sono stati anni dove la sinistra ha avuto un predominio culturale ma non perche' il potere politico ha agevolato quella diffusione, semplicemente perche' i giovani di allora erano antifascisti, affamati di diritti sociali, di liberta', di futuro e credevano nel valore della cultura. Teatro, Musica, letteratura, cinema..non c'era ambito dove quel tipo di cultura non predominava.. Poi sono arrivati gli anni '80 e l'avvento delle radio e tv private. Da quel momento la cultura ha svezzato un paio di generazioni di qualunquisti, edonisti e reazionari. Piu' che una cultura, una sub-cultura ridanciana, sguaiata e populista. Sparita la riflessione, il sapere, l'approfondimento, l'impegno sociale.. Per 30anni la cultura di massa l'ha divulgata Berlusconi con le sue tv, relegando a nicchia quella parte riferibile alla sx. Si e' visto in politica e in tanti ambiti di questo Paese come sia andata la storia. Credo che gli attuali 40-50enni, conoscano piu' il gabibbo o Boldi, Zalone o Pio e Amedeo che Troisi o Nanni Moretti. Piu' i fratelli Vanzina che i fratelli Taviani. Viviamo in un Paese dove meta' popolazione e' analfabeta funzionale, gente che sgomita per seguire isole dei famosi, talent o festival della canzone nazionale. La scuola non ha piu' alcun valore e si brama solo diventare influencer di facebook o tik-tok. Insomma, da 30anni siamo dentro un pantano di sola sub-cultura povera e stracciona creata dalla dx di questo Paese, altro non c'e'. Ma certi governanti sanno di cosa parlano o pensano che spremendo le teste di milioni di Fratelli' o di Bombolo vien fuori un bicchiere colmo di dotti intellettuali che potranno andare per il mondo a spargere il seme di un nuovo Rinascimento italiano? @ilpianistasultetto
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andrea-non-sa-tornare · 5 months
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ORIONE
Orione, secondo la mitologia greca, era un gigante cacciatore, nato da Poseidone ed Euriale figlia del re di Creta, Minosse. Quando fu sull’isola di Chio si innamorò perdutamente di Merope e volle corteggiarla, ma la cosa infastidì il padre di lei, re Enopio, che lo fece accecare ed allontanare dall’isola. Orione trovò rifugio nell’isola di Lemno e qui incontrò Efesto che ebbe pietà di lui e, affidandolo alla guida di Cedalione, lo fece accompagnare verso est, luogo in cui sorgeva il sole e dove incontrò Eos, l’Aurora, grazie alla quale riacquistò la vista. Secondo un’altra versione fu lo stesso Efesto che fabbricò degli occhi nuovi per il gigante. Lui ne fu talmente felice che ricominciò a cacciare senza mai fermarsi, fin quando arrivò alla dimora di Eos, della quale si innamorò e sposò.
Si narra che Orione avesse degli stupendi occhi chiari che gli permettevano di andar a caccia persino di notte, in compagnia del suo fedele cane Sirio e spesso si univa a loro la Dea Artemide che s’invaghì di lui e nonostante il suo voto di castità, non esitò a fargli esplicite offerte che lui declinò, perché non voleva tradire la moglie Eos, alla quale era grato di avergli restituito la vista.
All’inizio Artemide ammirò la fedeltà di Orione ma in seguito, quando seppe che si era invaghito delle sette Pleiadi, figlie di Atlante e Pleione, e che le molestava pure, andò su tutte le furie e allora escogitò un piano per punirlo. Gli inviò uno scorpione nella sua tenda e quando questi vi ritornò col suo fedele animale, il mostro nascosto nell’ombra, attese che i due, stanchissimi dalla pesante battuta di caccia, si addormentassero e punse per primo Sirio che, svegliatosi, tentò di difendere il proprio padrone e infine punse Orione e lo uccise.
Un’altra versione della storia dice che è invece Apollo, geloso delle attenzioni che la sorella dedica al bel cacciatore, a mandare lo scorpione che uccide Orione e che Zeus, adirato, scaglia una delle sue saette che fulmina lo scorpione, poi li pone entrambi in cielo come costellazioni. Orione risplende nell’emisfero Boreale mentre affronta la carica del toro, seguito dalla costellazione del cane maggiore, con la stella Sirio che brilla più delle altre e la costellazione dello Scorpione, invece, sorge quando quella di Orione tramonta, in maniera che i due non debbano più incrociare i propri destini.
La mitologia romana ci racconta, invece, un’altra versione sulle vicende di Orione. Secondo i racconti di Ovidio, Igino, Servio, Tzetzes e Lattanzio, Orione sarebbe nato dall’urina di tre Dei: Giove, Mercurio e Nettuno e che, per tale motivo, gli venne attribuito il nome di Tripater.
Narrano gli autori che un giorno i tre Dei si aggiravano nelle campagne della Beozia. Assetati ed affamati si fermarono nell’umile capanna del contadino Ireo, il quale offrì loro la sua gentile ospitalità, senza sapere chi fossero quei tre sconosciuti. Gli Dei decisero di mantenere l’anonimato, per vedere come si sarebbe comportato, con loro, quel contadino. Il pover uomo non esitò a donar loro tutto ciò che aveva e colpiti da tale gesto, essi decisero di rivelar le loro vere identità.
D’innanzi a simile rivelazione, Ireo sbiancò ma una volta ripresosi, uscì fuori dalla capanna e immolò a quei Dei, uno dei suoi tori più belli. Giove, ammirato da quel comportamento, disse a Ireo di chiedere qualsiasi desiderio che lui lo avrebbe esaudito, così l’uomo chiese che gli venisse concesso di aver un figlio, ma senza doversi risposare, perché aveva promesso alla moglie, morta da poco, che non si sarebbe mai più risposato. Giove gli disse di portare la pelle del toro immolato e vi orinò sopra e stessa cosa fecero anche Nettuno e Mercurio, poi suggerì di seppellirla nell’orto e attendere nove mesi prima di riprenderla. Ireo ubbidì e dopo nove mesi dissotterrò la pelle e vi trovò avvolto un bambino che allevò e che chiamò Urion, ( appunto da Urina), che in seguito cambiò in Orion.
Si narra che, in brevissimo tempo, Orione divenne un gigante di straordinaria bellezza. La stessa Dea Diana andava spesso a caccia assieme a lui, poi se ne innamorò perdutamente e sembra questa sia stata la causa di tutti i guai dell’uomo.
Infatti sulla morte di Orione ci giungono diverse versioni, quasi tutte legate alla Dea Diana. Ovidio ci racconta che sia stata la stessa Diana, folle di gelosia, ad uccidere Orione, a colpi di freccia, sull’isola di Ortigia, invece Igino ci narra che Orione perì per mano della dea Diana, dopo aver tentato di violentarla.
Secondo un’altra leggenda, Diana attendeva Orione, per una battuta di caccia, una mattina presto. Le si fece incontro il fratello Apollo che, geloso di quell’amore che distraeva la sorella dai suoi impegni, escogitò un sistema per sbarazzarsi del problema. Sfidò la sorella a colpire con arco e frecce, una figura in movimento, in lontananza, lei lo fece e felice ed esultante per aver centrato il bersaglio, attese che la sua preda raggiungesse la riva, ma quando ciò avvenne e si rese conto di aver colpito Orione alle tempie e di averlo ucciso, la sua gioia si tramutò in dolore e pianse tutte le sue lacrime. Giove, impietosito, tramutò Orione e il cane Sirio in costellazioni, in maniera che Diana, sollevando lo sguardo sulla volta celeste, potesse osservarlo per l’eternità.
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raffaeleitlodeo · 7 months
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animali Vorrei parlare d’altro, o quasi. I giornali di ieri avevano la fotografia di un soldato israeliano accucciato, con l’arma impugnata e nell’altro braccio un cagnolino maltese bianco, scampato al massacro del kibbutz. Le cronache dicevano di bambini uccisi coi loro animali. La strage degli innocenti è così completa. Chissà quale imbecillità spingeva dei governanti israeliani a chiamare “animali” i tagliagole di Hamas e a minacciare di trattarli “come animali”. Sono stato a Gaza, nella guerra del 2014, per Repubblica, con Fabio Scuto. Il 5 agosto mandai il mio pezzo: “Non comincerò dai bambini: troppo facile. Comincerò da dove comincerebbero i bambini, dallo zoo di Gaza. Si trova in un sobborgo pesantemente bombardato e svuotato di abitanti. Scendiamo fino alle gabbie, aspettandoci di non trovare vivi gli animali. Da giorni nessuno viene fin qui. Le gabbie, sgangherate, ci sono, e ci sono gli animali. Un gibbone, nella prima: si muove lentamente di qua e di là, incerto fra accoglienza e offesa. C’è un odore tremendo di putrefazione, che guida lo sguardo sui cadaveri decomposti di due cuccioli. Le gabbie successive sono dei leoni: una coppia in una, un grosso maschio nell’altra. Erano celebri: lo zoo aveva importato le sue fiere dall’Egitto attraverso i famigerati tunnel. Portare leoni o tigri nei tunnel – e come fare con una giraffa? Ora i leoni devono essere affamati e assetati a morte, però non hanno un atteggiamento aggressivo: al contrario, si drizzano contro la rete come aspettandosi ristoro, o almeno una complicità all’evasione. Nella prossima gabbia c’è una piccola disgraziata arca di Noè, un sovraffollamento – uso il termine carcerario – di animali alla rinfusa: un imponente pellicano, che spinge verso di me il magnifico becco, un coccodrillo morto, lui, con la testa infilata dentro un tubo, e i resti spiaccicati di una cicogna. In un recinto accanto due struzzi mi vengono incontro con dignitosa fiducia. C’è una gabbia di volpi impazzite che corrono in cerchio e si scavalcano frenetiche, una di lupi macilenti. Era famoso, questo zoo raccogliticcio, anche perché un veterinario si era arrangiato a esaudire la passione dei bambini per le zebre dipingendo a strisce nere un paio di asinelli bianchi. L’ultima gabbia contiene una coppia di macachi, e solo quando la femmina penosamente si muove mi accorgo che ha un piccolo aggrappato alla pancia. Incredibile come somigli a un bambino. Non ho cominciato dai bambini, era troppo facile”. - Conversazione con Adriano Sofri, Facebook
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ma-come-mai · 1 year
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Il Festival di Sanremo?
Un inutile spettacolo canoro perfetto per la tv; o meglio un demenziale varietà televisivo, in cui quattro scalzacani travestiti da artisti, fanno da balia a grotteschi presentatori, ridicoli direttori artistici e a damigelle insignificanti. Ancor peggio vedere giornalisti prezzolati, sportivi ed attori del momento, rimpinguare il proprio portafoglio. Non è certamente un'iniziativa il cui scopo principale sia parlare di musica, questi parlano del contorno tiepido e insipido che trema intorno al piatto nel quale gli altri gozzovigliano come corvi affamati.
Son periodi difficili per la cultura, di questi tempi. Stiamo vivendo una sorta di oscurantismo culturale che sta facendo precipitare la nostra società in derive inquietanti. Eppure la cultura non è argomento da sottovalutare, e nemmeno da minimizzare, perchè da essa dipende l’emancipazione sociale di un popolo. Purtroppo, proprio chi è preposto, a livello istituzionale, a promuovere, sostenere e preservare la cultura, pecca di latitanza, o ancor peggio di superficialità. Anzi, in taluni casi sono proprio le istituzioni ad essere artefici del degrado culturale che ci pervade in questo periodo. Sempre più spesso non sono neanche cattivi, ma incapaci.
E persistono nell'idea di essere nel giusto.
~Franco Battiato.
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"Del dolore non ci si può mai liberare del tutto. Ogni sofferenza è un parassita che lascia delle tracce, e quelle tracce, scorie velenose, si ammonticchiano sempre di più e sempre di più e sempre di più fino ad ostruire tutto, i capillari e le vene e le arterie. Saturano tutto. Non lasciano spazio a nient'altro."
Gli affamati — Mattia Insolia
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gregor-samsung · 1 year
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“ Diceva Eschilo che «la prima vittima della guerra è la verità». Ma la seconda è la logica. Putin affermava di voler «denazificare l’Ucraina», ma usava le bombe e i carri armati, cioè gli stessi metodi con cui Hitler nazificava l’Europa. Gli atlantisti ribattevano che «non si tratta col nemico»: semmai si tratta con l’amico, ma su cosa? Boh. Joe Biden dava del «macellaio» e del «genocida» a Putin, epiteti decisamente appropriati, soprattutto il primo. Ma un tantino indeboliti dal pulpito da cui provenivano: quello del padrone della macelleria (che ha fatto molte più guerre e molti più morti di Putin e al massimo potrebbe assumerlo come garzone). Bill Clinton coglieva l’occasione della guerra di Putin per vantarsi di aver allargato la Nato a Est «pur consapevole che i rapporti con la Russia potevano tornare conflittuali», perché «l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che era necessario». Che è un po’ come dire: l’ho preso a calci in culo e lui mi ha spaccato la faccia, quindi avevo ragione io a prenderlo a calci in culo. I trombettieri delle Sturmtruppen ripetevano due mantra. 1. «La Nato è un’alleanza difensiva» (ma non spiegavano come mai nella sua storia abbia aggredito mezzo mondo). 2. «La Nato difende i valori della democrazia» (ma non spiegavano perché vanti tra i suoi soci la Turchia di Erdoğan e abbia appena fomentato un golpettino in Pakistan per cacciare un premier non gradito). Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky intimava all’Ue di rinunciare al gas russo «sporco di sangue», «finanziando il genocidio»: lui però continuava ad acquistarlo tramite Paesi vicini e società svizzere, pagandolo profumatamente, «finanziando il genocidio» e per di più incassando da Putin 1,4 miliardi l’anno «sporchi di sangue» per i diritti di transito del gasdotto russo sotto il suolo ucraino.
L’Onu espelleva la Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, presieduto dall’Arabia Saudita (nota culla dei diritti umani, apprezzata da Matteo Renzi, ma soprattutto da Jamal Khashoggi, da ottanta giustiziati nel mese di marzo, nonché dai 370mila morti e dai venti milioni di affamati nello Yemen). Per non dipendere dal gas e dal petrolio dell’autocrate Putin, Draghi firmava contratti per far dipendere l’Italia dall’autocrate algerino Abdelmadjid Tebboune (che reprime partiti di opposizione e sindacati, fa arrestare attivisti per i diritti umani ed è fra i migliori partner militari di Mosca) e di altri regimi autocratici che hanno rifiutato di condannare la Russia all’Onu: Qatar, Egitto (vedi alle voci Regeni e Zaki), Congo (vedi alla voce Attanasio), Angola e Mozambico. E continuava a vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (i macellai dello Yemen), all’Egitto e al Qatar. A supporto del ribaltamento della logica, si provvedeva a ribaltare anche il vocabolario, secondo i dettami del ministero della Verità in 1984 di George Orwell: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Putin vietava di parlare di «guerra» perché la sua era solo un’«operazione militare speciale». E chi diceva il contrario finiva in galera. Ma in passato anche i buoni occidentali, quando aggredivano militarmente questo e quello, la guerra non la nominavano mai: meglio “missione umanitaria”, “esportazione della democrazia”, “peacekeeping”. A ogni strage di civili – regolarmente attribuita ai russi, anche nei casi in cui era opera delle truppe ucraine o dei loro fiancheggiatori neonazisti del Battaglione “Azov” – si ricorreva a termini impropri come “genocidio” (distruzione sistematica di un popolo, di un’etnia, di un gruppo religioso) e a paragoni blasfemi con l’Olocausto, la Shoah, la Soluzione Finale (termini finora usati da tutti, fuorché dai negazionisti, esclusivamente per quell’unicum storico che fu lo sterminio nazista degli ebrei). Ma bastava leggere i libri di Gino Strada per sapere che le stragi di civili sono una costante di ogni conflitto e si chiamano precisamente “guerra”, visto che in ciascuna il rapporto fra vittime civili e militari è invariabilmente di 9 a 1. E quella in Ucraina purtroppo non faceva eccezione, malgrado l’indignazione selettiva dei fanatici atlantisti che – per bloccare sul nascere qualunque tentativo di portare Putin al tavolo del negoziato – si affannavano a dipingere quel conflitto come diverso da tutti gli altri per le vittime civili, le fosse comuni, le torture, le violenze gratuite e le armi proibite (anch’esse caratteristiche costanti di tutti i conflitti, inclusi quelli scatenati dai “buoni”). “
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Dalla prefazione di Marco Travaglio a:
Franco Cardini, Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, Paper First, Maggio 2022 [Libro elettronico]
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chez-mimich · 4 months
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“… Se «Waves of Fear» era la cosa più viscerale che Reed avesse scritto fino a quel momento, allo stesso tempo era un indicatore di quanto fosse feroce la competizione per ottenere quel posto d'onore nel complesso della sua opera: le visioni degne di Auschwitz dei cadaveri ammucchiati di «Heroin»; la donna che diventa blu in «Run Run Run»; la violenza incombente di «There She Goes Again»; il teschio di Waldo Jeffers da cui zampilla il sangue in «The Gift»; il corpo depilato legato su un tavolo di «Lady Godiva's Operation»; la scena orgiastica dell'omicidio con la siringa di droga di «Sister Ray»; l'odio per il proprio corpo di «Candy Says»; la perdita lacerante di «Pale Blue Eyes»; gli escrementi e le viscere di «Wrap Your Troubles in Dreams» i bulbi oculari perforati e i ratti affamati di «The Murder My. stery»; il cervello servito su un vassoio di «Ocean»; il prete che riesuma il padre defunto di «Hangin' 'Round»; Caroline piena di lividi in Berlin mentre i suoi figli gridano, e che poi si suicida tagliandosi le vene dei polsi; l'elettroshock di «Kill Your Sons», il corpo nascosto nel portabagagli di «Sally Can't Dance»; gli ululati infernali di Metal Machine Music; la gola tagliata di «Kicks»; la vittima di un'overdose trascinata fuori e abbandonata per strada di «Street Hassle». L'elenco non finiva qui…”
(Will Hermes “Lou Reed re di New York” -Minimum Fax)
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princessofmistake · 9 days
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« Esercitate davvero una cattiva influenza, Lord Henry? Cattiva come sostiene Basil? » « Non esistono influenze buone, signor Gray. Influenzare qualcuno è di per sé immorale – immorale dal punto di vista scientifico, intendo. » « Perché? » « Perché influenzare qualcuno significa trasmettergli la propria anima. Significa che costui non pensa più i suoi pensieri naturali, non brucia delle sue naturali passioni; significa che sente irreali le proprie virtù e presi in prestito i propri peccati, se davvero esiste qualcosa che si può chiamare peccato. Diventa l’eco della musica di un altro, l’attore di una parte che non è stata scritta per lui. Lo scopo della vita è lo sviluppo di noi stessi, la perfetta realizzazione della nostra natura: ecco la nostra ragione d’essere. Ma al giorno d’oggi gli uomini hanno paura di se stessi. Hanno dimenticato il dovere supremo, il dovere che ciascuno ha verso di sé. Naturalmente sono caritatevoli: nutrono gli affamati e vestono i mendicanti. Ma sono le loro anime a essere affamate e nude. Il coraggio è sparito dalla nostra razza, o forse non ne abbiamo mai avuto. Il timore della società – che è il fondamento della morale – e il timore di Dio – che è il segreto della religione – sono le sole due leggi che ci governano. Eppure…. » [...] « Eppure, » continuò Lord Henry con la sua voce bassa e musicale e con quel movimento della mano, simile a un’onda leggera, che era un suo gesto caratteristico fin dai tempi dei suoi studi a Eton « io credo che se un uomo vivesse la sua vita con totale pienezza, se desse forma ai suoi sentimenti, espressione a ogni suo pensiero, realtà a ogni suo sogno, ebbene io credo che il mondo sarebbe rigenerato da impulsi tanto gioiosi da costringerci ad abbandonare tutte le nostre malattie medievaleggianti per ritornare all’ideale ellenico, o addirittura a qualcosa di più raffinato e più ricco dell’ideale ellenico, probabilmente. Ma anche i più coraggiosi fra noi hanno paura di se stessi. La mutilazione dei selvaggi sopravvive tragicamente nella negazione di sé che impoverisce le nostre esistenze. Siamo puniti per ciò che ci proibiamo. Gli impulsi che ci affanniamo a reprimere rimangono a covare nella mente e ci avvelenano; viceversa, il corpo che cede al peccato si libera di quel peccato perché l’azione è una forma di purificazione: ci lascia, tutt’al più, la memoria di un piacere o il lusso di un rimpianto. L'unico modo di liberarsi da una tentazione è cedervi. Rinuncia, e la tua anima si ammalerà rimpiangendo le cose che si è vietata e languendo nel desiderio di cose che solo leggi mostruose hanno bollato come illecite e mostruose. È stato detto che i grandi eventi dell’umanità si compiono nella mente. Ma anche i grandi peccati dell’umanità si compiono nella mente, e soltanto nella mente. Voi stesso, signor Gray, nella vostra giovinezza scarlatta e nella vostra candida fanciullezza, avrete conosciuto passioni che vi hanno fatto paura, pensieri che vi hanno riempito di terrore, e sogni – nel sonno o a occhi aperti – il cui solo ricordo vi farebbe arrossire di vergogna… » « Basta! » balbettò Dorian Gray. « Basta! Sono sconvolto da quello che dite! Non so che cosa rispondere. Ci sarà qualcosa da obiettarvi, ma non riesco a trovarlo. Tacete. Lasciatemi pensare; o, piuttosto, permettetemi di non pensare.»
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intotheclash · 15 days
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La statua di sale improvvisamente urlò. I profeti del nulla accorsero adoranti per ricevere il verbo. Nessuno fu in grado di capire, ma questa è storia vecchia. Tutti, però, seppero interpretare, questo spiegarono alle greggi di fedeli accorse in massa, con il capo cosparso di cenere e affamati di qualsiasi verità precotta. Sia lode al sommo e al suo megafono di latta. Diffonderanno gli ordini. Anche a costo della vita, l'altrui vita. Venne il tempo dei pagliacci in alta uniforme, petto in fuori e sguardo vuoto, microscopiche menti affogate nella boria e nel livore, che, sprofondati nei loro agi, sentenziarono: guerra! Guerra che schiere di idioti, dal passo incerto e l'occhio vitreo, combatteranno in nome del padre e del padrone, e avranno in cambio niente altro che macerie, dolore, pianto, lutto e nuova sopraffazione. Fiumi vischiosi sommergeranno le coscienze intorpidite annientando le barricate, i topi con le bandiere avranno la meglio e, perfettamente allineati, inizieranno il canto. Poche e afone voci fuori dal coro a cementare l'ineluttabile. Nel nido dei sopravvissuti al già visto imparare resta ancora oggi una parola dal significato sconosciuto.
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flavio-milani00 · 1 month
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Sono veloci, affamati, scivolano nel mondo con candore sfacciato. E devono rimanere sempre in movimento: se smettono di muoversi, muoiono. Sono i ragazzi di inizio millennio, sono gli squali. Fonte testo: retro libro
Il libro "Gli squali" di Giacomo Mazzariol mi è piaciuto davvero molto. Offre secondo me un ritratto azzeccato del mondo giovanile e in particolare di quel delicato momento alla fine delle superiori, quando si parte essenzialmente nella vera costruzione della propria vita futura.
C'è chi inizia l'università, chi va subito a lavorare o chi ha bisogno di temporeggiare in quanto non ancora sicuro di ciò che vuole fare. Non c'è una modalità standard per tutti, ognuno ha i suoi tempi ed è giusto non avere fretta perché da questo delicato momento di scelta dipende il futuro.
Il protagonista del libro, Max, coglie al volo una grande opportunità proprio mentre sta finendo le superiori. Appassionato di informatica, crea un'app per l'orientamento scolastico rivolta ai ragazzi e il progetto viene notato dal proprietario di un incubatore di start-up. Un'occasione incredibile per il ragazzo, che infatti viene subito accettata. Dopo gli esami si trasferisce a Roma per lavorare in questo luogo allo sviluppo dell'applicazione. Diventa in poche parole un vero e proprio lavoro, anche stancante e impegnativo. Un cambiamento, seppur apprezzato, troppo repentino. Max deve andare a vivere lontano dalla famiglia, dagli amici (anche loro alle prese con questo particolare momento della loro vita) e in generale dal luogo in cui è cresciuto (un paesino nel Veneto).
Quando la vita si rivoluziona in maniera così veloce c'é bisogno di rallentare. Questo Max lo capisce quando comprende che tutto sta andando veramente troppo in fretta. Decide appunto di rallentare, ma non di fermarsi.
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ilpianistasultetto · 1 year
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Il nuovo governo Meloni sembra come l'epifania..ogni malessere porta via. Se penso solo a due anni fa direi che Dio esiste. Che esistono i miracoli. Prima, per giornali e media (diciamo per i loro editori) 60 milioni di persone come uccellini affamati dentro il nido Italia. Tutti con i becchi spalancati a cinguettare un tozzo di verme pur di non morire di fame. Oggi invece, giornali e media ( sempre gli editori) tracciano il ritratto di un Paese contento, opulento, ridondante di positivita' e di lussi. Tre quarti d'Italiani in vacanza perenne, ristoranti da prenotare un anno prima, alberghi sempre sold-out e localita' sciistiche dove non si vede piu' la neve per quanta gente c'e'.. Non e' una novita' questa. Ne ho vissute di simili ai tempi di Berlusconi, di Renzi, di Salvini; adesso e' la volta della Meloni. C'e' sempre qualcuno che trasforma questo nostro stivale nel Paese di bengodi (fin quando gli fa comodo). @ilpianistasultetto
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