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#Contrapposizioni
staipa · 9 months
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/bologna-2/?feed_id=912&_unique_id=64ca00a5c6abf %TITLE% Bologna 25/05/2004 (Da "Contrapposizioni" Stefano Giolo, Edizioni Il Filo) È ancora fermo a quell’ora l’orologio della stazione. Quando la gente saliva sul proprio sogno, per un viaggio che non era l’ultimo né il più bello forse, ma era il loro, la vita. Persone immerse nella routine, tristi, § felici, amanti, piccoli infanti. Ed ora sono un ora, una crepa in un muro coperte da torri lontane da persone non nostre che ci fanno pensare più che loro. ANTONELLA CECI anni 19 ANGELA MARINO ” 23 LEO LUCA MARINO ” 24 DOMENICA MARINO ” 26 ERRICA FRIGERIO IN DIOMEDE FRESA ” 57 VITO DIOMEDE FRESA ” 62 CESARE FRANCESCO DIOMEDE FRESA ” 14 ANNA MARIA BOSIO IN MAURI ” 28 CARLO MAURI ” 32 LUCA MAURI ” 6 ECKHARDT MADER ” 14 MARGRET ROHRS IN MADER ” 39 KAI MADER ” 8 SONIA BURRI ” 7 PATRIZIA MESSINEO ” 18 SILVANA SERRAVALLI IN BARBERA ” 34 MANUELA GALLON ” 11 NATALIA AGOSTINI IN GALLON ” 40 MARINA ANTONELLA TROLESE ” 16 ANNA MARIA SALVAGNINI IN TROLESE ” 51 ROBERTO DE MARCHI ” 21 ELISABETTA MANEA VED. DE MARCHI ” 60 ELEONORA GERACI IN VACCARO ” 46 VITTORIO VACCARO ” 24 VELIA CARLI IN LAURO ” 50 SALVATORE LAURO ” 57 PAOLO ZECCHI ” 23 VIVIANA BUGAMELLI IN ZECCHI ” 23 CATHERINE HELEN MITCHELL ” 22 JOHN ANDREW KOLPINSKI ” 22 ANGELA FRESU ” 3 MARIA FRESU ” 24 LOREDANA MOLINA IN SACRATI ” 44 ANGELICA TARSI ” 72 KATIA BERTASI ” 34 MIRELLA FORNASARI ” 36 EURIDIA BERGIANTI ” 49 NILLA NATALI ” 25 FRANCA DALL’OLIO ” 20 RITA VERDE ” 23 FLAVIA CASADEI ” 18 GIUSEPPE PATRUNO ” 18 ROSSELLA MARCEDDU ” 19 DAVIDE CAPRIOLI ” 20 VITO ALES ” 20 IWAO SEKIGUCHI ” 20 BRIGITTE DROUHARD ” 21 ROBERTO PROCELLI ” 21 MAURO ALGANON ” 22 MARIA ANGELA MARANGON ” 22 VERDIANA BIVONA ” 22 FRANCESCO GOMEZ MARTINEZ ” 23 MAURO DI VITTORIO ” 24 SERGIO SECCI ” 24 ROBERTO GAIOLA ” 25 ANGELO PRIORE ” 26 ONOFRIO ZAPPALA’ ” 27 PIO CARMINE REMOLLINO ” 31 GAETANO RODA ” 31 ANTONINO DI PAOLA ” 32 MIRCO CASTELLARO ” 33 NAZZARENO BASSO ” 33 VINCENZO PETTENI ” 34 SALVATORE SEMINARA ” 34 CARLA GOZZI ” 36 UMBERTO LUGLI ” 38 FAUSTO VENTURI ” 38 ARGEO BONORA ” 42 FRANCESCO BETTI ” 44 MARIO SICA ” 44 PIER FRANCESCO LAURENTI ” 44 PAOLINO BIANCHI ” 50 VINCENZINA SALA IN ZANETTI ” 50 BERTA EBNER ” 50 VINCENZO LANCONELLI ” 51 LINA FERRETTI IN MANNOCCI ” 53 ROMEO RUOZI ” 54 AMORVENO MARZAGALLI ” 54 ANTONIO FRANCESCO LASCALA ” 56 ROSINA BARBARO IN MONTANI ” 58 IRENE BRETON IN BOUDOUBAN ” 61 PIETRO GALASSI ” 66 LIDIA OLLA IN CARDILLO ” 67 MARIA IDRIA AVATI ” 80 ANTONIO MONTANARI ” 86
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reporter42 · 1 year
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Resistenza. #humor #ironia #ginnastica #monumenti #resistenza #contrapposizioni #candid #street #streetphotography #streetlife #streetclassics #laspezia #salvadeo #cesaresalvadeo (presso La Spezia, Italy) https://www.instagram.com/p/Ckx5-0GtYPa/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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instabileatrofia · 6 months
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Contrapposizioni
I.S.A.
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Do not remove the captions pls.
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soggetto-smarrito · 11 months
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Catturarti vorrei..
e convincerti poi,
ad ascoltare le mille e più possibili storie.
Parole bagnate...
che chiedono di essere vissute.
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Racconti intimi...
privati,
dove le contrapposizioni spariscono
e le fantasie.....
vivono.
😎
Senza sbiadire.
soggetto smarrito
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fashionbooksmilano · 10 months
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Lee Ufan Resonance
Achille Bonito Oliva
Testi di: Gino Di Maggio, Achille Bonito Oliva, Lee Ufan
Fondazione Mudima, Milano 2007, 55 pagine, 27 x 23 cm, Inglese, brossura cartonata
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra 52 Biennale Venezia 2007 -Palazzo Palumbo Fossati. La mostra presenta 10 olii su tela di diverse dimensioni combinati con 8 installazioni realizzate con materiali naturali quali pietra e ferro. Lee Ufan, artista coreano fondatore del gruppo Mono–Ha, vive in Giappone ma è un nomade che ha saputo coniugare insieme il linguaggio delle avanguardie occidentali e la cultura di quelle orientali. Aggirando il ready made del cartesiano Duchamp ed il taglio del barocco Fontana, Lee Ufan sostituisce al principio di rappresentazione quello di presentificazione, in un percorso che corre dagli anni Sessanta, sculture e installazioni, alle "Corrispondenze" degli anni Novanta, fino alle pitture di oggi. Senza contrapposizioni ha fondato un incrocio spazio-temporale sostituendo al concetto di forma quello di "struttura", a quello di spazio quello di "campo", quale sistema di relazioni aperte a sviluppi che tendono a coniugare il pieno e il vuoto insieme. L'intera ricerca di Lee Ufan è una messa in crisi dell' "objet trouvé" e della sua metafisica: una forma morta scontornata nello spazio estetico e sottratta alla vita. Invece Lee Ufan non rappresenta ma "presentifica" un'idea di temporalità attiva che sostiene l'incontro dell'artista col mondo e dell'opera con lo spettatore. Ora una "tache" si irradia sulla superficie attiva di una pittura che sviluppa l'epifania di un incontro con il pubblico. Ora realizza pitture in cui egli è totalmente artefice del tutto. I segni orchestrati sulla tela hanno una tensione, un percorso e una durata spaziale giocati nel segno di una misura standardizzata a mano. Una misura memorizzata da un gesto che non dimentica precisione ed energia, scorrevolezza artigianale e geometria dell'estensione. Spesso questi spazi costituiscono degli architrave della visione, nell'ordine di due o tre organizzano il campo spaziale in termini di essenzialità visiva tesa ad evidenziare precisione ed indeterminazione, costrizione e potenziale modificazione. L'artista sembra voler dare al forte segno tracciato sulla superficie pittorica l'incisivo volume dell'oggetto o materia adoperata precedentemente nelle sue installazioni. La forza del tracciato serve proprio ad intensificare il momento dell'incontro tra l' opera lo spettatore mediante un intreccio tra tempo e spazio, dimensioni entrambe necessarie per realizzare il valore dell'arte, quello della "presentificazione". Ecco che Lee Ufan risolve il problema della immortalità dell'opera senza voler ipotecare il futuro, piuttosto fondando la persistenza del presente. Estendere il presente diventa per l'artista orientale un modo di eliminare da una parte il patetico sistema di previsioni del futuro e di ipotecare invece, attraverso una diversa dimensione dello spazio, un campo così vasto da accogliere il tempo del suo battito costante.
19/07/23
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princessofmistake · 26 days
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I giorni successivi si punteggiano di sterili contrapposizioni continue tra me e Lele su qualunque stronzata, dal decidere cosa visitare al modo di raggiungere la nostra meta una volta che l’abbiamo finalmente scelta. Non siamo abituati a discutere e a polemizzare così tanto fra di noi, ma immagino che in una coppia debba esserci lo spazio anche per questo.
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anticattocomunismo · 26 days
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Per Paglia "tutto si tiene", al di là del bene e del male
La filosofia di Francesco secondo il suo più “autorevole” interprete non prevede contrapposizioni né tantomeno principi non negoziabili che arrechino disturbo a una visione naturalistica dell’esistenza che può fare a meno del cristianesimo. Continue reading Per Paglia “tutto si tiene”, al di là del bene e del male
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Manfredi, aeroporto bene da gestire ascoltando anche i cittadini
“L’aeroporto è un patrimonio della collettività, che va difeso senza contrapposizioni. Allo stesso tavolo ci sono imprenditori, istituzioni dei cittadini e anche quelli ai quali l’aereo gli passa sulla testa e bisogna ascoltare tutti”. Lo ha detto il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, al convegno nell’Acen di Napoli sullo studio Nomisma “L’impatto economico-sociale dell’Aeroporto Internazionale…
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ufficiosinistri · 8 months
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Pivato - Marchesini - "Tifo, la passione sportiva in Italia"
Da dove deriva la parola “tifo”? Ci possiamo rifare al termine greco “thyphos”, cioè “fumo”, in quanto sappiamo che i primi sostenitori erano soliti raggrupparsi per festeggiare gli eventi sportivi attorno a un falò, oppure dobbiamo collegarci alla febbre tifoide e alla sua letale contagiosità tra gli esseri umani? Marchesini e Pivato, due importantissimi accademici, partono dal ‘500, per raccontarci il tifo e le sue origini storico-culturali. Per arrivare nell’ottocento, epoca in cui vengono eretti i primi sferisteri e la gente li affolla, per poi abbandonarli nei primi anni del secolo scorso, trasportandoci poi sino al fatidico dopoguerra, quando le rivalità tra le nazioni si acuiscono a causa del cessato conflitto mondiale e persino i ciclisti italiani al Tour de France vengono inseguiti e presi a sassate. Perché, paradossalmente, gli sport nei quali il contatto fisico è più lieve, o addirittura inesistente, vantano i tifosi più violenti e maggiormente attaccati al culto dell’atleta. Il libro può considerarsi come diviso in due parti. La prima parla delle gesta dei campioni di diversi sport, dei gossip che li hanno riguardati durante le loro carriere e delle reazioni del pubblico alle loro imprese. Viene raccontata così la morte di Fausto Coppi, vero e proprio eroe mitologico le cui gesta sportive divennero un vero e proprio atto di rivincita italiana nel dopoguerra. La sua morte può così essere considerata come l’evento spartiacque, in ambito sportivo, tra l’epoca della bicicletta e quella dell’automobile, che acquisì sempre più maggiore importanza con gli anni, ovviamente, del cosiddetto boom economico degli anni ’60, nonostante le imprese a cavallo tra le due guerre di Tazio Nuvolari e Achille Varzi.
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La seconda sezione del volume, invece, si concentra sul vero e proprio ruolo dei sostenitori e dei luoghi in cui essi agiscono. L’analisi si sposta così sugli stadi e sulle arene, sulla loro (spesso pericolosa ) conformazione ed infine sulla loro responsabilità nel modificare inesorabilmente il paesaggio cittadino, isolando il pubblico dagli oneri e dalle preoccupazioni della vita quotidiana e “inscatolandoli” in un ambiente in cui, secondo la concezione propriamente baktiniana della fruibilità del divertimento, tutto viene concesso. Ci si ritrova infatti in veri e propri luoghi di culto, dove la fanno da padrone campanilismi e senso di appartenenza comunitario, principali cause delle contrapposizioni, spesso violente, con i sostenitori della squadra avversaria. Invasioni di campo, insulti nei confronti di arbitri e deputati al rispetto delle regole diventano sempre più frequenti sino allo sfociare, come tutti sappiamo, con i terribili fatti di Viareggio, nel 1920, quando la polizia uccise il guardalinee Augusto Morganti. Si tratta di un volume storico che scaccia qualsiasi fatalismo dalle odierne speculazioni sportive. Dalla boxe al ciclismo, dal calcio alla pallavolo, dall’epoca fascista sino al ’68 e all’epoca Berlusconi, lo sport viene raccontato con una lucida disanima sociale e culturale, che abbraccio i tifosi, sì, ma anche pubblico e opinione pubblica. Nonostante la gradevolezza e l’efficacia di questa seconda parte, però, “Tifo. La passione sportiva in Italia”, appare, in alcuni passaggi, come un semplice elenco di date, avvenimenti e luoghi, descritti per dare al lettore il più alto numero possibile di informazioni nel tempo più breve possibile: ecco quindi una densa galleria fotografica che riporta i luoghi d’interessa citati durante lo scorrere dei capitoli, e una bibliografia precisa e puntuale che scorre tra l’origini delle fonti citate. Marchesini e Pivato, infine, ci danno un affresco importante e accademico di ciò che, nel gergo comune, possiamo chiamare “tifo”, ma che al suo interno comporta uno studio che non può non essere profondo e disinteressato. “La passione del gioco nell’ottocento assume proporzioni tali che non sempre il diritto riesce a regolamentare. E quando i luoghi deputati dalla consuetudine ad accogliere il gioco si rivelano insufficienti o inadatti, i giocatori non esitano a sfidare le norme di polizia per appropriarsi di nuovi spazi . Le diatribe che sorgono fra le autorità pubbliche aiutano a capire la funzione sociale del gioco nelle comunità in cui avevano origine i conflitti. I documenti di polizia delle varie autorità governative palesano in realtà il timore che la proibizione del gioco potesse dare origine a disordini e tumulti. Di qui le preoccupazioni he le autorità centrali esprimono a quelle comunali, invitandole a riflettere in quanto <<la privazione degli antichi giochi potrebbe far nascere anche gravi lagnanze, e forse ancora qualche tumulto>>.”
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roma-sera-giornale · 8 months
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G20 Italia Protagonista
De Ficchy Giovanni Non era una edizione facile, tanti i temi caldi sul tappeto, a cominciare dall’invasione dell’Ucraina, al confronto dei paesi del Nord, con quelli piu’ svantaggiati del Sud. Non aiutiamo il racconto interessato che vorrebbe l’Occidente diviso dal resto del mondo Abbiamo dimostrato che siamo attenti alle esigenze dei Paesi del Sud, non vogliamo contrapposizioni fra Paesi del…
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giancarlonicoli · 10 months
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10 lug 2023 17:10
DAGOREPORT - GIORGIA MELONI TEME LA “TEMPESTA PERFETTA” DI INCHIESTE SUI MEMBRI DEL GOVERNO - PUR AVENDO SEMPRE RIVENDICATO DI NON ESSERE RICATTABILE, NON AVENDO SCHELETRI NELL’ARMADIO, LA PREMIER SI STA RENDENDO CONTO CHE NON PUÒ METTERE LA MANO SUL FUOCO SULLA CORRETTEZZA PERSONALE DI CHI LE STA PIÙ VICINO - LA MANO TESA DI MANTOVANO AI MAGISTRATI AL DEEP STATE DOPO LE INCHIESTA SU SANTANCHE E LA RUSSA: “SI DEVONO FARE PASSI AVANTI E SUPERARE LE CONTRAPPOSIZIONI” -
DAGOREPORT
Giorgia Meloni ha i nervi a fior di pelle. Il fuoco di fila dei magistrati scaricato sul suo governo l’ha messa all’angolo: l’imputazione coatta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per il caso Cospito, l’inchiesta sulle società di Daniela Santanché e ora le accuse di stupro al figlio di Ignazio La Russa. Senza contare lo scontro con la Corte dei Conti a cui è stato sfilato il “controllo concomitante” sul Pnrr.
La Ducetta inizia a temere la “tempesta perfetta” di inchieste sui membri del governo, con un potenziale effetto valanga. Pur avendo sempre rivendicato di non essere ricattabile, non avendo scheletri nell’armadio, Giorgia Meloni si sta rendendo conto più chiaramente che non sono molti intorno a lei a poter rivendicare una coscienza altrettanto immacolata. La premier può mettere la mano sul fuoco sulla correttezza personale di chi le sta più vicino? Collaboratori, ministri, parlamentari del governo sono al riparo dalla lente di ingrandimento di qualche procura? Lo scopriremo.
Di certo, la sora Meloni non ha digerito la vicenda che ha coinvolto Leonardo Apache La Russa. A destare preoccupazione non è solo la già grave accusa di stupro ma anche il vai e vieni di personaggi e tipini fini dall’appartamento del presidente del Senato. Chi frequentava casa La Russa, attraverso il giovane Leonardo?
Questi e altri pensieri devono aver angustiato Giorgia Meloni nel volo verso Riga per incontrare il primo ministro lettone Arturs Krisjanis Karins. La visita è la prima di un capo di governo italiano dal 1998. Domani e dopodomani inizierà invece il summit Nato a Vilnius, in Lituania.
Tre giorni di decantazione dai problemi interni che non sembra possano scemare a breve. Se dopo 9 mesi dall’insediamento del governo, quando ancora si dovrebbe volare sulle ali dell’entusiasmo, siamo già alla guerriglia con la magistratura, chissà cosa potrà accadere più avanti.
Anche per stemperare un clima di conflittualità che ostacola l’azione dell’esecutivo, il sottosegretario di Palazzo Chigi Alfredo Mantovano ha provato a gettare acqua sul fuoco.
Il suo intervento al convegno 'L'Italia nel Mediterraneo', a Bari, era denso di messaggi per le toghe che però si sono aggrappate solo al passaggio scivoloso “interferenze di alcune iniziative giudiziarie”.
In realtà il discorso di Mantovano provava ad allargare il tema del conflitto politica vs magistratura per diluirne la tossicità: “Bisogna rendersi conto che il problema delle interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull'attività della politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito tutti i governi, qualunque fosse l'orientamento”. Della serie: inutile sentirci vittime delle toghe rosse, un certo livello di attrito è sempre esistito.
Secondo passaggio chiave: “Con tutto l'equilibrio possibile, questo problema dovremo porcelo tutti, qualunque sia il ruolo, e provare a superarlo senza contrapposizioni che non fanno bene a nessuno. Dei passi in avanti si devono e si possono fare”. Si devono fare “passi avanti”, “superare le contrapposizioni”.
Insomma, una mano tesa ai magistrati da parte dell’uomo più vicino al Deep state dell’entourage di Giorgia Meloni. Infatti sul caso Santanché Mantovano non ha alimentato polemiche contro la procura né ha chiesto la testa della ministra: si è mostrato equidistante e super partes.
Ps: A proposito di ripercussioni politiche dovute alle inchieste: cosa accadrà nelle stanze del potere della Lombardia, regione più ricca e importante d’Italia per il Pil, dopo gli scossoni che hanno colpito Daniela Santanché e Ignazio La Russa?
Il risultato trionfale di Fdi alle elezioni regionali in Lombardia aveva spinto la Pitonessa a prendere di petto la Lega (“Caro Fontana, abituati a noi…”) mostrando la baldanzosità del nuovo potere meloniano in terra lombarda. Ora che il tandem Santanché-La Russa ha delicate inchieste da fronteggiare, a Giorgia Meloni resta solo una persona di fiducia operativa in Lombardia: Carlo Fidanza. Uno che ha appena patteggiato un anno e 4 mesi, con pena sospesa e senza interdizione dai pubblici uffici, per un caso di corruzione (‘nnamo bene…).
MANTOVANO, INTERFERENZE GIUDIZIARIE UN PROBLEMA PER TUTTI
 (ANSA) - ROMA, 07 LUG - "Bisogna rendersi conto che il problema delle interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull'attività della politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito tutti i governi, qualunque fosse l'orientamento". Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, dal palco del convegno 'L'Italia nel Mediterraneo', a Bari.
"Con tutto l'equilibrio possibile, questo problema dovremo porcelo tutti, qualunque sia il ruolo, e provare a superarlo senza contrapposizioni che non fanno bene a nessuno. Perché c'è anche la tentazione di usare vicende giudiziarie di cui non si sa nulla.
Dei passi in avanti si devono e si possono fare - ha aggiunto -. La nostra riforma della giustizia contiene delle disposizioni che puntano a rendere la vita meno complicata agli amministratori locali, ad avere un sistema di garanzie più serio, e una serie di norme conseguenti, a cominciare da un incremento dell'organico dei magistrati. Le contrapposizioni devono essere superate guardando alla concretezza e all'oggettività dei problemi del sistema giustizia, e alle ipotesi di soluzioni, su cui si può convenire in tutto, in parte o per nulla, ma senza essere condizionati da iniziative giudiziarie".
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paoloferrario · 10 months
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SEMINARIO: RICONOSCERE E GESTIRE I CONFLITTI NEI GRUPPI E NELLE ORGANIZZAZIONI, a cura dello Studio APS di Milano, 29 settembre 2023, 13 ottobre 2023, 27 ottobre 2023
SEMINARIO RICONOSCERE E GESTIRE I CONFLITTI NEI GRUPPI E NELLE ORGANIZZAZIONI Edizione Autunno 2023 Nelle organizzazioni lavorative e nei gruppi di lavoro la presenza di differenze e divergenze è ineliminabile, è un elemento costitutivo che origina contemporaneamente fatiche e ricchezze. Le persone possono vivere con difficoltà le contrapposizioni e i conflitti che spesso sembrano ostacolare…
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lamilanomagazine · 11 months
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Milano: presentata alla Fabbrica del Vapore di Milano la mostra “Cina - La nuova frontiera dell’Arte”
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Milano: presentata alla Fabbrica del Vapore di Milano la mostra “Cina - La nuova frontiera dell’Arte”. Si è svolta questa mattina a Milano, alla Fabbrica del Vapore, la conferenza stampa di presentazione della mostra “Cina – La nuova frontiera dell’Arte” che da domani, sabato 24, aprirà al pubblico. All’incontro hanno partecipato l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, il presidente della Italy China Council Foundation, Mario Boselli, la direttrice della Fabbrica del Vapore, Maria Fratelli e il curatore dell’esposizione Vincenzo Sanfo insieme al produttore della mostra Salvatore Lacagnina. L’esposizione, sostenuta da Milano-Cultura e prodotta da Navigare Srl in co-produzione con Diffusione Cultura e Fabbrica del Vapore, evidenzia l’evoluzione artistica millenaria della Cina e il ruolo di primissimo piano che gli artisti cinesi stanno conquistando sui mercati e tra i collezionisti di tutto il mondo, assurgendo a nuovo fenomeno da quotazioni record e ancora tutto da indagare. “Questa è una mostra che insiste sulle relazioni internazionali, tra comunità, tra culture dal mondo. Abbiamo una digressione ampia sull’arte contemporanea cinese che è un mondo molto diversificato e stratificato, e composto da vari spunti e riflessioni e con una capacità scultorea e pittorica, oltre che multimediale. Non è casuale che avvenga alla Fabbrica del Vapore, che si trova nel quartiere Chinatown di Milano che ha una comunità con radici molto profonde e fa parte della vita culturale nella nostra città e la alimenta di contenuti” ha affermato Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Milano. La mostra presenta circa 250 opere di oltre 150 artisti, tra dipinti, calligrafie, sculture, manifesti, fotografie, filmati e video, di cui la maggior parte realizzate dal 1970 ad oggi. Un’importante testimonianza culturale dell’evoluzione dell’arte cinese come ha evidenziato Mario Boselli, Presidente di Italy China Council Foundation: “La Cina in pochi decenni, meno di 50 anni, ha subito un processo di grandi trasformazioni. La mostra è estremamente interessante perché è testimonianza di questo processo. L’arte è un terreno neutro, in cui non devono esserci contrapposizioni, e avere un momento di condivisione e armonia che aumenta la possibilità di conoscere una cultura millenaria, e sono convinto che la comprensione sia fondamentale. Se vogliamo far nascere nuove iniziative dobbiamo incontrare gli altri e il mondo dell’arte svolge questa funzione anche attraverso questa mostra”. L’esposizione, distribuita in cinque sezioni, racconta la millenaria storia artistica della Repubblica Popolare Democratica Cinese, così suddivise: La Cina dell’ultimo imperatore, riferita al tempo dell’imperatore Pu Yi; Mao e la rivoluzione culturale, per la seconda metà del Novecento; La calligrafia, dedicata alla antica arte inserita dall’Unesco nel Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità, La pittura ad inchiostro e, infine, La nuova pittura, sezione particolarmente ampia e variegata, con opere realizzate soprattutto da artisti attivi dalla seconda metà del Novecento e con diverse tecniche, tra cui la pittura ad olio, che in Cina ha una tradizione relativamente recente, essendo stata introdotta da appena 100 anni. Tra i nomi di spicco della nuova generazione di artisti ormai di fama mondiale si segnalano: Cai Wanlin, Luo Zhi Yi, Xing Junqin e Song Yongping, già celebrato al Paul Getty Museum oltre che al Moma di New York; Xu De Qi, con opere inedite pensate appositamente per l’esposizione milanese e che propongono una lettura personale della cancellazione della pittura da parte dell’arte contemporanea. Si evidenziano, in questo gruppo, anche due artiste donne: Zhang Hong Mei, definita “Sonia Delaunay cinese”, una delle personalità più interessanti a livello internazionale e tra le protagoniste di questo nuovo corso dell’arte cinese, già presentata al Centre Pompidou parigino e al Barbican di Londra, e Xiao Lu, tra le protagoniste del cambiamento degli anni Ottanta, recentemente ospitata dal Museo Guggenheim di New York.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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monicadeola · 11 months
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«Dice: mezza Italia è contenta, dico: ci hanno fatto un bonifico?, dice: è morto Berlusconi, ah, io i giornali non li guardo mai». Non voglio intromettermi nella conversazione tra la barista e il cliente cui sta spiegando come ha appreso la notizia del giorno, sennò le direi che fa benissimo: mai leggere i giornali sarà inutile quanto in questi giorni di pezzi confermativi e finte contrapposizioni tra «Silvio Berlusconi vulnus della democrazia» e «non Berlusconi in sé ma Berlusconi in me».
Di tutte le banalità che verranno scritte in questi giorni, la più innegabile è che nessuno che sia stato adulto in Italia negli ultimi trent’anni ha avuto una vita scevra di Silvio Berlusconi, era come se la settimana di Sanremo durasse tutto l’anno, anche se ti piccavi di non guardarlo o di essergli indifferente comunque non potevi prescinderne.
Io, poi, ho avuto in sorte l’avere vent’anni negli anni dell’unica storia rilevante dei decenni recenti – quella che parte dalle dimissioni di Cossiga, passa per Mario Chiesa, per Falcone e Borsellino, per il lancio di monetine, per lo sciopero delle sigarette, per il ritorno delle bombe nelle città italiane, per i puff imbottiti di soldi, per la morte di Fellini e per quella di Gardini, e arriva lì: alla cena bolognese per raggiungere la quale ho preso un treno, perché devo essere tra i miei amici intelligenti, tra gli adulti che capiscono la politica, devo poter un domani raccontare che in quel marzo del 1994 io sono tra i giusti, quando la civiltà sconfigge Silvio Berlusconi.
Sono passati quasi trent’anni, e i miei amici che all’epoca avevano quaranta o cinquant’anni ne hanno settanta o ottanta e, incapaci di elaborare la loro sconfitta di osservatori (io avevo ventun anni, ma come faceva un adulto a non accorgersi della giacca marròn di Occhetto? Faceva, perché ancora adesso i ceti medi riflessivi di tutto il mondo sono pieni di gente incredula che non ha mai conosciuto un elettore di Silvio Berlusconi o di Donald Trump e quindi mica possono aver vinto davvero), dicono che è colpa di Silvio.
Non ritengono di dover fornire una scusa per il loro non aver mai capito il mondo, perché ritengono di averlo capito. Qualche anno fa, osservando non ricordo quale degli scappati di casa politici di questo secolo, un mio coetaneo ha sospirato «ma ti rendi conto che noi pensavamo che l’abisso culturale e la fine della democrazia fosse un parlamento con Lucio Colletti», e io allora ho iniziato a usare per ogni verifica di scemenza quella frase della de Beauvoir cinquantaduenne a proposito dei propri vent’anni: «Avevamo torto pressoché su tutto».
Loro, quelli che erano già adulti allora e sono attaccati alle loro convinzioni di allora, hanno accolto irritati la notizia precisando che, certo, Berlusconi avrà pure cambiato l’Italia, ma loro preferivano l’Italia di prima. Seriamente convinti che esistesse un’Italia di prima – l’Italia di cui si fantastica ogni 25 aprile, quando decine di milioni di italiani accorrono sui social a ricordarci genitori e nonni e bisnonni partigiani, cento milioni di partigiani – e anche che il mondo di prima sarebbe continuato, se non fosse stato per l’egemonia d’un signore ricco di pessimo gusto (della preferenza italiana per i soldi ereditati dei quali non si percepisce la fatica, e quindi del nostro vezzo di trovare Gianni Agnelli più elegante di Silvio Berlusconi, di quello parliamo un’altra volta).
Quando gli dici che no, che l’Italia è com’è per colpa degli italiani, non di Silvio Berlusconi, che le tv scollacciate negli anni Ottanta le hanno avute l’Inghilterra e la Germania, e questo non ha impedito molti anni di Merkel al potere, e se le donne italiane faticano a imporsi non è colpa di Tinì Cansino, e che ci sono state la Brexit e Trump e un intero mondo che ha avuto esattamente la nostra stessa deriva senza aver mai guardato i tg di Emilio Fede, prendono i toni dei cinquenni che non vogliono sentire che babbo Natale non esiste e ti dicono no, tu non capisci, il berlusconismo è stato una rovina morale. Ne concludo che Silvio Berlusconi è parimenti sopravvalutato da estimatori e detrattori.
Rispetto alle donne, alle barzellette, ai pullman di figa, al gesto davanti a Michelle Obama, a tutto quello su cui ci è piaciuto indignarci per decenni, mi è sempre sembrato bizzarro che nessuno tenesse mai conto del fatto che era un uomo nato negli anni Trenta. Sì, lo so che avete tutti avuto genitori partigiani e femministi e illuminati, ma veramente non vi siete mai accorti di quanto il mondo sia cambiato negli ultimi decenni e di quanto sia ovvio che i codici comunicativi e la soglia dell’inaccettabilità siano diversi?
E questo ci porta a: è morto, parliamo di quella volta che l’ho incontrato. Non ero più la ventenne convinta che il futuro fosse del Pds (che tenerezza), ma neanche ero un’adulta con una qualche lucidità. Ero una trentaequalcosenne in uno studio televisivo in cui Berlusconi dava un’intervista elettorale, dovevo scriverne, ero dietro le telecamere e osservavo. A fine diretta, il conduttore me lo presenta, e lui ci resta male: ah, ma quindi è qui per lavoro, io pensavo fosse un’ammiratrice, «le avevo anche schiacciato l’occhio».
La me trentenne raccontava questa scena dicendo ma ti rendi conto, che uomo viscido, e poi passava a concentrarsi sulla stranezza estetica di Berlusconi visto dal vivo, l’hai visto tante di quelle volte in foto che sei convinta lo riconoscerai, e invece è una specie di contrario delle anoressiche che sembra sempre abbiano la testa enorme: lui aveva le spalline della giacca talmente imbottite che la testa sembrava minuscola.
La me adulta sa che il dettaglio notevole è che non dice «le ho fatto l’occhiolino», dice «schiacciato l’occhio», un’espressione che non credo d’aver mai sentito da nessuno ma che sarebbe stata benissimo addosso a mia nonna, che diceva «bàule» e beveva il rosolio.
Nella scena che piace tanto citare a tutti, quella di Berlusconi che spolvera la sedia dov’è stato seduto Travaglio nello studio di Santoro, Berlusconi lo fa tirando fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa. L’ultima volta che ho visto fazzoletti di stoffa è stato nell’armadio di mio padre negli anni Settanta. Niente mi dice «altri tempi» come il fazzoletto di stoffa.
Kendall Roy ha un fazzoletto di stoffa – color nero luttuoso, perdipiù – al funerale del padre. Logan Roy era un miliardario che s’era fatto da solo, il che in America è meno straniante che in Italia, essendo la loro matrice letteraria Jay Gatsby e non la divina provvidenza del Manzoni; Kendall deve improvvisare un’orazione, e dice che suo padre ha costruito una civiltà dal fango, e che sì era un bruto, ma avercene, io spero che quella natura lì sia in me, «perché, se non riusciamo a eguagliare la sua fregola, Dio sa che il futuro sarà inerte e grigiastro»: ecco, sì, quello che ha preso il signore.
Mi aspetto che Succession sia citatissimo negli articoli, gli eredi non all’altezza del patriarca, il patriarca che era un uomo di merda ma mai noioso, mai vissuto di rendita, mai uno di questi qua (continuo a pensare al sottotitolo di quel libro di Ceccarelli, “Da De Gasperi a questi qua”). Io sto fantasticando che Veronica Lario faccia come Marcia Roy: si riappropri del cadavere come la separazione non fosse mai avvenuta, cacciando la tapina che ha il merito e la colpa d’esser stata carne fresca.
Ora non è che, in un universo nel quale non abbiamo ancora trovato un modo non tifoso di raccontare una guerra di ottant’anni fa, in ventiquattr’ore veniamo a capo di Silvio Berlusconi: se ne occuperanno tra secoli senza i nostri tic da curva di tifoseria; io mi limito a cercare (invano) di ricordare quand’ho cominciato a dire «devo votarlo, non esiste che muoia senza che io l’abbia mai votato». Poi non l’ho fatto, ma un po’ mi dispiace: sarebbe stata una buona chiusura di cerchio per una vita adulta partita ritenendolo il massimo male del mondo e proseguita dovendo ammettere che in confronto a questi qua era Churchill.
Non l’ho fatto ma l’ho detto così spesso che l’amica che m’ha telefonato per darmi la notizia m’ha detto solo «Non l’hai votato». Dov’eri quando morì Berlusconi, mi chiederanno tra decenni. Ero senza un coccodrillo pronto, perché come si fa ad affrontare la morte d’un pezzo di paesaggio, non sai da che parte prenderla. Ero senza il voto che m’ero ripromessa di dargli per completare la redenzione della me ventenne. Ed ero reduce da una serata trascorsa a guardare attonita una scrittrice che raccontava d’aver stracciato il suo contratto con Mondadori perché Berlusconi era il nemico, «sono passata a Einaudi», «ma pure Einaudi è di Berlusconi», «che c’entra».
Quand’ero piccola Michele Santoro faceva un programma le cui puntate si aprivano con uno slogan irresistibile: «Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda». Non era vero. Non è mai stato vero. Siamo sempre stati tifosi, e Berlusconi ha incarnato con la tigna di nessuno quella polarizzazione lì, quella vocazione di noi gente qualunque a stare con qualcuno o contro qualcuno. Mentre lui aderiva a un’unica curva, quella di sé stesso. Come ha detto l’unico politologo lucido degli ultimi trent’anni, Corrado Guzzanti, riassumendone la linea politica e umana: facciamo un po’ come cazzo ci pare.
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soggetto-smarrito · 8 months
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Non dovremmo mai vivere..senza analizzare ciò che avviene in noi, nella nostra vita interiore.
Scendere quei gradini immaginari e ritrovarsi al centro delle zone di influenza del pensiero...che ognuno di noi presidia, e tra quella spazzatura emotiva, sempre pronta ad esplodere..trovarci un fremito d'audacia, che sia capace di rompere le contrapposizioni, di affrontare e sconfiggere le menzogne dell'orgoglio..
accettando di comprendere anche anime altrui.
Tumblr media
I sentimenti che ogni giorno ci mettono alla prova..scavano fossati, alzano muri, scardinano principi.
É nel riconoscere come questo ci cambi...che si trova uno spunto per ricominciare.
Recuperare il baricentro..
tra ciò che ci ruota intorno e ci corrode...
e noi stessi.
Non accontentiamoci di contemplarci..ma interroghiamoci su ciò che ci manca, sulla nostra incompletezza e le sue immancabili ombre.
soggetto-smarrito
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cinquecolonnemagazine · 11 months
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Controllo preventivo sul PNRR e Corte dei Conti: il governo spinge solo per quello finale
Controllo preventivo sul PNRR e Corte dei Conti, subito nasce la solita querelle, più politica che di contenuto, per cui il governo spinge solo per quello finale e le opposizioni si stracciano le vesti inveendo e gridando alla compromissione della democrazia in Italia. A dire il vero ci stiamo 'facendo un po' il callo' a questa dinamica, non certo nuova ma sicuramente asfittica e senza sbocco, mentre il Paese ha sempre più bisogno di risposte, sembra assistere alla scena degli orfanelli che aspettano nel film "Totò, Peppino e le fanatiche" con il massimo rispetto per il grande comico. Controllo preventivo sul PNRR e Corte dei Conti La questione del controllo preventivo, lasciatecelo dire, è del tutto stucchevole. Fermo restando l'assoluta necessità di controlli sulla spesa pubblica anche e soprattutto ad opera della magistratura contabile. Resta assolutamente imprescindibile che: in primis i soldi arrivino e poi che vengano finiti i progetti finanziati. Resta insoluta, invece, una domanda che poniamo da più tempo: ma cosa c'è in realtà dentro questo famoso e ormai fantomatico PNRR? Esiste una lista delle progettualità presentate al finanziamento? Possiamo, come semplici cittadini ovviamente, avere contezza di questa lista? Riusciremo mai a capire per cosa sono stati chiesti questi fondi che dovevano rimettere in moto il Paese dopo la Pandemia? Controllo preventivo: di nuovo scontro fra potere esecutivo e potere giudiziario? Possiamo sempre arrivare a queste contrapposizioni fra poteri dello Stato? Possibile che non si riesca ad uscire da questo giogo vizioso di guerra intestina (a volte nemmeno tanto intestina ma molto manifesta) all'interno della stessa amministrazione pubblica? Se prendiamo denaro a prestito, come parte del PNRR è, possiamo sapere per cosa pagheremo questi debiti? Cosa realizzeremo di preciso con questo debito? Dobbiamo intenderla alla stessa maniera del buon Gaber che nella sua famosissima «Mi fa male il mondo» sottolineava così: Mi fa male che l’Italia, cioè voi, cioè io, siamo riusciti ad avere, non si sa bene come, due milioni di miliardi di debito. Eh si sa, un vestitino oggi, un orologino domani, basta distrarsi un attimo... e si va sotto di due milioni di miliardi. Questo lo sappiamo tutti eh. Ce lo sentiamo ripetere continuamente. Sta cambiando la nostra vita per questo debito che abbiamo. Ma con chi ce l’abbiamo? A chi li dobbiamo questi soldi? Questo non si sa. Questo non ce lo vogliono dire. No, no perché se li dobbiamo a qualcuno che non conta... va bè, gli abbiamo tirato un pacco e finita lì. Ma se li dobbiamo a qualcuno che conta... due milioni di miliardi... prepariamoci a pagare in natura.  Intervista a cura di Serena Bonvisio Foto di Alberto Sanchez da Pixabay Read the full article
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