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#Cinico Tv
kittesencula · 4 months
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schizografia · 7 months
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Pietro Giordano
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acquaconlimone · 10 months
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Cinico TV
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3nding · 7 months
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[Quelli del Primo Anno: Rrrobettoo] Come chiunque abbia frequentato un’Università sa, il primo anno di triennale è quello del mischione: in un improbabile esperimento alla squid game, ti trovi in aule traboccanti oltre ogni fisica possibilità consapevole che, se resisti, già dopo un annetto lì dentro ci sarà ad essere ottimisti il 20% dei presenti. Se non ci siete stati iscritti, potete comunque immaginare quanto questo fenomeno sia amplificato in un ateneo come La Sapienza, con una popolazione e una densità per metro quadro di poco inferiori a quelle di Lagos, Nigeria. Beh, avendo vissuto tutto questo vorrei raccontare di qualcuno di quei personaggi al limite del realismo magico con cui ho condiviso il primo anno di triennale e che ancora oggi, a più anni di distanza di quanto ami ammettere, si riaffacciano alla mia memoria e al mio cuore. Il primo di cui vorrei raccontarvi è Roberto, subito ribattezzato Rrrobettoo per celebrare la denominazione di origine controllata espressa dal vago accento siculo che lo contraddistingueva, qualcosa a metà tra Catarella e i personaggi di Cinico Tv. Rrrobettoo, che aveva colto al volo la possibilità della triennale a Roma per sfuggire alle grinfie di uno zio pronto a piazzarlo alla cassa del Famila di Salita Partanna (PA), viveva l’esperienza universitaria con l’intensità di un fratboy della GeorgiaTech. Dopo una settimana aveva fatto amicizia con tutti i dipendenti della mensa di De Lollis, la mattina offriva il caffè al portinaio della facoltà, era capitano della squadra di Calciotto Sapienza e admin di tre gruppi social del canale A-L (whatsapp, facebook e google group). L’unico mattone che mancava al suo monumento all’Accademia era il benché minimo interesse per l’informatica, materia che risultava accidentalmente essere l’oggetto di studio della nostra facoltà. Le lezioni le passava col portatile aperto a studiarsi le pagine facebook delle serate di facoltà, stimando grazie a suoi particolari algoritmi sociali quale fosse l’evento “co ppiù femminazze”. Per ogni corso di studio aveva un cugino o un compare di giù da sentire per raccogliere preziosa intel che poi condivideva urlando con gli astanti. A metà di una tranquillissima lezione di Algoritmi I lo vedevi che tirava su di botto la testa dal telefono e urlava “Compari me cuggino Tanuzzo mi disse che alla serata erasmus allu yello’ stasera fann u birrpong in bikini, situazzione di BABBIATA”. Manco a dirlo, nessuna di queste dritte si rivelava mai fondata. Al nostro arrivo, preso atto dell’assoluta piattezza della situazione, ci guardava allargando le braccia e dandoci un mezzo sguardo di rimprovero faceva “compari io ve lo dissi che prima dovevamo calare, mo le femminazze stanno tutte al caruuso stanno… -sguardo speranzoso- vogliamo annari a darci una taliata?”. Dopo un paio di queste trappole ci persi gradualmente i contatti, ma la sua uscita di scena fu spettacolare: venne fuori che aveva organizzato una lega di fantamorto a tema docenti della facoltà particolarmente remunerativa, che vedeva come principali scommettitori diversi membri dell’amministrazione e anche un paio di dottorandi. Lo scandalo scoppiò quando uno di questi inviò per errore alla mailing list del consiglio di facoltà il seguente messaggio:”stamattina il tutor l’ho visto malino, consumato dall’influenza. Dai che a sto giro vado in cassaa😋😋”. Dopo quello scandalo Rrrobbettoo lo rividi solo mesi e mesi dopo, una sera di fine ottobre mentre raggiungevo San Lorenzo. Aveva dei denti finti da vampiro, un mantello, la cipria e girava con gente mai vista, dai discorsi che facevano dedussi fossero una nuova infornata di matricole. Alla mia domanda su cosa stesse facendo mi rispose quasi senza fermarsi “comparuzzo è allouin, mi dissero che al randomm cc’è la festa sexy di economia, porto i compari qui a sucare qualche streghetta, veni a dare una taliata??” e senza neanche aspettare la mia risposta sparì nella notte. - relatable Roma memes fb
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abr · 11 months
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Ho rivisto "2012", ieri.
Uno degli ultimi film complottisti Hollywood Dems' made, prima di riconvertirsi all'abbronzatura di antichi eroi ed eroine troppo pallidi.
E' in sostanza catastrofismo in salsa Maya: la crosta terrestre "disloca" provocando terremoti e maremoti globali, ma solo per un mesetto poi si calmerà. Gli Espherti sanno da qualche anno (la scenza non mente) ma lo dicono solo a chi li paga: i Governi. Come ricompensa, molti di loro verranno lasciati morire, mentre altri vengono ammazzati prima che rivelino tutto.
I Governi del Mondo delocalizzano in Cina la costruzione segreta di una serie di Arche (con gli espliciti complimenti finali: "bravi cinesi, non credevamo fosse possibile costruirle in così poco tempo") per salvare animali, opere d'arte libri. E anche 400.000 persone, ufficialmente i "migliori" selezionati da biologi e genetisti, nella realtà si tratta di family & friends dei politicanti al potere, compresa Queen Betty coi suoi corgi. Una delle Arche è riservata a "private donors", riccastri che han saputo per le loro vie traverse confidenziali e han comperato biglietto da 1 miliardo di dollari a cranio, without whom l'intero progetto non sarebbe stato finanziariamente sostenibile (ah che skifo il Kapistalishmo, però è l'unico sistema che realizza quel che serve, anche in Cina).
Alla fine arriva il giorno previsto dai Maye e dagli Eshperti , solo un po' prima e un po' più viulentemente (ah 'sta natura poco scentifica). Ovviamente la storia è incentrato sulle mille peripezie di un ammerecano medio determinato e sveglio che salva sé e famiglia: messaggio individuale individualista di speranza che Hollywood è ancora costretta a dare per via del botteghino, nonostante sia tutta socialismo; ma a noi non interessa, sottolineiamo solo alcuni aspetti sociopolitici di mentalità.
Primo: il complottista isolato che sembra uno scemo, è l'unico che unisce i puntini e ha ragione. Dar retta al pazzo complottista è ciò che salva l'ammerecano medio: messaggio decisamente pre-Trumpiano ma una volta i Dems. stigmatizzavano giustamente Cia Fbi Deep State e mainstream media, poi han deciso che si faceva prima a diventare i loro rappresentanti e brandire i Fact Checkers per zittire i complottisti, accusandoli di essere al soldo di Putin.
Secondo: è chiaro e condiviso che salvare l'Elite mondiale é una operazione odiosa, peggio del nazismo che perlomeno puntava sulla razza superiore; mentre il cinico conservatore giustifica la cosa in modo banale (la vita è nammerda, il fine giustifica i mezzi), la reazione dei "buoni democratici" è indignata ma rimane petizione di principio, poi si mettono tutti disciplinati in coda per il proprio salvamento, paghi del fatto di sentirsi intellighentsjia indispensabile per l'Umanità futura. I soliti ipocriti: mi devono spiegare come un geologo possa esser più "indispensabile" di un idraulico, di una levatrice o di un muratore quando c'è da rifare una vita.
Il Dems. in regia tenta di inscenare un pentimento e redenzione di codesti "buoni": funge da agnello che toglie i peccati del mondo dems., il vecchio simil Obama Presidente Usa. Costui non s'imbarca, decidendo di condividere la sorte delle masse, anzi rivelando la catastrofe incombente in tv a reti unificate. Too little too late: se n'è stato zitto e collaborativo per almeno due anni e cede solo all'evidenza della catastrofe in corso, a giochi fatti e senza rivelare che c'è chi si salverà, tra cui sua figlia. A pentirsi così son buoni tutti (quelli anziani). Altra ipocrisia tipicamente Dems.
Ah, c'è poi un altro tentativo di contentino livoroso Dems per le masse: l'Arca per i miliardari muniti biglietto risulta danneggiata e non può salpare. Scene di panico e vittime, i miliardari son rimasti piedi: anche i ricchi piangano. Alla fine dopo acceso dibattito "i buoni" decidono di aprire le porte delle Arche loro e stringersi un po': fa da simbolo involontario dell'alleanza tra sinistre globaliste e finanza.
Sintesi finale: praticamente tutti i film d'azione da quarant'anni a questa parte, a partire dal capostipite James Bond, riguardano complotti e fregature del governo contro i cittadini; questo non fa eccezione. Voglio dire, eran DECENNI che ci stavano preparando culturalmente all'inganno, alle bugie, al "fate come vi diciamo e andrà tutto bene". Lo facevano i "buoni" fino a quando non diventarono loro stessi il Potere che gestisce la cospirazione menzognera ipocrita; sia come sia uno dice, più che dircelo, uomo avvisato mezzo salvato ... invece non è servito a nulla.
O meglio, è servito documentare in anticipo come avvengono le catastrofi: sulla pelle della gente, mentre "qualcuno" si salva - attenzone, non sono né tutti gli scenzati né tutti quelli "coi soldi": piangono pure loro, nonostante abbian dato ...
Meditate gente, meditate.
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pedrop61 · 2 years
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IL SABOTAGGIO DI NORD STREAM, CUI PRODEST?
La Russia che mina le acque di Odessa, così da non poterla raggiungere via mare. La Russia che bombarda la centrale nucleare di Zaporizhzhia, già sotto il suo controllo. E ora, la Russia che si buca da sola il condotto del Nord Stream, l’enorme gasdotto che nasce a Vyborg, attraversa i 1.200 km del mar Baltico e termina a Greifswald, in Germania. Una mostruosa struttura che porta ogni giorno nelle casse di Mosca un miliardo di Euro.
Con questa fanno tre. Una terna agognata da chi ci crede, e che per ignavia intellettuale non riesce ad abbandonare le trincee segnate dal sistema e bombardate dalla Propaganda, rimanendo intrappolato nella sua condizione di scemo di guerra in tempo di pace.
Per mesi Putin è stato dipinto come l’inverecondo ricattatore che gioca ad aprire e chiudere il gas, il sadico che gode nel prospettarci lo spettro di un gelido inverno e di un’economia in serrata. Ora il cinico calcolatore, non si capisce perché, perde la testa e si priva della sua miglior arma di ricatto. Anziché continuare ad utilizzarla modulando strategicamente il flusso del gas, se ne disfa. Torna il proverbiale masochismo dei Russi, già manifestato a Odessa e Zaporizhzhia.
Già questo basterebbe per darci un’idea delle dimensioni della bufala che vorrebbero propinarci. Ma se aggiungiamo alcune semplici considerazioni, capiamo che media e governanti ci credono incapaci di distinguere un lingotto d’oro da una mattonella.
Alcuni parlano di un quintale di tritolo piazzato da uomini rana, il doppio del quantitativo usato nella strage alla stazione di Bologna. I più temerari parlano di un sommergibile russo che ha sganciato un siluro contro la struttura, in uno specchio di mare saturo di navi da guerra. Tutto questo i Russi l’avrebbero fatto a meno di dodici miglia nautiche dall’isola di Bornholm, dunque in acque territoriali della Danimarca, che è membro della Nato.
In una porzione di mare controllatissima, su cui lo Stato costiero esercita una sovranità piena. Deve solo consentire il cosiddetto «diritto di passaggio inoffensivo» alle navi straniere, anche militari, purché si limitino soltanto a passare, su rotte concordate.
Per dare un’idea, l’art. 19 della Convenzione di Montego Bay considera offensivo, fra i tanti, il comportamento di una nave straniera che pesca senza permesso in acque territoriali. E se ogni passaggio offensivo legittima lo Stato costiero ad usare la forza, si comprende l’estrema gravità e la scarsissima credibilità del comportamento attribuito alla Russia, che avrebbe rischiato il massimo per colpire se stessa.
È poi risaputo che gli USA hanno sempre visto, fin dagli albori del progetto, il Nord Stream come il trait d’union tra Russia ed Europa, quindi come il fumo negli occhi. Tanto da far trasalire anni fa il mite sindaco tedesco della cittadina di Greifswald, quando si vide recapitare una lettera di tre senatori del Congresso USA, che gli intimavano di revocare l’autorizzazione all’attracco delle navi russe che sbarcavano materiale e forza lavoro per la costruzione dell’imbocco del gasdotto su suolo tedesco. E propinando al mondo le imbarazzanti dichiarazioni di Biden, che in una conferenza stampa minacciò di porre fine al Nord Stream se la Russia avesse invaso l’Ucraina. Dichiarazioni esplosive, ma che le nostre tv si guardano bene dal mandare in onda.
A questo punto, chissà quanto lo pagheremo lo scadente ed ammorbante gas liquido che gli americani, in un raro slancio di solidarietà, hanno assicurato di volerci consegnare in futuro a quadrilioni di tonnellate, ma al prezzo legato agli umori del listino di Amsterdam. Solo lo scemo di guerra in tempo di pace non arriva a capire cui prodest questo gravissimo atto di sabotaggio.
Che più che danneggiare la Russia, fotte noi europei, colpevoli di aver tentennato un po’ troppo nel rifiutare il buon gas di Mosca a prezzi stracciati. Come dire: se non riesci ad impiccarti, sarò io a strozzarti.
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ilmiocentimetro · 2 years
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A distanza di anni siamo ancora qui. È quasi ridicolo, surreale. Io non sono più la stessa persona. Ho scavato così tanti livelli dentro di me che rileggendomi ho provato tenerezza per la ragazza che scriveva qui qualche anno fa. Ma certe cose non sono cambiate.
È come se una parte di me volesse ergere un muro. Non lasciarti più entrare (o meglio, non permettermi più di uscire per venire a bussare alla tua porta).
Quando ci sentiamo mi sembra che niente sia cambiato.
Percepisco la tua paura di me. Il rigore che hai adottato per mantenere lo status quo. Percepisco la mia insofferenza, il mio cinico egoismo, che ho annaffiato negli anni. La rabbia. Prima era rifiuto, dolore, vuoto. Ora è rabbia - rabbia del bambino a cui non viene dato il gioco, perché lo sta usando qualcun altro, e lo vuole solo per sè.
Non so più cosa rappresenti per me. È come se la tua immagine si fosse incistata nella mia mente per tutti questi anni, fosse rimasta nascosta sotto una piega del mio encefalo e non fossi mai andata a cercare, a pulire, a curare… È rimasta lí, ha fatto radici, in un ambiente ancestrale, clandestino, legato alla me del passato, immutata. Quel tipo di stanza da cui esci e ti ritrovi spaesata, con un’amnesia, di fronte a un appartamento completamente riarredato. “Cosa ci fai in quella piega?”, vorrei chiedere a me stessa, a te, al mio cervello. Che cazzo ci fai in quella piega?
Mi viene da piangere. Sei il jolly del mazzo che ero convinta di aver distrutto, ero convinta di aver bruciato ogni copia di quella carta. Sei la scappatoia che la mia mente non riesce a neutralizzare. Sei quella piega in cui mi rifugio quando le cose vanno male. Quando il mio status quo non mi soddisfa. Torno prontamente a bussare alla tua porta: “Hey, ci sei ancora? Sempre interessato alla mercanzia?”.
Siamo i nostri rispettivi “lieto fine” in caso di disastro. Ma vorrei di nuovo vedere quel viso e quegli occhi per capire se la vecchia stanza ancora ha la stessa attrattiva, o se è solo il ricordo di quell’arredamento accogliente a tenermi legata per i polsi.
Mi scopro a pensarti mentre torno a casa in auto. Mi chiedo come stai. Mi chiedo cosa fai.
Mi chiedo che persona sei, ora, dopo tutti questi anni. È così strano avere la sensazione di conoscere qualcuno nel profondo senza tuttavia sapere di cosa si riempiono le sue giornate, di tutte quelle cose futili che caratterizzano una persona nella sua adultità. Metti a posto le scarpe quando entri in casa? Che birra ti piace? Sei un tipo da cuscini sul divano? Ti capita di addormentarti quando guardi la tv la sera? Quante volte ti concedi del tempo per te stesso, e come impieghi quel tempo? Hai un gatto? Ti capita mai di pensarmi?
Sono queste le cose stupide che vorrei sapere da te.
Vorrei sapere chi sei oggi. Cerco di riempire questo vuoto immaginando le risposte, chiudendo gli occhi ed immaginandoti mentre infili le chiavi nella toppa, quando ti sdrai sul divano cercando i telecomandi sotto i cuscini, ma la mia fantasia è troppo poco inerente al reale e finisco per scuotere la testa, tra me e me. Sono cose che forse non saprò mai. È questo che mi fa soffrire.
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agrpress-blog · 5 months
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È morto all’età di ottantadue anni il grande attore americano, interprete di film quali Love Story di Arthur Hiller, Uomini selvaggi di Blake Edwards, Paper Moon - Luna di carta e Vecchia America di Peter Bogdanovich, Barry Lyndon di Stanley Kubrick, Driver, l’imprendibile di Walter Hill, Quell’ultimo ponte di Richard Attenborough e molti altri. Nato a Los Angeles nell’aprile 1941, Charles Patrick Ryan O’Neal - meglio noto come Ryan O’ Neal -, figlio di un’attrice americana di origini irlandesi e per metà ebraiche ashkenazite e di uno scrittore e sceneggiatore di origini irlandesi ed inglesi, dopo alcune apparizioni - all’inizio degli anni Sessanta - in serie tv come Gli intoccabili, Il virginiano, Carovane verso il West, Perry Mason e La parola alla difesa, si fa conoscere dal grande pubblico recitando nella soap opera Peyton Place (1964-68) insieme ad una giovane Mia Farrow (la quale, di lì a breve, si sarebbe affermata con il celebre Rosemary’s Baby di Roman Polanski). La notorietà arriva con l’interpretazione di Oliver Barrett IV in Love Story (1970), con Ali MacGraw e Ray Milland, e con cui ottiene una Nomination all’Oscar come Miglior Attore Protagonista, una nomination al Golden Globe, e il David di Donatello come Miglior Attore Straniero. Tale ruolo, visto anche l’enorme successo del film, è uno fra quelli per cui O Neal è maggiormente noto presso il cosiddetto “grande pubblico”. Tuttavia, i suoi film più interessanti arriveranno negli otto/nove anni successivi: lo ricordiamo nel ruolo del giovane cowboy nel western Uomini selvaggi (1971) di Blake Edwards, con William Holden, in coppia con un’indiavolata Barbra Streisand nelle commedie Ma papà ti manda sola? (1972) di Peter Bogdanovich e Ma che sei tutta matta? (1979) di Howard Zieff, in Paper Moon – Luna di Carta (1973) di P. Bogdanovich, in cui recita con sua figlia – all’epoca bambina – Tatum O Neal, in Il ladro che venne a pranzo (1973) di Bud Yorkin, in Vecchia America (1976) di P. Bogdanovich, Quell’ultimo ponte (1977) di Richard Attenborough, Oliver’s Story (1978) di John Korty, e soprattutto in quelle che vengono considerate le due migliori performances della sua carriera: quella del cinico arrivista irlandese protagonista del celebre Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick, tratto dal libro omonimo di William Makepeace Thackeray, e quella dell’abilissimo pilota automobilistico che viene ingaggiato dalle gang criminali per guidare le loro macchine e sfuggire agli inseguimenti della polizia in Driver, l’imprendibile (1978) di Walter Hill, con Isabelle Adjani e Bruce Dern. Negli anni Settanta viene anche preso in considerazione per il ruolo - poi andato al giovane Al Pacino - di Michael Corleone in Il Padrino (1972) di Francis Ford Coppola e per quello - poi affidato a Sylvester Stallone - di Rocky Balboa in Rocky (1976) di John G. Avildsen. Alla fine del decennio conosce Farrah Fawcett (1947-2009), all’epoca star del telefilm Charlie’s Angels (1975-79), che diventerà la sua compagna e con la quale lavorerà in vari film - fra cui Sacrificio d’amore (1989) di David Greene - e nella serie televisiva Good Sports (1991-92). A partire dagli anni Ottanta la sua carriera comincia un lungo declino e non tornerà più ai livelli precedenti. Fra gli altri film ricordiamo Il ranch della violenza (1962) di Arthur Hiller, con Charles Bronson e Richard Egan, I formidabili (1969) di Michael Winner, con Michael Crawford, Charles Aznavour e Stanley Baker, Jeans dagli occhi rosa (1981) di Andrew Bergman, con Mariangela Melato e Jack Warden, Vertenza inconciliabile (1984) di Charles Shyer, con Drew Barrymore, Sam Wanamaker ed una giovane Sharon Stone, Febbre di gioco (1985) di Richard Brooks, con Catherine Hicks, Giancarlo Giannini, Chad Everett e John Saxon, I duri non ballano (1987) di Norman Mailer, con Isabella Rossellini e Lawrence Tierney, Uno strano caso (1989) di Emile Ardolino, con Robert Downey Jr e Cybill Shepherd, Infedeli per sempre (1996) di Paul Mazursky,
Hollywood brucia (1997) di Alan Smithee, Zero Effect (1998) di Jake Kasdan, con Bill Pullman, The List (2000) di Sylvain Guy, con Ben Gazzara, People I Know (2002) di Daniel Argrant, con Al Pacino, Kim Basinger e Bill Nunn, Waste Land (2007) di Rebecca Chaney. In epoche più recenti è apparso in Knight of Cups (2015) di Terrence Malick. Attivo anche in televisione, fra il 2006 e il 2017 è apparso in oltre venti episodi della serie Bones (2005-2017), in cui interpreta il padre della protagonista, l’anatomo-patologa Temperance Brennan (interpretata da Emily Dechanel).
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personal-reporter · 8 months
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Gli aperitivi più iconici del cinema e della letteratura
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Il piacere esercitato dai cocktail viene utilizzato dall’industria culturale per delineare le varie identità dei personaggi, da Ginger Roger e Fred Astaire col Buck’s Fizz ad un iconico Jack Nicholson in Shining che, in una scena agghiacciante, si siede davanti ad un fantasma e ordina il suo bourbon con ghiaccio. Ma pensiamo anche alla splendida Monument Valley di John Ford, il teatro ideale dove ospitare le tragedie di una serie di personaggi in Ombre Rosse, dove a prendervi parte c’è anche un ambiguo e alcolizzato Dr Boone. Va ricordato, inoltre, un personaggio iconico dell’America degli anni Trenta, William C. Fields. Uno dei più amati e odiati comici del suo tempo: bizzarro e cinico, ha portato sulle scene e sullo schermo il suo personaggio alcolizzato e sboccato, pronto a sparlare del Natale, dei bambini, delle vecchiette e di qualunque ipocrita convenzione sociale. Per gli inguaribili romantici abbiamo il Cocktail Champagne che aleggia nella storia d’amore di Casablanca. Vuoi sapere altro sul fascino e la bellezza dei drink come in Casablanca? In questo articolo trovi alcuni tra gli aperitivi più iconici del cinema e della letteratura. Orange Whip, The Blues Brothers I fratelli Blues stanno scatenando il panico per le strade di Chicago e poco prima dell’arresto cui li porterà il concerto dove si esibiscono, Burton Mercer ordina per entrambi l’Orange Whip. Un prodotto cremoso e agrumato, ottimo per gli amanti dei sapori dolci e fruttati. Se anche tu vuoi farti arrestare come… rettifico: se anche tu vuoi provare questo magico drink, ti lascio la lista degli ingredienti: - 45 ml di rum bianco - 45 ml di vodka - 45 ml di panna liquida - 45 ml di succo d’arancia fresco - 1/2 cucchiaino di estratto di vaniglia - Cubetti di ghiaccio - 1 fettina di arancia Indicazioni:  Riempire uno shaker con ghiaccio fino all’orlo. Aggiungere gli ingredienti e chiudere bene lo shaker, poi agitare vigorosamente per circa 15-20 secondi, in modo da mescolare bene il contenuto e raffreddare il cocktail. Scolare il cocktail in un bicchiere riempito di ghiaccio fresco. Infine, guarnire l’Orange Whip con una fetta d’arancia. E il cocktail del fratelli Blues è servito. Vesper Martini, 007 Casino Royale Il Vesper Martini è un cocktail reso famoso da James Bond. Nasce con Ian Fleming per il suo romanzo Casino Royale del 1953. Ecco gli ingredienti per la ricetta del Vesper Martini: - 90 ml di gin - 15 ml di vodka - 15 ml di vermouth bianco secco - 1 fettina di limone Per la preparazione, seguire le indicazioni di Fleming: riempire uno shaker con cubetti di ghiaccio. Aggiungere gli ingredienti, chiudere bene il tappo e agitare per circa 15-20 secondi. Versare il cocktail in una coppetta Martini precedentemente raffreddata. Infine, prendere una fettina di limone come guarnizione. Il risultato è garantito. Old Fashioned, Mad Man Mad men, la serie tv che ha dato vita ad un fenomeno del marketing incredibile, riportando in auge un cocktail degli anni Sessanta, ovvero l’Old Fashioned. Di fatto, dopo una giornata di lavoro particolarmente proficua, Don Draper è solito ordinare il suo drink con ciliegina. Ecco gli ingredienti per l’Old Fashioned: - 60 ml di bourbon o whisky - 1 zolletta di zucchero - 2 gocce di angostura bitters - 1 scorza di arancia - Ghiaccio Inserisci la zolletta di zucchero nel fondo di un bicchiere Old Fashioned e bagnala con 2 gocce di angostura bitters. Schiaccia lo zucchero con un pestello fino a scioglierlo, poi aggiungi il whisky, i cubetti di ghiaccio e mescola delicatamente per amalgamare gli ingredienti. Infine, guarnisci con una scorza di arancia. L’Old Fashioned è servito. Turquoise Blue, Cocktail  Nel film Cocktail il vero protagonista della storia non è Tom Cruise, bensì il Turquoise Blue. Se hai visto il film o ti è capitato di assaggiare il drink almeno una volta, avrai sicuramente notato l’intensità del colore turchese che questo cocktail possiede. Vediamo da quali ingredienti sprigiona il suo colore: - 45 ml di vodka - 15 ml di Blue Curaçao - Succo di mezzo lime - 15 ml di sciroppo di zucchero - Soda  - Ghiaccio La sua preparazione? Semplice, versa tutto in uno shaker, agita vigorosamente per circa 15-20 secondi e servi in un bicchiere da cocktail con ghiaccio. Il Turquoise Blue è pronto. Conclusioni Con gli aperitivi più iconici del cinema e della letteratura, tra l’Orange Whip, l’Old Fashioned, il Turquoise Blue o il Vesper Martini, c’è solo l’imbarazzo della scelta! Corri a provarli! Read the full article
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bergamorisvegliata · 9 months
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...DAL WEB...
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COME MUORE UN ANZIANO OGGI? Muoiono in OSPEDALE. Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie. “Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”. Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente! Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo. “Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”. “Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
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Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna. Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti. Talvolta no. Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”. A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.
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La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo. All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire. “Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”. Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
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“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”. Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”. La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
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Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita. Che serve amore, vicinanza e dolcezza. Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
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Ma perché? Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto. In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino. O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
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-Enrico Galoppini-
C.C.
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kritere · 10 months
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Girelli: “Spesso Made in Italy si basa su sfruttamento della manodopera, governo ripristini diritti”
DIRETTA TV 31 Luglio 2023 “Le testimonianze dei lavoratori lasciano davvero pochi dubbi e gettano ombre sinistre su parte del nostro “food Made in Italy”, confermando il fatto che questo “marchio”, venduto nel mondo come eccellenza italiana di cui essere orgoglioso, si basa, almeno in parte, su un cinico sfruttamento della manodopera”: lo dice in un’interrogazione il deputato dem Girelli,…
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano, a Teatro Carcano Fabio Troiano con “il dio bambino”
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Milano, a Teatro Carcano Fabio Troiano con “il dio bambino”. Presso il Teatro Carcano di Milano da giovedì 13 a domenica 16 aprile 2023 andrà in scena lo spettacolo Il dio bambino con protagonista l’attore di teatro, cinema e tv Fabio Troiano, che, diretto da Giorgio Gallione, accompagnerà gli spettatori nel teatro d’evocazione, negli indimenticabili testi e musiche di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. Il dio bambino è un testo di tragicomica e potente contemporaneità sulla crisi di un uomo di mezza età, in bilico fra responsabilità ed eterna adolescenza. Uno spettacolo disturbante, nel suo stimolo a ripensare a noi stessi, ma di grandissima empatia. Scritto nel 1993 da Giorgio Gaber e Sandro Luporini, il monologo prosegue e approfondisce, dopo Parlami d’amore Mariù e Il Grigio, il particolarissimo percorso teatrale del Gaber di quegli anni. Esempio emblematico del suo “teatro di evocazione”, Il dio bambino racconta una normale storia d’amore che si sviluppa nell’arco di alcuni anni e dà agli autori l’occasione di indagare su l’Uomo, per cercare di capire se ce l’ha fatta a diventare adulto o è rimasto irrimediabilmente bambino, un bambino che si vanta della sua affascinante spontaneità invece di vergognarsi di un’eterna fanciullezza. Un uomo a confronto con una donna, il migliore testimone per mettere in dubbio la sua consistenza, la sua presunta virilità. Come d’abitudine, Gaber e Luporini conducono un’indagine lucidissima, mai autoassolutoria, spietata e affettuosa al contempo, che cerca di radiografare le differenze tra questi due esseri, così simili e così diversi, con la consapevolezza che se queste differenze si annullassero, la vita cesserebbe di esistere. Così tra le righe affiora la speranza, il ponte verso un futuro meno imperfetto. Nel Dio bambino è la nascita di un figlio a far ritrovare al protagonista il senso del proprio agire, tra lampi di autoironia e umorismo. A trent’anni di distanza, Il dio bambino rimane un testo di incredibile forza e attualità, cinico ma commovente.   LO SPETTACOLO Ambientato in un metaforico locale in disfacimento, tra bottiglie semivuote e fiori calpestati, a raccontare allusivamente una sorta di festa finita male, lo spettacolo è contrappuntato da frammenti di canzoni di Giorgio Gaber, che guidano lo spettatore nell’interpretazione di un racconto di tragicomica, potente contemporaneità. La regia di Giorgio Gallione, prezioso motore di una rinnovata vita scenica del teatro di Gaber (recente il suo applauditissimo Il Grigio con Elio), valorizza l’attualità e l’empatia di questo testo, trovando un perfetto connubio con l’interpretazione di Fabio Troiano, talentuoso e versatile attore di teatro, cinema e tv, abile nell’attraversare con analogo successo testi comici e intimisti, qui atteso a una funambolica prova d’attore. Fabio Troiano Dopo il diploma in recitazione al Teatro Stabile di Torino nel 2000, Fabio Troiano è diretto da registi quali Giancarlo Cobelli e Mauro Avogadro e si distingue in alcuni grandi classici, tra cui Didone abbandonata e L'impresario delle Smirne, aggiudicandosi nel 2003 il Premio “Salvo Randone” come Migliore attore. Nel 2000 esordisce in televisione con La squadra, cui seguono molte altre serie di successo: Le stagioni del cuore (2004), Caterina e le sue figlie (2005), RIS – Delitti imperfetti (2008), Benvenuti a tavola (2013), Squadra Antimafia (2015), Amore pensaci tu (2017). Al cinema la svolta arriva con il film Dopo mezzanotte (2004) di Davide Ferrario, per il quale riceve il Premio “Magna Grecia” e la candidatura ai David di Donatello. Seguono molte interpretazioni per il migliore cinema d’autore italiano: Se devo essere sincera (2004) e Tutta colpa di Giuda (2008) di Ferrario, Giorni e nuvole (2007) di Silvio Soldini, Il giorno più bello (2006) e Non c'è 2 senza te (2015) di Massimo Cappelli, La classe dell'asino (2016) di Andrea Porporati, Stato di ebbrezza (2018) di Luca Biglione. Nel 2013 si avventura con successo nel ruolo di conduttore nella prima edizione del talent show The Voice of Italia (Rai 2). Torna sul palcoscenico nel 2011, al Teatro Sistina, chiamato dal regista Massimo Romeo Piparo a interpretare il ruolo rivestito da Domenico Modugno e poi da Massimo Ranieri nella commedia di Garinei e Giovannini Rinaldo in campo. Nel 2017 è il protagonista di Lampedusa, del drammaturgo inglese Anders Lustgarten, e nel 2019 è al fianco di Irene Ferri nell’adattamento teatrale de La camera azzurra di Georges Simenon, per la regia di Serena Sinigaglia. Giorgio Gallione Diplomato nel 1980 alla Scuola del Teatro Stabile di Genova, Giorgio Gallione inizia la sua attività di regista l’anno successivo e nel 1986, divenuto direttore artistico del Teatro dell’Archivolto, inaugura l’esperienza con i Broncoviz (ovvero Maurizio Cesena, Maurizio Crozza, Ugo Dighero, Mauro Pirovano, Carla Signoris), esperienza che darà vita a numerosi spettacoli di successo. Ha diretto Claudio Bisio, Neri Marcorè, Angela Finocchiaro, Fabio De Luigi, Marina Massironi, Claudio Gioè, Lella Costa, Luca e Paolo, Sabina Guzzanti, Giuseppe Battiston, Eugenio Allegri, Alessandro Haber, Elisabetta Pozzi, Valentina Lodovini, Elio. In campo lirico ha firmato spettacoli per il Teatro alla Scala di Milano, il Regio di Torino, l’Arena di Verona, il Teatro dell’Opera di Metz, il Regio di Parma, il Teatro dell’Opera di Roma, il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro Massimo di Palermo e altri ancora. Ha collaborato con scrittori del calibro di Stefano Benni, Daniel Pennac, Francesco Tullio Altan, Michele Serra e Niccolò Ammaniti e curato le elaborazioni drammaturgiche e gli adattamenti da opere di Ian McEwan, Roddy Doyle, Luis Sepúlveda, José Saramago, Charles Bukowski, Italo Calvino, Paul Auster, Etgar Keret. Attivo come autore anche in campo televisivo, è stato capoprogetto nelle prime due edizioni dello spettacolo Crozza Italia in onda su La7. Già insegnante di Recitazione della Scuola del Teatro Stabile di Genova dal 1982 al 1993, è tornato a ricoprire questo ruolo nel 2018. SCHEDA SPETTACOLO IL DIO BAMBINO con Fabio Troiano regia Giorgio Gallione scene e costumi Lorenza Gioberti disegno luci Aldo Mantovani produzione Nidodiragno/CMC con il contributo di Comune di Barletta/Teatro Curci in collaborazione con Fondazione Giorgio Gaber e Teatro Pubblico Pugliese DATE E ORARI Giovedì 13, ore 19.30 Venerdì 14 e sabato 15, ore 20.30 Domenica 16, ore 16.30 PREZZI posto unico numerato giovedì € 27,00 posto unico numerato venerdì, sabato e domenica € 38,00 VENDITE ONLINE teatrocarcano... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ufficiosinistri · 1 year
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Pangloss si fida
D’estate, i palazzi della mia città sembravano enormi. Le loro scale grondavano di liquami fantastici, mentre io evadevo per pochi giorni da una consuetudine fatta di amici di pochi mesi, pranzi e cene sempre puntuali. Come Pangloss, mi fidavo: ogni anno sarebbe stato così. All’infinito. Una volta passammo, io e mio padre, davanti ad una pasticceria davanti all’ospedale, era una mattina d’estate, e come quelle d’inverno era piena di clienti che avevano appena fatto gli esami del sangue. Si trovavano in coda ad aspettare una brioche per riprendersi, dato che gli esami andavano fatti a stomaco vuoto. Le persone avevano sempre bisogno di questi luoghi, quindi. Non solo quando erano imbacuccate da sciarpe e calzavano scarpe pesanti contro il moticcio appiccicoso di neve e ghiaccio che si andava formando sui marciapiedi e che le avrebbe rese più caute nel camminare. Era l’estate del 1992, ricordo perfettamente. I miei genitori compivano quarant’anni e avevamo festeggiato il loro compleanno in montagna. Il diciannove luglio la tavola era ancora imbandita con spumante, pasticcini e posaceneri mentre in TV andavano in onda le esplosioni di Palermo, con le donne e gli uomini che correvano via piangendo. Guardavo un po’ le bollicine dello spumante salire nei bicchieri e un po’ la televisione, girando da una parte e dall’altra i miei occhi da undicenne. Osservavo quello scempio e ne avevo paura, ma tutti mi dicevano di fidarmi, come Pangloss. Eravamo quella generazione, delle infinite partite di calcio e dell’innovazione scientifica, che nonostante gli spari e le bombe sotto casa, doveva necessariamente avere fiducia. I miei sarebbero tornati in città dopo cena, quel diciannove luglio del 1992. La loro macchina profumava di caldo e di fatica mentre io me ne stavo lassù, a far passare i giorni in attesa del rientro a scuola e della ripresa degli allenamenti di calcio. Eravamo tutti protagonisti. Haaland, al contrario, non è il protagonista di un’epoca difficile. Lui è nato a Leeds, la Leeds del 2000 spaccato. Con la squadra di casa ai primi posti in Premier League e un allenatore irlandese appassionato di giocatori conterranei, australiani e norvegesi. Suo padre giocava come difensore in quella squadra e, ironia della sorte, proprio l’estate in cui divenne padre, venne ceduto al Manchester City. Haaland si è sempre trovato al posto giusto nel momento giusto. I grandi numeri nove della sua epoca sono in fase calante e quelli che stanno emergendo, comunque, non possono eguagliare i suoi numeri. Ci fidiamo, quindi. Come Pangloss. Sarà lui il centravanti più forte di tutti i tempi, capace di calciare calci di rigore, di essere cinico di destro e dribblare lasciando per terra i marcatori, a zona come a uomo. Capace di segnare, con la stessa facilità, in Germania come in Europa, o in Inghilterra. Non sembra avere ostacoli lungo il suo cammino: attacca l'area di rigore senza sembrare né veloce, né prorompente. Sembra spinto dal vento.
Dieci estati dopo il quarantesimo compleanno dei miei, mi trovavo a Torino, a casa di amici. Erano da poco finiti i Mondiali, Erling Braut Haaland aveva appena compiuto due anni. La città era angosciante, sembrava inverno anche se il sole era alto, verso il Monviso e il suo cielo, così soavemente adagiato verso l'imbrunire delle valle, era ingiusto, nei confronti della nostra situazione. Un mercato rionale, delle verdure, bibite dolciastre che si appiccicano ai bordi della bocca e non vanno più via.
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Entrambi i miei amici lavoravano e studiavano lì, nonostante fossero nati nel posto di montagna dove ho passato ogni estate della mia infanzia. Eravamo diventati tutti più grossi, rispetto a quegli anni. Dissero che per cena ci sarebbe stata una pastasciutta con le verdure, avevamo da poco abbracciato una convinta dieta vegetariana e il mercato rionale, a poche centinaia di metri dal loro appartamento, tra Corso re Umberto e Porta Nuova, in una via scura e trafficatissima, era il posto più conveniente e diplomatico dove comprarsi di che vivere. Lei mi disse, scendendo le scale fredde e umide, “Ogni tanto, magari un paio di volte a settimana, va bene farsi anche una bella mangiata. Ce la meritiamo!”. Come Pangloss, ci fidavamo di un merito acquisito non si sa bene dove. Dal lavoro che facevamo? No, chi lavoravo odiava la propria occupazione. Dallo studio? No, i voti ce li davano altre persone che non avremmo mai più rivisto in vita nostra. Dalle nostre famiglie? Forse. Nonostante le bombe e le guerre, in casa e fuori, avevamo sempre avuto lo spumante in tavola, ai compleanni. Negli anni della scala mobile, i nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare nulla, che fosse una festa con i compagni di classe o una deroga sull’orario di ritorno alla sera. Eravamo quella generazione, insomma. Cresciuta col sangue dappertutto, ovunque ci girassimo, ma fiduciosa che dopo quel sangue sarebbero arrivate le fragole, come in una bella storia. Credo che Haaland sia un predestinato perché sia nato nell’anno della fine, almeno a livello emotivo, di tutto questo, e non abbia rivali lungo il percorso che sta compiendo. Non c’è stazza o prestanza atletica che, per ora, possa reggere il confronto, e non solo tra i suoi colleghi di reparto. Se esiste un difensore veloce, lui punta tutto sulla sua innata capacità di tenere ancorato il pallone alle proprie fette; se un centrale è arcigno e poco indulgente, allora il norvegese del momento la butta sulla potenza fisica e sull’andare sempre, qualsiasi cosa accada, dritto per dritto. La si vede, la sua voglia di giocare a pallone, ma soprattutto della fiducia che dà, ogni giorno, a questo sport. È un sentimento che esprime nella sua correttezza e nella spensieratezza dei suoi gesti sul campo ma anche fuori. Come se fosse sempre la prima volta e come se non dovesse mai smettere di imparare. Voltaire ci ha raccontato di come Candido, Pangloss e Cunegonda vivessero in un’epoca in cui non si poteva vivere se non confidando in un presente, ma soprattutto un futuro, felice e prodigo, appartenendo al “migliore dei mondi possibili”. Era finita l’epoca del medioevo e ne era sopraggiunta un’altra più chiara e determinata, che metteva l’uomo al centro del mondo. Con la sua cultura, le sue esplorazioni, i suoi vizi. La partecipazione sarebbe diventata necessaria. Noi, invece, che non siamo nient’altro che spettatori, non possiamo che affidarci a chi, da predestinato, non incontrerà mai rivali degni.
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pastrufazio · 1 year
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Negli ultimi mesi non ricordo quante volte abbiano mandato in onda su diverse tv I tre giorni del Condor (1975), di Sydney Pollack. Probabilmente i programmatori non hanno alcuna cognizione, in un momento come questo, del suo contenuto devastante. Sul piano strettamente cinematografico interpreti e regista sono per bravura fuori da ogni parametro attuale. Da Robert Redford alla divina Faye Dunaway a Max von Sydow nei panni dell’europeo cinico e criminale usato dagli altrettanto criminali vertici della CIA. Spero che i miei amici non se lo siano fatto sfuggire. Nel gruppo di “lettori” che setaccia libri per conto del servizio segreto apparentemente per trovare notizie capaci di condurre su qualche traccia di complotto antiamericano uno, brutalmente ammazzato nel suo letto, fa di nome Heidegger! Con tanto di targhetta sul citofono. Ironia perfidissima nei confronti di un’Europa dalla quale forse il regista, di origini russa e ashkenazita, credeva di aspettarsi qualcosa di più.
Non riassumo la trama. Basterebbe questo film per smontare radicalmente il lessico nauseabondo della “narrazione” usato dai nostri gazzettieri. La narrazione è l’imbroglio, è il primo passo verso la creazione del simulacro. Probabilmente lo stesso film, in modi sottili e obliqui, potrebbe essere sottoposto alla stessa verifica di realtà che alla CIA riesce solo sterminando i “lettori” e facendo ritornare l’agenzia al principio di realtà abbandonato dalla solipsistica attività della sezione. La narrazione, la manipolazione delle decisioni attraverso il reperimento di narrati adeguati da sottoporre al decisore politico. Il rapporto emerso dalla lettura di libri non solo è assolutamente falso nel senso abituale del termine in quanto contenente informazioni false, è invenzione pura. Serve unicamente a scatenare una guerra, non ha alcun altro fine. Con la guerra salgono azioni di società petrolifere ecc. Per evitare l’esito disastroso la CIA fa fuori un pezzo di sé stessa. È il caso di sperare che avvenga così anche nel presente.
Nel 1975 erano passati solo quattro anni dalla pubblicazione sul “New York Times” dei Pentagon Papers, abrégé dei 47 volumi dell’inchiesta sul ruolo del Pentagono nella guerra del Vietnam la cui questione di fondo era l’inganno, come si espresse Hannah Arendt. Ogni giorno che passa, ogni giorno che Dio manda in terra da un anno a questa parte la questione è questa e solo questa: l’INGANNO!!!
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Ciak a Milano per serie tv Rai Il Cladestino con Edoardo Leo
(ANSA) – ROMA, 26 GEN – Sono in corso in questi giorni a Milano le riprese della serie tv Il Clandestino con Edoardo Leo e diretta da Rolando Ravello. La serie è una coproduzione Rai Fiction e Italian International Film – Gruppo Lucisano, prodotta da Fulvio e Paola Lucisano.    La serie è incentrata sulle vicende di Luca Travaglia (Edoardo Leo), ex ispettore capo della Digos cinico e disilluso,…
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giancarlonicoli · 1 year
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22 gen 2023 16:24
LA PIÙ PROFONDA INTERVISTA SU MATTEO MESSINA DENARO? È QUELLA RILASCIATA DA FRANCO MARESCO A FERRUCCI, SUL “FATTO”: “L’ARRESTO DÀ UN’IMPRESSIONE DI TOTALE SQUALLORE” – “LE PERSONE SI SONO RICONOSCIUTE IN LUI, NEL SUO ABBIGLIAMENTO, NELL’OSTENTARE L’OROLOGIO COSTOSO, NEL NON NEGARSI UN SELFIE O UNA PASTICCA DI VIAGRA” – “PENSO A ‘LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO’ DESCRITTA DA DEBORD: VIVIAMO IN UN MONDO DIGITALIZZATO DOVE NON ESISTE PIÙ IL MISTERO. QUANDO ERO RAGAZZO CERTE SITUAZIONI NON SI CONOSCEVANO, E CHI NE ERA PARTE PROTEGGEVA QUEL MISTERO CON LA VITA STESSA. ADESSO SIAMO ALL’INTERNO DI UNA BANALIZZAZIONE DELL’ESISTENZA…”
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Estratto dell’articolo di Alessandro Ferrucci per “il Fatto quotidiano”
Franco Maresco è il padre di Cinico tv, della Sicilia in canottiera, delle beffe, dei peti alla quotidianità […]. “Sono in grande imbarazzo”, dice.
Che è successo?
L’arresto di Messina Denaro dà un’impressione di totale squallore; è una vicenda avvolta da retorica e da strafottenza mediatica.
Si parla anche di strafottenza da parte della borghesia e della popolazione che ha taciuto la presenza del boss?
[…] Da sempre la borghesia palermitana è connivente, da sempre i medici e le cliniche hanno curato certi personaggi […].
Solo la borghesia?
(Quasi inorridito) Noooo, anche il clero e l’aristocrazia. Tutti presenti.
Quando c’è stato il cambio di prospettiva?
Dall’arresto di Totò Riina: lì si è scoperta la tristezza che avvolge tali personaggi; (ci ripensa) quando ero ragazzo il boss manteneva una sua liturgia formale, era parte di una mitologia, di mistero, un atteggiamento descritto da Leonardo Sciascia nel suo Don Mariano (Il giorno della civetta, ndr). E il carcere era vissuto come un luogo di inevitabile eroismo.
E adesso cosa è successo?
Che le persone si sono riconosciute in Matteo Messina Denaro, nel suo abbigliamento, nell’ostentare l’orologio costoso, nel non negarsi un selfie o una pasticca di Viagra.
[…] Il bar è un’altra certezza.
A Palermo ce n’era uno frequentato contemporaneamente dai giudici e da boss come Bontade e Inzerillo; poi c’era il bar Commercio con all’interno della salette riservate per alcuni.
Insomma, da Riina in poi...
Qui i riferimenti sono molti e complessi, ma penso a La società dello spettacolo descritta da Guy Debord: viviamo in un mondo digitalizzato dove non esiste più il mistero; quando ero ragazzo certe situazioni non si conoscevano, e chi ne era parte proteggeva quel mistero con la vita stessa. Adesso siamo all’interno di una banalizzazione dell’esistenza.
[…] Quando andavo alla Vucciria, vedevo le persone con una postura differente a seconda del programma televisivo che andava in quel momento.
E i presenti manifestavano un interesse diverso anche verso la mia telecamera.
[…] Simbolicamente la mafia è battuta?
Non lo so, si è certamente conclusa un’epoca. Ma hanno preso un residuato bellico.
Rispetto all’arresto di Riina o Provenzano sembra ci sia stata meno enfasi nella popolazione.
Anche meno e non sono questi giorni a dimostrarlo, ma come sono andate le elezioni palermitane, con il coinvolgimento di Cuffaro e Dell’Utri. Qui tutti zitti.  […]
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