Tumgik
#Cento occhi
queerographies · 17 days
Text
[Cento occhi][BigMama]
BigMama: Dalla battaglia contro il bullismo alla conquista del successo come artista Titolo: Cento occhiScritto da: BigMamaEdito da: RizzoliAnno: 2024Pagine: 168ISBN: 9788817184663 La sinossi di Cento occhi di BigMama “Il mio fisico ha fatto in modo che le persone mi considerassero non abbastanza prima ancora che mi potessero conoscere”: è questa una delle lezioni che Marianna, in arte…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Photo
Tumblr media
Michele Mari, “Cento poesie d’amore a Ladyhawke”.
68 notes · View notes
susieporta · 4 months
Text
[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
81 notes · View notes
angelap3 · 5 days
Text
Se avete due minuti, leggetela è bellissima!❤️😘❤️
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi:
«voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
«perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare i’indomani:
«devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii…
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
«grande papà, ha preso la mamma in braccio!»
il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
Ii quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
«papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:
«che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi:
«ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma…
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero I dettagli, I semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, I soldi… queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
Autore sconosciuto
29 notes · View notes
ilpianistasultetto · 3 months
Text
Tumblr media
Il suo nome non era Venere ma era il ritratto di quella canzone sputata dalla radio durante una delle tante occupazioni del nostro liceo..
Quella ragazza era come una dea in cima ad un monte e bruciava come una fiamma argentea, era il massimo di bellezza e amore. Le sue armi erano i suoi occhi cristallini che facevano impazzire ogni uomo, scura come una notte buia aveva ciò che nessun altra possedeva.. wow! (Traduzione Venus);
Lei si chiamava Lisa, una della 3° A, una che aveva sempre 2-3 fidanzati e cento pretendenti.. da quel giorno la chiamai Mariska, come la cantante degli Shocking Blue.. @ilpianistasultetto
youtube
35 notes · View notes
apropositodime · 2 months
Text
Il tempo, inesorabilmente, svuoterà gli occhi dei miei figli,
che ora traboccano di un amore poderoso e incontenibile.
Toglierà dalle loro labbra il mio nome urlato, cantato, sillabato e pianto cento, mille volte al giorno.
Cancellerà un po’ alla volta oppure all’improvviso,
la familiarità della loro pelle con la mia, la confidenza assoluta che ci rende praticamente un corpo solo.
Con lo stesso odore, abituati a mescolare i nostri umori, lo spazio, l’aria da respirare. Subentreranno, a separarci per sempre, il pudore, il giudizio, la vergogna.
La consapevolezza adulta delle nostre differenze.
Come un fiume che scava l’arenaria, il tempo minerà la fiducia che mi rende ai loro occhi onnipotente. Capace di fermare il vento e calmare il mare. Riparare l’irreparabile, guarire l’insanabile, resuscitare dalla morte.
Smetteranno di chiedermi aiuto, perché avranno smesso di credere che io possa in ogni caso salvarli. Smetteranno di imitarmi, perché non vorranno diventare troppo simili a me. Smetteranno di preferire la mia compagnia a quella di chiunque altro,
e guai se questo non dovesse accadere.
Sbiadiranno le passioni, la rabbia e la gelosia, l’amore e la paura. Si spegneranno gli echi delle risate e delle canzoni, le ninne nanne e i "c’era una volta" termineranno di risuonare nel buio.
Con il tempo, i miei figli scopriranno che ho molti difetti, e, se sarò fortunata, ne perdoneranno qualcuno.
Saggio e cinico, il tempo porterà con sé l’oblio. Dimenticheranno, anche se io non dimenticherò.
Il solletico e gli inseguimenti "Mamma, ti prendo io!",
i baci sulle palpebre e il pianto che immediato ammutolisce con un abbraccio.
I viaggi e i giochi, le passeggiate e le febbri alte. I balli, le torte, le carezze mentre si addormentano piano.
I miei figli dimenticheranno. Dimenticheranno che li ho allattati e cullati per ore, portati in fascia e tenuti per mano. Che li ho imboccati e consolati e sollevati dopo cento cadute. Dimenticheranno di aver dormito sul mio petto di giorno e di notte, che c’è stato un tempo in cui hanno avuto bisogno di me quanto dell’aria che respirano.
Dimenticheranno, perché è questo che fanno i figli, perché è questo che il tempo pretende.
E io, io, dovrò imparare a ricordare tutto anche per loro, con tenerezza e senza rimpianto. Gratuitamente. Purché il tempo, sornione e indifferente, sia gentile abbastanza con questa madre che non vuole dimenticare.
(dal web)
Ho pianto.
27 notes · View notes
be-appy-71 · 6 months
Text
CHIEDI ALLA VITA UN COMPLICE
Tumblr media
Qualcuno che appaia dal nulla e che
non abbia paura delle tue ferite.
Chi ti vede distrutta/o e si rimbocca
le maniche per tirarti fuori da una brutta giornata con la sua presenza o le
ore contate.
Con cui puoi sederti e raccontare parte della tua vita senza spogliarti del corpo, mentre indossi l'anima vestita di delusioni.
Chiedi alla vita un complice.
Che non abbia vergogna di vederti lavata, con le mani screpolate o leggera di lusso.
Tumblr media
Che tu possa uscire ogni giorno dalla sua mano e anche dalla sua vista, che ti cerchi con quella preoccupazione che sentono solo quelli che hanno paura di perderti perché fai parte dei loro piani e della loro felicità.
Tumblr media
Un complice quando non c'è voglia di
fare l'amore ma sentirlo in una carezza,
un dettaglio, una parola.
Che sappia distinguere quegli istanti di solitudine che servono quando i ricordi
e le date non hanno pietà per il calendario.
Chiedi alla vita un complice.
Tumblr media
Con cui non puoi avere segreti i tuoi sentimenti.
Che arrivi la notte e ti baci la fronte,
ti tolga le paure, ti metta nel suo presente.
Qualcuno in grado di capire come sei perché non è stato facile ogni mattina quando ti sei svegliato e ti sei chiesto più
e più volte, fino a dove possono arrivare
il dolore e le assenze.
Un complice con cui ridere e piangere.
Sapere che puoi appoggiarti quando ti tremano le gambe e hai bisogno di un abbraccio più di cento parole.
Con chi ti saluti chiudendo gli occhi e ti senti completamente sicura /o che aprendoli, sarà al tuo fianco, sapendo
che con te nulla sarà facile, ma ti accetta,
ti ama e ti sceglie giorno dopo giorno.
Non cercarlo.
Non sognarlo.
Non immaginarlo.
Non idealizzarlo.
Chiedi alla vita un complice
L'universo cospira sempre
a tuo favore.♠️🔥
Tumblr media
30 notes · View notes
arcanespillo · 5 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Sogna, sogna la notte, la strada, la scala e il grido della statua che si dispiega nell'angolo. Correndo verso la statua e trovando solo l'urlo, volendo toccare l'urlo e trovando solo l'eco, volendo afferrare l'eco e trovando solo il muro e correndo verso il muro e toccando uno specchio. Trova la statua assassinata nello specchio, toglila dal sangue della sua ombra, Vestila in occhi che son chiusi, accarezzala come una sorella inaspettata e gioca con le frecce delle tue dita e conta nel suo orecchio cento volte cento volte finché non la senti dire: "Muoio dalla voglia di dormire".
Nocturne: The Statue. Xavier Villaurrutia // Un Professore, David Hume: La Bellezza
27 notes · View notes
stregamorganablog · 6 months
Text
Tumblr media
Bukowski diceva che l'amore è quella persona che incontri su un milione.
Ed è vero: l'amore è la persona che incontri anche se era impossibile...
La persona che ti stordisce come un pugno in piena faccia.
La persona che all'inizio ascoltavi e poi, non si sa come, ti sei ritrovato ad amarla.
La persona che prima degli occhi ti ha preso il cuore.
La persona su cui non avresti scommesso un centesimo, ed ora possiede la tua anima.
La persona a cui urleresti le peggiori cose, per poi prenderla, baciarla, e non lasciarla più andare.
La persona a cui hai detto “Il perdono va meritato”, e a cui poi hai perdonato tutto, anche se non lo meritava.
La persona che stringeresti con trenta gradi anche sotto un piumone.
La persona a cui prima di chiedere hai dato.
La persona a cui hai dato tutto.
La persona per cui hai versato lacrime e per cui ne verseresti altre cento, mille...
Perché è proprio quella persona lì e al mondo potrebbero essercene miliardi migliori ma non sarebbe uguale...
cit
33 notes · View notes
semplicementefolle · 17 days
Text
"LA LEGGENDA DELL’AMORE CIECO"🖤❤️💙
Tanto tempo fa la Follia decise di invitare tutti i sentimenti a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè, la Follia propose:
- Si gioca a nascondino?
- Nascondino? Che cos'è? - domandò la Curiosità.
- Nascondino è un gioco. Io conto fino a cento e voi vi nascondete.
Quando avrò terminato di contare, comincerò a cercarvi e il primo che troverò sarà il prossimo a contare.
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia, che rimasero a guardare in disparte.
1,2,3,... - la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
La Timidezza, impacciata come sempre, si nascose in un gruppo d'alberi.
La Gioia corse festosamente in mezzo al giardino, non curante di un vero e proprio nascondino.
La Tristezza cominciò a piangere, perché non trovava un angolo adatto per nascondersi.
L'Invidia, ovviamente, si unì all'Orgoglio e si nascose accanto a lui dietro un grande masso.
La Follia continuava a contare mentre i suoi amici si nascondevano.
La Disperazione era sconfortata vedendo che la Follia era già a novantanove.
Cento! - gridò la Follia - Adesso verrò a cercarvi!
La prima ad essere trovata fu la curiosità, poiché non aveva potuto impedirsi di uscire
per vedere chi sarebbe stato il primo ad essere scoperto.
Guardando da una parte, la Follia vide il Dubbio sopra un recinto che non sapeva da quale lato avrebbe potuto nascondersi meglio.
E così di seguito furono scoperte… la Gioia, la Tristezza, la Timidezza e via via tutti gli altri.
Quando tutti finalmente si radunarono, la Curiosità domandò:
- Dov'è l'Amore?
Nessuno l'aveva visto. Il gioco non poteva considerarsi concluso, così la Follia cominciò a cercarlo.
Cercò in cima ad una montagna, lungo il fiume, sotto le rocce… ma dell'Amore, nessuna traccia.
Setacciando da tutte le parti, la Follia si accorse di un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a frugare tra i rami spinosi, quando ad un tratto sentì un lamento…
Era l'Amore, che soffriva terribilmente perché le spine gli avevano appena perforato gli occhi.
La Follia non sapeva che cosa fare, si scusò per aver organizzato un gioco così stupido,
implorò l'Amore per ottenere il suo perdono e commossa dagli esiti di quel danno irreversibile arrivò fino a promettergli che l'avrebbe assistito per sempre.
L'Amore rincuorato, accettò la promessa e quelle scuse così sincere.
Così da allora: l'Amore è cieco e la Follia lo accompagnò sempre...
11 notes · View notes
solovedreidue · 10 months
Text
Tumblr media
Copula e fieno
Addormentarsi nel pagliericcio, sopra le spoglie della Mariella che giace nuda nel fienile. Profumo di erba sopita nel tempo lento della maturazione della bella stagione.
Con il verde che si perde tra i peli fulvi, abbondanti, ricci. I capellini nuovi, il colore della pelle screziato e puntinato, quel sapore misterioso d'Irlanda perso nei campi della bassa.
La Mariella ha gli occhi belli, si illuminano quando ride e quando piange, quando le emozioni hanno il colore nocciola. Brillano nel sesso e negli abbracci.
È una copula dolce quella nel fieno, che punge che accarezza, che rotola instabile sotto le carni, che coccola e avvolge, in quel silenzio rumoroso che hanno anche i focolari di inverno. Crepita.
Estate bella, calda, afosa di cicale, il fienile è un'alcova, un nido, per giocare a nascondino d'amore. Uno-due-tre-dieci-cento-mille, libera per tutti. Ancora. Conta ancora.
La Mariella è fatta di "ancora" e di "basta", che vanno interpretati con il sentimento infoiato, che vanno violentati con delicatezza, che vanno accolti nella mano, stretti, strizzati, distesi, ripiegati, stirati con cura.
La Mariella copula, nel fieno, matassa garbuglia. Sa di buono quel fare l'amore, sa di grano. Sono belli da guardare, da vedere, sono belli da segarsi. A volte li guardano e lei lo sa, e arrossisce mentre si bagna, e forse arrossisce proprio perchè si bagna. E lui lo sa. E conta ancora. Sempre.
27 notes · View notes
situazionespinoza · 9 months
Text
Carne
"Sto riflettendo molto sul rapporto uomo-donna" mi dice il mio ragazzo mentre S., ubriaco, mi domanda se voglio giocare a Tinder con lui: "Aiutami a scegliere una sborrata decente, dai".
Sono due conversazioni che avvengono in parallelo. Alla mia destra C., profondamente scosso da ciò che è avvenuto a Palermo, e alla mia sinistra S., che considera le femmine buone solo per scopare. Tranne le sue amiche e sua mamma, ovviamente.
In questo fuoco incrociato di Maschi Bianchi Occhi Blu, io penso al mio corpo.
Il mio corpo che viene fissato, squadrato, dissezionato, analizzato, soppesato, valutato, venduto un tanto al chilo e il prezzo varia a seconda del taglio. Il culo vale di più delle tette, è paragonabile al controfiletto. Le gambe sono prelibate, ma se hanno la cellulite il prezzo scende un po'.
"Sopra ai 25 siete carne frolla" diceva il mio ex titolare a noi cameriere.
Penso al mio corpo palpato e commentato ad alta voce, come se in mezzo a tutta questa carne non ci fossero anche un cervello e delle orecchie.
"Copriti, ti si vede mezza tetta" mi ha detto un mio amico una sera, perché indossavo un vestito scollato. Mi ha sistemato la camicia sulle spalle e gettato un'occhiata di rimprovero: "Capisci che non posso fare a meno di guardare, vero?"
La carne è carne, hanno detto i ragazzi che stavano come cento cani su una gatta.
"Hai un bel corpo", mi disse un uomo prima di darmi uno schiaffo sul sedere.
La carne di alcuni è desiderio, potere, autorità. La mia carne è peccato, oggetto, accettazione, sottomissione.
"Noi uomini abbiamo paura perfino di farvi un complimento, adesso" leggo tra i commenti sotto uno, cinque, dieci, cento video.
"Noi donne abbiamo paura di camminare da sole per strada" è la risposta. Schietta, oggettiva, sempre uguale.
Penso alla strada, al luogo di lavoro, alle aule dell'università e ai corridoi della scuola e immagino solo una macelleria. Divento un pezzo di carne che cammina, un banco salumi illuminato e con la mercanzia ben disposta.
Mi si dice di avere fiducia nelle nuove generazioni, di avere fiducia nella lotta e nel femminismo. Dovrei prendere a esempio Donne Libere che hanno sfidato le regole del sistema e hanno vinto prestigio e notorietà. Queste Donne sono lì proprio per dimostrarmi che non è vero che sono solo un pezzo di carne appeso al gancio, in attesa di essere comprato.
Ma le nuove generazioni non mi sembrano diverse dalla mia. E quelle Donne Libere avranno anche molto da dire, ma parlano solo alle altre Donne Libere come loro.
I cento cani in fregola raramente possono circondare quelle Donne Libere, perché loro si muovono unicamente tra Maschi Altrettanto Liberi.
I cento cani in fregola scalpitano e ringhiano davanti a me, davanti a te, davanti a noi persone semplici e ordinarie che ci muoviamo dentro un corpo da donna.
Un corpo che vuole tornare semplice corpo, quando fuori in strada è solo carne.
20 notes · View notes
canesenzafissadimora · 3 months
Text
Quando ci siamo conosciuti io non cercavo niente, avevo già perso troppo.
Quando mi sei arrivato davanti con quei tuoi modi semplici, con quei tuoi occhi grandi, con quelle gambe troppo magre, io non cercavo amore, avevo già perso troppo.
Quando mi hai chiesto come mi chiamavo, quando mi hai fatto ridere, quando mi hai fatto arrabbiare dopo soli cinque minuti di conversazione, io non cercavo carezze, sesso, attenzioni.
Tu mi avevi già scelta, mentre io avevo scelto la solitudine.
Io non volevo baci, non volevo cene fuori, non volevo regali a Natale, non volevo anniversari, non volevo promesse, non volevo storie, non volevo bugie, non volevo giochi, non volevo le lenzuola sopra le nostre teste, non volevo che tu mi togliessi la Nutella ai lati della bocca, non volevo che tu mi prendessi in giro per la mia voce al telefono.
Non volevo affezionarmi, e ti rifuggivo come se fossi stato il Diavolo, o la Morte, o la mia paura più grande.
Non volevo passare del tempo con te, non volevo vederti mangiare, vederti correre, vederti dormire, vederti arrabbiato, triste, confuso, o peggio, felice, o peggio, eccitato, o peggio, dolce.
Non ero pronta. Non di nuovo. Non ancora.
Ma tu insistevi.
Io scappavo e tu mi rincorrevi.
Io ti dicevo cento no, e tu facevi di tutto per strapparmi un solo sì.
“Io sono diverso” dicevi, e lo dicevi con quell'aria sincera, così sincera che a volte ti credevo quasi.
Facevi tutto quello che nessuno aveva mai fatto per me: c'eri.
Stavi con me.
Stavi con me a tempo perso, e io ti dicevo che dovevo andare e tu mi volevi accompagnare.
Non ricordo nemmeno il giorno in cui non sono più riuscita a mandarti via.
All'inizio era semplice.
“Ma guarda questo, ma chi si crede di essere?”
Poi, lentamente, come i mali peggiori, sei andato ad adagiarti sui miei pensieri, tra i miei desideri, e dirti di no era più doloroso di farti restare.
Come ogni sciocca che si rispetti, ci sono ricascata.
Io.
Io che non ti avevo chiesto niente.
Tu che mi davi così tanto.
Avevi ragione, avevi ragione ad insistere.
Insieme eravamo perfetti, davvero. Un amore di quelli che spezza il fiato, che toglie la fame, che trasforma i volti di chi lo vive, uno di quegli amori che forse si incontra una volta, se si è fortunati.
Non volevo affezionarmi e mi sono innamorata.
E tu?
Tu che mi volevi così tanto, ma così tanto, un giorno, dopo aver avuto più di tanto, dopo aver avuto tutto, mi hai detto che non lo sapevi se era ancora il caso, che forse era meglio stare un po’ da soli, che ti sentivi strano, diverso, distante.
Io ancora oggi non so che dire.
Ancora oggi ho solo una domanda, solo una.
Ma perché?
Perché non mi hai lasciato stare?
Tumblr media
Susanna Casciani
8 notes · View notes
elenascrive · 3 months
Text
“Ciao Donna, ti vorrei parlare.
Siediti e guardami negli occhi. Si, hai capito bene: negli occhi. Molti Uomini lo fanno ancora, anche se ti è difficile crederlo.
Volevo dirti che non siamo tutti uguali e che non e' vero che noi non proviamo sentimenti.
Li proviamo proprio come li provate voi, solo che a volte ci è difficile dimostrarlo.
Molti di noi sono cresciuti con la convinzione che mostrare i sentimenti faccia meno maschio, è vero, ed allora ci atteggiamo a duri e a spacconi che ostentano la collezione di donne come fosse una gara, ma ti assicuro che è vero solo un quarto di ciò che raccontiamo. Ti lasciamo li in sospeso e dosiamo le attenzioni per farti desiderare la nostra presenza. Ti facciamo credere che oltre a te ce ne sono altre cento che ci vogliono.
Ma cerca di capire, lo facciamo solo perché vogliamo sentirci forti, grandi, sicuri e desiderati. Insomma vogliamo farci credere quello che non siamo.
E tu così Ti senti in obbligo a darci il meglio, per essere considerata.
Perdonaci, ma non sappiamo nemmeno di valere qualcosa, ed allora cerchiamo le tue gratificazioni.
Ed allora ti diamo un contentino, un pezzetto del nostro tempo. Ma come fosse un favore, eh...non chiedere di più.
Finché arriva il giorno che tu ti stanchi e non ci vuoi più. Ti guardi intorno convinta che non possono essere tutti cosi gli uomini, che deve esserci per forza qualcuno che sia degno di essere chiamato Uomo.
Ed allora, quando proprio non ci speravi più , lo trovi.
Trovi un Uomo che ti parla guardandoti negli occhi, come sto facendo io. Che ti sorride e ti mette a tuo agio, ti apprezza, ti ascolta e non ti sminuisce lasciandoti in un angolo ad aspettare il tuo turno.
Trovi qualcuno a cui è stato insegnato cosa voglia dire il rispetto, la considerazione e la lealtà.
La bellezza di guardare due occhi per volta senza confondersi con altri occhi tutti uguali.
La bellezza di sentire che sei desiderato da una Donna che ti vuole ma vuole solo te.
Perché sei Tu, perché non hai una collezione di conquiste, ma la capacità straordinaria di saper conquistare una Donna per quello che sei dentro, perché non hai la capacità di dormire in troppi letti.
Ed è questo che ti fa grande, che ti fa unico.
Che ti fa Uomo per davvero.
So Che sei disillusa, ma credimi, guardami negli occhi .
Ci sono ancora Uomini veri.
Ma anche loro sono in cerca di Donne vere.”
- Paola Delton
7 notes · View notes
greenbor · 4 months
Text
Poesia di https://www.tumblr.com/maripersempre-21
Lenzuola sgualcite
e noi...
corpo su corpo,
le mani tue curiose
gli occhi tuoi che
mi accarezzavano,
nudi...
solamente vestiti di Noi,
ah amore mio
com'è fragile la felicità...
come cristallo,
basta poco perché si rompa...
ci tenemmo abbracciati
dicendoci addio cento volte
prima di lasciarci...
ci baciammo
con gli occhi
ancora prima delle labbra...
e ci lasciammo
con i nostri cuori
uno nel corpo
dell'altro...
M.C.©
Tumblr media
7 notes · View notes
apropositodime · 17 days
Text
Tumblr media
Il cibo porta lontano
Fa viaggiare
Porta indietro nel tempo
Il cibo evoca momenti
Belli
Lontani
Indimenticabili
Ti porta lontano in posti di cui hai nostalgia, senza esserci mai stata.
Ti porta dove vuoi.
Stasera chiudo gli occhi sono nel mercato antico di khan el khalil al Cairo.
Un misto di colori, profumi , passando da tra un venditore d'oro a uno di tessuti,incantata..
Ho fatto i Felafel 😍
E mi sono venuti
F A V O L O S I.
La Sicilia è a soli cento km dalle costa tunisina, Africa. ❤️
11 notes · View notes