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#Bianciardi L.
libriaco · 2 months
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Basta una parola
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Scriveva Abatelunare, una decina di giorni fa, che spesso leggendo un libro si imparano delle parole nuove, e faceva riferimento a un toscanismo: costassù, trovato in una vecchia versione de Il ragazzo di Sycamore di Erskine Caldwell.
A me occorre poco, appena una parola, per impantanarmi in una serie di percorsi da cui poi faccio fatica a uscire; così è stato anche questa volta.
Infatti, in sintesi:
Da toscano conosco e uso la parola costassù, così come anche gli altri avverbi costì, costà, costaggiù; ricordo bene come, una decina di anni fa, me ne chiese il significato una collega, di madrelingua inglese, da poco arrivata a Siena.
Più di recente, saranno passati tre o quattro anni, durante una lettura condivisa de La vita agra del grossetano Luciano Bianciardi, le due amiche con cui leggevo, una di origine siciliana ma da anni a Napoli, l'altra veneta, mi chiesero lumi su due strane parole in cui si erano imbattute in quel testo: costì e costassù.
Ho chiesto ad Abatelunare chi avesse tradotto il libro, sospettando appunto un toscano, e mi ha indicato Marcella Hannau. Il mio sospetto era ben fondato, anche se non corretto, perchè la Hannau era nata a Trieste ma ha avuto frequentazione lunga e anche intima con la Toscana.
Le ricerche fatte mi hanno portato subito in ambiente fiorentino; la Hannau, traduttrice dall'inglese di oltre una settantina di libri, figlia di uno stakholder della Standard Oil, di famiglia ebraica, sposò molto giovane [nel 1921] Corrado Pavolini, nato a Firenze: regista, drammaturgo, critico letterario, poeta, librettista e traduttore. Corrado era figlio del professor Paolo Emilio, traduttore e docente universitario di Sanscrito, nato a Livorno da padre dell'isola d'Elba. La coppia frequentava l'ambiente culturale italiano del tempo: ci sono ad esempio foto degli anni '30, sulla spiaggia di Castiglioncello, sempre in Toscana (Livorno) in compagnia di Luigi Pirandello, Nicola De Pirro, Marta Abba, Maria Stella Labroca e Silvio D'Amico; le due famiglie, Hannau e Pavolini, frequentavano spiaggia, locali e ville di amici nella zona, già dalla fine degli anni 10 dello scorso secolo.
Corrado Pavolini era il fratello del gerarca fascista Alessandro, Ministro della Cultura Popolare e segretario del Partito Fascista.
Alessandro si rifiutò di aiutare il fratello e la cognata Marcella nel momento della promulgazione delle leggi razziali e Corrado e Marcella scapparono a Cortona (Arezzo) rifugiandosi nella villa dell'amico Debenedetti. A Cortona trovarono un buon nascondiglio anche gli Hannau, i genitori di Marcella, a cui offrì riparo il Vescovo, Monsignor Franciolini, direttamente nella sua abitazione.
Cortona piacque così tanto alla coppia Pavolini-Hannau che fecero della villa "del Bacchino" un loro punto di riferimento a guerra finita e poi, dal 1961, la loro residenza. Ecco come, con tutte queste frequentazioni toscane, la Hannau abbia potuto utilizzare parole ancora in uso nell'italiano del tempo, adesso segnalate dalla Treccani come semplici "toscanismi" vista la loro odierna più ristretta circolazione.
Restano da citare, in questi miei giri intorno alla coppia, due notiziuole "rosa": l'infatuazione per Corrado Pavolini, prima da parte di Anna Maria Ortese, poi di una sua carissima amica, Helle Busacca. [Interessante e rivelatrice questa pagina di Dario Biagi]. Su questo ramo della ricerca mi sono fermato, perché infiniti altri percorsi mi si sono aperti, relativi ai personaggi della cultura italiana dell'epoca e dei loro rapporti di amicizia, rivalità od odio.
Nonostante le ricerche sul web, non sono riuscito a trovare informazioni certe sulle date di nascita e di morte di Marcella Hannau; ho pensato allora di utilizzare il Copilot di Microsoft Bing. L'Inintelligenza Artificiale si è data da fare ma le date che cercavo non me le ha recuperate; in compenso ha tratteggiato un profilo, sintetico ma efficace, del marito Corrado. Peccato, però, che, da brava Inintelligenza, si sia confusa e abbia scritto i dati relativi ad Alessandro Pavolini, il gerarca titolare del MinCulPop e Segretario del Partito Nazionale Fascista, che fu processato per collaborazionismo, fucilato e poi esposto, insieme a Mussolini e alla Petacci, a Piazzale Loreto...
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*Aggiornamento del 29/03/2024: Corrado Pavolini e Marcella Hannau riposano ora l'uno accanto all'altra nel piccolo cimitero del Torreone al sommo della collina di Cortona.
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crazy-so-na-sega · 8 months
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“Il discorso è vecchio, sostanzialmente falso, ma tutti lo ripetono e facciamo dunque finta di crederci anche noi: la vera cultura si fa in provincia. Lontani dalle distrazioni e dal tumulto delle grandi città, i giovani hanno tempo per pensare, discutere, dibattere. Si formano così cervelli e coscienze: poi arriva la grande città, screma il meglio dell’intelligenza periferica e l’adopera per la fabbricazione dei suoi formaggini culturali. In provincia c’è ancora la possibilità di studiare, di leggere. Molti giovani ci cascano, studiano, leggono. Anzi, hanno la pretesa di voler leggere tutto.
Ora, statistiche alla mano, si sa che escono ogni anno in Italia dodicimila libri, il che fa una media di quaranta al giorno, domeniche escluse. Ci sarebbero poi i libri stranieri, per lo meno quelli nelle tre lingue principali d’Occidente, che non vanno ignorati: il totale cresce a centocinquanta opere giornaliere: non c’è neanche il tempo di leggere i titoli e i risvolti di copertina. Chi si butta nella lettura è destinato ad affogarvicisi; anche se opera una scelta severissima e decide di leggere soltanto, per esempio, i narratori contemporanei (italiani e stranieri, inevitabilmente, perché ormai non esistono più frontiere di nazione e di scuola letteraria) rischia l’indigestione. Perché bisognerà non ignorare il teatro e il cinema, seguire la critica militante, dare un’occhiata alla televisione e un’orecchiata ala radio (mezzi di comunicazione di massa). Chi vuol darsi una formazione culturale ha dinanzi a sé questa prospettiva: morire prima”.
-L. Bianciardi
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gregor-samsung · 3 months
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Ciao, ho visto le citazioni sul male oscuro di G.B. Mi consiglieresti qualcosa da leggere sulla stessa scia? Cioè è veramente un capolavoro, non mi riprendo più ahaha
Ciao, ogni buon libro è unico ma Il male oscuro è forse anche singolare, non riesco a trovare altre opere che descrivano il dolore personale con la stessa improvvisa ironia che rende il racconto piacevolissimo. Mi vengono in mente alcuni libri nei quali è predominante la narrazione della sofferenza psichica (Memoriale di P. Volponi, Campo di concentrazione di O. Ottieri o ancora L'uomo che trema di A. Pomella, anch'egli appassionato di Berto); l'ironia dissacrante la trovo soprattutto in L. Bianciardi (un qualunque suo scritto va bene, in particolare la "trilogia della rabbia"). Virano su toni poetici M. Tobino (Le libere donne di Magliano) e P. Milone (L'arte di legare le persone) i quali parlano però dal punto di vista del terapeuta. Non sono sicuro che questi consigli bastino, non sono un libraio e conosco solo ciò che ho letto; spero altri possano aggiungere le loro proposte alle mie. In ogni caso ti ringrazio per il messaggio, se ti va scrivimi ancora su ciò che preferisci. :)
P.S.: Ho dimenticato di citare un classico della letteratura italiana, La coscienza di Zeno di I. Svevo, un'opera quasi venerata dalla critica che però non mi ha mai entusiasmato.
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alessandrocorsoni · 3 years
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L' altro giorno sono andato alla miniera di Ribolla. Nel 1954 un’ esplosione provocò la morte di 43 lavoratori. L'episodio scosse molto Luciano Bianciardi, scrittore, da Grosseto. Insieme a Carlo Cassola stava studiando la condizione dei minatori della Maremma.
Sul tragico incidente il Bianciardi scriverà il suo romanzo più famoso: “La vita agra”, che oltre ad essere un atto di accusa contro la scarsa sicurezza sul lavoro, è anche un lucido resoconto sugli aspetti negativi del cosiddetto boom economico.
“Poiché l'impresa non era abbastanza redditizia, pur di chiuderla hanno ammazzato quarantatré amici tuoi, e chi li ha ammazzati oggi aumenta i dividendi.
Tutti questi sono i sintomi, visti al negativo, di un fenomeno che i più chiamano miracoloso, scordando, pare, che i miracoli veri sono quando si moltiplicano pani e pesci e pile di vino e la gente mangia gratis tutta insieme. Mangiano e bevono a brigate sull'erba e appena buio, come capita capita, fanno all'amore.”
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dreenwood · 3 years
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A política... há muito tempo deixou de ser ciência do bom governo e, em vez disso, tornou-se arte da conquista e da conservação do poder.
L. Bianciardi
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corallorosso · 5 years
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Il segreto del successo in politica? Sollevare polvere di Francescomaria Tedesco In un passaggio magnifico, superbo, da leggere e rileggere, di quell’opera inimitabile che è La vita agra, nel capitolo più bello di quel libro, Luciano Bianciardi scrive: “Il metodo del successo consiste in larga misura nel sollevamento della polvere. È come certe ali al gioco del calcio, in serie C, che ai margini del campo, vicino alla bandierina, dribblano se medesimi sei, sette volte e mandano in visibilio il pubblico sprovveduto. Il gol non viene, ma intanto l’ala ha svolto, come suol dirsi, larga mole di lavoro”. Ecco, la politica italiana è diventata l’arte di dribblare sei, sette volte se medesimi, alzare polvere, senza avere – o quasi – nessun gol da segnare, senza avere una meta da raggiungere. ... Ecco, mi pare che questi passi descrivano benissimo tutto quello che succede ogni giorno in politica. Ogni mattina, un’ala destra si sveglia e sa che deve dribblare se stessa. Ne va della sua sopravvivenza, del successo, dei voti, del gradimento, della percentuale di consenso. E così un pubblico ammaliato da quelle piroette senza senso, da quel calciatore senza meta, si gode lo spettacolo e si scanna, si insulta, si sbrindella commentando. Ma quel giocatore è davvero senza scopo? Cosa sta facendo lì in mezzo al campo, con tutte quelle piroette? Ci sta distraendo e prendendo per scemi. Dall’altra parte del campo, magari, un compagno tira un calcione a un avversario forte e lo azzoppa, oppure l’arbitro prende una mazzetta dal mister, o un raccattapalle taglia i cavi della Var. C’è un problema però. Il punto è che queste ali inconcludenti, o falsamente inconcludenti ...nel sollevare polvere e ottenere successo hanno la fattiva collaborazione dei media, a cui piace tantissimo impolverarsi. E dato che siamo nella similitudine calcistica, direi che lo schema ormai è diventato il seguente: 1. il governo fa sette o otto dribbling su se stesso, sconclusionati, alzando un polverone; 2. i media lo raccontano, ma condiscono con qualche “aggiunta fantasiosa”, anche su una questione minore; 3. le opposizioni, con dolo o colpa, si focalizzano sull’”aggiunta fantasiosa” e la diffondono; 4. il governo prende l’”aggiunta fantasiosa” e la rivolta contro i media e le opposizioni, magari facendo passare in secondo piano la sostanza della faccenda. Se il governo smettesse di sollevare polvere (cioè non soltanto di discutere di cose inconcludenti, ma di prendere decisioni che non gli spettano, che attengono ad altre cose, decisioni sbagliate, su tutto volendo mettere maldestramente il becco), potremmo parlare di politica. Invece ci tocca condurre dibattiti polverosi sui binari morti della non-decisione. Ma quello è lo scopo dell’ala che si auto-dribbla. Infatti il miglior segreto dell’ala destra è…
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adrianomaini · 2 years
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Dopo l’8 settembre 1943 e il conseguente sfaldarsi delle file dell’esercito italiano all’indomani dell’armistizio, Luciano Bianciardi si agg...
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giancarlonicoli · 4 years
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Francesco Specchia per Libero Quotidiano
«Trash, un cazzo». L' espressione migliore per strappare Tommaso Labranca, indimenticata firma culturale di Libero, allo stereotipo del rovistatore di spazzatura nazionalpopolare («l' uomo che ha inventato il coattismo!») in cui lo incasellavano è stata questa del critico musicale Michele Monina, presente come molti di noi al funerale di Tommaso l' estate di quattro anni fa.
Il mondo letterario aveva avvolto, anche da morto, Labranca nella bandiera del trash dati i suoi successi sulla cultura di massa - Andy Warhol era un coatto, L' estasi del pecoreccio, Chaltron Hescon su tutti-; ma Monina, nell' epicedio all' amico, s' era soffermato sull' attitudine labranchiana a ritrovarsi irrequieto nomade in tutti i territori delle arti e delle lettere.
Per me, Labranca è sempre stato, per indole e stile, una sorta di mix tra Luciano Bianciardi e Truman Capote. Un talento invincibile. Passava dalle biografie di Warhol - di cui era uno dei massimi esperti mondiali - a quelle sui miti del pop che gli assicuravano la pagnotta; inventava riviste d' arte assieme a Luca Rossi per conto di editori del Canton Ticino; scriveva testi per la tv, Rai e La7. E aveva tradotto i migliori autori americani contemporanei - da Lisa Goldstein a Oliver James a Flocker Michael che introdusse la teoria sociale del Metrosexual-; e prodotto le miglior opere di narrativa mordi e fuggi come Il fagiano Jonathan Livingston. Manifesto contro la New Age, o Kaori non sei unica. La prima antologia di letteratura spot. Una mente errabonda.
archeologo del trash Eppure, all' indomani della dipartita, negli epitaffi sui giornaloni venne descritto come l' archeologo del trash: geniale ma incompreso, onnivoro ma incompleto, facondo ma con una tendenza all' autodistruzione. Forse in questo stesso equivoco è caduto Claudio Giunta che ha ne scritto l' unica biografia, Le alternative non esistono - La vita e le opere di Tommaso Labranca (Il Mulino, pp.256, euro 23), e Dio e noi tutti gliene rendiamo merito.
Epperò, nell' ossessione per un personaggio all' apparenza felliniano e blasé al tempo stesso - girocollo nero, borselli a tracolla molto anni 8o, occhiale pesante in contrasto coi pensieri lievi - il biografo ha sfruculiato dettagli oscuri tralasciando un po' la luce che Tommaso lasciava promanare dai suoi pensieri, opere e soprattutto omissioni. Ma sì, certo è utile conoscere di Labranca le umili origini talora trasformate in frustrazioni: «Il padre, oltre a fare il gommista, si è messo a lavorare a una pompa di benzina; la madre ha trovato lavoro come baby-sitter. Nel corso della sua vita Labranca non ha veramente cambiato classe sociale.
Ha sempre vissuto a Pantigliate, dove i suoi genitori si erano trasferiti negli anni '80», scrive Giunta.
Che poi ritira fuori la vecchia polemica dei suoi finti amici di sinistra che, negli ultimi anni, tendevano ad evitarlo perché scriveva su Libero «ma che ovviamente non basta a liquidarlo come reazionario destrorso.
A dispetto dei toni spesso apocalittici, non pensava affatto - come i néo-réac a cui ogni tanto lo si assimila, a torto - che la civiltà occidentale fosse al tramonto, distrutta dal neoliberismo e/o dalla secolarizzazione. Era del parere che le cose andassero a rotoli, in Italia, soprattutto per colpa degli italiani». E questo è corretto. Epperò questa cosa che Libero lo usasse come «censore delle ipocrisie della sinistra» è un falso storico. Tommaso ha sempre avuto mano libera su tutto.
Al punto che qui era tornato al suo vecchio pallino, la critica d' arte. Lo ribadisco: Labranca era il più veloce tra quelli bravi e il più bravo fra quelli veloci.
Naturalmente, quando lo si inviava a recensire una mostra, curatori e galleristi velavano lo sguardo di fiero terrore; e lui - autore pensoso a ritmo annuale per Einaudi e a scansione settimanale per l' Anima mia di Fabio Fazio - mandava, nei tempi ristrettissimi del quotidiano, il pezzo perfetto.
A questi passaggi, al suo essere un reietto a sinistra, molti degli "amici" intellettuali che dirigevano riviste, creavano programmi tv, o erano responsabili di collane editoriali non hanno mai accennato (né l' hanno mai aiutato).
le umiliazioni Epperò, ha ragione Giunta quando scrive che Tommaso misurava giorno per giorno come un sismografo gli affronti, le umiliazioni ma anche «i piccoli progressi della sua notorietà». La sua vita agra è stata quella, appunto, di un Bianciardi riaggiornato. Anche, sentendo questa definizione, gli verrebbe l' itterizia; e magari, per la paranoia, indosserebbe il vestito da coniglio che sfoderava alle feste. Labranca era fieramente stanziale. Il suo mondo immaginario passava dai grandi autori russi ai concerti di David Bowie, alla factory del Greenwitch Village anni 80; ma lo potevi geolocalizzare, magari accanto all' amica Orietta Berti, in un mondo piccolo esclusivamente compreso nel triangolo Milano-Lugano-Pantigliate paese/sobborgo al cui codice di avviamento postale aveva dedicato il nome della sua piccola casa editrice.
Nonostante qualche dimenticanza e qualche prospettiva inesatta, la biografia di Tommaso Labranca, l' irregolare degli irregolari, è un lascito necessario per la posterità. Vi sono dieci sue righe illuminanti di Tommaso, stimolato in un' intervista intorno ad un capitolo sulle ipocrisie italiane di un libro che non riuscì mai a scrivere: «Un capitolo sulla società civile, sugli indignati, su coloro che insultano la nazione che li mantiene grazie alle pensioni dei genitori presso cui vivono ancora a 40 anni, su quelli che sono andati a fare la fame all' estero convinti di rientrare così nella fuga dei cervelli. Insomma, tutta la fuffa anonima che passa la giornata al computer nella patetica illusione di essere intelligente, progressista, antagonista». Trash, un cazzo.
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pangeanews · 4 years
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“Rimane la realtà, cruda come un chiodo”: Paolo Universo, ritratto di un poeta radicale, che ha fatto di tutto per scomparire, “il Rimbaud triestino”
Di Paolo Universo sono venuto a conoscenza durante uno degli innumerevoli momenti di flânerie trascorsi per i vicoli di Trieste. La gloriosa e deceduta libreria “In der Tat”, nei pressi di Piazza Hortis, conservava ancora due copie, salvate dal macero, del poema Dalla parte del fuoco di questo Poeta deragliato, visionario, consanguineo della follia, semignorato dai suoi stessi concittadini.
Chi era dunque Paolo Universo?
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Sappiamo che nacque nella Pola in orbace del 1934 e si spense (se una stella si spegne di un Universo dovremmo forse dire che collassa?) a Trieste nel 2002. Della sua fisionomia restano sparute fotografie in un bianco e nero che odora già di epigrafe. “Il Piccolo”, storico quotidiano locale delle città giuliana, lo definisce in un articolo commemorativo del 2005 ‘il Rimbaud triestino’. Eppure, se il maestro d’oltralpe decide di non lasciare traccia di sé dopo la sua deflagrazione letteraria (a tal proposito Jean Cau avrà a scrivere: «Ci sono mille modi di suicidarsi. Balzac scelse il caffè, Verlaine l’assenzio, Rimbaud l’Etiopia»), Universo imbocca la via del silenzio già in vita.
*
Le juvenilia della sua produzione poetica – non più di 50 componimenti – trovano eco solo sulla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1971 e sull’“Almanacco dello Specchio” mondadoriano nel 1972. All’indomani della scomparsa dell’Autore altre poesie, espunte dalla parva pubblicazione, faranno capolino in una pubblicazione postuma: Poesie giovanili 1967-1972, a cura di Giorgetta Dorfles. Stop.
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Quando Universo viene pubblicato sullo Specchio del 1972, accanto al suo nome campeggiano dei ‘mostri sacri’ della poesia italiana e straniera: Pound, Montale, Bertolucci, Sereni, Mandel’stam, Kavafis ecc. La vis polemica del triestino appare subito evidente:
io ti vedrei piuttosto in una parodia di Franz Lehar vedova allegra con lo sguardo gaio in una grande birreria di Marsovia scintillante di cristalli di Boemia brindare ad un peto asburgico di Magris
Universo odiamava Trieste:
Trieste… io ti vorrei vedere distrutta casa per casa al suolo vorrei che un nuovo Scipio ti mettesse a ferro e fuoco come Cartago vorrei che vere orde di barbari ti mettessero a sacco vorrei vederti squassata dal mare come Messina vorrei che sulla tua austroungarica rovina fosse cosparso il sale
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Il porto dell’Impero simboleggia tutto quell’ideale borghese che il Poeta detesta, declinato nella nostalgia del ripiegamento sui passati splendori che conducono alla mitizzazione della città asburgica. MITTELEUROPATICA; questa è la diagnosi implacabile che Universo fa della sua città adottiva. Luigi Nacci, classe 1978 e rigorosissimo studioso della letteratura giuliana del secondo Novecento, nel suo impagabile Trieste allo specchio ricorda un aneddoto – e l’aneddotica su Universo è ben più corposa della sua produzione letteraria, quantomeno di quella edita – a sua volta ricevuto dalla vedova del Poeta: « […] Universo, invitato a presentarsi a Milano per firmare un importante contratto di pubblicazione ed essere così introdotto nei salotti “bene” degli intellettuali più in voga, giunto alla stazione lombarda, voltò le spalle alla fama per ritornare immediatamente a Trieste» [citato in L. Nacci, Trieste allo specchio, Battello Stampatore].
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Lo sberleffo supremo è in una poesia lanciata come una granata contro Vittorio Sereni, proprio colui che tanto si era prodigato per includerlo nel mazzo degli autori da dare alle stampe sullo “Specchio” del 1972:
in attesa di una tua risposta da milano passavano i postini i frutti di stagione le settimane i mesi io invecchiavo a vista d’occhio ma tu col cavolo che mi rispondevi
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Universo è una rivolta permanente, contro tutti i dogmi: il capitalismo, peculiarmente nella sua deformazione borghese, il cristianesimo (rivolgendosi a Dio il Poeta scrive: «tu/ solitario come un verme/ non ci interessi più»), le convenzioni e la pubblica morale («ho già pronto/ il dito/ infilami/ una fede/ sicura/ faremo tanti figli per sfamarci/ con cura ho tirato/ le somme/ puoi lasciare la pendola/ madonna/ ritornare con me/ sedentaria/ respirare l’aria pura/del bidet»). Una dissacrazione voluta, inseguita e portata alle estreme conseguenze: di Universo, come Rimbaud tra le sabbie di Aden, si sono perdute le tracce. Dopo la frammentaria pubblicazione delle poesie giovanili l’Autore sceglierà di trascorrere (ancora da Nacci, op. cit.) «i suoi ultimi anni tra i “matti” del Padiglione M di S. Giovanni, in mezzo ai reietti, gli emarginati». Risalgono a questo momento storico (non sarà superfluo rammentare che negli anni in cui Universo si emargina, a Trieste esercita Franco Basaglia) le ultime ‘pubblicazioni’ dell’Autore: «decine di slogan aforistici ideati per la realizzazione di maglie stampate all’Opp» (Nacci, op. cit.).
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Dalla ricognizione storica di Nacci resta escluso – per ragioni metodologiche adottate dal critico e poeta nella sua trattazione – il poema cui Universo si dedicherà per tutta la vita e che sarà dato alle stampe dopo la morte dell’Autore in virtù di una iniziativa editoriale commemorativa: Dalla parte del fuoco (Hammerle Editori, 2005). Il testo è corredato da una serie di testimonianze di amici ed estimatori dell’opera universale. Ed è proprio da questi testi che si possono cogliere altri scorci di una esistenza al ‘termine della notte’: «Benché ostentasse una preferenza per gli animali, quei “nostri fratelli minori” di cui in gran numero era popolata anche la sua casa, amava gli uomini e amava l’infinita varietà di storie con cui essi sono capaci di animare il teatro del mondo. Sembrava averne collezionati di tutti i tipi, dai più comuni ai più singolari ed eterogenei. Nella mia lunga frequentazione con lui, non mi era mai capitato di vedere altrettanta abbondanza di tipologie umane tra le più anomale e disparate come nella sua casa» [Nicoletta Brunner Tamburini, in Dalla parte del fuoco, op. cit.)
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Dalla Parte del fuoco è un poema in prosa ‘sinfonico’, costruito in 6 movimenti/capitoli contrappuntati da annotazioni di tempo all’inizio di ogni sezione. I primi 5 movimenti si concentrano sullo squallore della metropoli industriale – quella Milano alle cui lusinghe aveva rifiutato di cedere: «bisogna inventare bisogni indurre in tentazione nutrire i satolli darle a bere agli assetati vestire i nudisti subornare le nonne stimolare gli stitici – dovunque… anche in tram. statistiche interviste ricerche di mercato indagini demoscopiche vendite di propaganda campagne campione sondaggi d’opinione buoni premio punti qualità…» [Dalla parte del fuoco, I, Sinfonia della città – allegro vivace].
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La scrittura ha un andamento frantumato, come di appunti sulla distruzione, fortemente onomatopeico e con abbondante uso di calembour, allitterazioni e rime interne. Mi richiamo al docufilm ispirato a La distruzione di Dante Virgili perché la sperimentazione linguistica di Universo si approssima molto a quella del Céline italiano. La città è percorsa come un girone infernale guidato dal Capitale cui nulla e nessuno può sfuggire se non con un atto di rivolta camusiano. I sintagmi attingono alla poesia beat tanto quanto alle avanguardie ma le tematiche sono più affini a La vita agra di Bianciardi che ai mantra lisergici di Ginsberg. L’umanità che vi è dipinta – come in una raffigurazione di Bosch – è una umanità alla deriva, in malora.
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L’ultimo movimento, il solo ad avere carattere non prosastico – si intitola profeticamente “L’isola che non c’è”. Dalla città apocalittica all’Ospedale Psichiatrico. Mondi lontani che si toccano nel dolore e nello squallore. La tensione delle prime 5 sezioni si stempera in un ‘Adagio’ amaro, una ballata ininterrotta da misantropo innamorato dell’uomo:
scelto nel dolore sono stato ma l’enorme privilegio più non sento sempre dentro dentro dentro dentro quattro pareti ingabbiato tutto finisce troppo presto in un precipitare di parole rimane la realtà cruda come un chiodo il vuoto…
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Questo era Paolo Universo, il poeta senza voce che urlava al mondo dalle abissalità del bigbang. In Francia, che di poesia se ne intendono gli è stata dedicata da una piccola editrice una antologia di ottima fattura, Dans un lieu commun j’ai fini par te trouver, poésie, che racchiude tutto il corpus poetico giovanile, gli aforismi dell’OPP e l’ultima sezione di Dalla parte del fuoco.
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«la mia vita da poeta drammatico – lirica fino alla pazzia. ora suono la cetra teutonica dentro una grande cattedrale nera stracarica d’oro in una città dal cranio di madreperla che aizza le sue teste bionde nell’urlo della bora…» [Dalla parte del fuoco, I, Sinfonia della città – allegro vivace]
Luca Ormelli
*Desidero ringraziare Luigi Nacci per le preziose indicazioni cimiteriali e Gianfranco Franchi per la fratellanza concessa ad un triestino infiltrato come il sottoscritto.
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Indicazioni bibliografiche:
Paolo Universo, Dalla parte del fuoco, Hammerle Editori, 2005, Trieste.
Paolo Universo, Dans un lieu commun j’ai fini par te trouver, poésie, ERES Edizioni, 2015, Tolosa.
A.A.V.V., Almanacco dello Specchio, Mondadori, 1972, Milano.
Luigi Nacci, Trieste allo specchio, Battello stampatore, 2006, Trieste.
*In copertina: un’opera di Roland Topor (1938-1997)
L'articolo “Rimane la realtà, cruda come un chiodo”: Paolo Universo, ritratto di un poeta radicale, che ha fatto di tutto per scomparire, “il Rimbaud triestino” proviene da Pangea.
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libriaco · 2 years
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La strage della Niccioleta - Post lungo e pieno di sangue.
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Le case di Niccioleta sono sparse su una collinetta posta di fianco alla strada che da Massa Marittima conduce a Castelnuovo Val di Cecina. Nel 1944 le carte topografiche non registravano il nome di questo villaggio sorto da pochi anni intorno alla miniera di pirite. Niccioleta allora era abitata da centocinquanta famiglie di minatori, oltre che dal personale direttivo della miniera. [...] Ai primi di giugno, la ritirata tedesca era in pieno corso sulle strade della Maremma; il fascismo repubblichino era in sfacelo. Il presidio fascista di Massa tagliò la corda la notte del 9. Quello stesso giorno una squadra di partigiani era entrata in Niccioleta. Disarmati i carabinieri, che vennero invitati ad allontanarsi, i partigiani accompagnati da elementi del luogo fecero il giro delle case dei fascisti, sequestrando anche a loro le armi. Agli uomini fu ingiunto di non uscire di casa. [...] Fin dal giorno 10, il CLN aveva istituito un servizio armato di avvistamento e di vigilanza, col pieno consenso del direttore della miniera. Si sapeva che i tedeschi lasciavano indietro gruppi di guastatori, con l’incarico di distruggere gli impianti industriali; e i minatori di Niccioleta erano decisi a salvare la miniera. Purtroppo questo sistema di sicurezza non funzionò, quando all’alba del 13 le SS comparvero a piedi sotto Niccioleta. Le sentinelle (una delle quali era per l’appunto il figlio del direttore Mori Ubaldini) non poterono far altro che darsi alla fuga. A loro volta i membri del comitato, che sedevano in permanenza nella caserma dei carabinieri, ebbero appena il tempo di nascondere le armi nel rifugio antiaereo. Vi nascosero anche gli elenchi dei turni di guardia, mentre avrebbero fatto bene a distruggerli. Il paese si risvegliò bruscamente al rumore degli spari, delle voci rauche dei tedeschi (tedeschi erano il comandante, un tenente, e i sottufficiali; mentre i militi erano tutti italiani). Gli uomini furono fatti uscire dalle case, alle donne e ai ragazzi venne invece ingiunto di non uscire, e anzi di sprangare le finestre. Centocinquanta minatori si trovarono così ammassati nello spiazzo davanti al dopolavoro, e poi dentro il rifugio antiaereo. Naturalmente ai fascisti venne riservato un diverso trattamento; e se qualcuno fu dapprima incolonnato con gli altri, si provvide poi a liberarlo. Calabrò, Nucciotti, Bellini si erano subito uniti ai militi e li accompagnavano in giro. Gli elenchi delle guardie armate furono rinvenuti nel rifugio antiaereo insieme alle armi. Anche i dirigenti della miniera vennero prelevati e messi a disposizione del tenente tedesco. L’ingegnere Boeklin ebbe il compito di fare l’interprete. Ultimato il rastrellamento, il tenente si installò nella caserma dei carabinieri e procedette all’interrogatorio di alcuni minatori, che gli erano stati indicati come i capi del movimento antifascista. Alle dieci Sargentoni Ettore coi figli Ado e Alizzardo, Bruno Barabissi, Antimo Ghigi e Rinaldo Baffetti furono fucilati in una fossa che gira intorno all’edificio dello spaccio aziendale. Una donna che abitava lì davanti poté vedere la scena: «Vidi per primi Baffetti e Barabissi uscire dalla sede del dopolavoro a braccetto e avviarsi nello stretto corridoio che porta dietro al forno, seguiti da un milite armato. Appena essi furono dietro il forno sentii sparare dei colpi. La seconda coppia fu il Sargentoni Ettore e Ado sempre a braccetto e seguiti da un altro milite, ed entrati nel recinto udii altri colpi; per ultimi vidi venire Sargentoni Alizzardo e Ghigi con la stessa scena degli altri. Prima di arrivare dietro il forno, nello stretto corridoio il Sargentoni Alizzardo cadde a terra battendo la testa in uno spigolo. Il milite che lo accompagnava lo alzò prendendolo per un braccio e lo colpì alla testa col calcio del moschetto, spingendolo poi dietro il forno. Sul muro, dietro il forno, vi era una mitragliatrice coperta con delle frasche e intorno a essa dei militi, accanto vi era una damigiana di vino e durante tutto il tempo i militi riempivano un fiasco di vino e bevevano». A mezzogiorno si permise alle donne di portare da mangiare agli uomini, che si trovavano sempre nell’interno del rifugio. Fu solo verso sera che il tenente tedesco prese una decisione: i minatori furono fatti uscire dal rifugio e avviati a piedi verso Castelnuovo. Dopo alcuni chilometri arrivarono dei camion, e con quelli i prigionieri vennero portati a Castelnuovo e rinchiusi nella sala del cinematografo. Anche i dirigenti della miniera e i fascisti (questi ultimi con le famiglie e le masserizie) furono condotti a Castelnuovo e alloggiati nella caserma dei carabinieri. Durante l’intera giornata del 14, per le strade di Castelnuovo si ripeté il sinistro via vai del giorno prima. Come a Niccioleta, anche a Castelnuovo i fascisti accompagnavano le pattuglie dei militi, che facevano la spola tra il comando tedesco e il cinematografo dove erano rinchiusi i minatori. Sembra che il tenente aspettasse il comandante del battaglione, il quale non era in sede; ma poi finì con l’agire di propria iniziativa. I minatori furono divisi in tre gruppi. Il primo, composto di 79 uomini, era destinato allo sterminio. Il secondo, di 21, alla deportazione in Germania. Il terzo, di 50, comprendeva gli uomini più anziani, che avrebbero dovuto essere rilasciati. I 79 erano stati scelti in base ai nomi contenuti negli elenchi delle guardie armate. Quando non si era trovato il figlio, era stato incluso tra i condannati a morte il padre, e viceversa. I fascisti ebbero però la facoltà di rimaneggiare la lista, includendo o togliendo chi loro parve meglio. In particolare Calabrò, che i tedeschi chiamavano «il vecchio fascista», fu autorizzato dal tenente a liberare sei uomini. Egli ne liberò due, e così i 79 divennero 77. Poi finse di volerne liberare un terzo e chiamò fuori dalle file Eugenio Cicaloni. Cicaloni si fece avanti e Calabrò disse al tenente: «Questo avere sputato in faccia a mia moglie e a mia figlia». Il tenente con uno spintone lo rispedì in fila. Al tramonto, i 77 furono condotti in una specie di dolina, in prossimità della centrale elettrica, e a gruppi di quindici falciati con le mitragliatrici. Le mitragliatrici erano manovrate dai militi italiani. Nella caserma dei carabinieri, udendo la sparatoria, la moglie del fascista Soppelsa non resse e si mise a piangere. Nucciotti la vide e disse: «Io non faccio una lacrima, questa volta l’hanno preso in culo loro!» [...]
L. Bianciardi, C. Cassola, I minatori della Maremma [1956], ristampato poi anche da StradeBianche/StampaAlternativa, Pitigliano, 2010 e pubblicato in forma NO COPYRIGHT; il file è scaricabile gratuitamente come PDF da QUESTA PAGINA.
[Immagine: Copertina della prima edizione realizzata dal pittore grossetano Bruno Dominici]
Nota: i riferimenti sono tutti a luoghi reali, fatti accaduti e persone esistite. Vedi anche: Strage di Niccioleta e I minatori della Maremma.
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rossorubinotv · 5 years
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E’ un appuntamento tradizionale del comune ripolese, la Festa dello Sport come ogni hanno raccoglie in rassegna le migliori associazioni sportive del territorio e comuni limitrofi, da quest’anno in una nuova cornice, il Parco Urbano di Grassina.
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Karate, basket, tiro con l’arco, e molte altre le discipline sportive che i tanti bambini e ragazzi intervenuti hanno potuto provare direttamente. Una occasione, la XX edizione della Festa dello Sport anche per premiare tutti gli sportivi, che nell’ultimo anno, si sono contraddistinti nella propria disciplina sportiva.
“Il nostro territorio sta coltivando talenti sportivi in moltissime specialità – dice il sindaco Casini -. Atleti anche molto giovani stanno portando il nome di Bagno a Ripoli nel mondo con traguardi importantissimi e facciamo il tifo per loro. Allo stesso tempo, abbiamo voluto premiare le realtà sportive locali che con la loro attività svolgono un ruolo di collante per la comunità e promuovono la cultura dello sport per tutti, fatto di agonismo sano, senza barriere, aperto e inclusivo. Lo spirito che ormai da venti anni sta alla base di questa giornata di Festa”.
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A.S.D. Judo Bagno a Ripoli: risultati internazionali di atleti master tra cui titolo mondiale cat. 53 kg femminile;
Paolo Lepri:vincitore della Ecomarathon Bagno a Ripoli edizione 2019;
Match Ball Firenze Country Club:titolo italiano a squadre over 50 maschile 2019;
A.S.D. Grassina:vittoria del Campionato e della Super Coppa di Eccellenza – stagione 2018/2019;
Circolo Scherma Polisportiva Attraverso:per i risultati conseguiti nella Scherma Paraolimpica Non Vedenti – 1° nel Ranking nazionale 2018;
Giorgia Catarzi:campionessa Mondiale U23 e campionessa Europea Juniores di ciclismo inseguimento a squadre – stagione 2019;
Leonardo Fabbri:argento ai Campionati Europei U23 e Campione Italiano assoluto nel Getto del Peso – stagione 2019;
Lapo Bianciardi:atleta nazionale dei 400 mt piani e vincitore del campionato toscano società 2018/2019;
Paola Biagioli:argento nella 4×200 e bronzo nella 4×100 stile libero alle Universiadi 2019 ed oro ai campionati italiani nei 100 stile libero;
Matilde Biagiotti:oro nei 100 rana, nella 4×100 mista e nella 4×100 stile libero alla Coppa COMEN Mediterranean Cup, campionessa italiana dei 100 rana cat. Ragazzi.
“Quest’anno – dice l’assessore Minelli – la Festa cambia ‘casa’. Il parco di Grassina è il luogo ideale per ospitare la manifestazione. Qui, ogni giorno, in tanti vengono ad allenarsi agli attrezzi e al percorso benessere. Sabato prossimo lo faremo tutti insieme, con un grande allenamento collettivo che riunirà centinaia di persone, adulti e bambini. Un ringraziamento a tutte le associazioni presenti, hanno risposto all’appello con grande energia e come sempre saranno loro il cuore pulsante della Festa”.
Grande successo di pubblico per la XX edizione della Festa dello Sport svolta Sabato 21 Settembre al Parco Urbano di Grassina VIDEO E FOTO QUI 👇👇👇 E’ un appuntamento tradizionale del comune ripolese, la Festa dello Sport come ogni hanno raccoglie in rassegna le migliori associazioni sportive del territorio e comuni limitrofi, da quest’anno in una nuova cornice, il…
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buonista · 5 years
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Classe disagiata
«Non mi è mai mancato nulla»: questa è la frase tipica di molti della mia generazione, e anche leggermente successiva, diciamo dei nati fino alla fine degli anni 80. Non ci è mancato nulla, con riferimento ovviamente ai beni materiali, e con questa frase esprimiamo la nostra appartenenza a una classe agiata. Peccato che poi, nell’arco di una generazione, questa classe agiata si sia rovesciata nel suo opposto: di ciò parla appunto il libro Teoria della classe disagiata, di Raffaele Alberto Ventura, pubblicato in rete nel 2015 e da Minimum Fax nel 2017.
Come è avvenuto un simile ribaltamento? Secondo l’autore, in effetti, la linea che separa l’agio dal disagio è molto sottile e si fa presto a passare dall’altra parte. Diventando grandi, la situazione globale è cambiata, la crisi economica è scoppiata, e abbiamo cominciato a rinunciare a quello che ormai davamo per acquisito: tranquillità economica, serenità lavorativa, possibilità di soddisfare la nostra voglia di superfluo.
Oggi non ci sentiamo più in grado di soddisfare i nostri bisogni, e questo genera frustrazione, rabbia, angoscia, paura.
Ma il concetto di bisogno non è assoluto, è relativo: dipende da come siamo abituati.
Ventura per spiegarlo introduce la storia di Controcorrente, un romanzo di Joris-Karl Huysmans del 1884. Parla del ricco duca Jean des Esseintes, che un giorno raccattò per strada un ragazzino povero di nome Auguste Langlois: lo portò con sé al bordello, offrendogli l’opportunità di spassarsela come non gli era mai capitato; e ogni 15 giorni ripeté l’operazione. Dopo tre mesi, il ragazzino si era talmente abituato a quell’esperienza godereccia che non avrebbe più potuto farne a meno. Il progetto del duca non era generoso, ma diabolico: una volta privato di questo piacere, il ragazzino sarebbe stato disposto a tutto, anche rubare e uccidere, pur di ritrovarlo: sarebbe diventato un mostro.
Insomma, conclude Ventura, «Per rendere infelice un uomo è sufficiente abituarlo a uno stile di vita che non può permettersi: l’infelicità aumenterà il suo risentimento nei confronti della società, incapace di garantire bisogni divenuti assolutamente necessari. E il risentimento fomenterà la rivolta».
Per capire i fenomeni economici, bisogna dunque usare un po' più di psicologia e un po' meno di economia: i comportamenti delle persone nel soddisfare i propri bisogni non sono sempre razionali, Ventura parla di una “gerarchia dei bisogni” che a volte viene rovesciata, inseguendo il superfluo per rinunciare all'indispensabile. Ed è la stessa cosa che tanti anni fa un mio amico siciliano mi aveva fatto notare a proposito dei suoi conterranei, che pur di farsi i cerchi in lega della macchina erano disposti a morire di fame.
Questo rapporto autolesionista nei confronti degli status symbol fu spiegato già nel 1899 da Thorstein Veblen, autore di quella Teoria della classe agiataalla quale il libro di Ventura esplicitamente si ispira. In esso ha definitol'effetto Veblen, riguardante quei beni la cui domanda non diminuisce con l'aumentare del prezzo – come sarebbe logico – ma al contrario, aumenta. E tante persone sono contente di pagare un prezzo più alto solo perché questo garantisce loro l'ingresso in un gruppo privilegiato, quello appunto di chi se lo può permettere. Insomma, paradossalmente “si compra il prezzo”, invece di comprare un oggetto. Ostentandolo poi, non si ostenterà l'oggetto, quanto il suo valore di scambio simbolico.
Secondo Ventura l'effetto Veblen si manifesta anche tra gli intellettuali, essendo in grandissima parte le loro attività nient'altro che uno status symbol appunto: non producono ricchezza, anzi, la disperdono, servono solo a testimoniare che chi pratica queste attività se le può permettere. Apparentemente fare corsi di biodanza, ritiri di meditazione, lauree in filosofia, scrittura creativa e traduzioni dal latino sono attività molto diverse dal comprare un orologio d'oro o un gadget della Ferrari; nella sostanza però, sembra dire l'autore, si tratta solo di due tipi diversi di consumo posizionale. Ovvero, di spreco.
C'è una serie infinita di citazioni che si potrebbero approfondire. Ventura cita il caso dei Rich Kids Of Instagram, cita l'entreprecariato di Silvio Lorusso, il Neoproletariatodi Tommaso Labranca e l'autorealizzazione di Abraham Maslow, cita le delusioni di Luciano Bianciardi degli anni 50 a proposito del “lavoro culturale”, cita un saggio di Baudrillard intitolato La genesi ideologica dei bisogni (1969), e gli scritti di Pierre Bordieu sulla cultura come “distinzione” e il “capitale simbolico”. E poi c'è Francesco Pacifico che nel suo romanzo Class sembra raccontare proprio cosa è e come vive la classe disagiata.
Una lunga e articolata intervista all’autore è comparsa nel settembre 2017 sul blog Bastonate.
Altri articoli interessanti sono stati scritti per il magazine del Sole 24 Ore, su minimaetmoralia.it, sul suo blog personale e sul tlog, che però non vengono più aggiornati da tempo. Ventura è anche direttore della collana di libri che ha pubblicato Datacrazia e Panarchia.
Adesso cambiamo argomento, e parliamo delle
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qdmnotizie-blog · 6 years
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Jesina  –  Avezzano    0-2
JESI, 18 novembre 2018 – Brutta Jesina e tre punti meritati per l’Avezzano.
Formazione leoncella ancora inedita rispetto alle precedenti con il trio d’attacco Trudo-Bubalo-Cameruccio e Ceccuzzi a dirigerev e dettare i ritmi a centrocampo. Subito buona velocità nelle giocate e al 9′ un calcio da fermo di Cecuzzi indirizzato alla sinistra di Fanti viene respinto dal portiere nell’occasione attento. Gioco prevalentemente sviluppato a centrocampo. Al 19′ punizione di Dos Santos deviato dalla barriera ma David non si fa sorprendere. Al 22′ azione di contropiede degli ospiti con Pellecchia che crossa per la testa di Dos Santos la cui concluasione è fuori misura. Al 24′ Ceccuzzi prova dalla distanza, alto. Al 31′ Cerone su punizione obbliga David alla deviazione in angolo. Al 33′ ancora Avezzano pericoloso con D’Eramo il cui tiro viene deviato in angolo. L’Avezzano costruisce bene e preme, la Jesina si difende. SDul finire della prima frazione di gioco Magnanelli si crea un tiro tuttavia impreciso.
All’inizio di ripresa Fracassini commette una somaraggine colossale trattenendo per la maglia D’Eramo nel vertice alto dell’area di rigore. Palla sul dischetto la decisione sacrosanta dell’arbitro che ammonisce pure il giocatore leoncello.  Cerone non sbaglia: 0-1. Ciampelli corre ai ripari con tre sostituzioni ma la squadra stenta a prendere in mano la partita. A
l 28′ Dos Santos fallisce il raddoppio tutto solo in contropiede: davanti a David tira fuori.
La Jesina preme . Al 33′ gran tiro di Parasecoli, Fanti non trattiene, Pierandrei arriva sbilanciato sul pallone e non  conclude. Al 37′ palo di Cerone con tiro da fuori area, David incerto.
Al 42′ gran gol di Cerone. Azione corale dell’Avezzano sulla sinistra e palla al capitano che dal limite lascia partite un missile terra incrocio dei pali.
Al 48′ Ricci tira bene Fanti devia in angolo.
  JESINA – David, Fracassini (12′ st Zannini), Martedì, Riccio, Capone, Ceccuzzi (27′ st Parasecoli), Trudo, Yabrè (12′ st Koaudio), Bubalo, Magnanelli (14′ st Pierandrei), Cameruccio (20′ st Ricci). All. Ciampelli
AVEZZANO – Fanti, Besana, Kras, Conti (38′ st Di Paolo), Di Gianfelice, Sbardella, D’Eramo, Bianciardi, Dos Santos, Cerone, Pellecchia. All. Giampaolo
ARBITRO – Crezzini di Siena
RETI – 5′ st e 42′ st Cerone
NOTE – spettatori: 800 circa; ammoniti: Fracassini, Conti, Bianciardi; angoli: 5-5
    13° GIORNATA:   Campobasso-Giulianova 0-0, Forlì-Francavilla 0-0, Isernia-Castelfidardo 0-0, Jesina-Avezzano 0-0, Pineto-Cesena 0-0, Recanatese-Sammaurese 0-0, Sangiustese-S.N.Notaresco 0-0, Santarcangelo-Matelica 0-0, Savignanese-Agnonese 0-0, Vastese-Montegiorgio 0-0
CLASSIFICA Matelica 30; Cesena 28; S.N.Notaresco 25; Sangiustese 23; Recanatese 20; Francavilla 19; Savignanese 18; Sammaurese, Santarcangelo 17; Pineto 16; Giulianova 14; Montegiorgio 13; Vastese, Isernia, Jesina 11; Forlì 10; Campobasso 9; Agnonese, Castelfidardo, Avezzano 8.
PROSSIMO TURNO (domenica 25 novembre ore 14,30) – Avezzano-Recanatese, Castelfidardo-Savignanese, Francavilla-Sangiustese, Matelica-Forlì, Montegiorgio-Pineto, Agnonese-Jesina, Cesena-Campobasso, Giulianova-Isernia, S.N.Notaresco-Vastese, Sammaurese-Santarcangelo
Evasio Santoni
(in aggiornamento)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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JESINA CALCIO / LEONCELLI MAI IN PARTITA, VINCE CON MERITO L’AVEZZANO Jesina  -  Avezzano    0-2 JESI, 18 novembre 2018 - Brutta Jesina e tre punti meritati per l'Avezzano.
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neurogenpapers · 7 years
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Combined ultrasound and exome sequencing approach recognizes Opitz G/BBB syndrome in two malformed fetuses.
PubMed: Related Articles Combined ultrasound and exome sequencing approach recognizes Opitz G/BBB syndrome in two malformed fetuses. Clin Dysmorphol. 2017 Jan;26(1):18-25 Authors: Pinto AM, Imperatore V, Bianciardi L, Baldassarri M, Galluzzi P, Furini S, Centini G, Renieri A, Mari F Abstract Orofacial clefts are the most common congenital craniofacial anomalies and can occur as an isolated defect or be associated with other anomalies such as posterior fossa anomalies as a part of several genetic syndromes. We report two consecutive voluntary pregnancy interruptions in a nonconsanguineous couple following the fetal ultrasound finding of cleft lip and palate and posterior fossa anomalies confirmed by means of post-termination examination on the second fetus. The quantitative fluorescent PCR, the karyotype, and the comparative genomic hybridization-array analysis after amniocentesis were normal. Exome sequencing on abortive material from both fetuses detected a missense mutation in MID1, resulting in a clinical diagnosis of Opitz G/BBB syndrome. The same mutation was found in the mother and in her brother, who both revealed cerebellar anomalies at an MRI examination. Our study supports the efficacy of exome sequencing in the presence of both a family history suggestive of an inherited disorder and well-documented ultrasound findings. It reveals the importance of a synergistic effort between gynecologists and geneticists aimed at the integration of the most sophisticated ultrasound techniques with the next-generation sequencing tools to provide a definite diagnosis essential to orient the final decision and to estimate a proper recurrence risk. PMID: 27749392 [PubMed - indexed for MEDLINE] http://dlvr.it/NK63Wc
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libriaco · 2 years
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Una storia di Nonni, di Maremma e di Lucchesia
" A (Travale?) c'era un prete - raccontava mio nonno - che sapeva parlare proprio bene. Ti c’incantava. E le vecchie, in chiesa, l’ascoltavano a bocc’aperta. Dice che una sera, di venerdì santo, s'era accalorato così tanto nel raccontare delle sofferenze e della morte di Gesù Cristo, che tutte le donnine che erano in chiesa s’erano messe a piange’. Dice che quando se n'accorse, non sapendo come farle smette’ gli disse 'Oh, donne, via, che piangete a fa’: so’ cose tanto vecchie e poi non so’ mica vere!' " Mio nonno, da vecchio socialista, ci si divertiva a raccontarla, e "Fai come il prete di (Travale?)" era diventato un modo di dire. Immaginate il mio stupore nel leggere, in una raccolta di articoli giornalistici di Luciano Bianciardi, “Chiese escatollo e nessuno raddoppiò”, la stessa storiella (pubblicata per la prima volta sull'Unità nel 1956). [E che fosse ne “Il lavoro culturale” me ne ero proprio dimenticato e l’ho ritrovata adesso.] Escludendo categoricamente che mio nonno l’avesse letta sul quotidiano comunista (ha comprato e letto l'Avanti! tutti i giorni della sua vita, anche la domenica in cui è morto, a 86 anni), o era una storia vera (improbabilissimo!) o la storiella circolava in quegli anni in Maremma e gli immancabili mangiapreti si divertivano a diffonderla. Dieci anni fa, per puro caso, ho chiarito l'arcano: ho trovato la fonte del raccontino: uno pressoché identico era stato pubblicato ne “I cento racconti popolari lucchesi” da Idelfonso Nieri, nel 1891-94, ed è la novella numero LXXXIV: "Son cose tanto antiche!". Evidentemente era lì che l’avevano letta sia mio nonno che, decenni dopo, anche Bianciardi il quale, nel suo rifacimento, ne ha trasportato l’ambientazione a Travale, sulle Colline Metallifere grossetane.
Dedicato @dorettaus, che parla QUI di Bianciardi e pubblica le foto di alcuni dei suoi libri, tra i quali quello che mi ha fatto tornare in mente tutta la storia.
Di Idelfonso Nieri dicevo ieri sera, QUI.
L. Bianciardi, Il lavoro culturale [1957], Milano, Feltrinelli, 1974
L. Bianciardi, Chiese escatollo e nessuno raddoppiò, Milano, Baldini & Castoldi, 1995.
I. Nieri, Cento racconti popolari lucchesi [1891-1894], Livorno, Raffaello Giusti Ed., 1908.
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libriaco · 6 months
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4 dicembre, Santa Barbara
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«Guardi, diceva un minatore muovendo in giro la mano tesa, tutto quello che lei vede è della Montecatini. Non si può sbagliare.» La Montecatini, qua a Niccioleta, possiede le case, le strade, gli spacci aziendali, i mezzi di trasporto, le sedi dei partiti politici, il terreno circostante. Della Montecatini sono i grossi casamenti gialli, sparsi in disordine per le pendici di questi colli scabri, collegati appena da un sentiero scosceso, con larghi improvvisi sterrati nudi; il palazzotto del dopolavoro, una costruzione pseudo - razionale, di taglio littorio, stile 900, come si diceva nel ventennio; e la chiesa, un altro scatolone con una specie di pronao rettangolare, che fa pensare ad una palestra di boxe. Son della Montecatini le grigie e scialbe casette degli impiegati, e la mediocre villa della contadina, ed i più vecchi amano ancora, dopo la miniera, coltivare un pezzetto di terra, per cavarne ortaggi, od allevarvi un coniglio, un paio di galline. Molti operai non abitano qui, ma nei villaggi vicini, a Prata, a Monterotondo, o vengono addirittura da Massa Marittima: tutti su automezzi della Montecatini; prima della guerra venivano in bicicletta, e non pochi a piedi, dieci chilometri di strada e dopo il lavoro.
L. Bianciardi, La lambretta dei minatori [1954]. Online QUI.
Immagine: Il pranzo del minatore, miniera di Niccioleta (GR), primi anni '70. Nel 'caldaino', conservato nella 'panierina', il primo e il secondo. E nella 'panierina' anche il vino, il pane, il sale, le posate… I topi, dove c'erano, riuscivano a penetrare nelle panierine (di cartone pressato) e allora se ne doveva usare una di lamiera zincata.
La foto, ovviamente 'in posa', da QUI.
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