Tumgik
#te nel deserto
anemonaee · 1 year
Text
La morte è sempre in cammino, ma il fatto che non sai quando arriverà sembra togliere importanza al fatto che la vita è limitata. E' proprio quella terribile inesorabilità che noi tanto detestiamo. Ma poiché non sappiamo, finiamo per pensare alla vita come a un pozzo inesauribile. Eppure ogni cosa accade soltanto un certo numero di volte, e un ben piccolo numero, in effetti. Quante altre volte ricorderai un certo pomeriggio della tua infanzia, qualche pomeriggio che sia così profondamente parte del tuo essere per cui tu non possa nemmeno concepire la tua vita senza quelle ore? Forse altre quattro o cinque volte. Forse nemmeno. Quante altre volte guarderai sorgere la luna piena? Forse venti. E tuttavia tutto sembra senza limiti.
Paul Bowles
2 notes · View notes
perpassareiltempo · 4 months
Text
Quel giorno ci fu un tramonto così insolitamente prolungato, nel cielo rosso erano nere le case e il nostro giardino deserto. (…) E quella sera me ne andai, pensavo al nostro destino, pensavo al mio amore, di nuovo – a me e a te.
Nina Nikolaevna Berberova
33 notes · View notes
alesario · 5 months
Text
Tumblr media
Te' nel deserto
foto Mimmo Cattarinich
31 notes · View notes
dolce-fiore · 11 months
Text
⠀ 𝑆𝑜𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑒𝑠𝑡𝑎𝑡𝑒 ⠀ ⠀ 𝑬𝒍𝒐𝒊𝒔𝒆 𝐻𝑎𝑟𝑐𝑜𝑢𝑟𝑡
Tumblr media
﹙ … ﹚daughter of Elena and Francesco de Genova who own ❛ 𝐹𝑖𝑜𝑟𝑒 ❜ a three star restaurant in Syrakus. Currently living in New York as absolutely happy wifey to 𝐽𝑜𝑣𝑎𝑛 𝐻𝑎𝑟𝑐𝑜𝑢𝑟𝑡 with whom she is welcoming her first child next year.
⠀♔ ⠀ ⠀𝑎𝑏𝑜𝑢𝑡 ⠀ ⠀ ♔ ⠀ ⠀𝑚𝑎𝑟𝑖𝑡𝑜 ⠀ ⠀ ♔ ⠀ ⠀𝑝𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑡
„ Vivo dentro il tuo respiro. Seguo il tuo cammino. Fuori nel deserto tu accanto a me. Credo nell'amore, onde di passione. Io e te per sempre. “
72 notes · View notes
musicaintesta · 8 months
Text
Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere. Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento, tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni. Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più; l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte. Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
Pierpaolo Pasolini
Tumblr media
32 notes · View notes
yomersapiens · 2 months
Note
Vorrei farti delle domande citando un grande poeta e/o pensatore dei nostri giorni: Come stai? Che hai fatto oggi? Che t'è stai a vedè ultimamente?
Stavo passando la serata a giocare online con i miei amici da diverse parti del pianeta come ogni lunedì, BG3 è davvero molto bello se giocato insieme a persone di cui ti fidi ma ahimè sti due si sono messi a litigare e hanno interrotto la partita e io mi sono ritrovato ad avere il lunedì sera libero, cosa che non capita mai. Così mi sono detto che ok, posso rispondere a qualche domanda senza sentirmi in colpa per non avere nulla da dire. (Poi mi dici chi è sto poeta che citi).
Sto in una fase di eterna attesa e l'ho scritto proprio qualche giorno fa e mi sembra che niente abbia voglia di iniziare. Ho pure scritto delle mail per chiedere almeno a chi ha ricevuto delle mie proposte di battere un colpo ma niente, letargo. Diresti che c'è ancora qualcuno che dorme nonostante le temperature siano quasi vicine ai venti gradi? Almeno qua a Vienna, non so dalle tue parti. Sai una cosa, ho sempre paura che i miei desideri poi si avverino. Che ci sia qualcuno lassù in alto in ascolto e che, estenuato dal mio ripetere ogni inverno "che vita di merda qua a Vienna fa sempre freddo è sempre grigio non smette mai di fare schifo il tempo" abbia deciso di punirmi esaudendo il mio desiderio di cambiamento. Ecco perché fa caldo ma io non riesco a godermela perché penso al collasso climatico.
Oggi andare in bici è stato bello. Allo psicologo ho spiegato che da noi, in italiano, paziente e pazienza hanno la stessa origine e per noi è ovvio pensare che un paziente debba avere pazienza ma che per loro, per sti poveracci di austriaci, non è così immediato. Loro per dire pazienza dicono Geduld e per dire paziente dicono Patient, ok dicono anche Geduldig per dire quando uno è paziente ma non nel senso di paziente paziente, nel senso di paziente paziente, capito? Ecco. Nemmeno io. Tantomeno il mio psicologo che oramai secondo me annuisce e aspetta lo Stato gli versi i soldi che io non ho. Ho parlato un sacco in tedesco oggi. Forse troppo. Ho parlato pure in inglese ma poi mescolavo le parole. Sono stato a fare da traduttore per degli amici che hanno un'azienda che fa miele. Andiamo in questo hotel a quattro stelle, aspettiamo nella lobby e tutto sembrava finto. C'erano un sacco di oggetti da hotel di quelli che vedi ovunque, anche le persone che entravano e andavano verso le loro stanze erano persone standard che vedi ovunque. Poi arriva il nostro interessato e dopo essersi presentato sbatte sul tavolo il portafoglio dal quale escono almeno una ventina di banconote da cento euro più altre valute che non conosco, penso dollari perché avevano le cifre scritte con caratteri orrendi. Puzzava l'alito a tutti ma io dovevo ascoltare e tradurre e fare da intermediario mentre cercavo pure di capire se sto tizio pieno di soldi fosse una persona affidabile o meno. Quanto dolore provo quando sento odori fastidiosi. Dopo quasi due ore finalmente ce ne andiamo, raccogliamo i barattoli di campioni omaggio e prima di salutare mi dice che adesso vende una delle sue case perché ne compra una sulla palma a Dubai. Io gli dico che bello, una casa su un albero. Lui mi fa no no hai presente quel posto da ricchi che c'è a Dubai che ha la forma di una palma e ci sono le case vicino all'acqua nel deserto ecc ecc e io lo fermo e gli dico guarda, beato te che ti puoi permettere di fare sti acquisti e spero pure che ti diano gioia, a me piace spendere massimo 2€ su vinted per comprare una carta pokémon dall'illustrazione caruccia. Io la gente con i soldi non la capisco. O con i soldi apparenti, chissà se non era una montatura per ottenere del miele gratis. Cioè io lo farei ma perché assomiglio sempre di più a Winnie the Pooh come mi dice sempre Pimpi. Ora per rilassarmi stavo cercando altre carte nuove dove investire una manciata di euro, per quei quindici secondi di felicità che mi donano quando le guardo al sole e ne ammiro i riflessi.
Poi andiamo avanti, cosa sto guardando. Blue Eye Samurai su Netflix mi ha preso molto, inaspettatamente. Sharp Objects anche, HBO, fatta molto molto bene. Me l'ero persa qualche anno fa e sto recuperando. L'ultima stagione di Curb your Enthusiasm perché poi Larry David ha deciso di smettere e sono parecchio triste dato che lui è il mio animale guida, tutta la mia vita attuale è una mera scopiazzatura del personaggio creato da lui. Infine, lo aggiungo io, sto leggendo Dune. Ci sto riuscendo. Sono molto orgoglioso perché l'ho sempre ritenuta una grande mancanza, soprattutto di voglia, non essere riuscito a portare a termine la lettura perché annoiato dall'ampollosità di Herbert e invece toh, sarà che sono un vecchio rompicoglioni, ma mi sta piacendo. Forse pure perché mi immagino quel bono di Chamalamet (non voglio googlare come si scrivere il suo nome correttamente la mia è una scelta politica) e allora scende giù più saporita. So di stare tradendo il Dune di Lynch ma pure lui dice non c'aveva capito un cazzo mentre lo girava e in effetti dai era palese.
13 notes · View notes
susieporta · 8 months
Text
Mi sono sbagliata su molte cose e il momento in cui è successo è stato la mia salvezza.
I miei errori mi hanno salvata.
Ogni volta che ho commesso uno sbaglio di valutazione o un errore di fiducia, ho dato spazio al Distruttore di agire.
Freud lo chiamava Istinto di Morte.
Io lo chiamo il Distruttore.
Il Distruttore è uno degli archetipi più potenti, perché permette di cambiare: è la parte interna con cui mettiamo fine alle cose che non vanno più bene per noi.
Se non sai attivare il Distruttore in modo funzionale, succede che rimani a consumarti in una situazione che ti logora.
Il Distruttore esiste e se ne frega del pensiero positivo, de “la vita è bella”, dell’ “amore per sempre” e dell’ottimismo ad ogni costo.
Il Distruttore produce le guerre e tutti quegli eventi scellerati più o meno tragici causati dall’uomo di ogni tempo o storia.
Ma più in fondo, il Distruttore sta dentro ciascuno di noi, che ci piaccia o no.
Io ho un Distruttore dentro e ce l’hai anche tu.
Bisogna onorarlo e saperci fare con Lui.
Perché il Distruttore agisce e il suo lavoro è distruggere.
Se lavora bene, fa marcire il seme per permettere al germoglio di nascere, rompe i legami con i nostri genitori e con le persone che per un tempo ci fanno da guida, ma poi “anche basta”, quando è tempo di prendere il volo.
Il Distruttore è il garante della nostra possibilità di separarci, di diventare cioè emotivamente indipendenti.
Le separazioni del Distruttore, quando lo facciamo lavorare bene, non causano danni eccessivi: di solito si tratta di un dolore momentaneo finalizzato ad una trasformazione.
Se non lo usiamo bene, invece, il Distruttore può essere davvero dannoso, come d’altronde ogni cosa: pure l’amore diventa dannoso quando non è governato da un atteggiamento sano.
L’amore è insano quando diventa manipolazione, possesso, controllo.
Il Distruttore è insano quando agisce non per trasformare, ma per eliminare.
E non importa che lo faccia dentro di te o fuori.
Il risultato è un deserto in cui scarseggiano acqua e cibo e di deserto… si muore.
Lo puoi agire abusando di tv, sostanze, social, sport, cibo, pensieri negativi, emozioni come odio, invidia, rancore.
Lo puoi agire abusando delle relazioni, permettendo a qualcun altro di distruggerti o trasformandoti nel manipolatore di turno.
Insomma, non importa come lo fai.
Se non impari a governare questa parte così potente di te, finisce che a finire sei tu.
Se impari ad usarla, se impari a mettere distanza da te, a distinguere, a separare, allora inizierai a fiorire.
Io prendo sempre esempio da Cenerentola e Psiche, due che di separazioni e Distruttori se ne intendono: entrambe nelle loro storie superano la prova di dover separare mucchi enormi di lenticchie e semi per tipologia, una prova impossibile a prima vista, proprio come quando ci troviamo ingarbugliati in mezzo a mille pensieri e il cuore batte e ti chiedi se ce la farai da sola e compili liste infinite di buoni motivi per andartene, ma anche per restare.
Cenerentola e Psiche riescono a separare le lenticchie l’una e i semi l’altra e devono farlo prima, come la prima di altre prove, per poter arrivare a costruire il loro amore sano.
Se non impari a distinguere il vero dal falso, quello che è tuo da ciò che non lo è, le tue scelte da quelle altrui, i tuoi valori da quelli degli altri, non puoi maturare e costruire relazioni sane.
Ti auguro di separare i tuoi semi ogni giorno.
Di fare del Distruttore il tuo alleato.
Di sederti la paura accanto e andare verso gli altri senza tralasciare mai nessuna parte di te.
Meriti di restare intero, intera."
Manuela Toto
Trovi il mio libro SOTTO LE SCALE: PAROLE PER LiINDIPENDENZA EMOTIVA
a questo link
https://amzn.eu/d/3CXU9Ek
17 notes · View notes
scorcidipoesia · 5 months
Text
Fa freddo in questa zona del paese
dove non c’è il tuo corpo e c’è bisogno
del calore del tuo corpo e non mi sento
addolorato o pentito o triste ma
soltanto solo.
Sto seduto come un invalido nel deserto del mio
desiderio di te.
Mi sono abituato a bere la notte lentamente, perché so che la abiti, non importa dove, popolandola di sogni.
Il vento della notte abbatte stelle tremanti fra le mie mani, che ancora non si adattano, vedove inconsolabili della tua chioma.
Nel mio cuore si agitano gli uccellini che in lui hai seminato e a volte gli darei la libertà che esigono per ritornare a te con il gelido filo del coltello.
Ma non può essere. Perché sei tanto in me, tanto viva in me, che se morissi io, ti morirei.
Juan Gelman
Tumblr media
8 notes · View notes
swingtoscano · 5 months
Text
Vorrei che tu venissi da me una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d’essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!” Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E’ inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
7 notes · View notes
anocturnalanimal · 11 months
Text
«Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie. Per quanto mi ricordassi, avevo sempre cercato di non esistere. Tu hai dovuto lavorare per anni per farmi accettare la mia esistenza. La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest'uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri [...]. Ciascuno di noi vorrebbe non sopravvivere alla morte dell’altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme».
“Lettera a D. Storia di un amore”, opera di André Gorz 
Gorz scrisse queste pagine nel 2006. Il 22 settembre 2007, lui e la moglie si sono suicidati assieme. Lei era malata di tumore. Il libro si apre e si chiude con lo stesso periodo: "Hai appena compiuto ottantadue anni. Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Recentemente mi sono innamorato di te un'altra volta e porto di nuovo in me un vuoto divorante che solo il tuo corpo stretto contro il mio riempie... Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme". Otto righe di perfezione, amore e dolore assoluti.
Tumblr media
20 notes · View notes
etwlemons · 5 months
Text
La mia scena preferita di il buono, il brutto e il cattivo è quando Tuco dice al biondo, "hey bella bionda beato chi te sfonda" e poi biondo lo abbandona nel deserto per la seconda volta<3
7 notes · View notes
perpassareiltempo · 17 days
Text
Quel giorno ci fu un tramonto così insolitamente prolungato, nel cielo rosso erano nere le case e il nostro giardino deserto. (...) E quella sera me ne andai, pensavo al nostro destino, pensavo al mio amore, di nuovo – a me e a te.
Nina Nikolaevna Berberova  
18 notes · View notes
la-scigghiu · 7 months
Text
Tumblr media
E nel deserto, nella notte. Ho bevuto te. Hai bevuto me. E nel deserto, nel mattino. La tua lingua, la mia lingua; ancora avide, fortunatamente aride.
.🦋.
🔸Gianluca Nadalini
19 notes · View notes
occhietti · 2 years
Text
Tumblr media
Vinci quando non te ne importa niente, ma fai caso a tutto.
Vinci quando la cattiveria della gente non ti tocca più, quando ascolti le bugie, e sai bene che son bugie, ma ti limiti a sorridere e ad annuire.
Vinci quando sai quante cose si son detti alle spalle, quante sfuriate e parolacce hai ascoltato, ma li vedi a braccetto, a passeggio, uno più finto dell'altro, coi sorrisi stampati sul volto da cui traspare solo apparenza, solo facciata.
Vinci quando vai contro tutto e tutti pur di non calpestare quel che senti e ciò che provi.
Vinci quando fuori piove ma dentro hai un sole che ricorda l'afa del deserto.
Vinci quando nel cuore conti poche persone ma sai che sono quelle giuste.
Vinci quando in mezzo all'ipocrisia e ai bugiardi, hai ancora voglia di saltare, di ballare, consapevole di essere diverso. Non migliore. Che nessuno è migliore di nessuno. Diversi però sì.
Vinci quando capisci che, forse, se ti fossi venduto anche tu, avresti avuto una vita più semplice; ma sei ancora in piedi, sei ancora qui, ce la stai facendo e non hai mai perso te stesso.
web
Vinco quando...
E mantenendo la mia dignità indosso la mia corona...
@occhietti 🌻
80 notes · View notes
disumanita · 9 months
Text
Tumblr media
Ieri abbiamo giocato a Dixit e queste erano le carte che sono state scelte per il tema “Vanessa”.
1: “perché ti ho immaginata giovane come la ragazza a sinistra ma con la mente di una saggia come l’anziano al centro”
La 2 è quella che ho scelto io, perché non ne avevo di migliori e quei catenacci mi sapevano di qualcosa di chiuso e riservato, quindi mi si addiceva.
3: “è come se servissero delle chiavi per aprire tutte le porte di cui sei composta, lo sfondo blu mi sa di mistero ed è quello da cui sei attorniata”
4: “perché è il tuo avatar nel gioco”
5: “ho scelto il deserto perché sei introversa e palesi poche cose di te, però al centro sono radicate tantissime ricchezze da scoprire”
6: “perché sei come una torre da scalare in cui più vai in fondo e più si scorge una tua nuova sfaccettatura”
7: “perché sei competitiva e vincitrice, ma il trofeo ha le ali perché sta per passare dalle tue alle mie mani” (parla di un gioco in cui siamo coinvolti)
8: “ho scelto questa perché mi sa molto di zen, dato che sei molto tranquilla e riesci a trasmetterlo agli altri”
10 notes · View notes
intotheclash · 4 months
Text
Capitolo 2 (seconda parte)
Mia madre, al contrario, non si stava divertendo affatto. Non aggiunse nulla, ma capii che non vedeva l’ora di restare da sola con suo marito per l’inevitabile resa dei conti. Sfruttai la situazione e mi sbrigai ancora di più. Trangugiai la minestra a palate, con quattro rabbiosi morsi distrussi anche la fettina alla pizzaiola e sprofondai giù per le scale salutando mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Scesi gli scalini due alla volta, andai in garage, montai in groppa al mio fido destriero, una femmina per la verità, un’Atala 24 giallo oro, con cambio a tre marce e raggiunsi i miei compagni.
“Alla buon’ora, Pietro! Stavamo per rassegnarci ad andare da soli!” Disse Sergetto non appena mi vide.
“Che casino hai combinato su in casa? Oltre alle urla, mi sembra di aver udito il rumore della tua zucca vuota che sbatteva contro qualcosa di duro!” Fece eco Tonino con tono di scherno.
“Andate a fare in culo tutti e due!” Li insultai. Però a voce bassissima, mica ero scemo del tutto!
“Pietruccio! Non devi dire le parolacce, altrimenti Gesù bambino piange!” Mi canzonò Tonino.
“Potresti ritrovarti all’inferno con tutte le scarpe, o potrebbe sentirti tuo padre, che è ancora peggio! Almeno all’inferno non ti mena nessuno!” Aggiunse Sergetto ridendo.
Mostrai loro il mio piccolo dito medio alzato e schizzai via a rotta di collo, pigiando forte sui pedali. Tagliammo a fette le strette vie del paese, rigorosamente contromano, tanto a quell’ora, di domenica e d’estate, il Deserto dei Tartari era sicuramente più affollato. Percorremmo a tutta birra sia le discese che le salite; ma non i tratti in piano, per il semplice motivo che non c’erano. Un cazzo di paese abbarbicato su uno sperone di tufo senza un metro di strada piana; c’era da farsi il culo sulle biciclette, mica scherzi!
Due minuti dopo eravamo sul luogo dell’appuntamento: Sotto Porta, appunto, che poi altro non era che l’unica porta di accesso e di fuga del nostro borgo. Il resto della banda era già li ad attenderci. Ma a ben guardare i conti non tornavano: tre persone e soltanto due biciclette. Decisamente non tornavano!
“Ciao raga'!” Li salutai.
“Ciao Pietro!” Risposero in coro.
“Be’? Che succede? Chi è rimasto senza cavallo?” Chiesi.
“Io!” Rispose timidamente Giovanni, detto Bomba, perché assomigliava sputato alle bombe degli aerei della seconda guerra mondiale: testa piccola, quasi sprovvisto di orecchie, spalle strette e leggermente cadenti, poi pian piano si allargava, fino all’enorme pancione, dove la circonferenza diventava davvero esagerata; scendendo andava di nuovo restringendosi e si arrivava a due piedi anch’essi enormi e piatti, quasi sempre aperti a centottanta gradi. La fotografia di una bomba appunto.
“Ma che sei deficiente? Dobbiamo fare quattro chilometri per arrivare al fiume e tu ti presenti senza la bici?” Lo rimproverò Tonino che era sempre pronto all’incazzatura.
“Non ho potuto prenderla! Mica l’ho detto a mia madre che andavamo al fiume, se no col cavolo che mi ci mandava! Dice sempre che è pericoloso e che ogni anno ci affoga qualcuno.” Si difese Bomba.
“Amore di mamma, allora era meglio se rimanevi a casa; tanto stai pure appiedato!” Lo canzonai.
“Tua madre deve essere una sparapalle come te, Bomba! Ecco da chi hai preso! Ma ti pare che se era vero non lo dicevano al telegiornale?” Obiettò Sergetto; anche se non troppo convinto. Lui era un pauroso per natura e quel discorso non è che gli andasse troppo a genio.
“Mia madre non è una sparapalle, stronzo!” Protestò Bomba: “E neanche io lo sono! E a quelli del telegiornale sai che gliene frega di qualche morto affogato nel Tevere. Con tutti quei casini che ci sono in giro!”
“Sparapalle! Sparapalle! Sparapalle!” Gli urlammo in coro.
“Te e tua madre!” Aggiunse ancora Sergetto.
“Adesso mi fate incazzare sul serio!” Urlò Bomba facendosi tutto rosso in viso.
Era il momento di darci un taglio, il fiume non poteva aspettarci in eterno, o forse si, eravamo noi a non avere abbastanza tempo. Poi avevamo un problema da risolvere in fretta: sei persone e cinque biciclette; fosse stato il contrario sarebbe stato tutto molto più facile.
“Basta! Smettetela! “ Dissi, “Diamoci una mossa, se no facciamo notte. Ma te, Bomba, come pensi di fare?”
Lui non dovette pensarci neanche un secondo.”Salgo dietro uno di voi!” Rispose tutto felice.
Lui sarà stato pure felice, ma noi col cazzo che lo eravamo. Pesava ottanta chili buoni e scorrazzarlo sulla bici somigliava a una punizione divina.
“Te lo scordi!” Fecero in coro tutti gli altri.
Io non dissi nulla, stavo valutando la situazione. Non mi andava di lasciarlo a casa. Certo non volevo neanche essere io a trasportarlo, ma era simpatico ed era un buon amico. No, non volevo proprio abbandonarlo, dovevo trovare in fretta una soluzione.
Alla fine l’illuminazione arrivò, non un granché, ma ci si poteva stare.
“lo portiamo un po’ per uno. A turno!” Dissi, felice per l’idea che avevo avuto.
“Tu hai svinato!” Disse Schizzo impaurito,”Lui pesa tre volte me, mi dici come cazzo posso farcela?”
Era vero, Schizzo era un fringuello spennato. Faceva si e no una trentina di chili, dai quali andavano sottratti un paio di chili per gli occhiali: due culi di bottiglia tenuti insieme da una montatura di ferro battuto e altri cinque chili di naso. Una proboscide spaventosa, imbarazzante persino per un elefante. Noi lo prendevamo spesso per il culo, per via di quell’attrezzo smisurato, ma lui niente, imperturbabile come una roccia.
“Occhéi,” Dissi,”Schizzo è fuori. Il passaggio glielo diamo noi quattro, come i quattro dell’Ave Maria!”
“Ave Maria tua sorella, Pietro! Questo bisonte te le fa dire le Ave Marie, se te lo devi tirare dietro!” Rispose Tonino preoccupato. Ma, in fondo, non più di tanto.
“Allora facciamo così, ma non voglio sentirvi più, perché o portiamo anche Bomba, oppure non vengo neanche io. Il viaggio di andata me lo faccio io, da solo, tutti e quattro i chilometri, tutti di un fiato. Al ritorno non mi rompete i ciglioni e fate a turno voi tre! Poco più di un chilometro a testa. Che sarà mai!” Era la mia ultima offerta, prendere o lasciare.
“Certo, che sarà mai! Tutt’al più ci viene l’ernia! E che sarà mai!” Rispose Andrea, detto il Tasso, l’ultimo della banda; quello che si lavava soltanto quando si andava al fiume.
Li guardai fisso in viso tutti e tre e tutti e tre annuirono. L’accordo era stato raggiunto. Si poteva partire.
5 notes · View notes