Mezz'ora dopo bussammo alla porta di casa del mio amico Pietro. Il vecchio si era lamentato per tutto il viaggio. Ma che cazzo di strada, che cazzo di posto, che cazzo di buio, non c'era una cosa che gli andasse bene. E giù una sfilza di cazzi che, se li avessi detti io, avrei preso sberle fino ai venti anni. Non vedevo l'ora di diventare maggiorenne per poter dire quello che volevo senza problemi.
Ci venne ad aprire il fratello di Pietro, che, appena ci vide, sfoderò un sorriso sfavillante. "Ciao giovanotto, che piacere rivederti!" Disse. E sembrava davvero che fosse felice. "Ciao, Antonio." Risposi. E basta. Senza sorridere e con troppo distacco. Iniziavo a comprendere la gravità della situazione. Lui sembrò non accorgersene, o fece finta, mi arruffò i capelli e rivolse la sua attenzione al mio vecchio: "Buonasera, con chi ho il piacere di parlare?" Mio padre ci mise un po' a rispondere, rimase lì a fissarlo con la bocca leggermente aperta. non si aspettava che dietro il primo portone, ce ne fosse un altro, altrettanto imponente e massiccio. Antonio era un vero gigante. "Piacere di conoscerti, Antonio. Io sono il papà di questo fringuello e mi chiamo Alfredo." E gli porse timidamente la mano, credo avesse paura di riaverla indietro mezza stritolata. Antonio gli strinse la mano con vigore contenuto, chissà se fosse possibile uccidere un uomo soltanto stringendogli la mano. "Prego, entrate pure, abbiamo appena finito di cenare ed il caffè è sul fuoco. Potete farci compagnia, se volete." E disse tutto senza mai smettere di sorridere. Entrammo in cucina e la bocca di mio padre si allargò a dismisura. "Caspita!" borbottò sottovoce, "E' enorme! Qua dentro c'entra tutta casa nostra. E, se lo parcheggio bene, anche il mio camion."
Il papà di Pietro, non appena ci vide, ci venne incontro, anche lui sorridente, come se fossimo amici di vecchia data, o, meglio, dei parenti stretti. Anche sua moglie sembrava felice dell'inattesa visita. Insomma, erano tutti felici; manco fosse stata la vigilia di Natale. Io però non sorridevo affatto. E di felicità neanche l'ombra. Ero triste. Triste dentro. E traditore. Incrociai lo sguardo del mio amico, sembrava scrutarmi come volesse leggermi l'anima. Ma credo fosse soltanto la mia impressione di traditore, anche perché ero convinto che lui sapesse sempre ogni cosa in anticipo. Era serio e distaccato, niente affatto preoccupato, chissà come cazzo faceva. Cercai di scusarmi, di fargli capire con gli occhi che non volevo fare la spia. Che ero stato costretto a farlo, per il mio e per il suo bene. non so se ci riuscii.
"Benvenuto. Prego, si sieda, mia moglie le verserà subito una tazza di caffè appena fatto. Poi, se gradisce, sarò io ad offrirle un bicchierino, magari anche due, di grappa fatta in casa." Disse l'altro papà al mio.
"In vita mia, mai che mi sia capitato di rifiutare un bicchierino di grappa, figurarsi se ho intenzione di dire no a quella fatta in casa." Rispose il vecchio, perfettamente a proprio agio.
"Benissimo allora. A cosa devo l'onore e il piacere di questa visita?"
"Vede, per quanto riguarda l'onore, spero che rimanga tale anche quando usciremo da quella porta, ci terrei, sul serio. Ma so già che non sarà un piacere ascoltare quanto ho da dirle. E quanto ha da dire mio figlio."
Una pugnalata mi avrebbe fatto meno male. Ecco quindi qual era il suo piano. Farmi fare una figura di merda davanti a tutti. Abbassai lo sguardo e mi concentrai sulla punta delle mie scarpe. In quel momento erano il mio centro del mondo. Nient'altro sembrava degno della mia attenzione e...E odiai mio padre! Lo odiai con tutte le mie forze per quella vile carognata. Lui avrebbe dovuto proteggermi, sempre, questo si fa con un figlio, non metterlo in mezzo. Ma che cazzo di padre era? Perché mi faceva quella vigliaccata?
Il racconto ebbe inizio. Li mise al corrente dell'incontro-scontro con l'avvocato Terenzi, di come quel figlio di cagna li avesse aggrediti verbalmente al bar, della sua falsa versione dei fatti e delle sue intenzioni di portare in tribunale tutti i ragazzini, padri compresi nel prezzo. non ci mise molto, fu preciso e conciso. Una volta esaurito il preambolo, mi chiamò vicino a se. Era il mio turno. Ero io che dovevo illustrare l'antefatto, che dovevo illustrare la scena del crimine. Mi sentivo peggio di quella volta che mi avevano portato dal dentista. L'attesa in quella saletta squallida era stata massacrante, eppure avrei aspettato tutta la vita, pur di non finire sotto ai ferri. Ma, inesorabile come la morte, toccò anche a me. L'unico ricordo sopravvissuto è il desiderio che si finisse in fretta. Ora ero nella stessa situazione. Doveva finire in fretta. Presi un lungo respiro e iniziai a parlare. Parlai senza mai fermarmi e senza mai, neanche una volta, neanche per sbaglio, guardare in faccia i presenti. Dissi tutto, a testa ostinatamente bassa, ma dissi tutto. Dissi tutto senza togliere, o aggiungere, particolari, cercando, a mo' di discolpa, di calcare la mano sulla prepotenza e la bastardaggine dei grandi. Quando ebbi finito, scese il silenzio, Un silenzio denso, pesante, non era un bel segno. Non lo era affatto.
Il primo a risorgere dalla paralisi generale fu il papà di Pietro. Si alzò lentamente dalla sedia, come avesse un grosso fardello sulle spalle, si avvicinò al mio amico, che era rimasto, per tutto il tempo, in piedi vicino al camino, senza mutare mai espressione, come se si parlasse di cose che non lo riguardavano, e con un manrovescio terrificante gli fece girare la testa dall'altra parte. Una sberla della Madonna! Io al posto suo avrei pianto per una mezz'ora. tuttavia al padre sembrò non bastare. Non ancora. Alzò il braccio per colpire di nuovo, ma non lo fece, non gli riuscì, l'altro figlio, quello più grande, gli afferrò il braccio bloccandolo a mezz'aria.
"Lasciami, perdio!" Urlò, per la rabbia e per lo sforzo.
Antonio, che invece non sembrava sforzarsi affatto, con un tono calmo e glaciale, in verità molto simile a quello del suo fratellino, rispose: "Basta botte. Non servono. Non toccarlo più."
Fu mio padre ad allentare la tensione che si era venuta a creare. "So che non sono affari miei, signore, ma mi permetto lo stesso di dire la mia. E mi scuso fin d'ora per l'intromissione. Suo figlio non merita di essere rimproverato. E, tanto meno, di essere picchiato. Si è dimostrato coraggioso ed altruista, sono qualità rare, specialmente tra i giovani d'oggi. Si è battuto, da solo, contro tre balordi più grandi di lui e lo ha fatto per difendere gli amici, tra i quali, mio figlio. Amici che, tra le altre cose, non hanno mosso un dito per aiutarlo. Meriterebbe un premio, non una punizione! Personalmente, sono venuto per ringraziarlo, ed è esattamente quello che farò." Si alzò dalla sua sedia, si avvicinò al Maremmano, gli tese la mano e aggiunse:" Non sono tuo padre, giovanotto, ma sono lo stesso fiero di te. E sono felice che tu sia amico del mio ragazzo. Grazie, ti sono debitore." Pietro fece un impercettibile segno di ringraziamento con il capo e gli strinse la mano. Suo padre si voltò verso il mio, lo soppesò con gli occhi, poi: "Le va di uscire un attimo? Vorrei parlarle in privato." Disse.
"Volentieri, ma prima di uscire, vorrei aggiungere un'ultima cosa, prima non me ne ha dato il tempo. Comunque vada avanti questa storia, qualunque piega prenda, voglio che sappiate che non resterete mai da soli. Io sto con voi, anche i miei amici sono della partita. Avete la mia parola. Gli facciamo il culo a quel figlio di padre ignoto dell'avvocato!"
E uscirono.
Un coro di emozioni mi stava cantando negli orecchi. Tante voci confuse insieme, con il risultato di confondermi ancora di più. Ero deluso da me stesso, ero triste, arrabbiato, confuso, affamato. Si, tra le tante cose, mi era arrivata anche la fame. Ma soprattutto sentivo il bisogno di parlare con Pietro. Volevo scusarmi, spiegare le mie ragioni, volevo che capisse, doveva capire! Con fare incerto, mi avvicinai, eravamo rimasti soli. Antonio era uscito, non so per dove, ma non era più lì e la madre era salita al piano superiore, forse per preparare i letti.
Avevo un groppo in gola, ma non mi avrebbe fermato. "Io non volevo...Scusami, Pietro, avrei dovuto tacere, non dire nulla, ma mio padre mi ha costretto. mi avrebbe ammazzato di botte!" Che figura di merda! Lui aveva preso una sventola paurosa senza fare un fiato ed io mi ero cagato addosso solo per la promessa di prenderle. Proprio una gran bella figura di merda. Poi mi ricordai che non era solo per quello, che avevo parlato anche perché, al mio vecchio, avevano raccontato delle falsità. "Poi Alberto Maria aveva raccontato un mucchio di stronzate, per non dire al padre che le aveva buscate da uno più piccolo, così ho dovuto dire la verità! Io..."
"Chi è Alberto Maria?" Mi chiese, come se fosse appena arrivato. Come se in tutto il casino che era scoppiato lui non c'entrasse affatto.
"Come chi è? Quello che se ne è tornato a casa con il naso spappolato!" Risposi tutto d'un fiato. Poi feci una cosa di cui mi vergognai immediatamente. E di cui mi vergogno ancora. Scoppiai a piangere come un poppante cui hanno rubato il ciuccio. Saranno state le troppe emozioni accumulate, non saprei, il fatto è che un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi e non riuscii a trattenerne neanche una.
Pietro rimase immobile e immobile la sua espressione distante, poi si voltò, mi guardò serio, mi cinse le spalle in un abbraccio e disse: " Non stare lì a preoccuparti, amico mio. Hai fatto la cosa giusta. Tanto, prima o poi, i miei lo avrebbero saputo lo stesso. Al tuo posto, avrei fatto la stessa cosa."
Non era vero, lo sapevo. lui era un duro, un duro vero, non gli avrebbero cavato una parola, neanche con le pinze. Però gli credetti lo stesso. Avevo bisogno di crederci e lo feci. Mi sentii subito meglio. Eravamo ancora amici. Era proprio forte il Maremmano, sapeva sempre cosa dire e fare. Era un grande. Più grande degli adulti.
14 notes
·
View notes
CAPITOLO 2
“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce.
“E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda.
Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana, è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro.
Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza.
“Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo.
Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto.
“Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai.
Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; ché così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?”
Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.”
“Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone.
“Era ora Pietro! Ma che te stai a magna'?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro.
“Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi.
Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti.
“Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino.
“Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio.
Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante.
“Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi
“Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio.
“Aspettatemi lì, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora.
“Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino.
“E allora? Non sono ancora le due, stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi.
“Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare.
Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle, le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti, che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria.
“Allora, signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?”
“Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare.
Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii.
“Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso.
Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!”
Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti.
Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento.
“Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario.
“Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre.
“Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna!
Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro!
“Ascolta bene, stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua.”
Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo.
“Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini.”
“Io non…” Tentai di giustificarmi.
E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai.
“Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio.
“Cosa fai ora, Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!”
“Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…”
Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa.
“E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre.
“Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece, di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto.
Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.”
“E no, cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me.
“Ma dai, Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, lo portiamo al fiume e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle.
7 notes
·
View notes