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#poche studios
nyc-looks · 1 year
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Darren, 27
“The hat is from Poche Studios, vest Visvim, sweater Nanamica, shorts Issey, shoes: CDG x Nike. I get my inspiration from fishermen, basketball, and styling on the Lantiki Instagram @lantiki_official.”
Nov 5, 2022 ∙ West Village
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grrlmusic · 1 year
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Poche Studio - "d-a" Cream LTTT Jersey
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randomisedgaming · 1 year
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A gameplay look at one of the few Hudson Soft Bomberman style clones with Alice Dreams Tournament, which received a reprint recently thanks to WAVE Games Studios. With Bomberman Online only getting a North American SEGA Dreamcast, most system owner missed out on this classic party blast'em up.
Alice Dreams Tournament from Patbier & Poche, borrows the classic Bomberman versus format while adding in its own selection of modes. While there isn't a single player story mode, there is a high score mode where you compete against the clock to beat as many enemies as possible, increasing your score further via combo chain. At the end of it you get a code to register on the official website.
Copy of game provided to use by WAVE Game Studios
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gayspaces · 4 months
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Wendell Burnette - Private residence
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raffaeleitlodeo · 4 months
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Visto che molti giornali stanno riprendendo la campagna contro l'istruzione pubblica e per una scuola "meritocratica", bombardandoci quotidianamente con improbabili storie di fantomatici geni laureatisi a 15 anni solo grazie alla forza di volontà, vorrei riportare un breve aneddoto personale. Alcuni mesi fa sono stato accettato per un dottorato (PhD) in Relazioni Internazionali dall'Università di Cambridge. Il processo di selezione, più che meritocratico, mostra come le università più conosciute ("d'eccellenza", direbbero quei giornali) siano sempre più luoghi inaccessibili per chi non ha un privilegio di classe. Per potersi candidare sono necessari una serie di pre-requisiti ufficiali, come le certificazione linguistiche, e ufficiosi, (per esempio, è quasi impossibile essere presi senza aver fatto esperienze di studio all'estero). Tutte cose estremamente dispendiose a cui solo una minoranza può avere accesso. Uno studente che va in Erasmus, per esempio, riceve circa 300€ mensili come borsa di studio, una cifra con la quale in una grande città europea si può a malapena coprire il vitto. Tutto il resto è a spese proprie. Per non parlare di esperienze lavorative utili al curriculum ma sottopagate o non pagate affatto (l'ONU, per nominarne uno, offre tirocinii di 6 mesi a New York senza prevedere alcuna remunerazione). Chi viene da una condizione abbastanza agiata e si può permettere alcune di queste cose, con un po' di fortuna e un po' di bravura, può riuscire a venire accettato in un'università conosciuta e rinomata. Le disuguaglianze più rilevanti e i maggiori privilegi, però, non si mostrano durante il processo di selezione dei candidati, ma dentro l'università stessa. Molte delle "università d'eccellenza", infatti, non forniscono stipendio ai loro dottorandi/ricercatori e anzi chiedono loro un'ingentissima retta. Di fatto, i dottorandi (che nella pratica sono lavoratori dell'università) devono pagare per poter lavorare gratis in cambio della nomea dell'università. È vero che esistono alcune borse di studio, ma queste sono generalmente poche, spesso esterne all'università, e non di rado portano a una commisitione moralmente discutibile coi più variegati gruppi privati. Il loro criterio di assegnazione è infine generalmente opaco e spesso finiscono paradossalmente per essere vinte dagli studenti più benestanti e altolocati che meno ne necessiterebbero. Per ritornare alla mia esperienza personale, io non ho vinto borse di studio. L'Università di Cambridge ha stimato che per affrontare il dottorato, tra retta e costi di vita, avrei dovuto pagare di tasca mia 52 000€ l'anno, ossia più di 200 000€ per i quattro anni di studio/lavoro. Poiché non dispongo di tale cifra (e anche avendola, non la regalerei a un'università con un patrimonio di 20 miliardi di € che semplicemente non vuole pagare i suoi dottorandi) ho rifiutato l'offerta di dottorato. In futuro forse farò altre domande di dottorato, anche se in università con una maggiore attenzione alle condizioni dei suoi studenti/lavoratori. Tuttavia, questa esperienza pratica mi ha confermato alcune cose: che l'unico modello universitario veramente di eccellenza è quello pubblico, gratuito e accessibile a tutti, anche e soprattutto ai più svantaggiati. Che nel modello della fantomatica "università del merito", sempre più privatizzata e a pagamento, la norma non sarebbero gli scintillanti adolescenti geniali rallentati dalla burocrazia dell'istruzione pubblica (una minoranza statisticamente inesistente), bensì i ricchi ereditieri ed emiri che si possono permettere un diploma dal costo di una Maserati per fare bella figura in alta società. E che, in quel modello, cultura e istruzione non sarebbero degli straordinari fattori di emancipazione sociale e collettiva, quali dovrebbero essere, bensì puri e semplici strumenti di disuguaglianza, esclusione e oppressione. Alessandro Maffei, Facebook
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chouncazzodicasino · 4 months
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Sono seduta qui, in questa bella stanza che sarà il nuovo studio di mia madre a ordinare la sua libreria. Stanza condivisa, per la prima volta nella sua vita. Il ché non è profondamente un peccato visto che mi auguro per lei che si possa permettere in vecchiaia di lavorare sempre meno e magari sempre meno al centro di Roma, ma è oggettivamente un peccato. La fine di una era per tutti, soprattutto per lei che a vent'anni pur di pagarsi l'affitto di uno studio quando aveva solo uno o due pazienti, faceva la donna delle pulizie per tutti i palazzi del centro. Mia madre è una donna meravigliosa, una professionista eccezionale. Ha sempre avuti studi bellissimi, "sono il mio bigliettino da visita", "mi posso permettere di non truccarmi perché il mio trucco è questo palazzo", così dice sempre. Ed è vero. Parte della mia fortuna dell'aver vissuto case e palazzi stupendi che mi hanno abituata al gusto del bello e all'arte è dovuta anche a questi studi che fin da piccola ho vissuto come seconde case. Ora si cambia un po' registro. Non sarà più il suo ma sarà un "appoggio" condiviso. E io faccio di tutto per caricarla e dirle che è stata bravissima, che per com'è lei che se le tocchi la casa e lo studio crolla, invece questa volta è stata brava, molto reattiva ed è andata bene, ma effettivamente anche io ho il magone. Qui su questa poltrona di questo nuovo studio molto carino e dalla bella atmosfera che però non è il suo studio nel palazzo storico del centro.
Aaa quel palazzo storico, seconda casa questo era. Se si voleva dormire a Roma dopo una serata in centro si andava lì, ci ho portato fidanzati, avventure, tante amiche che avevano bisogno di una boccata d'aria e di bellezza, tanti amici di tutto il mondo che venivano a visitare la città. In quel palazzo storico del centro ho passato tantissimo tempo. Prima in un appartamento strano, sotto il livello della strada, con le chiavi che portavano ai cunicoli sotterranei di Roma (prima che le belle arti se ne rendessero conto e ce le togliessero), poi in quest'ultimo, bellissimo, luminoso, che sapeva tanto di gusto della mia mamma, bellissimo davvero. La mia festa di laurea con gli amici l'ho fatta lì, nell'atrio, con i vicini di sopra che mi hanno riscaldato le lasagne e i pittori dell'appartamento vicino che mi hanno regalato un ciondolo a forma di maschera di Agamennone, l'atrio pieno di palloncini con dentro una lucina led (che per i tempi era avanguardia pura) e un'atmosfera bellissima.
Mi mancherà molto, ma questo a mamma non posso ancora dirlo.
Mi mancherà molto, ma oggi mentre lo guardavo per l'ultima volta, gustandomi questa struttura unica che verrà smandrappata per fare il solito nuovo e banale posto "chic", pensavo a quanto cazzo sono stata fortuna a poter "vivere" un ambiente del genere. Queste sono veramente fortune. Le case, gli ambienti, gli studi, sono forse poche delle cose che mi restano aggrappante dentro anche dopo anni e cazzo come mi sento fortunata ad averli vissuti. Gli scorci, i profumi, i pavimenti, le finestre, i legni, le pietre, le scheggiature, i rumori, i portoni, i sanpietrini, le colonne, i colori, le maniglie, i pomelli, le modanature, i libri, le polveri, i quadri, le stampe, le sensazioni, le atmosfere, spero di ricordare bene ogni angolo e ogni dettaglio di te.
Ti metterò nella lunga lista delle case che hanno cresciuta, mio caro studio.
Grazie.
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massimogilardi · 6 months
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Purtroppo poche sono le opere di Filippo Albacini e l’Achille morente è Firmato e datato con una targa scolpita sul basamento, composta da un’iscrizione a lettere capitali che ci informa dell’autografia della statua: “FILIPPO ALBACINI FECE ROMA 1854”.
L’imponente scultura dell’Achille morente è la più importante dei rari manufatti di Albacini. La figura nuda sdraiata è contraddistinta da una vigorosa monumentalità neoclassica e da una compiutezza anatomica da non poter avere dubbi che lo scultore abbia avuto l’ispirazione osservando i modelli di Antonio Canova.
L’artista dopo la formazione nello studio paterno, essendo il figlio del più famoso scultore Carlo, illustre restauratore dei marmi della collezione Farnese, risentì molto dell’influenza di Antonio Canova, che appoggiò la sua nomina ad accademico di San Luca il 7 aprile 1811.
Questa scultura Filippo la iniziò negli anni ’90 del Settecento e rimase nel suo studio fino alla sua morte e oltre, sino al 1890, quando viene raccontata come non finita e forse sappiamo il perché. Esiste un’altra versione dell’Achille che è preservata a Chatsworth, e fu fatta per il duca del Devonshire nel 1823. Osservando la grande somiglianza tra le due trasposizioni dell’eroe è ipotizzabile che l’opera dell’Accademia di San Luca, sia stata tralasciata per via della grave anomalia del marmo presente sul volto del prode Achille. Quindi quella realizzata in precedenza per il nobile committente britannico vedeva impiegato un blocco di marmo senza imperfezioni e di conseguenza lo scultore era riuscito a completare l’opera.
Rimane il fatto che la scultura rappresenta al sommo livello l’ideale classico cercato dall’autore.
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diceriadelluntore · 5 months
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Storia Di Musica #304 - Bob Dylan, Bringing It Al Back Home, 1965
Ogni anno ho raccontato un disco di Bob Dylan. Prescindere da Dylan è impossibile per il rock, e arriva in luoghi, stili e musicisti che a prima vista sembrano lontani anni luci da lui. Eppure, il suo è uno degli ingranaggi cruciali che mette in moto la macchina della musica popolare occidentale (e non solo) che è arrivata fino ad oggi. Il disco di oggi è l'occasione per un viaggio alquanto insolito, che svelerò alla fine, per chiudere il 2023 musicale. Il disco di oggi nasce da alcune idee che erano state scartate per quello precedente, Another Side Of Bob Dylan del 1964. Sebbene ancora legato al folk, quel disco scopre un lato introspettivo che il Dylan di quei tempi ancora doveva scandagliare: inizia quindi a mettere di lato (sebbene non lo abbandonerà mai del tutto) il lato politico e sociale (dello stesso anno è The Times They Are A-Changin') per quello privato. Inoltre c'è la necessità musicale di legare insieme il folk dei primordi con le nuove pulsioni del rock'n'roll, che secondo Dylan gli permetterebbero maggiore libertà creativa. Decide quindi di andare a vivere in una piccola villetta di campagna a Woodstock, proprio a pochi km dalla spianata che pochi anni più tardi fu teatro di una immensa folla rock, casa di proprietà del suo manager Albert Grossman. Dylan adora quel posto, e ci passa tutta l'estate. Dopo pochi giorni, è raggiunto da Joan Baez, che racconta la routine del menestrello di Duluth: passava la giornata alla macchina da scrivere, accompagnato incessantemente da sigarette e bottiglie di vino, e spesso nel cuore della notte avendo avuto una intuizione si metteva a scrivere senza soluzioni di continuità. Dylan è cauto, e affina tutti i particolari: alla prima sessione di registrazione canta da solo acustico. Il giorno dopo, 14 Gennaio 1965 che nella storia del rock è un giorno importante, si presenta con una band elettrica: i chitarristi Al Gorgoni, Kenneth Rankin, e il grande Bruce Langhorne, il pianista Paul Griffin, i bassisti Joseph Macho Jr. e William E. Lee, e il batterista Bobby Gregg. Registrano per ore, e le canzoni volano veloci e in poche ore, quando è notte fonda, è pronto metà disco. La sera successiva, il 15 Gennaio, Dylan dopo cena si presenta con una nuova band, tra cui John P. Hammond, che diventerà suo fido braccio destro negli anni a seguire, e John Sebastian, che diventerà famoso con i Lovin' Spoonful. Di questa sessione però non fu salvato nulla, così il 16 torna in studio con tutti i musicisti e finisce di registrare il disco. Che secondo il racconto dei presenti fu tutto di first takes, cioè canzoni registrate e considerate buone dopo solo una registrazione. Dylan, timoroso che il passaggio totale alla musica elettrica fosse un passo troppo lungo, decide di dividere il disco a metà con canzoni vecchia maniera musicalmente, ma che nei testi e nelle idee lo propongono del tutto nuovo: un surrealismo fantastico che lega Rimbaud alla beat generation, e che inizia a popolare lo scenario della musica giovanile di luoghi e personaggi che diventeranno archetipi.
Il 22 Marzo 1965 viene pubblicato Bringing It All Back Home dalla Columbia. Verrà distribuito in alcuni paesi con il titolo di Subterrean Homesick Blues, nome del primo singolo, ma ciò che importa è che è uno dei più grandi dischi di Dylan, ergo, è uno dei più grandi dischi della storia del rock. Perchè riesce nell'intento che si era prefissato, cioè trovare un legame credibile tra la tradizione folk, il blues e il nascente rock, creando paesaggi lirici che sconvolgono, consegnando alla storia canzoni mito su cui tutti hanno preso spunto. La sequenza di canzoni è ormai a quasi 60 anni dall'uscita un greatest hits: Subterrean Homesick Blues è il biglietto d'ingresso nel mondo elettrico, e passa anche alla storia per l'innovativo videoclip, famosissimo e stracitato, di Dylan con i cartelli di parole chiavi del testo, con Allen Ginsberg che passeggia sullo sfondo di una vecchia fabbrica in rovina. Il testo, che utilizza anche espressioni da strada, è una infinita carrellata di riferimenti, più o meno chiari, alla società, alla politica, al giornalismo, e inizia a creare delle espressioni che diventeranno futuri slogan tra studenti, manifestanti per i diritti civile e così via (il più famoso You don't need a weather man\To know which way the wind blows). She Belongs To Me è l'ennesima novità stilistica: la prima figura di "donna ammaliatrice" (definizione di uno dei massimi studiosi di Dylan, Robert Shelton) con cui esiste un rapporto difficoltoso, sebbene non si sappia chi sia realmente l'spirazione, le più accreditate sono Suze Rotolo, la sua ex fidanzata che sta con lui sulla copertina di Freewheelin' Bob Dylan, Joan Baez, sua sodale, Nico, la cantante svedese che conobbe alla Factory di Warhol e che canterà con i Velvet Underground o forse Sara Lownds, quella che diventerà sua moglie poche settimane dopo l'uscita del disco. Ogni canzone diventerà un'icona: Maggie's Farm, probabilmente un blues contro ogni forma di sfruttamento; On The Road Again è una dichiarazione profetica sul rapporto Dylan-successo, dove il primo spesso sceglie la lontananza e l'autoesilio, impaurito da quello che succede; It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding), tutta acustica, è uno dei massimi capolavori lirici dylaniani, con una carrellata drammatica per tensione e suggestione di immagini e sensazioni che esprimono un impellente desiderio di critica nei confronti dell'ipocrisia, del consumismo, dei sostenitori della guerra, e della cultura americana contemporanea, che rispetto al Dylan folk stavolta non si risolve in un ottimismo rivoluzionario, ma in un arrabbiato status quo da osservare. Ricordo altre due perle: It's All Over Now, Baby Blue, Dylan alla chitarra acustica e all'armonica a bocca e William E. Lee al basso come unica strumentazione, è un'altra ballata storica, dai mille significati (chi sia o cosa sia Baby Blue, per esempio) ma la canzone più famosa è senza dubbio Mr. Tambourine Man, altra canzone dai mille significati e simbolismi, che diventerà un soprannome dello stesso Dylan, e oggetto di centinaia di saggi, anche accademici, alla ricerca dei messaggi più reconditi di questo vagabondo con tamburo intento a suonare una canzone per lui mentre la notte sta per terminare avviandosi verso il mattino tintinnante.
Il disco è un successo: numero 6 nella classifica americana, addirittura numero 1 in Gran Bretagna, dove in quei mesi inizia una vera e proprio Dylanmania. E sarà uno dei più coverizzati di sempre: i Byrds lo riprenderanno quasi del tutto, e molte delle loro versioni di questi brani diventeranno famose, anche per l'uso nelle colonne sonore, da ricordare quelle in Easy Rider. Ma non tutti furono folgorati, e non posso non ricordare l'episodio che avvenne al Festival Di Newport: il 25 luglio 1965 Dylan si presentò sul palcoscenico non come cantante solista con chitarra e armonica come suo solito, ma con una chitarra elettrica accompagnato dalla Paul Butterfield Blues Band, formidabile band di blues elettrico. Qui succede questo: non si sa nemmeno bene se fosse colpa dell'acustica che non funzionava, ma il pubblico iniziò a fischiare Dylan, che dopo un paio di brani lasciò il palco; gli organizzatori lo convinsero a ritornare, solo con armonica e chitarra, per una sessione solo acustica che leggenda vuole finisca con It's All Over Now (Baby Blue), da allora canzone anche per sancire un passaggio epocale nella vita delle persone deluse dai cambiamenti.
Rimane da raccontare la copertina: Daniel Kramer con una lente distorsiva fotografa Dylan in un salotto con una donna, Sally Grossman, moglie dell'allora manager di Dylan, Albert Grossman. Sul tavolino tra i due dischi famosi Keep On Pushing de The Impressions, King Of The Delta Blues Singers di Robert Johnson, India's Master Musician di Ravi Shakar, Sings Berlin Theatre Songs by Kurt Weill di Lotte Leyna e l'amico Eric Von Schmidt con The Folk Blues Of Eric Von Schmidt; dietro Sally Grossman, seminascosto da un cuscino, c'è il lato superiore della copertina dell'album Another Side Of Bob Dylan, e sotto il suo braccio destro, una copia della rivista Time con Lyndon B. Johnson in copertina. Sulla mensola del camino, alla sinistra del dipinto, si vede l'album di Lord Buckley The Best Of Lord Buckley. Compare un gatto, che si chiamava Rolling Stone, Dylan indossa dei gemelli regalati da Joan Baez e in primo piano, in basso a sinistra della fotografia, campeggia un cartello con su scritto Fallout Shelter (rifugio antiatomico). Questo tavolino sarò il punto di partenza di nuove storie, nel nome di Dylan e di uno dei dischi fondamentali della storia.
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johnlocksaddict · 1 month
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L'equilibrio che bilancia la mia vita è il mio totale squilibrio. Ci sono giorni in cui sono la persona più produttiva e diligente del mondo: studio, lavoro, mi alleno, pulisco casa, mangio bene (senza neanche uno sgarro), faccio un po' di self-care. Sono volenterosa, propositiva e mi sembra di poter ottenere tutto quello che voglio senza quasi nessuno sforzo.
Ma questi giorni esistono solo perché ce ne sono altri di totale e completa nullafacenza. Dove non ho il coraggio neanche di alzarmi dal letto, di cucinare o di lavare un piatto.
E la cosa più brutta è che a volte questi giorni sono consequenziali. Quindi sono superwoman il giorno prima e troppo pigra per pettinarmi il giorno dopo.
Quindi non riesco mai a raggiungere i miei scopi, perché sono specializzata nell'autosabotaggio, di conseguenza quello che ho costruito il giorno prima sento quasi il bisogno di distruggerlo.
Però comunque è normale, credo, che ci siano queste altalene.
Ammiro tanto quelle persone che sanno essere costanti e se potessi scegliere una qualità del mio carattere che odio è proprio l'incostanza. Se fossi capace di concentrarmi su un obiettivo, senza scoraggiarmi a ogni minimo bump on the road, sarei tutto quello che ho sempre voluto.
Sarei magra, tonica, coraggiosa, in salute e forse anche felice.
Vorrei tanto essere una di quelle persone capaci di stare perennemente a dieta (o comunque per un periodo superiore ai due giorni che è il mio massimo di questi tempi), o una di quelle ragazze perennemente in palestra, capaci di ottenere il fisico che hanno sempre sognato, o quelli che riescono a imparare una lingua studiando giorno per giorno.
Insomma, tutto ciò che riguarda uno step by step non mi appartiene. Sono zero o cento, con poche vie di mezzo.
Ad esempio con il weekend libero potrei fare tutto quello che ho rimandato in settimana. Potrei allenarmi, potrei studiare molto di più, cucinare per la settimana, pulire tutta la casa e anche uscire con gli amici, le giornate sono lunghe. Eppure il 90% delle volte non faccio neanche la metà di quanto preventivato
Ma non ne sono capace
È per questo che da quando ho intrapreso l'università pubblica in concomitanza con il mio lavoro full-time, sono enormemente terrorizzata.
Soprattutto perché non so mai quando possa sentire l'esigenza di buttare tutto nell'immondizia; magari a due esami dalla laurea, magari alla prima bocciatura o al primo professore che mi tratterà uno schifo. Nonostante ciò, nella mia vita lo studio è stata l'unica costante che non ha subito variazioni d'impegno o sabotaggi o distruzioni.
E quindi come si risolve? Come faccio a essere costante? Perché la mia incostanza si riflette anche nella mia vita giornaliera?
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canesenzafissadimora · 8 months
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Sapete a cosa serve
l’euro nel carrello?
Ovviamente, non ha lo scopo di evitare il furto, poiché il valore dello stesso
è decisamente più alto,
ammesso di trovare un ricettatore.
L’euro nel carrello serve a farlo rimettere al suo posto.
Quando i supermercati avevano carrelli liberi i clienti, con poco senso civico, cioè la maggior parte, li lasciavano in giro, nel parcheggio, creando disservizio e confusione.
La soluzione a questo problema è stata trovata nella catenella che sblocca la moneta, la quale è l’incentivo a comportarsi bene.
Ma l’aspetto più significativo dello studio è stato identificare quale moneta funziona: i tagli più piccoli (10 o 20 cent) non costituiscono un incentivo sufficiente e i carrelli venivano comunque abbandonati.
Le monete dovevano essere da 2€, 1€, ma anche con 50 cent. si ottenevano risultati apprezzabili.
Ecco, 50 cent è il prezzo del senso civico di questa nazione, una delle poche nazioni al mondo a prendere il carrello con la moneta.
Veniamo via con poco.
All’italiano lo compri
con gli spiccioli..
E, considerato il momento storico, questo vale per molti, moltissimi aspetti
della nostra vita.
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mezzopieno-news · 2 months
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ARRIVA IL FARMACO BLOCCA LE METASTASI DEL TUMORE POLMONARE
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È arrivata in Italia una nuova terapia che riesce a bloccare la progressione di un tipo di neoplasia ai polmoni che ha già sviluppato metastasi cerebrali.
Il lorlatinib può essere assunto quotidianamente per via orale tramite compresse ed è stato reso rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale, è in grado di rendere inoffensivi i tumori ALK positivi, quelli che colpiscono prevalentemente i giovani e le persone sotto i 50 anni. Questo sottotipo di tumore polmonare è molto aggressivo e il nuovo principio riesce a superare la barriera ematoencefalica e ad agire a livello cerebrale, anche su pazienti precedentemente trattati senza successo con altre terapie. “Gli esiti dello studio CROWN, sui quali si è basato il via libera di Aifa, indicano che lorlatinib è più efficace delle cure che finora abbiamo considerato standard… Il 72% dei partecipanti ha visto sparire le metastasi cerebrali e un ulteriore 10% ha comunque avuto una risposta intracranica; il 64% dei malati a tre anni dall’inizio di lorlatinib non è andato in progressione (rispetto al 19% di chi assumeva la terapia finora standard)” spiega Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia.
Nel 2023 sono stati in Italia 44mila nuovi casi di tumore polmonare, uno dei più difficili da trattare; più del 70% dei pazienti arriva alla diagnosi quando la malattia è già in stadio avanzato ed esistono poche cure per questo tipo di cancro, soprattutto quando si presentano già delle metastasi.
___________________
Fonte: Agenzia Italiana del Farmaco; Filippo de Marinis; foto di Anna Shvets
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gregor-samsung · 1 year
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“ Mala tempora currunt, ora che tutti scrivono un po’ allo stesso modo? Nulla di nuovo sotto il sole. Non è la prima volta che capita. Basta ricordare quanto agli inizi del Novecento Renato Serra annotava: «Oggi tutti scrivono, in modi diversi, press’a poco la stessa lingua», «romanzi e novelle oramai in Italia hanno realizzato il tipo unico con una felicità da fare invidia ai produttori di vino toscano. Un tipo solo in tre o quattro confezioni». Ma Renato Serra auspicava una prosa raffinata, una prosa d’arte, che trionfò per un po’, e che poi fece il suo tempo. Abbiamo dunque a che fare con la millenaria ricorrente lamentela sul presente che è sempre apparso inferiore rispetto al passato? Apro lo Zibaldone di Leopardi in data 2 aprile 1827 e vi leggo: «disgraziatamente l’arte e lo studio son cose oramai ignote, e sbandite dalla professione di scriver libri. Lo stile non è piú oggetto di pensiero alcuno. […] Troppa è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che per necessità fanno dimenticare quelli del giorno innanzi; sian pure eccellenti. […] La sorte dei libri oggi è come quella degli insetti chiamati efimeri: alcune specie vivono poche ore, alcune una notte, altre tre o quattro giorni; ma sempre si tratta di giorni». E sul tema si potrebbe raccogliere un vasto florilegio di alti lai. “
Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi (collana Vele), 2022. [Libro elettronico]
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mi fa tanto male il petto e ho un enorme senso di vuoto, mi tartasso la testa con mille e più domande chiedendomi dove io sia finito e perché certe cose siano andate in un certo modo nella mia vita
per quanto alcuni fossero eventi dannatamente da rimuovere e brutti riuscivo ad affrontarli o quantomeno a reagire a essi anche in modo del tutto negativo e disfunzionale
ora invece vado per inerzia e non sento dannatamente nulla e qualsivoglia stimolo io cerchi o mi si pari davanti è come se un automa ci reagisse e non una persona
è come se avessi il pilota automatico, e non sto parlando di viversi o non viversi le cose, quanto più di sentirle io, che sia un esperienza lavorativa, di studio o un qualsivoglia rapporto sociale o relazionale
ora sento solo un male assurdo e a malapena mi si fanno gli occhi lucidi, solo per questo capisco che un minimo umano lo sono ancora, ma diamine io non mi ci sento affatto
non so nemmeno quello che sto facendo o se arriverò da qualche parte così facendo
tutt'ora, proprio come in passato non ho affatto voglia di stare in questo mondo e continuo a trascinare una carcassa ormai morta
magari non mi odierò più come prima è vero, né odio così tanto gli altri come prima o come voglio fare credere
semplicemente non ha più rilevanza nulla, quelle poche persone o cose di cui mi importa rischio di rovinarle al minimo fiato sbagliato o comunque non posso permettermi di fare anche solo il minimo sbaglio per quanto possano addirittura servirmi
non so più nemmeno io cosa sto dicendo, so solo che fa male e che mi mancano certe cose, alcune positive altre tremendamente negative di me e del mio passato
intanto il tempo passa, e ciò che rimane di me o del mio passato se ne va assieme a esso
che schifo, è tutto una dannata seccatura
quanto ancora reggerò senza perdere completamente il senno e abbandonarmi?
è già finito tutto da un pezzo
"mettermi d'accordo con la vita, fare un contratto con la mia solitudine, tutte queste cose non mi appartengono, non fanno per me, non è vero?"
forse tutto questo è vero per me, sono solo l'ombra e lo spettro di ciò che sono stato e sarei voluto essere, ma che non posso essere e che non sarò mai con queste condizioni
presto o tardi ci sarà un addio, cosa avrò combinato fino a quel punto? poco di buono e troppo lasciato in sospeso.
14/12/2023. 02:05
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spettriedemoni · 11 months
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Sono tre anni
Si è chiuso un ciclo, me ne rendo conto solo adesso vedendo le foto e i video della serata di giovedì quando ci siamo ritrovati noi genitori della classe di Tigrotto assieme ai bambini.
La rappresentante, la cara Valeria che si è data tanto da fare in questi 3 anni, ha anche organizzato la consegna dei diplomi per i bimbi con tanto di cappello. Quello realizzato per Tigrotto è risultato un po’ piccolo e lei si è mortificata per questo nonostante le nostre rassicurazioni, in fondo va benissimo così come ricordo e ci piace lo stesso. E poi tra qualche anno non gli sarebbe entrato comunque.
Sono tre anni di chat con le mamme con qualche scazzo (pochi per fortuna) e tanta collaborazione e cordialità. Con alcuni genitori sicuramente resteremo amici e ci vedremo ancora anche nella scuola primaria.
Realizzo che dall’anno prossimo inizieranno i compiti, lo studio e chissà come sarà. Spero di riuscire ad essere paziente.
Si è emozionata la rappresentante per la pianta e per il regalo che le abbiamo fatto, mi ha ringraziato (lei a me) per il supporto che le ho dato e non mi sembra di aver fatto nulla se non aver mediato ogni tanto con qualche madre un po’ troppo sopra le righe, ma è successo poche volte, per fortuna.
“Tu sei il papà che non deve mai mancare nelle chat di mamme a tratti.. devastanti!! (voi però non lo siete state mai!! Vincenzo era solo unA di noi!!)”
Ha scritto così in chat e mi ha strappato un sorriso.
Si chiude questo percorso, rivedo i genitori e i bambini mentre prendo Tigrotto in braccio per portarlo a letto dopo che su è addormentato in macchina stremato dalla giornata di giochi.
C’è ancora un bel po’ di strada da fare e voglio farla insieme a lui. Il più a lungo possibile.
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diceriadelluntore · 7 months
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Storia Di Musica #294 - Simple Minds, New Gold Dream (81-82-83-84)
Se in un ipotetico cruciverba la definizione chiedesse: Famoso gruppo rock scozzese degli anni '80 (10 lettere) la risposta è una sola. Simple Minds. Tutto comincia a Glasgow quando tre ragazzi, Jim Kerr, Charlie Burchill e Brian McGee fondano nel febbraio del 1977 un gruppo a tre, Johnny & The Self Abusers, nome in pieno stile punk. Pubblicano anche un singolo, Saints & Sinners / Dead Van Dals, ma l'insuccesso li porta a sciogliere il gruppo. Un anno più tardi ci riprovano, ma scelgono come nome Simple Minds, partendo da un verso di The Jean Genie di David Bowie, He's so simple-minded, he can't drive his module. Si uniscono le tastiere di Michael McNeil e il basso di Derek Forber, e firmano con la Zoom Records, una etichetta in orbita Arista. Suonano come gruppo di apertura a diverse band, come Siouxsie & The Banshees, gli Ultravox di Midge Ure, e pubblicano il primo disco, nel 1979, Life In A Day, dalla stupenda copertina. Vivono in maniera turbinosa il passaggio dalla scarna dimensione del punk all'arrivo imperioso dell'elettronica e della new wave. Nello stesso anno, desiderosi di fare grandi cose, pubblicano Real To Real Cacophony, un disco che vira con violenza verso l'elettronica, con atmosfere quasi spettrali e in vena di sperimentazione. Le vendite scarseggiano, e l'Arista concede un ultimo tentativo: Empires And Dance nel 1980 è un interessante incrocio tra Krafwerk e Joy Division, con canzoni che hanno un potere magnetico come Celebrate, ma nemmeno stavolta arrivano vendite, nonostante la critica apprezzi tantissimo il disco. Si dividono dalla Arista e firmano con la Virgin, ed iniziano con il botto: originariamente infatti pubblicano un doppio album, composto da due album separati, che la casa discografica prontamente vende separatamente, Sons & Fascination e Sister Feelings Call (1981), con Steve Hillage dei Gong in produzione, sono il primo tentativo organico di dare forma alle ritmica mai banali, alla chitarra ieratica di Burchill e a indirizzare meglio la appassionata e versatile voce di Kerr. Finalmente le vendite arrivano e gli album sfiorano la Top Ten degli album più venduti. Ma c'è il primo abbandono: McGee se ne va, e per un certo periodo c'è una rotazione di batteristi finchè, dopo un lungo tour, viene ingaggiato il batterista Mel Gaynor, formidabile, che subito viene mandato in studio per registrare del nuovo materiale.
Ciò che ne viene fuori, abbassata la tensione personale e ritrovato un approccio più spirituale alla composizione, parole di Jim Kerr, è il tanto atteso capolavoro. In regia c'è un giovanissimo Peter Walsh, che a 21 anni aveva lavorato con gli Heaven 17 e a 22 aiuta la band scozzese a produrre un disco che nelle atmosfere generali è sofisticato, etereo ma ricco di vibrazioni intense, suonato benissimo e che ha canzoni meravigliose al suo interno. Il titolo viene in mente alla Band durante un tour in Australia, nel 1981, in cui il promoter oceanico chiedeva se volevano già preparare un tour nel 1983 e 1984: New Gold Dream (81-82-83-84). Il primo singolo è Promised You a Miracle, con il meraviglioso lavoro del basso di McNeil e il riff accattivante di Burchill, con un inaspettato ritmo funk, e con questa canzone debuttano persino in Tv nella storica trasmissione della BBC Top Of The Pops. Il disco ha canzoni che sono diventate famosissime: Someone Somewhere In Summertime, dall'atmosfera sognante e la ritmica innovativa, Glittering Prize che divenne una hit anche per il fantasioso video girato in uan camera tutta dipinta d'oro, canzone che come poche tra l'altro racconta la new wave degli anni '80 nelle sue tastiere a tappeto e nel beat elettronico. Del tocco elettronico dei primi dischi rimane solo Big Sleep, in una mutazione che trova però un perfetto equilibrio in musicalità e diventerà una sorta di pietra di paragone per qualche anno. C'è persino uno strumentale, Somebody Up There Likes You, nella meravigliosa Hunter And The Hunted c'è persino la leggenda del jazz Herbie Hancock a suonare un assolo al sintetizzatore, e New Gold Dreams (81-82-83-84) con il suo andare a salire diventerà una hit e un inno da stadio, anticipando il suono elettronico dei Depeche Mode. Il successo di critica e vendite è altissimo, tanto che la band sfrutta l'onda e pubblica nello stesso anno Sparkle In The Rain. Chiama a produrre uno dei nomi del momento, Steve Lillywhite, che aveva prodotto gli XTC e i primi tre dischi degli U2, per un suono più leggero ma che ha un alone di ruvidezza.
Nel 1985, Once Upon A Time diviene uno dei pochi dischi di grande successo più criticato dai fan. Il tutto perchè la band decide di fare una cover di Keith Forsey, Don't You (Forget About Me), che diviene una hit mondiale come colonna sonora del film Breakfast Club (canzone in primo momento rifiutata da Brian Ferry) e ritenuta troppo "pop commerciale". In tutta risposta, la Band è una delle colonne del Live Aid, con piena sorpresa di chi li aveva conosciuti come avanguardia nel 1980. Rimane tuttavia uno zoccolo duro di appassionati, tanto che hanno un record invidiabile di ben 21 singoli in classifica fino al 1998, anno in cui dedicheranno un disco a Napoli, Neapolis. I Simple Minds hanno avuto un percorso musicale del tutto particolare, e il loro ricordo è minore rispetto ad altri gruppi del periodo anche per scelte personali che li allontanarono dal pubblico (dopo Once Upon A Time, si presero una pausa di 4 anni per far uscire Street Fighting Years, che contiene due grandi inni della loro antologia, The Belfast Child e Mandela Day). Ancora oggi suonano, pubblicano canzoni e fanno concerti, probabilmente con poche nuove cosa da proporre, ma con una sfilza di canzoni inni che molti ancora ricordano, declamati tra l'altro con il meraviglioso accento di Glasgow di Kerr, che chiama propriamente la sua band Simple Mains.
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