Tumgik
#però ci sono ancora dinamiche interessanti
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comunque posso dire, sto leggendo le peggio cose su sta stagione di mf, ma a me, ecco... sta... piacendo?
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enkeynetwork · 2 years
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ecoamerica · 23 days
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youtube
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veronica-nardi · 4 years
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High and Low The Movie + The Red Rain
Party time
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Di base, questi due film di High and Low (a quanto pare la serie più longeva di tutta l'Asia), mi sono piaciuti. Hanno certe difficoltà, le loro problematiche, ma mi sono piaciuti.
Innanzitutto una cosa: sono molto offesa che in The Movie il personaggio di Hyuga sia stato relegato in pochissime scene, quando la sua tamarraggine meritava di brillare in tutto il suo splendore.
@dilebe06 Questa gif è tutta per te:
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A parte questo, veniamo alle cose serie. Colui che brilla davvero è senza ombra di dubbio Kohaku, il "villain" di questo primo film.
Penso che sia uno dei personaggi più interessanti e scritti meglio di questa serie, e mi è davvero piaciuto il suo tragico percorso, pieno di rabbia e sensi di colpa. In questo l'ho trovato molto umano.
Lo scontro tra lui, Tsukumo, Cobra e Yamato è semplicemente straziante e mi è piaciuto un sacco, anche se ancora mi chiedo com'è possibile che nessuno di loro sia morto dopo essersi menati in quel modo.
La pecca che trovo in questa scena è la ripetizione delle stesse dinamiche usate tra Cobra, Yamato e Noboru nella prima stagione. Però devo anche dire che Kohaku non è mai stato un villain vero e proprio, era solo un uomo molto arrabbiato che aveva perso la strada, quindi capisco se alla fine non è rimasto nel lato oscuro.
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Comunque trovo BELLISSIMO il concetto di aver creato l'Unione del Sannoh per dare agli amici un posto in cui tornare tutte le volte che lo vorranno.
Non mi sarei mai aspettata tutta questa emotività e introspezione in High and Low: alla fine le botte sono solamente un ripiego e un intratteninento per raccontare le vicende di questi poveri disgraziati e tutti i valori in cui credono, come la famiglia e l'amicizia.
Ho ADORATO il mega rissone che occupa quasi metà del film. Mi ha pompato parecchio e me lo sono goduta come una bambina davanti alle caramelle.
Mi è piaciuto come i vari personaggi si aiutano e si parano il culo a vicenda, anche tra gruppi diversi, dimostrando ancora una volta il rispetto che scorre tra le varie bande, o forse hanno finalmente capito che per sconfiggere davvero i cattivi bisogna combattere insieme e aiutarsi a vicenda.
(Peccato che questo sia un film e non una serie quindi non posso usare questa scena come miglior scena d'azione nel quiz finale. @dilebe06 E ORA COME FACCIO??? 😭😭😭).
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Ma siccome nulla è perfetto, ho un paio di appunti da fare riguardo questa mega rissa: prima di tutto, la versione femminile asiatica di Leopardi, tizia di nome Sara, qualcuno può spiegarmi come sia possibile che per tutto il tempo non viene colpita nemmeno una volta??? Può essere brava a combattere quanto vuoi, ma questo è sicuramente assurdo. L'altra cosa che ho trovato ridicola è stata l'assenza di morti. Trovo davvero improbabile che dopo una rissa del genere nessuno ci abbia lasciato le penne.
Un'altra cosa che non mi è piaciuta del film, sono stati i villain. Li ho trovati abbastanza insulsi e privi di una psicologia profonda e interessante.
Riguardo The Red Rain invece, dunque, ho apprezzato tantissimo l'idea di partenza, ovvero dare spazio ai fratelli Amamiya creando una storia tutta per loro con tanto di background.
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Ovviamente si tratta di una storia tragica perché ormai High and Low sembra diventata un'opera scritta dalla penna di Shakespeare. Ma è una cosa che mi piace, perché io da questa serie mi sarei aspettata solo botte e inseguimenti.
"Indipendentemente da quello che dicono gli altri, noi tre siamo veri fratelli."
Non è la prima volta che High and Low affronta questo discorso, avevo già visto come Smoky e Lala si considerassero fratello e sorella benché non avessero lo stesso sangue, ed è un concetto davvero bello che mi piace un sacco.
Quella tra questi tre fratelli è l'ennesima bella bromance che vedo quest'anno (My Country sta mangiando la polvere): tre ragazzi cresciuti insieme come una famiglia al di là dei legami di sangue.
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Entrambi i film sono guidati dalla voglia di vendetta, ma laddove Kohaku vuole distruggere lo SWORD per poi colpire i veri cattivi (i piani geniali), qui Takeru si infiltra tra i cattivi per colpirli dall'interno (piano più intelligente ma suicida).
E quando alla fine Masaki e Hiroto fanno facilmente il culo a tutti i cattivi mettendoli tutti a tappeto senza alcuna difficoltà (Bud Spencer e Terence Hill levatevi), non ho potuto fare a meno di chiedermi perché non lo avessero fatto prima. È vero che non sapevano chi fossero i responsabili, ma quando ho visto questi due fare fuori tutti in due minuti contati dopo che il fratello si è fatto il mazzo tanto per mesi, mi è venuto un po' da ridere.
Riguardo alla mancata vendetta finale, ho sulle prime dato la colpa al buonismo, ma trovo molto buona la spiegazione di @dilebe06: secondo il modo di pensare giapponese essere sconfitti è un'umiliazione talmente grande che è peggio della morte. Una mentalità poetica e affascinante, e anche da puro medioevo.
In generale, Masaki e Hiroto sono una coppietta di fratelli niente male: menano bene (sono invincibili) e sanno anche essere divertenti.
I film sono piuttosto godibili e sono da vedere assolutamente dopo le prime due stagioni.
The Movie: 7.6
The Red Rain: 7.3
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arocchi · 2 years
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FOTOGRAFEREMO TUTTO E SAREMO INCAPACI DI RICORDARE CIÒ CHE CONTA DAVVERO, PREDISSE CALVINO NEL 1970
FOTOGRAFEREMO TUTTO E SAREMO INCAPACI DI RICORDARE CIÒ CHE CONTA DAVVERO, PREDISSE CALVINO NEL 1970
Nel 1970 venne pubblicata da Einaudi la raccolta di racconti che Italo Calvino scrisse tra il 1949 e il 1967: Gli amori difficili. Pur non rientrando forse tra le opere più conosciute dell’autore è sicuramente una delle più interessanti per quanto riguarda la profondità della caratterizzazione psicologica dei personaggi. I protagonisti dei racconti sono infatti uomini e donne comuni a cui non accade nulla di straordinario. Sebbene i titoli dei racconti suggeriscano grandi avventure, si tratta piuttosto di esperienze interiori, vissute nell’intimo della loro individualità. La trama scarna lascia spazio all’indagine dei desideri e dei timori, dei piccoli successi e fallimenti di persone che potremmo essere noi e di relazioni che sono potenzialmente quelle che abbiamo tutti. È per mezzo di queste storie fatte di dettagli, di gesti accennati e contorte reti di pensieri, che Calvino introduce e indaga temi che, lungi dall’esaurirsi nel tempo che raccontano, ci sanno ancora parlare della società in cui tuttora viviamo.
Ne “L’avventura di un fotografo”, uno dei racconti più densi del volume, Antonino Paraggi, impiegato con la passione di “sdipanare il filo delle ragioni generali dai garbugli particolari”, osserva con astio e sospetto la mania dei suoi coetanei di fotografare ogni movimento dei figli, ogni posa delle mogli, ogni giornata passata in compagnia degli amici. “Basta che cominciate a dire di qualcosa: ‘Ah che bello, bisognerebbe fotografarlo!’ e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, e che quindi per vivere bisogna davvero fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia”. Non importa se Calvino scrive in un’epoca in cui la fotografia è ancora quella analogica delle pellicole che una volta impresse devono essere sviluppate, la sostanza del gesto è la stessa di oggi. Nello sguardo critico di Antonino Paraggi – che diventa tuttavia a sua volta fotografo ossessivo – si cela un’osservazione sorprendentemente attuale, che mette in luce una delle dinamiche psicologiche collettive più rilevanti del nostro tempo.
Chiunque abbia visitato il museo del Louvre, a Parigi, ha potuto notare quanto sia difficile avvicinarsi alla Gioconda, costantemente assediata da visitatori-fotografi alle prese con il disperato quanto caricaturale tentativo di escludere dall’inquadratura gli smartphone degli altri visitatori, per evitare la paradossale foto della foto. Allo stesso modo, la vista che si ha ai concerti è sempre più simile a una costellazione di luci iridescenti: schermi che scattano, riprendono, registrano, nel tentativo di portare a casa un pezzetto di ciò che è successo, e che si pensa resisterà al tempo. Io stessa, in queste circostanze, sono costantemente alle prese con la tentazione di documentare ogni momento dell’esperienza, come se non facendolo l’esperienza stessa svanisse. Ormai siamo unanimemente corrosi dal bisogno atavico di aprire la fotocamera del nostro cellulare e scattare una foto, di documentare tutto ciò che ci accade.
Questa necessità viene in parte ricondotta dalla psicologia moderna alle logiche dei social network: fotografiamo un evento con il fine di condividerlo con chi ci segue e lo condividiamo con lo scopo narcisistico di mostrare una vita bella, appetibile, piena di eventi eccezionali e di esperienze invidiabili. Se Narciso si innamorò, non già di se stesso, ma del suo riflesso, noi ci rispecchiamo sulla superficie ambigua di Instagram. Le foto sono diventate sicuramente un mezzo necessario per narrarsi, permettendo di proiettare un’immagine mediata dall’idea che ognuno vuole dare di sé stesso. Ridurre però l’ossessione a fotografare ogni momento della propria vita a un vezzo egoriferito non sarebbe del tutto onesto e rischierebbe di demonizzare una pratica che apparentemente ha a che vedere con un’esigenza umana tra le più essenziali: l’intima e sempre più impellente necessità di ricordare.
Qualche tempo fa mi è capitato di dover resettare il mio cellulare senza preavviso e di perdere quindi tutte le foto che avevo scattato negli ultimi anni. La prima cosa che ho pensato, presa dallo sconforto, è stata: “Ho perso tantissimi ricordi”. Non è un caso, infatti, che il luogo virtuale in cui i nostri smartphone immagazzinano le foto e i documenti si chiami proprio “memoria”. E a questa memoria fatta di codici che non capiamo e a cui tuttavia affidiamo le nostre foto attribuiamo la responsabilità di ricordarci: che cosa abbiamo fatto, che persone ci hanno accompagnati e, in ultima analisi, chi siamo. La fotografia, dunque, diventa in primo luogo l’immagine stessa che abbiamo di noi.
A proposito dei cosiddetti “fotografi della domenica”, ossia tutti coloro che non fotografano per mestiere, ma piuttosto per diletto – ovvero ciò che tutti noi siamo diventati da qualche anno a questa parte – Calvino scrive: “Solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo”.
A questo proposito, però, uno studio del 2018, pubblicato nel Journal of Experimental Social Psychology, ha rilevato che le persone che fotografano un’esperienza dimostrano in seguito di averne un ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri. Se infatti la foto ci illude di aver catturato l’esperienza nella sua totalità, ciò che quella invece è riuscita a catturare non è che una parte infinitesimale di ciò che compone l’intera esperienza. L’immagine sullo schermo restituisce un solo lato di un poliedro le cui facce tendono all’infinito. “Non è soltanto una scelta fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volontà, della passione, dell’avversione”, continua Calvino. E ancora, quando Antonino Paraggi, il protagonista ormai avvinto dalla sua ossessione, inizia a fotografare costantemente la sua compagna Bice, si scopre sempre insoddisfatto del risultato: “C’erano molte fotografie di Bice possibili e molte Bice impossibili da fotografare, ma quello che lui cercava era la fotografia unica che contenesse le une e le altre”. E questo può farlo soltanto la vita.
La fotografia, come suggerisce Calvino, permette di cristallizzare momenti che altrimenti rimarrebbero soggetti alla fragilità e all’insicurezza ombrosa dei ricordi. La foto sembra rendere eterno ciò che invece sarebbe oggetto di rimaneggiamenti successivi o dell’oblio. La psicologia moderna sostiene che i ricordi svolgano un ruolo fondamentale nel plasmare la nostra identità, e le immagini, così come le emozioni, abbiano un ruolo fondamentale nella memoria. “È probabile [però] che troppe immagini ci portino a ricordare il passato in modo fisso, bloccando altri ricordi”, scrive Giuliana Mazzoni, docente di psicologia.
L’impossibilità di fotografare tutte le Bice possibili, e la frustrazione che questa impossibilità comporta, pone quindi una questione fondamentale: i ricordi appartengono al tempo e come il tempo sfuggono, gravitano, si moltiplicano in continuazione. La memoria, ci ricorda Calvino, non è un registratore fedele della realtà e dell’identità, ma è una sua interpretazione sempre in evoluzione, sottoposta a trasformazioni continue. “Ormai ti ho persa”, dice Antonino alla sua Bice mentre la fotografa, e qui davvero sembra aver letto i risultati dei moderni studi sul tema. “La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita sull’alta del tempo. […] La vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di sé stessa”. E se la commemorazione è celebrativa, solenne, univoca, la memoria deve essere labile, incerta, sfuggente. Calvino lo aveva capito, e forse oggi dovremmo ascoltarlo, per ritrovare un contatto immediato con il mondo di immagini libere che ci circondano e con la percezione che abbiamo di noi stessi immersi in quel flusso.
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somarolove · 3 years
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IL PETTEGOLEZZO
Il pettegolezzo e` probabilmente il tema antropologico per eccellenza. Il modo in cui un gruppo di persone o una comunita` discutono su di un assente o di un fatto rappresenta un preciso campo di indagine culturale. Osservare come il passaggio di informazione generi spazi comici o drammatici o come certe rappresentazioni evidenzino conflitti e visioni ideologiche anche constrastanti sul mondo fornisce molti spunti interessanti per comprendere una realtà sociale. In generale il pettegolezzo supera le distinzioni di genere e riguarda forme molto locali di ricerca della verità. Raccoglie un insieme di pratiche che riguardano la produzione di conoscenza e la storia orale di una comunità. In alcuni casi, ne influenza direttamente la sfera giuridica arrivando fino a produrre punizioni altre rispetto a quelle previste dentro gli spazi legali. A catturare la mia immaginazione è però come si stabilisca, diciamo, la quota di verità di un pettegolezzo, cioè con quali strumenti una persona o un gruppo di persone lo giudicano credibile. In altre parole, che tipo di fact checking esiste nelle storie di vicinato che non riguardano i grandi eventi narrati dalla infosfera?
Quando studiavo queste dinamiche in Colombia erano emersi vari enunciati colloquiali e regole di conversazione che sancivano degli ordini di credibilità tra le persone che "parlavano". Alcune più di altre avevano accesso a un sapere della strada (callejero) ed erano considerate più attendibili. "Avevano quindi maggiore diritto di parola". Nonostante ciò gli errori di chi "poteva parlare" erano all'ordine del giorno per cui esistevano altrettanti codici di non interferenza che limitavano la quota di veridicità di ogni enunciato ascoltato. Tra questi il principale, nel mezzo del marasma dei pettegolezzi, era "farsi i fatti propri" che significava, in fin dei conti, una generale accettazione della condizione di ignoranza circa le storie dei vicini che non autorizzava, in ultima istanza, a giudicarli o a produrre reazioni. Il risultato era spesso un gran chiacchericcio (chismosear) senza che nessuno in pratica si prendesse la briga di fare altre domande e verificare, ascoltando altre voci, la veridicità di certi enunciati. Accadde una volta che questa attitudine spinse il quartiere in cui vivevo a credere morto un ragazzo invischiato in storie strane e ad organizzare i preparativi per un suo saluto funebre mentre era in verità vivo ma non rintracciabile per sue beghe personali. Pianti e risate si mischiarono quasi in uguali proporzioni. In un`altra circostanza un ragazzo padre di famiglia venne linciato da una banda paramilitare locale perchè accusato di alcuni furti che non aveva compiuto. Non potè però difendersi dalle accuse perchè i suoi guadagni e il suo migliore tenore di vita dipendevano da alcune attività illegali che aveva iniziato fuori dal quartiere. Così fu picchiato ma per ragioni a lui estranee e il ladro, probabilmente, si spostò in un'altra zona.
Queste estremità mi hanno portato molto a riflettere su cosa accada invece qui in Laos. Di questo paese si sa molto poco. Vive dentro un alone di segretezza e di poca trasparenza su di una lunga serie di questioni, a partire proprio da una guerra che fu combattuta ma che non venne mai riconosciuta ufficialmente. Sto pedalando in un'area del mondo che è stata bombardata come mai accaduto ad oggi nella storia dell'umanità. Intere città sono state rase al suolo e poi, in alcuni casi, affannosamente ricostruite. Un vasto patrimonio archeologico ed architettonico (oltre che vite umane) è andato perduto per sempre mentre ancora oggi molti aiuti internazionali servono per lo sminamento di quelle bombe ancora inesplose. A tutto ciò si aggiunge un continuo vociare su di un territorio in vendita.
In alcuni casi questo enunciato si basa su assiomi parziali, se non volontariamente strumentalizzati. Ci si limita ad osservare un edificio o una nuova strada e sommare l`immagine a storie ascoltate e ripetute per poi ribadire posizioni politiche diffuse. Faccio alcuni esempi. Luang Prabang sorge a 100km da una gigantesca impresa carbonifera tailandese eppure si ascoltano spesso spiegazioni dell'inquinamento della sua aria che riguardano non le vetture o le moto o il volere dei venti ma le ben piu` distanti industrie dello Yunnan (grazie anche ad app metereologiche che mostrano i movimenti dei venti dalla Cina). Un altro tema molto complesso come il traffico di persone che segna queste terre da molte decadi, si focalizza sui campi lavoro per infrastrutture cinesi. Si tace pero` sulla possibile esistenza del fenomeno nei bordelli cittadini oppure su come la diffusione della prostituzione nella vicina Tailandia dipendesse dalla presenza dell'esercito americano prima e dal turismo poi. In generale si cerca il mostro, di solito cinese, invece che fare tutta una serie di valutazioni su prostituzione, relazioni di genere e mercificazione dei corpi. In maniera analoga la cittadina in cui mi trovo ora, Nakai, sorge su uno dei più vasti laghi artificiali del paese. Non si capisce bene se la sua vastità dipenda da calcoli sbagliati e inondazioni non previste. Soprattutto non si sa se tutti i villaggi "ricollocati" che si erano probabilmente ristabiliti in quelle aree dopo le bombe e dopo i lenti e faticosi sminamenti, abbiano ricevuto le dovute compensazioni o se invece siano stati condannati a vagare per sempre o se siano proprio stati sommersi dalle inondazioni non previste. Difficile saperne di più anche perchè oggi la conversione elettrica sembra mettere d'accordo proprio tutti. E comunque chi c`e` dietro la diga?
Qui entra in gioco il tema del capo espiatorio. Si assume per definizione un grande responsabile, il governo comunista totalitario, interessato ai guadagni di breve periodo e non al futuro del paese. Si dà per evidenza inconfutabile una leadership ormai corrotta fino al midollo che si accontenta di quote di controllo del paese ormai ceduto ai cinesi. E si ascoltano storie difficilmente verificabili, di solito, accettate per affidabilità o autorevolezza dello story teller. Come fare però a trovare altre prospettive ed interrogare altre voci? In assenza di una soluzione, si mette in moto un pettegolezzo continuo il cui effetto primario e` quello di dimunire quotidianamente la credibilità delle istituzioni locali. Non uccide solo ogni giorno un'utopia, il comunismo, o una capacita` di immaginare dell`altro. La nebulosità che produce avvolge ogni scelta di politica economica facilitando però proprio quella svendita che non si vorrebbe. Invece di compattarsi e chiedere di sapere, ci si fossilizza sul grande nemico lassù in alto che non permette la parola costringendo ad osservare impotenti. Si sancisce una morte previa su cui si prepara il funerale che però tarda ad arrivare mentre il paese cambia forma.
In questi giorni mi trovo intorno a zone segnate da ``il cammino di Ho Chi Minh``, un'intricata rete di sentieri montuosi da dove le guerriglie vietnamita e laotiana rifornivano di vettovaglie la resistenza nel sud del Vietnam durante la guerra. Credo allora che per rispetto di questa storia valorosa si debba avere il diritto di ``sognare`` e dismettere l`anticomunismo cosi` di moda insieme a certe vecchie reti filomonarchiche e coloniali per scendere nei villaggi della resistenza e chiedere a loro: anche se la risposta non piacerà o non sarà quella che si spera. Tra queste potrebbe esserci anche che le classi borghesi urbane e i loro apparati proprio non piacciono. Non importa quanto ben disposti si sia col corpo e col cuore. Non ho dubbi poi che gli occhi più attenti riscopriranno anche una vita dimenticata nelle foto social dove si tende a feticizzare la povertà invece che dignificare la scelta di vivere in certi luoghi "credendo al Partito".
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enkeynetwork · 4 years
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Playstation 5, come sarà? I concept dei fan
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La Playstation 5 dovrebbe essere annunciata quasi certamente a Febbraio, dicono gli ultimi rumor. Sony tuttavia non ha ancora confermato la data, né ha rivelato alcun dettaglio sul design della nuova, attesissima console. Ma gli appassionati di videogiochi non ci stanno. E così il Web si è letteralmente riempito di fan concept, in cui si immagina come sarà la Playstation del futuro. C'è addirittura un presunto leak proveniente da un brevetto che Sony avrebbe depositato in data non meglio specificata. Scopriamo quindi i design più innovativi che i gamer hanno immaginato per la Playstation 5. A Febbraio scopriremo se e quanto si sono avvicinati alla realtà?
Il presunto leak della Playstation 5
Primo, in ordine di importanza, è il presunto leak comparso recentemente online. Secondo le fonti che lo hanno distribuito, il concept deriverebbe da un brevetto depositato da Sony, anche se non è chiaro quando e come ciò sia avvenuto.
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Un possibile leak della nuova Playstation Lo sketch mostra un design che si ispira per molti aspetti alla PS4 Slim. Tuttavia in questo caso la parte superiore e quella inferiore sono volutamente asimmetriche. Particolare poi il dettaglio a forma di V rovesciata, profondamente in rilievo. Sulla parte frontale della console si trovano il tray per il lettore, il tasto di accensione e ben due porte USB, presumibilmente 3.1. Sony comunque non si è espressa in merito, quindi non c'è modo di sapere se il leak sia davvero originale o, piuttosto, l'ennesimo e riuscito fan-concept.
Il concept realizzato in Dreams
Uno fra i concept in assoluto più spettacolari è quello realizzato da "Canadian Jedi", gamer appassionato con un suo canale Youtube. Canadian Jedi ha realizzato il suo prototipo di Playstation 5 interamente in Dreams, il celebre gioco creativo di Media Molecule.
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Un fan concept della Playstation 5 realizzato in Dreams Il design della Playstation 5, immaginata da Canadian Jedi, riprende il motivo a V del kit di sviluppo, ma lo reinterpreta in chiave personale, con due fasci luminosi a irradiare il simbolo impresso in rilievo sulla scocca. Il tray per la lettura dei dischi è posizionato frontalmente. Il logo della Playstation 5 invece si trova a destra. La parte posteriore della console è invece dedicata alla connettività, con porte Ethernet, HDMI e delle ventole di aerazione particolarmente spaziose.
La Playstation 5 di FalconDesign3D
Un altro concept molto originale è quello realizzato in 3D da un utente di Twitter, @FalconDesign3D. Questa versione si ispira, per ammissione stessa del suo autore, al leak che abbiamo citato in apertura.
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Un fan concept per la Playstation 5 Le linee di design sono anche in questo caso volutamente asimmetriche, la grafica della console è molto pulita, moderna ed essenziale. Il logo PS5 si trova posizionato in cima, mentre le porte e i jack sono posizionati lungo i lati della console. Sicuramente una soluzione molto elegante che reinterpreta i bozzetti del fantomatico "leak" e li traduce in una realtà personalizzata.
PS5, spunta il brevetto del controller
Ma non basta, perché oltre ai concept realizzati dai gamer più impazienti, su Internet non mancano i rumors. Tra questi uno dei più interessanti riguarda un brevetto di controller registrato dai developers di Sony negli ultimi mesi, e che è quasi certamente quello ufficiale.
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Il nuovo Controller DualShock Il Controller DualShock 5 avrà un microfono interno, integrato nella scocca, che potrà essere usato sia nelle campagne di gioco che per il semplice intrattenimento multimediale. Anche i grilletti saranno molto particolari. Infatti sarà presente un feedback aptico che modifica la resistenza dei trigger adattivi, a seconda delle circostanze e delle dinamiche di gioco. L'esperienza ludica dovrebbe essere quindi sempre più improntata a una totale immersione nei propri giochi preferiti. In più, il Controller DualShock 5 sarà probabilmente compatibile anche con la PS4.
Quando sarà annunciata la Playstation 5?
La domanda che però tutti i gamer si pongono è una sola; quando sarà annunciata la nuova Playstation 5? Sony in questi mesi ha serbato il più rigoroso silenzio in merito alla sua attesissima console. E l'attesa è diventata spasmodica, spingendo i fan a interrogarsi e ipotizzare una data plausibile per il grande annuncio.
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Il nuovo logo PS Finalmente, negli ultimi giorni sono circolati alcuni leak che vedrebbero la tanto attesa reveal nelle prime settimane di Febbraio. Mancano davvero pochi giorni all'annuncio di Sony e alla preview esclusiva della Playstation 5? È presto per saperlo, ma su Reddit sta circolando una scaletta sullo show di presentazione. A condurlo, secondo i rumors più gettonati, sarà Geoff Keighley. E la data dovrebbe, in linea teorica, essere fissata per il 12 Febbraio. Read the full article
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saggiosguardo · 6 years
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Piacere di conoscerti Music Unlimited, sarò tuo per 4 mesi... a 0,99€ ne vale la pena
Qualche giorno fa Amazon mi ha riproposto la possibilità di provare il suo servizio Music Unlimited gratuitamente per un mese. Non me lo sono fatto chiedere due volte perché anche se non mi staccherei facilmente da Spotify, mi piace guardarmi intorno e conoscere tutte le piattaforme. Poi, diciamocelo, Amazon è un colosso dei servizi web con il suo S3, per cui almeno sul fronte dell'efficienza ero sicuro di non incorrere in un altro Apple Music (lo so, lo so, tantissimi si trovano bene, ma ogni volta che lo provo io me ne pento: rispetto a Spotify è troppo indietro per funzionalità). In termini di prezzo, lo dico subito, il vantaggio non c'è perché sono tutti più o meno allineati ai 9,99€. Spotify ha il vantaggio di avere un piano famiglia più "flessibile" rispetto a quello Apple e anche Amazon sembra seguire la stessa logica: con 14,99€ al mese (o 149€ all'anno) 6 account diversi possono sfruttare Music Unlimited. Tutto ciò non ci dice la cosa più importante, ovvero se ne può valere la pena. Onestamente io mi fermerei qui e vi direi: provatelo. Non solo hanno riattivato il mese di prova completamente gratuito e senza impegno (potete decidere fin da subito di non rinnovarlo e usarlo senza pensieri) ma vi danno anche 3 mesi aggiuntivi (per un totale di 4) a 0,99€.
Il mio uso di questi servizi è molto semplice, nel senso che ho pochissime playlist effettive, giusto 4 o 5 che tengo aggiornate, e poi mi affido alle radio dinamiche per genere o ai consigli, nella speranza di sentire sempre cose nuove e stimolanti. Non sono uno di quelli che ascolta a ripetizione la stessa musica, insomma, e con Spotify ultimamente mi capita ormai di trovarmi di fronte i medesimi brani troppe volte: mi conosce. L'idea di provare un servizio diverso mi ha stimolato anche in questo senso, proprio per andare lì dove nessun uom... ehm, ascoltare roba nuova. Se invece volete portarvi la vostra musica, anche da un account free di altri servizi, vi consiglio di provare Soundliz o STAMP. L'interfaccia di Music Unlimited è molto gradevole, scura come Spotify ma con delle chicche interessanti. Ad esempio il controller in basso che apre il brano con uno swipe lungo oppure permette con un tocco di mettere pausa o accedere alle valutazioni e cambio brano:
La qualità di riproduzione è buona, la sezione dei consigliati reagisce bene ed ha una sfilza di radio praticamente sterminata. La gestione delle playlist mi pare abbastanza intuitiva e l'archivio decisamente ricco (50 milioni di brani). Ancora lui mi conosce relativamente poco, anche perché l'ho usato un po' random in circostanze diverse, quindi non siamo proprio amici-ici. Abbiamo però 4 mesi di tempo per capire se ci possiamo voler bene e non richiede un rapporto esclusivo. Poi non è neanche uno di quelli che ti costringe a pagare sempre tutto tu e svuotarti il conto in banca, perché assicura che in questi 4 mesi mi farà spendere 0,99€ in tutto. Mi sentirei proprio una brutta persona a dire di no a queste condizioni. Piacere Amazon Music Unlimited, mi chiamo Maurizio e accetto la tua proposta: ci possiamo frequentare fino a marzo 2018. Clicco qui e confermo, alla fine vediamo tiriamo le somme e vediamo se è il caso di ufficializzare il tutto. Per ora ti dico che mi stai piacendo.
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maledettaconsole · 5 years
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Super Mario Maker 2: il metodo marcolago™
Il secondo episodio dello strumento che Nintendo ha messo nelle mani del popolo per permettere di creare e condividere in libertà un numero SPROPORZIONATO di livelli di Super Mario mi ha trovato più attivo rispetto a quanto successe con l’originale.
Sebbene all’epoca del primo non fossi digiuno del creare videogiochi, non avevo mai realizzato nessun livello che fosse definibile decente.
Penso, a ragionarci oggi, più per una questione legata al fatto che facevo livelli per me stesso e non avevo persone con le quali condividere direttamente. Mettere le mie creazioni nel mucchio dei milioni di cose fatte da altri non aveva tutto questo fascino e da qui il poco impegno e gli scarsi risultati.
Ancora una volta avere degli amici con i quali giocare, anche se non nella stessa stanza, è un toccasana che alimenta la creatività e la voglia di fare.
A dimostrazione di ciò, in questo episodio, sono a quota venti livelli pubblicati dei quali nessuno fa schifo e che hanno, per quelli che possono essere i numeri di un perfetto sconosciuto, un apprezzamento decente.
Mi sono detto allora — complice anche il fatto che dopo aver incontrato di persona un “amico in edizione fisica” mi sia un po’ ripresa la voglia di buttare giù dei pensieri solitamente espressi a voce anche se non c’è nessuno ad ascoltarmi — che avrei potuto scrivere “qualche” riga sull’argomento.
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Vado quindi a raccontare il mio metodo di creazione dei livelli, cosa mi spinge a crearli e come, che non è chissà quanto diverso da quello di chiunque altro, o dai più canonici che può raccontare Nintendo stessa o un qualunque level designer più o meno “pro”, ma è il mio e ne parlo sia perché negli anni ho imparato che c’è sempre qualcuno che non sa le cose, anche le più ovvie per chi pensa di saperne, sia anche solo perché posso.
Poi metti che qualcuno trovi davvero utile qualche consiglio o gli prenda un’ispirazione pazzesca. Ben felice. 
Passo ai ringraziamenti già da ora, metti che non si arrivi alla fine!
Da qualche parte bisogna iniziare
Si inizia dalle solite cose, che vado a elencare brevemente per poi spenderci un po’ di parole sopra — alternando anche codici e immagini dei miei livelli in una vera spinta di autocelebrazione — passando quindi per dei processi mentali tutti miei, e così via, tutto mischiato insieme.
Mettiamone un po’ sotto forma di domande.
Che tipo di livello voglio costruire?
Quale meccanica base o oggetto voglio usare?
Cosa voglio insegnare al (o cosa voglio che impari a fare il) giocatore?
Quale idea posso rubare ad altri?
Quale problema visto in altri livelli voglio risolvere?
Quale storia voglio raccontare?
Come voglio che inizi o finisca il livello?
Quale estetica voglio rappresentare?
In mezzo a queste poche domande che costituiscono il punto di partenza ci sono cose come “i livelli si costruiscono da soli” o “ci sarà sempre qualche imprevisto da risolvere” o ancora “è troppo facile/difficile/lungo/corto, non va bene”; vedremo queste cose annegate nel resto.
Andiamo a dare qualche risposta parlandone in modo pratico.
1. Che tipo di livello voglio costruire
Puro platform, puzzle, dichiaratamente speedrun o un mix di questi. O ancora: musicale, automatico, kaizo o troll (per citarne anche alcuni che non sono solito fare).
Partire da una chiara idea di cosa voglio ottenere mi aiuta a restare all’interno di un perimetro fuori dal quale rischio di mettere online una “mischietta” che alla fine non sa veramente di nulla.
Questa regola è quella più malleabile, forse, perché di perimetri ce ne sono almeno due: quello del "va bene lo stesso purché abbia un perché”, e quello del “NO!”.
Il perimetro del va bene lo stesso purché… è un cerchio più stretto, all’interno del quale si possono trovare soluzioni di level design che pur non aderendo al modello originale ristretto non stonano con il tutto o hanno un secondo fine ragionevole.
Parto con il primo esempio: The Run of the Two Worlds (ID: JLF-2YV-BHF).
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Per fare questo livello sono partito con una chiara idea in testa: «Voglio creare un livello speedrun per divertirmi a farlo, divertirmi a giocarlo e far divertire la gente che ci gioca per fare il miglior tempo!».
Durante la costruzione la mia priorità è stata creare un percorso veloce che fosse più o meno mimetizzato tra piattaforme che suggerissero dei passaggi diretti e facili verso il traguardo.
Non ho mai pensato di fare un livello da 20 secondi, forse avrei potuto pensare di farlo intorno ai 30, ma in realtà ho lasciato che venisse lungo quanto “fosse giusto”. E qui vado ad aprire un paio di parentesi.
Un livello si costruisce in parte da solo
Una sfida è tale quando impegna, ma non stanca. Quando è superabile, ma non si risolve da sola.
Utopisticamente parlando un livello dovrebbe poter essere interessante per qualunque giocatore, dal più navigato esperto alla schiappa totale. Utopisticamente, appunto. Ma non è così.
Con questa verità nel cuore ho iniziato a riempire il livello di fronzoli tali per cui i salti più tosti da fare e le situazioni più pericolose avessero comunque una strada più o meno parallela percorribile con maggiori sicurezza e probabilità di farcela. E viceversa, ovvero passaggi troppo facili resi più interessanti da alternative più veloci ma palesemente più difficili.
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In questo modo il livello originale si è ingrandito, la percorrenza si è allungata, ed è emersa la necessità di avere un checkpoint in più.
«Cosa ci fa un checkpoint in un livello speedrun?», vi starete chiedendo.
Eh! Bella domanda, vi rispondo io. Non potrei essere più d’accordo con questa affermazione, ma ci sono almeno due motivi per metterne uno o due.
Come detto sopra, tutti dovrebbero poter arrivare alla fine del livello;
per chi volesse allenarsi in un passaggio specifico avere un punto di partenza più vicino è una cosa molto comoda.
Tornando al punto.
Ho costruito un percorso veloce teorico e decorato il livello con altre piattaforme e ostacoli che potessero essere superabili senza troppa sbatta. Ho comunque fatto in modo che ci fosse un certo livello di sfida a tempo anche per i meno abili, facendo in modo che percorrendo l’ultima parte oltre un certo tempo limite il tubo di uscita dall’area secondaria fosse chiuso all’arrivo ma, grazie ad una pratica porta di reset, si potesse riprovare ancora, forti dell’esperienza accumulata.
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Un livello va testato fino allo sfinimento
Messo in piedi il tutto è stata quindi la volta di provare a vedere se il livello fosse veramente veloce e, soprattutto, non avesse dei palesi passaggi rotti che permettessero di tagliarne delle parti e fare tempi assurdi.
Già, perché una delle cose più divertenti da fare, come giocatore, è rompere i livelli degli altri e farli in meno tempo di quanto previsto dall’autore. E io avrei tanto voluto che questo non succedesse con il mio.
Ho investito allora taaaaaaaanto tempo nel provare ogni, singolo, salto e ogni, singolo, passaggio possibile per fare il tempo, appuntando quali combinazioni potevano produrre il teorico tempo migliore, scoprendo che passaggi non previsti avrebbero potuto fare tagli troppo evidenti e correggendo il tutto assicurandomi (spero) che il percorso progettato fosse effettivamente il più rapido.
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Storia breve: ho speso più tempo a provare il tutto che a creare effettivamente il livello.
Ultima nota, visto che l’autore non può rigiocare il proprio livello e stabilire dei tempi record, ho fatto il “giro di prova” del livello finché non mi è riuscito un tempo sufficientemente buono da settare l’asticella per tutti gli speedrunner che si sarebbero cimentati nella corsa.
Ad oggi il tempo resta imbattuto.
Il perimetro del NO! (non me ne ero dimenticato) è invece qualcosa che rovina completamente l’esperienza. In questo caso l’errore sarebbe stato mettere una boss fight che avrebbe reso una parte di livello dipendente dalle dinamiche di scontri lunghi e spesso casuali, rovinando irrimediabilmente il concetto originale.
2. Quale meccanica base o oggetto voglio usare
Basta una sola cosa per costruire un livello interessante, la singola meccanica forte che permetta di attraversare il tutto.
Questo è effettivamente alla base della struttura a 4 tempi del level design iconico di Nintendo stessa, il kishōtenketsu per chi avesse già sentito il termine.
Non si è certo obbligati ad aderire rigidamente ai passaggi 
introduzione o apprendimento, 
sviluppo o evoluzione, 
espansione o sfida,
conclusione o esame finale,
perché a mio personale avviso si finirebbe per avere, nei grandi numeri, livelli che sarebbero forse un po’ troppo prevedibili. Però ha senso partire da qui, almeno le prime volte o quando si vuole veramente e stressare la meccanica al fine, anche e soprattutto, di insegnare qualcosa al giocatore (ma di questo ne parleremo tra poco).
Due esempi di questo modo di creare sono: Wall Halen (ID: 78B-0CH-GVG) e Wall Halen 3D (ID: TT2-BKY-5NG).
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Due livelli quasi identici, nati per obbligare i giocatori a familiarizzare, esplorare e imparare ad eseguire bene il salto a parete.
Sviluppati in due temi differenti, New Super Mario Bros. U (NSMBU) e Super Mario 3D World (3D World), gli unici che permettono questa particolare meccanica, hanno come scopo bonus anche l’analizzare e metabolizzare le piccole differenze tra gli stili. Sebbene la fisica del salto sia stata normalizzata in tutti gli stili, onde evitare di trovarsi a fidarsi di una pressione del tasto e finire male, basta poco, come il feedback visivo dell’attaccarsi al muro e scivolare presente in 3D World per rendere l’esperienza più fisica e piacevole, arrivando all’essere addirittura più facile e veloce da seguire.
In entrambi i livelli si devono affrontare sezioni verticali costruite secondo i principi del kishōtenketsu.
La prima colonna è per capire il tempo, non ci sono rischi reali (presentazione);
le colonne immediatamente successive evolvono il concetto aggiungendo dei rischi e iterando possibili soluzioni variando, ad esempio, la larghezza della colonna nella versione 3D (evoluzione);
immediatamente dopo, magari alternando i due concetti, si espandono ostacoli e si richiede al giocatore maggiori destrezza e improvvisazione nell’affrontare l’ostacolo (sfida);
si chiude con un passaggio finale che, anche se a volte è derivativo, espande e aggiunge per richiedere a chi sta controllando Mario di dimostrare di aver capito il tutto (esame finale).
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Nello specifico, soprattutto nella versione 3D World che è quella che penso mi sia venuta meglio da un punto di vista creativo e di apprendimento per il giocatore, le sfide centrali sono proposte più volte di seguito riducendo di volta in volta la larghezza della colonna, arrivando ad uno spazio solo (possibile in modo sensato solo in questo tema grazie alla scivolata sul muro, giocare per credere), e aumentando il numero di ostacoli letali.
E tutto questo concentrandosi esclusivamente sul salto a parete.
Se invece pensate che con una sola meccanica si rischi di finire nel noioso e ripetitivo, beh, leggete il punto successivo.
Altri livelli che appartengono a questa categoria:
SPIN! (ID: LWS-BGV-JHF), dove tutto è incentrato sul salto spin per non finire male su twomp e piante piranha (dove un tale con il nome giapponese mi ha fatto un tempo che pensavo impossibile, bravo!);
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Gold at the End of the Rainbow (ID: JL8-4GK-QDF), un livello costruito per volare con la cappa di Super Mario World, costringendo a scoprire e ad eseguire manovre particolari per fare il tempo record (poco apprezzato a dire il vero, sia perché non piace la cappa a quanto pare, sia perché non c’è un vero incentivo alla speedrun).
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3. Cosa voglio insegnare al (o cosa voglio che impari a fare il) giocatore
Sebbene in SMM2 non siano presenti tutti gli oggetti e i meccanismi dei giochi regolari, per ovvie ragioni di semplificazione ridotti ad un insieme comunque molto consistente, è possibile creare un numero potenzialmente infinito di situazioni sia basandosi su meccaniche pure, sia su mix di due o più oggetti o comportamenti.
È il caso, ad esempio, di What’s Behind That Door (ID: MLG-F1H-7BG), un livello nato da un pensiero piuttosto semplice: «Come faccio a far capire al giocatore che in una porta si entra tenendo premuto SU e non premendolo per forza al momento esatto in cui ci si trova davanti?».
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Avevo bisogno di mettere i giocatori davanti a delle sfide che li costringessero o ad un tempismo eccessivo, o ad un tempismo addirittura impossibile.
Ho iniziato quindi a esplorare i possibili modi di mettere il personaggio davanti ad una porta, sì, ma su un pavimento instabile, mobile, pericoloso.
Sicuramente ci saranno molte altre soluzioni rispetto alle sole che ho implementato io, ma ecco quali ho deciso di mettere nel livello.
Per superare la prima parte del livello, praticamente senza rischio di sconfitta se non per salti in faccia alle Nelle, si deve salire sul dorso di una Nella volante che esce da un tubo, imparando nel caso non lo si sapesse che standoci sopra questo nemico smette di volare in linea retta per prendere quota (informazione bonus, che non fa male). Qui l’idea è di saltare sulla Nella facendo in modo che il nostro peso la faccia scendere un po’ per arrivare a filo porta proprio quando ci si passa davanti. Qualche salto di troppo e si è troppo bassi, pochi salti o poco decisi e si è troppo alti. La verità sta nel mezzo. Si preme SU davanti alla porta e si entra.
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Immediatamente dopo un altro momento piuttosto facile, addirittura più immediato per logica ma reso non banale dalla scivolosità del ghiaccio. Si deve saltare su delle stalattiti (sì, sopra, non starci sotto) sospese nel vuoto, arrivare all’ultima, quella sopra la porta e lasciare che caschi. È qui che si dovrebbe imparare effettivamente che basta tenere premuto SU per entrare e non è necessario premere ESATTAMENTE quando si è a livello porta.
Se non lo si impara si deve rifare la parte, risalendo e riprovando, ma prestando attenzione a come si risale perché chi avesse troppa fretta potrebbe trovare un’appuntita e sgradita sorpresa.
Il terzo momento avrebbe dovuto essere quello con le spine ma, visto che qui fare una brutta fine era abbastanza probabile, mi sono trovato costretto a piazzare un checkpoint. E nuovamente ho dovuto allungare un po’ il livello perché un checkpoint l’avevo già messo in quest’area prima della prova finale (sì, level design non lineare, ne parlerò più avanti).
Il terzo momento allora è diventato una normale caccia alle monete rosa, solo 3, ma messe in una stanza resa buia dall’effetto notte della casa dei fantasmi, illuminata solo da sporadici boo e qualche fiammella. Per entrare nella porta serve la chiave e un minimo di tempismo per entrare nella ruota di boo quando si apre il varco.
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Qui, facendo di necessità virtù, sono anche riuscito a creare un interessante passaggio che ha giustificato la copertina del livello come parte dello stesso. Dettagli belli.
Il quarto momento, quindi, è quello con le spine, nato all’inizio come una sequenza di salti tra blocchi nota e spuntoni dove si doveva entrare nella porta durante i rimbalzi.
La meccanica però qui era più incentrata sul saltare che non nell’entrare nella porta, perché il blocco nota a differenza del trampolino considera il personaggio appoggiato su un piano per qualche frame.
Troppo facile, andava cambiato.
Ho quindi messo un trampolino al posto del blocco nota, rendendo impossibile entrare nella porta, e costruito un mini puzzle che ha il bonus extra di insegnare che sugli interruttori P si può salire per qualche frame senza attivarli, permettendo così non solo di non fare una brutta fine sulle spine, ma anche di entrare nella penultima porta.
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Ultima porta, ultima sfida. In pieno stile “esame finale” ho voluto creare qualcosa che fosse più articolato e che portasse all’ultimo modo (non assoluto, parlo del livello) di fare un ingresso trionfante.
Una bella piattaforma instabile, di quelle blu che cadono appena le tocchi, e via.
Però se la piattaforma fosse sparita nel vuoto senza che si fosse riusciti ad entrare sarebbe stato un problema, perché si sarebbe costretti a tornare indietro per resettare, ma una cosa che non ho ancora detto è che non è possibile il reset di una sfida attraversando la porta di ingresso, perché questo avrebbe voluto dire anche affrontare nuovamente la sfida precedente.
Da qui la necessità di costruire un percorso su rotaia che portasse nuovamente la piattaforma in alto, ma così la piattaforma avrebbe avuto una velocità ridotta e sarebbe stato tutto più facile. Uff!
Soluzione: un bel po’ di seghe circolari che non fanno mai male (figura retorica di qualche tipo), un breve tratto a caduta libera e la porta abbastanza fuori portata da rischiare di far cadere i giocatori più irruenti.
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Piccolo loop in caso si debba rifare il pezzo e via. Una volta presa la porta si atterra dritti sulla bandiera del traguardo in un tripudio di miccette e fuochi d’artificio.
Immaginando che sia stato superato anche da chi non sapeva, ad inizio livello, queste sfumature di ingresso nelle porte: missione compiuta!
Un altro livello nato dal desiderio di far imparare al giocatore che si possono fare delle particolari manovre con un altro oggetto è Vroom! Vroom! Skreeeak! (ID: 0WF-X5K-TLG), dove chiedo di controllare la nuova Koopa Car, aggiunta del tema 3D World, in modo completamente diverso rispetto agli altri livelli costruiti praticamente tutti come degli auto runner.
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È un livello dove ogni sfida è pensata per essere affrontata più di freno che di acceleratore, costringendo il giocatore a stare spesso fermo in un posto con una macchina che ha la manetta bloccata al massimo.
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Una cosa così, completamente diversa da quanto visto (da me almeno) fino a quel momento.
4. Quale idea posso rubare ad altri
Non è una cosa (così) cattiva, non fate subito quelli che si indignano. Funziona così.
Prendiamo ad esempio quando revisioniamo insieme i livelli che fanno i miei figli: e vado a sistemare delle cose spiegando sempre il perché lo faccio, in modo didattico.
Ogni tanto capita che io faccia una modifica che a loro non piace e, nonostante il mio argomentare, non vogliono che gli modifichi quella parte.
Quando questo succede, se l’idea di base era veramente valida, allora mi approprio di quella particolare modifica e ci costruisco attorno qualcosa io.
Perdonato ora?
Anche in questo caso si parla di singole pillole di idee, una meccanica, un passaggio specifico, un perché. Si procede come abbiamo già visto più su, è un po’ solo un altro modo di partire a costruire qualcosa.
In effetti è proprio così che è andata con Wall Halen, ma si è poi evoluta nel doppio livello molto più articolato della versione originale del mio piccolo maker (del quale lascio qui l’ID autore, se qualcuno volesse provarne le opere: Cece™ PS7-PTJ-DCG).
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Un altro livello che ho fatto partendo da un’idea vista fatta da altri, è The Short Way to Home (ID: J9B-KPW-14G).
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Avevo visto, principalmente nei livelli di Wariuzzo (ID: X41-LQ0-QNG) — ottimo maker che fa capolavori sia per level design, meccaniche e sfide, sia per coreografie sempre più che perfette — un uso particolare dei paletti del categnaccio, ma senza categnaccio, come piattaforme leggermente instabili e di superficie ridotta.
Volevo capire come riusciva a usare quegli oggetti che non erano, naturalmente, disponibili nell’inventario, così studiando un po’ i suoi livelli ho capito che semplicemente faceva scoppiare i categnacci appena questi venivano caricati nel livello. Geniale, ma come usarlo per creare un livello che non sapesse per forza di già visto e già giocato?
Gironzolando un po’ con l’editor, dopo un po’ di prove inconcludenti e con una voglia di fare qualcosa di più veloce e reattivo rispetto ai livelli dove avevo visto questa cosa originariamente, ho optato per una corsa a perdifiato su una lago velenoso nel tentativo di tornare alla propria, amata, casetta (un po’ di storytelling aiuta a costruire l’ambientazione).
Tutto bene con la costruzione dei singoli ostacoli o, meglio, gruppi di ostacoli, fino a quando mi sono scontrato con dei problemi.
Ed è il momento di un piccolo stacchetto.
Problema che viene, soluzione che trovi
Sono successe queste cose.
Il caricamento dei nemici è legato all’avanzamento del giocatore e questo rendeva il ritmo delle piattaforme mobili su rotaia e delle esplosioni troppo aleatorio rendendo il livello un po’ troppo imprevedibile e lasciando qualche volta in vita un categnaccio che rovinava tutto.
Ho finito le bombe e non potevo più far esplodere categnacci!
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Per ovviare a questi problemi ho dovuto rivedere il design del livello facendo rispettivamente due cose.
Per il primo problema ho dovuto chiudere il livello in sezioni separate da porte che, grazie allo scorrimento automatico, controllavano molto meglio il caricamento delle risorse che non hanno mai più dato problemi di aleatorietà e categnacci immortali.
Tuttavia il livello non era più uno speedrun puro a chi arriva prima ma si presenta con un minimo tecnico molto facile da raggiungere. La difficoltà, a parte i salti a rotta di collo sulle spine, è però diventata il non essere mai né troppo in ritardo né troppo in anticipo con il rischio di perdere il ritmo e non riuscire nei salti o, addirittura, arrivare a sbattere contro il bordo destro dello schermo e fare una brutta fine perché non si riesce ad affrontare il pezzo successivo.
Il secondo problema è stato invece affrontato nell’unico modo possibile, visto che fino a quel punto il livello era troppo corto e non volevo assolutamente usare un’area secondaria: presentando una terza sfida leggermente differente rispetto alle prime due, ma che ne condividesse degli elementi riconoscibili.
È qui che mi sono reso conto che la meccanica base iniziale, ovvero il salto sui paletti dei categnacci, era in realtà più un salto sulle spine che galleggiano sul veleno (usando i paletti di categnaccio) e si era evoluta poco dopo in salto spin sui gusci spinosi mentre evito le spine che galleggiano sul veleno.
Avevo a disposizione un sacco di sfumature diverse della stessa sfida di base, che fortunato!
E fu così che unii salti tra le spine a salti spin su oggetti in movimento con la fretta moderata dello scorrimento automatico.
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Tutto sommato penso di esserne venuto fuori bene dai problemi.
Nota a margine: questo livello è stato anche “premiato” con una menzione di Nintendo Italia come un bel livello a tema Super Mario World.
Ne sono felice, ma mai quanto sapere che c’è chi lo considera “il miglior livello in circolazione” anche se si tratta di amici che potrebbero essere considerati di parte.
Nota curiosa: quello stesso amico, @arkady_18 su Twitter, è la persona che mi ha costretto a tenere un particolare salto del quale mi stavo lamentando in chat vocale (stimolante la sera mentre si crea nella solitudine di casa propria, proprio come ho detto all’inizio) perché pensavo che avrebbe più che altro fatto storcere il naso ai giocatori. Quel salto l’ho tenuto, il livello gli è piaciuto tanto, e io sono ben felice quando mi riesce bene perché è davvero tutto molto fluido, vedere per credere.
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5. Quale problema visto in altri livelli voglio risolvere
Un giorno ho giocato ad un livello di SirZompi (ID: H1T-F8N-3FG), uno dei maker che anima il canale Discord dei Re-Polp Fiction, insieme a Lucacat (ID: D6G-SH0-HPG), forza toro (ID: QHG-FN2-C5G), parzival (ID: VC9-80T-W0H), e tanti altri ottimi soggetti, sia come persone, sia come costruttori di livelli. Non posso citarli tutti ma potete venirci a trovare, basta chiedere.
L’hype era grande perché nei due giorni prima della pubblicazione lui non faceva altro che vantarsi che era difficile, prima, e lamentarsi che non riusciva a superarlo, dopo!
Mi piacciono i livelli difficili, soprattutto quando sono onestamente e non pretestuosamente impegnativi.
Mi piacciono i salti precisi, gli input rapidi e scattanti, il trovare la strada corretta o la più veloce (quasi mai la stessa) e il flusso fluido dei livelli fatti bene.
SirZompi ha fatto un livello diviso in due metà. La prima con salti, ostacoli e nemici che devono essere affrontati con solerzia, tempismo e una bella dose di precisione, davvero molto bella; la seconda in caduta libera in un labirinto di spine con troppo poche indicazioni su dove andare per evitare gli ostacoli in accelerazione di gravità con un controllo tutto tranne che reattivo.
Era davvero una bella seconda metà con il solo difetto di mancare di buoni feedback.
Mi sono imposto, anche dopo una breve discussione sull’argomento con gli altri su Discord, di dimostrare che con altri feedback, più forti e visibili, sarebbe stato (più) facile superare il livello.
Quindi, un po’ rubando l’idea (già spiegato che non è una cosa malvagia), un po’ partendo da una meccanica base (la caduta libera), e un po’ volendo raccontare una storia o usare uno scenario narrativo particolare (lo vedremo a breve), ho messo in piedi un livello che si propone di simulare una corsa in pista alla massima velocità possibile, tematizzandolo come un “Mario Kart in Mario Maker”.
Il livello si chiama, senza troppa fantasia: Mario Kart Maker Championship (ID: 68X-KYG-DQF).
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Ho diviso il livello in 3 sfide distinte, la 50cc, la 100cc e, ovviamente, la difficile 150cc.
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La 50cc è finanche banale, ma costituisce il tutorial per capire come giocare il resto. Non è certamente così immediato, me ne rendo conto, ma anche con un minimo di istruzioni nella descrizione del livello c’è da considerare che chi dovesse affrontarlo nella modalità sfida infinita non vedrebbe nulla se non il titolo.
La 150cc doveva essere la 100cc all’inizio, ma era talmente tosta e tutta di filato che ho creato una via di mezzo con momenti di pausa tattici per permettere ai “malcapitati” di prendere fiato.
Ma il punto è: come ho risolto il problema?
Fin dall’inizio ho sostenuto che, se si fosse indicato più chiaramente e tempestivamente quale direzione sarebbe stata la prossima da prendere, il tutto avrebbe funzionato. Inoltre, visto che il controllo in aria è tutto fuorché reattivo, per me era importante che una volta presa una direzione si sarebbe dovuto tener premuto quel tasto fino al cambio successivo. Micro correzioni in volo erano da escludere, quantomeno come metodo canonico di risolvere il livello.
Mi era tutto chiaro, quindi forte della funzione “scia di Mario” dell’editor ho iniziato a saltare nel vuoto dall’alto e a costruire ogni rettilineo e curva basandomi sugli input.
Ho messo una scia di frecce ad indicare non tanto la direzione della successiva curva, quanto piuttosto quale direzione tenere sul controller, e ho indicato il momento esatto del cambio di direzione usando i blocchi blu tratteggiati (i blocchi ON/OFF spenti, per capirci).
In questo modo il feedback visivo era sufficientemente forte a mio avviso da permettere ai giocatori di riuscire nell’impresa dopo qualche tentativo, il minimo per metabolizzare la cosa.
Ah! Ovviamente i bordi della pista sono fatti di spine, toccarli vuol dire sconfitta visto che come spesso faccio non ci sono power-up utilizzabili nel livello per poter sopportare del danno (e poi il personaggio piccolo può passare in spazi più stretti).
Al feedback visivo ne ho aggiunto uno audio, nella forma (suono) di uno YEAH! che anticipa leggermente il momento della sterzata, perché l’essere umano reagisce più rapidamente ad uno stimolo visivo che uditivo. Ho provato il tutto giocando a occhi chiusi per un po’, e funzionava. Per me era a posto, anche se essendone l’autore partivo con un certo vantaggio.
Tutto il resto è stato costruire diritti e curve e ambientazione in modo che sapesse di Mario Kart.
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Ad esempio, in un certo punto della 150cc si viene minacciati da un categnaccio, come in alcune piste reali.
Piccola nota sulla 100cc. Il motivo per cui il giocatore ad un certo punto sale su una piattaforma teschio-blu (non ricordo il nome esatto qui e ora) è che avevo bisogno di farlo risalire più in alto per recuperare spazio, avendo usato ogni singolo tassello di area secondaria in verticale per sviluppare le tre cilindrate.
Ho chiuso il tutto con un’area principale che è più che altro decorata in modo da apprezzarla nella schermata dei dettagli del livello e con un finale che fa arrivare il giocatore sul gradino più alto del podio, con un pubblico che “scoppia” per l’esaltazione. Fuochi d’artificio, tutti a casa.
L’unico vero problema che ho dovuto affrontare è che ad un certo punto ho finito le frecce disponibili e ho dovuto metterne solo quattro dopo ogni curva. Ammesso che si impari che un input va tenuto fino al successivo, il problema non sussiste.
Potrebbe essere interessante sapere perché ho scelto il tema di Super Mario Bros. 3 (SMB3) e perché quella particolare ambientazione.
Facile. È l’unica combinazione che mi ha permesso di avere delle caratteristiche utili per la leggibilità di quello che succede a schermo.
Lo sfondo dello scenario è completamente nero, nemmeno una decorazione che potesse distrarre dall’azione. Anche il tema di Super Mario Bros. ne ha, ma quello che invece non ha è il cambio di direzione in cui guarda Mario mentre cade. In SMB3 invece, quando Mario è in volo e ci si gira dall’altra parte il personaggio si orienta in accordo con l’input. Fondamentale per analizzare il proprio gioco e capire se si sta facendo tutto nel modo corretto.
Per chi pensasse impossibile affrontare il livello e preferisse un approccio più da “Peeping Robin”, ho preparato un video di gameplay con solo le parti importanti e gli input corretti in sovrapposizione.
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Il livello che ne è venuto fuori è una sfida che sta mettendo a dura prova i giocatori, ma è anche incredibilmente il mio livello di maggior successo (capirai!).
A parte il concludere che la gente non sa quello che vuole giocare nemmeno in Mario Maker, chi troppo facile, chi troppo difficile, chi boh!, mi è stato lanciato il guanto di sfida del fare la 150cc speculare.
Ovviamente ho accettato la sfida, e ovviamente ho rilanciato buttandoci dentro anche la 200cc, tra l’ingiocabile e il caciarone, proprio come nel Mario Kart vero.
Superato ad oggi da un solo essere umano, ecco a voi Mario Kart Maker Championship Deluxe (ID: BV0-R3M-TYF).
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Se avete piacere…
6. Quale storia voglio raccontare
«È un gioco platform! Si salta e si salva la principessa!», potrebbe dire qualcuno. Ma non potrebbe avere più torto.
Per prima cosa perché in Super Mario Maker la storia della principessa non c’è. E comunque ha rotto le scatole nel 2019.
E poi perché una sequenza di salti, a mio avviso, ha più senso e più obiettivo se affrontata con uno scopo o una storia di sottofondo, fosse anche solo l’allegro gironzolare per una foresta.
È così che sono nati un paio di livelli in particolare: Adventure in the Forest (ID: 8S9-GGG-7KG) e Starry Night Adventure (ID: Y86-MBS-CDF).
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I livelli adventure sono quelli che io chiamo così perché è permesso gironzolare più o meno liberamente per la mappa, prendendo strade alternative progettate e affrontando le sfide nell’ordine che si preferisce, nei limiti del possibile.
In questo tipo di livelli concateno sfide basate più su un flusso avventuroso non lineare, proponendo momenti che, a sentimento mio, ben ci stanno se affrontati di fila, con sfide che vanno dal facile al più difficile non necessariamente in quest’ordine.
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Non hanno un senso vero e proprio, come il gironzolare per perdersi e poi trovarsi al punto di arrivo in un bosco di notte, o vivere una città durante una notte stellata, tranquilla ma non per questo poco pericolosa.
Forse messaggi troppo criptici che non vengono sufficientemente fuori, ma chiari dentro di me e che ho preferito tenere di fondo ad un’esperienza incentrata sul platform.
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Magari più criptico ancora ma molto divertente da progettare, realizzare e correggere tutte le volte che gli amici me lo hanno rotto provandolo, è stato The Pit of Fail (ID: 9DK-3CH-1QG).
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Un livello creato con un’idea forte in testa, ovvero: tutto quello che il giocatore fa per raggiungere il traguardo deve fallire, per poi riuscire solo una volta toccato il fondo.
La grossa pretesa che avevo nel crearlo era di fare in modo che i giocatori fossero “frustrati” dal non riuscire mai a fare quell’ultimo salto che li avrebbe portati all’uscita, chiaramente tenendo la frustrazione entro limiti accettabili per non far partire il rage quit (fin troppo facile a giudicare dalle statistiche di completamento del gioco).
Sono partito allora dalla scelta del tema in quanto funzione e non estetica.
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Avevo bisogno di avere controllo assoluto sulle possibilità di movimento, non volevo rischiare di trovarmi con persone capace di salti impossibili che avrebbero finito il livello fin dalla prima area.
L’unica scelta possibile è stata Super Mario Bros. per via dell’implementazione più pura e minimale dei concetti di corsa e salto. Niente spin, niente rimbalzi strani, niente possibilità di afferrare gli oggetti.
Partendo da questo, e potendo misurare con serenità ogni lunghezza grazie ancora una volta alla funzione scia non è stato difficile impostare le macro aree del livello. Più complesso connetterle insieme, facendo in modo che nessuna fosse saltabile se non dove appositamente progettato, e che tutte conducessero al punto più basso dell’area secondaria, dove sarebbe iniziata nuovamente la scalata, questa volta con successo.
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Un po’ per volta, comunque, ne sono venuto fuori, ragionando sempre a compartimenti stagni, sotto area per sotto area, cosa che mi ha causato non pochi problemi dopo la pubblicazione.
Già, perché mentre ho speso parecchio tempo a progettare tutto quanto in modo che durante la discesa si fallisse ma durante la risalita fosse facile — anche a causa o per colpa delle azioni compiute poco prima — non ho testato a dovere dei casi che alla fine si sono rivelati non così limite come pensavo.
Insomma, nel giro di poche ore dalla pubblicazione, un paio di amici me lo hanno rotto per bene, registrando tempi ben al di sotto dei teorici 30 secondi minimo che avevo progettato come “soluzione alternativa” per il livello, possibilità anche in questo caso coerente con la narrazione.
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La fortuna più grande, però, è che a romperlo sono stati proprio degli amici con cui ero in contatto e che mi hanno fornito immagini e video di come hanno fatto, così che io potessi correggere il tutto.
Certo, ad un certo punto mi sono dovuto prendere del tempo per tirare giù il livello e riprogettarne una parte in modo abbastanza drastico, ma ne è valsa la pena. Dopo questo confronto era molto migliore di prima.
Il livello è un continuo scendere, provare a risalire, fallire un salto, cadere apparentemente nel nulla per scoprire strade alternative, mancare una nuvola per pochi istanti, e poi farcela.
A mio avviso il messaggio passa. Spero sia così anche per i giocatori. Se qualcuno fosse d’accordo o in disaccordo me lo facesse pure sapere. Apprezzerò.
C’è poi un altro livello del quale voglio parlare, non mio, ma di uno dei miei figli.
Qui la storia da raccontare non è originale, ma è ispirata al gioco che più di tutti lo ha segnato nell’immaginario: Hollow Knight.
È così preso da quel gioco da aver speso davvero parecchio sia nel gioco stesso che sulla wiki per imparare quanto più possibile su storia e personaggi. Conosce alla perfezione tutto quanto e sa il nome del compositore della colonna sonora, cosa tutt’altro che scontata.
È così preso da quel gioco che ne ha ricreato — più simbolicamente che altro, ok — una delle aree: White Palace (ID: N3G-761-KXF).
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Cosa c’entro io?
Come in tutti gli altri livelli ho fatto una revisione perché la regola di casa: non si pubblica niente se non è approvato da papà marcolago™.
Revisionando il livello, un blocco qui, una sega circolare là, mi ha fatto notare che aveva creato anche il Percorso del dolore, il passaggio puro action/platform più difficile di tutto il gioco. Solo che, pur opzionale, non era più difficile del tragitto standard, allora mi sono messo lì e ho aggiunto una discreta dose di perfidia, di salti al pixel e di mezzi salti con lunghezze e altezze fuori standard.
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L'unico peccato è che non c'è modo di sapere chi l'ha intrapreso e chi l'ha superato. A parte, forse, un giocatore che ha commentato che gli sarebbe piaciuto un checkpoint nel livello. Solo che il checkpoint c'è, ma se si prende il Path of Pain si salta!
Se voleste provare qualche livello di Carraxiu, ecco il suo ID: STC-C5D-7NF.
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7. Come voglio che inizi o finisca il livello
Spesso costruisco l’inizio e la fine del livello come prima cosa, con non pochi problemi dopo dovendo magari spostare, copiare e far quadrare le dimensioni del tutto. Questo è il principale motivo per cui, spesso, nei miei livelli c’è tanta roba all’inizio e alla fine ma quasi niente nel mezzo dell’area principale. Ops!
A volte invece è un esercizio che torna a toccare le corde della narrativa, o del gameplay puro, ma comunque resta un dialogo tra me (l’autore) e il giocatore.
In fondo ogni livello è un dialogo tra le due parti, più o meno esplicito, con messaggi più o meno forti, ma è così.
Un esempio di dialogo basato sul gameplay, e sull’essere un po’ trollone è il livello Tricky Twisty Clouds (ID: M2Y-RSP-JKF). Il mio secondo livello creato in Super Mario Maker 2 e un tentativo di fare tante cose tutte insieme (e forse per questo non riuscito esattamente al 100%).
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In questo caso sono partito esattamente dal finale. Volevo che il giocatore, qualunque cosa avesse passato per arrivarci, si trovasse davanti al traguardo e ci si buttasse a capofitto, solo per scoprire che era una trappola letale. Avrebbe dovuto quindi giocarsi ancora un pezzetto di livello, non difficile, non complesso, ma comunque una cosa in più, inaspettata.
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Avevo questo passaggio, ma cosa ci avrei messo nel mezzo? Saltini e corsette senza particolare carattere?
NO! Volevo qualcosa di memorabile, qualcosa di fattibile per tutti e che avesse un senso nel complesso del livello.
Quasi subito mi è presa l’idea di sviluppare un livello che andasse da destra verso sinistra e non nella solita direzione canonica. Non è stato facilissimo implementare alcune cose, anche perché nemici e meccaniche di gioco sono progettati per andare nell’altra direzione, ma dopo un po’ di giri una bozza di livello c’era.
A questo ho aggiunto il voler creare due percorsi, che ho definito Speedy Path e Greedy Path.
Nel primo l’obiettivo è fare il tutto più velocemente possibile tralasciando qualsiasi oggetto o distrazione, per questo i checkpoint sono messi in punti tali da far perdere tempo a chi li volesse attivare, ad esempio. Inoltre è un percorso fatto di salti più difficili e di assenza di potenziamenti.
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Il secondo percorso invece presenta una sfida molto più bassa, se ne frega di quanto ci metti a percorrerlo, ma ti chiede di raccogliere 10 monete rosa (troppe, ma volevo provarne il limite) per sbloccare un’ulteriore area opzionale con ancora più denaro.
Oltre a queste due strade ce n’è una terza, il Trolly Path (licenza poetica) che è in realtà il percorso più veloce perché si basa sul rompere una parte di livello, ma che sarebbe stato tutto da scoprire prendendo un po’ in giro il giocatore cercando di confonderlo proprio con la struttura un po’ ribaltata e non convenzionale. Ovviamente avevo basato questa parte sulla convinzione che il giocatore medio parte e punta all’obiettivo guardando la strada che ha davanti, ma non avevo fatto i conti, ancora una volta (anche se è stata la prima, in effetti), con arkady18 che ha trovato la terza strada poco dopo la pubblicazione.
Beh, poco male, è stato bello finché è durato! E a chi avesse pensato all’errore, faccio notare che dopo aver meticolosamente piastrellato un pavimento di blocchi invisibili per impedire a chi non fosse riuscito a saltare sulle palle di cannone di riprovarci (tra l’altro un passaggio che ho dovuto semplificare molto per renderlo eseguibile da chiunque), costringendolo alla “tortura” di non uno, ma ben due labirinti a percorrenza lenta, non è che ho lasciato un singolo buco vuoto per caso. Eh!
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8. Quale estetica voglio rappresentare
Fuori tutto, le meccaniche, gli obiettivi, le funzioni, la storia, a volte si può voler fare solo qualcosa di bello da un punto di vista estetico.
Non c’è niente di male in questo, ma se c’è del gameplay è meglio.
Partendo da questo, e da un’idea davvero semplice che mi è venuta  compiendo un particolare gesto in modo naturale, è nato I Drew the Background (ID: PKP-KKG-1LG).
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È un livello basato sull’estetica lineare e geometrica del primo Super Mario Bros. che è talmente “squadrato” nella sua esecuzione da proporre come fondale sempre le stesse due montagne che si ripetono e sempre le stesse nuvole, solo di tre dimensioni differenti.
Il livello si è ridotto ad un semplice piazzare dei blocchi disegnando sopra alle montagne e alle nuvole, trasformando così elementi dello sfondo in piattaforme in primo piano.
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Ovviamente ci ho messo del gameplay, rendendo alcune montagne pericolose e altre no, e facendo in modo che passare sulle nuvole non fosse solo un modo per evitare i pericoli delle montagne di spine, ma fosse necessario per recuperare la chiave verso l’uscita.
Livello corto, senza alcun checkpoint, si risolve in fretta e spero piaccia più per l’idea di fondo che non per la sfida.
Una nota per chi volesse obiettare che non tutte le nuvole sono state disegnate.
Non è così, ma forse non potete saperlo. È vero che le nuvole dove è lecito salire sono state ridisegnate con il blocco nuvola (meta referenziale, oserei dire), ma tutte le altre dove non volevo che si andasse sono state coperte da dei blocchi invisibili. Così io ho intrinsecamente ragione e nessuno mi rompe il livello. Qualche blocco potete anche attivarlo, e se vi sbattete potete anche andare in alto. Ma non c’è nulla, ed è stata una vostra scelta.
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Errori, o presunti tali
A giochi fatti, col senno di poi, sarei troppo buono con me stesso se pensassi che tutti i livelli fatti siano perfetti e non perfettibili.
Vorrei fare delle ammissioni spontanee ed evidenziare quelli che secondo me, e anche secondo altri che si sono presi l’apprezzato disturbo di farmelo sapere, sono dei difetti più o meno importanti e che terrò in debito conto per i prossimi livelli.
Speedrun troppo lungo
È ovviamente il caso di Run of the Two Worlds. Volevo fare una sfida per i più abili, capaci di restare concentrati e mettere tutta la loro tecnica in campo per superare una sequenza di salti precisi e rischiosi ma, evidentemente, 45 secondi di fatica sono troppi.
A guardare bene gli speedrun che vanno di più sono tra i 20 e i 30 secondi, progettati in un altro modo rispetto a quanto fatto da me.
Il livello mi piace, trovo che sia ben riuscito, ma mi dispiace che nessuno lo stia affrontando per battere il mio tempo di riferimento.
Parti di livello saltabili a piedi pari
L’ho fatto apposta, il permettere di saltare delle parti nei due “adventure”. Avevo i miei motivi.
Per Adventure in the Forest era il desiderio di fornire un percorso speedrun, per Starry Night Adventure era il permettere di saltare una parte a durata fissa per alcuni considerabile lenta.
Non è una cosa grave, e magari non è nemmeno una cosa criticata, però alla fine mi dispiace che le parti più interessanti dal punto di vista platform di questi livelli non vengano viste.
Troppo difficile no, troppo facile no, il giusto
Non ci sarà mai cosa più difficile di fare un livello difficile il giusto.
Non solo perché tanto non si metteranno mai d’accordo tutti, ma anche perché ogni autore ha il suo limite e dovendo superare il proprio livello per poterlo pubblicare si è portati a tarare tutto su di sé e sulle proprie abilità.
Nel caso dei due Mario Kart non c’è da dire molto, quelli nascono apposta per essere difficili senza riserve, anche se conoscendo come farli non sono così difficili.
Dal lato opposto c’è The Boss Strikes Back (ID: GYY-TJN-Y1G) che, nel desiderio di fare in modo che tutti potessero arrivare alla boss fight finale, ho reso praticamente una passeggiata elargendo power-up con manica troppo larga.
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E, nonostante tutto, la percentuale di completamente è ben bassa. 
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Dopo aver raccolto qualche feedback non mi andava di togliere e ripubblicare il livello — è una cosa che mi sta davvero antipatica non poter fare delle correzioni in corsa — allora ho rifatto solo la boss fight, più difficile ma non impossibile, e l’ho pubblicata come un nuovo livello: The Boss Strikes Hard (ID: QCN-STP-4TF).
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Per motivi che sfuggono la mia umana comprensione, qui la percentuale di completamente è decisamente più alta! Ma allora il problema sono i salti? Qui ci sarebbe da scriverne un libro.
Ma è, diciamolo ancora una volta, difficile difficile difficile bilanciare un’esperienza per tutti, e io mi sto impegnando proprio per riuscire a fare dei livelli che siano onesti, sfidanti, superabili e belli da giocare.
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Testare di più, testare non solo tu
Ho la fortuna di avere due figli che giocano e creano livelli per conto loro.
È una fortuna perché io faccio provare i miei livelli a loro e loro lo fanno con me.
Lato mio, però, spesso non prendevo in considerazione come loro giocano il livello perché, essendo piccoli, non si comportano come i giocatori più esperti.
In realtà sbagliavo perché sono bravi, più di tanti, ma soprattutto perché hanno un approccio al livello spesso inaspettato, e questo è oro in un gioco dove non è possibile creare una versione “beta” del livello da far provare a pochi fidati per raccogliere feedback e commenti.
È già da un po’ che ogni livello lo faccio provare sempre a loro prima di pubblicarlo e lo modifico di conseguenza, quindi rispetto all’inizio non è più un problema, ma andava detto.
Fate giocare i vostri livelli da quante più persone possibile prima di pubblicarlo, sia giocatori navigati, sia gente alle prime armi. Switch è portatile, tenetelo con voi in ufficio, a scuola, ovunque, e fate giocare la gente.
E se non avete giocatori solidi vicini, entrate in qualche gruppo di maker e condividete il livello prima con loro e non abbiate paura di tirarlo giù e ripubblicarlo rivisto e corretto.
Cose strane difficilmente inquadrabili
A volte mi viene un’idea talmente piccola ma esplosiva che devo farci un livello anche se viene di una sola stanza.
È successo ad esempio, mentre finalizzavo SPIN! che avessi creato un meccanismo di quelli che alternano i blocchi ON/OFF pasticciando un po’ troppo.
Contemporaneamente mi è presa l’idea di fare un livello ritmico, ma non musicale, ispirato più che altro a Crypt of the Necrodancer.
Da queste due cose, considerando che lo sviluppo orizzontale non era fattibile come avrei voluto, è nato il puro esperimento stilistico che è Seriously?!? (ID: NLH-XB6-JTG).
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Un livello più fuori di testa che altro, dove è richiesta la sola precisione ritmica nella pressione di un singolo tasto per superarlo. Complice il fatto che non è possibile essere sconfitti è, ad oggi, il mio livello più superato in assoluto, con un abbondante 40% di successo!
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In un altro modo, la stessa idea l’ho usata nell’extra di Vroom! Vroom! Skreeeak!, ma in questo caso più come “punizione”.
E poi c’è Messing Around (ID: C85-0LQ-X1G) che è esattamente quello che dice il nome, ovvero un livello nato pasticciando quasi a caso con l’editor, partendo dal concetto di livello che si risolve da solo ma rovinandolo proprio sulla bandierina.
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Farlo è stato un pasticcio dietro l’altro, giocarlo lo è ancora di più, tanto che ho esplicitamente invitato la gente a romperlo apposta.
E indovinate un po’ chi è stato il primo a farlo?
Chi ha detto arkady18?!
Cose importanti che importano, forse, solo a me
Ma che aggiungono non poco ad un livello sia come narrazione, sia come memorabilità.
Trovate sempre un nome per il vostro livello
Non pubblicateli con nomi a caso, con progressivi o con caratteri strani. Un nome adeguato, accattivante e che possa automaticamente dare un qualche indizio su cosa aspettarsi è già di per sé un bel biglietto da visita. Può contenere un suggerimento su come affrontare il livello e, in certi casi, è anche bene che lo abbia. Certo, i caratteri sono pochi e la descrizione è più adatta a quello, ma se pensate che alcuni giocatori (i più, probabilmente) incontreranno il vostro livello nelle sfide infinite, sappiate che lì potranno leggere solo il titolo prima di giocare il livello, e dovrebbero andare a cercarsi la descrizione di proposito nel menu di pausa.
A volte la creazione di un livello parte proprio dal titolo. Io ne ho un in cantiere, ancora acerbo e per nulla sviluppato che è nato intorno ad un’idea di meccanica che si è trasformata prima in nome e poi in livello: Slippery When Night.
Scegliete con cura il punto del livello da mettere in anteprima
Nella schermata dei livelli, sempre per chi gioca dalla ricerca, è la prima cosa che si vede di come è fatto, il suo biglietto da visita.
Potete scegliere il passaggio migliore, quello più difficile o caratteristico.
Potete scegliere una parte che fa uno spoiler importante, che evita uno spoiler importante o che dia un suggerimento su come affrontarlo o un indizio su dove trovare un oggetto particolare.
Potete scegliere una parte che non c’entra niente con il livello creando una copertina ad hoc.
Se avete fatto un livello sulla sola area principale potete entrare comunque nella secondaria, anche senza tubo, e usare tutto lo spazio che volete per creare copertine e poi scegliere la migliore.
Oppure potete trovare uno spazio vuoto, grande quanto una schermata di gioco, e mettere lì la vostra piccola opera d’arte.
I miei consigli per una copertina sono i seguenti.
Concettuale: rappresentate il concept del livello, ad esempio qualcosa che comunichi mistero o sorpresa, come in What’s Behind That Door o Messing Around.
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Testuale: scrivete quello che riuscite a farci stare, in qualche modo, così che possa completare o rinforzare il titolo, come in SPIN!, The Pit of Fail o The Boss Strikes Back.
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Figurativa: un’illustrazione che rappresenti una parte del livello o il tutto, o un particolare dettaglio reso più grande e dettagliato, come in Adventure in the Forest o Starry Night Adventure.
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Oppure, ancora, come nel livello The Abyss (ID: D89-Q3D-FRG) di Cece™, che visualizza un’illustrazione di un momento chiave del gioco originale dal quale ha preso ispirazione.
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Decorate il vostro livello facendo attenzione ai particolari
Funzionali o meno i dettagli sono fondamentali. Possono fornire preziosi indizi su dove e quando fare un salto o su dove è presente un blocco nascosto con un 1UP (a questo proposito fate attenzione alla “vegetazione” in Wall halen). Oppure possono essere pura decorazione, comunque utile per aumentare il livello di credibilità, come un orologio a pendolo ben messo nella casa dei fantasmi.
Quanto tirate lunghe righe orizzontali di terreno, a caso, possono comparire blocchi con quattro decorazioni differenti. Una volta sullo schermo potrete copiarle a piacimento e fare in modo che tutto quanto sia esattamente dove lo volete voi.
Investite un po’ di tempo in questa attività, e nell’assemblare parti di livello una sopra l’altra — rotaie, spine, piattaforme fluttuanti possono essere tutte sovrapposte; sperimentate con vari pezzi per capire come usarli al meglio — e vedrete come l’aspetto cambierà da anonimo e raffazzonato ad una piccola opera d’arte perfettamente realizzata.
Occhio a cosa mettete nell’area principale
Se potete. Perché quello che è stato costruito lì sarà visibile nel dettaglio del livello, subito sotto all’anteprima.
Chiunque potrebbe quindi visualizzare quanto è lunga e cosa contiene, e con una buona approssimazione farsi un’idea dei pericoli e di come affrontarli.
Se avete fatto un livello puzzle potrebbero capire la soluzione osservando alcuni dei dettagli presenti in quell’immagine.
Ma anche quest’immagine è una tela che potete usare per rappresentare qualcosa che va dal semplicemente carino al funzionale. Andate ad esempio a curiosare nelle aree principali dei Mario Kart Maker Championship o di The Boss Strikes Hard per capire cosa intendo.
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Conclusioni, finalmente
Ecco, questo è più o meno tutto quello che può essere interessante sapere sul come faccio i livelli io.
O quello che penso sia interessante. Ma tant’è.
Sarebbe rimasto fuori dei venti livelli solo il primo fatto, Buzzy Beetle Legacy (ID: P9X-R31-0GF), ma non c’è molto da dire.
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È stato il primo, fa il suo dovere e non è esente da difetti. Però non l’ho mai corretto e ripubblicato. Lo tengo lì a memoria che si può fare sempre meglio ma anche che da qualche parte si deve iniziare a pubblicarne, altrimenti non si imparerà mai.
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Spero che questa sia stata una lettura interessante, intanto grazie. Spero di aver ispirato qualche idea, corretto qualche comportamento viziato e incuriosito.
Per chi fosse più curioso e volesse parlarne o saperne di più, il mio invito è di raggiungermi su Twitter per iniziare il dialogo. Mi trovate come @marcolago.
Per trovarmi in Super Mario Maker 2, invece, l’ID autore è GF3-YPC-PMF.
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cartofolo · 7 years
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Interessanti le tue condivisioni sulle esperienze di premorte. Una domanda forse si pone: ritornano tutti o solo quelli che vanno in una dimensione migliore? Oppure "dopo" non c'è punizione ma solo amore e comprensione? Non esiste la possibilità che vedano il tunnel solo alcune persone e che per altre ci sia un altro cammino senza la possibilità di questo momentaneo ritorno? Tu che ne pensi? Grazie.
Le esperienze di premorte (N.D.E.) dimostrano che l'ambiente vissuto quasi sempre riflette le proprie idee più intime e sentite, così come le proprie credenze.Anche quando sembra che non sia così, secondo me, in realtà si realizza non quello che viene creduto dalla mente razionale, ma quello che si è davvero elaborato nel nostro inconscio, e che non sempre è arrivato alla coscienza.Al di là dei problemi, nevrosi e sensi di colpa trattenuti nell'inconscio più grossolano, nel profondo del nostro essere c'è sempre amore e pace, in quanto è la natura di ogni uomo, come individuo che esprime vita.Per questo quelli che vivono gli stati di premorte non vogliono tornare indietro perché in quella dimensione si inizia a realizzare tutte le potenzialita di bene e amore che sulla terra erano confuse, represse o condizionate da specifiche esperienze da svolgere, Anon.Lì si vive la pienezza del nostro essere, qui i suoi limiti che vanno sperimentati. E' questa la differenza.Però, se hai notato, anche in questi casi, ad un certo punto, c'è la scelta. Per quello che ci raccontano, è sempre quella di tornare per completare qualcosa o per essere di aiuto a qualcuno.Sono convinto che quando la morte del corpo fisico sarà definitiva, ritroveremo quella dimensione, così come l'hanno descritta, e continueremo il viaggio in dinamiche di pensieri e rapporti sempre più intensi e pervadenti il nostro potere di contenerli.Non si vorrà certo tornare indietro, perché tutta la vita si sta schiudendo al completamento della nostra coscienza consapevole.Però sappiamo che, ad un certo punto, arriveremo ai confini del comprensibile, a un completamento che, però, promette altro.E' proprio questa ricerca di altro che ci prospetta la possibilità di raggiungerlo solo attraverso una nuova vita sulla terra, una nuova incarnazione che ci permetterà di sviluppare nuove prospettive; proprio quelle che i limiti della nostra coscienza ci avevano fatto intuire al culmine delle sue potenzialità espresse.
Dunque l'aldilà, come viene raccontato in queste esperienze, è sempre un momento di passaggio che non è mai completo in quanto si è richiamati di nuovo a rivestire il nostro corpo fisico.Credo che oltre quella fase ci siano ambienti ancora più straordinari, sempre più aderenti a una realtà unitaria, non più divisa dal pregiudizio di idee e credenze, pur mantenendone il senso e i valori spirituali.In questa esperienza, per esempio, emerge come l'ateismo nascondesse altro, e che poi, l'appoggio ideale è caduto proprio sulla religione che si era negata e forse combattuta.
Purtroppo sono i parametri del metodo scientifico che impediscono di fare entrare queste statistiche nell'ambito della ricerca.Per la scienza rimangono indizi senza nessuna possibilità di indagine.Così tutto viene riportato e interpretato con quello che la psicologia e la neurologia conoscono.Il problema e l'errore che fanno molti detrattori, è quello che sono presi in considerazione solo quegli aspetti che possono essere interpretati nella negazione di una coscienza separata dall'organo fisico, e trascurati quelli che, nell'insieme, proverebbero l'autonomia di questa coscienza oltre ogni parametro materiale e neurologico.La psicologia, poi, annaspa nel giustificare tutto con ipotesi che farebbero vergognare qualunque studioso serio.Mi sembra che molti usino il principio di "negare l'evidenza" pur di non rivedere le proprie idee. Per fortuna le ricerche proseguono e le statistiche aumentano, tanto da non poter essere trascurate da chi vuole davvero capire come funziona il mondo e indagare davvero sul mistero della vita.
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giirlwhowaited · 6 years
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La seconda stagione di The Crown sbarca su Netflix dopo un anno di intrepida attesa. 
Fin dai primissimi minuti capiamo che è una stagione diversa dalla prima, dai temi più profondi e dai toni più cupi. Comprendiamo inoltre qual è il centro gravitazionale di tutta la stagione: il matrimonio, declinato in tutte le sue forme.
In primis, ovviamente, il matrimonio tra Philip (Matt Smith)  ed Elizabeth (Clare Foy) . Un matrimonio che all’apparenza si presenta come il classico stereotipo di prigione dalle mura d’oro ma in realtà è molto di più. Abbiamo poi il matrimonio passionale e fuori dagli schemi, destinato a bruciarsi rapidamente, tra Margaret (Vanessa Kirby) e Tony (Matthew Goode)  che si trova agli antipodi del primo. Ci sono poi tanti altri matrimoni, sempre tesi e complicati, come quello tra Michael Parker (migliore amico e segretario privato di Philip)  e sua moglie. Questo matrimonio scoppia immediatamente causando un enorme scandalo.  Ancora vi è poi il matrimonio tra il primo ministro Macmillan e sua moglie. Anche questi ultimi due sono agli opposti. Da un lato la signora Parker sceglie il rispetto per se stessa rifiutando di porre le istituzioni prima della sua persona, al contrario  la signora Macmillan  decide invece di sacrificarsi mantenendo una facciata molto fragile. C’è poi anche un breve parentesi dedicata ad un matrimonio oltreoceano: quello dei Kennedy. 
Mi sembra quindi d’obbligo affrontare le dinamiche di coppia più importanti:
Philip ed Elizabeth
I know exactly what my. job is. Your father made it perfectly clear. You are my job. You are the essence of my duty. So here I am. Liegeman of life and limb. In, not out. 
Ma quante volte abbiamo urlato contro lo schermo dinnanzi agli apparentemente inspiegabili comportamenti di Philip? Tante, anche se interpretato dall’affasciante Matt Smith non possiamo che provare –almeno una volta- un senso di antipatia nei confronti del personaggio. Come tutti gli altri protagonisti di The Crown, non è semplicemente bianco o nero, buono o cattivo.  Non è solo un uomo che fa fatica a vivere all’ombra di un donna e non è solo un marito che fa fatica a dimostrare di amare la propria moglie. È entrambi.  Questo conflitto interiore che vive lo vediamo esprimersi nelle sue azioni, talvolta spericolate e indecifrabili. È per davvero l’Uomo Misterioso. Non sappiamo cosa fa, non sappiamo cosa pensa o cosa prova. Lo vediamo spesso immobile a fissare  Lilibeth andare via. In questo senso,  lo vediamo spesso dal punto di vista di Elizabeth (è qualcuno che amiamo che vogliamo comprendere ma che allo stesso tempo non riusciamo a giustificare e spesso voltiamo la faccia). Ci sono però due puntate in particolari dedicate a lui – Lisbona e Pater Familias– in cui per la prima volta vediamo e sappiamo più di Philip rispetto ad Elizabeth. Veniamo a conoscenza del suo complesso e tragico passato, e ciò ci fa entrare maggiormente in empatia con il personaggio. Nell’ultima puntata arriviamo alla conclusione naturale della sua crescita in quanto personaggio con, a mio parere, una delle più belle dichiarazioni d’amore ad Elizabeth.
È il loro un matrimonio forgiato sia dal dovere sia dall’amore ed entrambi pesano in eguale maniera, ma probabilmente non sarebbe mai resistito senza il profondo amore che lega i due.
I Kennedy, che appaiono in uno dei migliori episodi della serie, rappresentano non solo la drammaticità di quella che è stata spesso dipinta nella cultura popolare come una favola moderna, ma soprattutto sono il limite: sono ciò che nel peggiore dei casi accadrebbe alla nostra royal couple. Un matrimonio fatto di inganni, ripicche,  competitività e triste rassegnazione. La coppia americana appare migliore, più bella, più giovane di ciò che sono la regina e il suo consorte ma in realtà non lo sono. Il marcio c’è e viene mostrato (come accade ogni singola volta nello show che raramente cede alla possibilità di romanzare e romanticizzare un evento storico come accade ad esempio in Victoria).  Anche in questo caso, però, vediamo che effettivamente Jackie adorava il suo John e lo scopriamo nel peggiore dei modi. Anche nel loro epilogo rappresentano la peggiore opzione possibile.
Margaret e Tony
I know who I am; a woman for the modern age. Free to live, to love, and free to break away.
  Uno dei diamanti di questa stagione è proprio l’episodio Beryl, uno degli episodi costruiti con più attenzione. Dal punto di vista estetico è assolutamente perfetto. La fotografia, i dialoghi, il ritmo: tutto è in perfetta armonia. Un episodio perfetto soprattutto per gli amanti della vita bohemien. Il loro matrimonio è ciò che di più distante ci sia dal dovere e dalle apparenze (almeno inizialmente). Tra i due nasce un’intesa, una passione che guardando bene porta ad un matrimonio non tanto per un grande sentimento che lega i due ma entrambi sono spinti da altri impulsi: la paura di rimanere sola da parte di Margaret e la volontà di riscatto nei confronti di sua madre da parte di Tony. Devo ammetterlo, erano la mia coppia preferita fin quando non ho scoperto com’è andata a finire. Rimangono comunque una piacevole parentesi che ha dato un tocco in più a tutta la stagione. E Beryl sarà sicuramente uno degli episodi che guarderò più spesso.
Reputazione, scandali e comunicazione
 Now, there’s been a lot of talk recently about how much the world has changed since the war and how much society in Britain has changed, or how much it jolly well ought to change.
Tony, inoltre, rappresenta il cambiamento –seppur portato alla sua esasperazione. Mi riferisco al cambiamento che stava affrontando non solo l’Inghilterra, ma tutto il mondo occidentale. Da questo punto di vista la scena in moto di Tony e Margaret mi è sembrata una citazione alla famosa scena del film Kisses del 1957 del regista giapponese Masumura. In entrambi i casi due amanti, sulla loro moto, tentano di sovvertire le regole di una società stagnante mediante la liberazione sessuale o semplicemente la libertà di amare. 
La seconda stagione copre gli anni 1955-1963, ci stiamo avvicinando a ciò che poi esploderà con i movimenti del 68, e la società appare perfettamente divisa: gli anziani e i conservatori da un lato, i giovani desiderosi di cambiamento dal altra. Qual è la posizione della Corona? Ha un ruolo in questo nuovo mondo? Tra scandali, beffe e cambi di rotta è uno dei grandi interrogativi a cui prova a rispondere la seconda stagione di The Crown. Questa storyline rappresenta sicuramente una delle più interessanti della stagione, affrontando temi ancora molto moderni e vicini a noi: il nuovo ruolo della donna, la trasfigurazione di notizie, l’apparire che diventa più importante dell’essere, il dover essere presenti in questa società soprattutto attraverso i media che diventano sempre più invadenti nella vita della famiglia (dalla giornalista ficcanaso che registra l’intervista con Philip agli accecanti riflettori televisivi sotto i quali è costretta la regina).
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Recitazione, montaggio, suono, veridicità storica
Questi quattro elementi sovrastanti sono, a mio parere, i punti di forza di tutta la serie. È impossibile non fermarsi ad ammirare Clare Foy ogni volta che appare sullo schermo e pensare “Mio Dio, quanto è brava”. Sarò breve e concisa: give her all the awards!
Il montaggio e il suono son assolutamente curati, hanno sempre un significato proprio e non sono mai una semplice amplificazione del significato delle immagini anzi spesso ci mostrano la falsità dell’immagine. È un aspetto che spesso viene sottovalutato, ma grazie ad esso invece la serie trasmesse molti più significati. La soundtrack poi è assolutamente magnifica ed emozionale, come del resto l’intera serie.
Infine, la veridicità storica che io trovo incredibilmente sorprendente. Denunciano, elogiano e mostrano fatti della storia molto spesso dimenticati che portano lo spettatore non solo a godersi di più la storia ma a riflettere su quello che è successo poco meno di un secolo fa.
Imperdibile, si riconferma uno dei migliori prodotti targati Netflix. Come si dice in questi casi? Long May She Reign.
Recensione: The Crown Stagione 2 La seconda stagione di The Crown sbarca su Netflix dopo un anno di intrepida attesa. Fin dai primissimi minuti capiamo che è una stagione diversa dalla prima, dai temi più profondi e dai toni più cupi.
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iseomitalia · 6 years
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Come scaricare un video da Facebook
Scaricare un video da Facebook fino a poco tempo fa poteva essere un’operazione davvero poco utile: la piattaforma streaming per eccellenza infatti era (e per molti versi rimane tutt’ora) YouTube e i contenuti video sul social di Zuckerberg non erano particolarmente interessanti.
Certe dinamiche però, nel web 2.0 cambiano rapidamente e Facebook ha attaccato la leadership di YouTube per quanto riguarda i filmati. Da ciò nasce la necessità di alcuni utenti riguardo la possibilità di scaricare questo tipo di contenuti.
Scaricare un video da Facebook con poche e semplici mosse
Per scaricare video da Facebook su PC è necessario utilizzare un curioso espediente. Una volta trovato l’url del video in questione, sostituisci il canonico www.facebook/… con m.facebook/… per entrare in modalità mobile.
A questo punto basta cliccare col tasto destro sul filmato  e premere sulla dicitura Salva video: un passaggio pressoché identico a quanto fatto con il salvataggio delle immagini.
La procedura, come è facile intuire, cambia sensibilmente se stai utilizzando uno smartphone Android o un iPhone.
Effettuare il download di un video da Facebook con Android
Veniamo ora alla possibilità di scaricare un video Facebook con Android (sia esso smartphone o tablet).
Per fare ciò basta accedere a Facebook tramite Chrome e non tramite l’app. Una volta fatto ciò, avvia il video che vuoi scaricare su Android e premi il dito per qualche istante su di esso. Come quanto avvenuto in ambiente PC, apparirà la fatidica opzione Scarica video.
Scaricare un filmato di Facebook su iPhone
Se le procedura su PC e Android sono alquanto semplici, la situazione cambia decisamente con i dispositivi iOS.
In questo senso, per ottenere lo stesso risultato , è necessario affidarsi a un’app specificatamente ideata a tale scopo come MyMedia, disponibile gratuitamente su iTunes.
Dopo aver installato l’app in questione sul tuo device, prosegui aprendo Facebook tramite il tuo browser di fiducia (anche in questo caso, niente app!).
Giunto sul video in questione, copia l’indirizzo URL ottenuto e poi dirigiti verso il sito Savefrom.net.
Qui, inserisci l’indirizzo precedentemente salvato con la funzione Incolla e poi premi il tasto Downoload.
No, non hai ancora finito… il filmato è così visualizzato ma, per scaricarlo definitivamente, dovremo nuovamente copiare l’indirizzo URL apparso nel browser
Finalmente vai su MyMedia e inserisci l’ultimo URL ottento per avviare il download definitivo.
Il malinteso della funzione “Salva”
Facebook tende a confondere l’utenza con la funzione Salva. Questa particolare funzione disponibile su ogni video presente nella piattaforma, in realtà non consente il download ma semplicemente di ottenere una sorta di “segnalibro” che ci consente di tenere il filmato in memoria sul nostro account per poterlo visionare in seguito.
L'articolo Come scaricare un video da Facebook proviene da iSEOm.com.
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matthewcanarias · 6 years
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Parada 13: Mercadillo
Anche oggi, come ogni domenica mattina, si terrà il mercatino nell'area circostante al Mercado Nuestra Señora de Africa a Santa Cruz de Tenerife, un mercato pulito, ordinato e ricco dei sapori dell’isola. E’ lì che oggi ci porterà la guagua.
Qui, come in tutti i mercati, si può conoscere il vero spirito di una città e della sua gente.
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La grande quantità di luce risalta i colori della frutta esotica, e la gentilezza del calore del sole lascia che i profumi viaggino liberamente nell'aria.
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Andare presto, quando ancora la città si sta svegliando, permette di osservare meglio le dinamiche del mercato, oltre ad aumentare la possibilità di trovare cose interessanti ad un prezzo decisamente basso.
Il bar Cantabrico è aperto da un pezzo ed è stracolmo di pensionati e disoccupati, già con il biglietto della lotteria natalizia in tasca e una cerveza al limone ghiacciata sul tavolino.
Il chiosco dei dischi ha appena aperto e sta già sparando salsa a tutto volume, anche se sono le 9 del mattino e non c’è ancora nessuno che ha voglia di ballare. 
https://www.youtube.com/watch?v=H5qWtG7cziE
Le prime bancarelle di fronte all'ingresso del mercato si sono già posizionate: troviamo quella del modellismo, con riproduzioni in scala di vecchie Seat, di furgoncini Volkswagen e calamite da mettere in cucina. Quella delle conchiglie e dei libri. Quella delle cianfrusaglie, quella dei sigari della Laguna, ecc.. 
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TREPAREDECALSETINEAUNEURO!
MARICO, ECHATE UNA BIRITA!
VENGA NENA, TODO BARATITO!
PRECIOANTICRISI!
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Questo è ciò che voci roche gridano incessantemente per cercare di accaparrarsi l’attenzione dei passanti.
Sul presto si può passeggiare liberamente senza rischio di rimanere intasati in un fiume di persone e si può trovare di tutto. Prima di andare bisogna però visualizzare ciò che si desidera e quasi sicuramente lo si troverà.
Quello che io ho trovato a poco.
- una collezione di poster del Carnevale, ristampa del 1986 di 40 cartelli
- mobili, cose per la casa, stoviglie, pentole
- libri interessanti sulla storia delle Canarie, del Carnevale, di psicologia.
.- del vintage immacolato che sembra nuovo
- un peschereccio in miniatura
- una tavola di legno con i nodi dei marinai e relativi nomi
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Il Mercatino della domenica mattina, con il suo spirito allegro e il suo meltin pot culturale, contribuisce a rendere ancora più bella una città che già di per sè è  gentile ed accogliente.
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sangha-scaramuccia · 7 years
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Buddismo, metodo scientifico, individuo e popolazione
Leggevo gli ultimi due interventi di Eugenio Ghyotan e mi sembravano molto interessanti, ci permettono di dare uno sguardo in profondità nella relazione tra metodo scientifico ed insegnamento buddista.  
Come premessa, io a mio figlio, all'epoca di quando era bambino, feci fare tutte le vaccinazioni con lo stesso identica motivazione indicata da Eugenio - ovvero mio figlio era in ottime condizioni e ritenevo avrebbe passato le varie esantematiche senza problemi, mentre per altre malattie rischiose, come la poliomielite, essendo la frequenza di infezioni bassissima, il problema del contagio non c'era, ma non volevo vantaggi sulla pelle degli altri (la polio) e per le esantematiche non volevo che mio figlio divenisse inavvertitamente portatore di infezione verso bimbi più deboli.  
Detto questo ed entrando nel merito, avevo già inviato al forum un contributo sui vaccini, che però l'Admin ha evidentemente ritenuto non pertinente al forum e cestinato - decisione assolutamente condivisibile, anche se in realtà il punto che elencavo in quelle poche righe era nascosto tra le stesse, per cui cercherò adesso di esplicitarlo.  
Il pensiero che abbiamo fatto separatamente io ed Eugenio e ha guidato le nostre azioni è condivisibile, ma è retto, nel senso indicato da Taino?   Secondo me a volte si ed a volte no, il problema è la scala da cui lo guardiamo.
Se consideriamo la scala del singolo individuo - come già aveva esposto Eugenio - la scelta giusta nel nostro contesto è non vaccinarsi, ovvero evitare di esporsi ad un rischio sicuro (il vaccino) rispetto ad una probabilità di malattia che adesso è bassa anche per le esantematiche.  
Se però saliamo un gradino come scala - ossia prendiamo la salute della società - la scelta giusta è quella che Eugenio ed anche io abbiamo seguito, almeno con i dati scientifici usualmente disponibili (ne sono stati ultimamente aggiunti altri che fanno cambiare la valutazione, di cui scriverò in calce).  
Se però saliamo un gradino come scala - ossia prendiamo in esame la salute della specie umana - la scelta giusta è quella che elimina progressivamente gli individui con minore vigoria fisica, facendo in modo che progressivamente i bambini che man mano nascano siano sempre più sani, null'altro che la selezione naturale, insomma, che nel tempo porta ad una diminuzione della sofferenza ed un aumento degli individui sani.  
Se però saliamo un gradino come scale - ossia pensiamo alla comunità di specie del pianeta Terra - la scelta giusta è quella che fa indebolire la specie umana, attualmente debordante, che con la sua esistenza sta mettendo a rischio gli equilibri biologici planetari, quindi meglio che tutti gli esseri umani sopravvivano fino a riprodursi, indipendentemente dalla loro vigoria, aumentando così progressivamente il numero di individui deboli, malati e sofferenti.   Suppongo esistano ulteriori salti di scala che però non riesco ad afferrare cognitivamente, sempre caratterizzati da questo successivo rovesciamento di valutazione.
Ed allora qual'è la “pura e perfetta virtù”, koan su cui si interrogava Bankei e che lo portò alla sua sfolgorante illuminazione?   Come dovremmo agire nelle varie circostanze?   In realtà non lo possiamo stabilire a priori, ma possiamo coltivare un sano dubbio - sulle nostre consolidate conoscenze - ed un'azione che si basi tanto sul sapere quanto sul non-sapere, che è un “agire con mente aperta”.   Per questo la rettitudine di Taino la paragono al senso dell'equilibrio, un senso mutevole ed aperto, capace di adattarsi alle situazioni.  
E adesso veniamo all'analisi del metodo scientifico: il suo grande limite è il suo grande punto di forza, ossia estrapolare leggi generali (modelli) da osservazioni particolari, che è cosa che va benissimo finché siamo coscienti del limite presente.   Per essere più chiari, questo limite si estrinseca nella scelta delle domande su cui poi effettuare le osservazioni da cui ricavare il nostro modello interpretativo e qui veniamo alla questione pratica, Eugenio ad esempio citava la tabella che confrontava il numero di complicanze dovute alle varie malattie con quelle derivate dagli effetti avversi dovuti alle vaccinazioni.   Pura scienza, si direbbe ed invece no, perché stiamo connettendo due cluster di dati separati, da una parte quelli che hanno complicanze sulle malattie, che per dire, potremmo indicare come il 10% dei malati, ossia data una popolazione di 1000 individui, di cui se ne ammalano 100, avremo 10 persone con complicanze.   Dall'altra, pensando agli effetti avversi dei vaccini, se per ipotesi consideriamo che questi si manifestino nel 2% dei vaccinati, avremo ben 20 persone con complicanze, ossia il 2% di 1000, dato che la vaccinazione è stata fatta su TUTTA la popolazione.   L'esempio è grossolano, le percentuali inventate, ma serviva solo a dare la sveglia sulla valutazione dei dati, che se confronta solo numeri percentuali, senza considerare su cosa si stiano applicando quelle percentuali, può essere fuorviante.  
Ma torniamo alla domanda e cerchiamo di entrare più in profondità nella relazione tra modelli scientifici e non-sapere.   Quello che è il fulcro della discussione è costituito dagli effetti collaterali dei vaccini, per cui è possibile fare uno studio sui bambini che vengono vaccinati: li si osserva per un congruo tempo dopo la vaccinazione (una settimana, un mese), per verificare che non si manifestino reazioni strane che non abbiano nessuna altra spiegazione che non la precedente vaccinazione, per avere così una correlazione diretta, se invece si manifestano sintomi che abbiano una correlazione con altri fattori (es. si manifesta febbre, ma si verifica che è presente il virus dell'influenza), quel dato viene escluso dalla ricerca.   La cosa va benissimo, se però si esplicitano i postulati alla base, che sono quelli di essere in grado di distinguere perfettamente sintomi correlati e sintomi non correlati ed attribuibili ad altre cause, che è come dire che questo tipo di ricerca è stata fatta sulla base della convinzione di sapere, ossia di essere in grado di distinguere correttamente i due casi.  
È possibile però, con un'altra domanda, fare una ricerca scientifica basandosi sul non-sapere?   Cosa succederebbe se invece di porci la domanda “Quali sono gli effetti collaterali di questo vaccino?”, ci ponessimo la domanda “Quali sono gli effetti, positivi o negativi, di questo vaccino su una popolazione?”, ossia se partissimo non dall'assunto di ‘saper distinguere le correlazioni’, ma dal 'non sapere distinguere le correlazioni’ (ossia dalla nostra ignoranza in senso positivo)  e semplicemente confrontare i tassi di mortalità di una popolazione vaccinata con quelli di una popolazione non vaccinata?   
Bene, si dà il caso che questo tipo di osservazioni si stiano recentemente effettuando sulle nazioni in via di sviluppo ed abbiano portato a ricerche rigorosissime con dei risultati a volte sconcertanti, in una di queste, di gennaio 2017, che valutava l'effetto della vaccinazione DTP (difterite-tetano-pertosse) confrontando i tassi di mortalità per qualsiasi causa tra bambini sotto l'anno sottoposti a vaccinazione e bambini sotto l'anno non vaccinati,  il risultato è che: 
il tasso di mortalità nei bambini vaccinati con DTP è cinque volte più grande di quello dei bambini non vaccinati 
La ricerca completa è qui e,come vi dicevo, è veramente molto rigorosa: sostanzialmente la (tragica) maggior mortalità dei bambini vaccinati è dovuta ad un peggior decorso di malattie dovute ad ALTRE infezioni, che supera di gran lunga le morti evitate non ammalandosi di difterite, tetano e pertosse.   Ne deriviamo che i vaccini fanno male? No, perché il vaccino del morbillo sembra invece avere un effetto diametralmente opposto, ossia i bambini vaccinati contro il morbillo hanno un tasso di mortalità più basso di quelli non vaccinati, ma talmente più basso da non essere spiegabile soltanto come effetto dell'evitare di ammalarsi di morbillo, in questo caso il vaccino sembrerebbe esplicare un fattore di protezione generale anche verso altre malattie, come se dopo essere vaccinati contro il morbillo la capacità di reazione verso altre infezioni venisse pure aumentata.  
Questo filone di studi viene definito ricerca sugli effetti non specifici dei vaccini (potential non-specific effects (NSEs) of vaccines) e ci fa capire quanto ancora non sappiamo, dovuto alla nostra incapacità di riconoscere correlazioni non immediatamente evidenti, ma che possono essere svelate da una seria ricerca demografica.   Ma per fare una seria ricerca demografica, abbiamo anche bisogno di un congruo numero di bimbi non vaccinati, o che abbiano fatto alcune vaccinazioni e non altre, che vivano nelle stesse condizioni di quelli completamente vaccinati.   Se invece obblighiamo ad una vaccinazione totale la popolazione, diventeremo incapaci di capire queste dinamiche (assolutamente tragiche, nel caso del DTP in Africa, significa un rischio di morte aumentato del 500%, rispetto ai bimbi non vaccinati) e non riusciremo quindi a diventare coscienti del perché un vaccino dimostri questo effetto sulla popolazione, mentre un altro vaccino manifesti un effetto opposto.  
E qui torniamo al non-sapere in ambito buddista ed al nostro retto comportamento: se rendiamo obbligatorie TUTTE le vaccinazioni PER TUTTI è come se stessimo affermando di sapere TUTTO, mentre invece così non è, il nostro sapere è (e sarà sempre) molto parziale, ma con l'osservazione ed i cambiamenti di scala (dall'individuo alla popolazione), possiamo creare dei modelli via via più coerenti, che poi possiamo divulgare e spiegare.   Ma quel 5% di dissenzienti, che sempre ci sarà, non solo ci permette di portare avanti le nostre osservazioni con un valido gruppo di controllo, ma è anche la garanzia che realmente agiamo sapendo di non sapere, lasciando aperta la possibilità di trovare delle falle nei nostri modelli, accettando il fatto che loro - i dissenzienti - potrebbero avere una parziale ragione in un modo che al momento non possiamo neanche immaginare, ma che potrebbe portarci ad elaborare un modello ancora più rispondente alla realtà.  
E questo, che parla di accettazione, sincerità, libertà è pure parte degli otto voti, per cui cerchiamo di agire con rettitudine ma senza assolutismo, sapendo di non-sapere tutto e quindi rispettando i dissenzienti.   In fondo, il nostro compito specifico è di essere nullologi del tutto, oltre che tuttologi del nulla, ossia vedere tanto il vuoto nella forma che la forma nel vuoto.
Valentino Traversa
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