Tumgik
#oddio i corridoi
omarfor-orchestra · 10 months
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Hanno riverniciato le aule nel frattempo
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deathshallbenomore · 1 year
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oddio non la metafora della barca anche in the crown, ma allora è proprio vero che tutti, tra produttori registi delegati etc hanno frequentato almeno una volta i corridoi della Rete
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Amici? Amici! (Sala Grande, 29 ottobre, III anno)
R | Ora, la scena farebbe un po’ sorridere, con questo paperottolo biondo che corre tra i tavoli di Grifondoro e Tassorosso alla volta del portone che dà accesso alla sala grande, zigzagando tra studenti più grandi che proprio in quel momento hanno deciso di mettere fine al loro lauto pasto - un paio potrebbero aver ricevuto un colpo della cartella in pelle nera che le sbatacchia dietro. « M- » ma si blocca, ancora per quella indecisione e dubbi che l’hanno accompagnata in questi giorni. E allora che si fa? Si corre, allungando un braccio, nemmeno Mac fosse un boccino d’oro, urlando « TU! » per attirarne l’attenzione prima che sparisca via oltre e debba rimandare tutto al momento della cena « MACNAMARADITASSOROSSO » –– « Devo dirti una cosa »
K | Il pranzo è terminato poco fa e Kael, assieme a qualche altro Tassorosso, sta iniziando ad allontanarsi verso la porta quando sente qualcuno gridare, e gridare il suo nome per di più, beh tecnicamente il suo cognome, ma tant’è che questo fa voltare il Tassorosso quasi immediatamente, giusto il tempo di arrestarsi sui propri passi. E a quanto pare il grido ha fatto voltare più d’una testa, ma vabbé. Individua la figura della piccola biondina, ora piegata in due a recuperare il fiato praticamente davanti a lui. «Ruby?» e poi quella si raddrizza e quando la sente parlare all’improvviso un ricordo saetta nella testa del terzino, oddio… la lettera!
“Seb mi ha detto che sei diventato maschio! Quindi era questa quella cosa che dicevi? Però stavi meglio con i capelli corti, lasciatelo dire. Ora finisce che ti scambio per Tristran, nei corridoi. E ha detto anche che ora ti fai chiamare Kael, quindi passo a questo e smetto di chiamarti Mac? O è solo per prova, per capire se funziona e ti giri quando ti chiamano? Ruby”
Gli occhi azzurri si allargano e sul viso si apre un’espressione imbarazzata, quasi in colpa. La lettera l’ha ricevuta durante il periodo gianato e diciamo che non era stata presa bene tanto da buttarla in un cassetto e dimenticarla lì, fino ad ora. 
«Se è perché non ti ho risposto, scusa… Mi è passato di mente e tipo quando mi hai scritto ero sotto effetto di un infuso e…» 
–– «non ricordo nemmeno bene cosa ci fosse scritto.» –– «E, mh, comunque, dimmi pure.»
R | Le nasce questa piccola espressione sul volto, di confusione e perplessità che prima la vede annuire, per confermare all’altro che si tratta proprio di quello e poi… « oh » riscossa in un attimo da tutti i dubbi e le preoccupazioni che la non-risposta le ha portato. « quindi… non ce l’hai con me? » – « e che boh, ho pensato che t’avevo offeso con la storia dei capelli » che poi, sti capelli, c’è da capire pure se erano effettivamente più lunghini o non l’ha davvero scambiato con Tristran, nei corridoi. « e quindi… » le mani appese alla cinghia vengono mosse per aprire la cartella, smucinare tra le tasche interne con un « dove bolide l’ho- ah! » e cacciarne fuori un rettangolino di pergamena, su di cui sono stilizzate alla buona delle piccole cravattine di tassorosso, con tanto di freccette per indicare il movimento da compiere per andare al passo successivo. K | «No, certo che no.» replica ora rivolgendo un sorriso e mutando l’espressione in una più tranquilla «cioè, credo che non mi sia piaciuto, quando lo ho ricevuto, ma non ero proprio del tutto io… cioè è complicato.» [...] «oh. Ma… è per me?»
R | E di tutta risposta gli porge il foglietto, con un annuire del capo per confermare e ondeggiandolo appena per esortare a prenderlo « ora so come si chiudono queste » e, a mani libere, indicherebbe con orgoglio il cravattino che ha al collo, non perfettissimo come quello che si può vedere nei distinti completi di Oliver ma che, in un certo qual modo, ne potrebbe essere un figlio acerbo (...) « e l’ho fatto con cravatta locòmotor. è che ho pensato ce l’avessi per il biglietto quindi sono andata dal capocasa e c’ho chiesto se me lo spiegava, così, magari » e rotea gli occhi, guardando un po’ ovunque tranne che verso il tassorosso « magari avevo qualche possibilità in più per farmi ascoltare però ecco te lo dò comunque »
K | [...] «Lo adoro! Magari adesso imparo anche io! –– Comunque» poi abbassa lievemente il tono, chinandosi pure verso Ruby per dirle una cosa all’orecchio «ho scelto Kael» – «ma ecco, non lo sanno ancora tutti.» poi si raddrizza, tornando al tono normale prima di allungare il pugno chiuso verso Ruby, sollevato, per un bro-fist. 
«amici?»
R | l’attenzione ritorna alta al momento che Mac s’accosta, facendole tendere il collo per ascoltare meglio il bisbiglio che, ecco, le fa nascere un sorrisino completo per poi bisbigliare un « allora uso Mac » incrementando il sorrisetto fino a scoprire l’incisivo scheggiato « ancora per un po’ » ritornando dritta e allungano il braccio per rispondere a quel bro-fist con un pugnetto uguale e contrario, allargando poi la mano a stella per simulare un’esplosione.
« amici! »
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tma-traduzioni · 3 years
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MAG079 - Caso #0170216-A - “Nascondino”
[Episodio precedente]
[pdf con testo inglese a lato /pdf with english text to the side]
[CLICK]
MARTIN
Strade. Di Martin K. Blackwood.
Le strade sono faticose a Londra.
Lastricate con vecchi segreti, l’odore caldo dopo le piogge.
Le scie di persone che camminano, che vivono, che aman-
[CLICK]
[Rumore di passi]
MARTIN
Ne sei proprio sicuro? Ci ha detto di andare a casa...
TIM
Sì, e poi ha detto, “mi dispiace per tutto”. C’è sotto qualcosa.
MARTIN
Non credi che stia per... sai...
TIM
Non lo so. Ma farà qualcosa, e andrà male. E non intendo male come ‘fumarsi di nascosto una sigaretta’. Ma tipo veramente male.
MARTIN
Quindi dobbiamo aiutarlo?
TIM
Dobbiamo fermarlo.
MARTIN
E… abbiamo bisogno del mio registratore di cassette perché…
TIM
Perché qualcosa mi dice che avremo bisogno di prove alla fine di oggi. Non voglio finire in tribunale senza qualcosa che mi supporti.
MARTIN
Tribunale?
TIM
Già. Er, tribunale se siamo fortunati, sotto inchiesta se non lo siamo.
MARTIN
Hai usato una cassetta nuova, vero?
TIM
Sì, ne ho presa una dal mucchio.
MARTIN
Era vuota o… Tim?
TIM
Era vuota.
MARTIN
Non ci rivolgerà mai più la parola.
TIM
Non darmi false speranze.
[Porta che si apre]
MARTIN
Jon?
TIM
Eeeeeeee se n’è andato. Lo immaginavo.
MARTIN
Non pensi che stia per…
TIM
Non lo so, Martin! Penso che stia perdendo del tutto la testa, questo è quello che penso. Se non l’aveva già persa.
[Porta che si chiude]
[Rumore di passi]
MARTIN
Guarda, so che lui non ti piace…
TIM
L’hai capito, no?
MARTIN
Ma non ho intenzione di aiutarti a farlo licenziare.
TIM
Martin che cosa pensi che stia succedendo qui? Questa non è politica da ufficio. Non è come se avesse alzato troppo il gomito alla festa di Natale e avesse iniziato a sproloquiare sui greci. Qualsiasi cosa stia accadendo qui è letteralmente soprannaturale.
MARTIN
Sul serio? Non è un po’… sai?
TIM
No, non è ‘un po’ sai’. C’è qualcosa in questo posto, e ci sta incasinando la testa. Ci osserva tutto il tempo. Mi impedisce di andarmene. Sono abbastanza sicuro che impedirebbe a Elias di licenziare Jon nel caso in cui si decidesse a gestire davvero il posto per una buona volta.
MARTIN
Sei sicuro di non voler semplicemente rimanere?
TIM
Ne sono sicuro.
MARTIN
Ma, tipo, nel profondo-
TIM
No.
MARTIN
Oh.
...
Quindi credi davvero che l’Istituto sia, cosa, posseduto?
TIM
Lo credevo. Ora penso che sia peggio.
MARTIN
Peggio in che senso?
[Rumore di una porta che si rompe]
NON!SASHA
[Molto distorto] Jooooon!
[Suoni sorpresi di Tim e Martin]
TIM
Oddio! Che cosa diavolo era quello?!
MARTIN (In sottofondo)
Oh no nonononono!
[Un ruggito, suoni di respiri affannati, passi di corsa e movimenti di una fuga]
[Botola che si apre]
[I movimenti rapidi e sinistri si fanno più lontani]
[Silenzio, mentre Tim e Martin provano a riprendere fiato]
TIM
Che cosa diavolo era quello?
MARTIN
Quello… er… assomigliava… assomigliava quasi a…
TIM
Oh non dirlo.
MARTIN
Le assomigliava, però, no?
TIM
Quella non era Sasha.
MARTIN
No. No, no, non era lei.
Tu non… non pensi-
TIM
Lui le ha detto di andare a casa. Come a noi!
MARTIN
Già.
TIM
E lei lo ha fatto.
MARTIN
Già.
Quel coso è sceso nelle gallerie.
TIM
Assolutamente no. No. Non succederà.
MARTIN
Non possiamo abbandonarlo così.
TIM
Sì, possiamo
MARTIN
Io vado.
[Passi]
TIM
Martin!
Mar... io non scendo là sotto con…
Maledizione. Va bene.
[CLICK]
[CLICK]
ARCHIVISTA
Maledizione. Maledizione maledizione maledizione maledizione MALEDIZIONE!
[Mano che batte su della pietra]
Io… ho scelto la porta di Michael. Era quella o affrontare Sa… la cosa che stava facendo finta di essere Sasha. Dava sulle gallerie. Le gallerie. Non esattamente la fuga in cui speravo. Sono a malapena sorpreso, deve essere l’idea di scherzo di quella cosa. Comunque, è… è un vantaggio credo. Non ho idea in quale punto delle gallerie mi trovi. O quanto in basso.
Per lo meno non mi ha lasciato intrappolato in un qualche infernale labirinto di corridoi… un altro tipo di infernale labirinto di corridoi, per lo meno.
Quindi suppongo di dover solamente… solamente aspettare per ora. Non penso che si arrenderà e basta, e non posso rischiare di attirare la sua attenzione. Potrebbe già essere qua sotto con me. Devo rimanere in silenzio.
Rimanere nascosto.
Dio, sono un idiota. Spaccare il tavolo, uccidere il mostro, stupido! Una supposizione approssimativa e negligente. Ovvio che il tavolo lo stesse trattenendo. Il tavolo è con ragnatele e ragni. I ragni sono qualcos’altro. Non si aiutano a vicenda, contrastano, loro… loro indeboliscono. Era finito in una ragnatela, e io… Tutti i pezzi erano lì. E io semplicemente… non sono riuscito a vederlo.
Non so quanto nastro mi rimanga. Smetterò di registrare. Per conservarlo. Se-
NON!SASHA
[Lontano] Jooooonnnn...
ARCHIVISTA
Oh Cristo.
[CLICK]
[CLICK]
MARTIN
E ora cosa? Dobbiamo sbrigarci.
TIM
Shhh!
...
Credo di aver sentito qualcosa più avanti.
MARTIN
Non ho sentito nulla. Perché, credi che fosse quella cosa-Sasha?
TIM
Non me ne parlare. Non le assomigliava per niente.
MARTIN
No, lo so, ma volevo dire… tipo, se la allungassi molto…
TIM
Non lo troveremo mai qua sotto.
MARTIN
Allora andiamo a cercare aiuto.
TIM
Er... Elias probabilmente è ancora nel suo ufficio.
MARTIN
Credevo che avessi detto che lui era uno spreco di un completo.
TIM
Già, beh è sempre comunque meglio che niente.
MARTIN
Se vuoi andartene, capisco.
TIM
Io… io non ti lascio qui sotto.
MARTIN
Non parlavi di altro che di andartene.
TIM
Oh, per l’amor di Dio, non si tratta di te.
MARTIN
Non si tratta mai di me.
TIM
Okay, bene. Bene. Tu che cosa vuoi? Quale è la tua luce alla fine di questi maledetti tunnel inquietanti? E non dire ‘tutti felici per sempre’, perché questo non succederà.
Ebbene?
MARTIN
Non lo so. Non lo so! Voglio scoprire che cosa sta succedendo. Voglio salvare Jon. Voglio che tutti stiano bene e, sai che cosa? Se fossimo tutti felici e contenti non sarebbe davvero la fine del mondo.
TIM
Bene.
MARTIN
No, no non va ‘bene’. Hai parlato e parlato di quanto ti sentissi solo perché Jon non ha tenuto in conto i tuoi sentimenti mentre stava avendo il suo crollo psicologico, ma tu stai facendo la stessa identica cosa. L’abbiamo vissuto tutti, Tim, ma tu sei l’unico che è scappato via.
TIM
Okay, okay. Guarda, continuiamo ad andare avanti. Qui non c’è nessuno.
MICHAEL
Sì che c’è.
TIM
Stai indietro!
MICHAEL
No.
MARTIN
Chi sei?
MICHAEL
Sono Michael. L’Archivista non vi ha parlato di me?
MARTIN
No?
MICHAEL
Bene. Le sorprese sono meglio.
TIM
Cosa ci fai qui sotto?
MICHAEL
Probabilmente sto guardando l’Archivista morire. Forse no. In ogni caso è divertente. Io… io credo che venga chiamato ‘uno sport’.
TIM
Cosa?
MICHAEL
Credo anche che potrei uccidervi. Sarebbe più facile che uccidere l’Archivista. Nessuno di voi è protetto qua sotto.
MARTIN
No, no, ora aspetta...
MICHAEL
Proverete ad aiutarlo. E io voglio vedere che cosa succede senza di voi.
TIM
Martin...
MARTIN
No, no, okay, perché noi siamo in due e tu sei solo, okay. Non ucciderà nessuno!
TIM
Martin, guarda le sue mani!
MARTIN
Oh.
TIM
Vai!
[La porta inquietante si apre]
[Rumore di passi]
[Michael ride]
[La porta inquietante si chiude]
[Respiri pesanti]
[Distorto] Dove diavolo siamo?
[CLICK]
[CLICK]
[Respiri pesanti e passi che si avvicinano piano]
ARCHIVISTA
Non ho idea di dove sono. C’erano delle scale. Io, io, io ho continuato a scendere. Nessuna freccia a indicare il basso, però, il che è… positivo? Non so. Ho trovato un’arma. Più o meno.
[Suono di un tubo di metallo contro un muro]
Non so se sarà d’aiuto. Voglio dire, non sarà d’aiuto. Non posso combatterla con un tubo. Mi sono stancato semplicemente portandolo. Ma mi fa sentire leggermente meglio, quindi… quindi questo è qualcosa.
Continuo a pensare che potrei esserle sfuggito, ma credo che possa percepirmi… uh, almeno un po’. Posso nascondermi per ora, credo, ma non so per quanto tempo. Non posso ucciderla. Ho ascoltato il nastro. Ha cancellato Sasha, così. L’ha cancellata dal mondo. Spero solo che questo nastro funzioni allo stesso modo, che la mia voce rimanga intatta. Anche se dovessi andarmene, anche se dovesse indossare un volto che le persone penseranno essere il mio, se mi dovesse dilaniare, se dovesse diventare me. Ascolta, non sono io! Chiunque stia ascoltando: quello non sono io.
Non mi ricordo nemmeno che aspetto avesse. Anche adesso che lo so, ora che l’ho vista contorta e… non me la ricordo ancora. L’unico volto che riesco a rievocare è…
NON!SASHA
[Distante] Jooooon... Jooooon... Vieni fuori, vieni fuori, ovunque tu sia.
[Respiri spaventati]
È tutto okay Jon; sono Sasha. La vecchia affidabile Sasha.
Non c’è nulla di cui aver paura.
Sembri stressato, Jon. Sei stato sotto molta pressione. Dovresti parlarne. Fare una bella vera chiacchierata. Ti piace parlare, non è vero, Jon?
Ti indosserò, Jon. Indosserò tutto ciò che sei. Come se tu non fossi mai esistito. Nessuno lo saprà mai. E farà male. Oh, sì, farà male. A Sasha ha fatto male.
ARCHIVISTA
Chiudi il becco!
NON!SASHA
[Vicina e distorta] Eccoti qui.
[Respiri pesanti come se stesse correndo]
[Strani suoni di inseguimento]
[CLICK]
[CLICK]
[Il dialogo è molto distorto fino al prossimo CLICK]
TIM
Dove diavolo siamo?
MARTIN
Non lo so. Pensavo… pensavo che la porta portasse più in profondità.
TIM
Non credo che siamo più sotto l’Istituto.
MARTIN
Che cos’era quella cosa?
TIM
Sto cercando di non pensarci. Mi fa venire il mal di testa.
MARTIN
Beh? Da… da che parte credi?
TIM
Er... Destra. Andiamo a destra.
MARTIN
[Sospiro] Bene. Non credo che questo aggeggio stia funzionando  bene. C-continua a fare questo rumore strano.
[CLICK]
[CLICK]
[I respiri pesanti rallentano]
NON!SASHA
Sono felice che abbiamo avuto la possibilità di correre, Jon. Rende il tutto molto più soddisfacente.
Hai una minima idea di per quanto tempo ti ho osservato? Tu e i tuoi piccoli… seguaci. L’ho detestato.
Lascia che sia io a raccontarti una storia. Ti piacciono le storie; possiamo anche chiamarla una dichiarazione se vuoi.
C’era una volta un mostro, ma nessuno se ne accorgeva. A volte qualcuno sì e allora avevano paura, il che era un bene. Ma un giorno arrivò un uomo cattivo. Un uomo cattivo che ingannò il mostro e lo avvolse tutto nelle ragnatele e lo legò a un tavolo.
Quindi il mostro fece sì che i suoi amici portassero in giro il tavolo, e poteva ancora prendere delle facce e spaventare le persone. Poi un giorno venne mandato nella casa del suo nemico, che aveva gli occhi più grandi che tu abbia mai visto. Il mostro venne mandato lì per rubare tutti i suoi segreti, ma era triste perché non poteva più spaventare nessuno.
Poi finalmente, dopo quella che era sembrata un’eternità, un piccolo uomo stupido e arrogante tagliò le ragnatele e liberò il mostro. Libero di uccidere e spaventare chiunque desiderasse.
Quindi grazie. Ho lasciato gli indizi che potevo ma non avrei mai osato sperare che mi avresti davvero liberato.
[Risata minacciosa e soddisfatta]
Devo confessare, però, che mi è quasi piaciuto vederti correre in giro. Mancando il punto disperatamente. Per lo meno io sapevo che cosa stessi cercando. Non sei nemmeno un’ombra del tuo predecessore. Non sei nulla. Anche io potrei essere un Archivista migliore di te.
Forse lo sarò.
Ti perderai il Disconoscimento, certo, ma comunque non lo comprenderesti.
ARCHIVISTA
[Sussurrando] Mi dispiace, Martin, Tim… Sasha. Mi dispiace così tanto. Avrei dovuto… non ho… mi dispiace.
Dio, mi dispiace così tanto.
NON!SASHA
Mi chiedo, se dovessi indossarti, io diventerei davvero l’Archivista? Deruberei l’occhio della sua pupilla?
Probabilmente no. Meglio ucciderti e basta credo.
Sì. Credo che sarà la cosa migliore.
ARCHIVISTA
[Sussurrando] Vi prego perdonatemi. Se siete ancora vivi… se… se state ascoltando questo nastro. Andatevene il più lontano possibile dall’Istituto Magnus-
[Sussulto]
NON!SASHA
Trovato.
ARCHIVISTA
No. Ti prego...
NON!SASHA
Scusa, Jon, ma questo è-
[Suono di pietra e mattoni che si spostano all’improvviso. Un urlo da Non!Sasha]
[Silenzio]
ARCHIVISTA
Cosa?
[Passi lenti]
FIGURA MISTERIOSA
Signor Sims?
ARCHIVISTA
Sì.
FIGURA MISTERIOSA
Credo che sia ora che facciamo una chiacchierata.
[CLICK]
[Tradotto da: Victoria]
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Note
Hey Chris, non riesco a dormire, quindi mi sa che ti farò la solita domandona contro la noia. Raccontaci, se hai voglia, la più grande figuraccia che hai mai fatto. Io sono scivolata per i corridoi quando ero in prima superiore nell’ala dove del triennio, credo di rendere l’idea...
Ehi ciao. Beh dai, sono figure che possono succedere; ma non devi farne una tragedia. Non sei la prima e nemmeno l’ultima, tranquilla. Per quanto riguarda me oddio, non saprei proprio. Ricordo però che quando più piccolo ho scambiato una mamma di un mio amico per sua nonna. Volevo sotterarmi.
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shikayuki · 5 years
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Sayuri
Questa storia partecipa al COWT9 di Lande di fandom
Settimana: 7
Missione: M6
Prompt: Arancione
Wordcounting: 940
Rating: SFW
Fandom: Boku no hero academia
Pairing: Kacchako
Bakugo si precipitò nell’ospedale senza neanche preoccuparsi troppo delle sue condizioni, lanciando una delle sue bombe ormai semi distrutta nel cestino subito dopo l’ingresso e ringhiando all’infermiera che tentò timidamente di riprenderlo.
«Lo hai visto? È Ground Zero!»
«Cosa ci farà qui?»
«Che sia ferito?»
«Oddio, non è messo benissimo, ma cammina sulle sue gambe...»
Questi sussurri lo accompagnavano per il labirinto di corridoi dell’ospedale, ma lui non se ne curava minimamente. Era inutile cercare di passare inosservato, in fondo era nella Top 3 degli eroi del momento e sicuramente le sue condizioni di certo non lo aiutavano. Sentiva sangue caldo che gli scorreva lungo un braccio, da una ferita che bruciava all’altezza della spalla, ma non gli importava, aveva questioni più urgenti da risolvere.
Era stato chiamato nel bel mezzo di una missione e per quanto Kirishima e Deku avevano provato a convincerlo ad andare via subito, aveva prima voluto sistemare quei maledetti Villain. Non c’era più posto per loro in città, sicuramente non dopo quel giorno.
«Tu. Dov’è Uravity?»
L’infermeria che aveva fermato di malagrazia lo stava guardando terrorizzata e con una mano tremante gli indicò in fondo al corridoio.
«Ultima stanza sulla sinistra, singnore-»
Bakugo non ci pensò neanche a ringraziarla, doveva vedere Uraraka e dove farlo subito. Raggiunse l’asettica porta bianca, adesso leggermente titubante se aprirla o meno, ma non ci pensò su ulteriormente e con uno spintone deciso l’aprì.
Uraraka era seduta sul letto, una pila di cuscini a sorreggerle la schiena, il volto pallido e madido di sudore, i fini capelli castani solitamente ordinati, completamente un disastro, raccolti in ciocche e nodi. Alzò lo sguardo stanco allo sbattere della porta e i suoi occhi ci misero un poco a riconoscerlo.
«Bakugo, che cosa ti è-»
«Uraraka, come stai?»
La voce gli era uscita più simile a un ringhio, ma lui era così non poteva farci nulla. La ragazza gli sorrise stancamente, indicandogli con un cenno il fagottino che aveva stretto al petto. Un fagottino rosa, che sembrava minuscolo, persino contro il suo corpo minuto e le braccia sottili. Bakugo non lo aveva notato subito, troppo preso a guardare il viso smunto di quella che era sua moglie, ma adesso lo aveva visto e il suo cuore aveva perso diversi battiti. La titubanza di prima tornò a colpirlo, mentre tentava di muovere almeno un passo verso il letto d’ospedale dove stava una stremata Uraraka, ma la sua testa aveva dentro tipo un allarme che urlava di scappare, che sicuramente il campo di battaglia era più facile da affrontare.
«Non vuoi conoscerla?»
Uraraka gli sorrise dolcemente, forse intuendo i suoi sentimenti e decise di dargli il suo tempo, in fondo ormai aveva imparato a conoscere quel burbero che aveva scelto come compagno di vita.
Bakugo fece un mezzo passo esitante, i suoi stivali che grattavano indecisi il pavimento di linoleum color pastello, ma fu interrotto dalla porta che si aprì di getto dietro a lui, rivelando una come sempre rattrappita Recovery Girl.
«Bakugo, ti sembra modo di presentarti in un ospedale? Hai lasciato una traccia di sangue dietro di te e soprattutto stai disturbando tua moglie che ha solo bisogno di riposo.»
«Io-»
«Recovery Girl, per favore, lasci che veda almeno sua figlia. E poi non mi disturba, ci sono abituata.»
Figlia. Quella parola  lo aveva colpito come un pugno nello stomaco e avrebbe potuto spergiurare che era un pugno persino più potente di uno di quelli di Deku.
«Bakugo, vieni?»
L’eroe si avvicinò lentamente, prendendosi il suo tempo e sfilandosi i guanti per lasciarli cadere lungo il tragitto, non curandosene.
«Amore, questo è il papà. Sai, è un eroe fortissimo, sono sicura che ti amerà tantissimo.»
Dall’involucro di coperte faceva capolino un visino rosa, più piccolo di uno dei suoi palmi. Un ciuffetto di capelli biondi che scendeva su quella fronte distesa, liscio come la seta, un nasino appena accennato e delle labbra a forma di cuoricino, che erano già imbronciate. Un pugnetto minuscolo era stretto vicino al visino e a Bakugo venne quasi da ridere: sembrava già arrabbiata con il mondo.
«Sai, ha urlato molto appena nata, deve aver ripreso i polmoni da te!»
Uraraka sorrise leggera e il movimento datole dalla risata, dovette disturbare la piccola, che iniziò ad agitarsi leggermente.
«Vuoi prenderla?»
«Potrei romperla.»
«Non penso sia così delicata, sai? Non con noi come genitori. Prendila.»
Quella di Uraraka non era una domanda, ma un ordine e Bakugo sapeva che non bisognava mai trasgredire a quel tono perentorio. Allungò le braccia titubante e con tutta la delicatezza di cui era capace, prese la piccola tra le braccia. La piccola si agitò un pochino, dimenando i pugnetti stizzita e Bakugo poté rivedere molto del suo caratteraccio nella sua insofferenza e sorrise leggermente. La bambina si agitò ancora un pochino e poi lentamente aprì gli occhi, rivelando dei bellissimi occhi di un particolarissimo colore arancione a metà tra i suoi rossi e quelli castani dorati di Uraraka, che lo conquistò. Si perse in quel colore sconosciuto, vivido, e penso che si sarebbe perso in esso ogni sacrosanta volta che sua figlia lo avrebbe guardato. Si innamorò di quei occhi arancioni e improvvisamente l’arancione tornò di nuovo il suo colore preferito, proprio come quando era piccolo e immaginava il suo costume da eroe. La piccola sembrò osservarlo con giudizio, penetrandolo con il suo sguardo così particolare e ancora cieco, prima di iniziare a lamentarsi.
«Benvenuta al mondo, piccola Sayuri.»
Uraraka sorrise dolce e si lasciò andare sui cuscini, mentre osservava un Bakugo sporco ancora del combattimento cullare con tutta la dolcezza del mondo la loro bambina.
Giglio arancio, Bakugo aveva scelto proprio un bel nome.
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romanticasemiva · 6 years
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Fabrizio si è appena trasferito nella scuola di Ermal. Si siede accanto a questo ragazzetto riccioluto e silenzioso e nota sulle sue braccia dei segni, come dei tagli... e non ci mette molto a capire che non sono affatto i graffi. Perciò Fabrizio pian piano cerca di entrare nella vita di Ermal, prendendosi la responsabilità di liberarlo da un dolore che non è sicuro di riuscire a sopportare, ma che non vuole lasciare ad Ermal. Ed Ermal a sua volta pian piano si scioglie, fino a... beh, l'amour
Oddio, wow.
Ciao figliola e grazie per il prompt (mi fa un sacco strano dirlo perché è il primo che ricevo). Allora, la tematica che mi chiedi di affrontare è super impegnativa, purtroppo tutto ciò l’ho vissuto molto da vicino e, detto da una persona come me che respinge ogni forma di tristezza, mi ha fatto male al cuore vedere una persona sgretolarsi. Io ci provo. Per qualsiasi chiarimento, insulto o pomodoro in faccia io sono qua!
Iniziamo.
Fabrizio ha un problema grande come una casa. Insomma, è sonnambulo e ogni mattina si sveglia in modo molto creativo. Dipende tutto dal sogno che sta facendo, quella mattina è un ladro che scappa con una refurtiva da sette zeri e al suono della sveglia si alza urlando: “La prego mi arresti.” mostrando le mani in segno di resa. La sua povera sorellina rimane alquanto allibita sull’uscio della camera di Fabrizio.
“Romina, ma che voi?” sbotta aprendo piano gli occhi. Quella poveretta non ha nemmeno il tempo di ribattere che scoppia a piangere come una disperata. Fabrizio sbuffa sentendo già sua mamma urlare il suo nome dalle scale.
“Fabrizio sei un disgraziato! Smettila di tormentarla.” e sbuffa come un treno, sbuffa perché a scuola non ci vuole andare. Piove ancora, impreca a denti stretti tuffandosi tra le lenzuola profumate di bucato. Non dovrebbe arrivare in ritardo il primo giorno di scuola in un nuovo liceo, in una nuova città, lontano da quella che comunemente chiamava casa.
Inutile dire che a scuola ci arriva in ritardo, con un ombrello che ha fatto la guerra, su uno skateboard che scricchiola e inzuppandosi perfino l’anima. Che bella giornata!
Sale a perdifiato le scale, si perde per i corridoi di quel palazzone. Trova la 5^B.
Busso o non busso? Massì ormai la figuraccia l’ho fatta. Bussa alla porta e dopo una manciata di secondi entra, Fabrizio non è tipo da imbarazzarsi ma questa volta può farlo tranquillamente.
“Oh lei deve essere Mobrici, il nuovo arrivato?”
“Sì prof, so’ io.” tentenna.
“Io non sono prof ma professoressa. Si vada a sedere che è in ritardo.” e Fabrizio già scazza e, sbuffando, trova un banco libero in ultima fila accanto ad un ricciolino tutto capelli e gambe.
“Ma che è questa? E’ stronza?” sussurra al nuovo compagno di banco. Questo si gira nella sua direzione, stira le labbra in un sorriso e: “Stai attento, questa morde.”
“Oh, nun me lo dire te prego. Io in filosofia so’ na pippa.” sbuffa. “Io so Fabbbbrizio.”
“Con quattro B o una sola?” colpito ma non ancora affondato. “Io sono Ermal, piacere.”
Beh che tipetto oh.
Sta di fatto che Fabrizio si deve ricredere. Sono simpatici in quella classe: con Claudio ci ha fatto le peggiori risate e siamo solo al primo giorno di scuola!! E poi ci sta Marco, Andrea, Roberto, Silvia e quell’Elisa che già gli si era attaccata al polpaccio.
Ma Ermal sta la, sempre sulle sue. Ridacchia, scherza ma ha come un velo di apatia negli occhi e Fabrizio l’ha notato. Non ci fa caso, insomma lui è in lutto per le sua vacanze estive e anche lui quella mattina stava abbastanza a pezzi.
Ma forse quel velo di apatia esisteva davvero e non era perché l’estate era giunta al termine.
Le sveglie suonano e Fabrizio inventa ogni mattina un risveglio sempre più creativo e la povera Romina si spaventa, spera sempre che un giorno o l’altro quell’orologino rosso si rompa definitivamente.
Le giornate a scuola passano e le foglie cadono dagli alberi. Si era ricreduto, sta bene a Bari. Non era la sua Roma ma sta bene eccome, se la spassa un casino con i suoi compagni e Ermal è diventato quasi fondamentale nelle sue giornate. Scherzano, parlano e si conoscono. Suonano, sì perchè il ricciolino sa suonare e canta gran bene e Fabrizio è come folgorato. Sente di aver trovato un tesoro. Sta sempre lì canticchiando nella sua mente sul bordo della sua immaginazione, pensa spesso a lui, non sa il perchè ma non lo spaventa. Nemmeno un po’.
“Ricciolè, che me dai na mano in filosofia?” sbuffa stringendosi nella giacca, si accende una sigaretta. “Uhm, va bene. Che mi dai in cambio?” borbotta l’altro armeggiando con cartina e tabacco. “Te do la play, come al solito! Nun fa er prezioso che so che ce voi venire da me!” e l’altro ridendo accetta. Mi pare giusto! Lo aiuta, si aiutano e almeno il debito al primo quadrimestre Fabrizio non se lo becca, per ringraziarlo si godono una bella serata sul tetto di casa Mobrici, del fumo e la notte fredda che cala davati ai loro occhi. E Fabrizio ha questa tentazione grande come una casa, se lo vuole stringere a se, forse lo vuole baciare, forse. 
Ma è in una di quelle prime giornate di febbraio che, sedendosi in parte a Ermal, incontra il suo sguardo vuoto, livido ed ha la capacità di trapassargli da parte a parte il cuore. Si sente come inchiodato alla parete e nemmeno quando l’altro abbassa gli occhi, questa sua sensazione passa.
“Oh riccioletto, te hanno mangiato la lingua?” scherza come ogni mattina. L’altro esce da questo stato di trance e risponde con un: “Oh magari, meno problemi per tutti.” e sorride sulle sue. Insomma era abbastanza preoccupato. 
Fabrizio, oltre a non sopportare la filosofia, odia profondamente il latino. Decise di non seguire la lezione, e si perse scribacchiando un paio di versi sull’angolo sinistro del banco. Lasciò vagare lo sguardo sul compagno, lo osservò di sottecchi lasciando scivolare gli occhi su tutta la sua figura: i ricci scomposti e voluminosi, il piercing al sopracciglio, le labbra fini, il naso leggermente storto e le lunghe braccia coperte da un dannatissimo chiodo dorato che nemmeno il domopak.
Infine le mani, bianche quasi pallide che scrivevano e scrivevano ancora. Li aveva notati, quei graffi sul dorso della mano. Ma chi ci da peso, pure Fabrizio se li faceva quando giocava con la gatta (Molly, si chiama Molly.)
La campanella ha questo retrogusto di libertà e a Fabrizio piace un sacco, si ferma a parlottare con Roberto e Andrea per organizzare una partitella a calcetto. Lo vede passare, Ermal, cammina a testa bassa abbastanza di fretta. Lo vuole invitare, lo vuole vedere, vuole che si diverta con loro. Lo chiama. Non si ferma.
Fabrizio congeda gli amici e lo segue chiamandolo a gran voce, si fa vicino, gli afferra un polso per fermarlo. L’altro si ritrae come scottato e si gira a guardarlo, un lembo di pelle chiara appena sotto al pollice rimane scoperto e Fabrizio rimane colpito da ciò che vede.
“Levati Fabrizio.” Ermal è parecchio stizzito e cala la manica della giacca.
L’ha visto quel taglio in parte rimarginato e no, non è stato il gatto. Non parla, non parla per minuti che sembrano anni sentendo come se quel taglio l’avesse nel cuore.
La pioggia cade fine come spilli. Gli si bagnano le punte delle scarpe, le aveva lucidate giusto quella mattina e le osserva con grande attenzione. Fabrizio tiene il capo chino perché non voleva che gli si bagnino le lenti degli occhiali e con lo zaino e lo skateboard tra le mani non sarebbe stato facile pulirli.
“Ermal, io non …” vedeva nei suoi occhi una silente richiesta d’aiuto, ora ricolmi di lacrime che tratteneva con tutta la sua forza.
“Ermal, come stai?” tenta ma sa che è la domanda più stupida che potesse fare in quel momento. Gli si bagnano gli occhiali, sente freddo.
“Fabrizio non ti importa realmente.” sputa l’altro con una risata amara.
“Cazzo, sì che mi importa.” sbotta quasi. “Ti conosco da poco, troppo poco per sapere veramente chi tu sia. In realtà è come se ti conoscessi da una vita intera” 
“Fabrizio ti prego, non c’è bisogno di tutto ciò.” sussurra l’altro
“C’è bisogno, io ne ho il bisogno.” senza replicare lo stringe a sé inspirando il suo profumo. L’altro si scioglie al suo tocco e scoppia in un pianto liberatorio, le lacrime calde corrono giù per le guance arrossate dal freddo pungente. Scusa, scusa, scusa sussurra sulla spalla del moro.
“Vieni da me, stai con me per un po’” gli sussurra, l’altro annuisce e scioglie l’abbraccio. “Guarda che te faccio fa’.” ridacchia Fabrizio sperando di alleviare un po’ quel suo fardello.
Prende la sua nuova tavola, bella e luccicante, pareva una da surf dalla sua forma appuntita e levigata. Lo fa sedere sulla punta a gambe incrociate, Fabrizio stava dietro in piedi e spinge con quanta forza avesse nelle gambe per volare a casa prima che la pioggia li sorprenda.
A casa sua non studiavano mai, finivano sempre sul divano a giocare alla play e mangiare schifezze. Suonavano, suonavano un sacco. Fabrizio si chiede come ha fatto a non notare nulla, non ha mai visto quel suo lato debole. Mai avuto l’impressione che potesse rompersi da un momento all’altro.
Corsero in casa abbandonando le scarpe zuppe fuori, l’acquazzone li aveva sorpresi a metà strada lavandoli da capo a piedi.
“Ti do dei vestiti asciutti ricciolè.”
“Non ti devi disturbare davvero.” ma Fabrizio insiste, insiste eccome e lo fa accomodare in camera sua. Ermal è nel mondo di Fabrizio e ne può sentire il sapore.
Nuota nei pensieri e nelle mille turbe di quella nuova vita che l’amico aveva cominciato in una nuova città. C’era tutto quello che avevo lasciato in quella precedente: il giradischi azzurro, le mille fotografie, i libri, i dischi. Il suo passato appeso ad un muro di sughero tra biglietti di concerti, disegni, polaroid, stampe e foto, visi familiari come il suo i suoi ricci e il suo sorriso, luoghi da sogno, cartine geografiche piene di frecce.
Eccoli i mille fogli pentagrammati, fogli studiati alla perfezione e trattenuti tra mani tremanti, nascosti sotto cuscini o tra le coperte, ricoperti di briciole o lacrime. Sbavati o macchiati di caffè sui lati, strappati, stracciati, accartocciati e usati come palline, spiegazzati e messi sotto dizionari per farli tornare leggibili. Migliaia di ricordi ingialliti dal fumo di sigarette e messi ad invecchiare negli angoli della memoria, là dove si dimenticano.
Ermal si tolse la giacca di sua volontà, rimase in maglietta. Le braccia scoperte.
“Rivedo in te la mia vita.” sussurrò a Fabrizio chino nell’armadio a cercare una maglietta decente da dargli. “Rivedo in ciò la mia casa, la mia vera casa a Tirana.”
Fabrizio smise di frugare e si girò nella sua direzione. Quelle braccia color del latte ricoperte da una ragnatela di cicatrici, aperte in alcuni punti. Rimase di ghiaccio.
“Ermal non devi sentirti obbligato davvero.” gli sussurrò facendosi vicino, così vicino da poter sentire il suo profumo. Non sapeva perchè ma ogni volta il suo stomaco vinceva le olimpiadi di salto carpiato all’indietro, ma che me succede?
“Lo voglio fare perchè mai nessuno mi è sembrato la persona giusta.” e gli raccontò senza mai versare una lacrima. Gli raccontò di Tirana, della sua infanzia in Albania. Della violenza subita, tanta, troppa. Dei complessi futuri quando era fuggito da lì, delle insicurezze, della paura, di quella violenza che era tornata nella sua vita dopo anni e anni. Della paura e mai dell’amore.
Fabrizio quasi piangeva, uno come lui non piange mai. Mai. Era tipo d’acciaio dice sempre sua madre.
“Ermal, aspetta.” prese la chitarra e lo fece accomodare sul letto. “Cantala, canta la tua vita.”
L’altro rimase decisamente di stucco, non esitò però ad abbracciare lo strumento pizzicando leggermente le corde.
“Mamma dice che è vietato morire.” sussurra strimpellando.
“La mi mamma me dice sempre de cambià le mie stelle.” gli si fa vicino. Fanculo, sente il suo stomaco completamente in subbuglio. Il cervello annebbiato, in corto circuito.
Ermal si illumina raccattando un foglio e scrivendo cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai. Fabrizio aggiunse poco sotto e ricorda che l’amore non ti spara in faccia mai.
Non ti fa del male l’amore, non ti uccide, non ti ammazza e tanto meno non permette ad una persona di sgretolarsi. Ti prego non farti del male, ti prego non voglio trovarti con le vene lacerate. Fanculo per la seconda volta, capisce Fabrizio. Sente che se lo vuole nella sua vita, sente che le partite alla play finivano prima per prendere in mano la chitarra e cantare perché si erano trovati. Vuole inebriarsi dell’altro e dei suoi scherzi e di quella forza velata, finta.
Fanculo per la terza volta, lo bacia. Posa semplicemente le sue labbra su quelle di Ermal senza chiedere di più con la fottuta paura che l’altro lo potesse respingere. Non lo fa ma si scosta per poterlo guardare negli occhi.
“Fabrizio, ti faccio pena?” chiese.
“Ma che pena! E’ da quando abbiamo giocato e Call of Duty e poi abbiamo fumato sul tetto de casa che aspetto questo momento.”
“E’ perché eri sballato Fabbrì, fidati.”
“Non ero sballato, anche se lo fossi stato mi sono accorto che te me piacevi. Un sacco.” e fanculo ora lo dice Ermal rituffandosi su quelle labbra rosse e morbide di Fabrizio, gli passò la lingua sui denti dritti e smaltati fino ad ottenere l’accesso. Le mani tra i ricci e sulla schiena, gli occhi serrati e la testa che gode di quel bacio inebriandosi del profumo dell’altro.
“Ehi ricciolè, dimme ‘na cosa.” ed Ermal annuì, in bocca ancora il gusto dell’altro.
“Amate, amate fino ad impazzì.”  
Ermal la promessa non la mantiene, la spirale in cui è caduto è più grande di lui. Fabrizio capisce che la situazione non è facile, che un amati perchè io ti amo non può risolvere la situazione. Il percorso è lungo, tortuoso e lento. Sa solo una cosa, vuole la sua felicità dunque lo accompagna cadendo e rialzandosi con lui. 
Eccoci a fine partita, spero di essere stata “brava” e di aver espresso bene la tua richiesta. 
Un abbraccio.
(Se avete voglia di mandarmi prompt o roba simile, sarò più che contenta!)  
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yellowinter · 6 years
Note
Perché sei scomparsa in questi giorni?
Perché sono andata via, ho fatto un’esperienza incredibile e straordinaria. Oddio non so nemmeno da dove iniziare, sto piangendo. Sono stata quasi tre settimane in montagna, in una struttura con altre persone. Gente di ogni tipo: bambini, ragazzini, ragazzi della mia età, disabili, gente adulta, vecchi, persone malate mentalmente. Una specie di comunità in cui non esistono pregiudizi, non ci sono stereotipi, tutti sono sullo stesso piano e tutti si autogestiscono e gestiscono a vicenda. Appena sono arrivata in questo centro volevo scappare. Volevo solo andare via. Non conoscevo nessuno, non sapevo cosa dovevo fare, non sapevo cosa mi aspettava. Ho sempre avuto difficoltà a relazionarmi con gli altri, mi sentivo una fitta allo stomaco e mi veniva da piangere in continuazione. I primi sono stati giorni terribili, avevo crisi pesanti, mi tagliavo in bagno, ho tentato di buttarmi giù dalla finestra (qui hanno chiamato i miei genitori ed è successo un casino). Stavo male, stavo male. Non potevo mai stare un attimo da sola, in camera avevo 6 ragazzi, le giornate erano piene di attività e io volevo solo rimanere a letto a disperarmi. Poi, piano piano, le cose sono andate meglio. Ho iniziato a partecipare alle iniziative, a creare legami, ad aiutare gli altri, a farmi aiutare. Davvero, questo posto mi ha aiutata tantissimo. Ho ascoltato le storie degli altri, ho sentito dolore per gli altri, mi sono resa conto di non essere sola in questa merda. Ogni 10 minuti c’era qualcuno che scoppiava a piangere, ho visto gente vomitare e tirare pugni per la rabbia, ho visto le cicatrici degli altri, ho indossato le maniche corte anche io. Il bello? E’ che ogni volta trovavi qualcuno disposto ad aiutarti, ascoltarti, consolarti. Sempre. La cosa che più mi ha sconvolta in questo posto è stato l’affetto. L’affetto. Tutti si davano baci, abbracci, carezze, massaggi. Io sono cresciuta senza queste cose, nessuno mi ha mai abbracciata o dato attenzioni. Qui, invece, mi chiedevano ogni giorno “come stai?”. A casa se non sto bene mia madre fa finta di nulla, qui si accorgevano subito quando stavo male. Appena il mio umore cambiava avevo subito due braccia intorno al collo e qualcuno pronto ad ascoltarmi. Per me è stata una cosa assurda e so che detto così non rende, ma mi ha sconvolta. Il contatto fisico l’ho sempre odiato, ma qui era fondamentale. Ho imparato l’importanza di una carezza, ci sono persone disabili che non riescono a comunicare a parole... una carezza li salva. Mi sono aperta, ho iniziato a vivere ma a vivere davvero. Ogni giorno si facevano attività di ogni tipo come canto, musica, teatro, tiro con l’arco, pulire tutta la struttura, cucinare, siamo andati al planetario, tornei di calcio, pallavolo, ping pong, giochi vari di gruppo. Le sigarette fumate sulle scale, le canne nel parco, le chiaccherate di notte a bassa voce, dormire sul pavimento, mangiare fino allo sfinimento, piangere tanto. Cazzo siamo tutti nella stessa merda. Potevi anche organizzare tu degli eventi, una sera l’ho animata io con altre due ragazze. Bastava proporre, organizzare e fare. Tu gestivi il gruppo e il gruppo gestiva te. Il silenzio era enorme, anche se c’era la musica nelle casse in continuazione. Abbiamo inventato una radio. Le urla, le risate, le maglie rubate, i piatti rotti, gli oggetti imprestati e mai restituiti, le candele accese, i grazie sussurrati nell’orecchio. Abbiamo riempito una stanza intera di fogli bianchi, ovunque, sul pavimento e sulle pareti. Quello era il nostro “spazio bianco”, andavi lì e potevi scrivere ovunque i tuoi pensieri, emozioni, sensazioni. La finta discoteca, le bottiglie di alcolici rubate dalla cucina, le docce in comune, le stelle di agosto, andare sull’altalena a 19 anni e sentirsi una bambina, nascondino con le torce di notte. Siamo andati in escursione, è stato faticosissimo, poi siamo arrivati in cima e ci siamo buttati a terra, il cielo era azzurro, il sole caldo, due poiane che cantavano e una fiaschetta di gin. Io sono viva, mi ricordo che fissando l’orizzonte ho pensato “ne vale la pena”. I ti voglio bene detti insieme ai mi mancherai, le poesie lette ad alta voce, i materassoni della palestra buttati nella terra per prendere il sole, lasciarsi cadere dal palco per farsi prendere dalle braccia degli altri, i colori in faccia. Una sera ci siamo bendati tutti gli occhi e abbiamo iniziato a camminare per il salone, con la musica in sottofondo, finché incontravi una persona, la prendevi per mano e ti sedevi e iniziavi a parlare di te. I baci sul fiume, le foto sul balcone, i divani morbidissimi del primo piano, le sgridate, le corse nei corridoi, lo xanax preso in quantità enormi. Questo posto amplifica le sensazioni, è stato come stare davanti ad uno specchio e togliersi la maschera. E quando rimani senza niente, senza scudi, senza protezioni, vedi cose che magari non vorresti vedere. Ma impari ad accettarle, a conviverci. Ogni mattina mi alzavo con un bacio sulla fronte, mi hanno ripetuto così tante volte che sono bellissima che ora ci credo davvero. E’ assurdo. Non sono guarita, i miei problemi sono ancora tutti lì, però ora sto meglio. I mostri che porto dentro li ho conosciuti meglio e stanno diventando miei amici. E’ difficile, è dura, ma questo potrebbe essere l’inizio della mia nuova vita. Perché no? Sono pronta.
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DF Campus - Episodio I - Il ritorno della Scema
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Salve a tutte mie care ragazze, eccoci di nuovo insieme dopo una lunga e tremenda attesa. Tante voci di corridoio e spoiler più o meno attendibili hanno reso questi mesi insopportabili, tra l'amarezza per l'assenza dei nostri boys preferiti (RIP, insegnate agli ancieli a vagare per i corridoi senza fare un tubo tutto il giorno) e quella per il cambiamento della modalità di gioco, il fandom è letteralmente esploso. Non mi prolungo ulteriormente perché ho già espresso la mia opinione al riguardo, ed ognuno è libero di pensarla come vuole. Intanto vi propongo il primo episodio di questo nuovo capitolo di DF che si potrebbe riassumere in due semplici parole: "Nulla Cosmico"
Ma procediamo con ordine. Come avete già visto, sono passati ben 4 anni dal diploma della nostra Dolcetta che si è trasferita e ha frequentato una triennale fuori città. Ebbene sì, non se l'è presa comoda (anche se ce lo aspettavamo un po' tutte vista la perspicacia che ha sempre mostrato di avere). Adesso, tra tremila città che permettono di studiare "Storia dell'arte", noi siamo apparentemente costrette a ritornare nella vecchia Dolce City. Ecco, lo dicevo io. C'hanno un'università in quel posto. Lo sapete già che ho pronta la mappa della città e che me ne lamenterò per metà post, ma non si può veramente ragazze hahahahah
Tornando alla nostra storia: Stiamo per frequentare l'ultimo anno di specialistica in questa splendida università di cui nessuno aveva saputo l'esistenza fino ad ora, il celeberrimo Manicomio Anteros "Anteros Academy" che mi fa sempre pensare all'accademia di ballo di Paso Adelante, niente, probabilmente lo nominerò più volte del dovuto sks. Dunque pensiamo bene di fare finta di non essere sparite senza lasciare tracce per 4 anni, e costringiamo la povera Rosa ad accompagnarci in giro per l'università. Io non ho parole.
Ad ogni modo, apprendiamo che il caro Lysandro si è dato alla zappa, e che adesso fa l'allegro contadino nella sua fattoria.
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Scopriamo inoltre che la ragione della separazione dei due piccioncini è stata dovuta alla lontananza, al fatto che i biglietti dei treni costano oro, e probabilmente al fatto che non conoscevano nemmeno l'esistenza di un apparecchio costruito per comunicare a voce anche a distanza, chiamato "cellulare". A volte dimenticano questi piccoli dettagli.
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Ma vbb questa è la vita e noi non abbiamo tempo per pensare al passato, dobbiamo trovare uno scopamico al più presto  un modo per iscriverci a questo benedetto corso, quindi ci rechiamo all’interno dell’edificio.  La dolcetta, con uno dei suoi millemila monologhi interiori, ci fa scoprire di stare per frequentare l’ultimo anno di specialistica in arte. Ma proprio mentre stiamo blaterando inutilmente, ecco che facciamo il fatidico incontro con la nostra nuova nemesi, la versione stronza di Taylor di High School Musical che sta facendo la bulla con una povera ragazza tumblr.
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Allora, intanto cosa sono questi “laboratori turbolenti”? Che cavolo significa?? Ad ogni modo, come ben sapete la nostra Dolcetta è una paladina della giustizia, è deve punire severamente tutte le stronze di turno... Anche se a quanto pare il metodo di tortura proposta dalla psicopatica di tumblr sembra decisamente più interessante delle nostre urla.
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Chissà da quali ranghi sarà uscita? Non lo sapremo mai...
E così, anche questa volta grazie all’intervento della nostra Dolcetta, la pace si è ristabilita su Dolce City. Ma la stronza che ha letteralmente una felpa con le sue iniziali ci promette vendetta. Iniziamo benissimo anche quest’anno.
E così, dopo delle lunghissime presentazioni, scopriamo che il nome della tumblr girl è Chani, che Rosa fa psicologia (e figurati, ormai sono tutti psicologi) e che dobbiamo smettere di perdere tempo se vogliamo iscriverci a questo corso, e che cavolo.
Facciamo così la conoscenza del Responsabile amministrativo che è ossessionato dal mito italiano di PIZZA SOLE E MANDOLINO, perché i cliché potenti cadono pure su di noi... Anzi sono sorpresa che non abbia aggiunto “mafia” o “Napoli”.
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Rosa inoltre ci informa che vive con Leigh adesso, e la sua espressione sembra gridare “SESSO SELVAGGIO”. Ora capisco perché Lysandro è scappato in fattoria.
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Ad ogni modo il simpaticissimo responsabile ci consegna le chiavi della nostra stanza e, dopo averci chiesto di non rompergli le palle (anche se il lavoro se l’è scelto lui, quindi non dovrebbe lamentarsi), ce ne andiamo via.
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Rosa chiaramente non può passare la giornata insieme a noi come un cagnolino, e dopo aver sottolineato giustamente che ce ne siamo andate senza dire nulla, ci invita a passare una serata al bar. Bon, accettiamo. Andiamo a cercare questo professor Zaidi. Inutile tirarla per le lunghe, sappiamo già che è RAYAN e non Ryan.
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Già da subito mette i brividi, cosa intende con “viaggio pericoloso”? Io fossi in loro non gli darei mai le spalle che dentro quest’aula è peggio di un carcere, appena ti abbassi ti ritrovi RAYAN addosso ;)
La nostra dolcetta si è già bagnata al primo giorno, e non fa che parlare del suo carisma blablabla, poi quei pettorali che si intravedono mlml, e così via. E dopo interminabili dialoghi e spese di pa da far piangere, riusciamo ad iscriverci, e la faccia di Rayan ci dice tutto.
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Guardate quel sopracciglio, questa è l’espressione del sesso signori! Di questo passo all’episodio 3 ci ritroveremo a ficcare chiusi negli stanzini.
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Così, dopo aver fatto un dialogo pseudo-intellettuale e aver leccato il culo al professore (stiamo diventando le future Melody), Rayan ci fa un occhiolino inquietante e ci informa che cercano cameriere nel bar vicino al nostro ex liceo. Esatto, quel bar. Parliamone. Prima di uscire dalla classe riusciamo a spiare Zaidi mentre flirta con le studentesse.
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Come guarda la biondina... Ma dietro tra l’altro c’è pure un ragazzo che pende dalle sue labbra e che NON HA OCCHI, mi inquietano da morire.
All’uscita dalla classe troviamo un poster di un concerto di Castiel che adesso è tutto tatuato perché fa figo, e perché altrimenti non suoni rock bitch pls. A quanto pare, tra l’altro, lui è l’unico membro importante del suo gruppo, chi se ne frega del cantante. E comunque “Tempesta di Corvi” non è un nome figo, just sayin’. Mentre osserviamo questa illustrazione, ci ricordiamo d’un tratto del nostro Lysandro e del fatto che non abbiamo avuto nessuna storia importante dopo di lui.
Bisogna rimediare.
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Ma adesso è tempo di andare nella nostra camera, e chi becchiamo per strada? MELODY. VAI VIA. 
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Melody, speravo di non vederti più!
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La nostra amatissima ex compagna puritana ci informa che ora è l’assistente di Rayan (eh sì perché lei lo chiama per nome hihi), e che Nath è cambiato e quindi le si sono spente le fiamme della passione.
Ah bene, adesso la sua nuova cotta è il professore?
Mannaggia, che gran peccato se per caso la mia dolcetta decidesse di farsi sia il suo amato Rayan che la sua vecchia fiamma Nath. 
Odiami Melody.
Ci dirigiamo allo studentato, dove iniziamo a lamentarci per l’assenza dei piani misti e delle stanze miste. Se non si fosse capito, stiamo disperatamente cercando un ragazzo. Ad aspettarci nella nostra camera c’è la nostra dolcissima compagna di stanza, la Taylor Yeleen la stronza! E te pareva! Mainagioia ChiNoMiko, mainagioia.
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Dopo aver fatto le nostre presentazioni e aver deciso di farsi ognuno i cazzi propri, ci prepariamo per lasciare il nostro curriculum al Cosy Bear Café, il bar dove marinavamo la scuola ai tempi del liceo, e dove incontreremo il mio boy del cuore.
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Guardate il suo bellissimo sorriso mlmlml Ora, va bene che sei carino e tutto quanto, ma se è un cameriere, con che titolo ci viene a fare delle domande? Per giunta dopo dice di essere arrivato in città da poco, quindi non lavora da chissà quanto, ma chi cavolo sei? Che domandi? Partiamo coi quizzoni, questo mi sa che non sta bene.
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Le “domande” sono a dir poco imbarazzanti (qualcuno mi spiega cosa cavolo c’entra il caffé macchiato con gli hipster? WHY?? CHINOMIKO EXPLAIN), ma non siamo arrivati al peggio. Questo è impazzito, ci fa GLI INDOVINELLI. Ma ti sembra il momento adatto? Sei gnocco e tutto, ma non mi sembri tanto equilibrato tesoro. Ma poi che razza di indovinello è? La logica, ma insomma! Devo portare tazze ai tavoli mica fare cruciverba, che cavolo te ne frega a te della mia logica? Io ho perso ogni fiducia per l’umanità ormai. Comunque.
Alla fine di questa conversazione allucinante, il nostro boy del cuore Hyun ci invita a bere qualcosa visto che è la sua pausa e lui si sente terribilmente solo. 
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Ogni volta che sorride, da qualche parte nel mondo spunta un arcobaleno. Lo so, mi sento il cringe addosso anch’io, ma che ci posso fare? x’D
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Iniziamo dunque a chiacchierare con il signorino “Hyun Enigma”, e gli raccontiamo la nostra storia. Hyun però è un ficcanaso e vuole sapere se abbiamo amici, fidanzati e compagnia. Bravo ragazzo, vai subito dritto al punto che non abbiamo tempo da perdere. Il cretino non sa esprimersi e inizia a dire roba ambigua. Oddio, io non mi sarei lamentata, però effettivamente sembra un po’ matto, capisco che la dolcetta sia titubante.
Dopo questa splendida chiacchierata, Hyun torna a lavoro, ma non prima di averci fatto sbloccare una sua angelica illustrazione. Mlmlmlml ti bevo come un cappuccino.
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E’ tempo di tornare al campus, sulla nostra strada incontriamo la fata che ci dice che ai tempi di Woodstock si drogava e poi ci regala una borsa. Adesso si spiega perché gira conciata come una malata mentale. E quelle tette che rimbalzano sono veramente una cosa da vedere almeno una volta nella vita.
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Incontriamo nuovamente Chani che ci consiglia di chiedere al responsabile un cambio di camera, e ci svela che uno studente non si è presentato alle iscrizioni, per poi procedere con il presentarci scenari apocalittici. Io già la amo.
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Sagge parole, ragazza.
Ritorniamo dunque al campus e durante la nostra ricerca del responsabile, troviamo questo pasticcino che mlmlml perché non è un flirt??
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Il suo nome è Morgan, si è perso (sarà un parente di Lysandro?) e ci indica dove si trova il responsabile. Sta dormendo in biblioteca. Signori, che università prestigiosa. Questa scena è oro. 
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GIULIANAAAAA!!!!
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Mi piace come la dolcetta debba ricordargli chi sia lui. Non so se sopravviverò a questo episodio per molto x’’D
Gli ricordiamo anche che c’è una riunione, e ci dirigiamo in mensa per assistervi.
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Non abbiamo tutti i torti, con tutti sti matti in giro è sempre meglio essere pronti a fuggire hahahaha Comunque, ci viene data la possibilità di partecipare a un corso insieme a studenti che frequentano altre specialistiche, e Rayan ci continua a guardare.
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No tesoro, quello non è uno sguardo premuroso, quello è lo sguardo di uno che ti si vuole ingroppare in modo potente.
Così la riunione finisce, tra dialoghi inutilissimi che ometterò per il bene comune, ci dirigiamo in stanza per prepararci all’uscita con Rosa, ma c’è qualcosa che blocca la nostra porta, a quanto pare la nostra valigia, che finisce per aprirsi. Evvai.
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Siccome siamo delicate quanto un elefante africano, facciamo cadere la vernice sul letto di Yeleen, e per evitare le sue ire, le cambiamo lenzuola. Ma chi cavolo tiene barattoli di vernice in stanza, che ci devi fare la doccia?  Dopo questo contrattempo arriviamo a questo benedetto bar e troviamo Alexy e Priya ad accoglierci, che bella reunion. Priya è una gnocca, e Alexy non scherza nemmeno çwç
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Alexy ci spiega che il fratello continua a studiare per lavorare nel campo dei videogiochi (e no, non è ovviamente un hackaro ragazze, pls) fuori città. Beato lui, volevo fare anch’io infografica, non arte hahahah
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Rosalya invece ci fa intendere che ad Alexy possa piacere Morgan, visto che dai dialoghi precedenti il “pasticcino” parlava di un ragazzo simpatico. Finalmente anche Alexy ficcherà, era ora dopo anni di frustrazione a causa di Kentin!
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Dopo essere stati ulteriormente “sgridati” da Alexy per essere state delle stronze (il bello è che noi nemmeno chiediamo scusa), Rosa ci porta delle bevande e non capisco se la risposta di Alexy sia voluta o cosa.
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Ma da quando, e perché?
Sorvoliamo e torniamo a sexy Priya che ci dice di frequentare giurisprudenza e di avere una compagna di stanza timida e non tanto il suo tipo.
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La serata procede con noi che ci lamentiamo dell’isterica Yeleen e Priya che si offre di difenderci...
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...Discorsi poco interessanti sul gruppo di Castiel che è strafamosissimo (?) e domande sul nostro rapporto con lui al liceo...
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Alla fine arriva Chani e se ne esce con i suoi riti voodoo da applicare su Yeleen che spaventano un po’ tutti
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Comunque l’affermazione che faceva durante la beta era più “wtf” e più bella, lì si che ho fatto la stessa faccia di Rosa e Priya, peccato che non l’ho ribeccata xD
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WTF?!
Ma tranquille, era solo uno scherzone (io questa spiegazione non l’ho proprio capita, non ha senso) xd
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L’argomento si sposta nuovamente su Nath e ci viene detto che è cambiato ed è impazzitissimo. Ho capito, ha iniziato a drogarsi.
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Noi intanto siamo troppo intente ad ammirare Priya nella sua gnoccaggine per chiedere ulteriori spiegazioni.
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La serata prosegue e tutti decidono che sia ora di andare a nanna, così dopo aver deciso di fare shopping con Alexy e Rosa (l’incubo del centro commerciale continua a perseguitarmi), ci separiamo. Nessuno può venire con noi al campus, nemmeno Chani. Ma che devi sbrigare all’una di notte, muovi quel culo e accompagnaci!
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Ma proprio mentre attraversiamo un vicolo buio e poco rassicurante, arrivano gli stupratori. Ci mancava solo questa.
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Eccoli, che premurosi, NO GRAZIE. I due tipi sono un po’ sbronzi e ci vogliono mettere le mani addosso. L’abbigliamento della mia Dolcetta non aiuta.
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Lo diceva nostra madre di non uscire fuori conciate da prostitute, ma dovevamo pur sedurre RAYAN e Hyun l’enigmista in qualche modo.
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Questi due tipi vogliono  fare un sandwich con la nostra Dolcetta, e a giudicare dal tirapugni sono pronti pure a menà, cosa poco rassicurante. Ma io mi chiedo, dove l’hanno tirato fuori il biondo? Che cavolo di capelli c’ha? Mamma mia. La cosa più preoccupante rimane comunque il fatto che la nostra Dolcetta si metta a fare le battute pure quando la stanno per stuprare, ma come si fa?
Ma per fortuna una figura misteriosa arriva a salvarci a suon di URLA. Calmati bro.
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A quanto pare il tipo sconosciuto (che tanto ormai sappiamo benissimo chi sia) viene rispettato da questi matti. Mmh.
Ma la rivelazione ci arriva solo quando il misterioso principe azzurro ci chiama per nome.
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Ed ebbene sì, ammirate quel faccino che ispira decisamente sesso mlmlml.
E qui finisce questo primo episodio.
Questo gioco mi sta mettendo in crisi, we need the harem ç_ç Che dire? E’ costato quanto un rene, troppi dialoghi inutili... E questi sono i primi episodi quindi sono più corti rispetto a quelli futuri. Sono veramente preoccupata e mi chiedo come faremo a finirli di questo passo =w=
Ci aspettano ancora molti incontri interessanti nel secondo episodio ma io non ho la forza vitale di proseguire çwç Voi cosa ne pensate fino ad ora? La storia vi ha preso? I personaggi vi sono piaciuti? Let me know nell’ask!
Io per oggi vi saluto e lascerò il giudizio finale per il prossimo episodio che spero di poter pubblicare entro il fine settimana.
BONUS: Alla prossima recensione aspettate che vi analizzo per benino la mappa di questa città che non ha senso. Il campus è più grande dell’intero centro abitativo wtf. Beemoov non mi scappi.
-Dotty
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klayzt · 2 years
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sogno_220206
Ho sognato che eravamo nel “sotteraneo”. Mi aggiro per i corridoi e cerco qualcosa, forse ho una lezione da frequentare ma non so esattamente dove. Un bidello spazza per terra svogliatamente. Apre una porta si ferma improvvisamente per un secondo poi commenta acido: "Un mucchio di ubriachi". Lascia la porta aperta e va via. Per un attimo penso che il "mucchio di ubriachi" non potranno che essere i miei colleghi. Con sollievo mi avvicino alla porta e intravedo una stanza piccola e stretta all'interno della quale una ventina di persone ancora mezze addormentate sta cercando di lasciare l'aula ma sono evidentemente reduci di una sbronza colossale e fanno una certa fatica. Un ragazzo con i capelli color stoppa, dopo aver cercato di tirarsi su cade stupidamente col le proprie chiappe sulla sedia. Percepisce la mia presenza e mi fissa ottusamente dai suoi occhi gonfi colore azzuro mare. Spazientito vado oltre e mentre mi apporoccio alla scaletta che porta su e fuori (intravedo una scorcio di cielo plumbeo) mi coglie una strana sensazione di estraneamento. Per un attimo la realtà si fa sottile in un modo disturbante ma familiare. mi dico: "Oddio ma ti sei dimenticato di quello che è successo due tre anni fa? Ma va ancora avanti? Cazzo non ricordo se sta storia era finita o semplicente ci siamo abituati e non ci facciamo più caso." Mi riferisco a un qualche cataclisma astronomico successo mesi prima dell'inizio del covid. Non è chiaro cosa accadde ma la cosa travolse la vita di ognuno di noi. Ci si riferiva improprimante con l'espressione "la Terra ha smesso di girare" ma non era esattamente questo che accadde, fu invece qualcosa di più sottile e incomprensibile, per lo meno alla gente comune. I sintomi di questo evento si manifestarono sin da subito: all'improvviso la realtà cominciò a sembrare strana, artefatta, grossolana, sbagliata. Era una sensazione sottile ma inequivocabile. Evidente come un quadro storto in una stanza perfettamente in ordine. Per mesi e mesi se ne fece un gran parlare. La sensazione era un po' come se "si fosse rotta la realtà" e si intravedesse quello che c'è sotto (o dietro o dentro). E io mi ero completamente scordato di ciò. Evidentemente il covid e tutto ha fatto sì che la cosa passasse in secondo piano. Più tardi mi ritrovo nei nostri alloggi, nel o nei pressi del sotterraneo. A Domenico che si aggira in mimetica (?) tra la cucina e la camera chiedo "ma ti ricordi di quando il mondo ha smesso di girare?" e lui "minchia se mi ricordo" e io "ma... poi ha più ripreso?" Lui interrompe improvvisamente quello che sta facendo per guardarmi come se fossi uno scemo. Evidentemente no, non ha ripreso.
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[ _ Hospital  _ Joshua Maffei  & Hunter's Mother _ #extract _ #Ravenfirerpg _  ]
Joshua:  Si trovava in sala d'attesa, davanti la stanza in cui ora vi era colui che poco prima gli si era fiondato tra le braccia. Hunter Cook, cugino dei Price, acerrimi nemici dei Maffei. Eppure Joshua non aveva tale pensiero. Non ci aveva pensato due volte ad aiutarlo. Con le mani tra i capelli e lo sguardo rivolto verso il basso, egli era piuttosto preoccupato. Cosa avrebbe pensato la sua famiglia di tale gesto? Ed i Price? Mother Price: Aveva saputo di Hunter tramite un ragazzo. Non aveva chiesto né genealogie né nome, e forse era stato quello lo sbaglio più grande che una madre avrebbe potuto fare. Hunter era quasi più prezioso eppure sarebbe stato un colpo per la donna conoscere il suo salvatore. Si era precipitata in ospedale ed ora con la borsetta Prada correva nei corridoi. * « Stanza Cook, mi dica dov’è, infermiera... » Joshua: La voce di una donna lo fece destare dai suoi pensieri.   Cercava Hunter. Stessi lineamenti, stesso portamento. Che fosse la madre? Ne era quasi sicuro. Si alzò velocemente, per educazione, per non apparire indifferente al suo stato. 《 Qui davanti... 》 Alzò di poco la voce per attirare la sua attenzione. Mother Price: * Lo sguardo, o forse meglio l’intera persona di quella donna sulla cinquantina si voltò verso quella voce che proveniva da... Oddio, aveva già visto quel volto. Si immobilizzò, lo sguardo divenne pietra ardente. * « Tu.... » Joshua: Se lo aspettava. Era inevitabile. La sua voce, il suo sguardo, pareva quasi una fiamma pronta a scagliarsi contro il giovane Maffei. Come biasimarla. Non tutti avevano il carattere di Joshua, non tutti avrebbero ragionato come lui. 《 Io... 》 Lasciò in sospeso la frase con un sospiro. Eppure era consapevole di ciò che aveva fatto. Aveva salvato suo figlio. L'unica cosa che avrebbe potuto fare la donna, sarebbe stato ringraziarlo. Mother Price: Era inevitabile. Il riconoscimento del volto di quel ragazzo la destò dal lungo sonno di un odio forse mai provato, ma che ora fuoriusciva tutto. * « Che cosa hai fatto... a mio figlio? » * Si avvicinò a lui e lo guardò negli occhi abbassando gli occhiali da sole che coprivano gli occhi gonfi. * « Sei un Maffei. Io ti conosco. » Joshua: 《 Cosa ho fatto? Semplice. L'ho salvato. 》 Mormorò con un'alzata di spalle. Che cosa credeva? Che l'avesse aggredito? In tal caso, non sarebbe mai rimasto in ospedale, o peggio, l'avrebbe lasciato alla festa senza nemmeno alzare un dito nei suoi confronti. 《 Sì, sono un Maffei che ha salvato suo figlio. Ci può credere, come non ci può credere. Ho fatto ciò che credevo fosse giusto. 》 Mother Price: « L’hai portato tu qui? E chi ci crede! » * Disse in risposta e a quell’alzata di spalle dell’altro la donna lo fulminò ancora e poi continuò: * « Se ha qualche lesione permanente... sarà colpa tua. È chiaro che gli hai fatto qualcosa. » Joshua: 《 Gliel'ho detto, è sua la scelta di credermi. Io so cosa ho fatto. Se l'avessi lasciato lì, probabilmente sarebbe morto. Ma non mi aspettavo un ringraziamento. Quindi va bene così. 》 No, non stava facendo la vittima. Solamente, egli non chiedeva nulla in cambio, soprattutto da una donna che, come si era mostrata, non sembrava interessata a nulla, se non ad incolpare il ragazzo perché "Maffei". 《 Le chiedo di calmarsi. Suo figlio avrà bisogno di una madre comprensiva. Lasci stare il suo odio per la mia famiglia. Ora non serve. 》 Mother Price: * Gli occhi della donna tacquero, la loro fiamma si affievolì appena il ragazzo nominò la morte. Non avrebbe retto la morte del figlio. * « Non se lo aspetti il ringraziamento, ma non auguri nemmeno la morte ad un ragazzo che ha la stessa tua età... Siete la disgrazia della città. » * Ed era un chiaro rimprovero politico quello, poi, stizzita dalle parole dell’altro continuò. * « Sono una madre. So fare del mio meglio. Ora se permetti, spostati che entro. » Joshua:《 Non ho bisogno del suo ringraziamento per sapere che ho agito nel bene. 》 Il Maffei, che era stato sul punto di morire, sapeva bene cosa significasse provare dolore nel pensare ad un proprio caro in simili condizioni e lui stesso non avrebbe augurato tale disgrazia a nessuno, nemmeno ai suoi rivali politici. 《 Suo figlio si riprenderà. 》 Parole sincere, di speranza, di bontà. Non disse altro, semplicemente guardò la porta della stanza in cui vi era il ragazzo, poi sorpassò la donna per tornare a casa. 💝
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giancarlonicoli · 3 years
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15 feb 2021 10:45
“LA NOMINA DI DRAGHI? SERVE A SALVARE L’INDUSTRIA TEDESCA” - L’ANALISI ECONOMICA DI GIULIO SAPELLI: “NON DEVE CROLLARE LA FORNITURA, LA SUPPLY CHAIN DEL VENETO, DELL'EMILIA, UNA CATENA INDUSTRIALE DI GRANDISSIMA QUALITÀ, RODATA DA 40 ANNI DI INTERCONNESSIONE CON I TEDESCHI, CHE NON SI PUÒ SOSTITUIRE - LA CINA NON PUÒ FORNIRE CIÒ CHE FORNIAMO NOI. È MENO STABILE E AFFIDABILE. LA NUOVA GUERRA FREDDA? LA CORSA ALLO SPAZIO, PERCHE’ CONQUISTARLO SIGNIFICA OTTENERE UN'ARMA MILITARE DI ROLLBACK. DI LÌ DERIVANO LE TECNOLOGIE PIÙ RIVOLUZIONARIE: INTERNET, GPS, SMARTPHONE...”
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Alessandro Rico per “la Verità”
Giulio Sapelli è tornato in libreria con Nella storia mondiale. Stati, mercati, guerre (Guerini e associati). Una guida per interpretare questi tempi complicati.
Con una piccola profezia...
Professore, Mario Draghi è stato chiamato per salvare l' Italia, o per agganciarla definitivamente al treno europeo, con il piano di riforme legato al Recovery fund?
«La chiamata di Draghi non ha ragioni nella lotta politica europea, bensì nel processo di centralizzazione capitalistica».
Si spieghi.
«C'è un cambiamento che le élite economiche tedesche hanno imposto alla politica».
Cambiamento di che tipo?
«La conversione di Wolfgang Schäuble e soci alla mutualizzazione del debito, frutto delle pressioni della Confindustria tedesca».
L'Europa è davvero cambiata?
«Rimangono in piedi tutti i trattati, ovviamente. Ma il Next generation Eu è un tentativo di passare dalla mutualizzazione del debito a un processo d'investimento diretto per la creazione di capitale fisso, occupazione e aumento del tasso di profitto».
L'operazione Draghi è interna a questo meccanismo?
«Mettiamola così: il processo di centralizzazione capitalistica se ne fa un baffo, della politica».
Ma perché proprio Draghi?
«Lo spiega l'ex segretario al Tesoro, Timothy Geithner, nella sua autobiografia del 2014, Stress test, che purtroppo nessuno legge».
Che dice Geithner?
«Fu l'uomo inviato prima dal suo predecessore, Henry Paulson, poi direttamente da Barack Obama, a negoziare con i tedeschi la nomina di Draghi alla testa della Bce».
Perché?
«Perché Draghi si opponeva alla deflazione secolare in cui i tedeschi avrebbero voluto continuare a trascinare il continente».
Dunque, c'è sempre stato lo «zampino» di Washington?
«Chiariamoci: sono le culture a fare la storia economica».
E allora?
«La cultura della Federal reserve e del capitalismo nordamericano punta più alla crescita che alla stabilità dei prezzi. Altrimenti, dove andrebbe a finire Wall Street, che vive permanentemente a debito?».
Collasserebbe?
«Ecco. Ancora una volta, la cultura del capitalismo nordamericano ha vinto sulla cultura dell'ordoliberalismo tedesco».
Grazie a Draghi?
«Si ricordi che Draghi, prima che un tecnico, è un fine politico».
Un fine politico?
«Certo. E gode di forte credibilità sia nei confronti dei nuovi Stati Uniti di Joe Biden, sia nei confronti dei tedeschi, che hanno imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo come negoziatore implacabile. E ormai si sono convinti a fare i conti con la realtà che lui rappresenta, spinti dalle necessità della loro stessa macchina produttiva».
In che senso?
«Torniamo alla centralizzazione capitalistica: il punto è non far crollare la fornitura, la supply chain del Veneto, dell' Emilia...».
Bisogna salvare l'industria del Nord Italia?
(Sorride) «Non esattamente. Bisogna salvare l' industria tedesca».
Di cui quella italiana è fornitrice.
«Esatto. Bisogna salvare una catena industriale di grandissima qualità, rodata da 40 anni di interconnessione, che non si può sostituire».
Non si può sostituire nemmeno con la Cina?
«I tedeschi ci hanno provato».
Ma?
«La Cina non può fornire ciò che forniamo noi. E il mercato cinese è meno stabile e affidabile».
Da che punto di vista?
«Il regime di Xi Jinping si è messo a giustiziare i capitalisti, i tycoon, di recente persino le loro mogli, accusate di adulterio».
Addirittura?
«E infatti, se legge i giornali tedeschi, si rende conto che pure loro iniziano ad aver paura dei cinesi. Molte imprese si stanno ritirando dalla Cina».
Il quadro è più chiaro.
«Non a caso, del governo Draghi si è fatto interprete Sergio Mattarella. Rifletta sulle sue parole».
Quali?
«Il presidente aveva parlato di un governo che non deve avere una "formula politica"».
Allora?
«L'espressione "formula politica" è stata coniata da Gaetano Mosca, il fondatore della scienza politica. Che in Italia, cosa molto grave, abbiamo smesso di studiare».
E cos'è, per Mosca, la «formula politica»?
«La base morale delle classi dirigenti. Quindi, Mattarella ha fatto una dichiarazione disarmante: sostanzialmente ha detto che questo deve essere un governo politico, senza base politica».
Con dentro i politici, ma senza la politica?
«E difatti Draghi cos'ha fatto? Per distribuire i ministeri, ha applicato il manuale Cencelli».
Ma la politica tornerà?
«Sì, certo. Anzitutto, sul dossier per la transizione ecologica ed energetica».
Perché?
«Un ministro come Giancarlo Giorgetti e la Lega, unico partito ancora dotato di un insediamento territoriale, vogliono una transizione rispettosa dello sviluppo economico. Dall'altro lato, c'è la credenza magica nella decrescita infelice di 5 stelle e e Pd. Stabilire quale strada intraprendere sarà una decisione politica».
A proposito di transizione verde. Cito una frase tratta dal suo ultimo saggio: «L'economia mondiale [] è appesa al filo della follia. Uno di questi fili è la tendenza ormai incancrenitasi in progetti istituzionali mondiali, a risolvere i grandi problemi delle distorsioni prodotte dal tardo capitalismo a debito oggi imperante con regole transnazionali a direzione tecnocratica. Uno di questi esempi, il più preclaro, è la distruttrice utopia di poter risolvere i problemi energetici attraverso una "transizione" sovradeterminata tecnocraticamente».
Ha vaticinato il ministero verde, preteso da Beppe Grillo?
«I grillini credono che tutto debba scendere dall'alto. Ma Draghi sa benissimo che bisogna "mettere a terra" questa transizione ecologica. Bisognerebbe seguire l' esempio francese».
Cioè? Lì, in realtà, le vicende del ministero green sono state molto burrascose.
«Penso a un dettaglio preciso. Quando viene creato, i tecnocrati Ue e gli spagnoli, che sono al loro traino molto più di noi, chiedono che quel ministero sia chiuso».
Per quale motivo?
«Perché volevano che tutto fosse in mano a Bruxelles. Insomma, questo ministero non è un favore all'Europa, bensì una sfida alla tecnocrazia europea».
Davvero?
«Certo, perché c' è la possibilità di lavorare dal basso, dal mercato, dall' auto organizzazione delle imprese e della società civile, per creare questa transizione. Dalle nebbie di Bruxelles si passa ai corridoi dei ministeri italiani. È già un passo avanti».
Insomma, lei è ottimista.
«Questo non è un governo Monti. Non è un governo di austerità, ma di spesa e rifondazione dello Stato. Unico appunto: loro pensano di poterci riuscire senza politica, invece la politica tornerà».
Ma se c'è un rinnovato interesse degli Usa per Roma, perché tenere Luigi Di Maio alla Farnesina, dopo le sbandate filocinesi?
«La risposta è negli scritti di Antonio Gramsci sulla crisi organica dei partiti».
Oddio. Che sta per dire?
«Che i 5 stelle sono una "mucillagine peristaltica"».
Cosa significa?
«Non hanno base territoriale. Dunque, dipendono da chiunque eserciti una pressione su di loro. E su Di Maio, tramite Grillo, i cinesi hanno sempre esercitato una forte pressione. Perciò l' hanno tenuto alla Farnesina».
Cioè?
«L' unico modo per monitorare quelle pressioni è sottoporre Di Maio, come ministro, al controllo dell' opinione pubblica. Molto dipenderà, poi, dal soft power americano, affinché anche lui segua la strada di Lorenzo Guerini, che è un ottimo ministro della Difesa, filoatlantico».
In un suo recente articolo, lei ha notato che tra gli elementi che hanno contribuito a portare Draghi a Palazzo Chigi, c'è pure la «prossima nuova corsa allo spazio». A cosa si riferiva?
«Io penso che la chiave della transizione verso la crescita capitalista, la fuoriuscita dalla deflazione secolare, verrà solo da una nuova rivoluzione tecnologica».
Dunque?
«A differenza della tecnocrazia europea, credo che questa rivoluzione non possa venire dalle macchine elettriche. (Fragorosa risata). Verrà dalla corsa allo spazio».
Dice?
«Le grandi tecnologie che abbiamo a disposizione oggi derivano ancora dalla conquista della luna. Non a caso il capitalismo americano, ora, ha intrapreso la conquista di Marte. Mica è folklore».
No?
«È allo spazio che guardano americani e cinesi».
La corsa allo spazio è caratteristica di una guerra fredda, no?
«Verissimo. Perché conquistare lo spazio significa ottenere un'arma militare di rollback. E perché di lì derivano tutte le tecnologie più rivoluzionarie: Internet, Gps, smartphone... E noi qui parliamo di macchine elettriche? Di frigoriferi viaggianti?».
Magari: in realtà, qui s'è parlato dei monopattini...
«Ma che tecnologia vuole che ci sia lì sopra? Eppure, in Italia, abbia Avio spa:è l' unica azienda al mondo capace di produrre propellenti solidi per i razzi».
Addirittura?
«Abbiamo un' enorme potenzialità. Speriamo solo che Draghi e il buon Giorgetti trasformino la potenza in atto».
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donnedaleggere · 3 years
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LA QUARANTENA DELLE DONNE
La neo-salutista
    Quante volte abbiamo detto, o sentito dire, che non possiamo dedicarci al nostro benessere per mancanza di tempo? “Come faccio a fare la dieta se poi lavoro tutto il giorno fuori casa?” “Magari potessi andare in palestra, quando ci vado di notte?” “E’ inutile che mi compro la cyclette, quando la uso? La sera sono distrutta!” “Magari avessi il tempo di occuparmi di me stessa!” Ecco, il Covid ci ha accontentate. In futuro, prima di esprimere un desiderio, assicuriamoci che sia proprio quello che vogliamo.      Insomma, improvvisamente, le giornate, da brevi e frenetiche, sono diventate lunghe, noiose e insopportabili. Per inciso, anche le donne che non lavorano fuori casa o fanno lavori saltuari o sono già in pensione, solitamente, non trascorrono tutto il giorno chiuse in casa. Si possono fare tante cose: palestra, parrucchiere, shopping, estetista, vai a prendere i nipotini a scuola, organizzi qualche cena con gli amici, tornei di burraco,  una pizza, cinema, teatro, mostre, presentazioni di libri, una bella riunione di condominio e via discorrendo. Inizia, l’isolamento forzato e, improvvisamente, anche andare a buttare la spazzatura era diventato un momento per divagarsi, non parliamo poi della spesa (paura del contagio a parte), era emozionante spingere il carrello della spesa tra i corridoi del supermercato, era quasi come camminare sul red carpet di Cannes, durante il festival del cinema. Povere noi!      Tra le varie ipotesi, di cui vi ho già parlato, alcune donne hanno scelto di diventare delle vere e proprie salutiste. Che bello, direte voi. Sì, ma come in tutte le cose, l’eccesso potrebbe diventare deleterio.      Qualche anno fa, ho conosciuto Anna, è stato un incontro davvero casuale ma abbiamo simpatizzato immediatamente. Pensate un po’, eravamo al mercatino e tra una battuta e l’altra con il venditore ambulante, ci siamo messe a chiacchierare. Ci siamo salutate e cinque minuti dopo la rivedo nuovamente seduta fuori dal bar vicino al mercatino, in compagnia di  un’amica che frequenta la mia stessa palestra. Per farla breve, abbiamo iniziato a sentirci e vederci di tanto in tanto. Anna mi è piaciuta subito, sempre allegra, chiacchierona, autoironica, con occhioni grandi e le guanciotte rosse. L’argomento preferito di Anna era il cibo con annessi e connessi: dall’apertura di un nuovo ristorante, al locale più in voga per gli apericena, dai siti dedicati alla cucina, alle trasmissioni televisive con sfide culinarie, a questo proposito, il suo sogno era sposare uno chef, anche non stellato. Poche volte, parlando al telefono, non l’ho sentita sgranocchiare qualcosa e adesso che ci penso, ci  siamo sempre incontrate in pizzerie, ristoranti e bar. Se accennavi a diete, palestre o attività fisica di qualsiasi genere, ti guardava quasi con compassione, dichiarando che preferiva morire con qualche chilo di troppo che depressa con la taglia 42.      Durante l’isolamento, c’è stata la metamorfosi! Si è messa a dieta, ha iniziato a fare esercizio fisico e ha riempito metà dei mobili della cucina di integratori, tisane, spezie varie e vitamine. I siti dedicati al cibo sono stati sostituiti da quelli attinenti all’aerobica e all’educazione alimentare, ha imparato a memoria calorie, carboidrati e grassi per ogni tipo di cibo calcolato su 100 grammi. Le sue giornate erano scandite da esercizio fisico, camminate veloci di non meno di 10 chilometri e preparazione di piatti dietetici. I suoi post sui social, con foto incluse, erano talmente diversi, rispetto a prima, che ho avuto l’impressione che le avessero hackerato i profili: le teglie di lasagne affogate nella besciamella, erano state sostituite da insalatiere stracolme di vegetali di ogni specie, i vassoi di dolci lasciavano il posto a un mucchietto di frutta secca, foto di apericena rimpiazzate da un gambo di sedano e una carota con una foglia di menta come decoro. Sigh! Ridatemi la mia amicaaaaa!!      Le settimane scorrevano ed effettivamente i risultati erano molto evidenti, aveva perso diversi chili. Purtroppo, questa sua voglia di diventare una salutista ad ogni costo, era diventato un chiodo fisso, peggiore di quello nei confronti del cibo. Quando mi telefonava stavo attentissima a non dire che stavo mangiando, per esempio, un biscotto, un gelatino o, non sia mai, una fetta di colomba (dato il periodo). “Cosa hai detto?” Oddio, che ho detto? “Ma lo sai quanto veleno hai ingerito?” Ho guardato con terrore l’ultimo pezzettino della mia fetta di colomba sul piattino, sperando vivamente di sopravvivere almeno fino all’ora di cena, se non altro, per salutare mio marito e spiegargli, per l’ennesima e ultima volta, come mettere in funzione la lavatrice. “Prendi la scatola e leggi gli ingredienti.” Sono rovinata! Chi glielo dice che la scatola l’ho buttata? “Anna...scusa, ma...ma...” “Cosa??” In quel momento ho capito cosa si prova quando ti chiedono un alibi che non hai, durante un interrogatorio. Non ho scampo, devo confessare. “L’ho buttata.” Silenzio. Non so quanti secondi sono passati, ma a me sono sembrati un’eternità. Poi ho sentito un sospiro...ecco...la giuria sta deliberando. “Devo lasciarti, sta iniziando la mia lezione di pilates online, ne riparliamo domani.” Click. Dopo aver ringraziato mentalmente Joseph, ho preso quel che restava della colomba e l’ho buttata nella spazzatura.      Questa cosa è andata avanti per settimane, così come la sua battaglia per conquistare la medaglia d’oro della salutista. Purtroppo, il suo fisico non ha retto agli sforzi fisici a cui non era abituato e ha iniziato a causarle una serie di problemi: insonnia, tachicardia, irritabilità, mal di schiena, problemi alla cervicale, crampi, contratture e via dicendo, ma soprattutto, dalle foto che postava sui social, notavo un’espressione sempre più triste.      Per fortuna, a fine maggio, hanno riaperto le attività commerciali e lei ha ripreso a lavorare, si è iscritta in palestra che frequenta solo tre volte a settimana, ha ricominciato a provare le gioie del palato (con equilibrio) e ha ritrovato il sorriso. Anche lei, nel suo piccolo, ha vinto la sua battaglia.
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geminicolecollins · 4 years
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[ James & Hope __ h. 9.50 _ '' It's a deal, isn't it? ''_ ]
* L'indomani era arrivato.I raggi di un sole mattutino e brillante, seppur filtrati da una sottile tenda azzurra, stavano invadendo la stanza del nostro nuovo dooddrear. A terra e in una barbara posizione, James aveva dormito per tutta la notte o quasi. La sera prima aveva incontrato una ragazza, un'impicciona, che sosteneva di essere la sua speranza, la sua ultima speranza aggiungerebbe James. La sua umanità era perduta, le crisi di cui soffriva a causa della rabbia struggente gli avevano corroso l'anima e il profumo della morte ancora lo tormentava. Profumo, si, perché James si malediva ogni giorno sempre di più e non vedeva l'ora di morire.Rabbia, voglia costante di morte, incoscienza, freddo, quelli erano proprio i segnali di qualcosa di disumano che lui non conosceva. Non conosceva la sua nuova natura, ma conosceva bene gli effetti che questa gli stava provocando. La rabbia la chiamavano Amok, una malattia stile posttraumautica, ma quella non esisteva. Hope l'avrebbe aiutato, ma come?Con quel pensiero gli occhi di James esitarono quasi prima di aprirsi. Doveva chiedere la terapia. Si alzò da terra e in pochi minuti riuscì a vedere un dottore che passava per i corridoi. Con strani gesti si capirono e dopo un po' aveva una lista infinita di una terapia fatta di tranquillanti, integratori, antiinfiammatori. * Ma che razza di roba è...?* Pronunciò con la fronte corrugata, ma la sua attenzione fu subito spostata da un rumore in camera. C'era qualcuno forse? Nah. Vanille gli aveva detto dei fantasmi, ma lui non credeva a cose simili. Era fuori di testa. Sospirò e chiuse gli occhi appoggiando la fronte al vetro. Il suo pensiero correva tra Rosalie e Ashley mentre aspettava l'impicciona*
Hope
*Hope si era trasformata del tutto in fantasma per non farsi vedere da James. Sarebbe stato spiacevole se si fosse accorta del suo continuo seguirlo. Così aspettò il suo risveglio, sembrava strano. Ma fu felice di vedere che andò a prendere la sua terapia. Si mise di fianco a lui leggendola, era roba tosta. Ma che razza di farmaci gli divano? Si dispiacque per lui, ma non lo voleva mollare. Lo vide pensieroso e con la fronte appoggiata al vetro. Tornò in forma normale sbattendo però contro la sedia* A che pensi? *chiese sorridendo e salutandolo con la mano* James Cole Collins * Non aveva mai tremato con le proprie mani, nemmeno quando aveva picchiato Lincoln conducendolo quasi alla morte eppure quel giorno gli tremavano le mani come gli tremava il cuore. Aveva una terapia strana in mano per uno come lui che aveva sempre rigettato i medicinali. In piedi, con gli occhi su quel foglio, James sospirò ripetutamente prima di scuotere la testa. Pensava a troppe cose, pensava anche che forse era meglio rifiutare di prendere tutta quella robaccia. Al rumore sgranò gli occhi e si voltò. Saltò urlando dallo spavento. * Tu! Come hai fatto ad entrare? * Corrugò la fronte guardandola, sembrava essere stata sempre lì.. Forse si sbagliava.* A quanto fa schifo la vita.. * Sorrise ironicamente guardandola dritto negli occhi* Hope un mago non rivela mai i suoi trucchi *gli sorrise prendendogli la terapia dalle mani e cominciando a guardarla meglio. Più o meno sperava di avergli tolto un peso, anche se era solo un pezzo di carta esso voleva dire molte cose* La vita bellissima... goditela finché sei in vita *disse nostalgica smettendo di sorridere* Okay, iniziamo. Intanto devi fare mangiare James Cole Collins Un mago non appare e scompare così dal nulla! *Inclinò il capo osservandola. Hope faceva delle cose strane, James l’aveva notato, ma in quel caso preferì non dire nulla. Quando la ragazza sorrise James accennò un sorriso amaro, quella terapia faceva davvero pietà! Deglutì guardando quel foglio passare fra le mani di Hope, chissà cosa pensava! Quelle parole. Quelle parole. Quelle. Esattamente quelle. Sbarrò gli occhi, fece un passo indietro e andò a sbattere di spalle contro il muro, di spalle contro il concetto di “vita fugace”. * Hope... Che cavolo dici? *Aveva ora corrugato la fronte, il sangue gli ribolliva nel suo cervello . Lui morto non si voleva, non dopo quello che era successo * Iniziamo... bella mattinata James.. *borbottò fra sé e sé* Mangiare... non pillole spero Hope *Hope continuava a guardare il foglio. Se fosse ancora viva avrebbe potuto sentire il suo cuore fermarsi dal dolore* Dico solo la verità. La vita per alcune persone è breve. Ma con te farò in modo che duri fino a cent’anni *tornò a sorridere per tranquillizzarlo. Avvicinandosi a lui e poi appendere la tabella* No, cibo. Le medicine verranno dopo. James Cole Collins * Gli occhi di Hope erano incollati sul foglio della terapia mentre gli occhi del ragazzo fissavano il viso della ragazza. Non sapeva come interpretare nulla. Sospirò * La vita per alcune persona non è mai esistita.. *Sussurrò ricordando la propria vita che già dall’infanzia era segnata da un catastrofico destino. Il sorriso di Hope lo tranquillizzò.* Possibilmente 101! *Rise leggermente e alla sua esclamazione saltò dalla gioia* Ciboooo? Oddio... cibo cibo, che cibo? Hope riferimenti puramente casuali? *lo fissò cercando di capirlo, ma senza successo. Era un enigma quel ragazzo* E 101 sia! *rise vendendolo anche saltare. Cercò di calmarlo. Hope non poteva andargli a prendere il cibo* Non lo so... devi chiedere tu la tua colazione James Cole Collins No, puramente personali. Un giorno saprai piano piano tutto.. *Sospirò guardando altrove. Era difficile parlare di come si era tirato su da solo con una persona che si fidava, ma che conosceva poco* Siiii! *Alzò il braccio in segno di lotta e poi la guardò negli occhi* E come si fa? Non mangio da un secolo... ovvero ieri.. *Incominciò a voltarsi cercando il pulsante per chiamare l’infermiere* Hope io ti aspetterò, non ho fretta *fece spallucce sorridendogli* Okay, intanto calmati. Non mangi solo da ieri! *si avvicinò al bottone per chiamare l’infermiera e lo schiacciò nascondendosi poi nell’armadio* James Cole Collins Non avere fretta è una dote di chi vuole essere tuo amico, Hope. Arriverà il giorno in cui ti mostrerò i miei demoni.. * Le parole agghiaccianti del giovane su se stesso risuonavano forti e chiare nella stanza dell'ospedale in cui era costretto a stare da solo. Per fortuna Hope riusciva ad entrare di nascosto. James non aveva ancora capito come, ma l'avrebbe scoperto. * Menomale che ho mangiato ieri.. altrimenti ora sarei diventato un cannibale e avrei mangiato te.. * La vide nascondersi nell'armadio e sorrise. Era davvero in gamba quella giovane. Dopo poco arrivò l'infermiera, parlò con James e in men che non si dica arrivò anche del cibo. Lo consegnò nelle mani del giovane. * Mmmh che profumino! Hope M-mio amico? *Hope lo guardò sorpreso. Amica di un fantasma? James l’avrebbe sicuramente odiata. Fece finta di niente tirando un sorriso* Fidati che non avresti mangiato niente mio caro *rise amaramente tornando a guardarlo Menomale che era morta altrimenti nell’armadio sarebbe soffocata. Era uno spazio piccolissimo e lei non vedeva l’ora di uscire da lì*
James Cole Collins Eh... Ho detto qualcosa che non va? * Sgranò gli occhi a causa della sua reazione che non si aspettava per nulla al mondo. James vedeva Hope fragile, ma forte allo stesso tempo e la invidiava per certi versi .* Niente? Nah! Qualcosa ce l’hai dai.. Un muscolo te l’avrei strappato! *Disse scherzosamente, non aveva capito il senso con cui Hope aveva detto quelle parole. Si sedette a letto con il vassoio* Vieni a mangiare qui con me.. Hope No... è che... non sono abituata a... vabbè lascia stare *si coprì il volto per qualche secondo per poi scoprirlo facendosi vedere la solita Hope* Fidati che... non è per i muscoli *rise pensando al fatto che essere fantasma certe volte portava ad avere belle battute a tua disposizione* Con te? Come mai? *si sedette sul letto di fianco a lui guardandolo* James Cole Collins Non sei abituata a?.. Vabbè non ti chiedo nulla.. *Sorrise cercando di tranquillizzarla, l’aveva vista troppo scossa. Preferì non commentare quella battuta delle ossa. Condivise solo la sua risata immaginando cose sicuramente diverse da lei* Ti vedo sciupata.. devi ingrassare, cara.. *imitò una voce anziana e femminile. Continuò a ridere e osservò la ragazza sedersi* Allora... *aprì i piatti coperti* Pancetta...? Posso mangiare la pancetta? Ehi! Sono quasi felice! Hope *Hope lasciò sorvolare quell’argomento. Magari sarebbe uscito di nuovo più avanti. In un altro momento. Continuò a sorridere guardando James che non vedeva l’ora di mangiare* Oddio no, sembri davvero mia nonna *rise di gusto buttando la testa all’indietro per poi ricomporsi con calma. James aveva dei piatti buonissimi. A lei servivano sempre le solite cose* Ma che fortuna! Io ho sempre avuto brodini di ogni tipo! *guardò i suoi piatti con una smorfia invidiosa* James Cole Collins * Tasto dolente. James aveva premuto sicuramente un tasto che non voleva, che non doveva. Fu solo dopo aver compreso di averlo fatto che lasciò volare via quell’argomento. Ci sarebbe stato tempo per conoscersi e per farla sfogare. Si leccò i baffi ed incominciò a tagliare e dividere le cose a metà, un po’ per lui e un po’ per lei. Rise per quell’imitazione* Devo per forza fare così, cara.. *Continuò a parlare con quel tono femminile. Hope rise così tanto da sconvolgersi un po’ . Condivise anche lui una risata. * Ora mangerai con me! C’è una frittata buonissima! *Prese un pezzo con la forchetta e guardò la ragazza* Tieni, assaggia prima tu Hope *Hope continuò a ridere divertita dall’imitazione di James* Con te? Perché? Sei affamato... *Non capiva perché il ragazzo facesse questo per lei. Era confusa. Guardò la forchetta che James aveva avvicinato alla sua bocca e così mangiò quel pezzo di frittata facendosi imboccare* È buona! *sorrise, non mangiava dalla sua morte e sinceramente non credeva che poteva mangiare, le poteva succedere qualcosa?* James Cole Collins Con me.. Perché si. * L’imitazione scomparve dalle sue corde vocali, un pizzico di serietà si fece strada nella sua voce. Per quant’era testardo, James non avrebbe mangiato senza di lei. * Non fare domande e fammi compagnia, piuttosto. * Continuò mentre il suo sguardo incontrava quello della ragazza. Quando si fece imboccare, a James gli si illuminarono gli occhi, parte integrante della sua parte umana, della sua anima. Hope era la detentrice della sua anima. * Si?? *Chiese sorridendo e poi mangiò un pezzo anche lui. * Mhh... Mi piace, è impicciona quanto te ! *Rise per poi farle una linguaccia* Hope *sospirò guardandolo. Era più testardo di lei a volte* Va bene va bene, ti faccio compagnia! *si arrese mettendo il broncio. Vide gli occhi di James illuminarsi e gli sorrise. Era contenta. Gli annuì mentre lo guardava mangiare* Che vorresti dire? *rise dandogli un leggero pugno sul braccio. E facendogli le boccacce con la bocca piena* James Cole Collins * Essere testardi a volte era un pregio, a volte un difetto. Quella volta era un enorme pregio* Bravaa! * Sorrise al quel piccolo, ma stupendo broncio, ma il secondo dopo tutto sembrava essere passato. Quando la vide sorridere James fu felice* Niente, niente, scherzo.. *Ridacchiò e poi a quel pugno alzò una spalla in segno di protezione* Hope *Hope rimise il broncio incrociando le braccia oltraggiata* Ti prendi gioco di me? *lo guardò cercando di non scoppiare a ridere, le piaceva vederlo così rilassato e felice. Anche lei si sentiva così al momento. Si avvicinò di più a lui* Però ho fame James Cole Collins * La guardò quasi con aria di rimprovero. Ma come poteva pensare che lui, James Cretino Collins, la stava prendendo per i fondelli? Rise * Non ci pensare minimamente! * Le diede una leggera spallata cercando di farla ridere. Vederla sorridere illuminava anche l'ospedale. Sorrise ancora* Allora devi mangiare... * Tagliò altri pezzi e simpaticamente continuò a imboccarla * Hope *non riuscì a stare seria e scoppiò a ridere facendosi imboccare* Dai però, mangia anche tu! *si alzò mettendosi seduta di fianco a James e guardandolo con un po’ di preoccupazione* Vorrei sapere qualcosa di più sulla terapia James Cole Collins * Quando scoppiò a ridere anche lei, le pareti echeggiavano armonia, vita e positività. Tutto sembrò addirittura più brillante* Si, mangio anch’io! Facciamo un boccone a testa! Ora tocca a me tipo.. * E , dopo aver tagliato un pezzo, lo mangiò senza esitare* Troppe medicine, non sono mai stato così... ehm... pieno di medicine che sembrano... funzionare poco.. *Fece spallucce* Hope Mi dispiace... so cosa vuol dire purtroppo. Spero solo che vada meglio, anche se non capisco il perché di tutte queste medicine *lo guardò confusa tagliandogli un pezzo di frittata e imboccandolo* Devo controllare... James Cole Collins Spero che vada meglio davvero o.... o sparirò in qualche settimana. Non voglio pensare al peggio, ma alcune volte lo faccio. * Ammise con fare dispiaciuto per poi sorrise a quel gesto. Era così dolce con lei* Ehm... che? *Si grattò la testa, sperando che non si riferisse ai fogli che aveva scarabocchiato * Hope Sparirai in che senso? Se parli della morte ti assicuro che non lo permetterò... *gli diede ancora da mangiare anche se era abbastanza pensierosa* Non lo farò guardando i tuoi fogli, perché li hai pasticciati tutti! *lo rimproverò con lo sguardo* Stanotte andrò a controllare negli archivi James Cole Collins Si parlo della morte.. *Sospirò abbassando appena la testa. Parlare della morte non gli faceva bene. Il mese prima aveva visto un uomo morire, un uomo che considerava come un padre e non aveva superato ancora nulla.* Era bella la faccina con la linguaccia su quel nome della compressa da prendere la sera! Ammettilo! *Rise guardando il suo fulminare* Hope non ti lascerò morire. Te lo prometto *annuì preoccupata. Doveva proteggerlo in tutti modi. Perché non guariva?* No, no! Affatto! Mi complica il lavoro e ora mangia! *gli puntò la forchetta contro* James Cole Collins * Gli occhi del ragazzo diventarono lucidi. Deglutì per evitare di piangere. Lui, che aveva affrontato i non so chi, lui sarebbe potuto morire. Non poteva essere vero.* Ti prometto che farò di tutto per evitare la morte. Non posso abbandonarti ora che ho trovato una sorella! * mormorò e al gesto della forchetta la imitò* Altrimenti signorina? Vuole duellare? Hope s-sorella? *Hope lo guardò con gli occhi lucidi. Forse finalmente la solitudine la stava lasciando in pace... le sarebbe sempre piaciuto avere un fratello* Ci sto! *batté la forchetta contro la sua pronta a duellare* James Cole Collins Si ma non piangere, perché poi mi fai venire un magone in gola.. E piango anch’io.. ultimamente sento le sensazioni in maniera diversa.. *Continuò fissando i suoi occhi lucidi. Hope come una sorella lo entusiasmava però! * Tu sei assurda! * Rise a quell’intervento e fece finta di attaccarla con la forchetta* Hope Scusami! *trattenne le lacrime guardando in alto per non farle uscire. Ma James come fratello... le sarebbe piaciuto davvero* In che senso le senti in maniera diversa? Le emozioni intendo *Hope si difese con la sua forchetta* Lo so! Ma almeno non ti annoi no? James Cole Collins Scusata! * Guardò altrove per evitare che si commuovesse anche lui. Il suo cuore era rimasto così umano.... * Senbrano più.... profonde, più grandi di me.. * Rise al suo difendersi * No, non mi annoi. Devo ammetterlo. Hope Più profonde... non so come aiutarti. Ma ne parleremo piano piano. Ogni qualvolta che senti qualcosa me lo dici *tornò a guardarlo per poterlo rassicurare* Beh io sono spiritosa *sorrise ancora di più*
James Cole Collins Va bene.. Te lo dirò * La guardò e le sorrise. Hope era davvero una sorta di speranza per il ragazzo. * E biricchina! Si si! * Le fece una linguaccia* Hope *gli scompigliò i capelli con un sorriso sul volto* Non sono una scimmia dispettosa! *gli tirò un pugno sul braccio* James Cole Collins Ehi! Oh oh! *Ridendo cercò di togliere le mani che stavano scompigliando i propri capelli.* Più o meno! * Alzò la spalla non appena vide che gli avrebbe tirato un pugno* Hope Mi piacciono i tuoi capelli *continuò a scompigliargli i capelli* Sono una scimmia? *mise il broncio* James Cole Collins Per farli ci ho messo l’eternità! * La fulminò con lo sguardo cercando di sottrarsi dalla sua morsa. Alla domanda il ragazzo rise * Si, ma sei simpatica. Sta’ tranquilla! Hope *incrociò le braccia al petto guardandolo male* Sei cattivo *guardò altrove gonfiando le guance* James Cole Collins * La guardò ridendo ancora* Non sono cattivo! Sono giusto! Comunque.... vorrei chiederti una cosa.. *Esordì diventando un po’ più serio. Voleva sapere davvero quella cosa, ma non sapeva come chiederla. Prese un respiro* Hope *ricambiò lo sguardo serio. Quasi era preoccupata* Dimmi, risponderò a quello che vuoi James Cole Collins Le cure che fai in ospedale... beh... possono essere fatte anche fuori? Cioè... potresti ritornare in ospedale e poi ritornare a casa ipoteticamente? * Ecco un giro di parole serviva a James che aveva avuto un’idea alquanto malsana* Hope *doveva dirle che era un fantasma? Era il momento? Non lo sapeva* Si, posso farlo, perché me lo chiedi? James Cole Collins Perché se mi dimettono, mi piacerebbe averti con me.. * Accennò vagamente, sorridendo. Si avvicinò, le diede un bacio sulla guancia e continuò * Ne parleremo più in là Hope *rimase di stucco e non lo fece allontanare. Lo abbracciò stringendolo a sé e sentendo gli occhi pizzicare* Verrò con te, ti dimetteranno. Promesso... *la sua voce era roca. Cercava di trattenere le lacrime* James Cole Collins * Istintivamente accolse quell’abbraccio. Hope era emozionata, sentiva il suo essere felice e seppure fosse felice anche lui si sentì quasi strano.* Va bene.. Grazie Hope.. di esistere! *La voce pacata del ragazzo avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque Hope *Hope si staccò da James per poterlo guardare negli occhi. Lo sentiva strano. Si sentiva una scarica elettrica attraversarle “il corpo”* Stai bene, James? James Cole Collins * I sentimenti? Cosa erano i sentimenti per un ragazzo che sembrava aver perso la sua sensibilità? Non avrebbero dovuto essere niente ed invece Hope era diventata piano piano una sorta di ancora. Si, Hope, la sua speranza, era anche e, forse, soprattutto un’ancora. Con lei la nave della sua esistenza non sarebbe mai vacillata. Deglutì e poi sorrise emozionato* Si... È solo che la mia vita senza di te e Rosalie sembra non avere senso. Sei importante, ficcanaso.. * Le baciò una guancia* Hope *Hope spalancò impercettibilmente gli occhi. Era commossa dalle parole di James. Sperava di aiutare il ragazzo e a quanto pare ci stava riuscendo. Arrossì quando sentì le sue labbra sulla guancia. Era così contenta di avere un nuovo amico. Un amico vero* È il mio compito. L’ho sentito dal primo giorno... ma non pensavo di affezionarmi sinceramente James Cole Collins * Il suo compito. Le parole della giovane Laurant sembravano echeggiare nella mente del nuovo ignaro Dooddrear come delle parole d'affetto. Non aveva mai ricevuto così tanto affetto che sentì il suo cuore cedere, la sua vita essere colmata di un amore fraterno mai ricevuto. Sorrise e con tutta sincerità rispose * Neanch'io... ma sono felice di averti con me. Hope Nessuno me l’aveva mai detto prima d’ora *Hope era sinceramente sorpresa dalle parole di James, non poteva mettersi a piangere più. Se lo ripeteva più volte nella sua testa. Lo guardò negli occhi provando a sdrammatizzare* Hai intenzione di farmi commuovere? *rise allegra sperando di tirare su anche l’amico* James Cole Collins C'è sempre una prima volta... *La guardò con interesse mentre i suoi occhi cercavano di indagare su quelli della ragazza. Sapeva che gli occhi fossero lo specchio dell'anima e sapeva che avrebbe nascosto qualcosa. Sorrise con molta emozione. * Si, ma lo stai già facendo! * La prese tra le braccia e la strinse in un abbraccio. Quei due erano ormai legati, legati per sempre. *
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     👑☠️     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐣𝐚𝐦𝐢𝐬𝐨𝐧 𝐝𝐰𝐚𝐲𝐧𝐞 & 𝐬𝐚𝐫𝐚𝐡 𝐣𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐧      ❪    ↷↷     mini role ❫      c  o  l   l   e  g  e      15.10.2020  —  #ravenfirerpg
Il nuovo anno accademico portava con sé il sapore della novità, la voglia di riprendere dopo la pausa estiva, e in qualche modo questo atteggiamento propositivo si ripercuoteva spesso anche sui suoi studenti. I corridoi cominciavano ad essere affollati e il vociare continuo era ormai una regola. Jamison teneva la maggior parte delle sue lezioni al mattino, qualche pomeriggio lo trascorreva nel suo ufficio per dare alla possibilità agli studenti di andare a ricevimento, e i restanti li trascorreva all'Aquarium. Non si poteva dire, infatti, che non fosse un uomo impegnato, ma sapeva come equilibrare ogni cosa. Mancavano pochi minuti al termine della sua lezione, la lavagna era ancora scritta con disegni e formule, gli studenti lo seguivano con attenzione, ma stressarli le prime lezioni dell'anno non giovava a nessuno di loro. Terminò la sua spiegazione congedandoli con un saluto prima che la classe si svuotasse e rimanesse solamente una ragazza seduta in uno dei primi banchi. Il dooddrear prese il proprio tempo a mettere via i suoi libri prima di notare ancora la presenza della giovane.
« Miss Marshall, la lezione è stata di suo interesse? »
Sarah Jillian Marshall
Le lezioni universitarie erano ricominciate e Sarah era al settimo cielo, durante tutto il periodo estivo il collage le era mancato davvero tanto, era quel tipo di studentessa che si attardava durante le lezioni giusto per finire di trascrivere in bella gli appunti della lezione, preferiva farlo quando ancora le nozioni erano ben chiare nella mente, non che avesse problemi di memoria la fata ma si era presa tale abitudine dal suo primo anno, in quel periodo ella si attardava pur di non tornare presto a casa. Ultimamente tra le lezioni ed il lavoro part time all’erboristeria, Sarah doveva fare le cose di corsa, ma fortunatamente i titolari del negozio erano stati molto dolci con lei, dicendole che poteva arrivare in negozio anche con qualche ora di ritardo. Quel giorno, la lezione di biologia era finita e lei come da abitudine stava finendo di trascrivere ciò che il professore aveva appena spiegato, tanto da non rendersi conto di essere rimasta sola nell’aula con lui, se ne rese conto quando l’uomo le rivolse la parola. «Oh si, moltissimo. Argomento molto interessante. Come inizio non c’è male.» Era sincera la Marshall, per lei la spiegazione era stata piuttosto chiara, interessante, il professore aveva il carisma e la bravura tale da coinvolgere tutti gli studenti affinché essi non si annoiassero.
Jamison Dwayne H. Forbes
Era difficile per il dooddrear non entusiasmarsi di fronte alla sua classe, soprattutto perché vedeva in loro lo stesso entusiasmo che aveva lui stesso quando frequentava il college. Okay, forse era più attratto dal genere femminile che dalla lezione, eppure si divertiva. Era anche questo uno dei motivi per cui aveva scelto di percorrere quella strada. Aveva osservato con attenzione i propri studenti, il fatto che fossero attenti, alcune più di altri lo sapeva, ma non la giovane che s'era attardata a ricopiare probabilmente alcuni appunti. « Sembra molto entusiasta del corso, ne sono felice. » Commentò incrociando le braccia al petto dopo aver riposto ogni libro nella borsa in pelle che era un po' come un cimelio di famiglia. Non era raro che Jamison si fermasse a parlare con qualche sua studentessa, e in fondo gli piaceva perfino confondersi tra di loro. « L'anno scorso ha avuto dei bei voti, e non mi sorprenderei se fosse così anche quest'anno. C'è qualcosa però che cambierebbe? Sono più che propenso ad accettare anche consigli dai miei studenti su come migliorare. Ne ha qualcuno? »
Sarah Jillian Marshall
«Beh, mi piace molto il suo corso, lo seguo sempre con interesse.» Niente di più vero per la fata, amava la facoltà da lei intrapresa, sperava un giorno di riuscire a diventare una biologa, non aveva ancora le idee chiare circa la specializzazione ma sicuramente avrebbe scelto qualcosa che avrebbe certamente fatto a caso suo. Ascoltò le parole del professore e posò la penna con la quale stava trascrivendo gli appunti. «Ci tengo ad avere ottimi voti e poi sin da piccola lo studio è stata una mio passione ed ancora oggi cerco di dare il meglio e superarmi.» Non era una persona pretenziosa la Marshall, anche davanti alle difficoltà o ad un voto più basso rispetto ai suoi standard non si indignava anzi vedeva in ciò un pretesto per dare il massimo la volta successiva. «Vuole dei consigli da me? Non so che dirle a me le sue lezioni piacciono molto. Non so, forse dovrebbe fare più domande in classe? Oddio i miei colleghi mi odieranno.»
Jamison Dwayne H. Forbes
Il sorriso che era comparso sulle labbra del professore era ancora lì, soprattutto nell'osservare la reazione della giovane studentessa che ora appariva quasi in imbarazzo. Non era sua intenzione che ciò accadesse, ma contava molto per lui che gli studenti fossero tutti soddisfatti. Inclinò appena il capo prima di incrociare le braccia al petto e riflettere su come avrebbe potuto migliorare quell'aspetto delle sue lezioni. Voleva un tipo di lezione interattivo e non statica come era successo ai suoi tempi, ma che coinvolgesse tutti dal primo all'ultimo. « Credo che abbia ragione, sa? » Si passò una mano sulla mascella squadrata e coperta da un velo di barba che ormai aveva fatto suo prima di rivolgersi a Sarah. « Vorrei che foste tutti coivolti, in una lezione più interattiva. Ad ogni modo, Miss Marshall... Ha già pensato alla sua specializzazione? »
Sarah Jillian Marshall
«Dice? Il mio era solo un consiglio buttato lì sul momento.» Mormorò la fata che probabilmente sarebbe stata odiata dai suoi colleghi di corso, ma non avrebbero di certo mai saputo che se il professore avesse iniziato a rendere interattiva la lezione era per un'idea avuta da lei. Probabilmente avrebbero pensato che voleva vederli più coinvolti nella lezione e poteva benissimo starci. «In realtà no, non ho ancora pensato alla specializzazione, dovrei ma penso che deciderò all'ultimo minuto. Lei ha qualche consiglio da darmi?» Chiese curiosa del parere del professore, aveva vagliato qualche specializzazione la giovane, ma era ancora molto confusa a riguardo, però ascoltare le proposte altrui magari le avrebbe dato una visione diversa. Poggiò le sue cose dentro la borsa e guardò il professore, tenendosi pronta ad ascoltare ogni suo consiglio.
Jamison Dwayne H. Forbes
Era questo che aveva in mente il professore quando parlava del fatto che volesse un qualcosa di interattivo, dove i partecipanti potevano tranquillamente scambiarsi opinioni e arricchirsi vicendevolmente, esattamente come stavano facendo lui e Sarah. Sorrise sinceramente alla giovane, un leggero movimento del capo per annuire prima di inclinare appena lo stesso per scrutarla. « Non abbia paura, rimarrà il nostro piccolo segreto e gli altri studenti non lo sapranno, se questo è ciò che la preoccupa. » Commentò il dooddrear prima di notare quando si fosse fatto tardi. Era stata una conversazione che avrebbe voluto proseguire, sicuramente avrebbe forzato la mano per farle intraprendere la sua specializzazione ma sapeva che quella era una scelta che spettava solamente alla Marshall. « Posso dirle che ha un talento innato nella mia materia, e mi piacerebbe che potesse valutare anche la tesi con me, ma mai come in questo momento non voglio darle consigli. La scelta della specializzazione è una scelta di vita che spetta solamente a lei, Miss Marshall... Ora, mi dispiace davvero ma devo lasciarla, in ogni caso ci pensi. » Le strizzò l'occhiolino e Jamison s'affrettò per prendere la proria borsa e dirigersi così prima nel suo studio e poi all'Aquarium. Era quella la sua vita, impegni su impegni, ma andava bene così.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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ginnyoceane · 4 years
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     ✨💄     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐠𝐢𝐧𝐧𝐲 𝐫. 𝐨𝐜𝐞́𝐚𝐧𝐞   &  𝐭𝐡𝐞𝐨𝐝𝐨𝐫      ❪    ↷↷     mini role ❫      m     u    s    e    o      19.04.2020  —  #ravenfirerpg      #ravenfireevent #ravenfireilconfine
Pensieri contrastanti s'erano affacciati nella mente della veggente, pensieri che partivano dal semplice sconcerto fino ad arrivare alla rabbia, soprattutto dopo gli avvenimenti che aveva letto lei stessa sulla pagina del Raven's News. Era impossibile che la situazione non mutasse e il fatto che il giorno di Pasqua, parte dei ribelli fossero insorti, seppur silenziosamente, era una conseguenza più che comprensibile. E lei stessa aveva fatto sì che quei poveri ragazzi fossero finalmente liberi. Riviveva ogni singolo giorno gli attimi di quella giornata e non sapeva che cosa sarebbe successo, quali potessero essere le conseguenze, ma la sua coscienza continuava a ripeterle di aver fatto la scelta giusta. Quella domenica, tuttavia, sentiva il bisogno di fare qualcosa di assolutamente normale, qualcosa che la facesse tornare in qualche modo coi piedi per terra. Giungere in quel luogo così calmo e carico di cultura, era per la Lagarce il modo migliore per ritrovare se stessa.
Theodor Hèbert
« Jas, mi fai ombra. Jim ha detto che posso fermarmi per esercitarmi, quindi non mi alzerò da qui finché non avrò finito. » Non aveva neppure alzato la testa dal suo disegno a carboncino, il castano, totalmente concentrato su quelle forme complesse che cercava di riprodurre al meglio. Benché avesse osservato per ore le opere esposte in quel museo esse non mancavano mai di affascinarlo; ritrovarle ogni notte durante il turno di guardia era come salutare un vecchio amico, ma fermarsi a studiarle con attenzione spesso gli faceva scoprire un particolare nuovo, come una lieve pennellata che non aveva notato prima, qualcosa per cui secondo Theo valeva la pena di emozionarsi. Era proprio quello che era successo quel pomeriggio in cui il veggente aveva deciso di recarsi sul luogo di lavoro in anticipo, sistemandosi poi sul pavimento di una delle sale per piazzarsi davanti ad una delle opere esposte. Non c'era quasi nessuno a girovagare per l'edificio, probabilmente anche a causa del clima di tensioni che stava creando non pochi disagi alla città e ai suoi abitanti, quindi si era messo a proprio agio certo che presto Jasmine, sua inflessibile amica e tirocinante proprio in quel museo, lo avrebbe interrotto sgridandolo per essersi accampato in quel modo. « ODDIO, SCUSA! » Aveva esclamato balzando in piedi quando, non udendo le minacce dell'amica, aveva finalmente alzato il capo per trovarsi davanti ad una figura sconosciuta. « Ti avevo scambiata per qualcun altro, mi sposto subito! »
Ginny R. Océane Lagarce
Passeggiare per quei corridoi carichi di cultura sembrava essere un sogno per la veggente che, senza nemmeno dare peso a chi le fosse accanto, osservava con attenzione ogni scultura e quadro che fosse. Era completamente rapita da quel mondo, affascinata da quanta cultura fosse intrisa nelle opere, ma soprattutto, fin da piccola, aveva trovato in quel luogo un posto sicuro in cui rifugiarsi. Si sentiva persa in quei giorni, come se tutto il trambusto degli scontri cittadini dei giorni precedenti, avesse affondato gli artigli dentro di lei arpionandola nel profondo. Era inquieta, pensierosa riguardo alle successive mosse, e il museo sembrava essere il luogo migliore in quella domenica pomeriggio. Aveva attraversato già due sale quando incappò in una figura maschile, seduta per terra, intento a disegnare con blocco e cartoncino. Curiosa oltre ogni limite, Ginny s'era avvicinata per osservare che cosa stesse facendo e solo quando sentì la di lui voce, fece un passo indietro apparentemente imbarazzata. « Scusami tu, non volevo interromperti... Né tanto meno spaventarti. » Replicò stringendosi nelle spalle. Solo quando fece mente locale sul nome che aveva pronunciato poco prima il giovane, un sorriso cordiale comparve sulle proprie labbra. « Ti ho visto disegnare ed ero curiosa. Eri così concentrato... »
Theodor Hèbert
« SÌ, NO, SÌ, SCUSA! » In un -non troppo lieve- momento di panico dettato non tanto dallo spavento quanto dal profondo imbarazzo, Theo dimenticò di modulare la voce con un volume più consono a quelle sale e recuperò in fretta e furia ciò che poco prima aveva sparso sul pavimento con tanta noncuranza. Mai si sarebbe permesso di parlare ad un visitatore con tutta quella confidenza, e senza dubbio gli avrebbe risparmiato la nota di lieve fastidio che riservava a Jasmine se solo si fosse accorto in tempo del malinteso. « La colpa è mia, avevo erroneamente ipotizzato che non ci fosse nessuno nel museo, pensavo di parlare con una mia amica. Un'amica che non apprezza particolarmente quando mi approprio delle sale per disegnare. » Rispose al sorriso della giovane inarcando a sua volta le labbra, accettando in cuor suo di aver appena compiuto l'ennesima figuraccia da aggiungere alla sua immensa collezione. Poteva aprire un suo personale museo solo con quelle, altro che opere d'arte. Lasciò poi cadere lo sguardo sul suo bozzetto alle parole della sconosciuta, e alzò impercettibilmente entrambe le spalle nel lasciarle vedere il disegno incompleto che cercava di riprodurre fedelmente la statua dinnanzi a loro. « Non è niente, mi stavo esercitando. Sai, le proporzioni e tutto il resto--- è un modo per affinare la tecnica. » Minimizzò i suoi sforzi di poco prima, preso alla sprovvista dall'interessamento mostrato dalla ragazza. Non si aspettava che un paio di occhi diversi dai suoi si sarebbero posati su quel foglio ed ora si sentiva stranamente esposto al giudizio altrui, benché il suo lavoro fosse oltremodo ben fatto.
Ginny R. Océane Lagarce
L'atteggiamento imbarazzato del giovane fece divertire la veggente, la quale osservò come stesse cercando di recuperare in fretta e furia le sue cose sparse sul pavimento. Non era assolutamente sua intenzione spaventarlo, né tanto meno farlo andare via, ma la curiosità di osservare che cosa stesse disegnando con così tanto impegno l'aveva spinta ad avvicinarsi. Rispose con un sorriso, a stento trattenuto, prima di mostrare il lato più cortese che possedesse. « Eppure credo che questo sia uno dei luoghi più adatti per disegnare... C'è silenzio, puoi trovare concentrazione e poi soprattutto nessuna distrazione. » Era quelli i motivi che spingevano la veggente a fare visita spesso quel luogo di cultura, un luogo dove poteva semplicemente godersi la quiete, il silenzio e i suoi pensieri. Vi erano persone che potevano compiere le attività più disparate per ritrovare se stessi, mentre alla bionda bastava un museo, oppure un libro o semplicemente il suo diario. La Lagarce spostò poi lo sguardo sul blocco del giovane sconosciuto ed osservò come quelle linee seguissero perfettamente l'opera originale che stava loro accanto. « Wao... Questa sì che è una bella riproduzione. Probabilmente se ci provassi io, non riuscirei nemmeno a mettere insieme due linee... Studi architettura? Scusami, non mi sono nemmeno presentata, sono Ginny. » Domandò dapprima con reale curiosità e soprattutto impressionata per quell'operato per poi presentarsi in modo elegante come faceva in ogni occasione.
Theodor Hèbert
Annuì alle parole della ragazza, trovandosi completamente concorde. Era proprio così, quel luogo era perfetto per disegnare, per concentrarsi ed immergersi completamente nei capolavori conservati al suoi interno. Era felice che qualcuno comprendesse il suo punto di vista, qualcuno oltre Jim, che gli permetteva di accamparsi sul pavimento e lo incoraggiava a esprimere la sua arte. « È proprio così! Il silenzio è interrotto solo dal rumore lento dei passi dei visitatori, ma è un suono che non mi disturba affatto. E le opere-- le conosco tutte, eppure ogni volta che mi fermo ad osservarle riesco a scorgere qualcosa di nuovo. Passo così tanto tempo qui per terra che se un giorno una delle statue ricambiasse il mio saluto non mi stupirei nemmeno. Insomma, mi hanno visto crescere e mi vedranno invecchiare, ormai mi conoscono come io conosco loro. » L'entusiasmo di Theo era facilmente intuibile, e non solo dal tono della sua voce, ma dalla luce che brillava nei suoi occhi nocciola. Nulla lo faceva sentire vivo quanto l'arte, per questo non si rese nemmeno conto di aver sommerso la sconosciuta sotto ad un mare di parole, evitando di gesticolare solo perché stringeva ancora al petto tutto il materiale necessario per disegnare. Ascoltò poi i commenti gentili della giovane e nascose un lieve sorriso imbarazzato; dopo tanti anni non aveva ancora imparato a rispondere in modo disinvolto ai complimenti, finendo sempre per limitarsi ad un "grazie" mormorato a bassa voce. « Ti ringrazio, sono certo che tu sia abile in altro come io lo sono ad unire due punti. E no, io lavoro qui al museo... sono il guardiano notturno. » Ammise stringendo appena le spalle, prima di porgerle a fatica la mano in modo da non far cadere il blocco da disegno. « Sono Theo, piacere di conoscerti. »
Ginny R. Océane Lagarce
Era impossibile non notare la luce che brillava nei di lui occhi mentre raccontava come il museo fosse il suo luogo preferito. Erano tutti pensieri che anche la veggente condivideva il più delle volte, soprattutto in quel pomeriggio che risentiva e non poco degli ultimi avvenimenti cittadini. I tumulti in città erano sfociati in qualcosa di ben più grande di loro e chissà quando avrebbero potuto riprendere le loro vite, eppure Ginny era lì, sperando di distrarsi e nascondendosi da chiunque avrebbe potuto riconoscerla. Ricordava poi nello stesso luogo lavorava anche Jasmine e chissà che il giovane non la conoscesse. Tese poi la mano per stringergliela in una stretta decisa ma non forte e un sorriso comprensivo fece strada sulle proprie labbra. « Tutto ma niente doti creative... Almeno non del disegno. » Replicò lasciando andare la di lui mano e stringendosi appena nelle spalle. Disegnare era quanto più lontano dalla veggente, ma sapeva scrivere quello sì. « Diciamo che me la cavo nella scrittura, anche se la strada è ancora molto lunga. Comunque, allora di certo conoscerai Jasmine, so che anche lei lavora qui. »
Theodor Hèbert
Al giovane bastò una stretta di mano per capire che condivideva la stessa natura della ragazza, la quale non ne fece parola. La imitò, sorvolando sull'argomento per concentrarsi su qualcosa di più piacevole come l'arte, una passione di cui avrebbe potuto parlare per ore e ore senza stancarsi. Nulla gli faceva più piacere che sentire le opinioni degli sconosciuti in visita al museo riguardo alle opere contenute in esso, non gli importava che fossero esperti nel settore o semplici curiosi, amava vedere i quadri attraverso occhi diversi, nuovi, riuscendo così a scorgere particolari a cui non aveva dato importanza o a vivere sensazioni mai provate. « Scrivi? È una cosa bellissima a mio parere. Posso impicciarmi e chiederti cosa prediligi scrivere? » Era curioso, sì, ma non voleva essere invasivo perché a sua volta non amava particolarmente chi varcava certi limiti, specialmente al primo incontro. Voleva solo capire se Ginny era una scrittrice di racconti o di poesie, ma si promise di non cadere in quelle battute scontate che sicuramente la bionda aveva già ascoltato infinite volte, l'equivalente letterario del tanto detestato "allora disegnami qualcosa!". Sentì poi il nome dell'amica e gli occhi si rivolsero naturalmente al soffitto. Le voleva bene ovviamente, e molto, ma i loro due caratteri si scontravano spesso e da questo era nato un costante prendersi in giro, anche quando l'altro non era presente. « Oh sì, conosco Jasmine. È per lei che ti ho scambiata poco fa... in genere non apprezza quando mi accampo sul pavimento per disegnare. »
Ginny R. Océane Lagarce
Stringere la mano a qualcuno doveva essere la cosa più semplice al mondo eppure quando accadeva ad un veggente era sempre un punto interrogativo. Chi si sarebbe trovato di fronte? Un semplice umano, un altro veggente, o qualcuno di più sinistro che apparteneva a una razza ben più pericolosa? Eppure la Lagarce, quando strinse la mano al ragazzo, non poté fare altro che un sospiro di sollievo scoprendo di essere in presenza di un altro veggente. Decise però di non affrontare immediatamente quel discorso, in fondo se avessero avuto modo di incontrarsi di nuovo avrebbero potuto parlarne, ma per ora perché non limitarsi alla loro passione comune? « Sto studiando giornalismo... Ed in realtà mi piace dilettarmi in scritti semplici, spesso quelli che pubblico sul mio blog sono pensieri, ma la moda ha sempre avuto un ruolo più che rilevante nella mia vita... MA prediligo storie, questo sì. » Parlò a raffica la veggente prima di accorgersi dell'espressione del viso che ebbe Theodor quando menzionò l'amica di sempre. Ella si ritrovò dunque a scuotere il capo pensando all'amica nel vedere il giovane veggente seduto a terra. « Non stento a crederlo, sai? Ad ogni modo è meglio che vada... Ma mi ha davvero fatto piacere conoscerti. E non far arrabbiare la mia amica! »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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