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#l'uomo che sapeva troppo
lamiaprigione · 1 year
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The Man Who Knew Too Much (1956)
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ideeperscrittori · 11 months
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PAROLE CHE DOVREBBERO SPARIRE (In primo luogo dai giornali)
— Repost con aggiunte —
Morta per un movente passionale, morta per un dramma di famiglia, morta per troppo amore, morta per il tragico epilogo di una bella favola, morta per un tradimento, uccisa da un uomo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, uccisa dall'amichetto, uccisa dal fidanzatino, uccisa da un gigante buono, uccisa da un corteggiatore troppo ardente, uccisa da un uomo che non le aveva mai fatto mancare niente, uccisa da un uomo che si era fatto in quattro per mantenerla, uccisa da un gran lavoratore tutto casa e famiglia, uccisa da un uomo sempre presente, uccisa da un uomo senza grilli per la testa, uccisa da un uomo irreprensibile, uccisa da un uomo che voleva difendere i figli, uccisa da un uomo stimato da tutti, uccisa da un uomo preoccupato per lei, uccisa da un uomo che voleva proteggerla, uccisa da un uomo che non voleva perderla, uccisa da un uomo che voleva solo salvarla, uccisa da un uomo che non voleva ucciderla e l'ama ancora, morta per un sentimento che non aveva saputo ricambiare, massacrata da un uomo che è anche lui vittima di una tragedia su cui dobbiamo far calare un rispettoso silenzio, morta per colpa della sua eccessiva fiducia, morta perché troppo ingenua, morta perché non sapeva scegliere l'uomo giusto, uccisa da un uomo stressato dalle sue continue richieste.
FINE
[L'Ideota]
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vedova-nera · 5 months
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Come hai potuto volerti così male? Sei una donna bellissima, quando passi per la strada, li senti gli occhi su di te, e quando parli con qualcuno, rapisci l'attenzione.
Sei intelligente, brillante, loquace. Hai una bellissima anima. Sei sensibile, empatica, altruista. Sei gentile ed accomodante ...
Come hai fatto a soffocare la stima di te stessa? Ti ricordi i giorni senza sole? I giorni spenti? Ti ricordi i giorni senza tempo?
A cercare un perché. Che non è mai arrivato. Hai calpestato la tua dignità pregando una parola.
Hai preso a schiaffi la tua intelligenza. Hai fatto spazio accanto a te, per far accomodare la menzogna. E sei rimasta basita sei rimasta confusa, sei arrivata anche a dubitare di te stessa... E non ti sei resa conto che la risposta era proprio lì.
È perché tu vali.
È perché sei bella.
È perché sei intelligente.
E l'uomo che tu credevi così tanto "uomo", in fondo, poi così uomo non era... Per questo ha bisogno di meno, di molto meno.
Lui lo sapeva di non poter meritare una donna come te. Tu sei troppo, per lui. Tu sei una donna, una vera donna. Il segreto è tutto qua.
Ora lo sai, brinda con me.
Perdonati.
Paola Delton
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Come hai potuto volerti così male? Sei una donna bellissima, quando passi per la strada, li senti gli occhi su di te, e quando parli con qualcuno, rapisci l'attenzione.
Sei intelligente, brillante, loquace. Hai una bellissima anima. Sei sensibile, empatica, altruista. Sei gentile ed accomodante ...
Come hai fatto a soffocare la stima di te stessa? Ti ricordi i giorni senza sole? I giorni spenti? Ti ricordi i giorni senza tempo?
A cercare un perché. Che non è mai arrivato. Hai calpestato la tua dignità pregando una parola.
Hai preso a schiaffi la tua intelligenza. Hai fatto spazio accanto a te, per far accomodare la menzogna. E sei rimasta basita sei rimasta confusa, sei arrivata anche a dubitare di te stessa... E non ti sei resa conto che la risposta era proprio lì.
È perché tu vali.
È perché sei bella.
È perché sei intelligente.
E l'uomo che tu credevi così tanto "uomo", in fondo, poi così uomo non era... Per questo ha bisogno di meno, di molto meno.
Lui lo sapeva di non poter meritare una donna come te. Tu sei troppo, per lui. Tu sei una donna, una vera donna. Il segreto è tutto qua.
Ora lo sai, brinda con me.
Perdonati.
Paola Delton
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intotheclash · 10 months
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Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il  rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini…ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male…era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua “razza”, demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
“Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere.” Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del “con me non attacca, bello!”, rispose:“ E’ un po’ vecchiotta, forse ti conviene provare altrove.”
“Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro.”
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse… ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così: “Mi dispiace, non ho da accendere” Soffiò fuori in fretta.
“Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori.” Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
“Ehi!” Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
“Aspettami!” Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
“Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti.” La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
“Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede.”
“Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito, è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere.”
“Posso farti una domanda?” Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
“Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta.”
“Ho smesso da un bel pezzo di pretendere.”
“Allora puoi andare con la domanda.”
“Di che colore sono i miei occhi?”
“Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare…”
“Lo sapevo, peccato.” Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
“Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia.” Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:“E le mie tette come sono?”
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: “Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi.”
“Posso offrirti un caffè? Per rimediare!”
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. “Rimediare è un verbo privo di significato.” Disse “Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente.”
“Sarebbe un no?”
“Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè.” E sorrise.
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danilacobain · 1 year
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Selvatica - 3. Gattina selvatica
Corinna era un fascio di nervi.
Perché Antonio aveva cambiato idea? Le aveva dato tre settimane di tempo per restituirgli il denaro e queste non erano ancora scadute. Non riusciva a tenere a bada l'agitazione, stringeva forte le mani, si martoriava il labbro inferiore. Il fatto che fosse in macchina con uno sconosciuto e stesse andando a cena con degli sconosciuti non aiutava a placare la sua ansia. Per di più il ragazzo che aveva di fianco era un calciatore della serie A. Del Milan, addirittura. Non seguiva il calcio, non conosceva Ante, ma sapeva che il Milan era una squadra blasonata, una squadra importante.
Non osò spostare lo sguardo nella sua direzione. Era già tutto così imbarazzante. Sarebbe potuta tornare a casa, ma aveva troppa paura che Rocco fosse lì ad aspettarla.
Ante parcheggiò davanti a un ristorante dall'aria molto elegante. Corinna spostò lo sguardo sul suo abbigliamento, sentendosi improvvisamente a disagio. Non era vestita elegante ma neanche troppo male. Anche Ante per fortuna aveva un abbigliamento informale: un jeans, una maglia blu scuro e un cappotto che arrivava fin sopra alle ginocchia. Ai piedi, delle scarpe sportive.
Davanti alla porta del locale le sorrise. «Sei nervosa?»
«Un po'», ammise. E la cena era solo una parte insignificante di quel nervosismo.
La indicò con l'indice e aggrottò la fronte. «Corinna, giusto?»
Lei chiuse gli occhi per un istante. «Dio, sarà un disastro.»
«Devi solo fingere di conoscermi e cercare di goderti la cena.»
Aprì la porta, lasciandola entrare per prima. Corinna si guardò intorno, sentendosi subito avvolta dal tepore della sala. Il locale era molto bello, simile nei colori a quello dove lavorava lei nei fine settimana. Sale ampie, lampadari bassi di cristallo a forma circolare, tavoli in legno scuro con tovaglie color crema e divani semicircolari al posto delle sedie. Un cameriere si avvicinò a Ante.
«Signor Rebić, da questa parte, prego.»
«Te lo avevo detto che ero in ritardo» sussurrò all'orecchio di Corinna, facendola sorridere.
C'erano tre uomini seduti al tavolo dove li condusse il cameriere. Uno di questi si alzò. Poteva avere all'incirca quaranta anni, completo elegante e capelli leggermente brizzolati ai lati delle tempie. «Signori, ecco Ante.» Gli occhi scuri osservarono Corinna con curiosità quando si rese conto che stava insieme al ragazzo.
Ante strinse un paio di mani. «Buonasera. Scusate il ritardo ma ho avuto un piccolo contrattempo. Lei è la mia amica Corinna, spero non vi dispiaccia se stasera cena con noi.»
«Affatto.»
A parlare era stato un signore dalle folte sopracciglia bianche e sparuti capelli dello stesso colore, un viso pieno e ben rasato, ad eccezione di un paio di baffi brizzolati. Si alzò e fece segno a Corinna di accomodarsi accanto a lui. Lo sguardo che le fece scivolare su tutto il corpo la fece rabbrividire un poco ma si sedette, dopo aver ricevuto un sorriso di incoraggiamento da parte di Ante.
L'uomo a capotavola si rivolse al calciatore. «Allora Rebić, come va? Siete in un buon momento con la squadra.»
Il ragazzo si accomodò di fronte a Corinna. «È un buon momento. Stiamo bene, siamo carichi.»
L'uomo sorrise. «Vengo subito al sodo. La nostra è una nuova linea di abbigliamento per giovani ragazzi, accattivante, moderna.»
«Sei la sua nuova ragazza?» L'altro di fianco a lei si era avvicinato e le aveva parlato accanto all'orecchio.
Corinna avvertì l'odore forte del dopobarba e un impulso a scappare. Alzò lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano simili a quelli di un rapace. «No. Sono una sua amica.»
«Mi chiamo Fabrizio.»
«Corinna.»
«Tu hai un viso conosciuto. Fai la ragazza immagine in qualche locale, per caso?»
Corinna si allontanò un poco. Fabrizio era troppo vicino per i suoi gusti, riusciva a sentire il suo calore e questo le faceva accapponare la pelle. «No. Lavoro in un negozio di intimo.»
«Però è un peccato... con un visino delicato come il tuo...» le strizzò l'occhio.
Doveva solo restare calma, estraniarsi, cercare di non reagire a quella provocazione. Fabrizio stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo, l'aveva scambiata per una escort, lo aveva capito subito. Purtroppo non poteva andare via. Ante le aveva offerto un'occasione per liberarsi di Rocco e in quel momento aveva da fare, doveva parlare di contratti, di soldi. Lei doveva solo sperare che tutto si concludesse nel più breve tempo possibile.
«Da quanto tempo conosci Ante?»
«Da un po'. È la mia consulente per le opere d'arte.»
Corinna spostò lo sguardo su Ante e sorrise, sorpresa che stesse ascoltando lei e Fabrizio e non i due uomini che parlavano di cose che lo riguardavano. Anche Ante le sorrise, aveva l'aria di uno che si stava annoiando parecchio.
«Ah, ti occupi d'arte?» Fabrizio sembrava molto colpito.
«Sono ancora all'università. A Ante piace scherzare su questa cosa.»
Si sporse sul tavolo per prendere l'acqua, ma Fabrizio l'anticipò, riempiendole il bicchiere. Strinse il bicchiere tra le dita e lo portò alle labbra.
Di fronte a lei, Ante continuava a fissarla. I suoi occhi chiari erano indecifrabili, non capiva se le volesse dire qualcosa, forse le stava intimando di stare in silenzio. Non era certo lei quella a cui andava di fare conversazione. Il suo agente le scoccò un'occhiataccia e si avvicinò al suo orecchio. Corinna cercò di leggere il labiale.
«Chi è questa ragazza? Non l'ho mai vista.»
«Tu non ti preoccupare», tagliò corto lui.
Intanto sul tavolo erano comparsi dei raccoglitori ad anelli e l'uomo a capotavola li passò al calciatore.
Fabrizio guadagnò centimetri e poggiò la mano sul divanetto, molto vicino alla sua gamba. Lei si spostò di poco verso il lato esterno della seduta, ma avvertì ugualmente le dita di lui sfiorarle calze. Corinna rabbrividì. Non aveva più spazio per spostarsi ancora. Gli scoccò un'occhiata furente, con tutta l'intenzione di fargli capire che era arrivato il momento di smetterla. Lei non stava affatto gradendo. Fabrizio curvò le labbra in un sorriso viscido, poi posò la mano sulla gamba di Corinna. Scattò in piedi come una molla e prima ancora di pensare alle conseguenze del gesto che stava per compiere, svuotò il contenuto del bicchiere in faccia a Fabrizio.
«Porco!» esclamo, catalizzando l'attenzione di tutto il locale su di loro.
«Ma che cazzo succede?» Ante spostò lo sguardo da lei a Fabrizio.
«Mi ha messo le mani addosso.»
Ante rivolse a Fabrizio uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque. Il petto di Corinna si alzava e abbassava velocemente e le tremavano le mani e le gambe.
Fabrizio ridacchiò, asciugandosi il volto con il tovagliolo. Era infastidito ma tentava di mascherarlo con un atteggiamento rilassato. «Andiamo, pensavo che l'avessi portata per farci divertire...»
«Come?» Ante aggrottò la fronte, poi guardò il suo agente e scosse la testa. Si mise in piedi e afferrò la mano di Corinna. «Ce ne andiamo.»
«Ante. Ante, per favore.» Il suo agente protese le mani verso di lui, nel tentativo di farlo ragionare.
Corinna fece giusto in tempo ad agguantare il cappotto prima di venire trascinata via dal ragazzo. La presa sulla sua mano era salda e in un certo senso rassicurante. Sgusciarono veloci tra i tavoli, seguiti da sguardi curiosi e bisbiglii.
Fuori, lui le lasciò subito la mano. camminò a grandi passi verso la macchina, poi si voltò di scatto.
«Che cazzo ti è preso? Ti avevo detto di startene buona... adesso è andato tutto a puttane.»
Corinna si irrigidì. Lo guardò dritto negli occhi, senza lasciarsi intimorire. Come osava dirle che avrebbe dovuto starsene buona? «Quindi che avrei dovuto fare? Lasciare che quell'uomo mi toccasse senza dire nulla?»
Ante strinse i denti, scrutandola con i suoi occhi azzurro ghiaccio, impenetrabili e duri. «No.»
Si passò una mano tremante tra i capelli. Forse aveva combinato un disastro e per Ante la situazione si era messa male. Piena di imbarazzo, fece un sospiro e abbassò lo sguardo. Il corpo del ragazzo rimaneva immobile davanti a lei, era chiaro che stava cercando di mantenere la calma. «Senti, scusami. Vai dentro e sistema le cose, io torno a casa. Grazie di tutto.»
Si incamminò, voltandogli le spalle e attraversando in fretta la strada. Aveva la sensazione che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all'altro. L'aria fredda le sferzava il viso, facendola rabbrividire. Si strinse nel cappotto, accelerando il passo. Che diavolo aveva pensato di fare andando a quella cena con perfetti sconosciuti? Ante era stato gentile con lei, ma restava uno sconosciuto a cui aveva appena rovinato una cena di lavoro. Perché doveva essere sempre così ingenua e avventata? Non le era bastata la lezione di Antonio? Il ricordo dell'uomo le provocò una stretta dolorosa allo stomaco.
Doveva liberarsi di lui il prima possibile, doveva...
«Corinna, dai, aspetta.»
La voce di Ante la raggiunse. Si girò di scatto e se lo ritrovò di fronte. Per la prima volta si rese conto di quanto fosse alto. Gli occhi chiari scintillavano nell'oscurità della sera, più calmi rispetto a qualche minuto prima. Infilò le mani nelle tasche, stringendosi nel cappotto.
«Ti accompagno io a casa.»
Lei scosse energicamente la testa. «No. Torna alla tua cena.»
Lui scoppiò a ridere. Il suo sorriso gli illuminò il volto. «Sei una gattina selvatica, lo sai? Gli hai lanciato l'acqua in faccia!»
Corinna sospirò, almeno lui riusciva a ridere. «Ho fatto un casino, vero?»
«Sì, ma domani sistemo tutto. Ora andiamo.»
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brokensoulsworld · 6 days
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· · ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀         ⤹         𝐚𝐢𝐝𝐞𝐧 𝐝𝐚𝐯𝐞𝐧𝐩𝐨𝐫𝐭 ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ‧‧‧‧  ʟɪғᴇ ʙɪᴛᴇs › ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀manhattan, ny ‧‧‧ 25.04.2024               ─── ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Uno sguardo insistente, una sensazione giudicante s'era materializzata al centro della sua schiena mentre il neozelandese riponeva con calma i suoi appunti dentro lo zaino. Aveva imparato in breve tempo, certamente anche con l'aiuto del suo terapista, che l'ordine era sempre cosa buona e giusta. Avere gli appunti in ordine, così come anche i compiti in classe, così come le sue ricerche in campo letterario, aiutava a tenere sotto controllo quella sensazione di inadeguatezza che spesso lo colpiva. Aveva appena terminato di fare alcune ricerche per un nuovo articolo, spesso sfruttava l'area docenti nei momenti di reale tranquillità, e in giorni come quelli, ove si assaporava la quiete per le vacanze primaverili appena cominciate, si godeva il silenzio quasi irreale presente nei corridoi. Quegli stessi luoghi che erano vita, con il loro vociare, con le loro risa, perfino con quelle corse che gli studenti si ostinavano a mettere in atto e che il corpo non tollerava, ora apparivano semplicemente quieti. Inspirò sonoramente l'uomo, senza doversi girare verso il nuovo arrivato. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ᴀɪᴅᴇɴ ᴋᴀʏ  « Pensavo che fosse già scappato, professor Collins. Solitamente non si ferma nemmeno un istante in ateneo. Sentiva la mia mancanza? » ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ Seguì una smorfia da parte dell'uomo decisamente più anziano ed attempato del neozelandese. Non era un segreto che tra i due uomini non corresse buon sangue, ma se il più giovane sapeva come tirargli qualche battuta, l'altro non le vedeva così di buon occhio. Il biondo continuò imperterrito nel suo lavoro, e solamente quanto ebbe terminato e mise il proprio zaino in spalla, rivolse l'attenzione al collega. Decisamente più minuto, l'aspetto del professor Collins era come ci si aspettava: una figura tozza, con un abito grigio troppo grande, i pantaloni necessitavano realmente di un orlo e i capelli radi con il volto paffuto lo rendevano semplicemente buffo. Potevano essere più diversi? ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ᴘʀᴏғᴇssᴏʀ ᴄᴏʟʟɪɴs  « Quando sentirò la sua mancanza, ghiaccerà l'inferno… Professor Davenport. Mi chiedevo perché fosse ancora qui piuttosto. Mi aspettavo che andasse a festeggiare con i suoi colleghi, e con colleghi intendo gli stessi a cui cerca di insegnare qualcosa. »   ᴀɪᴅᴇɴ ᴋᴀʏ  « Oh sì, gli stessi che non vedono l'ora di ascoltare una mia lezione, giusto? Diciamo che mi piace tenermi al passo. Sa… Mi piace tenermi in forma… E divertirmi. »   ᴘʀᴏғᴇssᴏʀ ᴄᴏʟʟɪɴs  « Ci sono dei confini da rispettare, professore, un codice etico da seguire. Gli sguardi che le rivolgono le studentesse, le battute… L-lei… ─ » ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ La postura del Davenport si irrigidì in quel momento senza però darlo a vedere. Era una delle sue paure, quel solo sospetto che potesse diventare più labile il confine professori e studenti era ciò che l'aveva sempre spinto a dare il meglio di sé. Il sorriso comparso poco prima scivolò via, e gli occhi cerulei sempre così divertenti non avevano perso la sua attenzione. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ᴀɪᴅᴇɴ ᴋᴀʏ  « Dubito che lei voglia mettere in dubbio la mia professionalità, professor Collins. Sono il primo a seguire il codice etico in questo ateneo, e potrà non andarle a genio come insegno agli studenti, perché magari strappo loro una battuta, ma le regole devono essere rispettate. Non c'è sguardo o battuta che possa farmi vacillare, intesi? Ora, se vuole scusarmi… Le vacanze primaverili mi aspettano, e le do un consiglio, un rinnovo di guardaroba aiuterebbe. »
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drheinreichvolmer · 4 months
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CAPITOLO 15 PARTE 5
Se non lo avesse fatto, adesso le sue attenzioni sarebbero state totalmente su di lei. Quando si rese conto di quel pensiero orribile, si sentì un verme; e senza dire nulla fece ritorno alla sua stanza, mentre gli altri si guardavano tra di loro confusi dal suo atteggiamento. Heinreich decise di andare a scoprire cosa fosse successo, temendo che la ragazza si fosse ricordata nuovamente di qualcosa. Raggiunta la sua camera, la trovò sdraiata sul suo letto, mentre stringeva al petto il suo cuscino. Si sedette al suo fianco e le chiese come mai fosse andata via in quel modo durante il pranzo. La giovane lo guardò timorosa, temeva un giudizio negativo da parte sua. Aveva paura che potesse interpretare la sua gelosia come una mancanza di fiducia nei suoi confronti, rischiando soltanto di allontanarlo. Il padre continuava ad osservarla in attesa di una risposta, mentre la ragazza era persa nei suoi pensieri, indecisa sul come gestire la situazione. Scelse infine di mentire, essendo troppo preoccupata della sua possibile reazione. Si limitò semplicemente a dire che non stava molto bene, inventandosi di avere la nausea, ciò le impediva di pranzare. L'uomo non rimase particolarmente convinto di quella giustificazione, poteva notare dal suo sguardo che la giovane figlia gli stava mentendo; oltretutto non era la prima volta che usava una scusa simile. Decise comunque di lasciarla tranquilla, promettendo di portarle a breve qualcosa per sentirsi meglio. La bionda però non voleva lasciarlo andare via, di conseguenza si attaccò alla sua schiena, supplicandolo di restare. Heinreich risuciva a capirla, ma era evidente che la cosa migliore che poteva fare era assecondare quel suo capriccio. Come medico, sapeva bene che spesso dietro a piccole richieste di attenzioni si nascondono più grandi richieste di aiuto. Per questo motivo, restò tutto il pomeriggio con lei, riuscendo a tranquillizzarla un po'. Nel mentre, il resto della famiglia era andato avanti con la propria routine, ignari di ciò che fosse davvero successo alla ragazza. Più tardi, alle 17:00 di quel lunedì pomeriggio, il giovane Klaus aveva da poco terminato una sessione di yoga con un gruppo di ospiti, e si era preso un momento di pausa per messaggiare un po' con la sua ragazza. Intanto Edith, tornata alla sua postazione alla reception, osservava divertita Klaus, per poi prendere il suo cellulare per rispondere ad un messaggio di Ingrid che le era appena arrivato. Ad un tratto un uomo sui quaranta con i capelli rasati, visibilmente anoressico, varcò l’entrata del castello. La giovane infermiera Edith gli andò subito incontro, sicura che non si trattasse di un cliente che aveva prenotato. Alle sue parole, l'uomo sembrava confuso, si limitò a ripetere che non stava bene e che aveva bisogno di aiuto. Klaus, accortosi della situazione, andò immediatamente ad avvisare il barone. Quando Heinreich raggiunse la reception, notò l'uomo gesticolare freneticamente, continuando a chiedere di lui ad Edith con una certa insistenza.
<< Da chi? Voglio sapere per filo e per segno! >> insistette il biondo scuotendolo.
<< Io non volevo fare niente! Volevo solo rimediare un po' di soldi per comprarmi un po' di coca, okay?! Mi hanno detto che doveva morire, ma io non sono stato capace di farlo, così mi sono limitato a ferirlo. >> parlò con fatica l'uomo seduto a terra.
<< Non prendermi per il culo! Se volevi solo ferirlo non avresti mirato all'altezza del cuore. >> replicò Hans.
<< Ho fatto partire il colpo e basta, ero agitato. Non volevo che morisse nessuno! >> insistette isterico Clark.
<< Sono stati quelli del paese a mandarti, vero? >> domandò il biondo.
<< Alcuni di loro mi hanno detto che il loro capo cercava un capo espiatorio da mandare al castello, qualcuno che poteva fare il lavoro. >> rispose l'uomo.
<< Capo? Tu hai visto questo fantomatico capo? >> incalzò Hans. Alla sua domanda, l’uomo sgranò gli occhi e iniziò a parlare con un tono disperato, quasi supplicandolo: << No, assolutamente! Ma so il suo nome, te lo dirò lo giuro! >> L’altro intanto lo osservava a braccia consorte, segno che aveva la sua più completa attenzione.
<< Dominik Van Dien.. >> farfugliò il tipo che si era ormai addirittura urinato addosso. Hans analizzò quel nome nella sua mente, in primo momento non gli suscitò nulla; quando improvvisamente nella sua memoria affiorò un ricordo risalente a molti anni prima. Ripensò a un giorno del periodo in cui aveva da poco iniziato a lavorare al castello come giardiniere. Rammentò come quel dì stava falciando l'erba del giardino e il barone gli stava raccontando che poco prima dell'arrivo di Hans al castello, il padre di Heinreich aveva cominciato ad organizzare un matrimonio combinato tra la figlia Emma e il duca austriaco Dominik Van Dien. In quell'occasione aveva chiesto al titolare che cosa ne fosse poi stato del duca, visto che Heinreich aveva allontanato i genitori dal castello. Il barone raccontò quindi al suo fidato giardiniere che il duca non aveva alcuna intenzione di rinunciare alle nozze con la giovane Emma, in quanto era sempre stato evidente il suo interesse amoroso verso la donna. Dopo l'ennesimo rifiuto del duca a mettersi l'anima in pace ed accettare che la donna era ormai proprietà di Heinreich, la discussione era sfociata in un duello tra i due uomini. Il duca austriaco aveva buone capacità nell'arte della scherma, dote che però non era bastava a sovrastare il suo avversario. Dominik Van Dien se ne andò sconfitto e ferito nel suo orgoglio, senza più farsi vedere. Ripensando alla vicenda, Hans si rese conto che l’uomo probabilmente non aveva mai digerito l'esito di quella storia, il vecchio barone avrebbe potuto trovare in lui un perfetto alleato. Era ormai sempre più convinto che dietro a tutto questo ci fosse lo zampino del padre di Heinreich. Avendo ora ottenuto il suo nome e le informazioni che cercava, ora restava soltanto da decidere che cosa farne di Clark. Scelse di graziarlo, in fondo era stato onesto e si era guadagnato la possibilità di continuare a vivere.
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giancarlonicoli · 10 months
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11 lug 2023 08:54
CI LAMENTIAMO DELLA RAI MA LA BBC E' UNA FOGNA: NUOVO SCANDALO ALLA TV PUBBLICA BRITANNICA – UN “FAMOSO GIORNALISTA” DELL’EMITTENTE È ACCUSATO DI AVER PAGATO UN MINORENNE IN CAMBIO DI FOTO HOT. I SOLDI, CIRCA 35 MILA STERLINE SBORSATI IN TRE ANNI, SERVIVANO AL RAGAZZO PER COMPARSI CRACK E COCAINA - LA "BBC" SAPEVA DEL GIORNALISTA PORCELLINO (NEL FRATTEMPO SOSPESO DALLA CONDUZIONE): LA MAMMA DEL RAGAZZO ERA ANDATA A RACCONTARE TUTTO ALLA BBC MA È STATA IGNORATA - IL CASO LINEKER E LE DIMISSIONI DI SHARP -
Estratto dell’articolo di Cristiana Mangani per www.ilmessaggero.it
La Polizia inglese incontrerà domani i vertici dell'emittente televisiva Bbc nell'ambito dell'inchiesta che ha coinvolto un importante “mezzobusto” in uno scandalo a sfondo sessuale che vede coinvolto un minorenne. Il presentatore è stato sospeso perché accusato di aver pagato un adolescente per ottenere in cambio immagini sessualmente esplicite.
La notizia è esplosa come una bomba e ora la Bbc sta lottando per contenere le ripercussioni e gli effetti sul lavoro di tutta la rete. Dalle indagini sarebbe emerso che il noto anchorman avrebbe pagato 35.000 sterline in tre anni a un giovane che avrebbe utilizzato i soldi per pagare la propria dipendenza da cocaina e da crack.
La polizia ha confermato l'apertura di una indagine e i contatti con la Bbc, anche se per poter procedere, sarebbe necessaria un'accusa formale: «Avremo bisogno di ulteriori informazioni prima di determinare quali ulteriori azioni intraprendere», hanno spiegato.
I media non hanno nominato il presentatore, con fonti del Sun che citano le leggi sulla privacy sempre più severe nel Regno Unito come motivo per non rendere riconoscibili gli interessati. L'anno scorso la Corte suprema ha ribadito che le persone coinvolte nelle inchieste debbano rimanere riservate finché non verrà accertata fino in fondo la loro colpevolezza e. E questo per non danneggiarle ingiustamente.
Il giovane, che avrebbe avuto 17 anni quando ha cominciato a incontrare il presentatore, gli avrebbe inviato immagini esplicite e si sarebbe esibito in videochiamate. Sebbene l'età del consenso in Inghilterra e nel Galles sia di 16 anni, l'età minima alla quale le persone possono inviare fotografie esplicite è 18 anni.
La madre del giovane si è rivolta alla Bbc a metà maggio per contestare il comportamento del dipendente, ma in quell'occasione nulla di evidente è stato fatto, perché l'uomo è rimasto in onda fino a quando lei non ha raccontato la storia al Sun la scorsa settimana. […]
«FOTO PORNO DA UN MINORENNE» UN NUOVO SCANDALO SCUOTE LA BBC
Estratto dell’articolo di Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
[…] Sono però mesi che l’emittente britannica è nella bufera. A marzo era scoppiato il caso Lineker, dopo che il conduttore era stato sospeso per aver violato le regole sull’imparzialità (aveva paragonato ai nazisti la politica del governo sull’immigrazione): dopo una levata di scudi, Lineker era stato reintegrato e le linee guida riviste. Ad aprile però il presidente Richard Sharp era stato costretto a dimettersi per conflitto di interessi, quando era emerso che era stato nominato dal governo dopo aver facilitato l’ottenimento di un ingente prestito da parte dell’allora primo ministro Boris Johnson. Tutta acqua al mulino di chi, soprattutto da destra, vorrebbe abolire il canone e tarpare le ali a una emittente percepita come troppo progressista.
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Sull'Isola Sacra, Igraine aveva appreso che la morte era solo la porta d'una nuova nascita; e quindi non capiva perché mai un cristiano dovesse avere tanta  paura di andare incontro alla pace eterna.
Nell'Isola Sacra dove sono cresciuta insegnano che la morte è  sempre la porta di una nuova vita e di una nuova sapienza.....
Quale Dio giusto condannerebbe all'Inferno un uomo per la sua ignoranza, anziché insegnargli nell'aldilà?
Nel tempio ci dicono che la vera felicità si trova soltanto nella liberazione dalla Ruota della Morte e della Rinascita  e che dobbiamo disprezzare le gioie e le sofferenze terrene, e aspirare soltanto alla pace della presenza dell'eterno.
Eppure io amo questa vita sulla terra....e ti amo d'un amore più forte della morte. Se il peccato è  il prezzo del legame tra noi, vita dopo vita, allora peccherò con gioia per ritornare sempre a te, mia amata!
I Sacri Emblemi  dei druidi, custoditi ad Avalon da quando i romani avevano bruciato i boschi sacri... piatto, coppa, spada e lancia, simboli dei quattro elementi: il piatto della terra, la coppa dell'acqua, la spada del fuoco, la lancia o lo scettro dell'aria..
Corpo e anima, le avevano  insegnato, non erano legati saldamente: nel sonno l'anima abbandonava il corpo è si recava nella terra dei sogni dove tutto era illusione e follia; ma a volte giungeva nella terra della verità....
Un druido deve diventare bardo prima che sacerdote, perché  la musica è una delle chiavi delle leggi dell'universo.
Attento a ciò  che dici perché in verità le parole che pronunciamo gettano un'ombra su ciò che avverrà, e pronunciandole le facciamo avverare...
Per la prima volta in tanti anni si sentiva confusa; sapeva che non era facile definire la virtù. I cristiani consideravano la castità la virtù più alta, mentre ad Avalon era virtù donare il proprio corpo al Dio o alla Dea in armonia con il fluire della natura: ciò che per gli uni era virtù, per gli altri era il peccato più nero.
Io credo che Dio voglia vedere gli uomini impegnarsi per cercare da soli la verità
La vecchia magia dei druidi l'ha sottratta (Avalon) a questo mondo perché era troppo bella per noi uomini imperfetti, un sogno di paradiso...
Dio è uno... e tutto il resto non è  altro che il modo in cui gli ignoranti cercano di dargli una forma comprensibile, come l'immagine della tua Vergine. La Vergine e il Drago sono egualmente simboli di cui l'uomo si serve per invocare l'aiuto celeste....
Il simbolo del drago dev'essere sempre davanti a loro perché l'umanità si realizzi anziché pensare al peccato e alla penitenza!
Forse quando parliamo del tempo che passa lo facciamo solo perché abbiamo l'abitudine di contare tutto.
...A un certo livelli dei Misteri, ciò che si mangia influisce sulla mente... ora non oso mangiare carne, mi ubriaca più  dell'eccesso di vino.
Avalon sarà  sempre accessibile per chi saprà  trovare la strada: ma se l'umanità  non vi riesce, allora forse questo è il segno che non è  pronta.
Se volete orientare la vostra vita secondo il messaggio degli Dei, cercate ciò che si ripete, perché è  la lezione karmica che dovete imparare in questa incarnazione. Ciò che continua a ripetersi finché lo avete assimilato nel vostro spirito.
Ciò  che non è  stato creato dall'uomo non può essere venerato sotto un tetto costruito da mani umane.
Dobbiamo credere che Cristo morì per redimerci dai peccati. Conosco troppo bene la verità....so che in una vita dopo l'altra noi dobbiamo esaurire le cause che abbiamo messo in moto e rimediare al male compiuto.
Non è sensato che un uomo solo, per quanto santo e benedetto, possa espiare tutti i peccati del mondo.
No, credo sia uno scherzo crudele dei preti, per indurre gli uomini a pensare che sono ascoltati da Dio e possono perdonare in suo nome...
Il loro Dio sarebbe quell'unico e cancellerebbe persino il nome della Dea che serviamo. Non capisci che questo renderebbe più ristretto il mondo? Sembra che ora gli uomini vedano il mondo in modo diverso, come se una verità dovesse scacciare le altre...
In futuro lo capiranno anche i preti... ma sarà  troppo tardi, se nel frattempo avranno estirpato ogni altra verità dal mondo.
Forse in Avalon potremmo conservare la sapienza segreta... ma ormai non potremo più  diffonderla nel mondo.
Nelle ultime generazioni gli uomini avevano imparato a credere che esistessero un solo Dio, un solo mondo, un solo modo di descrivere la realtà, e che quanto era estraneo a quel mondo appartenesse ai diavoli, e che il suono delle campane tenesse lontano il male.... e più  era numerosa la gente che lo credeva, più  Avalon diventava un sogno alla deriva in un altro mondo quasi inaccessibile.
In quegli ultimi tempi vi erano alcuni che avevano visto l'albero della Sacra Spina nella prima fioritura per i seguaci del Cristo, e adoravano Cristo in pace senza cercare di scacciare la bellezza del mondo.
Molti di loro giungevano ad Avalon per sfuggire alla persecuzione bigotta...da quei cristiani appresi finalmente qualcosa del Nazareno, il figlio del falegname che era pervenuto in vita alla Divinità e aveva predicato la tolleranza: e allora compresi che non avevo motivo di risentimento verso Cristo, ma verso i preti sciocchi e meschini che scambiavano la propria meschinità per il suo volere.
Vogliono usare i Sacri Simboli della Dea per evocare la Presenza.... che è  Una...ma vogliono farlo in nome del Cristo che chiama demoni tutti gli altri Dei!
La coppa che i cristiani usano nella messa è l'invocazione dell'acqua, come il piatto su cui pongono il pane consacrato rappresenta l'elemento della terra. Ma anziché l'acqua pura della fonte della Dea, hanno usato il vino, contaminando il calice!
Io sono tutto... la Vergine e la Madre, colei che da la vita e la morte...
Prima che Cristo fosse, io sono, e sono io che ti ho fatta quale sei. Perciò, figlia, dimentica la vergogna e rallegrati perché anche tu appartieni alla mia stessa natura.
...Il tempo di Avalon è  finito. Il Nazareno ha vinto, e noi ci allontaneremo nelle nebbie fino a che saremo soltanto una leggenda. Vorresti portare i Sacri Simboli con te nella tenebra, conservandoli in attesa  di un nuovo giorno che non spunterà mai? Ritengo giusto che i sacri oggetti vengano affidati al mondo, al servizio della Divinità.
In questa terra il Dio cristiano sta portando una rinascita spirituale... è un male, quando gli uomini hanno dimenticato i Misteri?
Non li hanno dimenticati: li hanno trovati troppo difficili.
Vogliono un Dio che abbia cura di loro e non pretenda che lottino per l'illuminazione, e cancelli i peccati con il pentimento... Forse è  l'unico modo in cui i non illuminati possono pensare ai loro Dei.
Forse una religione che impone a ciascuno di operare per vite e vite alla conquista della propria salvezza è troppo per gli umani. Vogliono la giustizia subito: è questo è ciò che gli promette la nuova razza di preti.
La Dea era reale finché gli umani le rendevano omaggio e creavano la sua forma. Ora si creeranno il Dio che credono di volere... Forse quello che meritano....sarà un mondo più semplice del nostro, e sarà più agevole...
Il mio amore per te è  una preghiera. L'amore é  l'unica preghiera che conosco.
Qui preghiamo la Madre di Cristo Maria immacolata....
Davanti a Maria sentiamo di essere in presenza di nostra Madre.
E guarda abbiamo  anche le statue delle nostre sante, Maria di Magdala che asciugò i piedi di Gesù  con i suoi capelli, e Marta che cucinava per lui. E questa è  una statua antichissima che ci ha donato il vescovo...si chiama Santa Brigida...
La Dea è in noi, ma ora so che sei anche nel mondo, per sempre.
È in Avalon, ma è  qui. È dovunque. E coloro che hanno bisogno d'un segno nel mondo lo vedranno sempre.
Brigida non è una santa cristiana...È la Dea così come viene chiamata in Irlanda. E io lo so: queste donne riconoscono il potere dell'Immortale...la Dea non abbandonerà mai gli umani...
Tratto da "Le Nebbie di Avalon" di Marion Zimmer Bradley
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romanogreco · 1 year
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La memoria della carta - Dalla collana, Sirio e le sue indagini (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1321121282-la-memoria-della-carta-dalla-collana-sirio-e-le?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=romanogreco&wp_originator=SmOBRrq3qaYMvI7U3QD7GZziNdTToMQSAwRjOGGIunpyXZ%2F1AoO8n0MX3MREjZfDCirfavX4%2F6Jak3iPUMz2aGuApCLfdI4pQvJsnzTfecIYpEE2PodvdxUw3n7sA2hS Sirio sapeva che al primo contatto il cervello registra automaticamente dei dettagli rilevanti e si concentrò a focalizzarli. Avevano avuto una relazione, Sirio e Gilda, qualche tempo prima, quando lei era ancora al primo anno di Scienze Criminologiche; una relazione breve ma incandescente. "Il nonno ha tentato il suicidio. Ha lasciato un biglietto, ho ucciso l'uomo sbagliato, c'è scritto," disse Gilda. I neuroni nella testa di Sirio ebbero un'accelerazione. "Senti Sirio, mia madre ha tenuto nascosto il biglietto... non si sente di ufficializzare questa faccenda... polizia, giudici, interrogatori... Vorrebbe che tu accertassi come stanno veramente le cose, prima di prendere una decisione qualsiasi." I neuroni di Sirio accelerarono a Mach 1, la velocità del suono. "Te la senti?" Sirio non ebbe bisogno di starci a pensare: "Subito è troppo presto?"
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Come hai potuto volerti così male? Sei una donna bellissima, quando passi per la strada, li senti gli occhi su di te, e quando parli con qualcuno, rapisci l'attenzione.
Sei intelligente, brillante, loquace. Hai una bellissima anima. Sei sensibile, empatica, altruista. Sei gentile ed accomodante ...
Come hai fatto a soffocare la stima di te stessa? Ti ricordi i giorni senza sole? I giorni spenti? Ti ricordi i giorni senza tempo?
A cercare un perché. Che non è mai arrivato. Hai calpestato la tua dignità pregando una parola.
Hai preso a schiaffi la tua intelligenza. Hai fatto spazio accanto a te, per far accomodare la menzogna. E sei rimasta basita sei rimasta confusa, sei arrivata anche a dubitare di te stessa... E non ti sei resa conto che la risposta era proprio lì.
È perché tu vali.
È perché sei bella.
È perché sei intelligente.
E l'uomo che tu credevi così tanto "uomo", in fondo, poi così uomo non era... Per questo ha bisogno di meno, di molto meno.
Lui lo sapeva di non poter meritare una donna come te. Tu sei troppo, per lui. Tu sei una donna, una vera donna. Il segreto è tutto qua.
Ora lo sai, brinda con me.
Perdonati.
Paola Delton
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intotheclash · 11 months
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La coppia era seduta ad un tavolo in disparte, nello spazio esterno di quel minuscolo ristorante. La cornice era da mozzare il fiato. Antichi palazzi signorili incastonavano quella piazzetta di Trastevere, facendola risplendere senza arroganza, come un diamante grezzo non ancora tagliato. A prima vista, i due, avrebbero potuto essere scambiati per una coppia felice in luna di miele, o, quanto meno, per due furtivi amanti in vena di sfidare la gabbia dell'anonimato. Ma un attento osservatore avrebbe sicuramente colto il procedere incerto di chi veleggia su una rotta sconosciuta. Mangiavano poco o niente, parlavano molto. In verità era soprattutto lui a parlare. Troppo e con troppa enfasi. Come un attore consumato che, dopo aver ripetuto la parte un'infinità di volte e limato ogni sbavatura, va in scena la sera della prima convinto di ammaliare e catturare il suo pubblico. Si sentiva in forma, bello ed irresistibile. E bello ed in forma lo era pure, ma di una bellezza stereotipata, da rotocalco rosa. Indossava un impeccabile vestito firmato, grigio scuro, abbronzatura perfetta, denti sfavillanti; proprio non vedeva alcun motivo che potesse impedirgli di fare colpo.
Il problema era che le donne, una parte delle donne, almeno quella, lo vedeva benissimo. Fin troppo evidente. Lo sapeva ancor prima di accettare l'invito a pranzo. Lo sapeva, ma aveva tentato lo stesso. Voltando deliberatamente le spalle all'evidenza. Aveva paura della solitudine e aveva accettato.
Durante il pasto non aveva quasi aperto bocca, tranne che per poche frasi di cortesia e per assaggiare quel cibo, tanto ricercato quanto insipido. Non per mancanza di sale, ma di passione. Era bello, questo sapeva vederlo, ma quella bellezza che arrivava agli occhi era poi incapace di raggiungere la bocca dello stomaco. Niente da fare, la linea doveva essere interrotta. Come se non bastasse, aveva assunto l'atteggiamento del professionista della conquista, era evidente che si sentisse tale. Lei posò la forchetta sul piatto, sbuffò contrariata, si coprì gli occhi con una mano e chiese:“Di che colore sono i miei occhi?”
L'uomo fu colto alla sprovvista. Colpito ed affondato. Non era in grado di rispondere, così cercò, in maniera maldestra, di prendere tempo.
“Come dici Andrea?” Andrea era la donna.
“Ti ho chiesto: di che colore sono i miei occhi? Non è troppo difficile. Puoi farcela anche tu! Non si vince nulla, è tanto per giocare.”
“Che razza di domanda è? Dove vorresti arrivare? Non capisco!” Aveva capito bene invece. Non era stupido. Non fino a quel punto, almeno.
“Lascia perdere, non importa. Chissà cosa succede se ti sforzi troppo. Ti faccio la domanda di riserva: quanti giorni sono che ci frequentiamo?”
L'uomo era in difficoltà. Sentiva il sudore iniziare ad imperlargli la fronte. E non era per il caldo. La situazione stava sfuggendogli di mano. E non riusciva neanche a trovare il tasto reset.
“Quattordici!” Quasi urlò. Cazzo, questa era facile!
“Bravo Umberto! Una l'hai presa! Quattordici giorni e non hai trovato un secondo di tempo per guardarmi negli occhi?”
“Non è vero! Nel modo più assoluto! I tuoi occhi sono bellissimi!” Rispose, ma con uno slancio eccessivo e un tono a metà strada tra l'offeso ed il piagnucoloso che la donna trovò infantile e disgustoso.
“Scommetto tutto quello che ho, anche se non è molto, che se ti chiedessi come sono le mie tette, che taglia porto di reggiseno e di che colore è, non esiteresti un istante a rispondere. Ti giocheresti pure il jolly. O sbaglio?”
Certo che non sbagliava! Aveva delle tette meravigliose. Che sfidavano sfrontatamente la legge di gravità. Sulla taglia del reggiseno, nutriva qualche perplessità. Se la giocavano alla pari la terza e la quarta. Non ne era sicuro. Il colore era facile, visto che ne sporgeva un pezzetto. Turchese. Probabilmente coordinato con le mutandine, che, ormai ne era sicuro, non avrebbe mai visto.
“Il tuo silenzio conferma che ho ragione. Eppure ancora avresti potuto salvare la faccia. Sarebbe bastato ammetterlo. Dirmi: è vero, non ho fatto altro che ammirare le tue tette! Non ci sarebbe stato niente di male. Anche se tu ti sei lasciato prendere un po’ troppo la mano. D'altra parte a me non dispiace mostrarle. E fino a quando riusciranno a tenersi su da sole, continuerò a farlo. Anche in questo non c'è nulla di male. Solo una sana dose di civetteria. Ma, a rischio di sembrare banale, ti informo che c'è dell'altro.”
“Eccome se c'è dell'altro!” Pensò l'uomo. E l'espressione trasognata e vagamente ebete lo tradì di nuovo.
Difatti non sfuggì alla donna. Evidentemente, oltre ad essere decisamente bella, doveva avere un cervello niente male. Non roba che si possa trovare ad ogni angolo di strada.
“Ascolta, Umberto,” Era giunto il momento della disillusione, “Facciamola finita. Ho paura che, da adesso in avanti, tutto ciò che potresti dire, non farebbe che aggravare ulteriormente la situazione. Peccato, avrebbe potuto essere diverso. Ma non tra noi due. Questa è la mia parte, stammi bene e addio.” Concluse sorridendo e lasciando trenta euro sul tavolo. Prese la sua borsetta, fece un mezzo giro sui tacchi e sparì per sempre dalla vista dell'uomo, accompagnata dallo sguardo di tutti i presenti. O, almeno, di quelli appartenenti al genere maschile.
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opheliablackmoon · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ         sᴛᴏʀʏʟɪɴᴇ  ❚  manhattan, ny        new update  ﹫  opheliagrimaldi        h. 23.47, september 04th, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Luce fioca velava quel letto matrimoniale coperto da lenzuola di un nero che accompagnavano l'oscurità della notte. Un ritratto aggraziato dipingeva la venere nera, coi suoi lineamenti delicati, sdraiata, accarezzata dalla seta pregiata che mostrava curve sempre più accentuate e che ricordavano quelle di una dea di tempi antichi. I capelli scuri adagiati sul cuscino ricordavano il manto terso delle ombre, un cielo costellato di spire di piacere e lussuria che si snodavano attraverso onde di un mare che inghiottiva tutto ciò che raccoglieva. Un mare mosso, agitato dalle ire di Nettuno, pronto a rubare, a saccheggiare la mente profana di una donna che non faceva altro che desiderare l'uomo che con i suoi biondi crini teneva sveglia quella mente così acerba. La portava a fondo, in una profondità ove la luce era rappresentata dal di lui cristallino sguardo, accogliendola dentro di sé, ma sprigionando la forza di un vichingo pronto a razziare per l'inverno alle porte. Forte era il di lei respiro, spezzato dal gemito che riempiva la stanza, ansante di un desiderio che prendeva vita sviluppandosi in ricerche spasmodiche di una figura maschile che ora era distante migliaia di miglia. Un respiro che l'uomo sapeva strapparle come un indumento di troppo, provocando una lacerazione profonda, che irradiava dolore ma che si contrapponeva al piacere più lascivo. Eppure lo sentiva. Lo sentiva lì, accanto a sé, nel calore che il suo corpo produceva, nel bisogno che si annidava nel ventre femminile e che si contraeva spasmodicamente, nella mano che lentamente valicava e depredava il centro del suo piacere. La mancina scivolava lungo le colline del seno, globi che ricordava nella sua bocca, lambiti dal continuo solleticare della sua lingua, come se la corsa fosse fatta di tappe, di tanti piccoli pit stop prima di raggiungere la meta. Li valicò con maestria, oltrepassando la sinuosità di un corpo femminile che aveva tutto da raccontare, ma che in quella stanza ove il suo profumo era più forte lo sentiva come una connessione. Era un'esplorazione lenta, la sua, si prese il tempo per accarezzare l'addome, la piccola cicatrice su fianco sinistro prima di scivolare in modo più naturale oltre l'orlo di una lingerie che sentiva di troppo. I di lui occhi la osservavano, ne apprezzavano le movenze, le espressioni su cui si ritraeva l'immagine del piacere, e la lunga ricerca di un apice che sembrava essere ancora lontano. Così distante eppure così vicino. I lembi del lenzuolo scivolarono con delicatezza mostrando un corpo tonico ma sensuale, forte ma delicato, solo ma accaldato. Sentiva il peso dell'eccitazione del gonfiore del suo seno, nella turgidità dei suoi capezzoli, nel desiderio che aleggiava pesante riempendo l'aria. Le tende erano mosse con il benestare di Eolo, dio del vento, accompagnando una brezza settembrina che sentiva come il bruciore di una sferzata. Scivolarono ancora i polpastrelli, lenti e inesorabili, oltre il cotone della biancheria, oltre quel lembo di tessuto che la divideva dall'ultima tappa del suo cammino. Caldo era il suo ansito, denso era il piacere che avvertiva nelle membra, le stesse che lentamente divennero più pesanti, cariche di un'eccitazione bramosa da farle compiere qualcosa di tanto spregiudicato. Mostrò il bagliore di quella eccitazione ad un uomo che avrebbe giaciuto tra le sue cosce se fosse stato lì, a quella stanza vuota rotta dagli ansiti sempre più incontrollabili. Luccicava la sua intimità, una passione liquida che accompagnò un cuore martellante al ritmo del suo desiderio, spronato da falangi curiose che accarezzarono la carne più viva. Uno, due, tre volte. Piccoli movimenti che divennero più rapidi, inconsulti prima di sbocciare come un fiore, aprendosi, donandosi, estendendo un tormento che raggiunse fino le estremità più distanti del suo corpo, distendendosi per poi richiudersi, grata del bocciolo di rosa che ne era nato. Desiderio, brama, frenesia, passione. Lussuria. Lasciva rimase la di lei mente, carnale nel volere il vichingo che viveva nella sua mente ma che sarebbe stato lontano fino al suo ritorno, e vuota nell'avvertire la consapevolezza di quella distanza. Gemettero le labbra femminee, rinvigorite dal ricordo delle di lui gemelle, delle sue mani sul proprio corpo, lasciando che fosse il ricordo, almeno per il momento, a popolare i sogni più profondi della principessa.
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silentalex · 2 years
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Il tono copri il suono secco del vetro ridotto in frantumi, Cohen ritirò il calcio del fucile ed insinuò la mano con attenzione attraverso i cocci, evitando le punte più taglienti, afferrò il maniglione antipanico e con uno strattone secco fece scattare la porta di emergenza.
-Di qua! Da questa parte!-
Alex si avvicinò in quel momento, fradicio sino al midollo, tenendo in braccio Logan in piena crisi respiratoria.
-Dentro, forza!-
Cercò di mettere fretta al ragazzo ed entrò dietro di lui lasciando che la porta si richiedesse alle loro spalle, poi cercò l'accendino in tasca e lo accese per cercare di fare luce. La struttura era enorme, forse un terminal o un centro commerciale, completamente immerso nel buio, i vetri delle porte antipanico erano talmente macchiati dal tempo da non permettere alla luce di filtrare, anche se ce ne fosse stata.
Guidò Alex verso un gruppo di panchine in quella che pareva essere la hall. Le panche attorniavano il perimetro di una bassa e grossa vasca vuota al cui centro si ergeva un rialzo di terra delimitata da una recinzione ben più recente, raffazzonata, con la poca erba incolta e visibilmente malata, concimata dai resti di una mucca.
Alex depositò con delicatezza Logan sulla panchina, la ragazza non riusciva a respirare, ma sapeva fin troppo bene che non avrebbe potuto estirpare alcun aiuto medico da parte del ragazzo, per cui cercò da sola di assumere una posizione migliore, data la situazione. Padre e figlio si guardarono a vicenda, erano entrambi bagnati da capo a piedi ed anche cedendole le loro camicie non avrebbero potuto aiutarla ad asciugarsi.
-Alex.- Lo chiamò Cohen -Non possiamo accendere un fuoco, non sappiamo dove siamo.- in effetti si erano infilati nella prima struttura riparata appena Logan aveva iniziato a soffocare per via dell'umidità della pioggia battente, Cohen non nascose al figlio la loro attuale vulnerabilità -Rimani con lei, io cerco qualcosa per scaldarla.- O un inalatore, ma le sue speranze di riuscire a trovarne uno erano davvero nulle.
Alex rimase vicino a Logan, sul suo volto i segni dello sgomento per lo stato dell'amica, ai limiti del panico, come sempre quando è l'unico medico a stare male. Osservò Cohen allontanarsi e si sedette sui talloni al capezzale della bionda, le accarezzò con dolcezza la fronte ed i capelli, cercando di rassicurarla. -Andrà tutto bene... Respira, piano. Mio padre... Troverà una soluzione.-
Passarono dei minuti che sembrarono ore, Logan sembrò superare il momento più acuto, smise di verseggiare, il respiro si fece più cadenzato e regolare, seppur ancora rumoroso, mentre la ragazzina esausta e tremante per il freddo dovuto alla pioggia chiuse gli occhi per cercare di riposare. Alex ne approfittò per allontanarsi di qualche metro e controllare almeno la stanza in cui si trovavano.
Il posto era enorme, per i suoi standard, e terribilmente vuoto, alcune stanze limitrofe erano chiuse da serrande, altre erano bloccate da doppie porte tagliafuoco, o da barricate di fortuna. C'erano arredi ovunque, sacchi di detriti ed altre barriere più o meno improvvisate: i resti di una qualche comunità probabilmente azzerata, si rifiutava di trovare un termine più specifico.
Del rumore alle sue spalle se ne rese conto troppo tardi, ma il forte dolore improvviso alla nuca lo percepí tutto. Finì a terra, perdendo la presa sul fucile automatico, che slittò in avanti sul pavimento con un sibilo, fuori portata. Gemendo, portò istintivamente entrambe le mani alla nuca, una tornò di fronte al viso lercia di sangue.
Il suo aggressore però non ne aveva abbastanza, lo intravide voltandosi supino. Il tizio era un uomo alto e ben piazzato, decisamente fuori misura, sembrava quasi uno scherzo di natura. Gli abiti erano vecchi e stracciati, sporchi, i colori difficili da interpretare al buio.
-Bene bene... Cosa abbiam...- Alex non lo lasciò finire la frase, allungò la gamba destra per assestargli un colpo deciso al ginocchio.
L'uomo brontolò, più per la sorpresa che per il dolore, e si piegò in avanti dando il tempo al ragazzo di girarsi e cercare di gattonare d'urgenza verso il fucile. Tentativo che fu sventato in breve: l'uomo lo afferrò per una caviglia e lo ritirò indietro, facendogli battere il mento a terra, subito dopo gli assestò un colpo deciso ai reni con il piede di porco, strappandogli un urlo che rimbombò in tutta la hall.
-Piccolo bastardo! Vieni in casa mia e ti permetti pure di fare lo stronzo?- Tuonò l'uomo, sollevando il braccio per caricare un nuovo colpo.
C'era qualcosa di sbagliato in quella voce, un sadismo malato che emergeva dall'eccitazione che arrivava a fargli brillare gli occhi, e distorceva il viso in un ghigno entusiasta. A nulla valse il tentativo di Alex di allungare la mano verso di lui per converso a fermarsi, lo sconosciuto direzionò il primo colpo al suo avambraccio, per liberarsi la strada, il secondo arrivò con maggiore violenza contro lo zigomo destro, schizzando sangue e lasciandolo stordito e riverso sul fianco sinistro.
Il primo richiamo di Logan lo aveva perso, ma il secondo arrivò forte e chiaro, per via del tono allarmato. L'uomo si voltò per raggiungere la ragazza, Alex tentò almeno di afferrargli le caviglie per cercare di farlo inciampare, ma era stordito ed indebolito, vedeva troppe gambe per essere certo di aver afferrato quelle giuste, o di aver stretto la presa a sufficienza.
-Che razza di zecca...-
Quello rise, ancora in quella maniera malsana, e si piegò sui talloni dietro la sua schiena. Appoggiò la mano libera contro lo zigomo distrutto, premendo con le dita per forzare altri gemiti doloranti da parte del ragazzo, che nel frattempo continuava a cercare di allontanarlo.
-Chissà se anche la tua amichetta strillerà uguale...- Disse mentre con il pollice cercava di spingere malamente tra la carne lacerata e l'osso scheggiato, Alex sentì il fiato venirgli meno.
Quando l'uomo sembrò averne a sufficienza di torturargli il volto, osservò il piede di porco nell'altra mano e poi in direzione delle panche, Logan sembrava essersi ripresa un po', ma qualcosa la tratteneva.
Lo sconosciuto insistette -Vuoi dirmelo tu da dove siete saltati fuori, o lo devo chiedere a quella biondina?-
Il ragazzo utilizzò le poche forze rimaste per mandarlo al diavolo. L'uomo non sembrò gradire, strinse le dita attorno al metallo e colpì con durezza il naso del ragazzo. Un suono secco ed una nuova chiazza di sangue sul pavimento segnarono la seconda frattura nasale nella vita del ragazzo, mentre l'uomo lo afferrò per una caviglia ed iniziò a trascinarlo lungo il pavimento, avvicinandosi alle panche.
Logan era lì, ed in effetti con lei c'erano altre tre donne, di età differenti, con fin troppi tratti in comune. Erano sporche, vestite di stracci e logore nell'animo tanto quanto nell'aspetto esterno, ronzavano intorno alla ragazzina impedendole di alzarsi dalla panca.
Quando Logan vide l'uomo trascinare Alex in quel modo sgranò gli occhi, ma non fece in tempo a pronunciar parola, l'uomo abbandonò Alex come fosse un pupazzo inanimato e la afferrò per il mento con uno scatto, sollevandola di qualche centimetro dalla seduta.
Le annusò i capelli e con un ringhio secco ordinò alle altre donne di sparire dalla sua vista. Quelle si ritirarono di qualche passo, ammucchiandosi spaventate dietro la vasca della fontana. Si esprimevano a versi, erano poco più che animali e lo sconosciuto ne era evidentemente il capobranco.
-Guarda bene Zecca- sghignazzò l'uomo, chiaramente divertito ed eccitato dagli schiaffi e dai graffi che Logan cercava di rifilargli -...guarda come si addestra una sgualdrina!-
Gettò di lato il piede di porco e spinse la ragazza supina sulla panca, iniziando nuovamente a serrarle una mano contro il collo. Ogni tentativo di Alex di rialzarsi morì nella sua testa prima ancora che l'impulso potesse raggiungere i muscoli.
L'uomo fu afferrato per le spalle e tirato via di peso, Cohen gli si avventò addosso con una furia ed una precisione disumana: sgambettò a terra l'uomo, gli spinse in bocca il fucile e premette il grilletto. Il boato riecheggiò nella stanza, il silenzio che ne seguì durò appena qualche millesimo di secondo, ma sembrò durare ore.
Il calore del sangue che scivolava fuori dalla testa ormai inesistente dello sconosciuto era quasi visibile, Cohen l'aveva terminato esattamente come un vagante, nessuna incertezza in merito, e di certo non avrebbe pianto per la dipartita di un mostro.
Si avvicinò a Logan, il fucile ancora fumante in una mano, e lo sguardo che cercava costantemente le tre donne, che terrorizzate si erano nascoste del tutto dietro la vasca, uggiolando. Non sembravano intenzionate a vendicarsi della perdita, forse una parte del loro cervello conservava ancora ricordi di ciò che quell'essere gli aveva fatto.
-Stai bene?- chiese Cohen a Logan aiutandola a rialzarsi, lei annuì a malapena e si chinò d'urgenza su Alex. Il ragazzo posò una mano sulla spalla dell'amica, sbuffando con la voce più nasale e gorgogliante, il tono flebile -ce... la faccio... aiutami... ad alzarmi...-
Cohen intanto ascoltava le voci dei due ragazzi, mentre continuava a tenere il mira le donne. Una di queste fuggì di scatto verso quella che doveva essere la tana di quel maniaco, Cohen la mantenne in mira finché non ebbe raggiunto le scale che si insinuavano verso il basso.
-Logan prendi quel ferro- disse alludendo al piede di porco -ci tornerà utile.-
Una volta che Alex fu in piedi, liberò una mano dalla presa sul fucile e la usò per fare scorrere sopra la testa e lungo la spalla la tracolla del fucile automatico del figlio, recuperato poco prima. Glielo porse ed un passo alla volta, guidò i due fuori da quella struttura, niente avvisi o minacce, solo il rumore della pioggia battente che li accolse nuovamente una volta all'esterno.
-Non possiamo lasciarle lì...- protestò Logan, Alex a malapena aveva la forza di reggersi in piedi, il suo volto era una maschera di sangue, si appoggiò con le spalle alla porta antipanico dietro di lui. Cohen invece tirò un lungo sospiro.
-Gli abbiamo restituito la libertà, non possiamo fare molto altro...-
-Ma...-
-Niente storie Logan, non abbiamo altro cibo, ci metterebbero in pericolo e non puoi sapere cosa hanno dentro la testa dopo tutto quello che gli è capitato. Potrebbero piantarci un coltello in gola alla prima occasione.- Cohen fu categorico, ma la ragazza mantenne dei dubbi, pur rendendosi conto della situazione.
Presero a camminare, Cohen di nuovo in testa a fare strada, con i vestiti nuovamente fradici a rendergli ogni passo un inferno.
-Ti ho trovati degli inalatori, li ho nello zaino. Troviamo un posto dove accamparci, gli raddrizzo il naso e poi te ne occupi tu?-
Chiese con un tono più umano, forse l'adrenalina cominciava a calare, o forse poteva finalmente permettersi di farsi scorrere un braccio di suo figlio sulle spalle, per aiutarlo a stare in piedi.
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cora-trash-art · 2 years
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visto che non sono capace di dormire ho scritto questa cosa a caso perché io una scena con Manuel e Simone dopo l'incidente me la meritavo
manuel era seduto sulle sedie di plastica dell'ospedale da...bho...non lo sapeva nemmeno lui.
da quando aveva visto simone steso sull'asfalto con la faccia coperta di sangue aveva perso la capacità di ragionare.
c'era solo il terrore.
fortunatamente sua madre era con lui altrimenti non sapeva cosa avrebbe fatto.
nel frattempo era arrivato anche dante
l'uomo era pallidissimo e sembrava che stesse rivivendo un incubo.
"l'intervento è andato bene, gli abbiamo fatto una lavanda gastrica e il trauma cranico è sotto controllo"
dante si mise a parlare con il medico mentre Manuel era sempre più preoccupato
"lavanda gastrica?trauma cranico? simone che cazzo hai fatto?"
"voglio vederlo"
"solo i familiari possono accedere alla sua stanza"
"non me ne frega un cazzo! io devo vedere se sta bene"
"Manuel non urlare"
"entro prima io" annunciò dante
"ho bisogno di parlargli"
Manuel vide uscire dante dalla stanza e vide che l'uomo aveva pianto.
era così tragica la situazione? improvvisamente gli mancò il fiato
"ora puoi entrare"
alla fine erano riusciti a strappare un permesso al medico, a patto di non stressare troppo il paziente
manuel si avvicinò al letto
simone era intubato e aveva delle bende attorno alla testa
Manuel non sapeva se voleva scappare o piangere.
"pure tu qui?" gli disse Simone con voce debole
"che cazzo t'è saltato in mente simò? potevi morire"
"è quello che volevo"
a sentire quella frase a manuel si gelò il sangue nelle vene
si sedette nella sedia vicino al letto perché sentiva che stava per svenire
"è a causa mia vero? è perché sono un deficente"
"no, io non so perché l'ho fatto, è che dopo aver saputo di Jacopo....era troppo da sopportare"
"e non hai pensato a tuo padre? a tua madre? a me?"
"scusa ma non pensavo di contare qualcosa per te"
manuel poteva avvertire il dolore nelle parole
di Simone e avrebbe voluto sparire.
"mica voglio che muori!"
"senti io non lo so perché t'ho baciato, non lo so perché ho voluto fare quelle cose co te. nun ce sto a capì un cazzo. però nun te voglio perdere"
"io ho bisogno di te Simone"
" stai piangendo?"
Manuel affondò il viso nelle coperte
"sapessi la paura che ho provato a vederti là sull'asfalto"
Simone si mise a giocherellare con i riccioli di Manuel
Dio, da quanto sognava di farlo.
"il dottore ha detto che l'intervento è andato bene, magari quando uscirò da qui potremo ricominciare"
"mi sembra una buona idea"
"ti prego simò, non far più cazzate"
"e tu non comportarti più da stronzo"
"te lo prometto"
"il tempo è scaduto, deve uscire" annunciò il medico
"si ora esco"
manuel stava per varcare la porta quando si voltò verso Simone
"per quanto riguarda quella sera, al tuo compleanno...si ecco è piaciuto anche a me"
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