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#india bandiera
ross-nekochan · 7 months
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Una cosa che sto imparando tramite gli indiani e i film che mi fanno vedere è che in Medio Oriente/Asia Occidentale gli attriti tra nazioni e le guerre non sono per niente un ricordo lontano. Ora tutti parlano di Israele e Palestina ma vi assicuro che India e Pakistan si odiano come non ho mai visto odiare nessuno. Non è come dire che gli italiani schifano i francesi, è proprio un odio profondo e viscerale senza nessuna base ragionevole se non motivi storici e religiosi. Vivono ancora in società intrise di onore, orgoglio, valore e patriottismo viscerale. Nessuno pare sia cosciente del fatto che la nazione è una costruzione culturale e che non esisterebbe alcuna bandiera e alcun confine se nessun uomo si fosse messo a dire che quelle sono le linee entro i quali il proprio gruppo si stanzierà negli anni a venire.
Non voglio dire che in Europa i confini nazionali non siano importanti, ma sono solo muri di aria che puoi attraversare a tuo piacimento, scoprendo che il tuo vicino può essere stronzo ma anche interessante.
Sono sempre più convinta che l'Europa è il posto migliore per nascere, crescere e vivere. Ma soprattutto, è talmente all'avanguardia da poter essere decisamente il futuro del pianeta terra.
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cinquecolonnemagazine · 3 months
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Mar Rosso: come cambierà la situazione con la missione Aspides?
Come cambierà la situazione nel Mar Rosso con l'avvio della Missione Aspides? Il mondo della politica assicura che sarà una missione difensiva che avrà lo scopo di proteggere la navigazione in una zona commercialmente sensibile a livello globale. Intanto, gli attacchi degli Houthi stanno minando non solo gli equilibri commerciali globali ma anche l'ecosistema della zona e le telecomunicazioni. Missione Aspides: cos'è e cosa prevede La Missione Aspides (scudi) è stata approvata dall'Unione europea lo scorso 19 febbraio durante il Consiglio Affari Esteri. Avrà lo scopo di contrastare gli attacchi degli Houthi ai natanti commerciali in transito nel Mar Rosso e nel Canale di Suez. Durerà un anno ma potrà essere rinnovata se il Consiglio Ue lo riterrà opportuno. La missione sarà di natura difensiva come si evince dalle regole d'ingaggio. Le navi militari scorteranno le imbarcazioni commerciali, potranno abbattere droni, missili e qualunque arma diretta contro di esse e non potranno condurre operazioni preventive e offensive. La partecipazione dell'Italia alla missione Con l'approvazione del governo italiano, anche il nostro Paese parteciperà all'operazione Aspides. L'accordo è stato raggiunto tra maggioranza e opposizione pochissimo primo la votazione. Come ribadito dal ministro degli Esteri Tajani, la strategia sarà quella dell'autodifesa estesa: la missione dovrà neutralizzare gli attacchi con risposte proporzionate in mare e nello spazio aereo. Non saranno mai condotte azioni sulla terraferma. Si farà, insomma, quanto necessario per assicurare la libertà e la sicurezza della navigazione. All'Italia toccherà il comando tattico della missione alla quale parteciperà con una nave dalla Marina. Il comando strategico, invece, sarà affidato alla Grecia. Gli altri Paesi partecipanti sono Francia, Germania, potrebbero esserci anche Portogallo, Danimarca, Paesi Bassi ed è attesa anche la partecipazione del Belgio. Mar Rosso: la situazione attuale Sono ormai mesi che gli Houthi conducono attacchi nella zona del Mar Rosso e del Golfo di Aden come risposta agli attacchi israeliani a Gaza. Le loro azioni hanno provocato una vera rivoluzione nel commercio internazionale. Il Mar Rosso e il canale di Suez rappresenta la rotta privilegiata per il commercio tra Asia ed Europa. Per evitare gli attacchi dei ribelli yemeniti, molte navi commerciali hanno dovuto cambiare rotta ripiegando su altre molto più lunghe con conseguenti aumenti dei costi di trasporto. Le loro azioni stanno avendo gravi conseguenze anche da un punto di vista ambientale. La scorsa settimana, infatti, è affondata una nave, attaccata dagli Houthi appunto, battente bandiera del Belize, di proprietà del Regno Unito che trasportava fertilizzanti a base di fosfato di ammonio e solfato. Il carico di 41.000 tonnellate si è riversato in mare insieme al carburante uscito dal serbatoio che ha causato una scia lunga 30 chilometri. Altro punto nevralgico sono le telecomunicazioni. Sui fondali del Mar Rosso passano i cavi che mettono in comunicazione Asia ed Europa e in passato più di una volta è capitato che siano stati tranciati da ancore. Stavolta un incidente molto simile sembra porti la firma dei ribelli yemeniti. Il provider di Hong Kong Hcg Global ha dichiarato che i cavi di quattro grandi reti di telecomunicazioni – Asia-Africa-Europe 1, Europe India Gateway, Seacom e Tgn-Gulf – sono stati tranciati. Si è così verificata un'importante interruzioni alle reti di comunicazione in Medio Oriente. Secondo Hgc sarebbe stato interrotto il 25% del traffico tra Asia ed Europa. In copertina foto di 652234 da Pixabay Read the full article
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vorticimagazine · 8 months
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Rivelato il suono dell'Universo...
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Torniamo a parlare di Astronomia: c’è una notizia per noi di Vortici.it, affascinante e ricca di mistero.
Gli scienziati hanno rivelato il suono dell'Universo che arriva da lontano, generato, forse da “buchi neri super massicci”: ci sono voluti venticinque anni di lavoro, a fronte di una ricerca a forte stampo italiano che ha visto coinvolti l’Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Università Milano Bicocca e il Sardinia Radio Telescope.  Partiamo da una teoria che ora è dimostrabile.
Aveva ragione Albert Einstein, che aveva teorizzato l’esistenza di onde gravitazionali in grado di creare una sorta di “ronzio di sottofondo” che rimbomba in tutto l’Universo.
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La svolta – è avvenuta dopo anni di lavoro e centinaia di scienziati coinvolti che hanno utilizzano radiotelescopi in Nord America, Europa, Cina, India e Australia. Questo risultato incredibile va considerato come una pietra miliare che apre nuovi orizzonti riguardo gli studi sull'Universo. Ciò ha portato alla seguente conclusione: il cosiddetto spazio – tempo viene, di fatto, “deformato” da enormi onde gravitazionali che attraversano l’Universo: lo ha dimostrato la ricerca condotta “Nanohertz Observatory for Gravitational Waves” (NANOGrav), un consorzio mondiale di astronomi, in collaborazione con altri consorzi provenienti da diversi Paesi. Gli scienziati ritengono che le onde nascano quando i “buchi neri super massicci” (“Supermassive Black Holes”) si fondono.
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Gli astronomi hanno trovato segni di onde gravitazionali super lente, che distorcono lo spazio – tempo mentre attraversano l’Universo. Sostiene il professor Marc Kamionkowski, docente di fisica dell'astronomia alla Johns Hopkins University: “Questa ricerca sarà molto importante nella nostra comprensione dell’evoluzione dei buchi neri super massicci. E, come ho detto, questo è solo un rilevamento. In futuro, avremo molte più informazioni. E impareremo molto di più sullo spettro delle masse dei buchi neri super massicci. E impareremo a conoscere la velocità con cui diversi buchi neri super massicci si stanno fondendo. Impareremo a conoscere anche la distribuzione dei buchi neri super massicci in tutto l’Universo”. Le onde gravitazionali sono increspature nel “tessuto” dell’Universo che viaggiano alla velocità della luce, quasi totalmente liberi. La loro esistenza non è stata confermata fino al 2015, quando gli osservatori statunitensi e italiani hanno rilevato le prime onde gravitazionali create dalla collisione di due buchi neri. Queste onde “ad alta frequenza” sono state il risultato di un singolo evento violento che invia un forte, breve scoppio increspato verso la Terra. Per decenni gli scienziati hanno cercato le onde gravitazionali a bassa frequenza, che si pensa siano costantemente in movimento nello spazio, proprio come un rumore di fondo.
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Unendo le forze sotto la bandiera del consorzio “International Pulsar Timing Array”, gli scienziati che lavorano ai rilevatori di onde gravitazionali in diversi continenti hanno rivelato di aver finalmente trovato un forte rumore di fondo. Per trovare le prove di questo andamento alle basse frequenze, gli astronomi hanno osservato le pulsar, i nuclei morti delle stelle esplose in una “supernova”. In futuro, le onde gravitazionali a bassa frequenza potrebbero rivelare di più anche sul “Big Bang” e, possibilmente, far luce sul mistero della materia oscura – hanno spiegato gli scienziati – oltre a far capire meglio come si formano e si evolvono i buchi neri e le galassie. Una ricerca molto italiana Alla ricerca delle onde gravitazionali a bassissima frequenza e ultra – lunghe ha contribuito in modo importante l’Europa, con la collaborazione dell’European Pulsar Timing Array (Epta), e l’Italia, grazie all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con la sua sede di Cagliari, e l’Università di Milano Bicocca. Il risultato, pubblicato in più articoli dalla rivista “Astronomy and Astrophysics”, si deve a 13 telescopi di tutto il mondo. Di questi, cinque sono europei, tra cui il “Sardinia Radio Telescope”. All’interno delle 11 istituzioni europee che fanno parte dell’Epta, astronomi e fisici teorici hanno collaborato per utilizzare i dati relativi a 15 pulsar, stelle molto dense che ruotano su sé stesse, il cui ritmo è alterato dal passaggio delle nuove onde gravitazionali. Distanti dalla Terra e disseminate nella Via Lattea, le pulsar sono diventate un unico rivelatore cosmico ai limiti della fantascienza. Le variazioni nella loro rotazione misurate dai 13 radiotelescopi riflettono, infatti, le dilatazioni e le compressioni dello spazio - tempo, la cui regolarità ricorda quella del respiro.
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L’organizzazione europea ha partecipato a un grande lavoro di squadra con i ricercatori indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (InPta) e gli altri “cacciatori” di pulsar attivi nel mondo, come la già citata NANOGrav, l’australiana Ppta e la cinese Cpta. Insieme al “Sardinia RadioTelescope”, i radiotelescopi europei che hanno permesso la scoperta sono: l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank (Università di Manchester) nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia e il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi. Potrebbe interessarti anche la nostra rubrica AstronomiaPotrebbe interessarti anche l'articolo di Passione AstronomiaImmagine di copertina e altre immagini: Pixabay Read the full article
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lamilanomagazine · 8 months
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MotoGP, qualifiche del Gran Premio di India: pole position di Bezzecchi, 2° Martin e 3° Bagnaia
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MotoGP, qualifiche del Gran Premio di India: pole position di Bezzecchi, 2° Martin e 3° Bagnaia. In India inizia il tredicesimo Gran Premio della stagione di MotoGP. Come sempre si parte con le qualifiche. La Q1 vede, tra coloro che non sono riusciti ad entrare nei primi 10 dopo le prove del venerdì, anche Binder, Morbidelli, Oliveira, Miller e Pirro. Binder e Raul Fernandez si prendono le prime 2 posizioni dopo il primo tentativo seguiti da Morbidelli, Augusto Fernandez, Alex Marquez, Di Giannantonio, Oliveira e Miller. I piloti rientrano ai box a metà turno per cambiare le gomme ed effettuare un secondo tentativo per cercare di entrare in Q2. Raul Fernandez e Alex Marquez si migliorano e scalzano Binder dalla prima posizione a 2 minuti dal termine, poi il numero 73 con la Ducati del team Gresini cade dopo un highside e causa una bandiera gialla che fa cancellare i tempi di tutti gli altri piloti. A passare dunque in Q2 sono Raul Fernandez su Aprilia RNF e Alex Marquez, il quale torna ai box scortato dagli steward e con una spalla malconcia. 13° partirà Di Giannantonio, 14° Binder, 16° Miller e 17° Morbidelli. La Q2 è la sessione in cui 12 piloti qualificati si giocano la pole position cercando di spingere la moto oltre il limite consentito dalla pista e dalle gomme. Dopo il primo tentativo Martin si mette in testa davanti a Bezzecchi, Marini, Vinales, Quartararo, Zarco e Bagnaia. I piloti rientrano ai box per giocarsi un set nuovo di gomme morbide e tentare un nuovo assalto alla pole. Bagnaia si migliora e sale terzo, mentre Mir 5°. Bezzecchi si accende e firma un giro incredibile in 1’43”947 che gli vale la pole position davanti a Martin e Bagnaia. 4° Marini, 5° Mir, 6° Marquez, 7° Zarco, 8° Quartararo, 9° Vinales, 10° Aleix Espargarò, 11° Raul Fernandez e 12° Alex Marquez. “Simply the Bez” firma un’ottima pole position e partirà davanti a tutti sia nella sprint race di oggi alle 13 sia nella gara di domani alle 12.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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justmythings-stuff · 1 year
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Sì// Oddio ma dove, nelle storie di Giulia e India non la vedo
È seduta davanti con pantalone nero strappato e sventola la bandiera nera
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lucabellinzona · 2 years
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Mondiali in Qatar e diritti umani
Domani inizieranno i mondiali di calcio in Qatar, i primi organizzati in Medio Oriente. Ma dietro quella che dovrebbe essere un'occasione per celebrare lo sport si nasconde un altro lato della medaglia. Secondo il Guardian sarebbero almeno 6.500 i lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka morti tra il 2010 (quando il Qatar ha ottenuto i mondiali) e il 2020. Il bilancio è solo provvisorio però, non comprendendo gli ultimi due anni e i decessi fra i lavoratori provenienti da altre nazioni. Stando poi ad Amensty Iternational la manodopera coinvolta nei mondiali si trova costretta a lavorare in condizioni disumane, con orari di lavoro interminabili (spesso con temperature elevatissime) e divieto di cambiare lavoro. A questo si aggiunge l'ostilità del Qatar verso la comunità LGBT+, con un codice penale che punisce gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso con il carcere. Che la comunità LGBT+ non fosse ben vista era chiaro già da quando il direttore esecutivo del comitato organizzatore dei mondiali Nasser al Khater dichiarò che "I gay sono benvenuti" anche se "devono evitare effusioni in pubblico", posizione ripresa qualche giorno fa da Khalid Salman, ambasciatore dei Mondiali, che ha sostenuto come l'essere gay non solo sia una "malattia mentale" ma che gli omosessuali che si recheranno in Qatar dovranno adeguarsi alle leggi vigenti. Il Qatar inoltre, in un recente documento sul comportamento dei tifosi, ha vietato l'esposizione della bandiera arcobaleno, simbolo internazionale della comunità LGBT+. Divieto che non ha impedito a Stop Homophobie e Pantone di realizzarne una versione bianca contenente i codici Pantone dei colori.
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La strage di civili è la regola della "comunità internazionale"
La strage di civili è la regola della “comunità internazionale”
La strage dei civili è certamente la dottrina centrale della Nato, derivando direttamente da quella angloamericana in essere dalla seconda guerra mondiale ( ma qualcuno potrebbe già ravvisare questo nelle guerre indiane oppure nelle imprese sanguinose della Compagnia delle India, la cui bandiera ispirato quella degli Usa) e perseguita durante tutti gli altri conflitti: colpire la popolazione…
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elisaminimeneghini · 5 years
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Jesolo 2019 - Team Italy
SENIORS: Alice D’Amato, Asia D’Amato, Elisa Iorio, Giorgia Villa
JUNIORS: Angela Andreoli, India Bandiera, Camilla Campagnaro, Giulia Cotroneo, Alessia Federici, Veronica Mandriota, Micol Minotti, Chiara Vincenzi
SENIOR INDIVIDUALS (competing AA): Martina Basile, Desirée Carofiglio, Martina Maggio
Source: IGF
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corallorosso · 4 years
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Un gatto sotto una bandiera con falce e martello nel ritrovo di alcuni lavoratori affiliati a un sindacato di sinistra, Cochin, India (AP Photo/R S Iyer)
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paoloxl · 4 years
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Era il 15 febbraio 2012, quando una nave mercantile battente bandiera italiana nei pressi dell’india apriva il fuoco con raffiche di mitra su un peschereccio indiando.
Marò, processati in Italia o in India??
Dopo molti anni dai fatti nessuno ha pagato per l’omicidio di due pescatori e nel giugno del 2019 l’Italia chiede alla corte ordinaria permanente dell’AJA la competenza per il processo a carico dei due marò che si sono macchiati di omicidio, diremmo un processo farsa se dovesse svolgersi in Italia, in quanto per lo stato Italiano i due uomini sarebbero protetti da immunità, l’udienza si è aperta con le parole dell’ambasciatore Francesco Azzarello secondo cui i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone “sono funzionari dello Stato italiano“, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni “a bordo di una nave battente bandiera italiana” e “in acque internazionali”, e pertanto “immuni dalla giustizia straniera”.
 
“L’Italia, secondo le autorità indiane, ha infranto la sovranità indiana nella sua zona economica esclusiva” con i due marò che hanno “sparato con armi automatiche contro un peschereccio indiano, il St. Antony, che aveva pieno diritto a operare in quell’area senza” il timore di “essere fermato, essere oggetto di spari e avere due dei suoi membri dell’equipaggio uccisi”.
Il 10 settembre 2019, il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, dopo aver incontrato i due fucilieri ha scritto un post su Twitter in cui “esprime la vicinanza del governo e di tutto il Paese”, auspicando che “tutte le forze, politiche e civili, siano unite intorno ai nostri due marò”.
Per anni i due militari, per il reato a loro imputato, non hanno mai fatto carcere, hanno usufruito per ben due volte di permessi per rientrare in Italia, il primo permesso fu concesso per festeggiare con le famiglie le feste natalizie ed il secondo per le elezioni, restando comunque con l’obbligo di firma mentre erano in India, quindi in semilibertà per un reato di omicidio. Il ritorno dei due militari “definitivo “in Italia è avvenuto nel 2014, a causa di un ictus per Latorre, che ottiene dalle autorità indiane l’autorizzazione a tornare in Italia. Girone, invece, fu rimandato in Italia nel maggio 2016 quando gli viene concesso il rimpatrio per "ragioni umanitarie". In questo momento entrambi sono tornati in servizio, Massimiliano Latorre presta servizio a Roma mentre Salvatore Girone alla capitaneria di porto di Bari, ad entrambi rimane però l’obbligo di firma e il divieto di lasciare l'Italia.
Si dovrà quindi aspettare la sentenza della corte ordinaria permanente dell’AJA per iniziare il processo ai due militari che si sono macchiati del duplice omicidio di due pescatori Indiani.
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scienza-magia · 3 years
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Il pericolo della pratica omeopatica pseudoscientifica
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Astenersi omeopatia. L’omeopatia è una pseudoscienza pericolosa. Che sia una pseudoscienza, vi è poco dubbio: non solo i suoi due assunti fondamentali – quello della cura di ogni condizione usando ciò che provoca sintomi simili e soprattutto quello dell’efficacia di soluzioni così diluite da non contenere nulla – non sono mai stati provati, ma soprattutto per poter essere provati richiedono la falsificazione dell’attuale corpus di conoscenze scientifiche, a partire dalle sue basi chimiche e fisiche; dunque, la base teorica dell’omeopatia non può essere vera, a meno di non provare falsa l’intera scienza moderna. La teoria omeopatica, cioè, non è complementare alla scienza moderna: è alternativa, e di gran lunga peggiore nello spiegare il funzionamento del mondo. Ma perché mai dovremmo considerarla pericolosa? Il problema è che, se qualcuno pratica l’omeopatia, di solito lo fa perché ritiene che la medicina scientifica sia insufficiente o dannosa a trattare una certa condizione; il che risulta in un’illusione pericolosa per i pazienti e per i medici, che allontana almeno temporaneamente dalle terapie della “medicina basata sulle evidenze”, cioè dalle terapie la cui efficacia è stata identificata su base meccanicistica e statistica. Perché, infatti, si dovrebbe ricorrere a una procedura aggiuntiva rispetto a quanto clinicamente provato, se non in base alla convinzione più o meno radicata che, in realtà, ciò che è disponibile può essere almeno migliorato da un’aggiunta? Complementare è qualcosa che porta un beneficio aggiuntivo; ma, in realtà, tolto l’effetto placebo non resta nulla, come gli stessi omeopati hanno avuto modo di dimostrare.
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Contro il Covid, Arsenicum album al posto del lockdown. E  guardate com’è andata in India Non solo: una volta che si ammette che qualcosa possa funzionare in aperta contraddizione con quanto l’attuale conoscenza scientifica detta, in sostanza si sta assumendo la falsità del corpus scientifico. Si badi bene: non la sua incompletezza (le famose verità ancora da scoprire), ma proprio la sua falsità. Per questo motivo, si assume la falsità dell’intera medicina su di esso fondato. Pertanto, se qualcuno per proprie tare mentali è portato a credere al complotto delle case farmaceutiche o ad altre variegate scemenze, troverà facile assumere come vera una pratica che conferma quella idea di complotto, perché dichiaratamente in contrasto con la “verità scientifica ufficiale”. Non vi è dunque da stupirsi che dall’avversione alla comunità scientifica moderna, alla sua organizzazione e ai suoi rappresentanti (a loro volta collegati a una più profonda avversione al modo di funzionare del mondo moderno) scaturisca un folto pubblico per pratiche antiscientifiche come l’omeopatia. Cosa succede di realmente pericoloso quando si verificano le condizioni di cui sopra non nella mente di singoli, ma in società intere, che magari fanno dell’omeopatia e di altre pratiche una propria bandiera identitaria? Succede che un ministero dedicato alle medicine alternative (Ayush) in una nazione cui appartiene poco meno di un abitante su cinque di questo mondo, l’India, rilascia linee guida raccomandando l’uso di un farmaco omeopatico tradizionale, l’“Arsenicum album 30”, come forma di medicina preventiva contro Covid-19. A cui seguono per esempio dichiarazioni di manager di successo che dichiarano come la soluzione al Covid non sia il lockdown, ma l’omeopatia. Scatenando così, indovinate un po’, la corsa dei cittadini indiani ad accaparrarsi i magici zuccherini contro il Covid-19. E la cosa, finché i casi di Covid-19 in India sono stati relativamente pochi, ha funzionato così bene che qualcuno tra i più rappresentativi omeopati di quella nazione è stato persino ricevuto e premiato alla Casa Bianca. Fino all’inevitabile epilogo, quando, di fronte alla catastrofica epidemia indiana, finalmente si comincia a dare ascolto agli scienziati indiani – quelli veri – i quali dichiarano che “è imperativo creare più fiducia nella scienza solida. Mescolare Ayurveda, omeopatia e altre ‘medicine’ alternative dannose con la medicina basata sull’evidenza continuerà a essere un grosso problema e le nostre agenzie sanitarie devono smettere con urgenza di incorporare la pseudoscienza nei nostri sistemi sanitari”. Credo che non vi sia dimostrazione migliore di come e perché lasciar crescere una pratica pseudoscientifica sia pericoloso; e il problema non riguarda il Covid-19 in particolare, ma l’avvelenamento del pensiero razionale fondato sulla scienza, unica speranza (speranza, non certezza) di riparo e di progresso nel settore della salute pubblica. Read the full article
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iltrombadore · 4 years
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1964, Paolo VI in India e l’inviato Antonello Trombadori: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”
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(Nel dicembre del 1964 Papa Paolo VI fece un viaggio in India, dove si svolgeva il Congresso Eucaristico. Mio padre Antonello lo seguì come inviato de l’Unità, allora diretto da Mario Alicata. Palmiro Togliatti era scomparso da qualche mese e nel PCI si apriva una stagione di lotta politica che ebbe tra le varie poste in gioco anche il rapporto con il mondo cattolico per le prospettive aperte dal Concilio Vaticano II. Accadde così che un breve ma eloquente accenno del Pontefice rivolto all’ inviato de l’Unità divenne sintomatico colpo giornalistico che occupò la prima pagina suscitando col titolo una notevole eco: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”. Se la vita della Chiesa si rivolgeva alle ansie del mondo contemporaneo,  l’ invito al dialogo segnava l’ attenzione a quanto maturava nel mondo comunista in termini di riforma e revisione. Ricordo bene che all’epoca –avevo diciannove anni- non seppi nemmeno cogliere l’ importanza politica e la portata morale di quanto accadeva. Chiuso nelle mie certezze marxiste ero un chierichetto dell’ ortodossia ideologica. Col tempo, grazie a Dio, ho rivisto completamente quell’ ottuso modo di pensare.Riproduco volentieri l’articolo di Antonello Trombadori e il titolo che vi appose de l’Unità.)
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Primo servizio di Antonello Trombadori sul viaggio di Paolo VI
“IL PAPA MI HA DETTO: ABBIAMO MOLTI DIALOGHI DA FARE”
Una breve conversazione tra Paolo VI e l’inviato speciale dell’Unità si è svolta a bordo del ”Nanga Parbat” tra Beirut e Bombay
Bombay,2 dicembre 1964-Alle 21, 20 ora italiana, a diecimila metri di altezza, sulla parte settentrionale dell’Oceano Indiano, esattamente sul Mar d’Arabia nel punto dove finiscono le acque territoriali pakistane e cominciano quelle della Repubblica Indiana, Paolo VI è passato davanti al mio posto nella classe turistica del Boeing 707 che ci ha trasportati a Bombay. Mi sono levato in piedi e gli ho detto: ‘Antonello Trombadori del giornale l’Unità’. Il Papa ha avuto un attimo di sorpresa. Io ho subito soggiunto:’ Buon viaggio da parte dei nostri lettori’. Paolo VI ha immediatamente ribattuto: ’Auguri, auguri’. Poi, dopo un fugacissimo silenzio, ha proseguito: ‘Auguri, avremo tanti bei dialoghi da fare’ .Ha poi seguitato il suo cammino verso la coda dell’apparecchio soffermandosi a salutare altri passeggeri e in particolare due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam, dove la maggiore di esse risiede da 36 anni.
Un giornalista americano, non appena il Papa si è ritirato nella sua cabina, ha avuto un rapido colloquio con mons. Samorè, segretario per gli affari straordinari della Segreteria di Stato. Gli ha chiesto: “questo viaggio del Papa, vuole aprire un dialogo anche con altre religioni; anche con chi non crede, con i comunisti ?”. Monsignor Samorè ha risposto: “con tutti, purché vi sia buona volontà”. Poco prima tra il corrispondente della NBC Irving Levine e il Pontefice aveva avuto luogo questo scambio di frasi: ”Perché intraprendere questo viaggio ?”.Paolo VI:” Ci vorrebbe troppo tempo per rispondere. Spero di incontrare molti fedeli e altri uomini. Spero che il viaggio contribuisca alla pace e risulti una testimonianza di buona volontà”.
E certo più di una testimonianza di buona volontà ha richiesto la enorme folla venuta a salutarlo all’aeroporto di Bombay e lungo i circa trenta chilometri che lo separano dal luogo dove si svolge il Congresso Eucaristico. Cattolici, certo; ma anche induisti, buddisti, musulmani e uomini senza religione precisa, presumibilmente venuti a vedere che panni veste e che cosa promette il Capo della Chiesa Cattolica.
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E non c’è dubbio che assieme al Pontefice quella folla che non ha mai smesso di gridare, di interrogare con gli occhi profondi e di ridere di cuore protendendo le mani verso le macchine del Pontefice e del seguito, ha anche inteso accomunare nello stesso saluto uomini di altro colore e di altre nazionalità in una spontanea testimonianza di amicizia e di pace. L’aereo che ha portato Paolo VI in India si è alzato da Fiumicino alle 4,30. Dal mio taccuino traggo questi appunti sul viaggio fra Roma e Beirut. Sono le 8,10 ora italiana. Da circa un’ ora l’aereo pontifico della Air India che tra sporta Paolo VI a una quota pari a quella di una della più alte vette dell’Himalaya, di cui porta il nome, “Nanga Parbat”, e sul cui muso, diciamo alla altezza della tempia sinistra, è stato dipinto lo stemma vaticano accanto alla bandiera indiana, ha lasciato Roma sotto una pioggia fitta e battente Stiamo ora sorvolando l’ultimo lembo di terra italiana si distinguono piccolissimi i lumi di qualche villaggio calabrese- Melissa, Stromboli, Isola Capo Rizzuto - l’ area della grande miseria è già cominciata. Il sole dell’alba ci viene incontro dalla Grecia sbucando di sotto lo strato spesso di nuvole che copre i monti del Peloponneso. Paolo VII, che nessuno finora  è riuscito a vedere, riposa nella parte della cabina di prima classe che è stata compostamente trasformata in una piccola e comoda alcova. I due cardinali invece (si tratta di Cicognani e di Tisserant) posso  indovinarli di spalle dal mio posto di classe turistica sonnecchianti e abbandonati con la testa all’indietro sulle poltrone; dall’altra parte della cabina di prima classe a loro riservata insieme a qualche altro importante prelato distinguo la chioma pepe e sale ben pettinata del prefetto delle cerimonie, mons. Dante, quello stesso che tante volte i telespettatori hanno potuto vedere accanto al Pontefice per suggerirgli questo o quel movimento del cerimoniale; un filo di fumo sale azzurrino  da dietro la sua spalliera, monsignor Dante preferisce evidentemente tenersi desto per ogni evenienza.
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Non siamo soltanto giornalisti sul “Nanga Parbat”. C’è anche il sindaco di Venezia, Favaretto Fisca, che corregge tra uno sbalzo e l’altro dell’aereo il testo del saluto che porterà al Congresso Eucaristico di Bombay; ci sono le due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam dopo aver partecipato in Italia alla elezione della madre badessa del loro ordine; vi sono altri sacerdoti cattolici e vi è un agricoltore trevigiano dalla faccia angelica e non nemica del buon vino, che accompagna in una sorta di viaggio turistico religioso la giovane figlia al Congresso eucaristico. Le hostess abbigliate in elegantissimi e alquanto plastici sari a strisce marrone, verde marcio e argento, hanno un gran daffare. Non si sono fermate un momento dal decollo in poi. Il primo faticoso lavoro è stato quello di restituire ai rispettivi proprietari macchine fotografiche. Cineprese, macchine da scrivere, borse e valigette che erano state ritirate prima di varcare il posto di polizia; poi è cominciata la distribuzione delle cartelle messe a disposizione dei giornalisti da parte della compagnia di navigazione. In una di queste cartelle vi è un testo inglese nel quale i dirigenti dell’ Air India fanno un personale apprezzamento dello storico significato del viaggio del Pontefice nel loro paese e a bordo di un loro aereo. Gli stessi concetti sono stati in parte ripetuti all’altoparlante dalla hostess Ursula Stocker, una gentile svizzera cattolica di ventitré anni che ha detto in italiano lentamente ma senza emozione: “L’Air India oltre che il suo benvenuto porge a Sua Santità l’augurio di un comodo e piacevole viaggio. Grazie”.
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Se è vero che questo viaggio è destinato a passare alla storia, non c’è dubbio che le prie eroine della sua cronaca sono queste quattro hostess. Della prima vi ho già detto il nome. Vi presento ora le altre tre: Cintya Kyte, smilza dai capelli scuri, nata a Bombay ventisei anni fa, diplomata in economia all’università di Karnatak; ama Roma e Londra, suona il piano ed è campionessa di ping pong. Collleen Biladzava, nata in un villaggio presso Bombay, ventun anni, prima di entrare nella Air India ha frequentato il convento di Gesù e Maria. Shirley Kennedy, ventotto anni, mannequin, buona atleta, vittoriosa in numerose gare. Infine Kalini Shahani, ventun anni, snella e elegante, nata a Karachi, protestante. Ho tratto queste notizie dal registro di bordo.
Alle sette in punto Paolo VI, interamente vestito di bianco, ha fatto la sua apparizione sulla soglia della porta che divide la sua alcova dalla zona riservata ai prelati del seguito, e si è spinto, tra  lampi di flash e mani protese a toccare le sue, fino alla soglia della classe turistica, sbarbato, risposato, sorridente. Ha fatto i suoi complimenti al sindaco di Venezia ricordando che dalla Serenissima mosse a suo tempo verso l’Oriente Marco Polo; ha anche inaugurato il carnet di un industriale milanese invitato al suo seguito con la seguente frase latina:” Ambulate in dilectione”. Voleva poi percorrere tutto il lungo corridoio del “Nanga Parbat” , ma monsignor cerimoniere visto l’affollamento lo ha dolcemente spinto all’indietro. Le due madri missionarie che erano rimaste disciplinatamente al loro posto hanno perduto l’occasione di baciargli la mano e di raccontargli dei morti di fame, dei lebbrosi e degli appestati dell’ Assam. Sono le sette e un quarto (sempre ora italiana) e il Libano è sotto di noi. Dopo un quarto d’ora il Boeing 707 ha toccato con delicato e autorevole colpo di cloche  del comandante Shirudkar la pista di Beirut; gli ultimi minuti di volo a bassa quota li abbiamo fatti quasi in riva al mare, tra cespugli fitti di tamerici dai quali sbucavano come formiche soldati armati di ogni tipo. Alcuni di essi hanno salutato agitando le braccia.
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Paolo VI è apparso sulla vetta della scala di prima classe con un gran mantello rosso scarlatto, è sceso agilmente a terra e subito è stato circondato da sacerdoti vestiti di rosso e di nero con grandi barbe e volti bruni di libanesi e di siriani. Si è fatto incontro il cardinale Taupouni, piccolo e segaligno, con due occhi vivi e neri come il carbone che si sono appuntati in quelli grigi del Pontefice, prima che  questi si avviasse a passo rapido e con il braccio alzato in segno di saluto verso il picchetto d’onore schierato in armi.
A fianco di Paolo VI si è posto il presidente della repubblica libanese. Tutto lo spazio disponibile per il pubblico sugli spalti dell’aeroporto era gremito di suore e di preti cattolici di rito maronita e di rito melchita. Il Papa ha riscosso i loro fervidissimi battimani ogni vota che fermandosi a benedire le bandiere issate sulla baionetta dei capi plotone, alzava il braccio e  l o spingeva  oltre i soldati. Tra i prelati libanesi ho osservato attentamente Massimo IV, il patriarca cattolico di rito melchita. E’ un uomo duro, fermo, tarchiato, fiero sotto la sua piccola cappa nera che gli cala fin quasi sui mustacchi. E’ nota la sua funzione di punta nel Concilio in rivendicazione della priorità dei riti e delle comunità cattoliche orientali da lui considerate originarie. E’ nota anche la sua ferma posizione in difesa dell’uso delle lingue nazionali, soprattutto il greco, l’aramaico, e nel suo caso il francese, per lo svolgimento dei riti sacri. Ma è ancora più nota la sua rivendicazione della funzione dei patriarchi in rapporto a quella dei cardinali. Il Papa, nel suo saluto di risposta alla allocuzione del Presidente della Repubblica libanese ha ricordato per nome soltanto il cardinale Taupoumi.+Mentre Paolo Vi parlava ho avuto la sorpresa di vedermi accanto un giornalista svizzero della nostra comitiva improvvisamente trasformatosi in Cavaliere del Santo Sepolcro. Un gran mantello bianco con la croce greca rossa, un berrettone di velluto nero alla Raffaello, impettito e militarmente corretto egli testimoniava così la presenza del suo Ordine al seguito del Pontefice. Gli si è avvicinato un giovane sacerdote, di quelli che hanno posto in prima classe, e mi pare proprio che gli abbia fatto un cicchettone.
Paolo VI ha donato quarantamila dollari per i poveri del Libano: ventimila nelle mani del Presidente della Repubblica, ventimila nelle mani del Nunzio apostolico a Beirut. Poi abbiamo ripreso il volo e alle dieci e trenta (ora italiana) ci è stata servita la colazione. Sul frontespizio del menù figura una incisione della chiesa indiana di Nostra Signora Pullaparame, forse uno dei più antichi templi della cristianità. Si narra che sia stato fondato dall’incredulo apostata Tommaso, evangelizzatore dell’India nel 52 d.C.
Antonello Trombadori
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lamilanomagazine · 1 year
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Un anno di guerra in Ucraina
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Un anno di guerra in Ucraina. «Il 24 febbraio milioni di noi hanno fatto una scelta: non una bandiera bianca ma una blu e gialla. Non fuggire ma affrontare. Resistendo e combattendo. È stato un anno di dolore, di lacrime, di fede e di unità. E durante quest’anno siamo rimasti invincibili. E sappiamo che il 2023 sarà l’anno della nostra vittoria!», scrive questa mattina il Presidente Volodymyr Zelensky sul suo account Twitter. Esattamente 12 mesi fa, 24 febbraio 2022, alle 5 del mattino, la Russia di Putin attraversa i confini Ucraini, sancendo il ritorno della guerra in Europa a più di venti anni dalla conclusione dei conflitti armati in Jugoslavia. Sono colpite tutte le principali città del paese, compresa la capitale Kiev. Allo stesso tempo inizia l’invasione terrestre da parte dei soldati russi e i primi combattimenti sul campo. « Un’operazione militare speciale» - la chiama Vladimir Putin, da considerare come una guerra lampo, con un attacco su più fronti strategici così da insediare un governo fantoccio guidato da Mosca. Vani i tentativi di concludere delle trattative di pace. Ad un anno dall’attacco, però, sono stati denunciati 66mila presunti crimini di guerra, oltre 13 milioni le persone sradicate dalla propria terra, tra rifugiati e sfollati, circa 8.000 civili morti e 13.287 feriti. Conseguenze su più fronti, dal piano militare e strategico a quello geopolitico, con la frattura tra l’Occidente e Mosca e il ruolo ambiguo della Cina; su un piano socio-economico, vista la grave crisi energetico-militare; sul piano umanitario, con l’imponente ondata di profughi ucraini in Europa. Sale la tensione anche in Moldavia. Putin revoca un decreto del 2012 – sulle linee di politica estera in cui metteva tra gli obiettivi la cooperazione con l’UE e lo sviluppo delle relazioni con la Nato - che in parte sosteneva la sovranità della Moldavia nell’ambito delle decisioni politiche sulla Transinistria, regione separatista sostenuta da Mosca che confina con l’Ucraina e dove la Russia ha posizionato da tempo le truppe. Decisione che è stata pubblicata ieri sul sito del Cremlino. Ieri anche il voto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il ritiro immediato delle truppe russe dall’Ucraina auspicando una pace “giusta e duratura in linea con la Carta della Nazioni Unite”. La risoluzione riceve 141 voti a favore, 7 contrari e 32 Paesi che si sono astenuti, tra cui Cina e India. I no, oltre dalla Russia sono arrivati da Siria, Bielorussia, Eritrea, Nord Corea, Nicaragua e, per la prima volta, il Mali. La Cina intanto rende noto il suo documento – articolato in 12 punti- per una soluzione politica, alla crisi ucraina. Il dialogo come elemento centrale.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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khalilhumam · 4 years
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COVID-19 and Girls' Education: What We Know So Far and What We Expect
New Post has been published on http://khalilhumam.com/covid-19-and-girls-education-what-we-know-so-far-and-what-we-expect/
COVID-19 and Girls' Education: What We Know So Far and What We Expect
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The potential impacts of the COVID-19 pandemic on girls’ education are numerous and diverse. Most obviously, many schools around the world remain closed, affecting girls’ education directly. But both research and advocacy pieces highlight a host of other potential concerns that either directly or indirectly affect girls’ education and ultimately, their overall wellbeing. Thus far, most of the data from the current epidemic relates to access to distance learning. It’s too early for us to predict with confidence the impact of the pandemic on dropouts and longer-term outcomes. But research from previous pandemics and initial findings in this one can give us clues. Many of these channels affect boys’ education as well.
What we can learn from previous school closures and crises
Much of what we hypothesize about the impact of this crisis draws on what we learn from previous crises. The figure below summarizes some of these channels. Let’s start with the most obvious: school closures lead to learning loss. We know that’s true even during non-emergency school closures, in both rich countries and poor countries. Those learning losses can endure: after schools closed for more than three months due to an earthquake in Pakistan, children’s learning levels were significantly lower, even several years after schools had re-opened. Kids who fall behind in school are more likely to drop out later. We also know that during school closures, girls may be tasked with more household work, including childcare, which can further cut into learning time. Figure: How previous crises have affected girls’ education
Note: Click here for a more detailed version of this figure which including references to where and when each channel has been documented.
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Andrabi T, Daniels B, Das J. Human Capital Accumulation and Disasters: Evidence from the Pakistan Earthquake of 2005. 2020.
Bandiera O, Buehren N, Goldstein M, Rasul I, Smurra A. Do School Closures During an Epidemic have Persistent Effects? Evidence from Sierra Leone in the Time of Ebola. 2020.
Evans DK, Hares S, Sandefur J, Steer L. How Much Will COVID Cut Education Budgets? Center For Global Development. 2020
Korkoyah DT, Wreh FF. Ebola Impact Revealed: An Assessment of the Differing Impact of the Outbreak on Women and Men in Liberia. 2015
PLAN International. Ebola: beyond the health emergency. 2015.
Risso-Grill I, Finnegan L. Children’s Ebola Recovery Assessment: Sierra Leone. 2015.
Santos R, Novelli M. The Effect of the Ebola Crisis on the Education System’s Contribution to Post-Conflict Sustainable Peacebuilding in Liberia. 2017.
UNDP. Assessing Sexual and Gender Based Violence during the Ebola Crisis in Sierra Leone. 2015.
With a health crisis like the COVID-19 pandemic (or the Ebola epidemic before it), sickness and mortality among parents or other household members also interferes with girls’ education by at least two channels (beyond the trauma of losing a parent, in the case of mortality). First, losing a parent may result in reduced income and so a greater need for children to work for pay. In the wake of the Ebola epidemic, girls in Sierra Leone reported gathering stones to sell, selling fruit in the market, and buying and selling scrap metal, among other activities. In some cases, it can even mean transactional sex. In Liberia during the same crisis, girls sometimes became the main income earners in their households. Second, girls may become primary caregivers for sick members of the families and for younger siblings. All of these responsibilities pull girls away from school, sometimes permanently in cases where girls become the household breadwinners. While there have been fewer cases of and deaths from COVID-19 in African countries, other developing regions—like Asia and Latin America—have been hard-hit, with more than 96,000 deaths in India and more than 141,000 in Brazil. The combination of school closures and the disruption of other health services can translate to increased likelihood of adolescent pregnancy, which—despite recent, laudable moves in several countries to make it easier for girls to return to school—still makes getting back to the classroom more difficult. Travel restrictions likewise can reduce access to both reproductive health services and to “safe spaces” like after-school girls’ clubs, which can also translate to increased adolescent pregnancy. Loss of household income can also lead to girls marrying young as a means to generate income for the family through their dowry, especially if compounded with unplanned pregnancy. During the early part of the Ebola crisis, some families opted to send away their children to communities deemed to be safer from the disease, which in some cases exposed the girls to potential sexual abuse by foster parents or guardians. This seems to be less of a concern during the current pandemic, partially because travel restrictions were often implemented with wide coverage and short notice. Finally, an effect not from school closures directly but from previous health and financial crises is that education budgets may get crunched, both at the national level and at the household level. During the East Asian financial crisis in the 1990s, pre-existing disparities between boys and girls were exacerbated. Many countries still have gender gaps in access to secondary education, and budget crunches may slow down the expansion of secondary school, limiting opportunities for girls.
What we know so far from this pandemic
Many of the same channels likely apply in the current pandemic, but data remain limited. In terms of access to learning opportunities while schools have been closed, there is no single story that applies across low- and middle-income countries. A study of adolescents in Ecuador found that girls were both studying more and doing more housework than boys. Across multiple countries, girls reported either less confidence in their computer skills—relevant for distance learning—or less access to the internet. But in other countries (Ethiopia, Peru, and Vietnam), girls have reported at least slightly more access to ongoing educational opportunities than boys. And in other places (Kenya), the numbers are equal. We haven’t yet seen actual data on dropout rates. UNESCO predicts comparable rates of risk of not returning to school for boys and for girls, which translates to 5.2 million girls in primary or secondary school at risk. The Malala Fund does predict differential risk to girls based on experience in past epidemics, and a survey of head teachers in Ethiopia predicted higher dropout rates for girls in the wake of the school closures. A cross-country survey of frontline service organizations reflects similar concerns that girls will be more adversely affected than boys by school closures. Beyond access to distance learning and school dropouts, there are reports of greater mental health difficulties for female medical students in the Philippines and of significantly more time doing housework for girls than for boys in Thailand.  More advocacy focused pieces, some of them drawing on anecdotal evidence or learning from past crises, raise a host of additional concerns—increased early marriage, increased adolescent pregnancy, reduced access to health services, higher rates of dropouts among girls, less access to digital technology, and greater overall discouragement. The first measures of learning loss (from a high-income country) don’t report gender differences (remember, researchers, disaggregate your findings by gender!), but they do indicate both significant learning loss on average and increasing inequality both within and between schools. On net, the early indications on access to distance learning do not suggest dramatic, consistent, cross-country gender inequality. But for the outcomes that matter most— getting girls back into schools as they re-open—we just don’t yet have the data.
What about boys?
This post is focused on girls’ education, and while girls face unique obstacles (like disproportionate consequences from adolescent pregnancy), boys face challenges of their own. While child labor in general has been falling over the past two decades, that reduction has come faster for girls than for boys, especially in older age brackets. Boys enter the labor market earlier and in larger numbers than girls and are more likely to work outside of their homes, often as farmhands (e.g., the majority of child laborers work in agriculture). Boys also face the risk of being recruited to militias in areas of unrest, especially with extended school closures. The current pandemic threatens to disrupt recent gains in children’s rights for both girls and boys.
Conclusions
In the coming months, researchers working in countries around the world will continue to document the impact of the crisis on girls’ education and on their well-being more generally. At the same time, failing to act in the absence of better data is a losing strategy. By the time numbers come in documenting increased adolescent pregnancies and dropout rates, the window of opportunity to help at least some of these girls most effectively will have closed. So, what to do? Learn from past crises and invest in no-regret policies. Make sure that girls have access to information and resources for reproductive health, social safety nets to mitigate the need to enter the labor market (particularly in high risk work), and as schools open, ensure that communities and schools make targeted efforts to get girls—and ultimately, all vulnerable children—back in the classroom. The order of authors of this blog post was determined randomly. This post benefitted from suggestions by Shelby Carvalho, Susannah Hares, and Rita Perakis. <!-- if(document.querySelectorAll) document.getElementById('lang-button').style.display = 'block'; ; function toggleLang() if (document.getElementById('evans-acosta-complex-graph').style.display == 'none') document.getElementById('evans-acosta-simple-graph').style.display = 'none'; document.getElementById('evans-acosta-complex-graph').style.display = 'block'; document.getElementById('lang-button').innerHTML = 'Note: Click here to see a simpler version of this figure without references.'; else document.getElementById('evans-acosta-simple-graph').style.display = 'block'; document.getElementById('evans-acosta-complex-graph').style.display = 'none'; document.getElementById('lang-button').innerHTML = 'Note: Click here for a more detailed version of this figure which including references to where and when each channel has been documented.'; ; ; //-->
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giancarlonicoli · 4 years
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28 set 2020 16:15
LA PANDEMIA GLOBALE È COLPA DELLA DITTATURA CINESE - MILENA GABANELLI: “LA CINA TACE O NEGA DA SEMPRE QUANDO LE SI CHIEDE CONTO DI COME RISPETTA I DIRITTI UMANI, IN QUESTO CASO LA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE. STAVOLTA PERÒ IL SILENZIO VIENE PAGATO ANCHE DA MOLTI ALTRI PAESI” - IL TIBET, HONG KONG, IL GENOCIDIO DEGLI UIGURI: I LATI OSCURI DELLA DITTATURA COMUNISTA, CHE HA NASCOSTO INFORMAZIONI SUL CORONAVIRUS METTENDO A RISCHIO IL MONDO…
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Milena Gabanelli e Luigi Offeddu per il “Corriere della Sera - Dataroom”
È accaduto anche con la pandemia da coronavirus: la Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell' Onu con diritto di veto, tace o nega da sempre quando le si chiede conto di come rispetta i diritti umani, in questo caso la libertà di informazione. Stavolta però il suo silenzio viene pagato anche da molti altri Paesi.
Il South China Morning Post riporta più volte informazioni da fonti governative: il primo contagio da Covid-19 è stato registrato in Cina il 17 novembre 2019. L' informazione all' Oms dovrebbe essere immediata, ma le autorità cinesi attendono fino al 31 dicembre prima di comunicare al corrispondente ufficio di Pechino di una «strana polmonite» sviluppatasi a Wuhan nel mercato di animali vivi, e solo il 9 gennaio parlano di «nuovo coronavirus» simile al precedente Sars del 2002. Il 30 gennaio l' Oms dichiara l' emergenza internazionale.
Nel frattempo il business e il turismo mondiale va e viene dalla Cina come se nulla fosse: 5.523 voli solo in Europa nel mese di dicembre. Il 13 gennaio, mentre Pechino sta preparando il lockdown di Wuhan, firma con l' Italia (ignara) un memorandum d' intesa per un aumento fino a 164 voli settimanali per parte, di cui 108 con decorrenza immediata. Il prezzo di quel mese e mezzo di silenzio è incalcolabile.
La Cina nega ogni responsabilità e reagisce alla perdita di credibilità aumentando la repressione.
La nuova «legge sulla sicurezza» che punisce il dissenso con condanne fino all' ergastolo è stata votata in gran segreto la notte del 30 giugno. Rinviate così di un anno le elezioni previste per metà settembre (i sondaggi davano già al 60% l' opposizione liberal); fuggiti in esilio i principali leader democratici, centinaia di arresti solo nei primi giorni, in manette anche l' editore liberal Jimmy Lai. Londra ha offerto «una nuova via di immigrazione» ai 3 milioni di cittadini residenti a Hong Kong che nel 1997 scelsero, con l' accordo di Pechino, di conservare il loro passaporto inglese. La risposta di Pechino:«Non consideriamo validi quei passaporti».
Dal gennaio 2021, Taiwan avrà un nuovo passaporto. In copertina, la parola «Repubblica di Cina» non si legge quasi più, al suo posto «Taiwan». Pechino ha sempre ammonito: «Se dichiareranno l' indipendenza, attaccheremo militarmente». Taiwan, indipendente di fatto dal 1949, non siede - per volontà di Pechino - nelle organizzazioni internazionali, e solo 14 Stati la riconoscono diplomaticamente. Pechino ha impedito che l' Oms invitasse al suo vertice annuale 2020 Taiwan come esempio di buona gestione sanitaria.
La questione è geostrategica, perché il Mar cinese meridionale, ricco di petrolio e gas naturale, è al centro dei suoi piani di espansione. Taiwan si è armata fino ai denti, e la Cina pure, con tecnologia in grado di distruggere e uccidere senza intervento umano.
Secondo Amnesty International la Cina ha il primato mondiale delle esecuzioni capitali, previste per 46 diversi reati, inclusa la sovversione. Sarebbero «migliaia all' anno», ma Pechino dice che non esistono «statistiche separate», le considera un segreto di Stato e le raccomandazioni Onu non sono vincolanti.
Senza risposta anche le proteste del Consiglio Onu per i diritti umani: anzi, nell' aprile 2020, proprio in quel Consiglio, la Cina ha ottenuto un suo seggio fino al 2021.
Il Tibet è una regione autonoma, i suoi 3,1 milioni di abitanti sono quasi tutti buddisti, con una loro lingua e una identità nazionale risalenti al 127 a.C. Hanno sempre rivendicato l' indipendenza da Pechino, e hanno pagato un prezzo: templi distrutti e repressione sanguinosa. Il Dalai Lama, premio Nobel per la Pace, vive in esilio nell' India del Nord, ha rinunciato alla linea indipendentista, ma chiede «compassione» e il rispetto dei diritti umani.
Nella regione autonoma occidentale dello Xinjiang vivono 23 milioni di abitanti, il 47% sono musulmani uiguri. Inaccettabile per Pechino la loro richiesta di libertà religiosa. Alla repressione violenta, si alterna la «rieducazione politica» attraverso il lavoro forzato. Lo scorso 1° settembre il World Uyghur Congress, in occasione della visita a Berlino del ministero degli Esteri cinese Wang Yi, chiede aiuto al governo tedesco: da 1 a 3 milioni di uiguri sono detenuti senza accuse nei campi di «rieducazione», dove avvengono torture e sterilizzazioni forzate.
La Germania ha protestato più volte, anche se nello Xinjiang si trovano fabbriche tedesche come la Volkswagen, la Siemens, la Basf. Pechino nega, ma non autorizza l' accesso agli ispettori Onu chiesto nel 2019 da 22 Stati. Intanto gli uiguri emigrati in Europa, e ormai cittadini di Olanda o Finlandia, quando denunciano il dramma dello Xinjiang vengono minacciati da agenti cinesi: «Pensa alla tua famiglia».
Oggi in Cina ci sono 10 milioni di cristiani, 101 vescovi, 1iocesi, 4.000 preti, circa 4.500 suore. E' in scadenza l' accordo provvisorio con il Vaticano. Dovrebbe confermare che l' ultima parola nell' ordinazione dei vescovi spetta al Papa e non al regime. Intanto fonti cattoliche sostengono che sulle chiese sbarrate sventola la bandiera del partito. I missionari italiani vengono mandati a casa, e chi aspira a essere assunto in un ufficio governativo deve prima rinunciare a ogni fede religiosa, considerata incompatibile con l' iscrizione al partito, indispensabile per accedere agli impieghi pubblici.
Le minacce si estendono anche agli Stati sovrani. «Con gli amici noi usiamo del buon vino, e i fucili con i nemici», ha ringhiato l' ambasciatore cinese a Stoccolma quando il governo svedese ha annunciato di voler premiare l' editore e scrittore, Gui Minhai, svedese nato in Cina, dove era stato condannato a 10 anni per presunto spionaggio. Durante il tour europeo, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi era passato il 31 agosto dalla Norvegia. Un giornalista gli aveva chiesto cosa pensasse della possibilità di estendere «ai ragazzi di Hong Kong» il Nobel per la Pace.
Risposta: «La Norvegia pensi piuttosto a coltivare relazioni "sane" che si sono finalmente realizzate dopo il "gelido inverno" seguito al Nobel conferito nel 2010 al dissidente incarcerato Liu Xiaobo». Il 3 settembre ha fatto tappa nella Repubblica Ceca, e rivolgendosi al presidente del Senato Vystrcil, che era appena stato in visita a Taiwan, ha dichiarato: «Pagherà caro il suo opportunismo politico».
Quanto conta la libertà di parola in un mondo sempre più interconnesso, che dovrà fare i conti con minacce sanitarie e riscaldamento globale, e dove la Cina ha un ruolo centrale? Il giurista dell' Università di Pechino He Weifang ha dichiarato: «L' assenza in Cina di libertà di parola e di espressione ha favorito il diffondersi del contagio», lo aveva ribadito un suo illustre collega Xu Zhangrun. Arrestato. Li Wenliang, l' oculista cinese che tra i primi individuò il virus è stato fermato e censurato.
Oggi nel mondo si contano un milione di morti, e una recessione globale. La Cina non si è scusata, ed esalta la superiorità del modello cinese, che avrebbe saputo gestire in modo straordinario la pandemia. Non c' è dubbio che alcuni Paesi abbiano sottovalutato, ma come sarebbero andate le cose se le autorità cinesi, consapevoli della gravità di ciò che stava succedendo, non avessero tardato così tanto a informare la comunità internazionale? Non lo sapremo mai, come non sapremo cosa sia realmente successo perché l' inchiesta internazionale indipendente chiesta da 194 Paesi, e votata all' unanimità dall' Oms a maggio, è ancora un pezzo di carta.
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La strage di civili è la regola della "comunità internazionale"
La strage di civili è la regola della “comunità internazionale”
La strage dei civili è certamente la dottrina centrale della Nato, derivando direttamente da quella angloamericana in essere dalla seconda guerra mondiale ( ma qualcuno potrebbe già ravvisare questo nelle guerre indiane oppure nelle imprese sanguinose della Compagnia delle India, la cui bandiera ispirato quella degli Usa) e perseguita durante tutti gli altri conflitti: colpire la popolazione…
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