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Al Teatro Vascello, Festival Internazionale di danza Contemporanea, Fuori Programma dal 9 al 26 luglio
A Roma, al Teatro Vascello prende forma un Festival Internazionale di Danza contemporanea: Fuori Programma, un festival necessario per la capitale, per il nostro teatro e per gli operatori impegnati a promuovere la danza contemporanea italiana e internazionale. Un’attività inserita in un periodo lontano dalle programmazioni canoniche dei teatri, un’ulteriore offerta culturale per rafforzare l’immagine di Roma, non meno importante delle principali capitali europee.
Il programma di luglio 2017 è un timido ma forte segnale che ci auguriamo possa crescere negli anni, soprattutto se troverà consenso e interesse da parte del pubblico romano e nei tanti turisti di tutto il mondo che affollano nel periodo estivo questa meravigliosa città.
Il Teatro Vascello per la sua vocazione, da sempre orientata alla contemporaneità, con una spiccata attenzione alla scena coreutica avvia un nuovo progetto, in collaborazione con European Dance Alliance di Valentina Marini, per riportare la danza al centro delle programmazioni estive nella città di Roma.
FUORI PROGRAMMA nasce con l’intenzione di aprire uno sguardo sulla scena internazionale, raccogliendo una gamma di creazioni ed espressione di linguaggi differenti, legate a una geografia altrettanto variegata per portare in scena in cinque appuntamenti, durante i diciotto giorni di Festival, una sintesi delle più interessanti e recenti produzioni coreografiche su scala europea.
Siamo sempre stati convinti che la danza, per il linguaggio che esprime e per la sua universalità, possa rappresentare la chiave di volta per aggregare il pubblico, nonostante la sua apparente complessità di fruizione possa invece raggiungere tutti.
L’approccio alla danza contemporanea deve diventare un atto di fiducia per rinnovare i propri interessi, per la poetica e il senso estetico che appartiene alla nostra civiltà, lo strumento per riscoprire, attraverso l’uso del corpo e la musica, la sensibilità che si cela in ognuno di noi.
9 luglio – domenica h 21 PRIMA NAZIONALE
LA VERONAL (Spagna)
KOVA ¬ GEOGRAPHIC TOOLS
Regia, messa in scena, costumi: Marcos Morau / La Veronal.
Coreografia: Marcos Morau in collaborazione con il corpo di ballo.
Ballerini: Laia Duran, Lorena Nogal, Marina Rodríguez, Manuel Rodríguez, Sau Ching Wong.
Assistente coreografo: Lorena Nogal.
Consulenza drammaturgica: Roberto Fratini.
Space e light design: La Veronal & Enric Planas
Produzione esecutiva: Juan Manuel Gil Galindo
Assistente di produzione: Cristina Goñi Adot
Première: 21st – 22nd October 2016 / SaT! – Sant Andreu Teatre, Barcelona.
KOVA on TV: https://vimeo.com/191043736
“Il cammino di coloro che temono di raggiungere l’obiettivo si trasformerà molto facilmente in un labirinto.” Walter Benjamin
Durante il suo percorso La Veronal si è distinto, per coreografie e composizione, attraverso un linguaggio unico e personale, per l’interazione tra la danza e una combinazione variegata di discipline che si sono arricchite, ingrandite e, nel tempo, hanno acquisito potere. Marcos Morau ha dato vita al suo catalogo, guidato da un desiderio di esplorare la natura di alcuni specifici luoghi del pianeta. Il modus operandi si è rivelato un celato tentativo di ricerca del territorio enigmatico che nasconde la geografia del corpo umano e dei movimenti. In questo lavoro di composizione coreografica, che dura da ben cinque anni, Marcos Morau e il suo team di ballerini hanno sviluppato uno specifico codice di movimenti chiamato KOVA, un manuale, una mappa che include un set di regole che coordina il linguaggio coreografico. Così, dopo aver definito una topografia specifica, sorge chiaro il bisogno di presentare KOVA per la sua validità di strumento di ricerca. A fronte di questa presa di coscienza, in questo nuovo lavoro, con KOVA- Geographic Tools, La Veronal abbandona il carattere più drammatico, testuale, iconico e rappresentativo delle sue creazioni, per focalizzarsi nella pura dinamica del movimento espresso attraverso KOVA. In questo modo si rende un ritratto istantaneo della composizione, un ritratto di plasticità fisica, liberando la danza di un altro strato, quello dato dal testo e dall’immagine. KOVA trasmette una tensione attraverso una serie di regole dell’azione coreutica, che genera continui impedimenti e problemi, nei confronti del fisico del performer. In questo contesto, il ballerino che combatte per risolvere queste sfide auto-imposte, è capace di comunicare un interessante senso di libertà e di vastità di possibilità. Gli spettatori si trovano di fronte a un panorama coreografico ricco e complesso, un labirintico linguaggio del corpo, liberi da temi e forme programmate riconoscibili dentro uno schema figurativo. Geographic Tools vuole rendere le possibilità interpretative d’avanguardia e sceglie il corpo dei ballerini come unica immagine per comunicare con gli spettatori e con la danza, come unico testo possibile. In questo modo, KOVA esplora il territorio semiotico del movimento astratto.
Kova ¬ Geographic Tools è il risultato della fusione di codici di creazione di movimento, sviluppato da La Veronal negli ultimi cinque anni, come risultato di ricerca e combinazione di decisioni che permettono di riempire il buio/libertà/ vaste possibilità che si offrono ad un ballerino durante una performance. Sulla base di questa pura astrazione la forma si collega allo spazio e al tempo per provare a generare/complicare/risolvere i problemi che essa provoca. La Veronal lavora e sviluppa questi meccanismi e questi sistemi in maniera continuativa.
Il fatto che KOVA formi una fraseologia labirintica non implica solo che il movimento dettato dalla fraseologia è particolarmente ricco in direzioni, tendenze, divergenze, separazioni, diramazioni, perdite ma anche la sua logica, come qualsiasi altro labirinto, è allo stesso tempo chiaro e nascosto dalla sovrabbondanza, dalla ridondanza dei segni e delle indicazioni date. Essendo “intelligente” per definizione, il labirinto è una trappola per la percezione. Qui la vista d’insieme è nascosta da mille altre prospettive, mille immagini, mille svolte che il labirinto offre a chi lo attraversa. Per questo stesso motivo, si può dire che il labirinto sta alle regole della costruzione come la retorica sta alla grammatica. Se KOVA realizza queste costruzioni complesse, così difficili per chiunque provi a decodificarle attraverso i dettagli, è perché la grammatica di KOVA, che potrebbe dar delineare un discorso monotono, preferisce invece proliferare in fenomeni di alto contenuto retorico, in una grammatica che non nasce dal linguaggio comune ma direttamente dalla poesia. Anche quando il poeta scrive con la stessa grammatica del reporter o dello scienziato, il ruolo della poesia è esattamente uno: nascondere in maniera enigmatica quella grammatica (in un labirinto fatto di figure sfuggenti e ingannevoli), che si risolve ad un livello più alto, più frenetico e più oscuro e che perde le sue tracce nel groviglio del cambiamento, dove tutto è identico perché è tutto differente, dove lo stesso posto sembra essere un altro, mentre ci avventuriamo attraverso le curve della struttura, o dove l’altro luogo sembra essere lo stesso luogo. Roberto Fratini
11 luglio – martedì h 21 PRIMA REGIONALE
Gruppo Nanou (Italia – Ravenna)
Xebeche [csèbece]
coreografia Marco Valerio Amico Rhuena Bracci
coreografia: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
con: Carolina Amoretti, Sissj Bassani, Marta Bellu, Rhuena Bracci, Enrica Linlaud, Marco Maretti, Rachele Montis, Davide Tagliavini
suono: Roberto Rettura
light design: Fabio Sajiz
produzione: E / gruppo nanou, Ravenna Festival
con il sostegno di: L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Cantieri, Centrale Fies, Olinda – Ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, Santarcangelo dei Teatri
con il contributo di: FONDO PER LA DANZA D’AUTORE della Regione Emilia Romagna 2015/2016, MIBACT, Regione Emilia-Romagna Assessorato alla Cultura
Video promo https://vimeo.com/174812285
Il mio nome è Xebeche “colui che parla ad alta voce senza dire nulla”.
Preferisco essere chiamato Nessuno. Jim Jarmush, Dead Man (1995)
Attraverso la negazione dell’identità, la sua scomparsa, il suo limarne i confini, il problema fondamentale è quello di produrre inconscio e, con esso, nuovi enunciati, altri desideri. Gilles Deleuze / Felix Guattari, Millepiani
Per la prima volta, Nanou si confronta con la struttura coreografica dell’ottetto attraverso il procedimento rigoroso di una strategia creativa, giocata sulla formalizzazione della figura e del recinto che la perimetra Il corpo è forma antropomorfica inevitabilmente in conflitto con il recinto geometrico.
La geometria del recinto assume l’esperimento retorico della perfezione, in quanto funzionale allo scatenamento prodotto sulla figura interna spaesata in un centro impossibile. La struttura coreografica è una continua mutazione che segue diversamente il passaggio del corpo e la trasformazione che questo dà al luogo.
Un infinito piano sequenza che si intreccia e si riversa su sé stesso fino a diventare nodo e quindi a scoppiare. Première dal 08 al 10 giugno 2016
14 luglio – venerdì h 21 PRIMA REGIONALE
Zerogrammi (Italia – Torino)
Jentu
progetto, regia e coreografia Stefano Mazzotta
creato con Chiara Guglielmi
interpreti Chiara Guglielmi, Stefano Mazzotta
drammaturgia e collaborazione all’allestimento Fabio Chiriatti
luci Alberta Finocchiaro
produzione ZerogrammieStoriedivento
coproduzione Pim O” (It), LUFT casacreativa (It)
un ringraziamento a Chiara Michelini, Villa Cultura (It), Tersicorea
T.O” (It)
con il sostegno di Regione Piemonte, MIBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo.
anno di produzione 2016
genere teatrodanza
durata 50 min. pubblico + 10
link video:
Tutto solito. Nient’altro mai. Mai tentato. Mai fallito.
Fa niente.
Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio.
(S. Beckett)
JENTU è una creazione ispirata al “Don Quijote” di Miguel Cervantes. Nella lettura attenta dell’opera l’interesse per le gesta del protagonista e dei suoi compagni di viaggio (da Sancho Panza a Dulcinea) si è spostato sul senso che tali imprese possono ancora avere per noi oggi. Azioni senza lieto fine, inutili, consumate nella penombra di una stanza. Azioni capaci di prefigurare una nuova etica e un nuovo modello di eroe senza poteri speciali, senza gloria né squilli di tromba ad annunciarne la fragile umanità. I colori più accesi si diluiscono acquarellando la scena attraverso coreografie, soli e duetti, azioni e silenzi pervasi di un umore delicato. Si disegna con tratto leggero e sfuggente la figura di un eroe emblema di un’etica del fallimento che rilancia la sfida a provare di nuovo, daccapo, con coraggio. Che ci parla della capacità di cadere, di esistere persistendo nell’inseguire un ideale, il proprio, dell’incapacità di volersi arrendere a ciò che è dato e deve essere accettato così com’è perché il senso di ogni azione non sia tanto il risultato quanto la tensione necessaria per tentare di raggiun- gerlo riscoprendo la meraviglia di farsi viaggio. Così i personaggi di JENTU. Esiliati da un tempo cui non corrispondono o da un luogo che gli è stato sottratto, sospesi, stranieri, abitano un paesaggio leopardiano che ha per soglia la resa, unico possibile luogo di appartenenza e senso. (Chiara Michelini)
(…) Semplicemente il viaggio verso le proprie aspirazioni, le proprie passioni, la propria bellezza. Così tentano, falliscono, ricominciano, senza mai perdersi d’animo i due protagonisti di Jentu. Novelli Don Chisciotte, anti-eroi contemporanei, che perseguono i propri ideali, viaggiando insieme, paralleli, spronandosi a vicenda. È racchiusa in questa metafora poetica del viaggio e della non resa al mondo la riuscita di Jentu (…) (Maria Luisa Buzzi, DANZA&DANZA)
(…) un racconto a tappe, composto da una potente gesticolazione e da larghi passi danzanti, quasi tesi e protesi ad elastico da una finestra, luogo d’incontri e partenze. L’hidalgo è un anti-eroe, combatte contro illusioni, glorie e potere mondani. Jentu nella sua forma rotonda e compiuta riesce a raccontare tutto ciò con poesia. (…) (Marinella Guatterini, IL SOLE 24 ORE)
(…) Le coreografie ideate da Stefano Mazzotta evocano diversi stati d’animo, donandosi all’occhio e al cuore di chi guarda. (Miriam Arensi | LA VOCE)
(…) La partitura fluida di contatti e prese, di complicità e fratellanza (che rarità vedere un duo che non evochi l’amore tra l’uomo e la donna!) si alterna a malinconici momenti di sospensione alla finestra: quasi la realtà, impossibile da ignorare, finisse sempre per richiamare a sé stessa i due eroi. E anche se Chiara/Sancho non cessa si spronare il suo cavaliere (“alzati! corri! combatti!”), Stefano/Chisciotte, appeso il cappotto al chiodo, si allontana. Ma fuori dal palco, si sa, è ben più difficile dar corpo ai sogni. (Maddalena Giovannelli | STRATAGEMMI)
18 luglio – martedì h 21 PRIMA REGIONALE
Compagnia Zappalà Danza (Italia – Catania)
Romeo e Giulietta 1.1
la sfocatura dei corpi
coreografia e regia Roberto Zappalà
Musica Pink Floyd, Elvis Presley, Luigi Tenco, José Altafini, Mirageman, John Cage, Sergei Prokofiev
Interpreti Maud de la Purification, Antoine Roux-Briffaud
Testi a cura di Nello Calabrò
Luci e costumi Roberto Zappalà Direzione tecnica Sammy Torrisi Management Maria Inguscio
Una produzione Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza – Centro di Produzione della Danza
in coproduzione con Orizzonti Festival. Fondazione
In collaborazione con “Le Mouvement Mons” Festival (Belgio)
Prima nazionale 5/6 agosto 2016 Orizzonti Festival, Chiusi
con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Regione Siciliana Ass.to del Turismo, Sport e Spettacolo
Video https://www.youtube.com/watch?v=fBAO0xM5Wx8
Dopo la festa/compleanno del quarto di secolo e gli ultimi anni ricchi d’intensa produttività Roberto Zappalà inizia un nuovo progetto dal titolo Antologia. Con Antologia si intende recuperare i lavori più interessanti che hanno lasciato un segno nel tempo e nella costruzione della linea coreografica di Zappalà e della compagnia. Il progetto non ha soltanto il compito di “recuperare” e di “rivisitare”, ma anche quello di originare attraverso un nuovo “contatto” nuove visioni; dove anche il “semplice” cambiamento degli interpreti può fare da primo mobile per un diverso approccio alla creazione da parte del coreografo. Tutto ciò non solo determinerà una riflessione sul passato ma inevitabilmente porterà a riflettere sul futuro.
“La sfocatura dei corpi” era il titolo del Romeo e Giulietta del 2006 che Roberto Zappalà ha deciso di riprendere e riportare in scena come primo spettacolo di Antologia.
Una revisione che è anche e soprattutto un rinnovamento. Un romeo e giulietta 1.1
Cosa ci fa sentire sfocati, quando ci sentiamo sfocati ? Tecnicamente, (in ottica, fotografia, cinema), la sfocatura è una questione di distanza. La distanza tra il centro focale dell’obiettivo è l’oggetto inquadrato; se questa distanza è inferiore o superiore ad una certa misura l’oggetto risulta, appunto, sfocato.
Riportando tutto ai due amanti di Verona ci sentiamo sfocati quando “percepiamo” che la distanza tra noi e il mondo, tra noi e l’amato non è quella giusta; quando la distanza che ci separa dall’essere amato è condizionata dal proprio essere nel mondo; quando siamo, ci sentiamo, crediamo di essere, troppo vicini, o troppo lontani. Siamo tutti Romeo e Giulietta.
Nella versione 1.1 il coreografo ha spostato la propria messa a fuoco, concentrandola più che sulla coppia di innamorati, sulla loro individualità di esseri che vivono singolarmente un disagio soprattutto sociale. Nelle note vicissitudini scespiriane si arriva all’amore sublimato dalla morte (e viceversa), la versione 1.1 vuole riflettere e al contempo “ribellarsi” ad un tempo storico (oggi) dove la pulsione di morte è sublimata solo da se stessa e contrapporle passione e rispetto nei confronti della vita.
Una riproposizione di Romeo e Giulietta che non vuole “parlare” d’amore ma essere un atto d’amore verso la vita.
Si ringrazia Simone Viola per i movimenti di danze da sala e Stefano Tomassini per aver seguito in qualità di studioso l’inizio del percorso di ripresa e rilettura dello spettacolo.
26 luglio – mercoledì h 21 PRIMA NAZIONALE
Company Chameleon (Inghilterra)
OF MAN AND BEAST
Coreografia: Anthony Missen
Musiche originali: Miguel Marin; Ocote Soul Sounds, Rage Against The Machine
Costumi: Company Chameleon
Performers: Anthony Missen, Theo Fapohunda, Lee Clayden, Taylor Benjamin, Thomasin Gülgec
Direttore prove: Anthony Missen
Commissionato da: Without Walls, Ageas Salisbury International Arts Festival and Merchant City Festival Glasgow
Durata: 30 min – Anno: 2015
Indimenticabile pièce di danza che esplora e svela le molte face della virilità, Of Man And Beast, offre uno sguardo sensibile e potente al comportamento e alle dinamiche di gruppo tra uomini.
La spavalderia e l’aggressività riempiono i diversi scenari, perché se vuoi far parte di una gang devi essere forte, veloce e divertente. Il cambiamento della scala gerarchica porta ad una rottura del gruppo e subito, i protagonisti sono chiamati ad interrogarsi sulle proprie identità individuali, su come adeguarvisi e farle proprie.
Carico e volutamente veloce, lo spettacolo, dal forte carattere innovativo, dimostra lo stile fisico unico della Company Chameleon e il ricco mix di danza e tecnica. La coreografia di Anthony Missen emerge, allo stesso tempo, grezza e raffinata, attraverso l’imponente abilità atletica dei cinque eccezionali performer. A tratti altamente comici, scuri e minacciosi in altri, l’opera è uno specchio emotivo e provocatorio dei nostri tempi
Commissionato da: The Lowry, DanceXchange & Live at LICA.
Trailer https://vimeo.com/132338564
Spellbound contemporary ballet (Roma Italia)
The hesitation day – The divided self
“THE HESITATION DAY”
Coreografia Mauro Astolfi
Musica Norn Amon Tobin
Disegno Luci Marco Policastro
Interpreti Fabio Cavallo Giovanni La Rocca Mario Laterza Giacomo Todeschi
Una produzione Spellbound realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, in collaborazione con The Egg-Albany-NY/USA
The Hesitation day, una produzione Spellbound con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo in collaborazione con The Egg/Albany di NY, ha debuttato in prima mondiale il 23 ottobre 2015 al The Egg/Albany di NY, con la coreografia Mauro Astolfi, musica di Norn, Amon Tobin e il disegno Luci Marco Policastro.
“È quel giorno, quel momento dove c’è una sospensione temporanea di un’azione, di un pensiero o di un giudizio. In realtà è un momento prezioso, quasi un reset dove ricordare cosa vogliamo portare di noi nel mondo esterno. L’altro significato di “esitare” è di trasportare qualcosa, di farlo arrivare a destinazione proprio questo doppio e apparentemente opposto significato della parola ha innescato questo lavoro a volte il non sapersi (apparentemente) decidere, sta comunque portando delle nostre informazioni da qualche parte e, di certo, qualcuno le avrà qualcuno ci comprenderà. Ma per molti rimarremo illeggibili e indecifrabili, per tutti quelli che sapranno leggere solo il movimento continuo e non tutto che è subito prima e subito dopo l’azione.”
Studio: https://vimeo.com/143480005
PRIMA REGIONALE
THE DIVIDED SELF
Coreografia Mauro Astolfi
Interpreti Serena Zaccagnini, Maria Cossu
Musica Rival Consoles Oto Hiax Nils Frahm Òlafur Arnalds
Una produzione Spellbound, prima assoluta Vitebsk Festival of Modern choreography, novembre 2015.
“The Divided self descrive alcuni gradi della difficolta’e della limitazione della liberta’ che inevitabilmente impone la presenza di qualcuno vicino a noi.
Cambia tutto quando non si devono spiegazioni del nostro modo d’essere, tutto’ scorre’ diversamente …cosi come è bello avere qualcuno con cui condividere…è altrettanto bello sentire il proprio silenzio e trasformarlo in azione.”
Questo duetto al femminile, inizialmente creato per due allieve dei corsi professionali del Daf Dance Arts Faculty di Roma ha debuttato il 21 novembre 2015 in Bielorussia a Vitebsk nell’ambito dell’international Festival of Modern Dance e si inserisce in un percorso di piccole creazioni e progetti volti a creare un trampolino di lancio e un avvio professionali ai migliori talenti cresciuti nelle fila del Daf di Roma sotto l’egida produttiva di Spellbound Contemporary Ballet.
La creazione è poi passata al repertorio della compagnia principale dal 2017.
Biglietteria:
Intero € 18,00
Ridotto over 65 e studenti € 13,00
Servizio di prenotazione € 1,00 a biglietto
Abbonamento speciale Festival Internazionale 5 spettacoli 50,00 euro
TEATRO VASCELLO
via Giacinto Carini, 78 – 00152 Roma
Tel. 06.5881021/06.5898031
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Coop. La Fabbrica dell’Attore – Onlus
Banca Intesa San Paolo c/c n. 3842 Iban IT89V0306905078100000003842
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Un report da POETICHE E PRATICHE – RESIDENZA ZERO ARTISTI/OPERATORI
Sabato 13 luglio all’Arboreto si è tenuto un incontro dal titolo “Poetiche e Pratiche. Numero Zero”, una vera e propria prova aperta, dopo la settimana trascorsa dal gruppo nanou, Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, in residenza con Domenico Garofalo, distribuzione, e Michele Mele, art menager, al Teatro Dimora di Mondaino. Fabio Biondi | L’arboreto ha dato il via ai lavori partendo dalla questione che ha innescato la necessità dell’incontro: quali sono i limiti e le connessioni reciproche tra processo creativo e processo organizzativo? Come possono i curatori di progetti artistici, nel rispetto dei ruoli, entrare nel processo creativo? Può l’autorialità del curatore entrare nel processo creativo dell’artista? Il primo pensiero, guardando alla situazione italiana dove l’artista un po’ per tradizione un po’ per la scarsezza di economie è più spesso anche organizzatore di sè stesso, è andato al ruolo di Sandra Angelini, curatrice dei Motus e parte fondante della poetica della compagnia. L’incontro nasce per provare a vedere insieme un orizzonte di possibilità per un dialogo costruttivo tra artisti e curatori. Michele Mele | art menager, uno degli ideatori del tavolo di discussione, insieme a Domenico Garofalo e al gruppo nanou, ha condiviso una premessa
Artisti e organizzatori condividono esigenze e obiettivi alla ricerca, alla produzione, alla promozione e alla gestione della loro attività. Con la riduzione di risorse e spazi, soprattutto in Italia e nell’ambito del contemporaneo, gli artisti devono sempre più spesso occuparsi di organizzazione, confrontarsi con budget di produzione e necessità promozionali, nonché con buste paga e rendiconti; allo stesso tempo e, a volte proprio per questo, agli organizzatori è richiesto di porsi anche in una prospettiva artistica, intercettare varie esigenze e saperle leggere, raccontare, promuovere.
e alcune domande. Quella cruciale da cui ripartire, dopo aver rintracciato nelle parole di Mimma Gallina una traccia nella pratica storica, è a che punto siamo arrivati oggi? Partendo dal suo percorso con gruppo nanou Michele racconta il progetto ULTRAS e di come si sono posti in un’ottica di scambio e formazione condividendo delle pratiche artistiche di cura e creazione. Capire e condividere un processo creativo, una poetica artistica, significa anche poi saper raccontare al meglio un progetto. Le domande dalle quali partire sono tre:
1. In questa dinamica, funzionale e preziosa, qual è il crinale invalicabile tra il ruolo dell’artista e quello dell’organizzazione?
2. La curatela artistica ricopre una importante funzione nel promuovere nuovi linguaggi e nell’individuare e immaginare con gli artisti i loro percorso. Il mercato inoltre tende a influenzare la proposta creativa e può rappresentare un limite allo sviluppo di una poetica. Quali strumenti si possono mettere in campo per sviluppare in modo virtuoso questo confronto?
3. L’incontro di oggi risponde alla percezione di un vuoto nella trasmissione del sapere e delle pratiche in un contesto dove anche a livello formativo è difficile orientarsi. Quali strumenti reputi indispensabili per incrementare il dialogo tra organizzatori e artisti in una prospettiva intergenerazionale?
Marco Valerio Amico | gruppo nanou è partito da un ascolto – un audio su Per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor [1] di Antonio Neiwiller – e da un invito a prendersi il tempo, afferrarlo, riflettere e sgomberare la mente dai pensieri. Per farlo ci invita, seguendo delle precise regole, a entrare e stare in teatro. Dopo l’esperienza immersiva in sala Marco riprende il discorso raccontando come le buone pratiche di alcuni gruppi, cita la Societas Raffaello Sanzio della Tragedia Endogonidia e il sodalizio Teatro delle Albe-Marcella Nonni, siano l’ispirazione per far si che incidenti creativi tra “organizzatori-curatori” e “artisti” accadano. Come attivare e creare il terreno fertile per dialoghi di questo tipo? Claudio Angelini | Ipercorpo si inserisce domandando – provocatoriamente – cosa faccia il curatore in ambito teatrale: chi è il curatore? Edoardo Donatini | Contemporanea Festival Prato prende la parola e si chiede a sua volta perché oggi ci si ponga questo problema. Da sempre il dialogo, la condivisione di pratiche e poetiche, lavoro di cura e affiancamento, è alla base del rapporto autoriale curatore-artista. fa l’esempio del “Teatro dei gruppi” anni 70/80: in quel periodo una compagnia era autoriale in tutte le sue parti, nessuno era separato, i ruoli erano permeabili e l’organizzazione era dentro l’opera, c’era totale complementarietà. Poi cita il Teatro Ragazzi delle origini, un contesto dove si creavano personalità multiple – cita Marco Baliani nel ruolo di artista, curatore, politico culturale. Oggi la dimensione è cambiata. Perché le compagnie cercano organizzatori? Forse, bisognerebbe fare una precisa analisi di quello che è stato e vedere cosa c’è oggi? Poi cita Fabio Biondi e la sua regia al Teatro di Mondaino per sottolineare come gli autori delle opere creino le funzioni dell’opera stessa. Bisogna avere un’anima che ti porta ha dare forza al progetto ma anche conoscere tutto, il palcoscenico per esempio con tutte le sue regole, l’amministrazione, e tanto alto. Domenico Garofalo | organizzazione in formazione dentro progetto ULTRAS racconta come sia difficile oggi creare una situazione di incontro e un’esperienza dentro i gruppi. Sente la necessità di trovare dei maestri. Per farlo bisogna frequentare luoghi dove si possano generare questi incontri ma non è così facile trovarli. Claudio Angelini si aggancia chiedendosi perché le compagnie oggi non trovano o non riconoscono organizzatori-curatori: cosa stano facendo le condizioni di noi oggi? Ci sono dialoghi e contaminazioni, ci sono artisti che si uniscono per unire le forze e le economie, c’è una parte molto più tecnico-amministrativa ma necessaria dell’organizzazione che vive in un mondo più fluido. È possibile creare un sistema di formazione o si fa solo per esperienza o caso? Michele Mele aggiunge un’altra questione: in che modo possiamo strutturare un percorso formativo? Avrebbe senso? Come far abitare insieme due pratiche artistiche diverse? Sottolinea come gli esempi portati di buone pratiche da Marco Valerio Amico facciano riferimento a comunità di artisti dove la dimensione tempo è fondamentale, ci vuole tempo per costruire un artista e ci vuole tempo per costruire il processo creativo di un’opera. Ci può essere la possibilità di creare un luogo e un tempo dove l’incontro di comunità può avvenire? Marco Valerio Amico prosegue portando l’esempio dell’Università di Bologna che forma organizzatori ma non dialoga con le compagnie. Quello che manca è forse la possibilità di un incontro, serve creare delle condizioni. Fabio Biondi si chiede se sia possibile pensare a un luogo di connessioni e dialoghi; gli artisti cercano una curatela, un tutoraggio. Come un luogo (festival, teatro, compagnia, residenza) può far incontrare curatore e artista? Ci sono degli ingredienti che fanno si che la funzione avvenga? Interviene Roberta Nicolai | Teatri di Vetro: quale figura è necessario mettere in campo nel presente-futuro? Bisogna tentare di immaginare, conoscendo il contesto economico e normativo, un’identità futura dell’organizzatore. Il curatore è colui che riesce a immaginare il futuro. Ad oggi la figura dell’organizzatore e dell’operatore, per un’evoluzione del sistema e del panorama artistico, serve che venga rilanciata in una dimensione diversa. Cita Agamben che parla del duplice significato del verbo poien – creare, fare. È nel fare che si trova la parola comune. Poi sottolinea quale sia il punto centrale sul quale invitare le figure a una condivisione. Dice che c’è una zona che sta nel nostro fare comune che ognuno coltiva e che sembra una traiettoria pratica e estetica del nostro futuro: il non fare. Contro l’appiattimento dell’esistenza del piano organizzativo molti soggetti si sottraggono al fare e si gettano nella riflessione. Noi, come curatori, coltiviamo la zona di inoperatività che è l’unica cifra da spendere anche sul piano estetico. Noi non programmiamo più opere ma operazioni. Dobbiamo farci edera che protegge l’albero. Lorenzo Conti | Dancehouse Milano dice che bisogna uscire dalle proprie solitudini e condividere strumenti operativi: farsi soggetti plurali. Fabio Biondi aggiunge che si potrebbe pensare a una residenza per curatori-organizzatori-operatori: come lavora, come si aggiorna, come scarta? Ragionare su un tempo, trovare un ambiente fecondo per stare insieme e creare un cortocircuito. Patrizio Cenacchi | ATER dice che bisogna ripristinare una zona di emancipazione e dialogo tra teoria, pratica e politica. Si deve trovare il modo per dare un appoggio e un supporto per facilitare le partiche. Bisogna rigenerare i contesti, relazionarsi al territorio, far si che sia poroso (amministrazioni, politica…) – cita l’esempio di Elena Di Gioia e del terreno fertile che ha creato grazie al suo fare. Claudio Angelini fa l’esempio di un grande curatore d’arte, Davide Ferri, e sottolinea come sia necessario oggi creare un percorso di ascolto con gli artisti. Roberta Nicolai prosegue su questo discorso e sottolinea che la caratteristica principale del curatore sta nel saper trovare i pilastri di un’opera e far si che diventi coerente. Deve saper leggere la materia viva con tutti gli elementi che mette in campo, quindi per prima cosa un curatore dovrebbe imparare a leggere, imparare a guardare per capire cosa sta accadendo e dove sta andando a parare un processo creativo. In tre parole un curatore deve: vedere, comprendere, innamorarsi.
La lunga mattinata di dialogo si chiude su questo invito. Il terreno ora è più fertile e ricco di nuove domande che si sono aperte.
[1] È tempo di mettersi in ascolto.
È tempo di fare silenzio dentro di sé.
È tempo di essere mobili e leggeri,
di alleggerirsi per mettersi in cammino.
È tempo di convivere con le macerie e
l’orrore, per trovare un senso.
Tra non molto, anche i mediocri lo
diranno.
Ma io parlo di strade più impervie,
di impegni più rischiosi,
di atti meditati in solitudine.
L’unica morale possibile
è quella che puoi trovare,
giorno per giorno
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se solo tu ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti,
mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo,
una condizione,
un’avventura,
un processo di liberazione,
una fatica,
un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda
della propria arte.
Luoghi visibili
e luoghi invisibili,
luoghi reali
e luoghi immaginari
popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è merce
e la sua legge sarà
sempre pronta a cancellare
il lavoro di
chi ha trovato radici
e guarda lontano.
Il passato e il futuro
non esistono nell’eterno presente
del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora
dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dall’oppressione
e riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto,
da solo diventa sordo.
Un’arte clandestina
per mantenersi aperti,
essere in viaggio ma
lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno, di fare la mappa
di questo itinerario,
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo
per trovare un nuovo inizio.
È tempo che l’arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione.
È tempo che esca dal tempo astratto
del mercato,
per ricostruire
il tempo umano dell’espressione necessaria.
Bisogna inventare.
Una stalla può diventare
un tempio e
restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un’idea,
potranno salvarci
ma solo una relazione vitale.
Ci vuole
un altro sguardo
per dare senso a ciò
che barbaramente muore ogni giorno
omologandosi.
E come dice il maestro:
«Tutto ricordare.
Tutto dimenticare».
Per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor, Antonio Neiwiller, maggio 1993.
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