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#grisaglia
mennatotedesco · 2 years
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Sempre lavori in corso si parte per un altro viaggio #wip #figurazioneitaliana #artgallerylondon #arteitaliana #pitturacontemporanea #allaprima #grisaglia #camicoadanotte #pittoriUnitiDitalia #disuniti #artsy #artcollector #arteatelier #artdealer #artconsultant che non #consultant #iovadoavanticolmio #mennatotedesco #figurativepainting #portraiture #oiloncanvas #rughechecontano #artgrab #figurativeartist #italianpainter #italianartgallery #fineart #studio https://www.instagram.com/p/CeO8MGxIoTG/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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teenagedirtstache · 1 year
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abito in grisaglia a quadri e camicia, Giorgio Armani. Scarpe John Lobb
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paolochermaz · 2 years
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Il mio taglio di abito preferito, piccoli dettagli, come il rever più largo, sottolineato da una doppia impuntura a mano ferma, la spalla montata in diagonale per sostenere tutta la giacca senza inutili strutture. Ma soprattutto un tessuto superlativo, una grisaglia di lana effetto denim, versatile e scattante. Formale, ma con uno stile decisamente innovativo. La bandana per le occasioni meno formali è irrinunciabile. . #milifestyle #gentlemanstyle #gentleman #pinolerario #suit #tagliatore #paolochermaz (presso Rome, Italy) https://www.instagram.com/p/CdviMYFKSWM/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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fuckthevar · 6 months
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per terrorizzare la gente stasera potreste travestirvi da Juve in trasferta a Sassuolo o da terzino più ipodotato di tutti i tempi: dal canto mio, per non scucire altri 200 € allo store, indosserò una bella grisaglia e farò l'avvocato che ha patteggiato con Chiné #Halloween
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maxfabricz · 2 years
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Batavia 2|2, ABAB|abab
Anche in questa variante sia i fili di trama ache quelli di ordito si alternano in colore. L’effetto è quello di righe alternate chiare e scure, che, osservando da vicino, sembrano piccoli zig-zag.
Questa armatura è  una di quelle utilizzata per la grisaglia e per il tessuto pick-and-pick (detto anche sharkskin, ovvero pelle di squalo), con due colori diversi, uno chiaro e l’altro scuro.
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marialuciacastro · 3 years
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#grisaglia #grisagliaesmalti #pettirosso #melograno #glassart #glasspainting #marialuciacastro1960 #artistpainting (presso Arte & Creatività) https://www.instagram.com/p/CPJwXZ8rNrM/?utm_medium=tumblr
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sartoriaciardi · 7 years
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Double- breasted #grisaglia #bespoke #omast #sartorial #sartoriaciardi #ciardi #styleicon #style #lasartorianonfamodamafastoria
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chez-mimich · 3 years
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STATE ATTENTI A CHI FREQUENTATE DA BAMBINI
I responsabili della mia situazione economica attuale sono stati due bambini della case operaie del cotonificio Olcese di Novara. Si chiamavano (e spero si chiamino ancora), Bergantin Ivano e Baraban Riccardo (prima cognome poi nome, come da registro scolastico). Era il 1965 ed io frequentavo la prima elementare presso la scuola Giuseppe Rigutini di via De Amicis (sì, proprio lui Edmondo De Amicis, autore del libro “Cuore” in cui questa mia storia potrebbe trovare posto). Bergantin Ivano e Baraban Riccardo, condividevano un gioco; Io non possedevo molti giocattoli e quindi quando venivo invitato a casa di qualche altro bambino, non dico ricco, ma meno povero, per me era una festa. In un cupo giorno di ottobre (i giorni autunnali erano quasi tutti cupi, non era epoca di surriscaldamento globale), fui invitato dalla mamma di Bergantin Ivano a giocare a casa sua. Una volta arrivato e salite le lugubri scale della vecchia casa di ringhiera, per terra in cucina ecco la meraviglia delle meraviglie: un gioco in scatola. Bergantin Ivano e Baraban Riccardo non mi si filarono “manco de pezza” come si dice a Roma. Io mi accucciai accanto a loro sulle piastrelle di grisaglia fredde come il ghiaccio e cominciai a guardare. Nessuno dei due compagni volle spiegarmi quali erano le regole del gioco, a cosa servissero tutte quelle tesserine, quelle casette verdi e quegli alberghi rossi. Nessuno dei due mi spiegò che una casa in Viale Traiano valeva di più che una di Viale Monte Rosa, nessuno mi spiegò delle ventimila lire da ritirare senza passare dal via. Al Monopoli, vincevano sempre loro. E così poi si ritrovarono a fare la Bocconi e a diventare dottori commercialisti, mentre io frequentai il liceo artistico. State attenti alle amicizie infantili, vi possono segnare per tutta la vita…
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yoshimihasegawa · 3 years
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#Repost @liveranoandliverano with @make_repost ・・・ Midnight Blue Sharkskin Single Breasted Suit “Grisaglia”, better known as sharkskin, is characterized by its two-toned weave of different colored warp and weft which creates an unmistakable zigzag effect – a perfect touch to make a plain suit a bit more unique. This suit is made in a @vitalebarberiscanonico1663 one that comes in a dark midnight blue with a subtle sheen, which is ideal for formal situations. The perfect three-season suit that should be part of the backbone of every man’s wardrobe. https://www.instagram.com/p/CQ_61MnLIWQ/?utm_medium=tumblr
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corallorosso · 3 years
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Che cosa ha portato alla luce quel 13 febbraio Ci voleva così tanto per capire da che parte stavano realmente queste quinte colonne che ci hanno rintronato pontificando di “democrazia normale”, di “competenza” o di “ritorno alla responsabilità”, mentre allestivano le trappole in cui far cadere i timidi tentativi di frenare l’eterno dominio degli amici degli amici; mentre scavavano la fossa in cui precipitare e seppellire l’intollerabile critica – ovviamente criminalizzata come “populistica” – del privilegio spudorato e cinico? I Massimo Giannini e le Concita De Gregorio, così indignati per “i troppi errori” del premier alla guida del governo giallorosa. E se gli chiedi quali sono in concreto questi errori ribaditi apoditticamente, farfugliano di mancato rispetto di timing previsti per le conferenze stampa serali o altre risibile quisquilie provocatoriamente strumentali. Si capisce perché Lilli Gruber ci propina sistematicamente la presenza buonistica del Gandhi all’amatriciana Walter Veltroni, quello che ha disarmato unilateralmente ogni forma di resistenza alla tracotanza del berlusconismo (edulcorandone l’artefice nella contorta perifrasi “leader del principale schieramento avversario”) in una sorta di francescanesimo dolciastro: offrire l’altra guancia agli sganassoni dell’avversario. Quella Destra che ne ha approfittato subito per massacrare la nostra Costituzione democratica di matrice antifascista e dilagare nel Paese. Era tanto difficile smascherare i reali intenti di penne al lavoro nelle testate reazionarie; le imbarazzate acrobazie di un Alessandro Sallusti per accreditarsi come commentatore distaccato, mentre vellica le pulsioni revansciste del proprio audience forcaiolo? Ormai dovremmo aver capito che tutti questi personaggi non chiedono altro che la propria cooptazione, magari solo uno strapuntino, nel sistema di potere bipartisan che è venuto consolidandosi alla fine della stagione welfariana; e sorgeva l’alba dei più biechi regolamenti di conti da parte di chi “non aveva imparato niente, non aveva dimenticato niente”. Un sistema che non tollera il benché minimo uso critico della ragione, in quanto sovversivo. Sicché sembrerebbe palese il motivo per cui, accompagnato da cori gregoriani che ne tessono le lodi celesti, il silente Mario Draghi è stato tratto dall’urna umbra in cui era conservato; in attesa del momento in cui ascendere alla carica di presidente della Repubblica. Per riportare indietro di quattro decenni le lancette della storia a favore di ben precisi interessi. Come risulta dal bestiario imbarazzante del governo dei “migliori”, arricchito dalla seconda ondata di sottosegretari misurati sul metro Cencelli. Come si evince dai consigliori che accompagnano il mellifluo banchiere, in perenne grisaglia scura, da cerimonia nunziale. In primis il Brambilla che ha sciacquato i panni nel Potomac. L’iperliberista Franco Giavazzi, propugnatore della messa in salamoia dell’intervento pubblico in economia per favorire il più sfrenato privatismo. Quell’interesse privato, fisiologicamente orientato alla speculazione, oggi in stato di totale fibrillazione per l’arrivo di una montagna di euro da Bruxelles. Infine, nel breve periodo in cui durerà l’effetto demistificazione (attraverso la finestra aperta il 13 febbraio scorso sui reali intenti del golpe bianco), potremmo liberarci finalmente dell’equivoco Beppe Grillo; il pifferaio che ha giocato a fare il capopopolo virando l’indignazione a gag e allestendo un carro di Tespi chiamato Movimento. Mentre nessuno pareva accorgersi della sua intrinseca natura di borghese piccolo, piccolo; affascinato dalla frequentazione dei potenti. Magari le telefonate con Draghi. L’estasi da parvenu che gli ha fatto scambiare Roberto Cingolani per lo zar dell’ambiente. Il tipo che pretendeva di “tirare il pacco” chiamato ministero della Transizione ecologica riempiendolo di renziani e confindustriali. di Pierfranco Pellizzetti
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mennatotedesco · 2 years
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Pomeriggi di primavera in studio aspettando le rondini #texture #sfondo tela al cavalletto #artefigurativa #oiloncanvas #figurativepainting #artecontemporanea #pittoriUnitiDitalia #workinprogress #oliosutela #dettaglio #grisaglia #allaprima #studiopainting #pitturaitaliana #artgalleryparis #vitadapittore #saatchiartgallery #londonartscene #contemporarypainting #artmall #bidgala #torontoartgallery #tempera #oliodipapavero #turpentinepainting #cottoncanvas #artmajeur #fineart #portraiture #nudeart https://www.instagram.com/p/CcQj6Qfsy1D/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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teenagedirtstache · 2 years
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gilet-piumino con zip e tasche inserite, Armani Jeans; su completo doppiopetto in grisaglia antracite, camicia con colletto appuntinto e cravatta a righe serrate: tutto Giorgio Armani
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sixteensaltines · 3 years
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Dialogo tra Alessandro Borghi e Alessandro Michele.
Alessandro Borghi: Vorrei cominciare parlando dell’origine di Alessandro Michele, non come professionista ma come essere umano, qualche ricordo che hai della tua infanzia, legato a un’immagine. A me succede molto spesso di avere dei flash di me stesso da bambino, con mia madre che mi mette una coperta addosso piuttosto che un albero della casa in campagna. A te?
Alessandro Michele: Ho un ricordo bellissimo, particolarmente nitido, di me bambino, credo che facessi la prima elementare o qualcosa del genere, forse l’ultimo anno dell’asilo, vivevamo a Monte Sacro Vecchio. In una giornata sai di quelle romane – Roma secondo me ha di quelle giornate primaverili, di quelle situazioni climatiche che alle volte sono come delle benedizioni divine e tu percepisci di essere un privilegiato. Io già da bambino questa cosa la sentivo, e c’è un momento che infatti mi torna alla mente in maniera nitida, quando vedo quelle giornate: uscivo da scuola, una scuola cattolica vicino casa, credo mi fossero venute a prendere le gemelle, mia mamma e sua sorella, vivevamo in due appartamenti comunicanti all’epoca. Io torno con il panierino porta pranzo di quando ero piccolo. Mi ricordo questa giornata di sole, era già iniziata la primavera, e io avevo sempre voglia di scoprirmi, andavo sempre da mia madre tutto mezzo nudo perché mi toglievo maglie e magliettine. Esco e trovo le gemelle, che erano spesso vestite uguali solo in variante di colore, sedute a un tavolo che prendevano il caffè e ridevano tantissimo, con questa luce pazzesca, ed è un’immagine che mi è rimasta in testa. Un’immagine di donne, quanto fossero complici. In verità la vera famiglia erano loro due, era un matriarcato, i maschi erano completamente soggiogati da queste due maghe Circe, ma anche io eh! Mi ricordo il sole, le vedo tutte e due con questo chemisier, una in rosa e una in celeste, che ridevano come delle pazze. È un’immagine che mi è rimasta, l’immagine che dice che la vita è stare a fare delle chiacchiere a un bar, in una giornata di sole, tanto siamo destinati meravigliosamente a morire, e siamo meravigliosamente vivi. Io da bambino sono stato molto felice, in una famiglia allargata, formata da due mamme, da vari uomini e da una cugina che era una sorella. Forse mi è rimasta impressa questa immagine perché, come dico sempre, io sono un cuor contento.
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AB. Poi, a un certo punto, hai deciso di andartene. Lo hai fatto perché avevi realmente la percezione che restando lì non avresti potuto raggiungere quello che avevi in testa, o è stata una cosa dettata da altre necessità? E soprattutto, a un certo punto, quanto è stato importante ritornare? Cioè, quanto è importante andarsene e quanto poi ritornare da dove si è partiti, quando invece si potrebbe sopravvivere altrove?
AM. Io avevo due motivi per andare. Uno, è che sentivo di essere un bambino speciale. Poi ce ne saranno tanti di bambini speciali, probabilmente lo siamo stati tutti, ma sentivo che dal posto dove stavo, crescendo, dovevo allontanarmi. È stato un allontanamento dal quale non ho potuto esimermi, l’essere diverso in quegli ambienti lì delle periferie romane è difficile, da un lato c’era una grande umanità, perché ho incontrato anche delle persone meravigliose, oserei dire anche dei maschi alfa meravigliosi, che mi avevano già capito, ma non tutti avevano questa apertura. Il secondo motivo è che io ero un sognatore. Ho sognato finché ho potuto, poi i sogni non erano più sufficienti, dovevo concretizzarli, e quindi ho fatto la valigia. È stato difficile andare via. Ero abbastanza giovane, me ne sono andato in un’altra città e ci sono stato finché ho potuto. Poi una volta che ti sei formato spesso avverti la necessità di ritrovare i luoghi a cui sei appartenuto. Adesso ogni tanto sento un gran bisogno di parlare con un cugino, di ritrovare una strada. Sai cos’è? Credo sia capitato anche a te: quando la tua persona si comincia a spezzettare in un milione di frammenti, diventi un po’ popolare e molti sanno chi sei, il tuo cognome e il tuo nome messi insieme quasi si svalorizzano, non hanno più senso. Non sei più solo Alessandro. Ma Alessandro è stato Alessandro che era sotto casa a giocare a basket, poi Alessandro è diventato Alessandro Michele, un nome che detto così quasi se ne vola via. Allora tornare da dove vengo mi serve a riafferrare questo nome. Io sono Ale, sono Alessandro, sono stato un ragazzino, il mio nome l’ha scelto mio padre, capito?
AB. Ti capisco. Io vivo ancora nel quartiere dove sono cresciuto, camminando è un continuo susseguirsi di “questa è la strada che facevo per andare a scuola”, “questo è il posto dove ho incontrato…”, tutto mi riporta subito in una dimensione che aiuta tantissimo a ricordarmi da dove sono venuto e chi era Alessandro, appunto, che nel mio caso giocava a calcetto alla parrocchia. Mi piace moltissimo ricollegare a te l’idea delle immagini, condividiamo una relazione con il cinema che è imprescindibile, per me perché è diventato con gli anni il mio lavoro, per te perché mi sembra sia sempre più una parte fondamentale del tuo modo di raccontare quello che fai. Ma del cinema parliamo dopo. Mi dici prima se c’è un incontro che ha cambiato la tua percezione delle cose?
AM. Ne citerei due. Uno è stato quello con Giulio Argan, lo storico dell’arte, conosciuto quando frequentavo il liceo. È venuto a parlare a scuola, io sono stato sempre un grande appassionato d’arte, la mia passione per l’immagine è nata da bambino, credo, ma quando ho sentito parlare Argan, quello che gli ho sentito dire quel giorno, mi ha affascinato totalmente. Uscii da scuola pensando che quella cosa chiamata arte era di fatto una forma di religione; un incontro fondamentale. L’altro che citerei è Piero Tosi, il grande costumista. Incontrandolo, ho capito la gentilezza della passione, la bellezza e la semplicità della complicazione di essere. Lui era una persona complessa, deve aver avuto una testa incredibile, ma aveva un cuore così gentile. Ero un ragazzino, mi ricordo che arrivò questo piccolo uomo elegantissimo, con questa giacca di grisaglia che guardava noi giovanissimi che eravamo nella sala, io mi sono emozionato, gli ho dato anche la mano. Da adulto poi l’ho conosciuto, sono andato a casa sua a prendere un caffè, lui è morto l’anno dopo. Tosi è stato quello che mi ha fatto capire che i vestiti erano importanti perché dentro c’era l’umano. I vestiti, senza quel mucchio di atomi e di cellule che siamo noi, non hanno senso di esistere. Da lì ho iniziato a capire che relazione strettissima c’era tra loro e chi li indossava, la forma che conteneva quell’umanità. Sono cresciuto con una mamma cinematografara, avrò visto La rosa tatuata cento volte, I soliti ignoti pure, credo di saperli a memoria. I ragazzini vedevano Jeeg Robot, io vedevo la Magnani. Mamma sognava un pezzo di vita attraverso i film, praticamente ha fatto la psicanalisi con il cinema, le ha riempito tutti quei vuoti. Diciamo che io, crescendo, ho messo un piede in quel mondo, ma attraverso i vestiti. Poi, che ti devo dire, ho conosciuto tante persone che mi hanno fatto cambiare idea, ancora oggi conosco delle persone che mi fanno cambiare idea. Sono un chiacchierone, ma lo sono perché mi piacciono anche le chiacchiere degli altri. E ne sono influenzato, continuamente. Mi auguro di continuare ad esserlo, da quello che succede, dalle persone che incontro, dai caffè che prendo, dalle cene e dai pranzi. Tipo da questa nostra chiacchierata, come dalla prima che abbiamo fatto dopo che avevo visto un tuo film. Gli incontri che ho fatto mi hanno cambiato la vita.
«È un’immagine che mi è rimasta, l’immagine che dice che la vita è stare a fare delle chiacchiere a un bar, in una giornata di sole, tanto siamo destinati meravigliosamente a morire, e siamo meravigliosamente vivi»
AB. C’è una cosa che ti imbarazza?
AM. Come si dice a Monte Sacro Vecchio, mi imbarazza quando mi mettono in mezzo. Ho ancora un problema col fatto di essere al centro dell’attenzione, è l’unica cosa del mio lavoro che mi ha imbarazzato e che mi imbarazza tuttora. Per il resto non ho grandi problemi a riguardo, sono autoironico, non ho paura di risultare ridicolo, sono uno che si mette in gioco. In più ho la fortuna di aver imparato a non temere di sbagliare. Anzi, ci tengo molto ai miei errori, me li voglio coccolare, me li voglio permettere.
AB. Capisco. Mi piace molto parlare con te perché alcune volte mi sembra di sentire me stesso. Quando inizi un percorso, c’è questa ossessione di voler fare le cose per forza meglio degli altri. Poi ti rendi conto di dover far pace col fatto di essere te stesso, e cominciare a preoccuparti di meno, di non voler per forza ricercare la perfezione, accogliendo gli errori come una fase necessaria. Senti, hai mai pensato di cambiare lavoro o percorso? Cosa faresti se ora non fossi Alessandro Michele?
AM. Ultimamente sono appassionato di terra. Mi piace molto la terra, sento molto il richiamo della campagna, quindi ho restipulato un grande accordo con la natura e con il mondo rurale, che poi è il mondo da dove vengo. Potrei dedicarmici, ma credo che adesso forse la cosa che farei se non facessi questo lavoro, sarebbe il cinema. Ho fatto da poco questo esperimento con Gus Van Sant, la co-regia con lui di “Ouverture of Something That Never Ended”, la serie con cui abbiamo presentato la nuova collezione di Gucci. Ovviamente l’ho fatto in punta di piedi, lui è un grandissimo visionario, e quindi io mi sono messo in un angolo, anche solo per dialogare e permettermi di dire le cose che vedevo in modo diverso; averle condivise con lui per me è stato un grande esperimento. Alla fine ho fatto il garzone di Gus Van Sant, però intanto ho un po’ spiato, e ho capito quanto mi piacciono queste immagini in movimento, portarle a un’altra frequenza rispetto a quanto faccio di solito – io ho sempre lavorato con Glen Luchford su video musicali, dove c’era una narrativa diversa. Avendo adesso rallentato il ritmo delle immagini, avendo provato la poesia della telecamera, ti direi che io un esperimento nel cinema, anche solo per farmi dare dell’asino, se non avessi da fare, lo proverei. Gioco in casa con te, lo so, ma il cinema ha davvero qualcosa di misterioso e di affascinante. Mi ci metterei anche solo per permettermi il lusso di averci provato. Sarà che esco da un mare magnum di immagini, giorni e giorni entrando e uscendo dal van col monitor, al freddo, per strada. Faticosissimo, fra l’altro. Non avevo mai fatto una cosa così faticosa. Io mi chiedo te, voi, come fate. Ho pensato a tutti gli amici attori, che vita. Stimo moltissimo chi riesce a fare e produrre questa cosa che è il cinema, una macchina veramente impressionante.
AB. Credo che l’unica cosa che ti consenta di farlo in una determinata maniera sia la necessità che hai di raccontare quella storia. Quanta voglia hai di portare a termine questo racconto? Tutto dipende da questo, perché sennò al primo freddo, alle prime tredici ore di set, al primo bagno nell’acqua gelata, sembrerà sempre di non avere abbastanza in cambio. Senti, visto che siamo in tema, prendiamoci un attimo per parlare meglio di questo progetto con Gus Van Sant.
AM. Lo dicevi prima, sento il bisogno di raccontare, sono figlio di un raccontatore, mio papà, credo sia una cosa importante. Nasce da questo l’idea, ma è una gestazione che è durata anni. Ci sta poi che la pandemia mi abbia portato a riflessioni di altro tipo, abbia accelerato un processo, ma era un po’ che dialogavo con Gus, è stato una grande icona della mia giovinezza. A un certo punto mi ricordo di aver pensato: “Chissà dov’è e cosa fa”, e così l’ho cercato e abbiamo iniziato una conversazione. Tutto è nato perché ho immaginato di raccontare quello che chiamo il pellegrinare dei vestiti, la storia dell’umano che li indossa, il tempo che passa lento. Stando fermo, poi, ho scoperto come è bella la routine, come sono belli i gesti di quando camminiamo, di quando ci alziamo la mattina, le cose lente che facciamo tutti i giorni. Ho rallentato tutto, anche le persone; è un racconto dove non succede niente. L’idea è nata da me, quella di seguire una persona e le cose che le acca- dono e che non per forza portano a qualcosa. Al contrario di quello che succede nel cinema, che invece ha la necessità di arrivare a un punto. Ho preso il format meraviglioso delle serie televisive, e l’ho interpretato a modo mio, ma con Gus Van Sant, che già abbracciava un po’ questa mia maniera di vedere le cose, ho chiamato lui per quello. In questa storia c’è dentro un pezzo di vita apparentemente congelato, è un po’ come io sto vivendo questo momento, un respiro di sollievo nonostante ci sia un’oppressione, ho pensato a quante piccole cose succedono apparentemente e involontariamente. La definirei una narrazione poetica di un guardone che osserva una ragazza, e che la fa interagire con dei personaggi in maniera onirica e surreale, dando vita anche a dei dialoghi impossibili, quelli di cui sono piene le nostre vite. Soprattutto, ho utilizzato un po’ di miei amici, essendo fortunato ad aver un bacino largo da cui pescare. Qualcuno la serie la amerà, qualcuno no, io trovo che sia sincera e anche coraggiosa, qualcuno si chiederà cosa abbiamo combinato, cioè probabilmente a Gus Van Sant lo diranno meno, essendosi guadagnato una rispettabilità nel cinema che io sicuramente non ho. Da lui ho scoperto che si può essere grandissimi in una maniera così poeticamente semplice. Nonostante sia chi è, Gus Van Sant ascolta quello che dici, impressionante. Questo è stato il progetto. Sette episodi che sono un inno alla lentezza, una preghiera ai gesti, ai movimenti, alle facce belle, alle facce strane, al cinema che ha sempre decantato l’umano.
«Alessandro è stato Alessandro che era sotto casa a giocare a basket, poi Alessandro è diventato Alessandro Michele, un nome che detto così quasi se ne vola via. Allora tornare da dove vengo mi serve a riafferrare questo nome»
AB. Lentezza che è un po’ la trasfigurazione del momento storico che stiamo vivendo. A proposito di momento storico, siamo in un’epoca in cui, un po’ per la globalizzazione, un po’ per l’esplodere dei social network, tutti possono esprimere la propria opinione su tutto. Io su questo sono molto combattuto: quanto ne abbiamo bisogno davvero? Quanto bisogno c’è di ascoltare le idee di tutti su tutto?
AM. È un pensiero che faccio molto spesso, perché ovviamente a me non interessano le opinioni di tutti. È una cosa umana: a noi interessano alcune opinioni, altre non ci piacciono, non le vorremmo sentire. Quello che penso è che siamo in un periodo di grande transizione, dove ci sono paure enormi. Inconsciamente, non sappiamo se questo pianeta ci sarà, non sappiamo se sopravvivremo, adesso poi siamo tutti chiusi in casa, la morte ci è venuta a bussare alla porta. Io penso che siamo anche un po’ repressi, ci sono state comunità a cui non è stata data voce, persone che sono state invisibili, come se non fossero esistite. Al di là di quello che succede in questi mesi, io credo che stiamo transitando da anni; dall’epoca vittoriana, dalla rivoluzione industriale, ci siamo evoluti certo, ma i modelli e il mondo sono praticamente rimasti gli stessi. Sono partito da così lontano per dirti che, in un momento di grande transizione e incertezza come questo, tutti hanno necessità di parlare. È come durante le rivoluzioni: le persone non hanno parlato per molto tempo, e quindi guai a non dare voce a qualcuno, anche se dice cose profondamente sbagliate, o che non ci piacciono. Questa grande conversazione globale, che ormai avviene sui social network, passa anche attraverso la voce di quello che secondo noi sbaglia, perché per reazione ci porta a formulare pensieri utili, costruttivi. Dobbiamo essere meno egoisti, non dobbiamo parlare per forza solamente con noi e di noi, è un passaggio obbligato di questa transizione. Arriverà probabilmente un momento in cui avremo esaurito questa specie di manifestazione permanente dove tutti vogliono parlare perché prima non potevano. E dobbiamo solo lavorare perché la transizione sia verso un posto migliore. Io sono ottimista, dobbiamo transitare e portare tanta pazienza. Anche per quelli che verranno dopo.
AB. Sai che mi hai quasi convinto.

AM. Sui social io sono stato massacrato, sono stato adorato, e alla fine ho capito che purtroppo, se ci vuoi stare, è cosi. In questa fase non esiste più l’areopago, non è più oligarchica la storia, non è più per pochi. I pochi, noi, che pensavamo di essere i parlanti, in verità siamo bene o male come gli altri. Il tutto andrebbe sicuramente regolamentato, perché poi ci sono dei momenti in cui in cui si scade nella prevaricazione; è ovvio che non va bene l’insulto, non va bene il dire cose gravi e sconvenienti, però è pure vero che se zittisci uno potenzialmente zittisci tutti. Dobbiamo essere molto attenti, sarebbe come dire che siccome in tv o sulla stampa vengono dette anche cose sbagliate, allora chiudiamo la tv e la stampa.
«Sui social io sono stato massacrato, sono stato adorato, e alla fine ho capito che purtroppo, se ci vuoi stare, è così. In questa fase non esiste più l’areopago, non è più oligarchica la storia, non è più per pochi»
AB. Usando una citazione ti dirò che “mi avevi già convinto al ciao”. Torniamo un attimo indietro: prima, quando ti ho fatto la domanda sulle opinioni di tutti, mi hai raccontato la tua visione sull’epoca che stiamo vivendo. Mi viene in mente che, per esempio, ultimamente ho iniziato a interessarmi molto di più a tutta la questione del cambiamento climatico, una cosa che mi spaventa molto. La domanda che mi e che ti faccio, che poi tutte le domande che ti sto facendo sono domande che mi faccio spesso da solo, è questa: quando ti capita di pensare a come sarà il mondo, pensi che sarà inevitabile adattarci o credi ancora fermamente che la volontà del singolo sia essenziale per cambiare il corso delle cose?
AM. Tutte e due. Credo che la volontà del singolo conti sempre in natura: quella di una sola ape contribuisce al futuro di un pezzettino di mondo, di un prato. Quel prato diventa uno spazio più grande, diventa un territorio, uno Stato. Quindi sì, io credo che il singolo, la sua forza, siano l’essenza della politica. Poi è ovvio che ci dobbiamo adattare. Nel senso, a me ieri è andata via la luce a casa; mi sono incazzato da morire, non puoi capire. Oggi avevo una giornata impegnativa, dovevo collegarmi con molte persone nel mondo. Ero nervoso. Va via la luce. Dieci meno venti. La riattaccano alle due di notte. Io con la candela. Stavo finendo di lavorare, dovevo finire di guardare dei sottotitoli.
AB. Comunque è un’immagine estremamente romantica, devo dire!
AM. Mio padre avrebbe ripetuto quel che mi diceva da bambino: «Spegni la luce, non ce n’è bisogno, accendi la candela che sprechi energia». Adattarsi vuol dire questo, rallentare quando è necessario fare un passo indietro. Sta a noi farlo diventare anche una cosa bella: passare un giorno su una coperta a prendere il sole, fare una grande chiacchiera con altri amici, in questo momento ci sembra un adattarci al ribasso rispetto a tutto quello che vorremmo fare, però in sé non è mica una cosa brutta. Se va via il sole accendo una candela, così se un giorno ci sarà richiesto per necessità, di stare un po’ più fermi, sapremo come stare fermi, no? È ovvio che il modo in cui ci siamo dovuti fermare è stato una cosa violentissima, drammatica. Però tu mi hai chiesto se ci si può adattare, beh, io mi sono adattato, tu ti sei adattato. Allora mi viene da pensare che in futuro potremmo cercare di trovare una via di mezzo, potremmo rimetterci in ascolto del pianeta, accarezzarlo un po’, volergli bene. Come fanno gli altri animali, no? Perché abbiamo pensato di essere meglio e abbiamo fatto un disastro. Siamo degli animali folli, i più folli di tutti, e quindi dico che dobbiamo essere bravi ad adattarci, perché l’adattamento sarà meraviglioso. Quando potremo di nuovo passeggiare, camminare, senza la mascherina, tu pensa quanto capiremo di tutta questa storia! Poi singolarmente ognuno di noi dovrà fare dei piccoli gesti, ci dovremo osservare di più; faremo delle cose grandiose, però dobbiamo non essere presuntuosi. Un grande presuntuoso l’abbiamo mandato a casa a novembre, un folle presuntuoso. È stato un grande gesto per tutti, che sposta l’ago della bilancia, per me è un grande punto di ripartenza. Sono molto ottimista perché l’uomo, come tutti gli animali, ha sempre avuto la capacità di trovare nuove strade, e noi questa strada oggi la dobbiamo trovare. E la troveremo.
AB. Adesso ti imbarazzerai per quello che sto per dire, però te la devi prendere e portare a casa. Tu in questi anni hai completamente rimodulato il concetto di bellezza. Lo hai fatto in una maniera talmente elegante, intelligente e profonda che non tutti sono riusciti a capirlo. E questo è il risvolto della medaglia di fare le cose a un certo livello. In un’intervista in un video che c’è su internet e che si può vedere, dici così: «Strano è bello. Più strano sei, più diventi bello». Ed è una cosa che io trovo meravigliosa. C’è stato un momento particolare in cui hai avvertito questa cosa per la prima volta? Magari anche senza poi immaginare che sarebbe stata alla base di tutto quello che stai costruendo in questi anni.
AM. Non lo so. Io ho un rapporto intimo e molto profondo con la bellezza, nel senso che l’ho dovuta cercare anche in posti dove apparentemente non c’era; il luogo dove sono cresciuto viene universalmente bollato come brutto. Eppure ho visto delle grandi bocche che parlavano, delle facce bellissime, delle ragazze che avevano fatto la seconda elementare ma che avevano una cultura della strada meravigliosa, facevano delle battute che sembravano uscite dal cinema, occhi belli; amichette che si schiarivano i capelli, si mettevano l’ossigeno in testa ed erano bellissime. Io l’ho sempre rintracciata e ricercata la bellezza. Una volta Maria Luisa Frisa, la curatrice di moda che è anche un’amica, mi ha detto che ho un rapporto molto conflittuale con la simmetria. Forse perché sono cresciuto in una città in cui la simmetria ha a che fare con le brutture e le storture, a Roma è nato l’ordine degli ordini di tutte le architetture che arrivano fino alla Casa Bianca. La colonna che sta da una parte, sta anche dall’altra. Tutto è simmetrico, tutto è perfetto. Poi dopo però ci sono un sacco di cose storte, è pieno di schifezze vicino a queste cose meravigliose. Mi viene in mente la Magliana: ci sono delle chiese romaniche pazzesche, e poi vicino ci sta, che ne so, uno sfascia carrozze. Questo mi ha insegnato che la bellezza è una cosa misteriosa. Su di me, che non sono più lo stesso di quando avevo vent’anni, qualcuno potrebbe dire: “Quanto è brutto questo”, invece io mi guardo allo specchio e mi dico: “Che fatica essere diventati belli essendo così diversi”. Credo di aver avuto un dono da bambino, e cioè la necessità di cercare la bellezza per sopravvivere. Ci ho ragionato tanto anche perché è una cosa di cui non volevo diventare schiavo, volevo smettere di pensare che casa mia non fosse abbastanza bella, per dire. Adesso se ci ripenso invece dico che sono stato bravo perché ho ricostruito tutto un apparato di bellezza in un posto dove qualcuno diceva “là è tutto brutto”. È come quel tuo film, Non essere cattivo: non è vero che siccome racconti un certo tipo di cose allora è tutto brutto. No. È tutto bellissimo! Conversazioni bellissime, facce, cose, parole tutte storte, bellissime, tutte dette male, c’è tutto lo sgrammaticato che esce fuori da certi posti dove sono cresciuto io. E mi fa venire i brividi. Perché poi la bellezza è nascosta anche in delle cose terribili, purtroppo. Credo di poter dire di avere un rapporto anche conflittuale con essa. Ma è una conversazione che non chiudo, voglio capire se la ritrovo in altri posti, non farla esaurire mai.
«Ho ancora un problema col fatto di essere al centro dell’attenzione, è l’unica cosa del mio lavoro che mi ha imbarazzato e che mi imbarazza tuttora. Per il resto non ho grandi problemi a riguardo, sono autoironico, non ho paura di risultare ridicolo, sono uno che si mette in gioco»
AB. A proposito, quando io ho fatto Non essere cattivo, tu eri direttore creativo di Gucci da otto mesi, ci siamo quasi accompagnati. Se tu dovessi riguardare a questi anni, trovi nel tuo percorso un tema ricorrente?
AM. Di ricorrente trovo la voglia di dare vita a dialoghi impossibili, di far incontrare cose che non si incontrerebbero normalmente. Ad esempio nella serie c’è Achille Bonito Oliva che parla con Harry Styles. Quando mai Achille Bonito Oliva avrebbe potuto parlare con Harry Styles? La conversazione tra mondi impossibili resta una delle mie costanti. Anche con i vestiti creo conversazioni apparentemente folli tra il mondo del pop, Paperino per esempio, e le scarpe della professoressa. Harry fa musica pop e vive tra Londra e Los Angeles. Apparentemente non avrebbe nulla a che fare con uno che fa il critico d’arte. Quando comincio a lavorare, cerco sempre una cosa, un elemento che, entrando, mi aiuti a rompere, perché sennò questa conversazione tra vestiti, tra colori, è una noia. Che mondo sarebbe se non arrivasse qualcuno, a un certo punto, a mandare a quel paese tutto?
AB. Questa intervista verrà letta da un po’ di persone e quindi mi piacerebbe che la usassimo anche per dare spazio a qualcuno che magari di solito ne ha di meno. C’è una persona che hai incontrato negli ultimi anni o che già conoscevi che ci consigli di tenere d’occhio?
AM. Una sola è un po’ complicato, anche perché io mi circondo di persone che tengo d’occhio. Quando ho conosciuto Harry Styles, per esempio, lui veniva da una boy band, quanto di più banalizzante potesse esistere nel mondo del pop. Eppure io ho avvertito altro da subito, quando ho visto lui ho capito che esistevano uomini diversi, uomini che erano molto più in contatto con la loro parte femminile. Mi ricordo quando si è presentato, con questa aura un po’ da James Dean, una specie di Apollo, così britannico, con questa voce che sembrava un doppiatore, e che però mi parlava dei suoi vestiti, di come li conservava. Mi è sembrato da subito un animale stranissimo, mi ricordo di essere tornato in ufficio e aver pensato che avrebbe fatto cose esagerate. Mi è successo con tanti in questi anni; penso a Florence Welch, penso alla sera in cui ho conosciuto te e Jared Leto e via dicendo. Avete poi tutti fatto cose incredibili. La verità è che non solo sono delle persone note e hanno prodotto dal punto di vista creativo delle cose fantastiche, ma sono proprio le loro vite che si sono evolute in maniera incredibile.
AB. Se posso dirtelo, una delle cose più belle che hai è che chiacchieriamo da un’ora e hai sempre parlato degli altri, ti ho praticamente dovuto costringere a dire qualcosa di te.

AM. Per me gli altri sono fonte di vita. Io sono un grande ladrone, senza gli altri non esisto.
«Io ho un rapporto intimo e molto profondo con la bellezza, nel senso che l’ho dovuta cercare anche in posti dove apparentemente non c’era; il luogo dove sono cresciuto viene universalmente bollato come brutto»
AB. Ed è per questo che sei quello che sei e noi siamo molto fortunati, io in particolare. AB. Quindi ti voglio dire che ti voglio molto bene. Grazie per il tuo tempo, per il tuo talento, per la tua amicizia. Spero davvero il prima possibile di poterti abbracciare di nuovo molto forte.

AM. Anch’io ti dico due cose prima che ci lasciamo. Uno, che mi mancano i tuoi abbraccioni quelli forti forti, e poi che sto vedendo Suburra, sono alla terza puntata, lo guardo lentamente per paura che finisca troppo presto. Devo dire che è molto bello. È stata un’operazione grandiosa, perché non si è sgonfiato per niente, siete stati gli unici ad aver cotto di nuovo il ciambellone senza che si sgonfiasse. Credo sia difficilissimo.
AB. Lo è!

AM. Fantastico. Ti ho mandato quel messaggio quando ero sul set, perché era pieno di inglesi, e tutti erano contenti che il giorno dopo uscisse la nuova stagione di Suburra, si sono poi chiusi dentro al Grand Hotel, nelle camere, per vederlo. Mi hanno detto che il più grande regalo che potessi fare loro era portarli a cena con te, e anche con Benedetta Porcaroli, che pure Baby non sai come se lo vedono. Ma poi sai cos’è? Mi viene in mentre Chris Simmons, col suo studio in periferia a Londra, con tutte le riviste alternative, tutti quei fotografi che in pochi conoscono, la Londra quella lì underground dei produttori di immagini, quella che noi diciamo “succede solo a Londra”. Ebbene sì, questi stanno lì al chiodo a vedere Suburra, mi sembra una cosa bellissima.
AB. Sì, sembra quasi che in questo momento storico tutti parlino la stessa lingua, speriamo non sia solo una sensazione. Grazie amico mio, a presto.
https://www.rivistastudio.com/alessandro-michele-intervista/
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biancaascerra · 3 years
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Polittico dell'Agnello Mistico
Di tratta di un'opera monumentale di Jan van Eyck (e del misterioso Hubert van Eyck), dipinta tra il 1425 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un polittico apribile composto da dodici pannelli di legno di quercia, otto dei quali sono dipinti anche sul lato posteriore, in maniera da essere visibili quando il polittico è chiuso. La tecnica usata è la pittura a olio e le misure totali sono 375x258 cm da aperto.
Il registro inferiore mostra al centro il grande pannello dell'Adorazione dell'Agnello mistico, dove in un ampio paesaggio si trova su una collinetta l'altare con l'Agnello simbolo di Cristo, adorato da una schiera di angeli, mentre la colomba dello Spirito Santo irradia i raggi solari della Grazia divina, sotto l'altare si vede la Fontana della Vita ed attorno ad essa e all'altare si trovano quattro fitti gruppi di adoratori: a sinistra in basso i pagani e gli scrittori ebrei, a destra i papi e i santi uomini; in alto spuntano invece i gruppi dei martiri uomini a sinistra (con in prima fila gli appartenenti al clero) e le martiri a destra. L'adorazione dell'Agnello si svolge nel lussureggiante giardino del Paradiso, sullo sfondo delle torri e delle guglie della Gerusalemme celeste. Alcuni degli angeli adoranti che circondano l'altare reggono i simboli della Passione di Cristo: croce, corona di spine, lancia, colonna della flagellazione, canna con la spugna intrisa di aceto. L'impostazione di questo pannello è di sapore più arcaico, con gruppi sovrapposti su un unico piano ascendente, al posto di disposizioni più naturali e conformi alla natura del paesaggio, come negli altri sportelli.
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Quando il polittico è chiuso su questo registro si trovano dipinte le statue viventi di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, in grisaglia, mentre ai lati si trovano i due committenti inginocchiati, Joos Vijdt e Lysbette Borluut.
Per quanto riguarda il registro superiore invece: il pannello centrale, di altezza maggiore, mostra una figura maschile barbuta, assisa su un grande trono, coronato da archi a tutto sesto che riflettono la forma tradizionale dei polittici gotici, divisi in pannelli cuspidati, con in testa una tiara e scettro. Questa figura è oggetto di varie interpretazioni, per alcuni studiosi rappresenta Dio Padre, per altri Cristo Re e una terza interpretazione ne vedrebbe rappresentata la Trinità. Accanto a lui, sullo stesso pannello ma divisi da cornici, si trovano la Vergine Maria e Giovanni Battista.
I due pannelli laterali successivi, con la forma ad arco che copre esattamente i troni laterali, mostrano due gruppi di angeli, a sinistra gli angeli cantori e a destra quelli musicanti. Infine gli ultimi due pannelli, a forma di semilunette, riportano Adamo ed Eva nudi entro nicchie dipinte, sormontati da sue scene dipinte a grisaille del Sacrificio di Caino e Abele e dell'Uccisione di Abele. Adamo ed Eva sono le figure di congiunzione tra esterno e interno, poiché essi sono i responsabili della venuta del Redentore, per lavare le colpe del Peccato originale.
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praticalarte · 1 year
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Un ritratto con una sotto pittura in nero
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Per questo ritratto un po' particolare di una madonna dolente, ho deciso di usare una sotto pittura uso il nero vite al posto della terra d'ombra bruciata tradizionale. Pubblico la procedura a puntate, così può diventare una specie di lezione utile per chi vuole provare questa tecnica particolare. Ho già dipinto un ritratto con questa tecnica anni fa, qui sotto vedete il risultato
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Questo tipo di sotto pittura offre la possibilità di essere molto dettagliati e permette rapidamente di creare una grisaglia su un livello superiore, una volta asciutta l'impostazione delle ombre. Per il ritratto "Madonna dolente" che ho dipinto su una tavola tarlata, ho scelto di usare questa tecnica ed ho documentato con alcuni filmati il lavoro fatto. Come sempre faccio, prima di affrontare lavori impegnativi, ho fatto una serie di studi disegnando con varie tecniche.
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Il modello della testa
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Uno dei particolari che mi ha più impressionato
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Una idea di composizione iniziale
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Una elaborazione più a fuoco della composizione
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Uno studio a carboncino
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Lo studio a grafite delle mani che inizialmente volevo inserire
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Fase iniziale di uno studio a matite colorate
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Stadio avanzato dello studio a matite colorate Malgrado abbia faticato un bel po' per studiare le mani da inserire, ho poi deciso di non usarle ... tutto lavoro buono per un'altra opera. Una volta chiarite le idee ho preparato la tavola tarlata, bonificata dai tarli, impermeabilizzata con un impregnante acrilico opaco e stuccata con una resina bicomponente, nella zona in cui avrei dipinto la faccia (ho spiegato tutto nel primo filmato che trovi qui sotto) ed ho cominciato il lavoro. https://www.youtube.com/watch?v=Opz7_xZpwgE&t=5s Per trasferire il disegno sulla tavola preparata, ho scelto uno dei bozzetti migliori tra quelli che avevo fatto, ho preso un pezzo di carta da lucido e lo ho ricalcato. Ho passato il disegno a scanner e con un programma di ritocco fotografico ho portato la testa alla dimensione giusta. Una volta fatta la stampa a dimensione, ho annerito il retro con una stecca di grafite 6B. Ho appoggiato il disegno al dritto sulla posizione giusta nella tavola e con una penna ho ricalcato il disegno, in questo modo la grafite si è trasferita sulla tavola come se avessi usato una carta carbone. Normalmente le sotto pitture si fanno con la terra d'ombra bruciata ma dato che il contorno della faccia si perderà nello sfondo nero, anche l'impostazione la faccio verrà fatta con il nero vite, ha dei riflessi bluastri ed è un nero che mi piace molto. È stato difficile lavorare sulla superficie stuccata e scartavetrata fine, è un fondo al quale non sono abituato ed ho avuto qualche problema per capire che pennello usare e la densità dell'impasto. Alla fine ho optato per un pennello a lingua di gatto n. 4 ed ho usato il colore denso come usciva dal tubetto del colore "Artisti" Maimeri (https://amzn.to/3JzfTLp). Nel filmato successivo ho ripreso con il colore il disegno ed ho cominciato ad accennare i chiaro scuri. https://www.youtube.com/watch?v=w7xQ1E2RGtc Purtroppo mi piace sempre mettermi in crisi facendo esperienze nuove. Questa volta, forse se sul fondo di gesso acrilico avessi usato una carta vetrata da 60 al posto di quella da 120, avrei ottenuto una superficie più aggrappante. Un altro problema lo ha creato il fatto di non fissare il disegno trasferito a grafite. Una volta ripreso il disegno e lasciato asciugare, darò una mano leggera di nero vite diluito con essenza di trementina per ottenere il fondo grigio su cui andrò a riprendere le luci con il bianco. https://www.youtube.com/watch?v=WFkcgC_Z_W8 È stato difficile lavorare sulla superficie scartavetrata fine, è un fondo al quale non sono abituato ed ho avuto qualche problema per capire che pennello usare e la densità dell'impasto. Alla fine ho optato per un pennello a lingua di gatto n. 4 ed ho usato il colore denso come usciva dal tubetto del colore "Artisti" Maimeri (https://amzn.to/3JzfTLp). https://youtu.be/DRW3mmLTYUg Procedendo con il lavoro ho continuato a curare lo sviluppo del chiaro scuro sfumando le masse di ombra per creare la tridimensionalità. Per lavorare in modo efficiente dovevo lavorare a pennello secco (Pochissimo colore solo sulla punta del pennello unto di medium, sfumando molto). Questo mi ha portato a preparare il colore sulla tavolozza con un altro pennello, in modo da non trovarmi troppo colore sul pennello che dipinge. https://youtu.be/Huvr11dEZRU Una volta trovata la pennellata giusta, si è trattato di continuare a sviluppare il chiaro scuro del ritratto. https://youtu.be/Y5AOq7-wXGA
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Voglio mostrare il risultato finale della pittura dopo le velature di colore date sopra la preparazione spiegata in questo articolo. Ho ottenuto un risultato interessante e credo che ripeterò l'esperienza. Il problema più grande che ho per ora è quello di trovare altre tavole tarlate così belle Mi interessa molto la tua opinione su questa tecnica di preparazione, lasciami una tua opinione nei commenti Se ti interessa imparare puoi venire nel mio studio in via is Maglias 58 a Cagliari o prenotare qualche lezione via web. Guarda i nostri corsi di pittura alla fiamminga Read the full article
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harryduffany · 4 years
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L’attimo che precede il bacio
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2nd May - The Maze
H: I Grifondoro non scappano. Lui, a quanto pare, sì. Perché deluso: ancora non riesce a capacitarsi di quella risposta; ha sbagliato lui a inviarle quel dannato sole. Ma che aveva in mente?? Una interpretazione sbagliata e la sua permalosità e l’orgoglio hanno fatto il resto. Si dirige a passo spedito verso l’ufficio; apre la porta laterale alla stanzetta colma di abiti e si introduce all’interno. È talmente irritato che involontariamente la lascia socchiusa. È un ambiente sterile e minimalista. Pareti bianche. Lui e la scrivania con poltrone sono gli unici punti neri in quell’esplosione di bianco. Si sfila la bacchetta dalla tasca interna della giacca, dalla cui punta fuoriescono scintille rosse.
I: Se lui è deluso e confuso figuriamoci in quale stato sia la testolina bionda che ha appena dato spettacolo per raggiungere il biondino che ha appena lasciato un tavolo illuminato di blu. Non che ne possa capire il senso, ma siccome non è un colore diffuso fra gli altri piedistalli del locale, è piuttosto sicura che sia un segnale nefasto. Il boa di piume rosso che la Drag le ha simpaticamente fatto scivolare attorno al collo è praticamente più lungo di lei, fa a pugni col turchese delle scarpette e del vestitino a fiori. «AHI!» Le dita le restano pinzate nella fessura della porta dove ha intrufolato una manina prima che si chiudesse. «Non lo sai che è peccato bere da soli?» Non trattiene nemmeno il secondo «che ho fatto?» mentre gli occhi azzurri lo cercano. «Adam è stato rapito da una Drag Queen, credo che lo stia spogliando e io potrei morire oggi e sarei veramente una strega felice. Ho seriamente creduto che il mio cuore non avrebbe retto alle risate!» doveva proprio dirlo, dannati drink.
H: Una voce più squillante annunciatrice di dolore lo fa voltare. Subito il suo viso si indurisce perché non si aspettava di vederla, e non si aspettava di vederla nel SUO ufficio. «È vietato l`accesso a chi non è autorizzato» Quella scia di piume rosse cozza con qualsiasi colore lei abbia addosso. «E tra l`altro, a me il porridge piace e Celestina mi fa vomitare» Quel vestito a fiori le sta d`incanto, se non fosse per quel boa di piume che le andrebbe a togliere, arrotolandolo poi su una mano. «Non c`è un colore che si abbini a un altro, Wilson».  Inspira. Espira.  «Dannazione, Wilson... Non dovresti essere qua».
I: Lo stomaco sfrigola fastidioso quando lo sguardo incrocia l`inconfondibile disperazione di quella testa fra le mani, e non escludiamo che un guizzo di senso di colpa le ricordi il pessimo molliccio che si ritrova.
«Allora autorizzami» 
Lo sguardo a subire un guizzo curioso quando lui snocciola quell`informazione, che sembra illuminarla di immenso. «Oh, è questo il problema? Che non abbiamo gli stessi gusti? Oh per Merlino, Duffany. Fammi firmare un contratto se proprio è importante che i clienti non entrino qui dentro. Non me la cavo male a ballare, sai?» Momenti d`orgoglio tutti rosso-oro. «Mi piace. È...?» certo, la tessimante che è in lei va a sfiorare il rever della giacca. 
H: Uno sbuffo prolungato fuoriesce dalle narici: sa già che quella conversazione sarà stancante.  «No, Ilary, più che altro deluso. Dopo un chiaro simbolo di ricordi, hai piacere di informarmi che ti fa schifo il porridge, ma ami i pancakes. Buono a sapersi, lo aggiungerò alla lista». Senza speranza. «Ho toccato con mano che sei brava a ballare».  E di nuovo il battito cardiaco accelera quando gli si avvicina. «Grisaglia liquida».  Repentinamente, andrebbe a bloccarle quella mano sfiorante il tessuto. 
«Che ci fai qui, Ilary?» Questa è la vera domanda.
I: «Se eri deluso di vedermi, potevi non mandarmi quel sole, non credi? Poi sono io che ti fraintendo!» Oggi è veramente brava a non capire nulla di quello che lui le dice. 
Ci mette un attimo a far scivolare oltre le nubi dell`alcol e degli effetti magici dei cocktail, il reale senso di quell`informazione che inizia a farle dubitare che i propri tentativi di comunicare siano universalmente comprensibili come crede lei. 
«Anche io». Lui ha toccato con mano quanto lei sia brava a ballare e lei ci tiene a fargli presente che è reciproco; mentre con mano assai più letterale va a toccare la sua giacca. «Beh, ti rispondo. Ma tu non fai che fraintendermi» anche lei citava un ricordo. «Quando ho detto che potevi comprarmi le mele caramellate mentre guardavo gli altri salire sulle insalate russe, volevo dire quello che ho detto. Non dovevi sparire, ma portarmi una mela caramella. E un po` di pazienza». Ora è chiaro?
«Dovremmo ballare» 
H: Dategli un traduttore, vi prego. Ok, riproviamoci. «Ilary, sono un tipo paziente, ma tu davvero metti alla prova la mia calma. Tanto per cominciare, credi davvero che sia deluso di vederti?» La morsa sul polso di lei allena un pochino, ma non la lascia andare di un millimetro. La sua mente è paragonabile a un naufrago in mezzo al Pacifico. Inspira. Espira. «No, Ilary. Non balliamo. Perché devi imparare a parlare chiaramente. Vuoi una mela caramellata?» Inspira. Espira. Andrebbe ad afferrarle anche l`altra mano, la chiuderebbe nella sua, stringendola appena. Poi, mentre il cervello gli dice di non farlo, sente il cuore prendere il sopravvento, e andrebbe a posare la fronte su quella sua.  Espirando e inspirando. 
«Dannazione, Wilson... che mi fai».
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I: «IO PARLO CHIARAMENTE. Sei tu che non ascolti chiaramente» «SI`! Mi piacciono le mele caramellate» Anche l`altra mano finisce avvolta dalla sua. 
E ora ha di colpo la vivida sensazione che in mezzo al Pacifico ci stiano naufragando davvero. 
Le palpebre s`abbassano nell`abbandonare il capino contro quello di lui; i suoi battiti sotto le dita e la testa momentaneamente invasa di piume. Le dita si muovono distrattamente nelle sue e il suo profumo così vicino non aiuta, no. Inspira. «Ti-ti consiglio Miss Burton» per il traduttore. Deglutisce. Espira. 
Che gli fa? Boh, mica parla chiaro, lui. Ma il bruciapolmoni e i battiti improvvisamente accelerati parlano chiaro almeno a lei, piacevolmente immersa in una confusione che rende quasi naturale -alle labbra dischiuse- seguire l`impulso ad avvicinarsi alle sue. Il respiro corto e quelle manine dispettose che autonomamente si sono mosse per iniziare a tirarlo dolcemente più vicino. O magari si sta avvicinando lei, non è chiaro o importante stabilirlo, no?
H: Si dice che l`attesa del piacere è essa stessa il piacere. Uno dei motivi per cui Harry è fondamentalmente paziente. Si dice anche, che il momento più bello dell`atto di baciare sia quell`attimo prima che accada il tutto. Un`attesa durante la quale non importa del perché faccia aspettare tanto, perché sarà valsa la pena di tutto. Di momenti bui al sole, di balli anni `50 anche se si detesta ballare, di ridicole cene al milkshake, e di bolidi (anzi, uno solo) incendiati. 
Il momento che precede il bacio è quello in cui si sa che sta per arrivare, in secondi che sembrano secoli, ed è il momento in cui gli occhi di Ilary incontrano per un frammento di minuto i suoi, in cui la bocca si spegne per parlare e il cervello non pensa più a rispondere alle frasi prima, perché ora tutto il corpo, ogni singolo nervo, è impegnato a viversi quell`attimo che precede il bacio.
I due naufraghi sono nel pieno attimo che precede il bacio. 
Ora ha paura e non sa se avrà il coraggio o meno di uscire da quell`attimo e annullare tutto, oppure tuffarsi in quell`oceano di miele e camomilla. Gli occhi non hanno paranoie: se vogliono baciarti te lo dicono, e lo dicono un attimo prima che ciò avvenga; colgono all`improvviso il baciato. Ma Harry non è tipo da farsi cogliere impreparato. Non in quell`attimo. Quindi al diavolo la paura, esaltiamo il coraggio rosso e oro: romperebbe quell`attimo precedente al bacio, annullando ogni centimetro dalle due bocche.
I: Sarebbe finita a chiedersi di cosa lui stesse parlando, se lui davvero avesse provato ad assecondarla in quella conversazione surreale. Fatta di metafore chiare solo a lei e che lei pretende pure di fargli comprendere senza sognarsi di perder tempo a spiegargliele. Tutto ciò che riesce a sentire è il profumo del muschio bianco che l`ha resa affezionata estimatrice dei suoi colletti.  Il respiro accelerato fa sobbalzare il petto e lo sguardo incrocia il suo in un attimo tanto fugace che potrebbe quasi esserselo sognato. E` una frazione di secondo di ritardo infinitesimale, quella che trascorre fra la sua decisione di azzerare le distanze e la propria. E quando lo asseconda in quell`incontro, lo fa senza alcun tentennamento. Con uno slancio che i piedini prendono nel sollevarsi sulle punte per aiutarla a premere le labbra contro le sue e spingerglisi addosso con adorabile irruenza. 
Gli occhi ormai chiusi e... gente, si baciano.
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H: E... gente, la biondina si stringe a lui, facendo scivolare una mano dal river della giacca alla spalla, circondandogli il collo. Per una volta il cervello se ne sta zitto, mentre il cuore offre bicchieri di champagne a tutti i nervi del corpo, congratulandosi con loro. Ci aveva indovinato: miele e camomilla, davanti a un lontano sentore di alcol. Si gode quella piccola vittoria con un tiepido sorriso nel bacio: è riuscito a far stare zitta la Wilson. Le cinge la vita con un braccio, tenendola stretta a sé, mentre la mano racchiusa in quella sua più grande si sposterebbe verso l`alto, come in un valzer. Le concede questo ballo, su. «Mi sa che cominciano a piacere anche a me le mele caramellate...» Andrebbe così a ondeggiare col corpo, trascinando anche lei in un ballo silenzioso. «Stai bene?» Un trentenne naufrago, con la mente confusa, in una stanza insonorizzata, durante un evento organizzato da lui, che tiene stretta a sé una adorabile chiacchierona.
I: Non sembra dispiaciuta di stringersi a lui o di far scivolare quel braccio tintinnante attorno alle sue spalle. Le dita che trovano appiglio su quel colletto muschiato, sfiorandogli appena la pelle nell`intrufolarsi accidentalmente al di sotto della stoffa. Come durante quel ballo al Back to `50s. L`altra mano segue la sua e il respiro finisce piacevolmente trattenuto quando il suo braccio le scivola intorno alla vita e loro si ritrovano in una posa da valzer che viola le sacrosante regole imposte da Dirty Dancing. Ma fa sfuggire un sorriso luminoso a lei. Gli occhi a riaprirsi di colpo, forse presa in contropiede dalla sua voce. «Io non sono ancora sicura che tu abbia capito cosa siano, invece» le mele caramellate. Un moto di lievissima frustrazione talmente ben mescolato al bruciacuore da essere innegabilmente una delle sensazioni migliori di questo 2076. Lo segue in quell`ondeggiamento ballerino, che ora non riesce a non farla sorridere un po` scema, flettendo un solo sopracciglio a quella domanda curiosa. «Dipende. Stai per scappare?» 
H: Mentre si preoccupa se stia bene o meno, gli appare davanti un sorriso luminoso, come raggi di sole accecanti in una stanza, se possibile, ancora più accecante. «Wow». Sarebbe rimasto ben volentieri a godersi quell’incantesimo di silenzio e sorrisi. «Illuminami». La mente maschile non arriva a metafore così sofisticate, Wilson. Poi la guarda serio, scuotendo lentamente la testa. Non scappa.
I: «Le mele caramellate sono quelle che vendono alle bancarelle mentre la gente balla all` aperto e... si smangiucchiano nel momenti di pausa, mentre si osservano andare sulle colline russe... mentre decidi se salire anche tu. Sono buone e ti tengono compagnia. «Le montagne russe» CE L`HA FATTA, SIORI «sono i rapporti sentimentali, le mele caramellate sono la parte d`attesa che c`è prima. Dovevi portarmi una mela caramellata e aspettare con me, non lasciarmi i galeoni per farmela prendere da sola. Non sono fan delle mele caramellate in solitaria, finisce solo che poi si trova qualcun altro con cui mangiarle e alla fine si sale sull`insalata russa con lui» Lui non scappa, e quel semplice diniego le accartoccia le labbra in una smorfia improvvisamente impacciata. 
«Allora sto bene»  Un animaletto soddisfatto sembra essersi sistemato nel proprio angolo di poltrona preferito.
H: La tiene ancora stretta a sé: braccio sulla vita e mano nella mano. Quella faccia ebete continua a riaffiorare al ritmo di una musica inesistente. «Non sono mai salito su delle montagne russe...» commenta, stringendo inevitabilmente le labbra, forse con una leggera nota d’amarezza nella voce. «Avrai la tua mela di zucchero.» Ora la metafora gli è chiara, grazie della spiegazione. «Ma cerchi di parlare più chiaro, la prossima volta, donzella» Gli occhi ridenti si chiudono, mentre la tempia chiara della giovane preme con il mento ruvido e rasato di Harry. Rimane così in una stretta salda a lei, ondeggiando lentamente, come in un dolcissimo dejavu, ma senza musica né pista da ballo.
I: Ora che il capino ha guadagnato qualche centimetro di distanza dal suo viso, può metterlo a fuoco al meglio e mangiarsi con occhi indiscreti tutti i suoi particolari; come lui fosse un interessante film che non c`è nulla di male a guardare sgranocchiando pop-corn. O mele caramellate in questo caso. «Che vuoi dire? Stai ancora parlando per metafora? Nemmeno io sono mai salita su quegli ammassi di ferraglia arrugginita. Soffro di vertigini!» Deglutisce. «E lei la prossima volta s`assicuri di non ascoltare solo con le orecchie, Sir». Prende un profondo sospiro, guarda caso contro il suo affezionatissimo colletto, rilasciandolo poi lentamente assieme alla tensione delle spalle o del viso. In quell`abbraccio con cui gli resta accoccolata contro e in quelle dita che sono tornate ad accarezzargli distrattamente la nuca.
H: Sì, parlava a metafore ma, no, non lo dà a vedere. Un`occasione per confondere metafore e realtà imperdibile. «Certo che non parlo di metafore. Potremmo cominciare su quei trenini lenti»  Ora sposterebbe la manina racchiusa sull`altra sull`altra spalla, desideroso di essere abbracciato da quell`essenza di miele e camomilla; entrambi le mani si spostano sulla schiena di lei e sul quel vestitino di fiori colorato tanto da far contrasto all`abito nero dell`architetto. Le stamperebbe un bacio dolce e modesto sulla fronte, ondeggiando ancora per un po`. I: Lei se la beve eccome, la storia che lui non parlasse di montagne russe metaforiche, ma vere. «Ah ecco» Le labbra tornano a curvarsi verso l`alto in un altro sorriso scemo. «Il bruco!» Gli occhi socchiusi e quell`ondeggiare lento e assorto a venir distolto solo dal movimento della manina che l`altro conduce sulla propria spalla. 
Gli abbracci non si chiedono, si danno: check. Gli abbracci non si rifiutano mai: check. Gli abbracci non si interrompono finché chi ne ha avuto bisogno non accenna a volersi liberare di te: loading.
Le braccia finiscono a stringergli le spalle, lei ancora una volta sollevata sulle punte per raggiungerlo meglio. E sbuffando appena a quel bacio sulla fronte che l`altro si prende, al che quel «Duffany» di richiamo le scappa proprio. Sommesso, magari con ancora qualche rimasuglio di alcol in circolo ma le pare il caso di chiarire il fraintendimento che sente farsi strada. O magari no. Il viso non fa in tempo a scostarsi che lei ha già cambiato idea.
«Mi fai venire voglia di star bene. E di essere un po` meno incasinata. E di mele caramellate» 
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H: Ha come una tenera e celestiale armonia che gli ronza in testa. Harry Duffany sembra abbia rinunciato alla parte razionale. È tornato di nuovo adolescente. Difficile dire chi stia dando l`abbraccio a chi. Difficile dire chi stia ricevendo l`abbraccio da chi. «Mhm» conferma. Il bruco. Non si sente più un naufrago, e probabilmente entrambi non lo sono più. Quando si sente chiamare da quella vocetta morbida e assopita. «Mh?» E Harry Duffany torna adolescente per la terza volta. Perché si scioglie e non gli rimane molto da dire. Quindi andrebbe a guardarla e cercare una seconda volta quel musetto toccato da due cocktail che, per la serata, hanno fatto fin troppo. 
E proprio in quell`attimo che precede il bacio, quello in cui c`è paura, aspettativa, ci sono tutte le prime volte e tutte le emozioni che ne conseguono; quell`attimo che accomuna gli amanti come Amore e Psiche, che si guardano da secoli e non sono ancora stanchi di essere in quell`attimo, quel momento in cui non si possono avere rimpianti, ma si sente invece quel bacio che sta per arrivare amplificato, ecco in quell`attimo lui andrà a sussurrare: «Andrà bene».
I: Scivola in quell`abbraccio morbido e ondeggiante, che ormai è diventato più un lento a ritmo di nulla che altro. E ora che non c`è un dj a lasciare la console o le luci a variare, non è proprio sicura che arriverà mai un momento in cui lei deciderà che è sensato scollarsi o rinunciare ad attimi di pace e bruciapolmoni così preziosi. Non riesce nemmeno a terminare quella domanda mentale prima di venir ricatapultata in quel momento di squisitissima attesa pre bacio. Potrebbe quasi iniziare a piacerle tutto questo tempo assurdamente dilatato. 
Cullandosi ancora al rirmo di quel momento e di quell`"andrà bene" che le fa sfuggire solo il più semplice dei «lo so». 
Lo tira appena verso di sé con le braccia che ancora gli cingono il collo. E poi manda semplicemente le labbre a cercare d`unirsi con le sue, ridicolmente lenta questa volta, ma inesorabile come la voglia d`approfondire quel contatto dolcemente. 
H: Il silenzio è incantevole. Si sente tirare appena verso il basso e asseconda il movimento, abbassandosi un poco, dedicandosi a quel bacio, più approfondito, in cui non necessita proprio di staccarsi. Ecco perché la stringe nuovamente a sé, schiudendo nuovamente la bocca per accogliere i suoi sorrisi e quella dolcezza che raramente aveva provato fino a quel momento. Quel "lo so" sussurrato lo fa sorridere. Andrà infine a staccarsi, e dolcemente come quando si staccarono sulla pista da ballo e lui andò a sussurrarle "Siamo stati bravi", con la stessa dolcezza e lo stesso tono delicato, gli esce un secco e soddisfatto: 
«Ho fame. Mi inviti a cena per un milkshake?» 
I: Le dita scivolano sul tessuto della giacca in una coccola che è più per sé che per lui. Grisaglia liquida. E un altro sospiro accuratamente trattenuto e rilasciato in quel bacio che va a prendersi, azzerando la già ridicola distanza che li separava. Sceglie di premere maggiormente le labbra contro le sue, contro il suo sorriso, nel dispetto del morsetto che tenta di rifilargli al labbro inferiore quando lui accenna a voler interrompere quel contatto. «Seriamente?»  Un`occhiata pericolosissima tranquillamente traducibile in un "solo se io posso cenare con te". Con te che hai detto che hai fame, proprio adesso e che cenerai con un milkshake. «Vedo che ci stai prendendo gusto, Duffany» a farsi invitare a cena dalle donzelle. «Ok, ma solo se posso portare le piume con me» «dovrei avvi-» Inquadra una Katrine ancora fuori di testa che ormai sta ballando col marito dando più spettacolo della Drag Queen. «Oh beh, d`altronde è il loro anniversario di matrimonio, non credo che gli dispiacerà restar soli» 
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