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#filiberto menna
garadinervi · 1 year
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Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960/70, Texts by Achille Bonito Oliva, Giulio Carlo Argan, Alberto Boatto, Maurizio Calvesi, Gillo Dorfles, Filiberto Menna, and Cesare Vivaldi, Centro Di Edizioni, Firenze, 1970 [Exhibition: Palazzo delle Esposizioni, Roma, November, 1970 – January, 1971] [L'Arengario Studio Bibliografico, Gussago (BS)]. Feat. Vincenzo Agnetti, Carlo Alfano, Getulio Alviani, Franco Angeli, Giovanni Anselmo, Alberto Biasi, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Davide Boriani, Enrico Castellani, Mario Ceroli, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Luciano Fabro, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Piero Manzoni, Gino Marotta, Manfredo Massironi, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Mario Merz, Maurizio Mochetti, Giulio Paolini, Pino Pascali, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Domenico Rotella, Paolo Scheggi, Mario Schifano, Cesare Tacchi, Giuseppe Uncini, Gilberto Zorio
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fashionbooksmilano · 2 years
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Disegno Italiano
forma, progetto e produzione
Editors: Giorgio Taborelli e Vittorio Fagone
Redoff, Milano 1979, 135 pagine, 25 x 31 cm.,
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Scritti di Vittorio Fagone, Giorgio Taborelli, Achille Castiglioni, Alessandro Mendini, Arnaldo Pomodoro, Lara-Vinca Masini, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Filiberto Menna, Joe Colombo, Ettore Sottsass, Bob Noorda et al.
Disegni di Brunetta Mateldi
30/05/22
orders to:     [email protected]
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carmenvicinanza · 11 months
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Tomaso Binga poeta e artista femminista
https://www.unadonnalgiorno.it/tomaso-binga/
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Tomaso Binga, alter ego di Bianca Pucciarelli, è una figura di punta della poesia fonetico-sonora-performativa.
Un’artista che ha attraversato i momenti più intensi dell’arte italiana degli anni Sessanta e Settanta, quando arti visive, teatro, musica e poesia convergevano in un dialogo denso di nuove possibilità.
Ha assunto un nome maschile in segno di protesta contro le disparità che caratterizzano la relazione uomo-donna.
Tutto il suo lavoro artistico è incentrato sulla “scrittura verbo visiva” e sulle azioni sonoro/performative, per tentare un processo di de-semantizzazione del codice verbale.
Nata a Salerno il 20 febbraio 1931, ha fatto studi classici. Già a dieci anni scriveva poesie e racconti. Nel 1959, ha sposato Filiberto Menna, che sarebbe diventato uno dei più autorevoli critici italiani. All’epoca lui era medico e lei insegnante.
Salerno tra gli anni Sessanta e Settanta era una città di grande vitalità intellettuale in cui hanno visto la luce luoghi espositivi aperti al dibattito. Personalità come Marcello e Lia Rumma, hanno creato, nel 1966, le Rassegne di Pittura, agli Antichi Arsenali di Amalfi, nel cui ambito si è svolta, due anni dopo, Arte povera più azioni povere, a cura di Germano Celant.
Era anche nata la rassegna di teatro d’avanguardia Nuove tendenze e la sperimentazione militante del Teatrogruppo, ispirata al Living Theatre.
I suoi riferimenti artistici, fin dall’inizio, sono stati l’arte concettuale e la poesia visiva. Fenomeni artistici che, pur avendo una minore visibilità, portavano avanti una sperimentazione più radicale.
Nel 1971, per la sua prima mostra L’oggetto reattivo in cui presentava opere di poesia visiva, ha deciso di farsi chiamare Tomaso Binga.
Il mio nome maschile gioca sull’ironia e lo spiazzamento: vuole mettere allo scoperto il privilegio maschile che impera anche nel campo dell’arte. È una contestazione, per via di paradosso, di una sovrastruttura che abbiamo ereditato e che come donne vogliamo distruggere. In arte, sesso, età, nazionalità non dovrebbero essere delle discriminanti. L’artista non è un uomo o una donna ma una PERSONA. Il mio alter ego, Tomaso, è un richiamo diretto a Filippo Tommaso Marinetti (con una sola “m” per caduta di una costola) e a una stagione dell’arte italiana quanto mai viva e vivace.
Ha frequentato la Cooperativa Beato Angelico, collettivo femminista di sole artiste.
La sua ricerca abbracciava uno dei nuclei fondamentali della discussione del movimento delle donne, la necessità di rifondare il linguaggio, strumento del potere patriarcale, della storia, della legge, della religione, che ha contribuito all’emarginazione femminile. Anche per questo, nelle opere di quegli anni, il corpo spesso si opponeva alla parola e diventava uno strumento di espressione alternativo, elemento fondante di un nuovo modo di comunicare.
Nei suoi lavori le parole sconfinano dai luoghi deputati, proliferano come cellule, invadono gli spazi che ci circondano.
Dal 1974 ha diretto l’associazione culturale Lavatoio Contumaciale, luogo di aggregazione che si occupa di poesia, arti visive, letteratura, musica e multimedialità promuovendo manifestazioni e dibattiti sui diritti umani, contro ogni forma di violenza e per la salvaguardia della natura.
Il centro, negli anni, ha visto passare importanti nomi della letteratura, del cinema e del teatro come Dacia Maraini, Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Roberto Benigni, Giuseppe Bartolucci, Gianfranco Baruchello, Nanni Balestrini e tanti e tante altre ancora.
Nel 1978 ha partecipato alla mostra Materializzazione del linguaggio a cura di Mirella Bentivoglio, per la Biennale di Venezia, dove ha presentato i Dattilocodici, lavori fatti con la macchina da scrivere. È stata la prima grande mostra tutta al femminile, un momento importante all’interno di una situazione artistica italiana che stentava a riconoscere l’apporto delle donne, sempre marginalizzate.
Nella sua particolarissima pratica artistica, è contraddistinta da una modalità di analisi critica del linguaggio dominante, profondamente ironica e antiretorica – tra scrittura verbo-visiva e azioni performative, le istanze femministe si esprimono senza rinunciare al motto di spirito.
Ironia e grottesco, denuncia e dissacrazione, non senso e luogo comune, sono i principali ingredienti delle sue performance poetiche.
Tomaso Binga ha precorso i tempi, scardinato pregiudizi e combattuto il gender gap, con un entusiasmo coinvolgente e disarmante.
Donne e uomini dovremmo perseguire uno stato di armonia dove a tutti gli esseri viventi, umani e non, venisse riconosciuto il diritto di esistere e realizzarsi secondo la propria natura. La chiusura della poesia non è una sentenza, ma un monito: bisogna restare vigili, perché i diritti e le libertà che abbiamo ottenuto non sono eterni.
Contro il costume che attribuisce un significato maschile al lavoro dell’artista, io sono una cartuccia e va…sparata!
Grande la sua attitudine alla collaborazione e al confronto, i suoi progetti sono il risultato di incontri con donne, più o meno note.
Ultimamente, nelle sue mostre personali, riserva una stanza o uno spazio per le opere di altre artiste che sceglie e che supporta.
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marcogiovenale · 2 years
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"ufficio per la immaginazione preventiva" [micro-estratto] / benveduti, catalano, falasca. 1976
“ufficio per la immaginazione preventiva” [micro-estratto] / benveduti, catalano, falasca. 1976
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artrite · 6 years
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Il sonno serve a eliminare la stanchezza e far rinascere il corpo quotidianamente; questo sonno però non riesce a eliminare questa stanchezza, forse la morte non è altro che il risultato della somma della stanchezza accumulata e che non siamo riusciti a eliminare dormendo. Probabilmente abbiamo bisogno di un “sonno diverso” che quotidianamente ci liberi dall’altro tipo di stanchezza, quindi dalla vecchiaia e dalla morte.
Filiberto Menna su Gino De Dominicis
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24hdrawinglab · 3 years
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24H Drawing Lab e Carta Fabriano alla Fondazione Menna Binga
24H Drawing Lab e Carta Fabriano alla Fondazione Menna Binga
24H Drawing Lab e Carta Fabriano alla Fondazione Menna Binga di Roma 24H Drawing Lab e Carta Fabriano alla Fondazione Menna Binga. Ieri pomeriggio la Fondazione Menna Binga di Roma ha ospitato il nostro workshop gratuito di disegno “Parola chiave: osservazione”. L’evento, sostenuto e promosso da Carta Fabriano, si inserisce all’interno del Festival di Disegno Fabriano is all around. E’ stato il…
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caveartfair · 5 years
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The Free-Spirited Amalfi Coast Weekend That Gave Birth to Arte Povera
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Anne Marie Boetti and Carmine Ableo improvising a small piffero and whistle concert on the Amalfi beach at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
For three days in early October 1968, a provincial port about 43 miles south of Naples loomed large in the trajectory of post-war aesthetics. Hosting works by a number of contemporary Italian and international artists—many of whom would come to form the core of Arte Povera—“Arte Povera + Azioni Povere” (loosely translated to “Poor Art + Poor Actions”) purposefully blurred the line between the static exhibition of objects and events unfolding in real time.The works of art installed in the coastal town’s former armory merged with a range of performances and happenings that unfurled in piazzas, side streets, and even from boats in the beach-lined bay.As the third and final installment of a series of exhibitions in Amalfi in as many years—all of them organized and promoted by the young collector and author Marcello Rumma—“Arte Povera + Azioni Povere” proved by far the most consequential. Not only did its self-conscious hybridization of exhibition and event echo well beyond Italy’s shores, but the consolidation of a nascent (and still protean) Arte Povera helped to define the phenomenon even as it expressly resisted definitive contours. A small exhibition at the Philadelphia Museum of Art revisits this milestone of post-war Italian art on its 50th anniversary.
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Jan Dibbets installing Linea bianca (White Line) on the water along the Amalfi Coast at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
One year earlier, in 1967, Germano Celant’s manifesto, “Arte Povera: Notes for a Guerilla War,” had identified several related tendencies in contemporary Italian artistic practice, most notably a penchant for unorthodox and “poor” materials, a privileging of process over form, and a rejection of spatial and temporal conventions with regard to exhibition and presentation. While not an official movement or self-proclaimed neo-avant-garde, Celant’s aegis aimed to bring together artists working in a voluntarily “impoverished” vocabulary—of a piece with the late-1960s increasing dematerialization of aesthetics in Europe and the United States, an attempt to liberate art from the exhibition and sale of commodifiable objects. As the first major group exhibition of sorts, “Arte Povera + Azioni Povere”included established Italian artists—such as Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, and Mario Merz—alongside the English artist Richard Long and the Dutch artists Jan Dibbets and Ger van Elk, as well as several individuals only marginally related to Celant’s swelling roster, like Piero Gilardi and Gino Marotta.While it is Celant with whom Arte Povera remains almost exclusively associated, a number of prominent critics participated in Amalfi, including Tommaso Trini, Gillo Dorfles, and Filiberto Menna, among others.
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Installation view of “Arte Povera: Homage to Amalfi ’68” featuring Alighiero Boetti, Castasta (Stack), 1967. Photo by Joseph Hu. Courtesy of the Philadelphia Museum of Art.
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Installation view of “Arte Povera: Homage to Amalfi ’68” featuring Luciano Fabro, L’Italia (Italy), 1968, and Michelangelo Pistoletto, Candele (Candles), 1967. Photo by Joseph Hu. Courtesy of the Philadelphia Museum of Art.
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Installation view of “Arte Povera: Homage to Amalfi ’68” featuring Michelangelo Pistoletto, Monumentino (Little Monument), 1968. Photo by Joseph Hu. Courtesy of the Philadelphia Museum of Art.
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Installation view of “Arte Povera: Homage to Amalfi ’68” featuring Gilberto Zorio, Senza titolo (Untitled), 1968. Photo by Joseph Hu. Courtesy of the Philadelphia Museum of Art.
The very origins of the event, however, lay with the young collector, editor, and cultural dynamo Marcello Rumma—born in nearby Salerno—in close partnership with his spouse, Lia. Though Marcello had appointed Celant as curator, it was—by the accounts of various individuals present, including the art historian Giovanni Lista—Rumma himself who truly galvanized “Arte Povera + Azioni Povere,” involving artists not simply as expositors of objects, but also as participants in ongoing actions across town. It was also to Rumma that certain artists—including those involved in Pistoletto’s Lo Zoo, a collective of artist-performers—addressed their dissatisfaction with the limiting designation of “Arte Povera”; while they shared many aims with their peers, several feared that the very consecration of a movement went against the grain of their anti-institutional ethos. For his part, Alighiero Boetti would later remark that the event at Amalfi seemed to signal the “nauseous” anticipation of Arte Povera’s end, rather than its beginning.
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Alighiero Boetti working on Shaman-Showman at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
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Shaman-Showman at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
It is undeniable that “Arte Povera + Azioni Povere” marked the “institutionalization” of Arte Povera—its currency as both an aesthetic tendency and a marketing strategy. It is likewise indisputable that the canonization of the various works in question by museums and other official arts institutions strips them of the temporal and physical contingencies that informed their original genesis, presentation, and performance. “Arte Povera,” Celant would declare on the cover of the 1969 volume by the same name, “needs no galleries; it has the world.” Of course, the group’s various artists made widespread use of the gallery system in the years to come. Yet the events at Amalfi constituted the pinnacle of efforts to circumvent and subvert art practices reliant upon traditional modes of reception, circulation, and representation. Art was made to brush up against everyday experience in the most seemingly banal ways.
Indeed, participants would later recount how the act of unloading works that arrived (late) in Amalfi on the backs of several trucks took on the mantle of a quasi-aesthetic act in its own right. The artist Gino Marotta at one point arranged bales of hay in one of the town’s piazzas for a project he titled Giardino all’italiana (“Italian Garden”). Photographs reveal the bales arranged in a kind of square, against which various individuals—including Pistoletto and others—recline and converse surrounded by townsfolk. Marotta’s plein air installation thus formed less an object of contemplation than an ordinary thing: the site of interactions at once staged and effortlessly everyday. By the same token, artists playing soccer next to their own works in the Arsenale (with a makeshift goalpost drawn in white on the walls) proved as illuminating of the event’s ethos as the objects on display—a spontaneity that endowed the weekend with an air of festive collectivity, embodied rather than aridly intellectual.
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Michelangelo Pistoletto, Carlo Colnaghi, Carmine Ableo, and Gino Marotta gather inside Giardino all’italiana (Italian Garden), at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
This is not to say that “Arte Povera + Azioni Povere” unfurled free of conflict, or even controversy. A growing schism, in fact, emerged between the contingent of artists from Rome and several of their peers, most notably those from Turin—an ideological and theoretical rupture that Rumma and others, unattached to either city, mediated with aplomb. Much of what would become Arte Povera had been incubated in the Piedmont capital, with an alternative exhibition space, the Deposito d’Arte Presente, established by gallery owner Gian Enzo Sperone and collector Marcello Levi as a site of exchange and experimentation. Gathering to its fold artists from other cities and countries, “Arte Povera + Azioni Povere” applied the activities of the Deposito to a larger scale. Some Italian art historians would later insist upon the specifically Italian genealogy of Amalfi’s events, particularly the Futurist serate (evenings), whose raucous, often festive atmosphere they recall in their purposeful blurring of staged performance and playful improvisation. Yet such origins can hardly be disentangled from the contemporary prevalence of American-style happenings—an international dimension that “Azioni Povere” plainly courted.
The poised stasis of certain objects in the Arsenale belied often willfully messy and extemporaneous origins. As a kind of metaphor for Arte Povera’s (inevitable?) rigidification from event to object, Pistoletto’s Mappamondo (1966–68)—a sphere of compressed newspapers smoothed by its collective rolling through the streets of Turin—came to rest alongside other objects on display in Amalfi. The installation of works by ArtePoveristi today can similarly strip them of any sense of contingency and volatility, exacerbated at the time by the social and political climate of Italy (and Europe at large) in 1968. If the neat geometries of Boetti’s Catasta (“Stack”)(1967) appears in line with American Minimalism, the artist’s more performative works, like the Shaman-Showman installation he created at Amalfi—including scrawling these words on a paper-covered pillar—defy any aesthetic categorization.
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Ger Van Elk painting a line on the floor with shoe polish at Arte Povera, 1968. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
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Richard Long, Paolo Icaro, and Francesco Gozzano playing football in the Arsenale. Photo by Bruno Manconi. Courtesy of Archivo Lia Rumma.
Even still, several of the works evinced, and still retain, a sense of chance within the bounds of their formal and conceptual premise. Mounted in the Arsenale, Pistoletto’s Candles (1967)—featuring dozens of lit candles placed along a reflective strip—still changes with each installation, the light of each wick flickering against their Mylar base. The large bowl of Gilberto Zorio’s Untitled (1968), for example, bears powdered sulfur, iron shavings, and a magnet, in what was plainly conceived as an interactive work defiant of any fixed form. If Marotta’s hay installation in the streets of Amalfi has long since disappeared, Merz’s 1968 Untitled—with its stack of hay bales mounted by a single rod of neon light—recalls that contemporary intervention and something of its sensory dimensions (the musty smell of hay, the wayward curl of dried blades).
Merz’s Cone (1967) entails the use of relatively unorthodox materials, purposefully redolent of archaic, even “primitivist” culture and craft. Like Merz and Marotta, and the Puglia-born artist Pino Pascali (who died in a motorcycle crash just one month before “Arte Povera + Azioni Povere”), many artists involved in Arte Povera (but not necessarily on its roster, like Piero Gilardi) consistently engaged with aspects of Italy’s regional and vernacular culture. This engagement aimed to resist the increasingly consumerist and technocratic elements that had seized post-war Italian culture since the “economic miracle” peaked in the early 1960s. Parallel to the work of poet-director Pier Paolo Pasolini, who celebrated Italy’s subproletariat and southern communities for their exclusion from official culture, many contemporary artists turned to Italy’s south—long seen as “backward” and undeveloped—as a new aesthetic model, precisely in its resistance to the logic of capitalist time.
In addition to its professed affinity with (proverbial) poverty, the very title of “Arte Povera + Azioni Povere” aimed to conflate the coordinates of exhibition and experience—a conflation that significantly influenced two major events of 1969: “When Attitudes Become Form,” curated by Harald Szeemann at the Kunsthalle Bern; and “Op Losse Schroeven” (“On Loose Screws”), curated by Wim Beeren at the Stedelijk Museum. Both exhibitions featured not only installations, but a series of performative interventions by artists. Marcello Rumma died suddenly and tragically the following year, in 1970. Yet he had already founded Rumma Edizioni, a press dedicated to the critical documentation of contemporary aesthetic problems, while his wife went on to found Lia Rumma Gallery in Naples. The couple’s extensive archive, meanwhile, offers vital insights into “Arte Povera + Azioni Povere” and its legacies. The numerous photographs taken by Bruno Manconi of the Arsenale and its environs afford a compelling reconstruction not simply of objects as they sat on display, but of the activities by artists, critics, and visitors that brought them alive.
from Artsy News
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tartagliaarte · 4 years
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Vincenzo Mascia
Vincenzo Mascia opera disponibile in vendita online
Vincenzo Mascia
Nasce nel 1957 a Santa Croce di Magliano, ove attualmente vive e lavora.
Artista e architetto si è formato negli anni Ottanta a Roma, dove ha avuto modo di assistere alle lezioni universitarie di Filiberto Menna, attento indagatore dei sistemi linguistici dell’arte contemporanea.
Fin dagli esordi la ricerca di Mascia si è indirizzata verso l’arte non figurativa, sulla scia di una…
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tifatait · 4 years
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Salerno. Centro Studi di Arte Contemporanea Fondazione Filiberto e Bianca Menna. Nominati per il Comitato Scientifico: Raffaella Perna, Francesco Gallo Mazzeo e Alessandro Vitiello. | www.positanonews.it
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rassegnaflp · 5 years
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LA GRANDE RADIO - Sigmund Freud. Spunti e riflessioni
LA GRANDE RADIO – Sigmund Freud. Spunti e riflessioni
da raiplayradio.it, 29 settembre 2019
Il 23 settembre 1939 moriva a Londra Sigmund Freud, neurologo e psicoanalista, fondatore della psicoanalisi. Vengono riproposti interventi della psicoanalista Simona Argentieri (2006), di Edoardo Sanguineti (2007), dello psicoanalista Stefano Bolognini (2006), dello storico dell’arte Filiberto Menna (1980).
https://www.raiplayradio.it/audio/2019/09/LA-GRANDE-…
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pyrosonline · 6 years
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La Provincia di Salerno e la Fondazione Filiberto e Bianca Menna presentano il romanzo storico ''Teste mozze'' - pyrosonline.it
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garadinervi · 3 years
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«Senzamargine», No. 1, Directed by Alberto Boatto, Lerici Editore, Roma, 1969, January 1969 [s.t. foto libreria galleria, Roma]. Designed by Magdalo Mussio. Texts by Giulio Carlo Argan, Alberto Asor Rosa, Filiberto Menna, Tommaso Trini, Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Alberto Boatto, Angelo Trimarco, Giuseppe Cantillo, Maurizio Fagiolo, Anna Maria Damigella, Federica Di Castro, Rubina Giorgi
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riuacero · 7 years
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El expresionismo es escéptico sobre la realidad objetiva del naturalismo, pero deposita toda su confianza en la verdad de la expresión subjetiva. El impresionismo desconfía de toda atribución simbólica, pero pretende restituir un naturalismo legitimando la verdad de la sensación. El cubismo denuncia la artificiosidad del naturalismo, pero anhela la restitución de un realismo objetivo, en la evidencia de la estructura. Así, Malevich denominará “nuevo realismo plástico” al suprematismo, y cuando Gavo y Pevsner firman su primer manifiesto, no hablarán de constructivismo, sino de “realismo”. Oteiza se referirá a un “realismo inmóvil” para referirse a un arte más allá de la abstracción. Orozco a un “realismo de lo interior”, para hablar del expresionismo; Filiberto Menna reconocerá una forma primaria de realismo en el ready-made, y Michael Fried apreciará un “naturalismo latente u oculto” en el literalismo minimalista y en las tautologías conceptuales; Perniola identificará un “realismo psicótico” en el arte del XXI; Louis Aragon se referirá a un “realismo abierto”, Garaudy a un “realismo sin fronteras”, y para Lukacs, “todo gran arte es realista”, pues “no se trata de un estilo, sino de la actitud frente a la realidad”. En todos los casos, el realismo es una fantasía de inmediatez, una disposición que se ofrece como “descripción” de lo que es, como una resistencia al sentido, a la subjetividad, como “ilusión referencial” que superaría la representación…
El retorno de lo imaginaro; Juan Luis Moraza
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[:it]Simone Civale - Arte Salerno 2017 [:]
[:it]Simone Civale – Arte Salerno 2017 [:]
[:it]
Simone Civale è nato il 05 marzo 1986 a Cava dè Tirreni e vive a Minori (SA).
Ha avuto la sua prima esperienza in ceramica, nel piccolo laboratorio dell’Istituto Comprensivo di Minori, alunno del Prof. Giuseppe Ruocco.  Ha frequentato l’Istituto Statale D’Arte Filiberto Menna di Salerno, nella sezione Ceramica ed allievo dei docenti: Italo De Rosa, Luciana Femia e Francesco Capaldo.  Nel…
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redazionecultura · 7 years
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sede: Museo Archeologico (Pontecagnano); a cura di: Maria Giovanna Sessa.
In questa esposizione l’artista che si cimenterà – presentando oltre 50 opere – nel complesso rapporto dialettico tra l’arte contemporanea e le antiche testimonianze archeologiche del museo è Pietro Lista, dinamico interprete dei principali movimenti artistici del Novecento, dall’informale all’astrattismo, al concettuale, al ready made, alla pop-art e soprattutto all’Arte Povera. Nato a Castiglione del Lago nel 1941 e formatosi nel milieu culturale napoletano degli anni Sessanta, tra personalità quali Achille Bonito Oliva e Filiberto Menna, l’artista ha vissuto con Gillo Dorfles l’intensa ed appassionata esperienza di continuità tra archeologia ed arte contemporanea con il “Museo dei Materiali Minimi” a Paestum. Il suo universo poetico è popolato da testimoni di un mondo perduto di cui sono sopravvissute soltanto alcune enigmatiche tracce: la sua pratica artistica, risonante di echi primordiali e di arcaici riferimenti, si sofferma sulla rappresentazione pittorica di figure acefale, le deiecta membra che rievocano il mito della morte di Dioniso, fatto a pezzi dai Titani. I corpi diventano la zona di confine dell’identità, esprimono una sensazione tra presenza e assenza, tra erotismo e morte. La sua produzione plastica rispecchia tale concezione in cui la materia tende a regredire nel suo movimento magmatico: ne costituiscono un esempio paradigmatico i tre vigorosi busti in terracotta ingobbiata, memori della statuaria classica ma segnati da incisioni, graffi, fori, abrasioni che li assimilano ai corpi martoriati raffigurati sulla tela. Le Trame, installazioni in forma di cubi, sfere, piramidi di corda intrecciata danno conto della sua spiccata manualità e della capacità espressiva di creare messaggi di novità linguistica e formale. Anche i Vestimenta, fantasmatiche presenze emerse da un mondo pre-archeologico, sono realizzati con la corda che l’artista ha reso sfilacciata e lacunosa per equipararla a quella dei brandelli di abiti che vestivano uomini del passato, a figure inquietanti, ai frammenti superstiti allo sfacelo dei corpi ed alla consunzione della materia. La rappresentazione primordiale, asimmetrica, volutamente piatta, l’uso minimale della geometria e del colore sono gli strumenti attraverso i quali Lista, “archeologo-contemporaneo”, esprime la sua inclinazione all’imperfezione, all’estrema semplificazione della composizione alla preistoria della forma.
Durante la mostra sono previsti incontri e attività didattica che contribuiranno ad una riflessione approfondita sull’inedito accostamento tra archeologia e arte contemporanea. Un programma di percorsi guidati condotti da giovani curatori, critici e collezionisti e dallo stesso autore, offriranno approfondimenti e nuove chiavi di lettura ai visitatori che si avvicinano al mondo dell’arte contemporanea su opere, tecniche, temi e linguaggi espressivi specifici.
Il catalogo è edito dalla Casa editrice Area blu, testi di Anna Imponente, Francesca Casule, Luigina Tomay, Ernesto Sica, Angela Pontrandolfo, Maria Giovanna Sessa, Antonello Tolve, Rosa Carafa, con un’intervista di Maria Giovanna Sessa ad Achille Bonito Oliva, appendice bio-bibliografica di Rosa Cuccurullo.
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Hoc opus fecit… Pietro Lista sede: Museo Archeologico (Pontecagnano); a cura di: Maria Giovanna Sessa. In questa esposizione l'artista che si cimenterà - presentando oltre 50 opere - nel complesso rapporto dialettico tra l'arte contemporanea e le antiche testimonianze archeologiche del museo è Pietro Lista, dinamico interprete dei principali movimenti artistici del Novecento, dall'informale all'astrattismo, al concettuale, al ready made, alla pop-art e soprattutto all'Arte Povera.
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24hdrawinglab · 3 years
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La Fondazione Menna Binga
La Fondazione Menna Binga
24H Drawing Lab alla Fondazione Filiberto Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea Nata nel 1989 per volontà della famiglia Menna, la Fondazione Filiberto Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea promuove iniziative e progetti volti a diffondere ed approfondire la conoscenza del presente dell’arte, rinnovando così la lezione teorica dello studioso salernitano, fra i protagonisti del dibattito…
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