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#diritto di critica
marcogiovenale · 1 month
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la solita miseria italiana: censura & inquisizione per chi affronta la questione palestinese a scuola
https://www.monitor-italia.it/roma-censura-per-chi-parla-di-palestina-a-scuola/ la situazione è a dir poco inquietante: https://www.monitor-italia.it/roma-censura-per-chi-parla-di-palestina-a-scuola/ una scuola a misura di colonialismo?
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queerographies · 6 months
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[Identità di genere][Tommaso Gazzolo]
Che cos’è il diritto all’“identità di genere”? Perché secondo la giurisprudenza italiana ha ormai sostituito quello all’“identità sessuale”?
Che cos’è il diritto all’“identità di genere”? Perché secondo la giurisprudenza italiana ha ormai sostituito quello all’“identità sessuale”? Che funzione svolge nel nostro ordinamento? E per che tipo di operazioni giuridiche è servito e serve oggi? Il volume di Tommaso Gazzolo cerca di rispondere a queste domande in un percorso che incrocia il diritto con la psicoanalisi, ma anche con alcune…
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livornopress · 1 year
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"Sospeso, degradato e congedato" per aver parlato di mobbing e suicidi, NSC intervista in diretta Chiariglione
Livorno 10 gennaio 2023 Con questo evento on-line organizzato dall’Ufficio di Presidenza del sindacato NSC e fruibile in diretta sulla pagina Facebook del Nuovo Sindacato Carabinieri, il Vice Presidente NSC Costantino Fiori e la Responsabile del Dipartimento di Psicologia Militare di NSC D.ssa Alessandra D’Alessio, ospitano la preziosa testimonianza di quanto psicologicamente e umanamente vissuto…
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ilfascinodelvago · 2 months
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L'educazione delle masse è stata assunta dalla televisione. E la televisione è dovunque nelle mani dei privati, cioè del Potere. Dunque agisce nel loro interesse, e contro l'interesse degli spettatori, cioè delle masse. Solo che il suo funzionamento è assai più pervasivo, più potente, più subdolo: l'educazione si realizza manipolando. E la manipolazione avviene in forme accattivanti, divertenti, solleticanti, tendenti al massimo ascolto. Così siamo stati “educati". Dunque il problema all'ordine del giorno è mettere a fuoco una verità elementare. È la tv a plasmare gli individui e a definire lo stato psicologico, intellettuale, morale di un popolo intero. In quanto tale, essa non dovrebbe essere né al servizio dei pochi, né fuori dal controllo democratico dei molti. In una società “debole”, cioè con un livello civile ridotto o elementare, la tv ha effetti più devastanti. Cento trasmissioni sono devastanti per lo stato intellettuale e morale di un intero paese. Hanno prodotto lo spettacolo necessario per stemperare gli obiettivi di trasformazione sociale; per oscurare, marginalizzare, ridicolizzare la critica al sistema; per produrre il rumore di fondo sufficiente a impedire l’ascolto di altre voci. Penso che per fare la televisione bisogna avere la patente. Perché l'informazione è un diritto e non può essere subordinata al mercato; perché la cultura è un patrimonio comune; perché l'educazione è un dovere.
P.P. Pasolini
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ma-come-mai · 5 months
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L'educazione delle masse è stata assunta dalla televisione. E la televisione è dovunque nelle mani dei privati, cioè del Potere. Dunque agisce nel loro interesse, e contro l'interesse degli spettatori, cioè delle masse. Solo che il suo funzionamento è assai più pervasivo, più potente, più subdolo: l'educazione si realizza manipolando. E la manipolazione avviene in forme accattivanti, divertenti, solleticanti, tendenti al massimo ascolto.
Così siamo stati “educati". Dunque il problema all'ordine del giorno è mettere a fuoco una verità elementare. È la tv a plasmare gli individui e a definire lo stato psicologico, intellettuale, morale di un popolo intero. In quanto tale, essa non dovrebbe essere né al servizio dei pochi, né fuori dal controllo democratico dei molti. In una società “debole”, cioè con un livello civile ridotto o elementare, la tv ha effetti più devastanti. Cento trasmissioni sono devastanti per lo stato intellettuale e morale di un intero paese. Hanno prodotto lo spettacolo necessario per stemperare gli obiettivi di trasformazione sociale; per oscurare, marginalizzare, ridicolizzare la critica al sistema; per produrre il rumore di fondo sufficiente a impedire l’ascolto di altre voci (…).
Penso che per fare la televisione bisogna avere la patente. Perché l'informazione è un diritto e non può essere subordinata al mercato; perché la cultura è un patrimonio comune; perché l'educazione è un dovere.
Pier Paolo Pasolini
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b0ringasfuck · 2 months
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Vogliamo ricordarlo anche così...
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crosmataditele · 7 months
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Proviamo a capire qualcosa, ragionando, sullo spot della pesca. Innanzitutto, chiariamo che non è affatto inutile parlarne, anzi. Non è vero che gli si fa un favore, anzi: questa cosa del purché se ne parli è figlia pura del molti nemici molto onore. Che è una fesseria: chi ha inventato questa frase si è poi accorto che molti nemici ti fanno il mazzo a tarallo, altro che molto onore. Così, questa cosa della pubblicità, che guadagnerebbe anche in termini economici perché la si critica, non è vera, o comunque tutta da dimostrare: dati alla mano, però, possibilmente. Poi. Non è di destra. La destra non ragiona così, non parla così. Non è melliflua e non titilla queste note sdolcinate: questo è veltronismo puro: un distillato di banalità, peraltro pericolosissime, perché hanno permeato tutta la cultura italiana, che ormai è ridotta come sappiamo. Altra obiezione: che senso ha criticare questo modo di raccontare le cose? Ha senso, perché è così che passa il senso comune: attraverso migliaia di queste cose qui. La mammina affacciata che guarda il padre separato dalla finestra e quasi lo perdona (perché è ovvio che la colpa della separazione è dell'infido patriarca). Il beau geste della creatura, che ovviamente ragiona come in un film finanziato dal Ministero. La bella casa, la macchina nuova. E' così che passano le idee. E vanno criticate eccome, sempre e comunque. Prima di tutto per non perdere l'abitudine al pensiero, poi per principio: la critica, in certi casi, è addirittura un dovere, altro che diritto. Perché, ripeto, è così che si forma la pericolosissima opinione pubblica, e ogni tanto le va ricordato che sì, va bene, sarai anche pubblica, ma come opinione è meglio se vai a cuocere i cocozzielli. Così passano i concetti malati, così filtrano le idee fasciste: quando noi, che dovremmo ragionare su tutto, pensare, studiare, facciamo i superiori. E sbagliamo. Non bisogna fare i superiori: bisogna essere, superiori. Non lasciar correre niente, a queste idee. Niente. E' così che vincono, e invece bisogna riflettere, studiare, criticare. Sempre. Tutto. Per non far credere che certe cose siano normali. Non sono normali, sono solo comuni, come diceva Dorothy Parker.
Amleto de Silva
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bicheco · 4 months
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Il sifone a U
Un caso comico e uno tragico ci dicono che servirebbero corsi scolastici e post-scolastici per insegnare a maneggiare i social. Quello comico è il ministro Crosetto che a Capodanno posta su Instagram il punteggio di una partita vinta a burraco, poi insulta chi lo critica e invoca la privacy, come se non l’avesse messa in piazza lui. Quello tragico è il probabile suicidio della ristoratrice lodigiana, esaltata dalla ministra leghista Locatelli e da molti media per avere zittito un presunto cliente della sua pizzeria che su Tripadvisor lamentava la presenza di gay e disabili, poi sbugiardata perché il commento discriminatorio era un falso grossolano da “marketing del bene”. Stare sui social è diventato un mestiere usurante e pericoloso, talvolta mortale. Chi li usa senza precauzioni non è attrezzato a sopportarne le conseguenze e non capisce che il web è come un sifone a U: se ci fai i tuoi bisogni, questi ti ritornano in faccia. E non di rado accade lo stesso anche con gli escrementi altrui. I personaggi pubblici sono sempre sotto i riflettori e, volenti o nolenti, ci fanno il callo. Ma le persone comuni spesso non reggono all’esposizione, soprattutto quando passano in mezzo minuto dagli altari alla polvere, da famosi a famigerati. Nessuno conosce i motivi del gesto della ristoratrice, anche se politici e commentatori si sono affrettati incredibilmente ad attribuirlo a Selvaggia Lucarelli e al suo compagno chef Lorenzo Biagiarelli. Cioè a chi ha avuto il merito di fare ciò che ormai pochissimi fanno: la verifica dei fatti. Così smascherare il falso post sui gay e i disabili che montava come panna nel mondo politico-giornalistico è diventato “campagna d’odio” e “gogna mediatica”, anche se i toni del fact checking erano civilissimi e i commenti social piuttosto contenuti.
La cosa doveva restare confinata lì. Invece la donna è stata intervistata dal Tg3 e persino convocata in Questura per scovare l’eventuale istigatore all’odio anti-gay e disabili, ove mai esistesse. Ma il fatto più ignobile è lo sciacallaggio della Lega, la cui ministra Locatelli si era bevuta tutto senza uno straccio di verifica. E ora specula sulla tragedia straparlando della “sinistra e dei suoi giornalisti” (questi pensano che siano tutti come quelli di casa loro) ed equiparando la pizzaiola al vicepremier e ministro Salvini imputato per Open Arms. Un presunto leader che da anni, con la sua “Bestia” e i suoi stalking citofonici, mette alla gogna social privati cittadini (anche ragazze e ragazzi, persino disabili) utili alla sua propaganda o colpevoli di criticare le sue politiche. Persone che manifestano senza far nulla per mettersi in mostra, esercitando soltanto un diritto costituzionale. Che poi, per lui e quelli come lui, è il vero peccato mortale.
Marco Travaglio
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heresiae · 2 years
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Mettiamo un attimo le cose in prospettiva
prima che vi fiondate tutti a fare scorta di xanax e antidepressivi.
yep, la Meloni è su. siamo ufficialmente uno stato fascista per la prima volta dal '45. nonostante lei abbia ereditato il partito ultra capitalista nessuno si fa illusioni su chi lei sia. fateci pace prima che potete.
la Lega è andata molto male. avevo una mezza idea che non sarebbe andata benissimo da come i miei compagni di clan celtici meditavano di votare "Carlo Magno" sulla scheda (si, sono tutti leghisti e per qualche motivo non hanno voglia di picchiare a sangue l'unica sinistroide del clan, ma anzi le passano la birra. sto ancora cercando di capire come sia possibile ma ci sto facendo pace). di questo gioizziamo.
la dichiarazione della sopracitata «Dagli italiani su queste elezioni politiche è arrivata un’indicazione chiara, un governo di centrodestra a guida di Fratelli d’Italia» è parecchio falsata dato che è stata votata dal 26% del 44%, aka, meno di 7 milioni di italiani in totale. siamo quasi 60 milioni.
quindi sì, siamo politicamente diventati uno stato fascista, ma non siamo una società fascista. ricordiamocelo nei prossimi mesi quando sarà difficile vedere la luce in fondo al tunnel.
(e il primo che mi dice che dovrei anche tenere in conto il fatto che la Meloni, essendo donna, è una vittoria per il femminismo, io vi dico che una Tatcher all'italiana è una vittoria del patriarcato. il femminismo va ben oltre l'essere femmine).
e ora una considerazione critica a tutti gli astenuti.
mi piacerebbe dirvi "il voto utile è una schifezza" ma siamo andati MOLTO vicino a darle la maggioranza dei 2/3 dei seggi, ovvero la soglia oltre la quale il suo partito può modificare la Costituzione senza referendum e coinvolgere gli altri partiti.
lo so che siamo tutti schifati dai politici e dai partiti, lo so che entrare ai seggi e vedere la scelta disponibile ti fa annodare le viscere, non so come sia stata questa campagna elettorale visto che io non ho tv, non ascolto la radio e non sono all'interno di nessun partito, ma mi pare di aver intuito che sia stata particolarmente nauseante e capisco anche questo, ma quando c'è il fottuto rischio di tornare alla situazione degli anni '20, magari uno sforzo quella volta facciamolo (nonostante il mio, alla fine, sia stato solo un mezzo sito utile. no, non ce l'ho fatta per intero). quando non c'è liberi tutti, ma stavolta ci siamo andati davvero vicino.
il diritto di voto include il diritto di non esercitarlo, ma migliaia di persone hanno versato sangue a fiumi per darcelo e uscire dalla dittatura, è un dovere mantenere questo stato il più democratico possibile e possiamo farlo solo noi.
ricordiamocelo la prossima volta, eh?
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rideretremando · 11 days
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KANT
di Sebastiano Maffettone
Domani, 22 aprile, Immanuel Kant compie 300 anni (1724-2024). Ho usato il tempo presente non a caso. Perché, che lo si sappia o no, Kant vive ancora in mezzo a noi. Meglio, le sue idee e le sue teorie sono parte integrante del nostro patrimonio intellettuale. Lo si vede chiaramente dalla nostra comune ideologia, dalle più rilevanti ipotesi filosofiche che hanno popolato il secolo ventesimo e l’inizio del nostro, e in sostanza dal nostro modo di pensare nel suo complesso. Non è facile argomentare decentemente una tesi come questa. Certo, si può dire che Kant era un genio assoluto, si può sostenere che ha messo insieme profonde intuizioni sul suo tempo con una tecnicalità filosofica perfettamente compiuta, oppure ancora che egli ha incarnato come nessuno lo spirito della modernità di cui siamo ancora – volenti o nolenti – figli riluttanti. Tutto vero, beninteso.
Ma, non appena si cerca di sostenere qualcosa di simile alla luce dei suoi scritti, interpretazioni generali come questa mostrano la corda. E per varie ragioni. La prima è banale e ineliminabile: leggere Kant è complicato, quasi impossibile senza una guida. Non puoi, intendo, prendere i suoi testi più importanti e, pur armato di buona volontà, sperare da solo di capire ciò che il filosofo sostiene. Innanzitutto, perché il nostro tratta problema estremamente astratti e complessi, del tipo di come sia possibile la conoscenza e che cosa vuol dire essere liberi. In secondo luogo, perché Kant non aveva il dono di una scrittura persuasiva e gradevole, come per esempio lo sono quella di Rousseau e quella di Hume. Certo, la sua prosa è ardua perché, come detto, si arrampica su cime abissali, ma è difficile negare che l’autore ci metta del suo. Il tedesco di Kant è indubbiamente ostico, come del resto i suoi primi lettori non esitarono ad affermare.
Kant, diciamo la verità, era un tipo strano. Metodico fino all’esasperazione e prussiano nell’animo, così lontano non solo dalla mia immaginazione mediterranea ma anche dalle esperienze di vita degli altri filosofi della modernità. Cartesio, Hobbes, Spinoza, Locke e compagnia avevano avuto vite movimentate, ed erano stati costretti all’esilio per ragioni diciamo così ideologiche. Kant, invece, come molti sanno, non si era mai mosso dalla sua Königsberg, ai suoi tempi cittadina mercantile fiorente nella Prussia Orientale ora – con il nome sovietico di Kaliningrad (sic!) – centro di un exclave russo sul Baltico che rischia di essere un pericoloso corridoio bellico nel prossimo futuro. La sua vita era scandita da ritmi sempre uguali. Lo svegliava il fedele servitore Lampe prima delle 5, poi studiava e preparava le lezioni che avrebbe tenuto all’Università Albertina di Königsberg, dopo di che consumava l’unico pasto del giorno (talvolta in compagnia), e nel tardo pomeriggio faceva la famosa passeggiata quotidiana rigorosamente in solitario (quella su cui si dice i locali regolassero l’orologio). Al ritorno, leggeva fino a quando arrivava l’ora di andare a dormire. Era genericamente stimato dai suoi concittadini anche se la sua carriera accademica era stata lenta e faticosa, ed era finito a 80 anni nel 1804 dopo una vecchiaia fertile di studi e pubblicazioni.
Se si dovesse scegliere una frase tra le tante che Kant ha lasciato impresse nella nostra memoria, direi di partire da quella che ci invita a prendere in considerazione due fondamentali universi quello del «cielo stellato sopra di noi» e quello della «legge morale dentro di noi». Dal complesso rapporto tra di loro, discende il nucleo dell’opus kantiano. Quest’ultimo è senza dubbio costituito in primo luogo dalle tre Critiche, Critica della ragion pura (1781, seconda edizione rivista 1787), Critica della ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790). Ciò, anche se Kant era un genio poliedrico, in grado di esprimersi ad alti livelli su temi di fisica, matematica, diritto, astronomia, antropologia, geografia, teologia e via di seguito. E anche se –oltre alle Critiche – Kant ha scritto molti altri lavori di enorme importanza filosofica, tra cui quelli dedicati alla politica e alla religione.
Nelle sue opere, emerge – come mai altrove – lo spirito dell’Illuminismo, con la sua fede nel progresso e la fiducia nella scienza (a cominciare dalla fisica di Newton), ma col passare del tempo anche la pacata consapevolezza dei suoi limiti e un’apertura al clima culturale che sarebbe seguito. Se, in tutto ciò, un concetto dovesse farci da guida direi che è quello di «autonomia». L’autonomia kantiana riguarda sia la conoscenza teoretica che la vita pratica ed è il vero faro che illumina il percorso della modernità.
Nella Critica della ragion pura si trova l’essenziale della filosofia teoretica di Kant, che riguarda il mondo come è. Nella Critica della ragion pratica – ma anche nella tarda Metafisica della morale (1797) - il nucleo della filosofia pratica di Kant che riguarda il mondo come dovrebbe essere. In entrambi i casi, sia pure in maniera diversa, il soggetto dà leggi a sé stesso, cosa che poi corrisponde al concetto di autonomia di cui si diceva. Nella Ragion pura il nucleo del ragionamento kantiano coincide con la cosiddetta «rivoluzione copernicana», che fornisce la riposta alla fondamentale domanda sul come possiamo conoscere a priori la struttura del mondo sensibile. La risposta suggerisce che il mondo sensibile, o mondo delle apparenze, è in fin dei conti costruito dalla mente umana tramite una complessa interazione di materia che riceviamo dall’esterno e di forme apriori che derivano dalle nostre capacità cognitive innate. Si tratta di una nuova visione costruttivista dell’esperienza, che costituisce davvero una rivoluzione nel campo del pensiero (come quella di Copernico a suo tempo). Lo strumento analitico principale in questo tour de force è costituito dall’idealismo trascendentale, che all’osso è la dottrina secondo cui noi facciamo esperienza solo delle apparenze attraverso le forme a priori di spazio e tempo, mentre le cose in sé restano inconoscibili. In questo modo, Kant toglieva certamente autorità alla metafisica, ma – come ebbe a dire lui che aveva avuto una profonda educazione religiosa ispirata al pietismo – lasciava al tempo stesso più spazio alla fede.
Se la filosofia teoretica di Kant concepisce l’autonomia come capacità squisitamente umana di fornire l’apparato a priori che consente l’esperienza, la stessa autonomia gioca un ruolo ancora più centrale nella filosofia morale di Kant. La legge morale è – come ci hanno raccontato a scuola – basata sull’imperativo categorico, ed è fondata sul lavoro della ragione là dove la conoscenza poggia sull’intelletto. Anche qui, sullo sfondo c’è l’idealismo trascendentale, ma in questo caso non ci accontentiamo delle apparenze ma entriamo nell’ambito delle cose in sé. Se non altro perché la natura è altro da noi, mentre la moralità è squisitamente umana. La ragion pratica così concepita aiuta a comprendere la fondamentale libertà che abbiamo avuto in sorte. Naturalmente, di ciò non possiamo avere una pura consapevolezza teoretica, ma dobbiamo partire da un profondo sentire che consente a ognuno di noi di avvertire la legge morale, secondo la dottrina detta del «fatto della ragione».
A questo punto, il disegno complessivo della critica sembra essere inevitabilmente condannato a un dualismo, che non può che stridere con la mentalità sistematica di Kant. Da un lato c’è il determinismo della natura, dall’altro la libertà dell’essere umano. Scopo della Critica del Giudizio, è proprio il tentativo di superare questo dualismo tra teoria della conoscenza e il dominio della pratica. L’unità del progetto viene raggiunta, in quest’opera, introducendo una terza opzione cognitiva, che fa capo alla capacità riflessiva del giudizio. Tramite tale capacità noi concepiamo la natura nel suo complesso come dotata di scopo. Il giudizio estetico, la scoperta cioè del bello e del sublime nell’arte e nella natura, rivela un’armonia ultima tra il gioco dell’immaginazione e il creato. Consentendo, così, di pensare la natura come frutto di un disegno intelligente e come coerente con i nostri scopi. Soprattutto, sono gli organismi viventi che suggeriscono una finalità intrinseca all’esistenza e alla realtà.
Tutto ciò, oltre a essere complicato per chi non sa e semplicistico per chi sa, ha l’ovvio difetto di apparire scolastico. Kant può risultare, letto in questo modo, come un continuatore particolarmente sofisticato del razionalismo illuministico dei Leibniz e dei Wolff, capace di temperarlo con il lascito dell’empirismo britannico di Locke e Hume. Per capire che non è così, basta guardare alla differenza tra la filosofia che lo precede e quella che lo segue, a cominciare da Hegel e Marx. Per non parlare dell’eredità enorme lasciata da Kant nella filosofia del secolo ventesimo, un secolo in cui tutte le grandi scuole di pensiero – dalla fenomenologia all’esistenzialismo e al positivismo logico – sono in fin dei conti derive dell’opus kantiano. Ma non basta, perché la filosofia del linguaggio dopo Wittgenstein, la filosofia sociale e politica di Habermas e Rawls e la riflessione sul postmoderno non sarebbero neppure immaginabili senza partire dalla rivoluzione del pensiero apportata dal genio di Königsberg.
Dirò di più, credo sia impossibile per noi eredi del progetto incompleto della modernità trovare il bandolo delle nostre idee senza tornare a Kant. Con il compito, direi ovvio, di doverci confrontare con un mondo sociale mutato in cui certi passaggi razzisti, sessisti e classisti di Kant che pure ci sono, non hanno (o non dovrebbero avere?) più cittadinanza. E con una realtà ontologicamente trasformata dalla condizione digitale in cui siamo immersi, dalle guerre (da rileggere ora il saggio kantiano del 1795 su La pace perpetua) e con un pianeta in cui l’Occidente, di cui il nostro era chiara espressione, non rappresenta più l’avanguardia della civiltà. Ma anche per questo compito futuro il lascito di Kant resta fondamentale, un punto di partenza filosofico senza il quale sarebbe impossibile capire il nostro essere nel mondo.
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stellacadente · 8 days
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il modo in cui la7 ha parlato di ciò che è successo al corteo di milano oggi mi lascia una rabbia dentro che non so spiegare. sionisti del cazzo. sempre facile dipingere ə attivistə palestinesi come antisemitə, come violentə senza motivo, come arrabbiatə a caso, come persone che danno fastidio, protestano, esigono ma cosa e perché? per non lasciare parlare ə italianə? per andare contro le persone ebree? per fare casino tanto per? no cazzo. protestano un genocidio in atto contro il loro popolo. "danno fastidio" per farsi sentire perché a nessuno frega un cazzo delle decine di migliaia di persone morte nella loro terra e ancora di più rinchiuse in una prigione a cielo aperto nella loro terra, costrette a fuggire dalla loro terra per non morire, costrette a rimanere lontane dalla loro terra, torturate nella loro terra, attaccate e bombardate quando pregano, sanguinano, muoiono di fame, studiano, tremano nella loro terra, imprigionate senza un processo nella loro terra. persone invase, colonizzate, espulse e a cui viene negato ogni diritto, la cui terra non viene riconosciuta, viene occupata. cosa esigono ə attivistə palestinesi? di poter parlare, durante un corteo che ricorda la liberazione di questo paese e, non dimentichiamocelo mai, la resistenza armata dei partigiani che ha portato a questa liberazione, della loro libertà, non ancora ottenuta, per cui combattono da più di 75 anni. di parlare, di urlare, che anche loro meritano di essere liberə, di resistere, di vivere. e che l'italia, questo paese di politicə codardə, parla di liberazione dai tedeschi e dal nazifascismo oggi mentre dà carezze all'occupazione sionista, manda tutto il suo supporto ad israele, silenzia ogni critica di palestinesi e pro-palestinesi al governo e alla "sinistra". denunciamo l'ipocrisia italiana e veniamo additatə come antisemitə e irrispettosə della festa della liberazione quando sono le persone che trattano il 25 aprile come una mera ricorrenza con il solo scopo di guardarsi indietro e dire, ah quanto sono statə coraggiosə, mentre continuano ad ignorare, se non peggio ancora assistere un'altra occupazione, che va avanti ai giorni nostri ed è iniziata poco dopo la nostra di liberazione, a sputare sulla memoria dei partigiani che vedendo lo scempio, la farsa che è diventata il 25 aprile, direbbero loro di vergognarsi. dovremmo imparare dal passato, dovremmo volere la libertà di tuttə, invece ad oggi né il governo italiano né l'opposizione né i giornali, telegiornali, media né le università onorano la memoria della resistenza italiana al nazifascismo, ma danno il loro supporto all'entità sionista. vergogna.
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lamentiino · 3 months
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Le persone non si rendono conto della gravità della situazione riguardo ciò che è successo in rai con il comunicato esposto dalla Venier. "Non è la sede opportuna si parla di musica". Mara la musica è una forma d'arte che da sempre nei modelli occidentali (che tanto decantiamo come giusti e buoni al contrario di quelli barbari orientali e asiatici) è stata veicolo di critica alla società e alla politica. Gli artisti e tutte le persone hanno il diritto di esprimere la propria opinione e se vengono censurate in questa maniera velatamente esplicita e non facciamo nulla a riguardo abbiamo un problema. La rai si schiera ed è solidale solo verso una parte, esprime solidarietà nei confronti dello stato di Israele ma non per la Palestina. l'Italia ripudia la guerra però se fai luce su una guerra in corso devi stare ben attento dalla parte di chi ti schieri perché se sei dalla parte giusta è ok se no attento a come parli non è la sede opportuna.
Poi attenzione ahaha "i nostri telegiornali raccontano e continueranno a raccontare la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas e blabla" ma degli ostaggi palestinesi? Del fatto che Netanyahu non vuole un accordo? Dai su
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toscanoirriverente · 4 months
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Tutte le balle sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Parla il giurista Stortoni
L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio “è contraria al diritto internazionale”, “creerebbe un vuoto di tutela per i cittadini”, “eliminerebbe un importantissimo reato spia”. Tutte affermazioni infondate o addirittura false, spiega Luigi Stortoni, professore emerito di Diritto penale dell’Università di Bologna
L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio “creerebbe un vuoto di tutela per i cittadini contro le angherie dell’autorità pubblica”, “eliminerebbe un importantissimo reato spia”, “è contraria al diritto internazionale”. Sono solo alcune delle tesi che hanno trovato spazio nel dibattito pubblico negli ultimi giorni – da parte di magistrati, politici e giornalisti – contro l’ipotesi di abrogazione del reato di abuso d’ufficio (deciso martedì in prima battuta dalla commissione giustizia del Senato). Affermazioni infondate o addirittura false, come spiega al Foglio Luigi Stortoni, professore emerito di Diritto penale dell’Università di Bologna. Partiamo dalla prima. “Non è vero che con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio si creerebbe un vuoto di tutela per il cittadino – dice Stortoni –. Il vuoto di tutela ci sarebbe se i numeri dimostrassero una corrispondenza tra denunce e condanne, e invece questo è assolutamente smentito dai dati: il 95 per cento delle denunce finisce con l’archiviazione, mentre il restante 5 per cento solo in pochissimi casi dà luogo a condanne e per giunta per fatti bagatellari”.
Insomma, prosegue Stortoni, “si hanno tanti processi inutili, che sono dannosi non solo per chi li subisce ma anche per l’immagine della Pubblica amministrazione. Non ci sarebbe alcun vuoto perché i cittadini potrebbero continuare a rivolgersi alla giustizia amministrativa, nata proprio con la funzione di verificare l’eventuale cattivo uso della discrezionalità amministrativa”. 
La seconda obiezione mossa contro l’abrogazione del reato è che questo costituirebbe un reato spia molto importante per indagare su altri reati più gravi, come corruzione, concussione o turbativa d’asta. “Questa argomentazione è contraria a qualsiasi principio del processo penale liberale e anche costituzionale – replica Stortoni –. Si usa un reato, che si afferma non avere una sua ragion d’essere, per creare impropriamente uno strumento processuale per accertare altri eventuali reati, anziché accertarli con i modi ordinari previsti dalla legge. Il reato spia non può esistere nel nostro ordinamento. Il reato deve essere giustificato in sé”. 
Altra obiezione mossa in questi giorni: se abroghiamo il reato violiamo il diritto europeo e internazionale. “E’ una bugia”, dichiara netto Stortoni: “E’ falso che esista un obbligo sovranazionale a mantenere questo reato. Nella convenzione di Merida la penalizzazione dell’abuso d’ufficio è meramente facoltativa e non obbligatoria come è per altri reati, come la corruzione. C’è poi una proposta di direttiva europea che introdurrebbe questo obbligo, ma la proposta è ancora tutta da discutere ed è molto criticata dalla dottrina, soprattutto per il mancato rispetto dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità. Il testo quindi potrebbe subire modifiche o essere approvato  non si sa fra quanti anni”. 
C’è un’altra critica di carattere tecnico. La riforma del 2020 avrebbe tassativizzato in misura maggiore il reato di abuso d’ufficio, stabilendo che occorre la violazione di una specifica disposizione di legge, e in questo modo le ambiguità precedenti sarebbero state superate. “Purtroppo non è così – spiega Stortoni –. La giurisprudenza della Corte di cassazione, ad esempio, con la sentenza n. 2080 del 2022, si è mostrata refrattaria alla modifica legislativa, sostenendo – come in precedenza – che può costituire reato anche un comportamento che non vìola una specifica disposizione di legge ma che è contrario lato sensu al principio di imparzialità stabilito dall’articolo 97 della Costituzione”. 
C’è un dato che ieri è stato rilanciato con grande enfasi: la soppressione del reato porterebbe alla cancellazione di oltre tremila condanne definitive. Il dato si riferisce agli ultimi 25 anni, anche se non è chiaro come sia stata calcolata questa cifra (secondo il ministero della Giustizia, nel 2021 le condanne sono state 44 davanti alla sezione gip/gup e 18 in dibattimento). “Anche io non comprendo da dove siano stati tirati fuori questi dati – afferma Stortoni –. Ad ogni modo, se ci sono state delle condanne per un reato, che poi viene abrogato, è normale che quelle condanne vengano annullate, non c’è niente di scandaloso. Secondo questo ragionamento allora l’abrogazione dei reati di adulterio o di omicidio d’onore avrebbe dovuto lasciare in vita le pregresse condanne?”. “Se mi è concesso, questa obiezione dimostra davvero la pochezza degli argomenti utilizzati in questi giorni nel dibattito pubblico”, conclude. 
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filosofistare · 1 year
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Alberto ed io siamo per la critica filosofica del diritto di Hegel
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deathshallbenomore · 1 year
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io ieri: lollll mi sto divertendo tantissimo a rileggere cime tempestose, farò un post auspicabilmente divertente senza metterci un minimo di riflessione critica in merito, non solo perché non ho i mezzi dell’analisi letteraria ma soprattutto poiché nemmeno lontanamente il mio memino ambisce a essere considerato un invito alla riflessione seria e ponderata
il mio post auspicabilmente divertente oggi: teatro di guerra e di un simposio sul diritto di famiglia inglese del tardo ottocento
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theportalofwonder · 6 months
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Distopia 2022
Nella strada asfaltata di Roma le persone si confondevano con i loro cellulari, i loro sguardi erano lì e Matteo non poteva più guardarli in faccia, per non rivelare il suo stato d’animo, mentre ascoltava i loro pensieri con il cellulare che aveva ben premuto nella tasca. Stava tornando a casa dal suo lavoro di insegnante in cui ogni anno ripeteva le medesime cose, alcune sincere ed altre non, creando però di sé un’immagine e una figura inattaccabile. Ma il suo lavoro era leggere i pensieri degli altri, sul cellulare a raggi X, che aveva l’abilità di captare i pensieri riflessi degli altri tutto il pomeriggio, fino al calar del sole. Grazie a questo suo lavoro, metteva like ai post che erano più adatti ad alcune persone, e pensandole riusciva ad indirizzarle a loro, poi inviava post su whatsapp o su facebook, inviategli dall’agenzia americana che gli dava il lavoro. Tutto questo teneva in piedi un modello di idee capitaliste che circolavano, manteneva ciò che le persone pensavano fossero mode, o tendenze, ma personalizzandole a un livello tale, che le persone non si accorgevano del loro bisogno di altro. La sua persona influenzava il loro giudizio favorevole alle cose segnalate.
Questo era un lavoro, pagato, ma che era costretto a fare. La punizione sarebbe stata la morte per raggi X, sparati a tali livelli da diventare mortali. Dentro al suo corpo aveva un sensore per i raggi, ed era per via di esso che riusciva a sentire i pensieri altrui, di più se la stanza diventava tesa, c’era un malumore, uno sfogo, una tensione. I pensieri infatti facevano rumore, e più erano forti più li sentiva e gli facevano male in raggi. Poteva andare dove voleva, ma doveva sempre essere attaccato al cellulare, guardandolo compulsivamente, e se trovava un contenuto adatto a qualcuno dirlo subito a tutti. Nei locali chiusi c’erano dei sensori che conoscevano ogni suo movimento, ogni sua parola e ogni suo pensiero. Fuori c’erano le telecamere, che sparavano raggi X.
Il piano che lo aveva coinvolto era stato organizzato dalle venti più ricche persone americane, negli anni ’70, ma perfezionato sempre di più fino agli anni ’90. Il desiderio di potere e di dominio del mondo da parte dell’America si era fatto troppo forte e avevano più ricchezza e armi nucleari di qualunque altro paese. Per cui, con la tecnologia che avanzava per favorire la lettura dei pensieri, fecero un patto, che gli insegnamenti a riguardo sarebbero rimasti indietro, e che le idee in generale sarebbero ricircolate secondo modelli canonici, non permettendo alle persone di pensare, bloccando loro il pensiero davanti a schermi e cellulari, e mantenendo il modello americano di pensiero ovunque. La facoltà critica sarebbe pian piano scomparsa, e le persone avrebbero imparato a esprimersi soltanto tramite reference ad altre cose, già studiate sotto al modello.
Matteo si guardava in giro, aveva finito, era sera. I negozi artigianali italiani erano quasi scomparsi, le attività a lungo termine. Ora c’erano locali di plastica rosa, costruiti per disfarsi in pochi anni, con lavori temporanei e camerieri costretti a sorridere e soddisfare il cliente. Pensava solo a venti anni prima, quando il cameriere si faceva il cappuccino e una chiacchera prima di darne uno al cliente e a come era tutto più rilassato, senza sensori e telecamere. Sapeva che era un piano ben studiato e si chiedeva, come molti altri, se ci fosse un modo di uscirne.
Lui era stato coinvolto da ventenne, quando era finito nei giri sbagliati e una persona lo aveva sensibilizzato ai raggi X con la violenza. Il resto lo aveva scoperto da solo. Aveva dovuto crearsi un personaggio, credibile, che avesse tanta influenza dal vivo, e professore si era prestato come il mestiere adatto a essere più influente, con più persone. Così reiterava i suoi successi antecedenti, si faceva pubblicità, aveva curato molte mostre, ma non poteva più andare avanti nella vita, non aveva più il diritto di esprimersi, se non per modelli obbligati.
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