Tumgik
#civlità
Guglielmo Marconi, sostenitore della guerra d'Etiopia, contro il sanzionismo della Società delle Nazioni
Guglielmo Marconi, sostenitore della guerra d’Etiopia, contro il sanzionismo della Società delle Nazioni
Ecco l’intervento di Guglielmo Marconi alla Reale Accademia d’Italia del 19 gennaio 1936 sulla guerra d’Etiopia e le sanzioni:  
Tumblr media
Illustri colleghi, so di farmi interprete del vostro unanime sentimento consentendo che precedano al nostro consueto lavoro alcune dichiarazioni circa le vicende politiche dell’ora che volge. Disciplinati dall’arte e dalla scienza a scrutare i fatti umani con…
View On WordPress
0 notes
johnthanatoswick · 5 years
Photo
Tumblr media
Il sonno della ragione
Il Signor Gear se ne stava tronfio nel suo museo di quartiere, che naturalmente serviva solo come copertura per i suoi traffici illeciti. Possedeva una rete così ampia di contraffazione e furto di opere d’arte che il nome “Gear” faceva tremare chiunque al di là di tutti i sette oceani, chiunque ma non la Gran Tavola e un pugno di altre organizzazioni maggiori.«Regole, è sulle regole che si basa la civlità.», Winston aveva appoggiato un contenitore di legno rivestito di velluto sulla sua scrivania. Il contenitore era lungo circa una spanna, di colore nero. «L’obiettivo?», chiese John facendo planare lo sguardo sulla scatola e poi di nuovo su Winston. «E le regole spesso vanno al di là delle amicizie, per quanto qualcuno come noi potrebbe averne. Forse abbiamo più segreti che persone disposte a sacrificarsi per noi, non trovi Jonathan?», il modo in cui Winston spesso marcava quel nome faceva sentire l’Uomo Nero lontanamente in difetto. Winston si appoggiò allo schienale della sedia di pelle, reclinandosi di qualche grado all’indietro. Osservava John dal basso, con le mani incrociate e un’espressione paterna. «Chi?», incalzò John afferrando la scatola sulla scrivania e aprendola per scoprirne il contenuto. Trenta monete scintillanti erano disposte in una fila perfetta all’interno della scatola, abbracciate nel velluto nero come le iridi dell’Uomo Nero che sollevò lo sguardo penetrante verso Winston. «Ce ne sono altre cinque di quelle, se completi il contratto.», il direttore del Continental ci stava mettendo troppo tempo a rivelare il nome dell’obiettivo. John richiuse la scatola delicatamente e stette dritto, immobile, di fronte al criptico Direttore. La guerra di silenzi durò più del previsto e Winston purtroppo ebbe la peggio. «Thérèse Gear.» Il babajaga rimase imperturbabile, immobile, per diversi istanti. Dopo un’attenta riflessione John sospinse la scatola verso Winston. «Non io.» «Regole. Quelle stesse regole che ti hanno permesso di fare tutto quello che desideravi, quando volevi. Non si possono infrangere, Jonathan.» I capelli corvini del sicario ebbero un fremito, conseguenza di uno scatto nervoso della testa, a seguito di chissà quale pensiero teso. I nervi del sicario erano corde di violino e Winston le stava carezzando con maestria. Winston spinse di nuovo la scatola verso di lui, beffardo. «Perché Thérèse?», John si era inasprito, ma manteneva la sua proverbiale calma piatta. «Il Signor Gear tiene di certo alla propria vita e alla propria fama, ma non quanto tiene alla sua famiglia. Ha deliberatamente deciso di infrangere le regole e ora deve pagarne le conseguenze, ma deve anche essere un monito per tutti gli altri.» John osservò di nuovo la scatola di velluto, la stessa che avrebbe potuto contenere la sua anima ormai oscura come quel velluto. «Non puoi rifiutarti, lo sai come funziona.» «Cedo il mio contratto a Specter.» «No John. I sentimentalismi non fanno parte di questo posto già da molte decadi. Mi aspetto che tu lo porti a termine, o sarò costretto a prendere provvedimenti. A proposito, come sta Miss Forrester? È da qualche giorno che non ho il piacere di vederla.» L’espressione sicura e beffarda di Winston costrinse John a prendere delicatamente la scatola tra le dita e lasciare l’ufficio di Winston senza dire una parola. Non appena il sicario aveva varcato la soglia, Winston aveva perso istantaneamente vigore, abbandonandosi sulla poltrona con la fronte premuta contro una mano.John si trovava pesantemente seduto su uno degli sgabelli del bar, fissava il fondo del suo Bourbon, combattendo contro se stesso. «Che strano, un John pensieroso.», Specter comparve alle sue spalle e attese qualche istante prima di sedersi di fianco a lui, «Ho sentito che mi cercavi.» I due sicari non si guardarono direttamente in volto, non prima che John bevesse l’ultimo goccio del suo drink per poi sospingerlo verso la barista dal look pin up, che gli fece un gesto di saluto per nulla invadente. «Thérèse Gear.», sibilò l’Uomo Nero senza aggiungere altro. Specter dapprima aggrottò le sopracciglia, per poi distendere la sua espressione nell’incredulità. «Non possono avertelo chiesto davvero.» John osservò Specter a lungo e lentamente annuì arreso. «Regole. Il Signor Gear ha tirato troppo la corda e ora qualcuno deve pagare.», John sollevò due dita verso Addy che si mise subito a preparare altri due drink. «Comprensibile. Ma perché Thérèse? Perché non M.J. Gear? O la moglie...» John prese delicatamente tra le dita il bicchiere che Addy gli porse, Specter fece lo stesso «Se vuoi...» «No. È una cosa che devo fare da solo.», tagliò corto John. Addy si avvicinò ai due, ponendosi in mezzo, dall’altro lato del bancone, «So che non dovrei origliare ma, Jonathan, credo che lei ne sarebbe quasi felice. Forse più che un sicario vedrà una liberazione.» John sollevò un sopracciglio e lanciò uno sguardo intenso, scuro come la notte più buia, in direzione di Addy, che rispose con una scrollata di spalle e un sorriso innocente, «Credo che tra tutti i professionisti, se proprio dovessi finire in un contratto, spererei che sia tu a portarlo a termine.» John finì il suo drink e si alzò pesantemente, congedandosi dai due con “non mi siete per niente d’aiuto”.Dall’ingresso sul retro del Palazzo Gear una striscia di sangue partiva per segnare il percorso di morte lasciato da Mr Wick. I corpi stesi a terra nelle più disparate posizioni indicavano la solita tenacia del sicario, che sapeva essere una macchina anche quando non avrebbe affatto voluto. Le porte dell’ascensore si aprirono, due uomini di Gear si trovarono faccia a faccia con l’Uomo Nero, che non lasciò quasi loro il tempo di rendersene conto e li centrò con due colpi precisi e puliti alla fronte. Il sicario bloccò l’ascensore ed esitò. Il silenziatore stava fumando, lasciava dietro di sé una traccia grigia e volatile  mentre il sicario lentamente aveva preso ad avanzare nel corridoio. John restò fermo davanti alla porta, respirò lentamente, per poi posare delicatamente una mano sulla maniglia e aprire. La luce all’interno della stanza era fioca, i mobili erano antichi e lucidi, la maggior parte coperti da cuscini imbottiti in stile vittoriano. Sul letto una donna si stava dilettando con un libro di cui sfiorava le pagine con le dita, aspettò qualche momento prima di sollevare le iridi azzurre sul sicario. «Chi c’è? Papà?» John avanzò verso il lato del letto e si posizionò al lato di esso, in silenzio. La donna annusò l’aria, sentiva odore di bruciato e mosse le mani ossute e deformi verso di lui, cercando con il tatto una risposta. Le mani toccarono prima i suoi abiti macchiati di sangue, per poi salire a fatica verso il viso mentre la donna con sforzi dolorosi tentava di mettersi sulle ginocchia. Quando le mani sfiorarono la barba del sicario esse si ritirarono all’istante. «Non è possibile. Come...Come è possibile?» La donna infine cercò le mani del sicario e ne girò una tra le proprie. «Mani di velluto. Mr Wick? È arrivato il mio momento?» La donna era dapprima impietrita, ma poi una lacrima scese lungo la guancia pallida e scavata. Un sorriso consapevole si disegnò sulle sue labbra. «Hai fatto tanto per me. Ricordi quando venisti a salvarmi dopo il mio rapimento?», la donna scosse la testa, il ricordo bruciava ancora ma era lontano. Una nuova consapevolezza però si fece largo in lei, «Avevi però fatto un’ultima promessa. Ricordi?» La donna tastò nervosamente alla sua destra, cercando il comodino, tirò il cassettino e ne estrasse una siringa con una boccetta, porgendoglieli. Qualcuno arrivò di corsa urlando nel corridoio, la donna nella sua cecità sentì solo due netti colpi di pistola e poi di nuovo il silenzio. Deglutì e cercò di voltare il viso in direzione del sicario. «Mi dispiace per quello che è successo a tua moglie. Non l’ho conosciuta molto bene ma ho bei ricordi su di lei. Quando mio padre chiese il tuo pegno tu accettasti. Mi portasti a casa tua. Le dicesti che ero la figlia di un amico, di tenermi d’occhio per qualche giorno. Mi portava tre volte al giorno fuori, spingeva delicatamente la sedia a rotelle... Devi aver perso molto, John.» Le mani pallide di John stavano armeggiando senza esitazioni, aprì la siringa e infilò l’ago, con lo stesso recuperò il liquido dalla boccetta capovolta. Uno, due, tre, quattro, cinque milligrammi. Estrasse l’ago e appoggiò la boccetta sul comodino. «Sai se non fossi nata così, avrei voluto anche io far parte del tuo mondo. Quando ero piccola e venivi da mio padre sentivo un fermento che con me non si sarebbe mai e poi mai scatenato. Anzi, con me ci sono sempre stati sospiri, singhiozzi e pietà. Sono stata chiusa qui per anni. Non potevo andare a scuola e pensavo a cosa avrei potuto fare con un paio di occhi e delle ossa forti. Avrei davvero voluto far parte del Continental.» «No, non avresti voluto.» Sentendo la voce sommessa di John, Thérèse sorrise. «Eccoti finalmente. Speravo di percepire un po’ di umanità. Va bene, è arrivato il momento, spero che il pegno di mio padre sia valso a qualcosa, ma ne dubito.» «Ne dubito anche io.», ammise John in un soffio. La donna si stese e gli porse un braccio magro e pallido. John lo prese delicatamente e tastò alla ricerca di una vena. I suoi gesti erano tranquilli, rispettosi. «Ah John, un’ultima cosa.», la donna indicò l’altro capo della stanza, «Da quella parte c’è il regalo che mi hai fatto quando ero piccola. Portamelo, voglio che mi trovino così, voglio che sappiano che non è stato violento.» Il sicario indugiò, ma poi si diresse verso la bambola dai capelli biondi, gliela posò in grembo e attese. La donna gli porse di nuovo il braccio, sembrava tranquilla. John trovò facilmente la vena in quel braccio delicato, le sue ossa si sarebbero spezzate sotto una pressione poco più forte di quella. Infilò l’ago, lentamente e aspirò un po’ di sangue. Si sedette sul bordo del letto e attese, poteva ancora alzarsi e andarsene, poteva rinunciare, ma la mano di Thérèse si appoggiò sulla sua. «Ti prego John, questo calvario è già durato fin troppo. Ti prometto che ti saluterò Helen.» Il sicario indugiò ancora qualche istante prima di premere lentamente lo stantuffo e riversare tutto il contenuto della siringa nella vena della donna. Estrasse delicatamente l’ago e posò la siringa sul comodino. Rimase fermo a osservare la donna, immobile. «Sai mi ricordo ancora la prima volta che sei venuto da mio padre. Io riuscivo ancora a correre. Quel giorno stavo rincorrendo mio fratello e sono inciampata, cadendoti addosso. Ricordo ancora il silenzio atterrito che si creò subito dopo, ricordo bene la riverenza con cui ti avevano accolto e il terrore nei loro cuori. Però tu ti chinasti, mi porgesti gli occhiali e nel silenzio...più» la voce della donna si stava affievolendo, diventava più pesante, così come il respiro «...totale...dicesti...», la donna chiuse gli occhi e si addormentò profondamente. John stette a osservarla a lungo, senza temere che qualcuno potesse sopraggiungere alle sue spalle. Poi tolse delicatamente il cuscino da sotto la testa di Thérèse e lo pose delicatamente sul suo viso, dopo aver atteso di avere la forza di farlo, fece pressione con tutto il suo corpo sul viso della donna. Gli spasmi involontari di lei cessarono quasi subito, il sicario tolse subito il cuscino, ponendolo di nuovo sotto la sua testa. Le tolse i capelli spettinati dalla fronte e si alzò. «... Ti ho fatto male?», terminò la frase di Thérèse prima di allontanarsi cupo verso l’uscita.La porta dell’ufficio all’interno del salone espositivo si spalancò, il Signor Gear balzò in piedi e arretrò verso il muro decorato con un famoso dipinto di Goya. Davanti a sé vide corpi stesi, sangue e l’Uomo Nero che avanzava verso di lui. «John? No aspetta possiamo parlarne!», l’uomo aveva sollevato le mani in segno di resa, ma le abbassò quasi subito quando vide che il sicario indossava un’espressione disgustata e teneva in mano il medaglione del pegno. L’assassino lo gettò sulla scrivania e guardò l’uomo con sdegno, dopo di che se ne andò, silenzioso come era arrivato. Il Signor Gear prese il pegno tra le mani e lo aprì, era firmato anche dal sicario e la cosa lo lasciò confuso. La consapevolezza si fece via via più limpida e l’uomo si gettò sul telefono, compose il numero, ma non appena dall’altro capo risposero lui parve atterrito.Il sicario sentì il grido di dolore dell’uomo mentre risaliva in auto, era per quel motivo che diversi anni prima aveva lottato duramente per poter smettere con quella vita.
0 notes
plutopos · 4 years
Text
Collezione natalizia — Pandoro o Panettone?
Uno di tre testi argomentativi a tema natalizio, basati sullo stile dell’illustrissimo Don Ferrante (e ovviamente ironici). Buona lettura!
Dal momento in cui l’uomo iniziò a macinare chicchi di grano per produrre farina si protende il casus belli millenario: pandoro o panettone? Fonti sicure sostengono che, in una prima bozza del romanzo Travel into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships (Benjamin Swift, Motte editore 1726) , le guerre del celeberrimo popolo di Lilliput (chiaramente ispirato al campanilismo toscano, ndt) dovessero essere causate da tale questione, ma nell’edizione definitiva l’autore abbia preferito la tematica dell’apertura delle uova per due ragioni: in primo luogo, poiché in quei tempi la globalizzazione non si era ancora diffusa abbastanza da rendere il suddetto dilemma noto al grande pubblico; in secondo luogo, poiché una tematica tanto realistica avrebbe potuto disturbare gli animi più focosi.
Ad ogni modo il problema resta presente e importante anche oggi, dunque urge una soluzione decisa che gli ponga fine una volta per tutte, che qui il nostro animo filantropo ci suggerisce appunto di fornire.
Mens sana in corpore sano è il precetto che ci insegna l’autore latino Giovenale (Satire, X, 356) , ed è quello che applicheremo in questa nostra argomentazione. I gusti personali sono infatti un dato non argomentabile, dunque preferiremo evitarli (inclusa la questione dei canditi, che meriterebbe un testo a parte) . Stimando dunque che una persona, in media, assuma circa 2000 chilo-calorie al giorno e calcolando che il fabbisogno calorico giornaliero di un’adulta media sia di circa 2300 chilo-calorie al giorno (2° Manuale delle Giovani Marmotte, Walt Disney, Arnoldo Mondadori Editore 1975, p. 164¹) , possiamo facilmente capire la scelta migliore. Infatti, mentre una porzione di pandoro contiene circa 410 kcal, una di panettone ne fornisce solo 333: il valore ideale per completare l’assunzione calorica giornaliera. La stessa cosa non vale per un adulto di sesso maschile, che necessita di 2600 chilo-calorie e ne assume circa 2200: per essi andrà meglio il pandoro, che con le sue 410 kcal si incastra bene nella dieta giornaliera. Incontriamo però un evidente problema di discriminazione di genere, che collide con l’articolo 3 della Costituzione Italiana. Ci troviamo dunque di fronte a uno spinoso conflitto tra Salute e Civlità: dopotutto, Oscar Wilde afferma che “La salute è il primo dovere della vita”, ma d’altra parte la Costituzione non è cosa da mettersi in discussione. Arthur Schopenauer afferma però che “La salute non è tutto, ma senza la salute tutto è niente”. Non volendo mettere in discussione né la Salute né la Civiltà, che ci paiono dunque entrambe fondamentali, ne deduciamo che tale problema non ha soluzione e l’unica cosa da fare è smettere di mangiare pandori e panettoni.
¹ Il dato è stato corretto sulla base dei dati demografici attuali.
0 notes
Text
Erdogan, Darwin e le guerre di civiltà
Erdogan, Darwin e le guerre di civiltà
Nelle pieghe delle notizie che giungono dal mondo ce n’è anche una che farebbe la felicità dei guerrafondai di civlità se essi stessi non fossero così arretrati da confluire nelle tesi del nemico: il governo turco si appresta a eliminare la teoria dell’evoluzione dai programmi scolastici. Effetto della cultura dell’Islam non più temperata da laicismi sociali? Senza dubbio, ma in realtà effetto in…
View On WordPress
0 notes