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#cinque marzo
rossipaolo22 · 1 year
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omarfor-orchestra · 2 years
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Ma perché mi mancano tre esami e sembra che devo dare un piano di studi intero
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angelap3 · 3 months
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Oggi è il 7 Marzo, ed in questo giorno, nel 1908, a Roma nasceva la grande attrice Anna Magnani. Fin da dopo poco la nascita, fu data subito in affido alla nonna, quindi Anna fu subito abbandonata dalla madre e non conobbe mai il padre naturale. La nonna si assume tutte le responsabilità per la sua crescita ed il suo studio e la Magnani dopo un primo approccio alla musica, con lo studio del pianoforte, trovò nella recitazione la sua passione e la sua strada, frequentando la Scuola di Arte Drammatica di Roma. Iniziò a lavorare in teatro e nella rivista ed ebbe presto opportunità di collaborazione con Paolo Stoppa e Totò. I suoi inizi cinematografici partono dal 1928. Riuscì presto ad imporsi all'attenzione del pubblico e della critica per le sue spiccate doti d'interprete drammatica, sanguigna e passionale e nel 1945 raggiunse la fama mondiale con la sua straordinaria partecipazione al film “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini. Nella sua carriera vinse l'Oscar come migliore interprete, due David di Donatello, cinque Nastri d'Argento, un Globo d'Oro, un Golden Globe, un Orso d'Argento a Berlino e molti altri premi internazionali. Viene considerata tra le maggiori interpreti della storia del Cinema. Morì a Roma nel 1973, a 65 anni.
Bruno Pollacci
“Assicurate de avè le mani pulite bene prima de toccà er core de na persona.”
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ilblogdellestorie · 2 months
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Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino. Sono i nomi dei cinque agenti barbaramente assassinati dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 durante il vigliacco rapimento di Aldo Moro, anch'egli ritrovato senza vita il 9 maggio dello stesso anno. Servitori dello Stato che hanno dato la vita per difendere la nostra democrazia, la nostra Repubblica e le sue Istituzioni. A loro e a tutte le vittime di quella drammatica stagione della nostra storia, va il nostro commosso ricordo e la nostra profonda gratitudine. A noi tutti spetta il compito di ricordare e onorare il loro sacrificio, affinché quegli anni bui non tornino mai più.
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francescosatanassi · 2 months
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LA VIA È BELLA E LUMINOSA
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Il 24 marzo 1944, mentre a Roma si consumava l'eccidio delle Fosse Ardeatine, a Forlì cinque ragazzi venivano fucilati nel cortile della caserma “Ettore Muti” perché renitenti alla leva. Il lunedì seguente, sotto indicazione dei comitati clandestini di fabbrica, le operaie e gli operai delle industrie fermarono la produzione. La protesta prese forza guidata dalle donne, che contro le legge imposte dal regime si radunarono pubblicamente e in corteo raggiunsero la caserma. L’obiettivo era opporsi alla condanna a morte inflitta ad altri nove giovani. La gente affollava via della Ripa, via Giovane Italia, la piazzetta della Chiesa della Trinità fino a via Maroncelli. Pressati dalle popolane di Borgo Schiavonia, i militi fascisti furono presi dal panico e spararono ferendo una manifestante, ma la folla non indietreggiò e aumentò la protesta nel tentativo di occupare la caserma. Si gridava “Liberate i nostri figli! Assassini! Servi dei tedeschi!” Sorpreso da tanta determinazione, il Tribunale militare sospese la sentenza e il corteo si spostò verso la prefettura, dove una delegazione di donne fu ricevuta e fece tramutare la fucilazione in carcere. Le fabbriche cittadine intanto prolungarono lo sciopero fino al 28 marzo e la notizia si spinse fino alle città vicine. Così scrissero le operaie della fabbrica Arrigoni di Cesena sul numero di luglio di ‘Noi Donne’: “Carissime compagne di Forlì, noi donne di Cesena vi assicuriamo che l’esempio da voi datoci sarà seguito, le esortazioni e i consigli ascoltati. Faremo tutto il possibile per imitarvi, e benché giunte tardi, vi assicuriamo che sapremo riguadagnare il tempo perduto. La via che ci additate è bella e luminosa.”
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filorunsultra · 2 months
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SciaccheTrail TRC Expedition 2024
Ogni anno c'è il weekend di Sciacche, e ogni anno c'è un pezzo su questo blog intitolato così (qui il primo, qui il secondo). Ah, avvertenza: ho scritto di getto e senza rileggere. Lo faccio quasi sempre su questo blog (mai altrove, beninteso). Poi ci ritorno sopra nei giorni successivi. Cosa imperdonabile, lo so, ma qui mi permetto sciatterie altrove vietate. Facile insomma che se rileggete un articolo dopo qualche tempo, cambi qualcosa.
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Io, la Chri, Pass, Marta e Amanda Basham, durante un'intervista per Coltellate all'Alba, la domenica mattina, al negozio del Nic e la Chri di Manarola.
Dunque, partiamo dall'inizio. L'anno scorso, il giorno dopo la gara, io e il Pass ci recammo a Riomaggiore per la conferenza stampa di presentazione di una nuova distanza, la 100k, che si sarebbe aggiunta alla classica 47k. Andammo alla presentazione e c'era già un'idea di percorso, l'idea: unire il mare all'entroterra, da cui, parrebbe, provengano le vere origini dei popoli delle Cinque Terre. Qualche mese fa il Nic mi invitò a correrla e io intelligentemente rifiutai (perché continuo a essere convinto che non riuscirei a preparare una 100k dura per fine marzo). Il Pass invece ci credeva e si è iscritto, e io sono andato a fargli da pacer, un po' per lui, un po' per la gara, a cui, comunque, in qualche modo avrei voluto partecipare. Un anno dopo sono a Cognola, dopo una corsa in Argentario e una pastasciutta a Povo (che in primavera suscita ancora più nostalgia), con il Metti e la Marta, ad aspettare la Leti che esca di casa tutta trafelata dopo aver "smontato" il turno in comunità. Comunque la strada per Monterosso è lunga e brutta e la Cisa fa davvero schifo. Alla fine arriviamo all'imbrunire, trovando il Pass nel suo furgone, parcheggiato nel carissimo parcheggio sul mare a Monterosso, cercando di dormire in vista dell'imminente parenza. Andrea è qui dal giorno prima e ha già ritirato il pettorale, così accompagniamo Marta a ritirare il suo, trovando il Nic già completamente andato (lo dice lui) ma galvanizzato dal weekend che sta per iniziare. Poi andiamo a mangiarci una pizza in paese, dove ci sono seduti anche Kathrin Goetz e suo marito, e dove soprattutto incontriamo il grande Jacopo Bozzoli che avevo visto l'ultima volta al Morenic e sono super contento di rivedere. Dopo la pizza torniamo in macchina ad aiutare il Pass a prepararsi lo zaino.
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I letti per la prima notte: la Leti sopra, nel tendalino, io sotto, nel furgone, Marta e Metti nella macchina del Metti. Il Pass non c'è perché è in gara e la sua partenza è a Riomaggiore a mezzanotte. Dopo aver fatto lo zaino, la Marta va a letto, visto che il giorno dopo deve correre la sua prima ultra e ha programmato di svegliarsi esageratamente presto per fare colazione. Prima che parta, io, il Pass e la Leti ci chiudiamo in furgone per ammazzare il tempo guardando il documentario di Jeff Browning a Moab 240 (Jeff è il mito del Pass). Poi lo accompagniamo alla stazione di Monterosso per prendere il treno che lo porterà alla partenza a Riomaggiore, ad appena 13 minuti di treno più in là. Non glielo dico, ma ho programmato di svegliarmi verso l'una e mezza di notte per vederlo passare al suo 17esimo chilometro a Monterosso, così io e la Leti andiamo a letto per provare a dormire. Due ore dopo la sveglia suona ed è orribile. Mi metto le Birkenstock e vado al ristoro, dove i primi devono ancora passare. In generale i tempi stimati sono tutti più lenti e così passa un'ora prima che Andrea arrivi. Poi alla fine distinguo la sua corsa sbucare dall'oscurità e gli chiedo come va. Ha scavigliato un paio di chilometri prima, si fa una fasciatura ma per il resto sta bene; è contento di vedermi e faccio con lui un chilometro fino al parcheggio. Torno a dormire. La seconda sveglia è dannatamente presto, appena quattro ore dopo. Facciamo la prima colazione e poi accompagniamo Marta alla partenza. Ci sono Kuba, Mau e la Raffaella Ressico, sono contento di vederli. Nel frattempo mi arriva un messaggio dal Pass che dice di aver scavigliato di nuovo, ha perso una ventina di posizioni ed è rimasto solo, percepisco che sia vicinissimo a ritirarsi ma non glielo chiedo: se sta male sarà lui stesso a dirmelo, ma non sarò io a dargli l'idea. Intanto la 47k parte e io, il Metti e la Leti andiamo a fare una seconda colazione. Poi loro partono di corsa verso Manarola, io resto in macchina e poi prendo un treno, per raggiungerli, prezzo di 5 euro (per fare circa 8 minuti di treno). A Manarola la Marta passa in sesta posizione e sta benissimo, siamo contenti di vederla e le facciamo un po' di tifo, forse troppo perché affronta le scalette dopo il paese con eccessivo entusiasmo. Mangiamo un panino vegetariano di rara bontà e riprendiamo il treno per Monterosso.
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Qui iniziano i casini: il primo treno che prendiamo non ferma in paese e così ci ritroviamo a Levanto. Il controllore non ci fa la multa e per pura casualità non mi controlla il biglietto che non ho, perché non avevo fatto a tempo a farlo in stazione. A Levanto dobbiamo aspettare venti minuti e iniziamo a pensare di non riuscire ad arrivare in tempo alla aid station di Riccò del Golfo, dove dovrei iniziare a fare da pacer al Pass. Quando arriviamo finalmente a Monterosso spostiamo tutte le cose della Marta nel furgone del Pass, con l'idea di prendere la macchina del Metti con cui la Leti dovrebbe accompagnarmi a Riccò, mentre Metti resterebbe in paese per aspettare l'arrivo della Marta. Saliamo finalmente in macchina, la Leti gira la chiave ma la macchina non si accende. Proviamo un paio di volte ma la batteria è chiaramente andata. Nel frattempo il Metti si è aperto una gamba contro un pezzo di ferro arrugginito che spunta da terra nel parcheggio, ma non ha tempo per preoccuparsene e non gli fa nemmeno tanto male. Andiamo in cerca di un paio di cavi e dopo dieci minuti finalmente li troviamo in un bar vicino, ma non funzionano. L'unica è andare col furgone del Pass, che però la Leti non si sente di guidare. Così chiudiamo tutto, rispostiamo le borse, abbassiamo il tendalino, e io e il Metti partiamo. Il furgone del Pass non ha benzina e i freni sono andati, ma in qualche modo, tra incidenti e tornanti, arriviamo a Riccò. Scendo al volo e il Metti riparte. Da qui le nostre strade si dividono. Una volta tornato indietro, mi racconteranno, il Metti avrebbe chiesto una medicazione ai medici della gara, poi sarebbe andato al pronto soccorso di Levanto, pagando altri 5 euro di biglietto del treno (nelle Cinque Terre il biglietto costa sempre 5 euro, che tu faccia una o cinque fermate, sempre 5 euro). In ospedale gli avrebbero fatto la profilassi antitetanica chiedendogli consenso soltanto dopo avergliela iniettata. Nel frattempo avrebbero trovato altri cavi con cui far partire l'auto. Il buon Tommi Maggiolo, un nostro amico ligure che abbiamo conosciuto alle Group Runs del mercoledì, aveva deciso di raggiungerci da Chiavari per vederci arrivare. Non aveva calcolato gli scioperi dei treni e così sarebbe rimasto bloccato a Monterosso e costretto a dormire con noi in furgone la notte successiva.
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Nel frattempo alla aid station di Riccò del Golfo aveva iniziato a piovere. La Chri era arrivata ma del Pass ancora nessuna traccia. Resto ad aspettarlo lì per delle mezz'ore quando finalmente lo vedo comparire nel tracking della gara e decido di andargli in contro. Riesce a correre in salita ma gli fa male la caviglia. Si cambia, mangia qualcosa, e ripatiamo. I primi chilometri dopo la aidstation sono i migliori che avremmo trovato nei successivi 40. Il tempo fa schifo e, ammettiamolo, anche il paesaggio. Comunque proseguiamo, inseguendo il fantasma della Chri 10 minuti avanti a noi (solo poi sarebbero diventate mezz'ore, e infine ore). La prima discesa sembra il Vietnam, è piena di fango e il sentiero non è davvero un sentiero. Raggiungiamo finalmente il ristoro di Biassa e poi affrontiamo il Telegrafo, che non tarda ad arrivare. Superata quell'ultima cima e il relativo ristoro, ritorniamo sul versante del mare, da cui risbucano dalle nuvole gli ultimi raggi di sole della giornata. Il tramonto arriva definitivamente a Riomaggiore: il Pass è carico e sente profumo di arrivo, ma è ancora lunga, 8 chilometri più lunga di quello che avremmo immaginato. Addenta comunque le salite di Riomaggiore e di Manarola, ma le discese sono un'interminabile agonia. La caviglia gli fa male e le rocce bagnate dall'umidità del giorno sono diventate delle saponette. La discesa da Volastra è forse il pezzo peggiore della 47k, quando lo si affronta con appena 40 chilometri sulle gambe, figurarsi con 80 e una caviglia malmessa. Ciononostante, arriviamo a Corniglia. Da qui a Vernazza dovrebbe essere veloce ma non lo è. Inizio a guardare l'ora poco prima di arrivare in paese, conto di fargli tirare dritto il ristoro per chiudere sotto le 24 ore, ma quando scorgo un'altra ansa della costa da dover superare mi convinco che non ce la possiamo fare. Ogni chilometro è interminabile e Andrea non si capacita di come possano esserlo: è normale amigo, gli dico. Le gare lunghe sono così. Ci sono due tipi di ultra, quelle in cui, grossomodo, la media è di 10km/h, e cioè quelle in cui tendenzialmente corri, chilometro più chilometro meno, e ci sono quelle da 5km/h, in cui cammini. Puoi andare più lento o più veloce ma grossomodo la media è quella. Ne mancano più di 6, e al nostro passo significa due ore. Così affrontiamo l'ultima discesa a Vernazza e poi quella fino a Monterosso. Terribile resta terribile, ma è l'ultima. Sul sentiero a picco sul mare, illuminato solo dalla luna e dalla sua frontale semiscarica (di quattro che ne avevamo, solo quella che mi aveva prestato il Metti era rimasta accesa, e io mi ero ritrovato a correre gli ultimi 20km senza frontale) — sul sentiero a picco sul mare, dicevo, illuminato dalla luna, fermo il Pass e gli faccio notare la bellezza del momento: siamo solo io e lui, di notte, con la luna piena, a guardare la scogliera sotto di noi. Lui è sbudellato e non sono certo che se ne accorga, ma ci tengo a farglielo notare perché spesso quando soffriamo non riusciamo del tutto a assaporare le cose belle. E in alcuni momenti anche io avrei voluto avere qualcuno accanto che mi distogliesse dalla gara e dalla sofferenza e mi facesse guardare quel pezzo di mondo coi suoi occhi. Sussurra qualcosa di sconfortato, si ripete che è ancora eterna: gli dico che lo è, che soffrirà ancora, ma che domani mattina sarà la persona più felice del mondo.
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Nel frattempo i nostri cellulari si sono scaricati e siamo completamente isolati dal mondo. L'ultimo chilometro è lunghissimo e talmente lungo che nemmeno l'adrenalina riesce ad accorciarlo. Così tratteniamo il respiro, poi prendiamo le scalette sul mare, e infine arriviamo in paese. Il gonfiabile d'arrivo è stato smontato e c'è solo un bellissimo archetto di rami di vite e pampini. L'arrivo è intimo: ci sono Metti, Leti, Marta, Tommi, Nic e la Chri, che dopo essere arrivata è rimasta ad aspettare gli ultimi, da buona americana. Mangiamo un sacco al luculliano terzo tempo della gara, in cui siamo rimasti solo noi. L'orologio segna mezzanotte e mezza, il paese è deserto. Ci raccontiamo le storie della giornata, di quanto sia stata bellissima e orribile. Di quanto il Pass sia stato un duro a chiuderla, mosso da un solo sentimento: il desiderio. Ha chiuso SciaccheTrail 100 perché ci teneva da morire, per il Nic, per la Chri, per chi si è sbattuto a organizzarla. Voleva farlo e lo ha fatto, scavando nel profondo. Dio se ha scavato, posso garantirlo. Così raccattiamo le nostre cose e ci incamminiamo per quell'ultimo chilometro tra l'arrivo e il parcheggio. Ci facciamo la doccia e andiamo a letto: io e la Leti nel tendalino, e il Pass e Tommi di sotto.
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La mattina è dolce e il Pass è la persona più felice del mondo, come avevo detto. Salutiamo quattro volte il Tommi che per quattro volte ci saluta per andare a prendere il treno, per poi tornare indietro ogni volta constatando che anche quello è stato annullato. Facciamo colazione e poi Tommi se ne va davvero. Raccattiamo le cose e andiamo a Manarola dove abbiamo un appuntamento con Amanda Basham e sua sorella, il Nic e la Chri per cercare di registrare un podcast che non abbiamo preparato. Non sono mai entrato nel negozio del Nic perché di solito la domenica è chiuso e l'unico momento in cui avrei il tempo è dopo la gara: di per sé è molto carino e accogliente anche se ora è invaso dagli scatoloni. Facciamo l'intervista e parliamo di cose che non ricordo, poi andiamo a mangiare nello stesso posto in cui abbiamo mangiato il giorno prima. Spendiamo in modo irragionevole e mangiamo in modo irragionevole. Poi ripartiamo: Riomaggiore, Spezia, Cisa, Parma, Modena-Brennero. Io e il Pass ci stiamo addormentando e siamo rimasti solo io e lui, ancora una volta. Sono contento perché questo pellegrinaggio ormai per tradizione è nostro. Parliamo di tante cose, animatamente, felici, concordi. Sono contento, anche lui e adesso lo sa. Ci vediamo l'anno prossimo.
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gregor-samsung · 9 months
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"Nel 1996, nel bel mezzo del processo di pace di Oslo, Israele promise all’amministrazione USA che avrebbe smesso di costruire nuove colonie nei Territori Occupati. Ma mentre il governo israeliano stava conducendo i negoziati con i palestinesi, stava anche incoraggiando 50.000 cittadini ebrei a trasferirsi da Israele in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Contemporaneamente, il governo israeliano stava aiutando concretamente il movimento dei coloni a creare una molteplicità di “avamposti illegali” – fuori dai confini delle colonie esistenti – fornendo a questi insediamenti energia elettrica e acqua e costruendo la rete stradale per raggiungerli.* Entro il 2001, cinque anni dopo il divieto da parte degli Stati Uniti di costruire nuovi insediamenti, i coloni avevano creato piú di sessanta nuovi “avamposti illegali” su terreni espropriati ai palestinesi. Il governo israeliano dipingeva spesso i coloni ebrei come dei cittadini sprezzanti e indisciplinati, nonostante avesse stanziato milioni di dollari a favore della loro “insubordinazione”, principalmente perché ciò permetteva allo Stato – quando criticato – di rivendicare il fatto di essere una democrazia con una società civile vitale e pluralista. Durante l’impennata dell’edificazione dei cosiddetti avamposti, la polizia e l’esercito israeliani intrapresero solo sporadicamente azioni simboliche per far rispettare la legge, evacuando coloni dai nuovi avamposti. In parallelo a questo processo di espansione degli insediamenti e di rara applicazione della legge – spesso coincidente con periodi in cui aumentavano le pressioni internazionali a riprendere il processo di pace –, l’esercito israeliano eseguiva invece demolizioni di case palestinesi su larga scala, una pratica sulla quale le ONG israeliane e palestinesi concentrarono la loro attività. È stato in questo scenario legale e politico di espropriazione di terre palestinesi da parte dei coloni e di demolizioni di case palestinesi da parte del governo che Yesha for Human Rights ha iniziato la propria attività. Era la prima volta che i coloni creavano una ONG per difendere i propri diritti umani – il diritto umano di non essere evacuati dagli insediamenti e di continuare a colonizzare la terra palestinese."
  * In realtà, gli avamposti sono nuovi insediamenti. Oggi ci sono piú di cento avamposti in Cisgiordania. Circa cinquanta sono stati creati dopo il marzo del 2001. Analogamente ad altri insediamenti, questi avamposti sono stati costruiti con l’obiettivo di dare una continuità territoriale alla presenza israeliana occupando piú terra palestinese possibile e creando una barriera tra i vari centri abitati palestinesi. Cfr. Peace Now, “Settlements and Outposts”, http://peacenow.org.il/eng/content/settlements-and-outposts (consultato il 01/05/2014); vedi anche Talia Sasson, Report on Unauthorized Outposts: Submitted to the Prime Minister, Prime Minister’s Office, Jerusalem 2005.
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Nicola Perugini, Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, traduzione di Andrea Aureli, edizioni nottetempo (collana conache), 2016¹; pp. 166-167.
[Edizione originale: The Human Right to Dominate, Oxford University Press, 2015]
P.S.: Ringrazio @dentroilcerchio per avermi consigliato la lettura di questo saggio che esamina e denuncia l’uso strumentale dei diritti umani da parte dei gruppi dominanti.
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abr · 1 year
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Dalla Milano da bere alla Milano da Sala (ospedaliera)
È stato arrestato il balordo che nel pomeriggio di lunedì 6 marzo ha seminato terrore e coltellate a Milano nei pressi della Stazione Centrale (...). Si tratta di un marocchino di 23 anni, irregolare, con un precedente per furto con strappo che risale ad appena un mese fa. Al polso aveva un braccialetto ospedaliero (...).
Il balordo ha tentato cinque rapine, sempre contro donne. Tra i feriti, due uomini che avevano provato a difendere le vittime delle aggressioni. Il marocchino è stato fermato anche grazie alla descrizione ricevuta dopo le prime aggressioni.
(la cronaca asettica da https://www.liberoquotidiano.it/news/milano/35108451/milano-arrestato-accoltellatore-marocchino-irregolare-mistero-braccialetto.html)
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lunamagicablu · 5 months
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Nella notte di Capodanno, quando tutti a nanna vanno, è in arrivo sul primo binario un direttissimo straordinario, composto di dodici vagoni tutti carichi di doni…
Gennaio Sul primo vagone, sola soletta, c’è una simpatica vecchietta. Deve amar molto la pulizia perché una scopa le fa compagnia… Dalla sua gerla spunta il piedino di una bambola o d’un burattino. – Ho tanti nipoti, – borbotta, – ma tanti! E se volete sapere quanti, contate tutte le calze di lana che aspettano il dono della Befana.
Febbraio Secondo vagone, che confusione! Carnevale fa il pazzerellone: c’è Arlecchino, c’è Colombina, c’è Pierrot con la sua damina, e accanto alle maschere d’una volta galoppano indiani a briglia sciolta, sceriffi sparano caramelle, astronauti lanciano stelle filanti, e sognano a fumetti come gli eroi dei loro giornaletti.
Marzo Sul terzo vagone viaggia la Primavera col vento marzolino. Gocce ridono e piangono sui vetri del finestrino. Una rondine svola, profuma una viola… Tutta roba per la campagna. In città, fra il cemento, profumano soltanto i tubi di scappamento.
Aprile Il quarto vagone è riservato a un pasticcere rinomato che prepara, per la Pasqua, le uova di cioccolato. Al posto del pulcino c’è la sorpresa. Campane di zucchero suoneranno a distesa.
Maggio Un carico giocondo riempie il quinto vagone: tutti i fiori del mondo, tutti i canti di Maggio… Buon viaggio! Buon viaggio!
Giugno Giugno, la falce in pugno! Ma sul sesto vagone 10 non vedo soltanto le messi ricche e buone… Vedo anche le pagelle: un po’ brutte, un po’ belle, un po’ gulp, un po’ squash! Ah, che brutta invenzione, amici miei, quei cinque numeri prima del sei.
Luglio Il settimo vagone è tutto sole e mare: affrettatevi a montare! Non ci sono sedili, ma ombrelloni. Ci si tuffa dai finestrini meglio che dai trampolini. C’è tutto l’Adriatico, c’è tutto il Tirreno: non ci sono tuttii bambini… ecco perché il vagone non è pieno.
Agosto Sull’ottavo vagone ci sono le città: saranno regalate a chi resta in città tutta l’estate. Avrà le strade a sua disposizione: correrà, svolterà, parcheggerà da padrone. A destra e a sinistra sorpasserà se stesso… Ma di sera sarà triste lo stesso.
Settembre Osservate sul nono vagone gli esami di riparazione. Severi, solenni come becchini… e se la pigliano con i bambini! Perché qualche volta, per cambiare, non sono i grandi a riparare?
Ottobre Sul decimo vagone ci sono tanti banchi, c’è una lavagna nera e dei gessetti bianchi. Dai vetri spalancati il mondo intero può entrare: è un ottimo maestro per chi lo sa ascoltare.
Novembre Sull’undicesimo vagone c’è un buon odore di castagne, paesi grigi, grige campagne già rassegnate al primo nebbione, e buoni libri da leggere a sera dopo aver spento la televisione.
Dicembre Ed ecco l’ultimo vagone, è fatto tutto di panettone, ha i cuscini di cedro candito e le porte di torrone. Appena in stazione sarà mangiato di buon umore e di buon appetito. Mangeremo anche la panca su cui siede a sonnecchiare Babbo Natale con la barba bianca. Gianni Rodari ******************* On New Year's Eve, when everyone goes to bed, is arriving on the first track a very direct extraordinary, composed of twelve wagons all loaded with gifts…
January On the first carriage, alone, there is a nice old lady. You must be very fond of cleanliness because a broom keeps her company... The little foot emerges from her pannier of a doll or a puppet. – I have many grandchildren, – she mutters, – but many! And if you want to know how many, count all the woolen socks who await the gift of the Befana.
February Second car, what a mess! Carnival goes crazy: there is Harlequin, there is Colombina, there is Pierrot with his lady, and next to the masks of the past Indians gallop at full speed, sheriffs shoot candy, astronauts launch stars streamers, and dream in comics like the heroes of their newspapers.
March On the third car Spring travels with the March wind. Drops laugh and cry on the window glass. A swallow flies, smells like a violet... All campaign stuff. In the city, among the concrete, they only smell the exhaust pipes.
April The fourth car is reserved to a renowned pastry chef which prepares, for Easter, chocolate eggs. Instead of the chick there is the surprise. Sugar bells they will play at length.
May A playful load fills the fifth carriage: all the flowers in the world, all the songs of May... Have a good trip! Have a good trip!
June June, the scythe in hand! But on the sixth car 10 I don't just see the rich and good crops… I also see the report cards: a little ugly, a little beautiful, a little gulp, a little squash! Ah, what a bad invention, my friends, those five numbers before six.
July The seventh car it's all sun and sea: hurry up and assemble! There are no seats, but umbrellas. You dive from the windows better than trampolines. There is the whole Adriatic, there is the whole Tyrrhenian Sea: not all children are there... that's why the carriage isn't full.
August On the eighth car there are cities: they will be given away to those who remain in the city all summer. He will have the roads at his disposal: it will run, turn, park as master. To the right and to the left will surpass itself… But in the evening it will be sad anyway.
September Look on the ninth car remedial exams. Severe, solemn like gravediggers… and they take it out on the children! Because sometimes, for a change, Aren't the adults the ones who repair?
October On the tenth car there are many benches, there is a black board and some white chalk. From the wide open windows the whole world can enter: he is an excellent teacher for those who know how to listen.
November On the eleventh car there is a good smell of chestnuts, gray towns, gray countryside already resigned to the first fog, and good books to read in the evening after turning off the television.
December And here is the last carriage, it's all made of panettone, It has candied cedar cushions and the nougat doors. As soon as he gets to the station he will be eaten in good spirits and with a good appetite. We will also eat the bench on which he sits dozing Santa Claus with a white beard. Gianni Rodari
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #267 - Black Sabbath, Greatest Hits, 1977
Questo è uno degli album con la storia più strana del mondo rock. Con protagonista una delle band che più hanno colpito un certo immaginario collettivo. Ma partiamo dal filo conduttore delle Storie di Musica di Marzo, le copertina con quadri del Rinascimento. In quello di oggi, vi è una sezione del capolavoro del 1562, Il Trionfo Della Morte, di Peter Bruegel, conservato al Museo Del Prado di Madrid. Quadro di una drammatica bellezza, ha in sè una leggenda niente male: innamorato dello stile di Antonello da Messina, Bruegel, che era fiammingo, viaggiò fino in Sicilia per vedere i quadri del Misterioso maestro. E secondo molti critici lo sfondo di questo e di un altro suo leggendario capolavoro, Caduta Di Icaro (1558), sono ispirate a coste siciliane, e il mortifero cavallo della Grande Falciatrice in questo fu ispirato da quello dell’affresco, omonimo, ma di due secoli più antico, conservato adesso a Palazzo Abatellis a Palermo. E qui parte la storia strana del disco: il quadro non è nemmeno accreditato sulla copertina del disco quando uscì nel 1977 (e ancora adesso non compare in molte discografie ufficiali), perchè probabilmente questa raccolta era una carta di riserva della casa discografica NEMS (fondata da Brian Epstein, ma poi acquistata dal management del gruppo di oggi) preoccupata che qualcuno dei Black Sabbath potesse morire da un momento all’altro, vista la quantità e la qualità di cose pericolose che immettevano nel loro corpo in varie modalità. Dico subito che la storia non si può verificare in alcun modo, e rimane leggenda, ma dato che il disco ebbe diffusione bassissima, la alimentò a dismisura, quasi da considerare il disco una sorta di bootleg ufficiale e adesso è un pezzo forte del collezionismo (in qualsiasi pur pessima condizione vale almeno 100 €). I Black Sabbath erano esplosi 7 anni prima, quando per qualche centinaio di sterline e 12 ore in sala prove, Tony Iommi (chitarra), Bill Ward (batteria), Geezer Butler (basso) e John “Ozzy” Osbourne (voce), da Aston, periferia di Birmingham (all’epoca, uno dei posti più deprimenti dell’Occidente) creano, partendo dal blues, un qualcosa che mischiato con campane a morte, tuoni nella notte, urla disumane, chitarre lancinanti come lame infernali, un nuovo stile, l’heavy metal. La via esoterica al rock parte con i primi, clamorosi, cinque dischi: Black Sabbath (1970), Paranoid (stesso anno, il Sgt. Pepper’s del metal), Master Of Reality (1971) e gli appena più “affaticati” Vol. 4 (1972) e Sabbath Bloody Sabbath (1973). Nessuno prima di loro aveva aggredito in modo così “scabroso” gli spettatori, segnando, come raramente è accaduto, un genere. Il disco è semplicissimo: 10 brani, 5 dal fantasmagorico esordio, 3 da Paranoid e Vol. 4., 2 da Black Sabbath e una ciascuna dai restanti due. In scaletta tutti i brani mitici del gruppo, canzoni culto come l’allucinata Paranoid, la brutale e meravigliosa Iron Man, gli 8, incredibili minuti di War Pigs, che stravolgono il blues, la tosse che apre al riff già stoner di Sweet Leaf, ma anche la dolcezza del piano di Changes, il brano più romantico del repertorio, come Tomorrow’s Dream, che apre addirittura al romanticismo: “And let tomorrow's dreams\Become reality to me\So realize I'm much better without you\You're not the one and only thing in my heart\I'll just go back to pretending I'm living\So this time I'm gonna have the star part”. Il terremoto sonoro è completato dalle quasi omonime Black Sabbath e l’altro riff micidiale di Sabbath Bloody Sabbath. Mancano alcuni capolavori, riscoperti anche dopo anni, come Electric Funeral (da Paranoid, apocalittica) o la imprescindibile per i fan Children Of The Grave (da Master Of Reality). Quando uscì nel 1970 Paranoid, la rivista Rolling Stones, dopo averli pesantemente criticati per il primo lavoro, che nonostante tutto arrivò nella Top Ten inglese, scrisse: “Sul loro secondo e pesantissimo disco, Paranoid, troviamo lamenti sulla distruzione della guerra e l'ipocrisia dei politici, i pericoli della tecnologia e dell'abuso di droga”, parole che possono andare benissimo per questo disco antologico, introvabile ma magnifico. Va detto a onor di cronaca che la Nems sbagliò di pochissimo le previsioni di uno scioglimento, ma non per decesso, sebbene Ozzy e Iommi facevano a gare di riabilitazioni e entrate in cliniche: dopo il deludentissimo Never Say Die, uscito nel 1978, dove rispetto alla “brutalità” del punk neonato (che prese moltissimo dal loro essere iconoclasti) sembravano quelli di Top Of The Pops, Ozzy abbandona in un primo momento, poi finisce il disco, e se ne va definitivamente, sostituito nel 1980 da Ronnie James Dio, Ma quella sarà un’altra band, ed è anche un’altra storia.
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curiositasmundi · 15 days
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Sono accusate di essere “scafiste” per aver fatto parte dell’equipaggio della barca con cui hanno raggiunto le coste italiane. Ma ci sono prove di pagamento del viaggio, traduzioni approssimative e testimoni irreperibili, oltre alla violazione del loro diritto di difesa
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La storia di Jamali
Una prima interrogazione sul caso Marjan Jamali è stata presentata da Grimaldi il 1 marzo 2024. Jamali ha 29 anni, è partita dall’Iran con il figlio di 8, è arrivata in Turchia e si è imbarcata con un altro centinaio di persone a Marmaris. Dopo cinque giorni di navigazione, soccorsi dalla Guardia costiera italiana, sono sbarcati sulle coste calabresi. Ha acquistato il viaggio in un’agenzia di Teheran, pagando per sé e per il figlio 14mila dollari.
Sbarcata in Italia è stata subito accusata da tre uomini, due iracheni e un iraniano, di essere stata parte dell’equipaggio. La testimonianza di tre passeggeri su 102 passeggeri ha giustificato il suo arresto, persone che non sono più state rintracciate. Inoltre, tutte le traduzioni sono state fatte da un interprete iracheno, che non parla il farsi, la lingua persiana parlata in Iran. 
Detenuta nel carcere di Reggio Calabria, «a Marjan è stato anche tolto il figlio di 8 anni, che è ospite in una struttura calabrese che si prende cura di lui. Come se arrestassero me in Iran e mi mandassero un mediatore culturale che parla tedesco perché sono comunque due lingue europee»
[...]
Il caso di Majidi
La storia di Maysoon Majidi è invece parte della seconda interrogazione presentata al ministro della Giustizia da Grimaldi il 7 maggio. Attivista curdo-iraniana di 27 anni, Majidi è laureata in regia teatrale e ha collaborato con diverse organizzazioni per i diritti umani. Ha subito torture ed è riuscita a fuggire con il fratello prima in Iraq poi in Turchia. Da qui ha raggiunto l’Italia via mare, approdando sulle coste calabresi. Come nel caso di Jamali, è stata accusata da due persone su 77.
Testimoni che hanno lasciato l’Italia e, rintracciati dal fratello, hanno affermato di «non aver detto quelle parole», aveva raccontato a Domani Boldrini. Oltre al fatto che anche la ragazza e il fratello curdo-iraniani hanno speso in tutto 17mila dollari per il viaggio.
[...]
Entrambe le ragazze per mesi «hanno ricevuto provvedimenti in una lingua per loro incomprensibile». E sia a Jamali che a Majidi è stato negato l’interrogatorio. Elemento ritenuto ancor più grave da Grimaldi che, riferendosi a Jamali, ha dichiarato: «Come può un indagato difendersi se non gli è permesso di fornire la propria versione dei fatti? Siamo di fronte a una violazione non solo del codice di procedura penale, ma del diritto alla difesa».
Anche a Majidi «l’interrogatorio non è stato concesso. Anche per lei si è disposta la misura cautelare di massimo rigore, quella del carcere. Nordio sostiene “l’assoluta linearità dell’operato dell’autorità giudiziaria?”, ma cosa c’è di lineare nella detenzione preventiva, sulla base di testimonianze inattendibili, di due donne reduci da storie dolorose e faticose, separate dai propri cari e non trattate come innocenti fino a prova contraria?»
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wolfman75 · 1 month
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Richard Ramirez, all'anagrafe Ricardo Leyva Muñoz Ramírez (El Paso, 29 febbraio 1960 – Greenbae, 7 giugno 2013), è stato un serial killer statunitense.
Soprannominato dai media "Night Stalker", il cacciatore della notte, uccise almeno 16 persone dal 10 aprile 1984 al 24 agosto 1985.
Il 31 agosto 1985 è stato catturato ed affidato nelle mani della giustizia. È stato condannato nel 1989 alla camera a gas per 41 crimini, tra cui 16 omicidi. La sua esecuzione doveva avvenire tramite gas letale nell'estate 2006, ma la Corte suprema nel 2007 ha accolto l'ultimo appello di Ramirez, facendo slittare l'esecuzione in data da designarsi, esecuzione mai avvenuta vista la prematura morte dell'assassino. Anche Ramirez ha trascorso gli anni in prigione, come John Wayne Gacy, dipingendo quadri.
Julian e Mercedes Ramirez ebbero cinque figli, e il quinto nato fu Richard Ramirez. La madre era cattolica, e suo padre un ex poliziotto in seguito passato a lavorare come operaio sull'autostrada di Santa Fe. Il padre di Richard credeva fermamente nelle punizioni corporali come metodo educativo. Era molto legato alla sorella Ruth Ramirez.
Ramirez potrebbe essere stato influenzato verso l'assassinio da suo cugino, Mike, un veterano della Guerra del Vietnam che spesso si vantava con lui di aver ucciso e torturato decine di nemici, mostrandogli anche delle foto Polaroid delle vittime. Queste includevano immagini di svariate teste decapitate di donne vietnamite, con le quali in altre foto Mike praticava del sesso orale. Ramirez era presente la notte in cui Mike sparò alla moglie, uccidendola. Richard aveva 13 anni all'epoca.
Il 10 aprile 1984 qualcosa fece scattare nella mente di Ramirez voglia di uccidere e di intraprendere una lunga mattanza che lo vede come protagonista fino al 31 agosto 1985, giorno della sua cattura. Nell'hotel dove lavorava vide una bambina con il fratello più piccolo che piangeva perché aveva perso una banconota. Ramirez attirò la bambina nel seminterrato facendole credere di aver visto la banconota, la violentò, la uccise e appese i suoi vestiti su un tubo di aerazione. Il caso non fu preso in considerazione ma, dopo l'arresto di Ramirez, nel 2009 gli investigatori attribuirono l'assalto come responsabilità di Ramirez, portando il numero delle vittime a 16.
Il 28 giugno 1984 Ramirez decise di intraprendere la furia omicida nuovamente e di spostarsi a Glassell Park, una zona a nord di Los Angeles. Forzò una porta e fece così spaventare Jennie Wincow, una anziana donna. La assalì, la torturò, la uccise e scappò di fretta. A causa della poca risonanza mediatica questo caso fu poco preso in considerazione e, ancora oggi, sono in corso accertamenti dalla parte della polizia per cercare di attribuire questo delitto atroce a Ramirez.
Il 20 febbraio 1985 Ramirez attaccò due donne in età avanzata nella loro casa a Telegraph Hill nella contea di Los Angeles, pugnalandole a morte.
Il 17 marzo 1985, Ramirez attaccò la ventiduenne Maria Hernandez fuori dalla sua abitazione, sparandole prima di entrare nella casa della ragazza. Dentro trovò Dayle Okazaki, 34 anni, che Ramirez uccise immediatamente. La Hernandez invece sopravvisse. Il proiettile sparatole da Ramirez era rimbalzato sopra le chiavi di casa che la ragazza aveva istintivamente portato al petto per proteggersi dal colpo.
Dopo circa un'ora dall'omicidio della Okazaki, Ramirez colpì nuovamente all'interno del Monterey Park. Sulla scena del delitto fu ritrovato un cappellino da baseball con il logo degli AC/DC.
Assalì la trentenne Tsai-Lian Yu, trascinandola fuori dalla sua auto e sparandole due colpi di arma da fuoco prima di fuggire. La ragazza venne ritrovata ancora in vita da un poliziotto, ma spirò poco prima dell'arrivo dell'ambulanza. I due omicidi ebbero una grossa risonanza nei media locali, scatenando il panico tra i residenti delle zone colpite.
Il 27 marzo Ramirez sparò a Vincent Zazzara, 64 anni, e a sua moglie Maxine, 44. Il corpo della signora Zazzara fu violentato e mutilato con diverse coltellate e le venne incisa la lettera T sul seno sinistro, mentre le furono cavati anche gli occhi. I cadaveri di Vincent e Maxine furono scoperti nella loro abitazione di Whittier dal figlio della coppia, Peter. L'autopsia determinò che le varie mutilazioni erano avvenute post-morte. Ramirez lasciò delle impronte di scarpe da ginnastica marca Avia sul luogo del delitto, che la polizia fotografò ed archiviò. All'epoca questi erano gli unici indizi in possesso della polizia. I proiettili trovati sulla scena del crimine furono confrontati con quelli rinvenuti durante i precedenti omicidi, e gli agenti capirono di trovarsi di fronte ad un assassino seriale. Gli omicidi erano infatti opera della stessa persona.
Due mesi dopo l'uccisione degli Zazzara, Ramirez attaccò una coppia di cinesi: Harold Wu, 66 anni, e sua moglie, Jean Wu, 63. L'uomo venne ucciso con un colpo di pistola alla testa, mentre la donna venne picchiata, legata, e ripetutamente violentata. Per ragioni sconosciute, Ramirez decise di lasciarla in vita. Gli impulsi omicidi di Ramirez si facevano di giorno in giorno più violenti. Lasciava dietro di sé sempre più indizi, e fu in questo periodo che venne soprannominato "The Night Stalker" dai mass media. Le vittime sopravvissute descrivevano il killer come un uomo alto di etnia ispanica con lunghi e ricci capelli neri, il viso scarno e allungato e la dentatura in pessime condizioni.
Il 29 maggio 1985 Ramirez assaltò Malvial Keller, 83 anni, e la sorella disabile di lei, Blanche Wolfe, 80 anni, picchiandole entrambe con un martello. Ramirez cercò anche di violentare la Keller, senza però riuscirvi. Utilizzando un rossetto disegnò un pentacolo sulla parete della stanza da letto e su una coscia dell'anziana donna. Blanche sopravvisse all'attacco. Il giorno seguente, Carol Kyle, 41 anni, fu legata, picchiata e sodomizzata da Ramirez, mentre il figlioletto undicenne della donna era stato rinchiuso nell'armadio dal killer.
Durante giugno e luglio, altre tre donne furono uccise. Due ebbero la gola tagliata, una picchiata a morte, tutte e tre furono assalite nelle loro case. Il 26 giugno Ramirez rapì di notte prelevandola dalla sua stanza la piccola Anastasia Hronas, una bambina di 6 anni; dopo averla ripetutamente violentata la lasciò libera abbandonandola nei pressi di un benzinaio.
Il 5 luglio Whitney Bennett, 16 anni, e Linda Fortuna, 63, furono attaccate da Ramirez, ma riuscirono entrambe a sopravvivere. Il 20 luglio Ramirez colpì addirittura due volte nello stesso giorno. A Sun Valley sparò, uccidendolo, a un uomo di 32 anni, Chitat Assawahem, mentre la moglie Sakima, 29 anni, fu picchiata e costretta ad un rapporto orale. Ramirez sodomizzò anche il figlioletto di 8 anni della coppia davanti agli occhi della madre. Più tardi lo stesso giorno assalì una coppia a Glendale, Maxson Kneiding, 66 anni, e sua moglie Lela, anche lei 66 anni; entrambi furono uccisi e i cadaveri mutilati.
Il 6 agosto Ramirez sparò sia a Christopher Petersen, 38, sia alla moglie di lui, Virginia, 27. Miracolosamente, sopravvissero entrambi. L'8 agosto seguente, Ramirez colpì a Diamond Bar, uccidendo Ahmed Zia, 35 anni, e poi violentò la moglie dell'uomo, Suu Kyi, 28 anni.
Successivamente Ramirez lasciò la zona di Los Angeles, e il 17 agosto, uccise un uomo di 66 anni a San Francisco, picchiando e sparando anche alla moglie dell'uomo. La donna riuscì a sopravvivere e fu in grado di identificare il suo assalitore dagli identikit preparati dalla polizia. Sulla scena del crimine, Ramirez utilizzò un rossetto per disegnare un pentacolo e scrivere le parole "Jack the Knife" sul muro della stanza da letto, poi, dopo aver rubato del cibo dal frigorifero, vomitò sul pavimento in cucina e si masturbò sul tappeto del salotto.
La svolta decisiva nel caso ebbe luogo il 24 agosto 1985, Ramirez viaggiò per cinquanta miglia dal sud di Los Angeles a Mission Viejo, ed irruppe nell'appartamento di Bill Carns, 29 anni, e della fidanzata, Inez Erickson, 27. Ramirez sparò in testa a Carns e violentò Erickson. La costrinse ad inneggiare a Satana e poco dopo, la forzò ad un rapporto orale. Poi la legò e se ne andò. Erickson riuscì a strisciare fino alla finestra e a scorgere l'auto di Ramirez, una Toyota station wagon di colore arancio. Fu inoltre in grado di dare una descrizione dettagliata del criminale alla polizia. Un adolescente identificò l'auto della quale aveva sentito parlare al notiziario, e si segnò la targa del veicolo. L'auto rubata venne rinvenuta il 28 agosto, e la polizia riuscì ad ottenere le impronte digitali dell'assassino prelevandole dal finestrino di una portiera dell'auto. Le impronte si rivelarono quelle del già schedato Richard Muñoz Ramirez, descritto come un venticinquenne ispanico con una lunga serie di precedenti per stupro e spaccio di droga.
Due giorni dopo, la sua foto segnaletica venne trasmessa in televisione e stampata sui principali quotidiani della California. Ramirez fu riconosciuto, circondato e quasi linciato da una folla di passanti a East Los Angeles mentre stava cercando di rubare un'auto. Gli agenti accorsi sul posto dovettero disperdere la folla per impedire che i cittadini inferociti uccidessero Ramirez.
L'udienza preliminare per il caso iniziò il 22 luglio 1988, e si concluse il 20 settembre 1989 con Ramirez ritenuto colpevole di 13 omicidi, 5 tentati omicidi, 11 violenze sessuali, e 14 furti con scasso.
Durante la fase penale del processo, il 7 novembre 1989, Ramirez fu condannato a 19 pene di morte. Il processo di Richard Ramirez fu uno dei più lunghi e complessi procedimenti giudiziari della storia americana. Più di 100 testimoni furono chiamati a deporre durante i dibattimenti, e mentre alcuni faticavano a ricordare precisamente avvenimenti accaduti quattro anni prima, altri si dissero sicuri che l'assassino fosse proprio Richard Ramirez, il quale si presentò in aula con un pentacolo tatuato sul palmo di una mano esclamando "Ave Satana!".
Il 3 agosto 1988 il Los Angeles Times riportò la notizia che alcune guardie carcerarie avevano raccontato di aver sentito Ramirez che diceva di voler sparare al procuratore distrettuale in aula, con una pistola che intendeva contrabbandare in tribunale di nascosto.
Di conseguenza, venne installato un metal detector all'entrata dell'aula e furono disposti severi controlli. Il 14 agosto il processo fu interrotto perché uno dei giurati, tale Phyllis Singletary, non si presentò in aula. Più tardi quello stesso giorno la donna venne rinvenuta cadavere nel suo appartamento, uccisa da un colpo di arma da fuoco. La giuria rimase terrorizzata dall'evento; nessuno sapeva se Ramirez aveva avuto indirettamente qualcosa a che fare con l'omicidio, orchestrando il tutto dalla sua cella. In realtà Ramirez non era responsabile della morte della Singletary: la donna era stata uccisa dal suo fidanzato, che in seguito si suicidò.
All'epoca del processo, Ramirez aveva numerose fan che gli scrivevano appassionate lettere d'amore in carcere. A partire dal 1985, la giornalista freelance Doreen Lioy gli scrisse circa 75 lettere durante la sua incarcerazione. Nel 1988 Ramirez le propose di sposarlo, e il 3 ottobre 1996 la coppia si sposò nel carcere di San Quintino. La Lioy ha ripetutamente affermato che si sarebbe suicidata il giorno in cui Ramirez fosse stato giustiziato.
Richard Ramirez è morto per insufficienza epatica nel giugno 2013 all'età di 53 anni, mentre era detenuto nel Carcere di San Quintino.
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amamiofacciouncasinoo · 3 months
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Io che aspetto il cinque marzo con ansietta 🥹❤️
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demonecelestiale · 3 months
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Collega che mi obbliga a preparare questo export che parte il CINQUE MARZO e ha trecento problemi di cui ora mi devo occuppare oh my dear tra tre giorni inizierai a tossire
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È la mattina del 3 marzo del 1944. Quel giorno sarà l’ultimo per Teresa Gullace, 36 anni, madre di cinque figli e incinta del sesto. Teresa, calabrese ma trasferitasi a Roma da ragazzina, quel maledetto giorno esce di casa di buon ora. Ha infilato in una borsa una pagnotta di pane un po’ di formaggio. È diretta alla caserma dell'81º di fanteria in Viale Giulio Cesare. Lì è richiuso suo marito, Girolamo Gullace, arrestato cinque giorni prima, il 26 febbraio, nel corso di un rastrellamento. È destinato ai lavori forzati nei campi, in Germania. Teresa è una donna disperata. Non sa come fare. Girolamo è il perno portante della sua vita e della sua famiglia. I cinque figli sono piccoli e il sesto sta per nascere. Non ha altra possibilità che chiedere la liberazione del marito. Con un gruppo di altri mogli, madri e sorelle di prigionieri si reca davanti alla caserma. Teresa una volta arrivata, vede Girolamo alla finestra. D’istinto lascia il gruppo della altre donne. Vuole avvicinarsi al marito. Ha intenzione di consegnargli il pane e il formaggio. Il cuore le batte forte. Vuole abbracciarlo e dargli un bacio. È così emozionata che non ascolta le urla del soldato tedesco che le intima di fermarsi. Lei continua a correre verso il suo amore. Il militare senza esitare impugna la pistola e spara un colpo. Teresa, centrata in pieno, muore all’istante. Il suo omicidio provoca un’insurrezione popolare. Il cadavere di Teresa viene adagiato per strada, in poco tempo migliaia di persone si radunano intorno al corpo della vittima. Pregano e lasciano dei fiori. La protesta è così partecipata da costringere i nazisti a liberare il vedovo Girolamo. La storia di Teresa è diventata negli anni il simbolo della resistenza. Oggi il mio pensiero va a lei e a tutte le altre donne che hanno sofferto e lottato per la Liberazione. Quelle donne che hanno lasciato il lavoro, i figli a casa e tralasciato le faccende domestiche per andare a manifestare per la libertà. Molte di loro lo hanno fatto anche imbracciando un fucile. Donne coraggiose e combattenti. È grazie alla loro lotta, al fianco di uomini valorosi, se noi tutti oggi abbiamo la libertà di poter esprimere la nostra opinione e vivere in democrazia. Evviva il 25 aprile.
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Fonte: Gian Pietro Fiore
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garadinervi · 1 year
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Torino, 11-13 marzo 1945
Gaspare Arduino (29 aprile 1901 – 11/12 marzo 1945) operaio, organizzatore SAP 4° settore Vera Arduino (15 gennaio 1926 – 12/13 marzo 1945) operaia, appartenente ai Gruppi di Difesa della Donna XX Brigata Garibaldi SAP Libera Arduino (13 settembre 1929 – 12/13 marzo 1945) operaia, appartenente ai Gruppi di Difesa della Donna XX Brigata Garibaldi SAP Rosa Ghizzoni Montarolo, "Gina" (12 maggio 1920 – 8 maggio 1946) appartenente ai Gruppi di Difesa della Donna XX Brigata Garibaldi SAP Pierino Montarolo (6 agosto 1914 – 11/13 marzo 1945) appartenente alla XX Brigata Garibaldi SAP Aldo De Carli (29 maggio 1922 – 11/13 marzo 1945) appartenente ai GAP, Brigata "Dante Di Nanni"
«Alla vigilia del funerale delle Arduino alla sera alle cinque siamo state convocate in corso Oporto, dicendo: – Raggruppate più donne possibile, domani mattina alle dieci ci sono i funerali delle sorelle Arduino. [...] E noi ci eravamo trovate ed eravamo in tante, forse la riunione più numerosa che c'è stata. C'erano moltissimi giovani e moltissime donne; c'eravamo trovate lì ed eravamo sparse per il piazzale davanti all'ingresso principale. Abbiamo aspettato molto a lungo. Tutti avevamo qualcosa di rosso, chi un fazzolettino rosso nel taschino e l'ha tirato fuori all'occasione, chi aveva la cravattina, ma tutti avevano qualcosa di rosso e tutti avevamo i fiori, perché ci avevano detto di trovarci coi fiori. La maggior parte ci eravamo procurati uno o due garofani rossi, ognuno di noi ce l'aveva.» (Giuseppina Scotti vedova Valsasna) – in Bianca Guidetti Serra, Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile, Vol. I, «Gli Struzzi» 150, Einaudi, Torino, 1977
«Il processo è stato fatto... due o tre anni dopo... C’era ancora la pena di morte. Di fatti il tenente che comandava questa gente è stato condannato alla pena di morte, si chiamava Aldo De Chiffre. Gli altri non ricordo... È stato condannato alla pena di morte, questa pena è stata tramutata in ergastolo, l’ergastolo in venticinque anni e dopo venti anni io l’ho visto fuori per un caso molto particolare.
Questo giovane, aveva ventun anni allora, studiava da dottore. All’interno del carcere ha continuato gli studi; uscito fuori si è laureato. Era dottore al Mauriziano quando l’ho conosciuto. Ero andato al Mauriziano a fare una trasfusione di sangue e... in quel momento il dottore si presenta e io ho riconosciuto il nome. E allora ho detto alla suora: – Guardi che io faccio la trasfusione di sangue, però non da questo dottore.
– Perché? – mi fa.
Ho preso il tesserino l’ho messo davanti al dottore e ho detto: — Si ricorda di questo nome?
È diventato rosso ed è andato via. Allora ho detto alla suora perché non mi lasciavo togliere il sangue da quel dottore...»
– 'Vera e Libera Arduino, trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945. Ne parla il fratello Antonio', in Bianca Guidetti Serra, Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile, Vol. I, «Gli Struzzi» 150, Einaudi, Torino, 1977
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