Tumgik
#buttare giù pensieri
alexsaal · 8 months
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Sarebbe bello trovare qualcuno con cui condividere i propri pensieri e che ti ascolti veramente
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yomersapiens · 2 months
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Attendendo, prego
Il foglio è bianco e vengo istigato a scrivere dalla barra lampeggiante. Appare e scompare, cerca di stimolarmi a buttare giù i miei pensieri ma non so come fare a dirle che ne sono privo. Mi sento svuotato. Ho la testa gravida di progetti che dovrebbero partire ma non partono. Sono una stazione piena di treni stracolmi di viaggiatori durante uno sciopero dei trasporti generale e totale in cui i sindacati si rifiutano di comunicarne la durata. Come sono finito così? Ho spremuto tutto lo spremibile forse, o sono diventato geloso dei miei pensieri e li tengo dentro di me, sperando crescano così tanto da partorirli già in grado di farcela da soli.
Se non avessi imparato dalle mie malattie croniche l'arte dell'attesa penso inizierei a preoccuparmi. È arrivato il momento di cominciare con una nuova terapia, oramai sarà la ventesima dopo diciannove fallimenti, ma i dottori non hanno fretta (quando mai ne hanno) e quindi se la prendono con calma. Il termine "paziente" credo si riferisca proprio a questo. Devi portare pazienza. Io non solo porto pazienza ma porto anche il laptop e un libro da leggere e il telefono carico. L'attesa sarà lunga e io sono sempre più un oggetto che arreda le corsie dell'ospedale.
Ogni volta che vado a presentare il mio libro in giro devo essere entusiasta, positivo, pieno di energia. Devo convincere che è un investimento di tempo sensato, anzi no, necessario, che ti cambierà la vita e ti riempirà come solo un capolavoro può farlo. Io sono così scarso a vendermi. Cioè si vede che sto mentendo. Ok l'ho scritto io e a me piace, ma boh a te potrà fare schifo che ne so. Chi sono io per dirti cosa ti deve piacere o cosa fare. Fai quello che ti pare. Non comprarlo. Non leggerlo. Lasciami in pace. Dico queste cose mentre sono sul palco, la presentatrice della serata mi guarda stranita. "Ma Matteo io non ti ho posto nessuna domanda, perché stai parlando da solo?". Ah cavolo, l'ho fatto ancora. Mi sono sabotato. Come si fa a fingere di essere interessanti? Neanche quando si tratta di amore o sesso riesco a vendermi bene. Se ti piaccio è perché hai problemi e sarebbe ora tu li risolvessi. Oppure subisci la fascinazione da una certa tipologia di ruderi. Quelli oramai quarantenni, panciuti, spelacchiati e incapaci di prendersi seriamente. Ma molto, molto bravi ad aspettare. Io sarò felice di godere del tuo amore, finché non tornerai in te e capirai che puoi avere di meglio, ecco. Io aspetto, ma nel frattempo wow, davvero posso toccare? Ok, ok. La ringrazio signorina lei è molto gentile.
Stamattina ho fatto una cosa che stavo rimandando da troppo tempo: mi sono pesato. Le cose che rimando da troppo tempo sono: - pesarmi e rendermi conto quanto mi sono lasciato andare - aprire la app del conto in banca e osservare il baratro - la risonanza magnetica (ma quella l'ho prenotata) - chiedere quanti libri ho effettivamente venduto alla casa editrice - rasarmi completamente la testa e archiviare i capelli come esperienza passata - comunicare alla padrona di casa che me ne vado e vendere tutto quello che ho collezionato in 11 anni di vita a Vienna Rimando perché tutto è ancora piuttosto stabile, rassicurante, come un edificio in piedi dopo un terremoto devastante. Mi sono pesato e in effetti eccoli lì quei chili di troppo che rendono difficile chiudere i pantaloni. Poi però, per non affrontare questa consapevolezza da solo, sono andato a prendere il gatto e ho pesato anche lui che è bello cicciotto e allora ecco amico mio, siamo in due a doverci dare una regolata, si torna a fare sport e mangiare sano. Ma mica lo facciamo subito, eh no, si aspetta. Ti faccio vedere io come attendere.
Il foglio è meno bianco, o meno nero, dipende dalle impostazioni del vostro schermo. Nel mio caso dovrei dire che è meno nero. Se lo dico ad alta voce, nel bar dove sono, che sono felice tutto sia meno nero mi danno del razzista e mi cacciano via. Anzi no, non credo, con la situazione politica attuale finisce che mi danno un ministero. Meglio se sto zitto, io di lavorare non ho voglia. Ho voglia di aspettare di trovare il lavoro giusto e il lavoro giusto per me è attendere.
Mi immagino insieme a degli anziani in qualche sala d'attesa, ascoltare i loro discorsi mentre la segretaria aspetta di ricevere ordini dal dottore curante per convocarli. Potrei imparare a fare a maglia. Aiutare con i cruciverba. Sentire gossip sulla vita amorosa di alcuni vip che pensavo morti da un decennio. Forse sono morti ma fanno lo stesso l'amore, cioè mica solo io mi merito di essere fortunato eh. Aspetterei l'esito delle analisi e poi troverei un modo per abbracciare, sostenere, diventare spalla su cui piangere. Potrei stare vicino alle persone che aspettano una risposta a una mail "Non ti preoccupare, potrebbe anche non arrivare mai la risposta ma ora siamo insieme, sono al tuo fianco, ti faccio vedere cosa altro si può fare di utile con il tuo computer, hai mai sentito parlare dei siti porno?". Potrei viaggiare con chi odia stare fermo in un treno e giocare a "trova la mucca" salvo poi rendermi conto che stiamo viaggiando verso Milano e al massimo si vede a pochi metri di distanza causa smog. Povere mucche lombarde, con quel loro latte dal sapore affumicato quanto un whisky disgustoso.
Vivere per me è diventato applicare ogni giorno, quando mi sveglio, la frase motivazionale "aspetta e spera". Lo dico a Ernesto, quando mi salta in faccia per reclamare la sua porzione di pappa. "Aspetta e spera bello mio". Lo dico a me stesso quando mi ricordo che ancora non hanno deciso di finanziare il mio prossimo progetto. Era meglio essere un lavoratore dipendente e odiare colui che fu il mio capo? O essere un libero pensatore che come hobby parla con il gatto e odia il suo di capo? Inteso come testa, perché rende impossibile riuscire a fingere entusiasmo per le cose.
Per questo idealizzo gli anziani. Anche loro ne hanno le palle piene di fingere. Per questo faccio schifo alle presentazioni del mio libro o quando invio richieste di finanziamento, perché dai, i vostri soldi potreste investirli in qualcosa di più utile. Tipo una campagna di riqualificazione dei piccioni come animali da compagnia.
Fossi nato ricco avrei sperperato tutta la mia fortuna in carte Pokémon. Lo so. In quello e in allucinogeni, che poi sono la stessa cosa. Però la bellezza di dire "Ehi, vuoi salire da me a vedere la mia collezione di carte Pokémon?" e sentirsi rispondere cavolo sì, che bello, sono curiosa. Poi magari deludo anche lì. Magari illudo e pensavi che il mio Pikachu fosse molto più grosso, però dipende da come lo usi, se aspetti un po' magari si evolve. Ti chiederei "Sai a che livello si evolve Pikachu" e tu risponderesti "Non so, al 50?" e io ti caccerei di casa perché Pikachu si evolve tramite pietratuono non avanzando di livello e non mi concederò mai a una persona così ignorante. Che disgusto.
Aspetto mio nipote cresca un altro po' così da poter finalmente avere una conversazione decente con lui senza desiderare di stropicciargli quelle guanciotte tonde e rosa pesca che si ritrova. Oppure questo non accadrà mai e io, inquanto zio, lo vedrò sempre come un esserino piccolo e carino e gli stropiccerò le guanciotte il giorno del suo matrimonio.
Un treno, nella metaforica stazione dei miei pensieri, è partito. Con incalcolabile ritardo. Sarebbe più pratico i miei pensieri fossero aerei. Volerebbero da te. Si schianterebbero a pochi metri da casa tua spaventando i vicini. Ma gli aerei mi terrorizzano ancora, quindi i miei pensieri viaggiano su lente, prevedibili rotaie. Poi io ci tengo al pianeta, non lo voglio distruggere, è il posto ideale dove passare il tempo aspettando nella fine del mondo.
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smokingago · 7 months
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
🍀
#smokingago
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susieporta · 7 months
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
dipinto Gill Button
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chaosdancer · 8 months
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Ho tantissime cose accumulate nella mia testolina e non so come aprire questo vaso di Pandora. In effetti ho accumulato svariate settimane di pensieri. Mi vengono alla mente i vecchi tempi in cui scrivevo a dismisura e non sapevo mai come iniziare, davanti al vuoto. Esattamente come in un cantiere in cui hai l'idea di come dev'essere un palazzo ma non hai la minima idea di come buttare giù le fondamenta.
Beh, posso cominciare dal semplice fatto che tra le svariate persone che ho conosciuto negli ultimi anni (soprattutto da ottobre a questa parte) e che sto continuando a conoscere ho una mezza idea dell'attenzione media che si ha in questi anni, soprattutto tra i giovani. Probabilmente sarò una delle poche persone a leggere e questo mi va bene, mi ricorda i tempi in cui scrivevo per me stesso e preparavo il libro. Diciamo che le mie abilità linguistiche e la mia capacità di scrittura si sono affievolite di molto da allora. Chiedo scusa in anticipo a me stesso quando rileggerò tutto questo dopo averlo pubblicato (già, leggerò dopo aver pubblicato, saltando la fase di rilettura, come ad improvvisazione jazz).
Diciamo che il dubbio che mi è sorto un attimo fa è se scrivere tante cose brevi per essere letto in modo da avere dei confronti o fare il prolisso con me stesso e non essere considerato. Diciamo che attualmente la seconda opzione è quella che più mi attrae.
Vorrei iniziare lamentandomi delle persone che, in media, hanno la soglia dell'attenzione sempre più bassa. Non dico solo in musica, ci mancherebbe, ma anche per quanto riguarda uno scritto (che sia un post, un articolo di giornale o un libro). Per non parlare poi di tutto quello che riguarda il cinema e la musica. Purtroppo ho conosciuto persone che non riescono a guardare un film leggero dato che non riescono a mantenere la concentrazione solo per capire l'impostazione iniziale di trama e personaggi. Per non parlare della musica, un argomento a me caro. Non sto dicendo che tutto il mondo debba andare a sentire una sinfonia di Mahler (dalla durata media di un'ora) a settimana, né che debbano periodicamente andare a vedere concerti da 4 ore alla Liszt. Oramai il mondo funziona in modo diverso, le mode, gli usi e i costumi sono altri. Però un po' mi dispiace che la soglia dell'attenzione media si sia abbassata così drasticamente (e sto parlando della media, non di tutti). Questa parte iniziale dello scritto nasce dalle mie ultime esperienze dell'anno con mia madre. Mia madre, la mia prima "fan", che non riesce più a mantenere pazienza e concentrazione davanti alla musica che faccio e o che le "propino". Le basta solo un minuto scarso di musica (dalla durata di 15/20 minuti) per decretare che un brano che ha fatto la storia sia "bello" o "brutto". Mi sembra quasi lo stesso modus operandi che si usa pure tra noi giovani. Basta solo qualche post da nemmeno 100 caratteri per capire se una persona abbia qualcosa di stimolante da dire. Oppure qualche foto su Instagram per capire se una persona sia esteticamente bella oppure che non valga neppure la pena dialogarci nemmeno una volta.
Ormai siamo nei tempi in cui l'economia del tempo regna sovrana, come se nessuno avesse tempo per nulla, nonostante perdiamo il nostro tempo su stronzate inutili alle quali siamo abituati e sulle quali basterebbe un minimo di riflessione per renderci conto che è tempo usato inutilmente. Cose che non ci rendono più belli o più brutti, più ricchi o più poveri, più famosi o più sconosciuti e isolati, più intelligenti o più stupidi. Questo lo dico per conoscenza delle persone che mi stanno maggiormente intorno e che sono mie coetanee. Ma tutto ciò si può estendere perfino ai genitori come mio padre. Quella persona che, alla soglia dei cinquant'anni, si piazza davanti ai video di Facebook, Instagram e TikTok e smette di sentire ciò che gli stai dicendo durante una conversazione. Non importa se gli parli di cose importanti o dei tuoi sogni e speranze di gioventù. Non sono qui per piangere per questa cazzata, ma tutto ciò è di una tristezza e di uno sconforto allucinanti. Cioè, bello sapere che tuo padre ha trovato un video divertente su TikTok e tua madre ha ricevuto l'ennesima richiesta di amicizia sentendosi sempre più benvoluta e circondata da persone (nonostante esse siano online e che nella realtà a stento ti salutino per strada). Tutto ciò sta perdendo il controllo e sta diventando follia pura (tra mamme che non tengono d'occhio i propri pargoli per le notifiche social o che, addirittura, usano proprio loro per acchiappare qualche like e commento per una foto col bimbo). Non vorrei risultare drastico ma tutto ciò è preoccupante. La "poetica" del like sta prendendo il sopravvento fin troppo. E io, ora che sto scrivendo, mi sento noioso come oratore, come scrittore e come musicista, in quanto le suddette persone non ti prendono in considerazione. Ti senti noioso per la mancanza di considerazione, perché non rispecchi la moda, i gusti, perché sei troppo prolisso e la gente non ha tempo, perché sei troppo lungo per la concentrazione massima che riescono a mantenere in una situazione. Ho visto persone spaventarsi per una cosa della lunghezza che sto partorendo, di getto, in questo momento.
Il mio quesito è: da quando è così? Da quando le persone istruite hanno la stessa coscienza, cultura e capacità di concentrazione equivalente ad una specie di servitù della gleba? Da quando siamo regrediti culturalmente (a livello di massa) ad una sottospecie di Neo-Medioevo? Tutti che ci vantiamo della tecnologia del nostro nuovo iPhone e compagnia bella. Ma, effettivamente, quanto ne capiamo noi? Tutti che ci vantiamo di sviluppo culturale, tecnologico e scientifico. Ma, in fin dei conti, a me sembra solo uno sviluppo che detiene una cerchia ristretta di persone che crea questo famigerato progresso. Un élite di ricercatori e studiosi che crea tutto questo "benessere" per la massa. Lungi da me essere un pessimista catastrofico, il progresso medico, scientifico e tecnologico è stato ottimo. Anche il progresso culturale sull'accettazione del prossimo e sulle parità dei diritti ha fatto enormi progressi nell'ultimo secolo. Però a quale prezzo? Vedo tante persone lamentarsi da sempre del divario tra ricchi e poveri. E io ci vedo anche un accesso più immediato alla cultura che ormai non viene colta a dovere. Che sia cultura storica, artistica o politica e via dicendo. Non riesco proprio a concepire come un maggior accesso alla cultura abbia potuto, in certi ambiti, fare più danni rispetto a quando non era presente. Perché siamo in una struttura in cui l'accesso all'istruzione e ai vari tipi di cultura è più immediato e facile mentre la massa sembra regredire in qualche modo?
Tutto questo (che mi portavo dietro da qualche anno a questo parte) sta parzialmente uscendo fuori. E sta uscendo fuori alla fatidica domanda: "Cosa vuoi fare da grande? Cosa farai dopo la magistrale?" Ebbene, non lo so assolutamente ormai. Personalmente mi trovo in un'epoca musicale (che è quello che mi concerne) che non regge un'esecuzione della Sonata di Liszt dalla durata di mezz'ora (nonostante poi ci sia un'altra ora di concerto davanti). Poi, le cover pop vanno benissimo (se non superano la mezz'ora), anzi sei un fenomeno. Per la classica ormai vivono i grandi classici alla Strauss a Capodanno e "Per Elisa" di Beethoven. Ormai anche questo ambito è rimasto per pochi (di solito studenti di musica, maestri, pensionati e qualche estimatore raro rimasto). Ma qui il mio dubbio esistenziale ( e qui entro nella mia sfera personale): per cosa suono? Cos'ho da condividere con un pubblico che, per la maggior parte, viene a vedermi per fare bella presenza? Per far vedere che è acculturato e ha buon gusto ascoltando la buona musica classica. C'è da dire che sempre più spesso mi capita di vedere persone che guardano le notifiche del telefono durante i concerti. E io allora, per cosa porto avanti questa grande arte ai posteri? Potrei lasciar perdere come fanno molte persone? La musica di Mozart, Beethoven, Chopin (e più chi ne ha più ne metta) non è come come un Leonardo, un Caravaggio o un Monet. Non durano nel tempo come l'arte visiva o altri tipi di arte. Per rendere vivi quei pallini su carta bisogna suonarli in concerto, inciderli e divulgarli. Il paradosso più grande viene qui: sempre più insegnanti di musica e sempre più persone che studiano la musica abbandonandola perché non c'è nessun tipo di garanzia per il mercato odierno.
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melanchonica · 11 months
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è da un po' che mi frullano in testa dei pensieri un po' slegati che non riesco mai a buttare giù e mettere in ordine, vediamo se stavolta ci riesco.
io credo che ognuno di noi abbia un bagaglio con se. per la precisione uno di quelli senza ruote, lo immagino più come un baule con una maniglia. lo portiamo dovunque andiamo, sempre. negli anni lo riempiamo delle nostre esperienze, positive e negative, e ciò che più di tutto lo rende pesante da trasportare è ciò che ci ha fatto male. questo lascia intendere che c'è chi ha un bagaglio più leggero, e chi ha un bagaglio più pesante. ecco, è come se sentissi che il mio bagaglio è diventato troppo pesante. non mi piace il vittimismo, mi sento sempre quasi in colpa al pensiero di dire ad alta voce tutto questo, infatti lo sto chiamando vittimismo anche se in realtà non credo neanche che lo sia davvero. per essere breve, va a finire che non sono mai queste le cose di cui parlo con le persone, neanche con chi mi è più vicino come alcuni amici o la famiglia. questo bagaglio, questo baule, lo sento più pesante ad ogni passo che faccio, ogni giorno che vivo. si stanno accumulando tante cose al suo interno, tante provocate da persone da cui non me lo sarei neanche aspettata, e questo ne raddoppia il peso. ognuno di noi ha un bagaglio, e alcuni giorni pesa più di altri. poi, credo che se hai qualcuno che ti aiuti a trasportarlo, non sembri neanche più cosi pesante. e forse è proprio questo il punto, forse è trasportarlo continuamente da sola da così tanto tempo, che mi sta sfinendo. ma come si fa a capire di chi fidarsi per trasportarlo assieme? come faccio ad essere sicura che non lo spalanchi davanti a tutti e butti fuori tutto quanto, lasciandomi poi sola di nuovo a rimettere a posto? come faccio ad essere sicura che quella persona non usi proprio quelle cose trovate all'interno del baule per ferirmi? è più facile, se sai dove colpire. ed è più facile, se chi vuoi colpire è già a terra, se è già sanguinante. e ciò che rende il tutto ancora più facile, e disgustoso da fuori, e devastante da dentro, è la consapevolezza che chi è a terra non ti farà nulla neanche dopo che avrai finito, perché ti ha lasciato aprire il suo baule e sarà troppo sofferente e troppo impegnata a rimetterne insieme i pezzi, una volta che l'avrai rivoltato. ecco, a volte quando questo baule non riesco più a portarlo e inizio ad inciampare e cascare a terra piangendo, quasi mi pento di non aver fatto o detto qualcosa dopo, a quelle persone. ma in fondo, cosa avrei potuto fare? a cosa sarebbe servito? poi infatti ci penso meglio, e non mi pento affatto di essere una brava persona, di non aver causato a qualcun altro lo stesso dolore che ha causato a me, e di averle aiutate dopo quando avevano bisogno, fregandomene del prima. l'unica cosa di cui posso pentirmi è di non aver ascoltato quel dolore prima, ai primi oggetti buttati con foga fuori dal baule, posso chiedermi scusa perché oggi avrei vissuto meglio senza tutte quelle scene impresse nella mente. non sono frammenti, io non ho frammenti, ho lungometraggi. ricordo ogni cosa, ogni singolo secondo. potrei chiedermi scusa, si, ma ancora non riesco, non mi sono affatto perdonata, per averlo permesso. per fortuna non sogno quasi mai, almeno sono scene che vedo e rivivo soltanto durante il giorno. e questo bagaglio è pieno zeppo di queste scene, e pesa tantissimo, e con le braccia non ce la faccio più a portarlo, e continuo ad attirare l'attenzione quando passo, che si nota che trasporto qualcosa che pesa più di me e arranco da morire, e mi si legge in faccia, e sono come un'incidente stradale che tutti si fermano a guardare.
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veronicaverde · 1 year
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti del padre dei miei figli, me ne dovrei disfare, scarpe da calcetto, non ricordo di averlo mai visto giocare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento che costruivamo noi, con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
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mi sento sola.
mi sento sola ma si tratta di quella ripetuta e molto comune “solitudine anche in mezzo ad una folla di persone” anche se, non per questo, dovrebbe essere considerata meno importante. mi sento sola e mi sembra di essere ritornata a 10 anni fa, quando gli sbalzi d’umore ed i pianti isterici venivano categorizzati in “crisi adolescenziali”. Adesso avrei mille etichette con cui poter catalogare ogni mia crisi di panico, c’è quella dovuta alla paura del futuro, quella del valutare di partire e andare lontano da casa, quella relativa al “e se poi faccio fatica con l’inglese?” per poi continuare con i grandi classici che scatenano le più vigorose urla ossia non vali abbastanza, non sei bella, non sei magra, non sei intelligente, non sei una buona amica, non sei una buona figlia e la lista continua ancora e ancora. A volte mi chiedo se un giorno o l’altro riuscirò a stare dalla mia parte. Ho gli occhi tristi e le dita premono decisamente troppo forte sulla tastiera. Quanta rabbia, troppa. Nei miei confronti? Nah sarebbe troppo maturo come pensiero. Nei confronti dell’universo perché dare la colpa agli altri per come sono è ben più facile piuttosto che affrontarsi a muso duro. E’ più facile odiarsi che amarsi per quello che si è. E’ più facile odiarsi che impegnarsi per migliorarsi, per trovare anche solo quel dettaglio che faccia dire “non sono tutta da buttare”. E’ più facile dire “tanto sono fatta così”. E’ più facile ed è strano perché le situazioni facili non sono mai piaciute, più è impossibile, più mi metto in testa che lo voglio fare. Ma questo non vale per me. E’ come se mi sentissi una causa persa. Come se non valessi la pena degli sforzi perché “tanto non sarò mai come vorrei io”. Sono grande abbastanza per capire che ci sia tanto altro ma il mio riflesso influenza le mie giornate, i miei pensieri, i miei umori da tutta una vita. E tutto questo non è facile per un cazzo. I pensieri stancano ed ecco perché si tende ad optare per la via definita “più facile” ma, dalla mia parte, ci vuole comunque un bel coraggio ad andare avanti, anche così, anche sentendosi ogni giorno più giù e non è facile per niente odiarsi così tanto da non tenerci affatto. Questo sfogo è sbagliato perché non ha un lieto fine e io lo vorrei disperatamente questo lieto fine. 
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clorophillarium · 1 year
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Correre ancora
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Mi è venuta voglia di mettere giù qualche parola sulla corsa, solo perché ne ho voglia. Ho pescato una foto di 10/11 anni fa. Ero al Golfo dei Poeti, una gara di circa 40-45 chilometri, in Liguria. Potrei sbagliare, ma non ricordo nessuno che si presentò al via con le sole borracce a mano. Avevo un paio di short cortissimi, senza nemmeno un buco per un gel o che, e allora utilizzai 2 borracce; una per bere e un’ altra per permetterci dentro la spazzatura e i gel. Non so perché ma non avevo una cintura da mettere in vita. La mia tattica era semplice; le gare erano allenamento e vera gara al tempo stesso. Lasciando sempre tutto al caso e improvvisando, ho preso dei pugni in faccia colossali ma ho sempre avuto il piacere di riprovarci. Ma ora che ci ripenso, ora che continuo ad improvvisare, ma che non ho più i margini di efficacia di un tempo, continuo a divertirmi, a correre finché ne ho, senza tanti pensieri. In quegli anni corsi tutte le gare belle che per me avevano un senso. Penso al Gorrei, alla 3 Rifugi, ai tentavi falliti alla Royal, alla Trans d’Havet , alla Quadrifoglio, ma anche alle gare intorno al Bianco, a cui arrivai anno dopo anno, partendo dalla CCC e per poi concludere con l’ Utmb. Non c’erano troppe menate di stone, punti del caxxo e varie. Insomma facevi le corse giuste, e nel giro di un paio di anni arrivavi all’ Utmb. Soprattutto ho l’impressione, ma è giusto la mia impressione, che correvo per il gusto di correre una gara e non in funzione di un’ altra gara. Non sono qui a dire che sia giusto o sbagliato, ma trovo che alcuni perdano il gusto di vivere una gara, anche una gara che non sia qualificante per nulla, perché in cima alla lista c’è l’idea di andare ad un evento come Utmb o Lut. Da poco si è concluso lo Sciacche trail, una gara locale, in Liguria. Partecipai alla seconda edizione nel 2016. Ne ho un bel ricordo, corsi leggero e piuttosto veloce per i miei standard di velocità ah ah ah ! Con il livello che si è alzato tantissimo e la vecchiaia che avanza, credo che in futuro (in teoria) dovrei lavorare tantissimo per stare dentro le 6 ore di corsa. Ma allora andò bene.
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Questa foto è dell’ anno scorso. Sono all’ arrivo di Urma con Francesco, un amico marchigiano di Paco. Quel giorno con Francesco passammo un po’ di tempo insieme, poi ci perdemmo nella parte centrale degli infernali 50 e infine ci incontrammo di nuovo nel pomeriggio, sul crinale. C’era un’ aria bellissima e leggera, i colori erano splendidi, come se fossero tornati a brillare dopo le bastonate del sole. Io e Francesco parlavamo come vecchi amici. Ci siamo fatti delle foto e scambiati i numeri di cellulare. Ci sentiamo anche adesso, dopo quasi 1 anno. Spero di incontrarlo di nuovo ad Urma.
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Questa foto è di domenica scorsa; la mia prima mezza maratona a Rimini, a 45 anni. Devo dire che mi sono divertito e che Rimini fuori stagione è bellissima e nostalgica. È una mezza maratona su asfalto ovviamente, ma siccome sono abituato a ricredermi e a cambiare idea, ammetto che le corse veloci hanno il loro fascino. Non stavo benissimo ma ho imparato delle cose utili. Ad un certo punto ho pensato di riprendermi e di farla in 2 ore, che non è niente di speciale, ma poi è uscito fuori qualche acciacco, mi sono fermato in spiaggia dietro ad un bagno abbandonato, ho pisciato, ho parlato al telefono con mio padre e con Lele, e poi ho ripreso a correre gli ultimi 4 km. Nel frattempo mi avranno superato in 200/300 non saprei, c’era un casino assurdo e una quantità di spazzatura per terra senza senso. La cosa mi ha dato fastidio perché io cercavo i cestini e giravo con una bottiglietta d’acqua in mano, alternandola con la classica posizione in mezzo alle chiappe, comodamente stipata nei pantaloncini. Secondo me, che uno stia per vincere o che sia ultimo, non deve buttare niente per terra e non deve essere maleducato con nessuno. Stiamo facendo una cosa assolutamente ‘inutile’ cioè correre, ma essere educati e rispettosi è sempre importante ovunque. Questa settimana ho passato anche un paio di giorni con gli amici di Skialper a testare un po’ di scarpe da trail. Sono un outsider, nel senso che nella vita mi occupo di alberi e di prati da sfalciare, ma mi piace il modo serio e professionale con cui mi approccio a questi test. In quel momento sto facendo una cosa che va fatta bene, dove ci sono persone che raccolgono anche i miei feedback, per poi compilare una guida. C’erano anche dei pro, gente forte che è abituata a queste cose. Ho chiacchierato un po’ con tutti e sono stato bene. Anche 2 anni fa avevo fatto la stessa cosa con Paco, e oltre ad avere testato le scarpe e aver fatto foto, avevamo parlato di un sacco di altre cose, della vita insomma, che è fatta anche di corsa, ma anche di altro, come la musica, i sogni, le idee, le delusioni e gli amici. Già che ero in zona, nella west coast ligure, sono passato a trovare Ale nel suo negozio a Finale. Era da un po’ che non lo vedevo e il negozio è davvero figo. Ale è un po’ mago, mistico e saggio, chissà , e comunque tempo fa mi aveva fatto venire voglia di sandali da corsa. Così mi sono preso un paio di sandali per correre. È già che ho il vezzo dei cappellini, me ne sono preso uno della Ciele Athletics con dei colori da LSD ah ah ah ! Ale, che è più vecchio di me, e che ha una visione più ampia che giustamente dovrebbe avere chi è più vecchio, continua a correre e a sperimentare per il piacere di farlo. Delle gare ne ha le palle piene, forse anche della gente, ma ci sta. Io non lo so ancora. Ora ho i sandali e un altro ‘inutile’ e bellissimo cappellino. Correrò ancora un po’.
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Perché stai piangendo ora?
Pensavo, stavo ricordando e immaginando, sentivo la tua voce dentro di me sussurrare dolcezze, senza mentire senza illusioni di alcun genere solo la verità, la vera amicizia che c'è tra noi, un'amicizia rara in cui essere liberi di dirsi davvero tutto e con i ricordi di un periodo magico di infatuazione ancora vivi nella memoria. Li sento materializzarsi come un forte abbraccio in cui lasciarmi andare, poter buttare giù le pareti che mi sono costruita attorno al cuore per non soffrire più, per non innamorarmi più. Ti sto inzuppando la maglietta immaginaria di lacrime come il primo giorno, ma sento come mi stai asciugando le lacrime dagli occhi con dolcezza, quella dolcezza che non riscontro in nessun altro o forse quella dolcezza che la mia immaginazione riconduce sempre a te. Che cos'hai tesoro? Cucciola dimmelo ti puoi fidare di me. Lo sai che ti voglio bene e che potrai sempre contare su di me piccolina, ho sempre cercato di prendermi cura del tuo dolce respiro, ho sempre desiderato vedere splendere i tuoi occhi e il tuo sorriso su quel dolce viso, baby lo sai che terrò sempre la mano stretta alla tua non ti lascerò cadere mai, te l'ho promesso una volta e quella è una promessa eterna, non sono promesse d'amore ma di due persone che si vogliono davvero bene, che hanno sempre sentito una sintonia particolare, le loro anime parlarsi eliminando la distanza, piccola quante volte ti ho preso dal braccio e ti ho rialzata quando eri a terra, tutte le cose che ti ho detto non erano bugie, erano dettate dal cuore perché tu le meriti quelle frasi, meriti amore, meriti affetto e attenzioni. Meriti di sentirti bene con te stessa, con il tuo carattere forte e fragile allo stesso tempo, con il tuo corpo che hai odiato per troppo tempo. Tesoro lo sai che siamo più forti di come saremmo stati da fidanzati, non ci amiamo in quel modo ma l'amicizia che c'è tra noi è una forma di amore dopotutto. Piccola ti ho regalato molto di più di un bacio, ti ho donato tanti piccoli momenti che avevano scaldato il tuo cuoricino freddo e spaventato, piccola abbiamo superato tante difficoltà insieme e continueremo a farlo. Ora non so perché stai pensando a tutto questo ma se queste sono lacrime non tristi bensì nostalgiche e dolci lasciale scivolare lungo le tue guance, non sono graffi sono carezze. È una poesia di ricordi che fluttua intorno a te, è una musica di corde pizzicate improvvisando una sonata, è il sottofondo delle onde del mare, è il fruscio del tuo magico vento. Tesoro la tempesta sta passando, una tempesta di pensieri non brutti ma riversati così prepotentemente su di te all'improvviso sono come grandine che pian piano diventa pioggia leggera. Il sole torna timidamente a splendere e il cuore pian piano si fa più leggero, è stato un tuffo senza paracadute, hai rischiato di farti male ma le nuvole hanno attutito la caduta, stai fluttuando ora ogni cosa si è rallentata, il tuo battito e il tuo respiro, le lacrime stanno sparendo, tranquilla stai uscendo dal buio, grigio, bianco, luce.
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alexsaal · 8 months
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Buffo pensare che ho creato questo blog a fine 2014 e nessuno lo sa e lo hai mai saputo hahaha.
Ci sono personali pensieri, oscurità, fragilità, esperienze e tormenti che nessuno nella mia vita sa e ha mai saputo.
Tumblr è un compagno fedele e, vuoi o non vuoi, ti aiuterà sempre a buttare giù quel che hai nel profondo, quello che spesso nessuno sa e, forse (ahimè), mai nessuno saprà.
Grazie Tumblr.
Grazie.
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altrovemanonqui · 11 months
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Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento che costruivamo noi, con dubbi inesistenti.
Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita.
Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma la vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi?
Sì. Ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma non c’è tempo di pensare…
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vuotipienidite · 11 months
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credo
di essermi svegliato pronto a versare ogni mia lacrima o sorriso sopra un foglio capace di raccogliere anche i pensieri più profondi che la notte mi ha lasciato addosso.
come
perdersi o ritrovarsi dentro un cielo di silenzi, mai vuoti, e sentirsi per un attimo fragili di fronte allo specchio del proprio cuore.
se
riuscissi vorrei far coincidere ogni parola detta o taciuta in quelle ore passate a guardarti mentre stringi negli occhi tutta la luce che ti porti dentro.
tu
che ti sei fatta spazio anche tra le incrinature del mio scudo, che in ogni mia insicurezza ci hai visto un po’ di te, un po’ di tutto quel mare in tempesta che spesso ti fa perdere la rotta.
fossi
stata al di là di quel bicchiere pieno di ghiaccio che facevo girare e rigirare mentre pensavo, avrei capito più in fretta che ogni mia paura era solo una porta da buttare giù.
ancora
una volta mi hai letto dentro e come aeroplani lontanissimi hai lasciato la tua scia tra le mie nuvole bianche, la guardo sfumare e lentamente svanire mentre vorrei restassi ancora un attimo solo o fino a domani in quel mio cielo mai terso.
qui
al confine tra il dirupo di incertezze e domande che ho dentro e quella voglia di salire fino al sole senza vertigine con te, mi sono chiesto quanto costi davvero essere se stessi di fronte alla imprevedibilità della vita, quanto spazio ci sia tra le fessure delle nostre stanze chiuse e quanto le strade che pensiamo più distanti da noi spesso siano proprio quelle che ci portano a quel senso di pienezza che un po’ scivola via al mattino appena svegli lasciando quel vuoto pieno di te che ancora oggi non so colmare.
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la-pilli · 1 year
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A volte mi sembra che il mio unico sfogo sia buttare giù due righe su Tumblr... Non perché voglia che sia letto, ma é per esorcizzare tutto quello che mi sento dentro ... Cose che magari le persone che mi vogliono bene sanno, ma che non voglio caricare, preferisco mi vedano sorridere e sembrare forte, quando non lo sono. Ultimamente credo di avere troppe cose da elaborare, cose che non ho mai elaborato o voluto elaborare. E chissà perché vengono sempre fuori quando credo che stia per andare tutto bene... Sono stanca di lottare, a volte vorrei darmi per vinta solo perché sono stanca e stufa. Ma che esempio sarei per mia figlia? Che esempio sarei per gli altri, quando passo la metà del mio tempo a dire IO agli altri che andrà tutto bene? Se mai volessi essere un esempio, perché a volte essere me é davvero pesante... Io sono davvero pesante. La mia testa, i miei pensieri sono pesanti.
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beautifully-mine · 2 years
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
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