Tumgik
clorophillarium · 5 months
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Urlo muto
Chili di apparenza
In formazione ufficiale
E noi dall’ altra parte
Ancora,
Dove tutto affoga.
Lamiere nel vento
Gli occhi,
Sbattono rumorosi
Eppure nessuno sa
Che cosa ci sia
Per davvero dietro.
Amico Dio
Mare celeste
Cielo supremo;
Come chiameresti
Questa distesa
In cui hai smesso
Di nuotare ?
Non rispondi -
Una notte
È poco fa,
Un precipizio
Dove ad un certo punto
Tutto finisce.
È un sollievo
Senza conforto,
Una stanza buia forse,
Eppure l’agio del vuoto
È un urlo muto,
E ci acquieta
Non mostrandoci altro
Che assenza
Di verità.
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clorophillarium · 6 months
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Concertini
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clorophillarium · 7 months
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Allunaggio
È soltanto
Una lastra di cielo
Che ci separa
Dall’assurdo universo;
Dio angeli e stelle
E poi ancora
Dio angeli e stelle.
La morte
Ha un solo fiore
Che ci accontenta.
Tra le mani rotte,
Tra la luce che entra
Nel costato,
Si compie
Una festa autunnale.
Alberi quasi nudi fuori
E una gamba piegata,
Forse la prima tibia
Del primo uomo
Nel crepaccio.
Il tuo allunaggio
Senza luna.
***
Ciao Dani
29 ottobre 2016
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clorophillarium · 7 months
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clorophillarium · 7 months
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Houdini lover
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clorophillarium · 7 months
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Old buddies !
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clorophillarium · 7 months
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Marco pedala
Da Milano a La Spezia, ad agosto. Rispetto. (Io no ! Ho fatto solo qualche chilometro insieme a lui).
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clorophillarium · 8 months
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Un mese fa io e Giulio ci stavamo muovendo per raggiungere San Candido e iniziare la nostra traversata Carnica. Adesso riguardo nuovamente le foto, e dopo diverse settimane di piacevole confusione, riesco a mettere insieme i luoghi e a collocarli nello scorrere dorato di quattro lunghe giornate in montagna passate a correre insieme. Se non credi in una cosa, difficilmente avrai la forza per provare a viverla. Niente di ‘eroico’ sia chiaro (e per fortuna), ma è bello pensare di essere riusciti a costruire qualcosa che oggi puoi custodire tra i ricordi più belli. Non serve per rimanere incastrati nel passato, ma per essere felici di ciò che è stato possibile. E nei giorni difficili, nei giorni più tristi, sai che è stato possibile vivere di bellezza. Sai che una lunga attesa si può compiere e trasformare un’idea in realtà. Non bisogna mai aver paura di sognare e di andare a cercare là fuori, perché anche se può sembrare strano, è meglio il tentativo di un sogno, che un sogno mai sognato.
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clorophillarium · 9 months
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Sul filo dei sogni
Carnica Ultra Trail, 2023
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Giramondo Giramondo Giramondo…
Questo nome continua a ‘girare’ tra i miei pensieri. Un nome - filastrocca, così simile a ‘girotondo’. Mi sembra quasi una vecchia canzone e mi sembra anche di averlo incontrato leggendo la ‘Storia Infinita’ di Michael Ende, quando ero piccolo.
C’era un Giramondo nel viaggio di Bastiano ?
È un luogo immaginario o esiste per davvero ?
In realtà, almeno geograficamente, è un passo, un valico che con Giulio abbiamo attraversato durante la seconda tappa della nostra Carnica Ultra Trail.
Per me quello è stato lo spartiacque del viaggio, più per il suo nome così evocativo e per la bellezza arcana del luogo, che per la mia reale consapevolezza di arrivare per davvero in fondo al nostro viaggio.
Giramondo in quel momento è diventato la mia direzione, una sorta di ispirazione e di simbolo.
È così mi ritrovo di nuovo a pensare ai sogni, alla fatica che faccio per non perdere il bambino che sono stato; sempre pronto ad immaginare e a cercare lo stupore nella realtà, a fantasticare sui i nomi, a cercare animali parlanti e a non smarrire i miei ideali, anche quando quasi tutto vorrebbe schiacciarmi e omologarmi con arroganza e noia.
No, non mi voglio adeguare.
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I sogni sono fatti di un filo invisibile che unisce
chi vuole sognare, e spesso chi vuole sognare aiuta anche altri a farlo, non al posto loro, ma con loro.
Una cresta in montagna non sempre rappresenta un confine e un limite, ma un collegamento, un filo appunto, che unisce da una parte all’ altra.
È significativo che la Carnica Ultra Trail sia esattamente una cavalcata in cresta; un filo che unisce San Candido con Tarvisio.
Domenica pomeriggio, dopo la conclusione della traversata, parlo con Marcello.
Chissà se anni fa ha pensato a questa cresta di 200 km come ad un filo che cuce tutti i sogni insieme.
Ora, nel sole brillante dopo la tradizionale pioggia che accompagna gli arrivi, Marcello mi spiega con grande pace e soddisfazione, che il senso di tutto questo è che ciascuna persona può finalmente affermare la propria individualità, nonostante una disabilità apparentemente limitante, e che questo può accadere grazie al sostegno e alla forza di chi si mette a disposizione l’uno dell’ altro.
Andrea, Attilio e Swami sono arrivati da poco e sono l’immagine vera, più forte e più bella di questa idea.
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La ‘nostra’ Carnica, mia e di Giulio, orfani di Francesco infortunato, inizia tra mille dubbi. Giulio non sta bene fisicamente ed è demoralizzato. Io affronto come sempre logoranti battaglie emotive ed esistenziali. Sono felice di essere qui ma non è semplice essere concentrato sul momento, sul presente.
Ma so anche che si tratta di partire, di essere paziente e di imparare ogni volta a vivere il viaggio, passo dopo passo.
Ogni mattina, si inizia almeno con una lunga salita che schianta come sempre il mio umore e le mie gambe. Naturalmente mi occorrono un paio d’ore per stare bene e riuscire a far girare le gambe come vorrei.
Ma è in queste prime ore difficili, dopo notti a volte umide e trafelate, che costruiamo la consapevolezza del nostro viaggio.
Il privilegio di correre ogni giorno in montagna, da una parte all’ altra, sta diventando semplicemente naturale.
Lambire le pareti del monte Peralba, del gruppo del Volaia e del Coglians, della Creta di Timau e di cima Avostanis, giorno dopo giorno, mi mette di buon umore, perché la bellezza pura e assoluta, fa pace con la mia anima e mi rassicura sulle cose che valgono e che contano.
Corriamo e non abbiamo altro, eppure abbiamo tutto.
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Ripenso a tutte le malghe e ai rifugi incontrati, di cui assolutamente non ricordo nemmeno il nome e la posizione, ma lascio che restino così, a galleggiare in un sogno infinito. Erano luoghi bellissimi e stavamo bene. Quasi sempre erano gestite da ragazzi e ragazze o da malgare sorridenti e abbronzate che ‘discutevano’ amorevolmente con le proprie capre… credo per questioni di latte ah ah ah !
Una birra, una radler, pane e formaggio freschissimo, sono stati il miglior ristoro possibile.
Queste erano anche occasioni in cui per lo più ci incrociavamo spesso con gli stessi simpatici compagni di viaggio, con cui abbiamo condiviso lunghi tratti di sentiero insieme.
E poi, come per magia, nel verde o nel nulla più assoluto, trovavi Maja ad aspettarti.
Elfa e fata al tempo stesso, indecifrabile ed entusiasta, ci indicava una linea misteriosa di creste e di montagne da seguire.
Sembrava quasi una caccia al tesoro, ma il tesoro in effetti sapevamo già quale sarebbe stato, ed era proprio quello di vivere lì, in quel momento, né prima, né dopo, ma sul filo dei sogni.
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È stata la prima volta in una corsa a tappe per me e Giulio. Ma negli anni avevamo già compiuto insieme lunghe traversate appenniniche. Ci capiamo in silenzio e ci accontentiamo dell’ indispensabile, a volte anche di meno.
Credo sia importante vivere un’ esperienza così forte con un compagno accordato con la propria anima.
Ci sono momenti in cui sì è semplicemente pelle e ossa, soli davanti a montagne sconosciute, battuti dal vento, dalla pioggia e presi a pugni dalla stanchezza.
È importante fidarsi, sentirsi e riconoscersi, senza parole.
Ma è sul filo dei sogni che alcuni individui si incontrano, ciascuno a volte perso nel proprio vuoto, ma pronti a vivere tutti lo stesso sogno fino alla fine di una cresta invisibile.
Perchè spesso chi vuole sognare, aiuta anche altri a farlo, non al posto loro, ma insieme a loro.
***
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Sul filo dei sogni
Carnica Ultra Trail, 2023
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clorophillarium · 9 months
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Carnica Ultra Trail
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Quanto valgono una crosta di pane e due dita d’acqua nel fondo della borraccia? Ingurgito l’ultimo pezzo di pane che Niki tira fuori dallo zaino, verso le due bustine di Oki direttamente nella borraccia quasi vuota e butto giù tutto. Sto zoppicando da circa un ora e il dolore al tibiale sta diventando insopportabile al punto che comincio a pensare che tutto possa naufragare così, a soli 10 km dal traguardo. 
Questo “tutto” è iniziato circa tre anni fa, quando Francesco ci chiese di fare una squadra per prendere parte alla 177 K, una corsa a scopo benefico non competitiva di 200 K in quattro tappe, con partenza da San Candido e arrivo a Tarvisio. Alla fine dopo vari rinvii quest’anno sembra essere giunto l’anno buono e così ci iscriviamo, non sapendo naturalmente che qualche settimana prima di partire proprio Francesco si sarebbe infortunato e quindi a portare la croce saremmo stati solo in due, il sottoscritto e Niki.
Il giorno prima della partenza al lavoro mi sento un pò strano, torno a casa mi misuro la febbre: 37,5. Niki è già in viaggio dalla Liguria verso Padova, non gli dico niente e aspetto. La sera mi sembra andare meglio ma la mattina al momento di partire ho ancora febbre, nausea, giramenti di testa. Che facciamo? Gira e rigira decidiamo di partire lo stesso e poi si vedrà, chiedo a Niki di darmi una mano a fare la borsa e lui controlla che tutto il materiale obbligatorio ci sia, per il resto lascia a fare a me, e come vedremo non sarà proprio un ottima idea..  Partenza direzione Tarvisio, dove lasceremo l’auto per prendere un treno delle ferrovie austriache che ci porterà dopo 4 ore e tre cambi a San Candido. Sonnecchio mentre Niki guida, a Tarvisio prendiamo un tè butto giù un aspirina e andiamo verso la stazione dove facciamo subito conoscenza con alcuni tra quelli che diventeranno i nostri compagni di ventura, in particolare una simpatica coppia di Gemona del Friuli e una veterana della 177 k che farà da scopa. Il viaggio passa veloce e per le 17 siamo a San Candido, una splendida località nell’alta  Val Pusteria, non troppo lontano dalle tre cime di Lavaredo. L’atmosfera nella base di partenza è molto positiva, tutti si preparano a trascorrere la notte nell’auditorium, con il mio socio ci ricaviamo una specie di stanzetta sul palco con dei pannelli fonoassorbenti, giusto per assicurarci almeno una prima notte di riposo. Visto la tipologia dell’evento decido di assistere al briefing dove Marcello uno degli organizzatori spiega tutto quello che dovremmo fare, ma sopratutto quello che NON dovremmo fare nei prossimi giorni. In realtà mentre parla tutta la mia attenzione è attirata dalle k-bike, delle carrozzine per disabili attrezzate con dei maniglioni per potere essere spinte da quattro persone allo stesso tempo.   Infatti alla traversata parteciperanno incredibilmente  tre ragazzi disabili anche se seguendo un percorso alternativo al nostro ma ugualmente molto impegnativo sia per loro che per gli “spingitori”.
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DAY ONE
Al mattino soliti riti pre partenza, si riempiono le flask, si ricontrolla lo zaino, la giornata sembra essere strepitosa quindi l’umore è alle stelle, io ho riposato e mi sento discretamente bene, quindi.. andiamo. Si parte subito con una bella salita tra gli abeti che ci porta a coprire i primi mille metri di dislivello nel corso dei primi dieci km, abbiamo già sconfinato in Austria e sembra girare tutto bene finché non inizio a sentire la testa girare, ho una forte nausea, inciampo e casco per terra, non so bene come arriviamo fino al rifugio Oberstanserseehutte e qui mi siedo convinto che sia stata una follia partire e che la mia corsa stia già per terminare. Passano tutte le altre squadre e iniziano la salita verso  Sella Rosskopfthorl che si staglia di fronte  al rifugio mentre io resto li infreddolito con la testa sul tavolo incapace di prendere una decisione. Prendo un tè, ci sciolgo un aspirina, aspetto e dopo un pò decido di provare a proseguire camminando piano. 100, 200, 300 mt di salita e mi sembra di andare un pò meglio, Niki mi raggiunge più andiamo avanti più mi sento di potercela fare, dopo qualche minuto stiamo di nuovo correndo.
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I km scorrono veloci, di fronte a noi una cresta verdissima  anticipa una discesa tecnica che attraversa un pascolo colorato da un tappeto di fiori gialli e viola in cui ci lanciamo a rotta di collo divertiti come bambini.
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Ancora una sella, una malga, un rifugio (qui mi sfilo e dimentico su una panca  la mia unica maglia a maniche lunghe)  un ultima salita dove dei cavalli pascolano incuranti delle nostre fatiche e poi l’ultima discesa di 15 km che ci porta al primo campo base allestito per la notte.
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Siamo tutti molto stanchi ma ancora dignitosamente convinti di quello che stiamo facendo, ceniamo e poco dopo cala il silenzio, ci infiliamo nelle tende in attesa della sveglia alle 4. La notte è fredda, battiamo un pò i denti ma tutto sommato questa resterà una delle migliori nottate passate in tenda.
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DAY TWO
E’ ancora buio, un nugolo di frontali si aggira pigramente  tra le tende come lucciole assonnate, ci muoviamo cauti parlando sottovoce  tra borsoni, zaini e bucato steso in maniera improvvisata. Ritiriamo i gps, prendiamo il panino, facciamo colazione in fretta mentre qualcuno avvisa “Le sacche entro 10 minuti sul furgone!” Il percorso ha subito una variazione quindi per la prima parte seguiremo una traccia diversa balisata per l’occasione all’ultimo momento.
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Partiamo molto lenti, così lenti che la scopa ci raggiunge e inizia a pungolarci facendomi un pò innervosire, vuoi per l’ora non proprio adatta al dialogo vuoi perché non vorrei essere così indietro, ma come dice saggiamente il mio socio “Calma, che la giornata è lunga”. Ed infatti più la salita si fa ripida e incerta più riprendiamo le altre squadre, ammiriamo un alba magnifica alle nostre spalle e con il sole che sorge riemerge anche il nostro buon umore, anche  perché da più parti ci dicono che questa sarà la tappa più bella di tutte, e che attraverseremo le zone più selvagge del percorso, quelle che piacciono a noi.
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Dopo qualche cresta sospesa nel vuoto imbocchiamo un traverso che si snoda a mezza costa in un mare di fiori gialli e piccoli torrenti carichi d’acqua da attraversare.
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Ci godiamo questo pezzo corribile  che ci porta al rifugio di Hochweisstein, dove ho la pessima idea di chiedere un panino. Mi passano due fette di pane da toast fredde con due sottilette  ed una  fetta di cetriolo al centro  per la modica cifra di 9 euro. Riparto con il panino in gola, il percorso per fortuna è così bello che presto dimentico tutto. In cima alla sella ci aspetta Maja che ci da alcune indicazioni e ci avvisa “se vi è piaciuto fino ad ora vedrete il seguito!”.
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Sorpassiamo un rumoroso gregge di pecore e scendiamo in una valle silenziosa, dove dei radi alberi spuntano tra l’erba fresca, l’unico rumore è quello del torrente che ci scorre a fianco. Io e il mio socio siamo a corto di aggettivi, raramente i siamo trovati in posti naturalisticamente  così affascinanti, rallentiamo senza nemmeno accorgercene per godere meglio di quanto abbiamo intorno. Andiamo avanti così per diverso tempo, poi la valle risale fino al passo Giramondo e di li di nuovo giù verso una valle aperta dove incrociamo una piccola baita con una simpatica signora che alleva le sue capre rimproverandole amorevolmente in inglese per aver fatto poco latte il giorno prima. Siamo quasi al 40esimo km quindi ci rilassiamo un pò insieme ad un bizzarro trio di brianzoli con cui spesso ci troveremo a condividere pezzi di strada, mangiamo del formaggio fresco che sembra feta e beviamo una radler.
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Abbandoniamo a malincuore questo piccolo angolo di paradiso e usando una strada forestale saliamo al lago Volaja, purtroppo il tempo sta cambiando e lo troviamo completamente avvolto nella nebbia, un vero peccato perché essendoci già stato anni fa  da ore ne decantavo la bellezza a tutti. Non ci resta che individuare l’attacco del sentiero che ci porterà all’ultima lunga discesa che dopo 6/7 km termina direttamente nel campeggio. Qui facciamo due scoperte, la prima è che la sveglia domani verrà anticipata alle 3,30 e  la seconda che la nostra tenda si trova a ridosso di un recinto di alpaca che passeranno la notte a fare un verso sconosciuto a 50 cm dalle nostre orecchie.
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A cena ci viene servita dai gestori del camping una minestrina nella quale affondiamo due tre pagnotte creando così una  specie di pastone sicuramente poco invitante ma almeno un pò più sostanzioso. Nella notte scoppia un fortissimo temporale, le tende reggono e quando alle tre e mezza ci alziamo è già finito tutto e sopra di noi c’è una stellata bellissima. 
DAY THREE
Si parte per quella che è la temutissima terza tappa, 58 km con 4000 metri di dislivello ai quali è stato aggiunto un cancello alle 15,00 a circa metà percorso a causa di un previsto peggioramento del tempo nel pomeriggio.
Il paesaggio di  oggi si discosta notevolmente  rispetto a  quello di ieri, dopo la ormai consueta salitona iniziale che porta al Passo Monte Croce Carnico discendiamo a valle e poi ci addentriamo in una valle rocciosa dove il tempo sembra essersi fermato a qualche milione di anni fa, a parte qualche asino non incrociamo nessuno fino ad un apprezzatissimo ristoro volante dove ci viene offerto del melone fresco insieme a qualche parola di incoraggiamento.
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Da qui parte una salita lunga e molto impegnativa per Sella Avostanis, in cima troviamo ancora Maja e Giulio, le scope che ci spiegano un pò i prossimi bivi e ripartiamo subito in discesa verso il lago. Imbocchiamo la deviazione e attacchiamo un single track a mezza costa immerso nel verde più selvaggio che percorriamo in silenzio, Niki davanti e io dietro, ognuno immerso nei suoi pensieri. Siamo l’unica squadra che si è presentata sprovvista di bacchette, quando corriamo da soli il silenzio che ci circonda è assoluto.
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Riprendiamo i brianzoli o loro riprendono noi, fatto sta che ci ritroviamo a correre di nuovo assieme in una valle semi-paludosa popolata da immobili e giganteschi yak (che Francesco sostiene essere invece mucche highlander). Un occhiata all’orologio, sono le 14,20 se vogliamo arrivare al cancello entro le tre bisogna spingere. Cominciamo a correre più veloce, 14,30 14,40 c’è ancora una discesa che scendiamo a cannone e 5 minuti allo scadere del tempo siamo a Straninger Alm. Chi arriverà dopo le 15,00 verrà fermato: di fatto siamo le ultime due squadre a passare. A questo punto mancano circa 25 km e abbiamo una finestra di due ore prima che il tempo peggiori, il che significa che dobbiamo cercare di non prendere il temporale almeno finché saremo in quota.
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Riempiamo le borracce e ripartiamo subito, la prima parte è una passeggiata, ma quando è il momento di dover attraversare la sella di Aip utilizzando un sentiero esposto che taglia in due dei ghiaioni a 2000 metri di altezza il cielo comincia a farsi sempre più nero e minaccioso. Il percorso è molto lungo e bisogna procedere lentamente e con molta attenzione, a Niki si sta scaricando il tel dove conserva la traccia, traccia che io naturalmente non ho, comincio ad avere qualche timore che cerco di ingannare malamente ammirando quattro aquile  che volteggiano sopra le cime. Fortunatamente quasi di colpo si alza un forte vento, che spinge le nuvole cariche di pioggia lontane dalle nostre teste. Il vento diventa così forte che una volta in cresta a fatica ci reggiamo in piedi, con i cappucci alzati avanziamo instabili  come dei personaggi dell’Eternauta sempre più stanchi, sempre più sfiniti. Scavalchiamo delle rocce, attraversiamo una macchia di pino mugo ed ecco finalmente che ci appare in alto Passo Pramollo.
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Ad aspettarci al termine dell’ennesima salita c’è Marcello, che forse un pò preoccupato ci è venuto incontro in macchina con un termos di tè caldo e dei panini. Ci indica la strada, dobbiamo salire fino agli impianti di risalita che nella sera che sta arrivando hanno un aspetto triste e desolato nonostante la loro modernità. Da qui giù per la pista di sci fino a lago Pramollo e quindi per la strada asfaltata arriviamo in una radura nel bosco dove è stato allestito l’arrivo e il campo base vicino ad una piccola baita. Arriviamo abbastanza provati ben oltre le 12 ore previste, non ci sono docce ma solo un torrente dove darsi una lavata. Ci hanno tenuto la cena in caldo, arrivano le scope, sotto il tendono ci raccontiamo un pò come è andata mentre scoppia di nuovo il temporale. Proviamo ad aspettare ma non accenna a smettere, anzi, sembra piovere sempre più forte. Tutti sono già a dormire ci copriamo alla meno peggio e corriamo verso la nostra tenda dove arriviamo zuppi..  Questa ultima notte in tenda non la dimenticheremo molto facilmente, è già tardi, ogni cosa è umida, fredda, bagnata. Ci avvolgiamo vestiti così come siamo nei sacchi a pelo e cerchiamo di far passare quelle quattro che ci separano dalla sveglia. Resto così immobile ma non riesco a dormire, ascolto la pioggia che batte sul telo e gocciola dentro, conto le ore, l’una le due le tre,  le tre e mezza, finalmente è ora di alzarsi. Ieri sera avevo steso i pantaloncini ad asciugare all’arrivo e li ho dimenticati fuori, me li infilo così fradici, tanto tra poco saremo tutti bagnati. Per un attimo spero che venga rimandata la partenza per la pioggia, metto il naso fuori e invece c’è già qualcuno pronto. Dalla tenda al tendone è una palude, abbiamo i piedi fradici, piove fuori, piove dentro, piove dappertutto, eppure i volontari dell’organizzazione sono li pronti, impagabili  con i loro  pentoloni di caffè e tè caldo, ma sopratutto con i loro sorrisi presi in prestito chissà dove. C’è chi allestisce le k-bike e si assicura che Swami e gli altri ragazzi in carrozzina sia sufficientemente coperti, chi si avvolge in improbabili mantelle e avvolge gli zaini in sacchi delle immondizie recuperati li per li. Io mi limito a riempirmi la borraccia di tè caldo, ho talmente sonno che non riesco a formulare nessun pensiero.
 DAY FOUR
Il countdown sotto la pioggia alla partenza non resterà sicuramente memorabile. Non siamo più in tanti, un paio di squadre si sono ritirate, più di qualcuno ha qualche problema fisico, eppure anche oggi si parte, compatti, quasi come un unica squadra ci immergiamo nel buio e nella pioggia decisi a portare a termine anche questa ultima tappa.
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Ho sonno e sono stanco, penso che devo solo far passare le prime due ore poi con la luce e il sole forse tutto cambierà. Fortuna vuole che dopo poco smetta di piovere, così ci togliamo i nostri strati e ci ritroviamo a correre prima in un bosco e poi attraverso una forestale che scende in due piccolissimi villaggi austriaci ancora addormentati dove gli unici abitanti sembrano essere mucche e cavalli a zonzo tra le case.
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Sogno un caffè ma niente da fare, continuiamo a correre un’altro paio d’ore finché arriviamo ad una malga dove ci fermiamo a riposare. Niki beve una birra, sono solo le dieci ma in fondo siamo in giro già da cinque/sei ore. Da qui in poi ci hanno avvisato che non ci sarà più acqua per i prossimi venti km fino all’arrivo. Riempiamo bene tutte le borracce e ripartiamo, ma subito mi accorgo che quel dolore al piede sinistro che prima era solo un leggero fastidio sta aumentando a dismisura, cerco di ignorarlo ma niente da fare, più cammino più aumenta.
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Ad un certo punto non riesco più a correre, soprattutto in discesa inizio a zoppicare. Manca ancora un bel pezzo all’arrivo, in particolare dobbiamo affrontare gli ultimi 600 mt di dislivello del Monte Capin, che sono i più ripidi che si possano immaginare, o forse così ci appaiono ora. In salita riesco ad andare ma appena inizia la discesa niente da fare, chiedo a Niki di dirmi con esattezza quanto manca ma già sapendo che mi mentirà non presto attenzione alla risposta. L’oki inizia a fare effetto, provo a correrci sopra, funziona… da qui è tutta discesa, andiamo giù spediti nonostante abbia iniziato a piovere, 5 km che sembrano un eternità  ed ecco le prime case, imbocchiamo una strada asfaltata, non siamo molto lucidi, attraversiamo un cimitero convinti di essere fuori strada mentre in realtà siamo ormai praticamente arrivati, scendiamo sulla ciclabile ed ecco in fondo il gonfiabile, ancora cento metri e tagliamo il traguardo quasi increduli, quattro giorni fa eravamo  li che nemmeno sapevamo se partire o meno con 200 km di sentieri davanti a noi ed ora è tutto finito.  Arrivano i ragazzi spingendo le k-bike, non si può descrivere l’emozione generale, pianti, abbracci. Andiamo a farci la doccia, apro la borsa non ho più niente di asciutto o pulito, niente con cui asciugarmi, mi arrangio alla meno peggio, Niki mi da una maglietta.  Sara la volontaria che ci ha sfamati e rifocillati per quattro giorni ci abbraccia e ci ringrazia mettendoci in imbarazzo per la sua gentilezza, Marcello sembra sollevato dopo quattro giorni di preoccupazioni ora finalmente sorride soddisfatto. Come due ubriachi ci avviamo silenziosamente vero la macchina. Sapevamo fino dal principio che questa non sarebbe stata una corsa come tutte le altre, quello che non sapevamo era che avremmo incontrato delle persone eccezionali, e che la corsa non sarebbe durata solo 4 giorni ma  che sarebbe continuata nelle nostre teste per molti altri giorni ancora. 
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clorophillarium · 10 months
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clorophillarium · 10 months
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Grazie a Moira Spitoni per le foto bellissime !
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Niki (@clorophillarium), URMA 2023
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clorophillarium · 11 months
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Estate sui sentieri dietro casa. Non male.
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clorophillarium · 11 months
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Quest’anno ho vissuto un’ Urma diversa. Sapevo che difficilmente avrei corso tutti i loop; non tanto per la mancanza di allenamento perché intanto non sarebbe cambiato niente rispetto al passato, quanto perché alla sera avrei suonato con i miei amici e non volevo arrivare tardi. Così sono partito e ho corso il primo loop chiacchierando e godendomi il magnifico crinale balcone che guarda proprio in direzione del San Vicino. Mentalmente ero alleggerito dal fatto che non avrei ‘dovuto’ fare 50 km e questo mi ha fatto capire che non ero concentrato per correre, che non avevo voglia di stare in giro 7/8/9 ore non so, e che me la dovevo vivere così. Sono stato felice che Michele abbia corso la sua prima Urma dopo essere arrivato in bici da Trento nei giorni precedenti. Sono anche contento di aver rivisto alla partenza Marco e Francesco. Marco aveva comprato 3 camicie hawaiane uguali per tutti ah ah ah ! E alla fine abbiamo ‘vinto’ il premio fashion ! Nel pomeriggio il tempo è peggiorato e i ragazzi sono stati in giro sotto la pioggia. Io sono rimasto al campo base a salutare i ragazzi al traguardo. Poi è stata un’ attesa frustrante per capire se avremmo suonato o no. È la prima volta che non corro tutti i 50 km ed è stato strano. Ho passato più tempo al traguardo e mi sono goduto la bella atmosfera di Urma, anche se sento che qualcosa è cambiato. Sicuramente sono cambiato io, anche se resto un nostalgico. Non si torna indietro, non si può e non avrebbe senso. Credo che una certa anima di Urma ci sia sempre, perché appartiene all’ attitudine di alcune persone. Ma credo anche che ci siano atteggiamenti che non c’entrino nulla e che probabilmente ci sono sempre stati. Poi di certo non credo che io e nessun’ altro possa stabilire se esiste un giusto/sbagliato. L’unica riflessione che faccio è che se uno crede che tutto questo sia speciale ed elitario, allora credo che abbia equivocato le cose. Certo, è sempre stata una corsa su invito perché Paco non voleva teste di caxxo. Ma chi è presente, dovrebbe condividere un’ attitudine e non una speciale convocazione.
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clorophillarium · 11 months
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Il tempo non è mai soltanto tempo, non puoi andartene senza perdere un pezzo di giovinezza. Le nostre vite sono cambiate per sempre e non saremo mai più gli stessi. Più cambi e meno senti. Credi in me, credi che la vita possa cambiare, e che non sei bloccato qui invano. Credi che non siamo più gli stessi, e che questa notte saremo diversi. Credi nell’irriducibile urgenza dell’adesso.
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clorophillarium · 1 year
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Correre ancora
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Mi è venuta voglia di mettere giù qualche parola sulla corsa, solo perché ne ho voglia. Ho pescato una foto di 10/11 anni fa. Ero al Golfo dei Poeti, una gara di circa 40-45 chilometri, in Liguria. Potrei sbagliare, ma non ricordo nessuno che si presentò al via con le sole borracce a mano. Avevo un paio di short cortissimi, senza nemmeno un buco per un gel o che, e allora utilizzai 2 borracce; una per bere e un’ altra per permetterci dentro la spazzatura e i gel. Non so perché ma non avevo una cintura da mettere in vita. La mia tattica era semplice; le gare erano allenamento e vera gara al tempo stesso. Lasciando sempre tutto al caso e improvvisando, ho preso dei pugni in faccia colossali ma ho sempre avuto il piacere di riprovarci. Ma ora che ci ripenso, ora che continuo ad improvvisare, ma che non ho più i margini di efficacia di un tempo, continuo a divertirmi, a correre finché ne ho, senza tanti pensieri. In quegli anni corsi tutte le gare belle che per me avevano un senso. Penso al Gorrei, alla 3 Rifugi, ai tentavi falliti alla Royal, alla Trans d’Havet , alla Quadrifoglio, ma anche alle gare intorno al Bianco, a cui arrivai anno dopo anno, partendo dalla CCC e per poi concludere con l’ Utmb. Non c’erano troppe menate di stone, punti del caxxo e varie. Insomma facevi le corse giuste, e nel giro di un paio di anni arrivavi all’ Utmb. Soprattutto ho l’impressione, ma è giusto la mia impressione, che correvo per il gusto di correre una gara e non in funzione di un’ altra gara. Non sono qui a dire che sia giusto o sbagliato, ma trovo che alcuni perdano il gusto di vivere una gara, anche una gara che non sia qualificante per nulla, perché in cima alla lista c’è l’idea di andare ad un evento come Utmb o Lut. Da poco si è concluso lo Sciacche trail, una gara locale, in Liguria. Partecipai alla seconda edizione nel 2016. Ne ho un bel ricordo, corsi leggero e piuttosto veloce per i miei standard di velocità ah ah ah ! Con il livello che si è alzato tantissimo e la vecchiaia che avanza, credo che in futuro (in teoria) dovrei lavorare tantissimo per stare dentro le 6 ore di corsa. Ma allora andò bene.
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Questa foto è dell’ anno scorso. Sono all’ arrivo di Urma con Francesco, un amico marchigiano di Paco. Quel giorno con Francesco passammo un po’ di tempo insieme, poi ci perdemmo nella parte centrale degli infernali 50 e infine ci incontrammo di nuovo nel pomeriggio, sul crinale. C’era un’ aria bellissima e leggera, i colori erano splendidi, come se fossero tornati a brillare dopo le bastonate del sole. Io e Francesco parlavamo come vecchi amici. Ci siamo fatti delle foto e scambiati i numeri di cellulare. Ci sentiamo anche adesso, dopo quasi 1 anno. Spero di incontrarlo di nuovo ad Urma.
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Questa foto è di domenica scorsa; la mia prima mezza maratona a Rimini, a 45 anni. Devo dire che mi sono divertito e che Rimini fuori stagione è bellissima e nostalgica. È una mezza maratona su asfalto ovviamente, ma siccome sono abituato a ricredermi e a cambiare idea, ammetto che le corse veloci hanno il loro fascino. Non stavo benissimo ma ho imparato delle cose utili. Ad un certo punto ho pensato di riprendermi e di farla in 2 ore, che non è niente di speciale, ma poi è uscito fuori qualche acciacco, mi sono fermato in spiaggia dietro ad un bagno abbandonato, ho pisciato, ho parlato al telefono con mio padre e con Lele, e poi ho ripreso a correre gli ultimi 4 km. Nel frattempo mi avranno superato in 200/300 non saprei, c’era un casino assurdo e una quantità di spazzatura per terra senza senso. La cosa mi ha dato fastidio perché io cercavo i cestini e giravo con una bottiglietta d’acqua in mano, alternandola con la classica posizione in mezzo alle chiappe, comodamente stipata nei pantaloncini. Secondo me, che uno stia per vincere o che sia ultimo, non deve buttare niente per terra e non deve essere maleducato con nessuno. Stiamo facendo una cosa assolutamente ‘inutile’ cioè correre, ma essere educati e rispettosi è sempre importante ovunque. Questa settimana ho passato anche un paio di giorni con gli amici di Skialper a testare un po’ di scarpe da trail. Sono un outsider, nel senso che nella vita mi occupo di alberi e di prati da sfalciare, ma mi piace il modo serio e professionale con cui mi approccio a questi test. In quel momento sto facendo una cosa che va fatta bene, dove ci sono persone che raccolgono anche i miei feedback, per poi compilare una guida. C’erano anche dei pro, gente forte che è abituata a queste cose. Ho chiacchierato un po’ con tutti e sono stato bene. Anche 2 anni fa avevo fatto la stessa cosa con Paco, e oltre ad avere testato le scarpe e aver fatto foto, avevamo parlato di un sacco di altre cose, della vita insomma, che è fatta anche di corsa, ma anche di altro, come la musica, i sogni, le idee, le delusioni e gli amici. Già che ero in zona, nella west coast ligure, sono passato a trovare Ale nel suo negozio a Finale. Era da un po’ che non lo vedevo e il negozio è davvero figo. Ale è un po’ mago, mistico e saggio, chissà , e comunque tempo fa mi aveva fatto venire voglia di sandali da corsa. Così mi sono preso un paio di sandali per correre. È già che ho il vezzo dei cappellini, me ne sono preso uno della Ciele Athletics con dei colori da LSD ah ah ah ! Ale, che è più vecchio di me, e che ha una visione più ampia che giustamente dovrebbe avere chi è più vecchio, continua a correre e a sperimentare per il piacere di farlo. Delle gare ne ha le palle piene, forse anche della gente, ma ci sta. Io non lo so ancora. Ora ho i sandali e un altro ‘inutile’ e bellissimo cappellino. Correrò ancora un po’.
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clorophillarium · 1 year
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Giulio
Ho conosciuto Giulio Repetto, dovrei dire, a URMA. Ma come spesso accade, a URMA ci si vede e basta, e solo dopo, altrove, ci si presenta; di solito con un 'ehi, ma tu non eri a URMA?'. Quell'altrove fu Trans D'Havet 2019. Salimmo sul pullman che porta alla partenza e condividemmo i primi chilometri fino al Brazome. Da quella notte ho condiviso momenti molto intensi con Giulio, belli e brutti, e anche se non è una di quelle persone che vedi una volta a settimana, e nemmeno una volta al mese a dire il vero, penso di poter dire che sia un amico. Ma veniamo all'intervista: io non faccio grandi domande e solo raramente mi arrivano grandi risposte. Questa volta sì, forse perché non c'era bisogno di dire le parole giuste per farsi capire, bastava lanciare un sassolino. Mi sono divertito a scrivere le domande e mi sono divertito a leggere le risposte, e spero vi divertiate voi a leggerle. Buona lettura.
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Ciao Giulio, è un po’ che non ci vediamo. Come state tu, la Cate e Cjiorven?
Un po' stanchi per via del lavoro ma bene dai, Cjiorven comincia ad avere i suoi anni ma sta bene anche lei.
Sai che non so quando e come hai iniziato a correre?
Ho iniziato decisamente tardi rispetto alla media, avevo già 47 anni, nel 2016. È iniziato tutto per caso, a Padova fanno delle uscite serali di gruppo e una sera degli amici che già correvano mi hanno invitato ad andarci, erano 8 km di argine, ho detto “ma sì proviamo”. Sono arrivato distrutto e con i polmoni in fiamme ma cominciavo ad incuriosirmi. Qualche settimana dopo sempre gli stessi amici mi dicono che c’è una corsa sui colli, mi pare fossero 12 km, ci vado e lì ho la folgorazione, piove a dirotto e mi diverto come un matto mentre tutti imprecano nel fango.
Mi fa ridere che i miei abbiano molti amici in comune con te e la Cate, perché sono amicizie che non c’entrano nulla con la corsa. Ti saluta Martina (Peretti, Vicenza, giro Xgocce nel mareX), dice ‘chi sa se si ricorda di me’.
Sì fa un po’ ridere ma non è nemmeno troppo strano se consideri che i tuoi dovrebbero avere più o meno la mia età, forse fa più ridere il fatto che io abbia più cose in comune con te che con loro. Martina me la ricordo benissimo, spero se la passi bene, salutamela se la vedi.
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Giulio si lamenta dei suoi acciacchi, come al solito, dopo aver chiuso URMA 2022, con una Giulia Chiorri realmente infortunata.
Cosa vuol dire punk?
Se mi avessi chiesto qualcosa tipo ‘perché il mondo esiste?’ forse avrei avuto meno difficoltà a risponderti. Inizialmente il termine punk era riferito ad un determinato genere musicale o un modo di vestire, poi è diventato una sorta di aggettivo per definire un certo tipo di attitudine. Per me essere punk significa fondamentalmente essere degli idealisti, anteporre le proprie idee di fronte a tutto, fregarsene se non sono condivise dalla massa o se a volte possono addirittura andar contro al proprio interesse personale. Ti faccio qualche esempio. Fino al 2004 in Italia esisteva il servizio militare obbligatorio, in alternativa per chi era contrario c’era l’opzione del servizio civile che però quando venne istituito durava due anni, al posto di uno di leva. Due anni non sono pochi quando hai vent’anni; eppure i primi obiettori di coscienza che erano contrari al servizio militare si facevano 24 mesi al posto dei 12 dei loro coetanei che sceglievano di fare servizio di leva. Alla fine, un punk è uno che fa le sue cose perché è convinto che vadano fatte in un certo modo senza aspettarsi niente in cambio, è quello che se ne sta in disparte ma magari un giorno poi si fa arrestare solo per affermare le sue idee.
Ti dà fastidio che oggi tutti si definiscano punk, a partire dalle aziende?
In realtà no, mi è abbastanza indifferente. Il mercato fagocita tutto, gusti musicali, abitudini alimentari tutto diventa merce in questo sistema. Uno può definirsi come meglio crede, poi sono le sue azioni che lo determinano per quello che è.
Cos’è un ultrarunner?
Una persona che ha un buon rapporto con se stessa.
Qual è il tuo stile di corsa?
Già ti vedo che ridi mentre scrivi questa domanda! Non ho uno stile, corro e basta. Mi piace la corsa semplice senza attrezzatura, non mi piace pianificare i percorsi, non ho mai avuto un orologio né tantomeno un GPS, mi piace uscire soprattutto d'estate borraccia in mano, pantaloncini e correre finché non viene buio.
In una vecchia intervista su URMA dicevi che il mondo della corsa è corrotto, andrebbe raso al suolo e rifatto da capo. Cosa c’è di sbagliato nel nostro sport?
Non era esattamente così, Paco mi chiedeva cosa avrei detto io da giovane nei confronti della corsa e io immaginavo che avrei detto qualcosa del genere visto che odiavo le istituzioni e le avrei volute radere tutte al suolo. In realtà oggi non vedo niente di così sbagliato nel mondo della corsa, è tuttavia un mondo che conosco poco e in cui mi identifico ancora meno ma ho niente di personale contro di questo.
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Salendo verso la Litegosa durante il nostro primo tentativo di correre Translagorai in meno di 24 ore, cinque giorni prima di laurearmi, ottobre 2020.
Pensi che quello che è accaduto negli ultimi cinque o dieci anni in Italia, questa scena alternativa, sia riuscita a cambiare qualcosa?
A livello generale non penso abbia cambiato molto, siamo sempre un numero sparuto di corridori ‘alternativi’, però sicuramente ha cambiato la visione della corsa di quelle persone che sono state attratte in qualche modo dal mondo di URMA o dalle altre piccole realtà locali. Ci sono tanti che si iscrivono a tutte le corse e poi si lamentano del percorso balisato male, del pacco gara, della giuria. Però poi continuano ad andarci. Dopo URMA ci sono state delle persone che invece si sono poste un po’ di domande su quello che stavano facendo e sostenendo, che hanno voluto diventare più partecipi e meno spettatori-consumatori, è un piccolo passo però a URMA va decisamente il merito di aver innescato questa scintilla.
Una sera di fine ottobre di un paio di anni fa, davanti a un fuoco acceso ricordo che fissando le fiamme mi hai detto ‘è tutto finito’. Pensi che sia così? È finita un’era?
In realtà mi ci hai fatto pensare tu qualche giorno fa, prima non me ne ero reso conto completamente ma gli anni che vanno tra il 2017 e il 2021 sono stati effettivamente un ciclo che secondo me si è concluso a URMA l’anno scorso. Credo che con quel ‘è tutto finito’ volessi intendere che tutto quello che sarebbe venuto dopo non sarebbe stato né meglio né peggio, ma sicuramente diverso, forse troppo diverso per chi aveva vissuto la prima fase. Sono cose difficili da spiegare anche perché mentre le si vive si è talmente coinvolti da non rendersi esattamente conto dell’importanza di quanto sta accadendo. Forse essendo un po’ più vecchio degli altri ho avuto la fortuna di essere un po’ più conscio del valore di tutto ciò, dico fortuna perché mi ha portato ad un coinvolgimento totale, un po’ simile a come quando da ragazzino mi imbattei nel punk. Là fuori c’era un branco di visionari che volevano solo correre liberi nei boschi e io volevo farne parte, cosa poteva esserci di più esaltante?
Ti faccio una domanda intima, forse non è il luogo giusto, se vuoi la tagliamo. Ma mi interessa. Come hai vissuto URMA l’anno scorso, e come pensavi che di viverla prima di andarci?
Partiamo dalla fine, pensavo che l’avrei vissuta molto male, anzi malissimo, e vista la mia tendenza alla malinconia non è stato nemmeno semplice decidere di parteciparvi. In realtà poi ne sono stato felice e credo che tutto sia andato come doveva andare, anzi, anche meglio. C’era tanta gente che non c’entrava niente? Può essere, ma io ho ritrovato diverse persone con cui mi sono sento affine e ho passato due giorni con loro tra mille chiacchiere, cucinando, correndo, ridendo, non potevo chiedere di più.
E come pensi che la vivrai quest’anno?
Emotivamente non ne ho idea, per il resto non è che sia propriamente famoso per l’organizzazione. Diciamo che se mi dai un weekend libero e il serbatoio del van pieno io sono già mezzo soddisfatto in partenza.
Cosa ti manca?
Preferisco non rispondere.
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Passo Zebrù, luglio 2020.
Abbiamo provato Translagorai insieme la prima volta. Giornata assurda. Cosa ti ricordi?
Per me è stata una bellissima cosa, me la sono goduta dall’inizio alla fine, compreso quel sottile brivido di quando sai che stai facendo una mezza cazzata ma ne sei cosciente e la cosa ti diverte. Il fatto che avessi deciso di fare questa corsa senza sapere che dietro ci stava Paco è stata forse la cosa più assurda. Per il resto ho un ricordo nitido e bellissimo di una giornata sospesa senza tempo, ti sarò sempre grato per averla condivisa, da solo sarei ancora lì a vagare in qualche canalone.
Grazie Giulio
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"Forse la coppia più assurda che abbiamo visto finora. In bocca al lupo Giulio Repetto e Filippo Caon!"
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