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#Previsioni fioritura giappone
rebelontheroad · 2 months
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🌸 La Bellezza Effimera della Sakura 🌸
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Nel paese del Sol Levante, c'è una tradizione millenaria che incanta e affascina ogni primavera: la fioritura dei ciliegi, conosciuta come sakura. Questo spettacolo naturale è uno dei momenti più attesi dell'anno in Giappone, quando le strade e i parchi si tingono di rosa e bianco, creando un'atmosfera magica e surreale.
Le previsioni della fioritura vengono monitorate con grande attenzione, e non appena i primi boccioli iniziano a sbocciare, le persone si riversano nei parchi e nei giardini per ammirare lo spettacolo della natura. È un momento di gioia e celebrazione, una meraviglia visiva, ma anche un simbolo profondo nella cultura giapponese. Rappresenta la bellezza effimera della vita, poiché i fiori sbocciano solo per un breve periodo prima di cadere, simboleggiando la transitorietà dell'esistenza umana. Questo concetto, noto come "mono no aware", è una filosofia centrale nella cultura giapponese, che invita le persone a riflettere sulla bellezza e sulla fragilità della vita.
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Una delle tradizioni più popolari durante la fioritura della sakura è l'hanami, che letteralmente significa "guardare i fiori". Le persone si riuniscono nei parchi, nei templi e lungo i fiumi per godersi la vista dei ciliegi in fiore. È un momento di gioia e di contemplazione, in cui ci si lascia trasportare dalla bellezza della natura e si apprezza lo splendore dei fiori di ciliegio.
La fioritura della sakura è un evento unico e indimenticabile che incanta i sensi e nutre l'anima. Ogni primavera, il Giappone si trasforma in un paese da sogno, dove la bellezza rapisce il cuore di chiunque vi si avvicini all'incantevole mondo della sakura.
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sempredirebanzai · 3 years
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Fioritura dei ciliegi in Giappone: rilasciate già le previsioni primavera 2021
Fioritura dei ciliegi in Giappone: rilasciate già le previsioni primavera 2021
Fioritura dei ciliegi in Giappone: rilasciate già le previsioni primavera 2021 Quello in corso è stato un inverno molto freddo in Giappone, con abbondanti nevicate un po’ ovunque. Sembra però che non si trascinerà ancora per molto. La Japan Meteorological Corporation ha già rilasciato le previsioni della fioritura dei ciliegi in Giappone per la prossima primavera il 2021. Da quello che è stato…
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mariaceciliacamozzi · 4 years
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A proposito di ciliegi giapponesi
Come in Italia (e altre parti del mondo) ogni emittente televisiva fornisce le previsioni del meteo, in Giappone, la Japan Weather Association - già a partire da gennaio - dirama le previsioni per la fioritura dei ciliegi, chiamata "sakura zensen" (il fronte dei fiori di ciliegio) nelle principali città del Giappone, indicando il giorno in cui pressappoco inizieranno a sbocciare, sino ai giorni in cui si verifica la piena fioritura.
Ho letto che sono Prunus serrulata, alberi ornamentali di varie qualità con fiori a 5 o più petali, ma non producono frutti (come le piante del Prunus Avium e del Prunus Cerasus). I primi fiori dei sakura sbocciano a gennaio sull'isola di Okinawa, nell'estremo sud dell'arcipelago, raggiungendo Sapporo e il nord di Hokkaido a maggio, come un'onda profumata e colorata di sfumature di un rosa più o meno intenso. Intorno al 21 marzo, la fioritura raggiunge il pieno del suo splendore e vengono organizzati viaggi turistici per ammirarne lo spettacolo incantevole.
Però, unendo l'utile al "dilettevole", io avrei piantato soprattutto ciliegi da frutta... Sono troppo buone le ciliegie! 
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aliciaandcompany · 4 years
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A proposito di sakura
Come in Italia (e altre parti del mondo) ogni emittente televisiva fornisce le previsioni del meteo, in Giappone, la Japan Weather Association - già a partire da gennaio - dirama le previsioni per la fioritura dei ciliegi, chiamata “sakura zensen” (il fronte dei fiori di ciliegio) nelle principali città del Giappone, indicando il giorno in cui pressappoco inizieranno a sbocciare, sino ai giorni in cui si verifica la piena fioritura.
Ho letto che sono Prunus serrulata, alberi ornamentali di varie qualità con fiori a 5 o più petali, e non producono frutti (come le piante del Prunus Avium e del Prunus Cerasus). I primi fiori dei sakura sbocciano a gennaio sull'isola di Okinawa, nell'estremo sud dell'arcipelago, raggiungendo Sapporo e il nord di Hokkaido a maggio, come un'onda profumata e colorata di sfumature di un rosa più o meno intenso. Intorno al 21 marzo, la fioritura raggiunge il pieno del suo splendore e vengono organizzati viaggi turistici per ammirarne lo spettacolo incantevole.
Però, unendo l'utile al “dilettevole”, io avrei piantato soprattutto ciliegi da frutta… Sono troppo buone le ciliegie!
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amainihonblog-blog · 5 years
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Il primo post di questa mio blog voglio dedicarlo a quello che forse è l'evento giapponese più famoso al mondo: l'hanami. Letteralmente significa "guardare i fiori" e si riferisce alla tradizione nipponica di ammirare la bellezza degli alberi ricoperti di fiori festeggiando sotto di essi. Il fiore simbolo dell'hanami è il ciliegio, in giapponese "sakura", che sancisce l'inizio della stagione primaverile, i boccioli si aprono a partire dalle ultime settimane di marzo fino ad aprile, anche se ogni anno le date variano a seconda del clima e della regione. A partire già da febbraio inizia un vero e proprio conto alla rovescia ed in questo periodo le previsioni sulla fioritura spopolano per dare modo, non solo alla popolazione di organizzare i famosi pic-nic sotto i ciliegi, ma a chiunque decida di mettersi in viaggio per partecipare a questo evento di tenersi aggiornato. Gli ultimi aggiornamenti riportano che al momento i boccioli sono ancora tutti chiusi, ma che i primi ad aprirsi saranno quelli della zona di Fukuoka, a sud-ovest del Giappone, verso la metà della prossima settimana e così via, salendo sempre più a nord, dove gli ultimi saranno quelli dell'isola dell' Hokkaido. Il link che segue rimanda ad uno dei tanti siti che segue l'andamento della fioritura zona per zona ed è costantemente aggiornato.
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ffffgggghhh · 6 years
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  Mentre rimando inutilmente (ma inevitabilmente) di dare la stura alla mia Wanderlust, mi accontento di viaggiare col cuore e di trarre ispirazioni dal mio “spirito vagabondo” che spesso consiglia – tra le cose da fare prima o poi nella vita – un giretto in Giappone in questo periodo dell’anno (anzi, per essere precisi: fine marzo-inizio di aprile)…per partecipare a quello che lì chiamano “Hanami“…
Wikipedia spiega che “Hanami (花見? “guardare i fiori”) è un termine giapponese che si riferisce alla tradizionale usanza di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi, e ormai intende principalmente quella dei ciliegi giapponesi, che in lingua giapponese vengono chiamati sakura, e quindi dell’ammirare il fiore di ciliegio. Questa tradizione, antica di più di un millennio, è ancora molto sentita in Giappone, tanto da provocare anche vere e proprie migrazioni di milioni di giapponesi dalle loro città verso le sessanta località più famose del Paese; ci sono inoltre le previsioni per la fioritura, come quelle meteorologiche, per sapere esattamente quando comincia la fioritura e fino a quanto dura”.
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Prima o poi lo farò.
Nel mentre, un po’ per ripiego, andrò nel quartiere romano dell’EUR dove dal 1959 c’è la la Passeggiata del Giappone, da quando alla città di Roma furono donati dal governo Giapponese numerosi sakura, ovvero i ciliegi giapponesi da fiore, molti dei quali piantati proprio nel parco dell’EUR. E potrò anche ingozzarmi di gallerie fotografiche, perché già solo quelle rendono l’idea dello spettacolo incommensurabile che deve essere passeggiare in mezzo ai ciliegi.
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Simbolo della fragilità, della rinascita e della bellezza dell’esistenza
il fiore di ciliegio ha ispirato il mio specillo….
ed è venuta fuori la serie..
“ancora senza nome”…
alcune fasi della lavorazione a cera persa
E poi se proprio non potrò partire, potrò comunque fare affidamento sul più nostrano, ma purtroppo meno celebrato fiore di mandorlo, che anzi, mi ricorda teneramente casa mia in Puglia ed ha un profumo a dir poco inebriante. Peraltro, non sarà tanto famoso nel mondo, ma l’albero di mandorlo ha il privilegio di esser stato celebrato da Omero, che ne ha creato un mito, con la triste storia d’amore tra Acamante e Fillide.
Il primo andò a combattere la guerra di Troia al fianco degli Achei. Durante i dieci anni di guerra, Fillide non smise di aspettare il proprio amato ma, una volta conquistata la città di Troia e terminata la guerra, i greci cominciarono a tornare a casa. Tra i superstiti che fecero ritorno non ci fu Acamante e Fillide cominciò a pensare che fosse morto in guerra. Dunque, non vedendolo più tornare, Fillide morì disperata perché rimasta senza il suo amato. La dea Atena, toccata dalla morte di Fillide, decise di farla diventare un albero di mandorlo. Quando Acamante venne a sapere della morte della sua amata e del fatto che era un mandorlo, andò verso l’albero e l’abbracciò. Così, il mandorlo fiorì, come se volesse stringerlo a sé (fonte Wikipedia).
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    Come chiameremo questa nuova serie?
Finora ho avuto alcune proposte:
Chute de fleur
(che è qualcosa tipo cascata di fiori)
Ludi Florales Micro
Fioralia
(altro nome latino dei Ludi Florales)
fiori di ciliegio
sakura 
hanami
Chi mi aiuta a dare un nome?
WANDERLUST Mentre rimando inutilmente (ma inevitabilmente) di dare la stura alla mia Wanderlust, mi accontento di…
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traceofaftersound · 7 years
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Cose che a momenti mi dimenticavo
・Di avere un blog. No dai, a dire il vero è sempre rimasto in un angolino della mia testa durante tutti questi mesi in cui non l’ho aggiornato (è davvero tantissimo che non scrivo, so che a voi per niente ma a me è mancato molto).
・Quanto a portata di mano possano essere le oasi di pace persino nel caos metropolitano di una città come Tokyo. Una di queste l’ho sempre avuta vicino casa e ci sono passato davanti (o meglio, sotto) per mesi ogni mattina in metro, ma evidentemente dovevo aspettare un invito di V. per scoprirla un assolato pomeriggio di luglio: si tratta del parco di Shinjuku Gyoen, uno dei più grandi di Tokyo, dove frotte di coppiette impunite si sbaciucchiano all’aperto manco avessero dimenticato di essere giapponesi e dove un’altrettanto numerosa orda di svergognati accetta di pagare i 200 yen dell’entrata perché gira voce che i giardini siano una buona location per catturare Pikachu con Pokémon Go. Nel vasto parco, notevole il padiglione taiwanese o Kyūgoryōtei (旧御涼亭, Vecchio padiglione dell’onorevole frescura lol), dono dei volontari giapponesi residenti a Taiwan nel 1927 per commemorare il matrimonio dell’Imperatore Shōwa. Progettato dall’architetto Matsunosuke Moriyama, venne miracolosamente risparmiato dai raid aerei che colpirono Tokyo nel 1935 e danneggiarono gravemente gran parte del parco.
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・Quanto fosse difficile organizzare le vacanze all’ultimo minuto in Giappone. Il 17 luglio era l’Umi-no-Hi (海の日, giorno del mare), e con Eva progettavamo di approfittare dell’insperato giorno di vacanza dal lavoro per evadere dalla canicola tokyoita e recarci a Niijima, isola non troppo sperduta al largo della costa di Tokyo dall’atmosfera quasi caraibica che volevo visitare da un anno, ma che a quanto pare o è gettonatissima o ha davvero pochissime infrastrutture perché non c’è stato verso di trovare posto. Complice anche il fatto che le previsioni davano tre giorni di pioggia per il nostro agognato week-end lungo, abbiamo infine optato per una gita fuori porta meno impegnativa (okay tutto ma farsi lo sbatti in traghetto per andare a prendere acqua tre giorni di fila in mezzo all’oceano ci sembrava un po’ eccessivo) e abbiamo virato verso i Cinque Laghi del Monte Fuji, in particolare il Kawaguchi-ko. Dopo un viaggio di quasi tre ore su treni via via più improbabili che fermano in posti mai sentiti prima, arriviamo alla stazione di Kawaguchi-ko, che emana un’inconfondibile atmosfera da villeggiatura: c’è proprio tutto quello che ci si aspetta da una località di turismo lacuale (miii che ignorante, si scrive la quale), persino i gruppi di turisti svizzero/tedeschi vestiti da trekking con gli occhiali da sole e la faccia incremata. Inutile a dirsi, la zona è rinomata come punto panoramico da cui ammirare il Monte Fuji, che compare spammato tipo OVUNQUE vi giriate.
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Dopo aver porconato per trovare l’appartamentino di Air B&B che siamo riusciti a prenotare proprio all’ultimo e che è tipo sperso in mezzo ai campi, iniziamo a perlustrare la zona, che vedremo meglio il giorno successivo data l’ora ormai tarda.
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I musicanti di Brema? Ma anche qui? Ma che è, tipo un classicone dei paesini abbandonati dal Signore?
Kawaguchi-ko dà l’impressione di una tranquilla e amena località lacustre dove il tempo scorre lento come le acque del suo lago e lambisce indolente le case, i supermercati, i ristoranti, gli alberghi e le stazioni di servizio dei benzinai, erodendone le superifici e depositando una patina opaca che rende tutto uniformemente dimesso. Per adattarsi a questa cornice è sufficiente dimenticare la fretta e i ritmi della capitale e magari mettersi in spalla una chitarra, come in effetti Eva si è premurata di fare, ponendosi in quella serena disposizione d’animo che ti impedisce di rimanere turbato persino quando camminando verso il lago ti accorgi che per il paesino si aggira pacifico un gruppo di scimmie.
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Ci son le scimmie, che belle scimmie [cit.]
La prima impressione che abbiamo del lago di Kawaguchi sa tantissimo di diludendo perché col tempaccio di cui in effetti le previsioni ci avevano avvisato il panorama da cartolina che la Lonely Planet ci aveva promesso (ma perché mi fido ancora?) non se vede proprio e soprattutto con tutta quella foschia non se vede nemmeno il Monte Fuji, che boh fosse la prima volta ma a sto punto si vede che non è proprio destino.
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Ma qual è? Ma ‘ndo sta? MA OH!
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La statua simbolo del lago Kawaguchi, 源泉 (‘Gensen’, ‘Sorgente’), realizzata dal fu scultore Seibo Kitamura alla tenera età di 101 anni e raffigurante due figure femminili, il polo positivo e il polo negativo, che si incontrano e armonizzano intorno al vaso che rappresenta la fonte del lago stesso.
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Too deep for me for sure!
Fortunatamente, l’indomani veniamo ripagati da un inaspettato bel tempo (e quando dico inaspettato intendo dire che l’applicazione del meteo dice che in questo preciso momento sta piovendo, alzi lo sguardo e ti devi scansare perché c’è Icaro con la cera delle ali sciolte che te sta a cadè addosso), che per carità meno male ma non avevo messo in conto che avrei finito la giornata a spalmarmi gel all’aloe addosso per guarire dalle ustioni.
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I panorami che il sereno ci regala mentre circumnavighiamo il lago sono spettacolari e finalmente individuiamo il Monte Fuji, che si erge maestoso stagliandosi contro il cielo azzurro, accarezzato dal fluire di languide nuvole che quasi quasi lo migliorano.
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Tre(ntasei) vedute del Monte Fuji.
Mentre in testa mi risuona “Lakehouse” degli Of Monsters and Men, ci dirigiamo un po’ alla cazzo verso la sponda settentrionale del lago, con l’intenzione di visitare l’Oishi Park, uno dei punti panoramici raccomandati, fermandoci di tanto in tanto ad ammirare il Monte Fuji da varie angolazioni.
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So close!
Caratteristiche dell’Oishi Park sono le distese di lavanda, un fiore con cui ho un legame particolare per il ruolo che ha in una delle mie opere di riferimento, “La ragazza che saltava nel tempo” di Tsutsui Yasutaka, in cui appunto è l’ingrediente fondamentale per produrre un intruglio che permette di acquisire la capacità di viaggiare nel tempo. Durante la stagione della fioritura è anche possibile raccoglierne qualche mazzo da portare a casa, che io però credevo fosse QUALCHE RAMETTO e non il massiccio lavoro di disboscamento che vediamo in atto davanti ai nostri occhi. Dopo aver fatto un giretto per il negozio di souvenir dove TUTTO ha la forma del monte Fuji, ma proprio qualsiasi cosa, dalle borse ai post-it alle bottiglie d’acqua ai biscotti (i biscotti di ‘Fujiisan’ ふじいさん, gioco di parole tra ‘Fuji-san’ = ‘Monte Fuji’ e ‘ji-san’ = ‘nonnetto’, che se la tira perché ha raggiunto la veneranda altezza di 3776 metri mi sono rimasti nel cuore ammetto) e un’inutile coda per salire sul bus che ci avrebbe riportati al punto di partenza (l’autista, il cui bus era già pieno al capolinea dove siamo saliti, ha fatto tutte le fermate scusandosi di non poter caricare nessuno. ti prego tira dritto stellina che non ce la faccio a vederti contrirti ogni venti metri), ci dirigiamo verso un altro dei cinque laghi, il Saiko. Ora, già eravamo incazzati che non ci fossero collegamenti dall’Oishi Park che pure è il punto più vicino al Saiko ma no, dobbiamo fare il giro manco avessero chiuso il cancello dall’interno [cit. nec.]; avessimo almeno avuto le biciclette ma non le abbiamo noleggiate perché DOVEVA PIOVERE TUTTO IL GIORNO, ma pazienza, abbiamo fatto il pass per gli autobus, usiamolo; però le cartine con le fermate che non si capisce dove siano e gli orari puramente indicativi, facciamo che no? Non sono più abituato a quest’approssimazione all’italiana D: Quando finalmente riusciamo a raccapezzarci un minimo, un bus pieno di cinesi ci porta intorno al Saiko fino a un posto che riguardando a distanza di mesi la mappa credo si chiamasse Nenba, ma non ne ho la certezza perché appunto dei percorsi dei dannati bus in due non siamo riusciti a venirne a capo, e okay che io abbasso molto la media ma Eva è in gamba, e non ne sono venuti a capo nemmeno i cinesi del bus che secondo me erano lì perché si erano persi (loro e una compagnia molto internazionale in stile ‘L’appartamento spagnolo’, la cui componente italiana ci ha immediatamente spinti a comunicare in giapponese per evitare ogni possibile contatto, ma è un tratto degli italiani all’estero evitarsi come la peste o siamo solo noi che siamo stronzi? tra l’altro mega antisgamo, non si accorgeranno MAI che non stiamo parlando la nostra lingua madre lol). In questo misterioso posto dimenticato da Dio ci rifocilliamo e compatendo i bambini che fanno la campestre intorno al vicino campo da gioco aspettiamo di riprendere un altro autobus che ci porterà a una delle destinazioni raccomandate della zona: la Grotta del Ghiaccio Narusawa, una grotta di origine vulcanica creata dalla lava del Fuji durante un’eruzione in epoca preistorica.
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Come suggerisce il nome, la Grotta del Ghiaccio Narusawa è un vero e proprio frigorifero naturale, tanto che fino all’epoca Shōwa (1926-1945) veniva usata per conservare le uova dei bachi da seta in modo tale da evitare che si schiudessero; così facendo, era possibile produrre seta tutto l’anno tirando fuori all’occorrenza le uova dalla grotta la cui temperatura aveva bloccato lo sviluppo dei bachi.
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“Rifugiatosi nella malefica grotta del ghiaccio Narusawa, fa prigionieri i bachi e li tiene reclusi in un sarcofago magico.”
Quando ne usciamo, piacevolmente rinfrescati, vorremmo tanto andare a visitare anche la vicina ma non troppo Grotta del Vento Fūgaku, ma manca poco alla chiusura e il nostro tentativo di lotta contro il tempo viene comunque completamente vanificato dall’ennesima insubordinazione dell’autobus che dovrebbe portarci davanti all’ingresso della grotta e invece prende e va da tutt’altra parte (in altre circostanze non avrei problemi ad ammettere di aver preso l’autobus che andava nella direzione opposta, ma mi dispiace, questa volta no, noi eravamo alla fermata giusta, è l’autobus che si è sbagliato). Con mia enorme delusione, per motivi di tempo non solo non riusciamo a vedere la Grotta del Vento ma anche un’altra grotta che aveva colpito il mio interesse quando, passandoci davanti in autobus, ne avevo visto il nome indicato sui cartelli: THE BAT CAVE!
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NANANANANANANANA七七七七! Non mi perdonerò mai questa mancanza.
・Cosa si provasse a viaggiare in famiglia. Ci avevo spesso fantasticato, ma non credevo che sarebbe mai arrivato il giorno in cui madre e sorella sarebbero venute a trovarmi a Tokyo, e invece il 29 luglio finito di lavorare me le sono ritrovate davanti all’uscita nord della stazione di Nakano. È stata una sensazione molto strana, devo ammettere, come scoprire che due persone che hai sempre frequentato separatamente in realtà si conoscono. Per lungo tempo ho pensato che, anche semplicemente a causa della notevole distanza geografica, avrebbe sempre regnato l’incomunicabilità tra il mio mondo italiano e quello giapponese. Un po’ come i due livelli di realtà di Aomame e Tengo in 1Q84: due mondi che coesistono e sanno l’uno dell’altro ma non riescono a incontrarsi. Ero sempre stato io a fare la spola dall’uno all’altro, con quello spostamento che mi è già successo di definire non solo geografico ma anche semantico, in cui io in quanto significante rimanevo immutato, ma il mio significato cambiava contestualmente. Il fatto che invece per la prima volta a mettere in comunicazione queste due realtà siano state loro mi ha piacevolissimamente destabilizzato e vedere i loro profili stagliarsi contro panorami giapponesi a me familiari ma a loro inediti è stato molto emozionante. Ricordo la sensazione di attesa di quel venerdì in ufficio lanciando occhiate al telefono perché sapevo che sarebbero atterrate, i magheggi per ingegnarci a comunicare in qualche modo pur avendo l’handicap del wi-fi (grazie signora Nakagawa per averle intercettate prestando loro un telefono e grazie Starbucks di Nakano per la connessione gratuita), l’ansia da oddio non posso andarle a prendere in aeroporto chissà se si raccapezzano con i trasporti pubblici che tra parentesi non so se capirei neppure io, NON CI SONO MAI STATO ALL’AEROPORTO DI HANEDA OKAY T___T, e poi l’intensa emozione di vederle fuori dai tornelli in mezzo alla folla di giappini, robe che manco la Vecchia Romagna.
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E poi. Il terrore nel non riuscire ad aprire il cofanetto che conteneva le chiavi dell’appartamento prenotato per loro con Airbnb perché la scaltrissima cinese (OH MA TRA L’ALTRO, ma il mercato immobiliare di Tokyo completamente in mano ai cinesi? Ne vogliamo parlare? D:) non mi ha comunicato il codice. Ma niente paura perché TANTO LA PORTA FINESTRA ERA APERTA, quindi a entrare siam riusciti lo stesso, anche se abbiamo subito sperato di aver sbagliato casa (ma l’appartamento sul sito era bello, lo giuro D: dite che ho fatto male a fidarmi di quella ripresa in fisheye?).
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Le prime due settimane che madre e sorella erano qui purtroppo ho potuto accompagnarle in giro solo i weekend perché stavo ancora lavorando, ma ho cercato di approfittarne il più possibile per mostrare loro i posti che più mi sono rimasti nel cuore di Tokyo. E cioè non Tokyo, ma Kamakura e Nikkō lol
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Family portrait feat. immancabile maglietta d’ordinanza col Buddha per andare a Kamakura, since 2013. Tra l’altro notevole la scala cromostilistica giallo > giallo+jeans > jeans, che fashion killerz lol
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Family portrait 2 feat. l’ancora più immancabile Daibutsuyaki, anche quello fiera tradizione di ogni gita a Kamakura che si rispetti.
In più, con l’occasione stavolta sono riuscito anche a vedere due posti che mi mancavano di Kamakura, lo Hase-dera e la punta estrema di Enoshima, Chigogafuchi.
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Tempio di scuola Jōdō su più piani risalente al 736, custodisce una statua del bodhisattva della misericordia Kannon in legno intagliato alta 9 metri, ma tanto noi lo ricordiamo per il terrazzamento che dava sulla baia di Kamakura e soprattutto sugli strategici distributori automatici di bevande fresche salvavita lol
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Chigogafuchi, che con un’ignobile ma efficace estensione culturale potremmo rendere con “l’abisso del chierichetto”, è la punta occidentale di Enoshima, e deve il suo nome alla tragica vicenda che vide Shiragiku, giovine fanciullo in servizio presso il tempio Sojo-in, buttarsi da questa scogliera perché divenuto oggetto dell’amore di Jikyū, monaco del tempio Kencho-ji, che alla notizia del suicidio di Shiragiku non esitò a seguirlo tra i flutti. Vedi però che codice deontologico che c’hanno in Giappone pure i preti pedofili.
Per arrivare a Chigogafuchi si percorre un irto sentiero che si snoda attraverso café, negozietti e i vari padiglioni del santuario di Enoshima, di cui per esempio non avevo ancora mai visto il Wadatsunomiya (龍宮, mi rifiuto di leggere questa cosa in altri modi che Ryūgū), dedicato a Wadatsumi (il cui nome compare già nel Kojiki e curiosamente si può trascrivere sia foneticamente con 綿津見 che semanticamente con 海神, ‘divinità del mare’, the more you know), divinità marina dalle sembianze di drago figlia delle divinità creatrici Izanami e Izanagi, o l’Okutsunomiya con il suo dipinto di una tartaruga che come la Gioconda dovrebbe avere uno sguardo in grado di fissarti da qualunque direzione. Cosa che tra l’altro ci siamo cagati solo noi perché tutti gli altri intorno stavano percorrendo il sentiero con Pokémon Go alla ricerca di Pokémon rari, facendoci sentire sfigati e fuori moda.
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Sè vabbè tutte ste letture pretenziose e poi è una cinesata, pfft. 
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Happō Nirami no Kame (八方睨みの亀, “La tartaruga che fissa tutte le direzioni”), opera di Sakai Hōitsu, 1803. Tartaruga jinja.
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Family portrait 3 @ Nikkō: sono sorda, dico cacate, siccomechesonociecato 🙉🙊🙈 Un sentito ringraziamento alla signora francese che per fare la foto a momenti sfracellava l’iPad a terra, va bene non ridarci la Gioconda ma spaccarci pure gli iPad adesso... e sì che ero quasi vestito da bandiera francese, non capisco questo inasprimento dei rapporti internazionali lol
A parte le zone limitrofe di Tokyo, a onor del vero anche la città ci ha riservato delle piacevoli sorprese. In particolare, un tempio fattomi scoprire da un’amica che è subito diventato uno dei miei preferiti di Tokyo: il Fukagawa Fudōdō.
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Tempio buddhista della setta esoterica Shingon risalente al 1703, credo si classifichi a buon diritto tra i posti più suggestivi di Tokyo. Preceduto da un vicoletto su cui si affacciano diversi negozietti molto caratteristici e un café che fa dei panini caldi che levati, è dedicato al culto di Fudōmyōō, l’Irremovibile, una delle manifestazioni più intimidatorie del Buddha, ed è qui che tutt’oggi si tiene a orari regolari una delle più suggestive cerimonie a cui mi sia capitato di partecipare finora: il goma 護摩. La prima volta che l’ho sentito mi sono domandato cosa c’entrasse il sesamo (che si dice goma uguale), ma scritto con due caratteri diversi indica una cerimonia di purificazione in cui vengono bruciate delle tavolette di legno su cui sono scritti i desideri dei fedeli, così da estirpare con il fuoco la radice della sofferenza degli stessi. È una cerimonia che oserei definire quasi violenta, perché mentre le fiamme ardono i monaci intonano a voce alta una giaculatoria in quella che dovrebbe essere una versione nipponizzata del sanscrito percuotendo con veemenza dei tamburi taiko che scandiscono il tempo. La cerimonia culmina con la benedizione delle borse dei fedeli, che si mettono in fila e consegnano la propria a un monaco il quale la solleva al di sopra del fumo che esala dalla pira di desideri. Per quanto duri all’incirca una mezz’oretta, si perde totalmente la nozione del tempo e non si può che rimanere turbati dall’incalzare del ritmo dei taiko e dal senso di ieraticità e timore reverenziale che la cerimonia trasmette. Dopo aver assistito a un tale dispiego della potenza del buddhismo, tuttavia, si esce stranamente rinfrancati, come se l’ultimo colpo di tamburo scacciasse via il demone della paura e lasciasse posto, insieme al silenzio, a una ferma imperturbabilità. Ci sono entrato rimuginando sul prezzo della casa in cui stavo valutando di trasferirmi (SPOILER ALERT) che mi sembrava troppo alto, e ne sono uscito pensando “mbè vabbè ma perché, tutto sommato è ragionevole”. Da allora ci sono tornato più di una volta, un po’ per i panini del café lì vicino e un po’ perché devo semplicemente andare poco più oltre il percorso coperto dal mio abbonamento per raggiungere la fermata da cui si accede al tempio, Monzen Nakachō, che nella mia testa rimarrà sempre Monzen Nakatachō perché continuo a confornderla con la zona dov’era il vecchio ufficio della Camera di Commercio Svizzera (SPOILER ALERT), Nagatachō.
Finiti i nostri giretti nel Kantō, sono stato molto contento di essere riuscito a portare madre e sorella anche a Kyōto dall’8 al 14 di agosto (con una deviazione anche a Nara e Uji). Ci tenevo molto un po’ perché credo che sia una tappa imprescindibile per chiunque visiti il Giappone, ma soprattutto perché avendoci vissuto per sei mesi volevo che anche loro potessero vedere i posti che erano stati teatro del periodo forse più bello della mia vita. Mi rendo conto che suoni un po’ eccessivo, anche perché si spera sempre che il periodo più bello della propria vita debba sempre ancora arrivare lol, però per quanto io non mi lamenti per nulla adesso di vivere a Tōkyō e mi ci trovi benone, il periodo passato a Kyōto rimarrà forse per sempre a buon diritto uno dei più felici che io ricordi, probabilmente anche perché ha rappresentato il culmine della mia vita universitaria, che credo per molti resti una nostalgica parentesi dorata che brilla nella memoria indipendentemente da come la vita si sviluppi oltre. Tornare a Kyōto mi ha fatto capire cosa questa città rappresenti per me: un rifugio, un porto sicuro dove attraccare, un luogo dove ritrovare il proprio mabui.
[Il mabui (魂 ‘anima’, ‘spirito’) è un concetto tipico del folklore di Okinawa, di cui sono venuto a conoscenza tramite “Sweet Hereafter”, uno degli ultimi romanzi di Banana Yoshimoto, che forse un giorno dovrei anche leggere lol. Se ho ben capito è la parte più intima, l’essenza di una persona ed è possibile perderla in seguito a diverse circostanze: se non si porta rispetto agli antenati, se si riporta una brutta ferita, se si rimane vittime di un grave shock, eccetera. Chi perde il proprio mabui inizia ad avvertire dolori fisici, ad avere problemi di salute e a non sentirsi bene nemmeno psichicamente. La protagonista del romanzo lo perde in seguito a un incidente d’auto nel quale rimane coinvolta col fidanzato a Kurama, una zona di Kyōto (un posto a caso lol). Lui muore, lei sopravvive anche se ferita gravemente e in seguito all’incidente acquista la capacità di vedere gli spiriti. Il romanzo racconta il lungo processo di guarigione a cui la protagonista va incontro per riacquistare il proprio mabui, appunto. Per me Kyōto è questo: una città che ha senz’altro trattenuto una parte di me, qualcosa di essenziale e quasi originale forse, che ritrovo quando ci metto piede, a cui mi ricongiungo riuscendo a ritrovare una serenità che pochi altri luoghi mi regalano.]
Devo premettere delle scuse: ero così in ansia di mostrare a madre e sorella tutto quello che Kyōto mi aveva donato nel periodo in cui ci avevo abitato che ho cercato di concentrare in 5 giorni quello che avevo vissuto in sei mesi, cosa che per definizione è abbastanza sciocco fare e che mi ha portato quasi a ucciderle trascinandole in bicicletta con 40 gradi da una parte all’altra della città.
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Detto questo, Kyōto è sempre bellissima e sono contento di essere riuscito a trasmettere loro l’amore per questa città, tanto che madre ha detto che in effetti mi ci vedrebbe meglio che non a Tōkyō. Visto che abbiamo visitato i luoghi di interesse principali di cui ho già parlato in passato ed immagino fosse stato noioso già allora per voi leggerne non mi ripeterò e mi limiterò a una carrellata di foto ignoranti lol
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「Postcards from distant cities - Kitano Tenmangu」
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「Postcards from distant cities - Shimogamo Shrine」
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「Postcards from distant cities - Kinkakuji」
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「Postcards from distant cities - Ginkakuji」
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「Postcards from distant cities - Kiyomizu Temple」
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「Postcards from distant cities - Heian Shrine」
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「Postcards from distant cities - Nijo Castle」
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「Postcards from distant cities - Nara, Tōdaiji」
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「Postcards from distant cities - Uji, Byōdōin」
Oltre a rivedere posti meravigliosi che mi erano mancati molto a Tōkyō, si è aggiunta anche una tappa che mi era ancora sconosciuta: Kibune, una località inculatissima che è uno sbatti assurdo raggiungere a nord di Kyōto che si sviluppa intorno al Kifune-jinja, un santuario dedicato al dio dell’acqua e della pioggia, costruito nel punto dove la leggenda vuole che sia terminato il viaggio in barca di una dea dalle sembianze di serpe. Nel caso vi steste chiedendo perché la località si chiami Kibune e il santuario Kifune, la ragione è che nel sistema di scrittura giapponese il simbolo che graficamente trasforma il suono fu in bu è detto “nigori”, cioè letteralmente “impurità”, ed essendo il santuario dedicato al dio dell’acqua si evita di includere un suono impuro come auspicio affinché non venga intaccata la purezza dell’acqua stessa. Vero che prima non ci dormivate la notte e adesso invece sì? lol
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La Lonely Planet, preziosissima come al solito, riguardo questo santuario metteva solo in guardia circa l’orrenda statua equeste in plasticozza all’ingresso, che in effetti c’era...
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...ma non citava uno dei principali motivi per cui è famoso, i mizuura-mikuji 水占みくじ, foglietti contenenti oracoli che compaiono una volta poggiati sul pelo dell’acqua. Tipo l’inchiostro arcobaleno di quegli album da colorare terribilmente anni Novanta che penso tutti da bambini abbiamo avuto (Fra, se stai leggendo, sappiamo tutti e due a chi legittimamente apparteneva il pennarello arcobaleno).
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Il mio oracolo diceva “media fortuna”, e se non ricordo male riguardo i traslochi diceva qualcosa tipo ‘bene anche se non come vorresti’, che in effetti ci ha proprio preso lol #benemanonbenissimo
Alla fine di questi giorni a Kyōto, che segnavano anche la fine del viaggio di madre e sorella in Giappone, mi sono ritrovato di sera al Kitano Tenmangu a pensare a tante cose: a cosa avesse significato accompagnarle in quella che è e/o che era stata la mia quotidianità all’estero, a cosa mi aveva portato lì dov’ero, a quante cose erano cambiate nel frattempo e quante invece erano rimaste le stesse. In questo viaggio abbiamo parlato tanto, abbiamo parlato di cose che non avevamo mai affrontato prima, di valori in cui fermamente crediamo e con i quali siamo cresciuti, di caratteristiche in cui ci riconosciamo da qualsiasi parte del mondo, del passato e del futuro; abbiamo anche litigato ovviamente, perché nelle famiglie normali si litiga anche, indipendentemente da dove ci si trova, ci siamo commossi (ma ai giardini dell’Imperatore, mica come i poracci inzomma) e ci siamo fatti un numero imbarazzante di foto anch’esse imbarazzanti che adesso sono incorniciate sulla credenza in salotto a casa in Italia. Siccome non so bene che sigillo apporre alle sensazioni di quei giorni, chiuderei con le parole che proprio sorella e madre hanno scritto durante il loro viaggio perché credo che lascino in parte trasparire cosa questo viaggio sia stato per loro:
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“The reasons why I’ve loved Japan are not so different from the reasons why I didn’t like it. What I think I’ve learnt from this journey is: there are no nationalities but people. Different people have different cultures and to discover them is a good way to come back home and understand ourselves and our way of thinking and communicating, even loving much better, fiving them a different value, maybe. But above all, the biggest teaching after this troubled journey in Japan is: sushi is good, trains on time too, kombinis 24/7 open are awesome, but if you-almond-eyes say “arigato gozaimasu” again I swear I’m gonna kill you”.
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“Famiglia a cena: affetti ripresi, abitudini riconosciute, tanto bene ♥”
・Avevo anche COMPLETAMENTE dimenticato che enorme sbatti fossero i traslochi. Complice il fatto che a fine agosto la Camera di Commercio Svizzera ha cambiato ufficio, ho deciso di traslocare a mia volta per essere più comodo con gli spostamenti e anche perché mentre mi dicevo che il mio appartamentino di 14 ㎡ era solo provvisorio e che ne avrei trovato un altro con più calma, prima che me ne accorgessi era già passato UN ANNO / o \ Mettiamola così: se il mio intento era spostarmi in un posto un po’ più grande e pagare meno ho totalmente fallito (l’omikuji ci aveva visto giusto), però non sono insoddisfatto perché ho finito per trovare un posto dove pago uguale ma ho tipo quattro volte lo spazio che avevo prima, il che non è male. Mi è dispiaciuto perché ho dovuto dedicarmi alla ricerca di case e agenzie immobiliari mentre madre e sorella erano qui, ma d’altronde agosto sembrava essere un buon periodo per il mercato immobiliare perché sembra ci siano molti spostamenti, case che si liberano e via dicendo. Mentre prima ero con un’agenzia internazionale che si occupa di fornire case già arredate a prezzi disonesti, questa volta mi sono rivolto a un’agenzia giapponese, comunque disonesta lol, che mi ha messo una pressione addosso che sembrava che si sarebbero trovati senza tetto loro se non avessi preso casa io, e alla fine mi sono ritrovato con un contratto biennale per un appartamento a Koenji sud con un loft che in realtà è un secondo piano a tutti gli effetti visto che ci sto comodamente anche in piedi e ha finalmente realizzato il mio sogno di separare la zona dove mangio da quella in cui dormo, arredata in parte con mobilia che mi portavo ancora dietro dai tempi di Kyōto e per il resto con mobili Ikea tra cui il mio sogno proibito, UN DIVANO ♥ (no non potete capire, il divano è quello spazio liminale tra dover stare seduti su una sedia o per terra e quindi non riuscire a rilassarsi e collassare a letto e quindi non avere chance di rimanere svegli, mi sono sentito privato di una parte fondamentale della mia vita per tutto il tempo che non ne ho avuto uno). Sta cosa che i contratti per le case giapponesi durano minimo due anni è un po’ una rottura di palle, ammettiamolo, ed era la prima volta che avevo a che fare in prima persona con un’agenzia giapponese perché a Kyōto, pur avendoci dovuto avere a che fare, c’era stato il tramite dell’università che aveva aiutato; sono stato comunque felice di notare che sotto vari aspetti rispetto a quell’esperienza stavolta abbia trovato meno difficile l’approccio anche linguistico, mi ha fatto quasi pensare che in tutto sto tempo qualcosa ho imparato, non è stato del tutto buttato lol Un consiglio spassionato: se volete fare sport a fine agosto sceglietevi di meglio che trasportare avanti e indietro per tre chilometri andata e ritorno valigioni pieni dei vostri averi, ma proprio col cuore in mano ve lo dico. Anche se ne è valsa decisamente la pena perché adesso abito vicino a Eva, Anna e Davide e mi fa sempre sorridere pensare che dato che veniamo da città diverse in Italia difficilmente ci saremmo trovati ad essere vicini di casa, mentre qui Little Italy proprio lol Quindi insomma da inizio settembre 2016 sono passato dalla Pacific Nakano Sakaue #301 a una pretenziosa Maison de Koenji #202, una casa su due piani un filino infrattata che solo i corrieri più coraggiosi e intrepidi trovano (loro e le bollette, che quelle non si sa come una via per arrivare a te la trovano sempre), a una decina di dolorosissimi minuti dalla stazione JR di Nakano, da cui si sente passare il treno in lontananza proprio come dalla mia casa in Italia, cosa che ho scoperto tranquillizarmi tantissimo, quasi come il protagonista di questo racconto di Murakami. Al solito l’isolamento termico e acustico sono tremendi, oserei dire ai minimi storici, tanto che me sembra d’avere gente in casa ogni tanto, ma è stata pensata benino perché nonostante abbia dirimpettai da tutti i lati è costruita in modo tale da essere di mezzo piano rialzata rispetto alle abitazioni circostanti, sicché anche se è piena di finestre nessuno ti vede dentro casa. Tipo i castelli giapponesi che da fuori sembrano di un tot piani ma poi all’interno sono di mezzo piano sfalsati in modo da trollare i nemici lol
・E a proposito di castelli, avevo dimenticato la tendenza di ogni città munita di castello di tirarsela per avere quello più antico di tutto il Giappone. Succede questo: per il weekend lungo della Silver Week, dal 17 al 19 di settembre, decido di andare con Y. a Nagoya per la Triennale di Aichi, un festival d’arte internazionale che si tiene ogni tre anni nella prefettura di Aichi, dove ancora non ero stato. Per la sua terza edizione, era stato scelto il titolo “Homo Faber: A Rainbow Caravan”, un titolo molto elegante per giustificare una colorata accozzaglia di varie opere (alcune non le ho capite, però ho trovato molto evocativo l’uso delle figure retoriche - cit.) sparse in diverse location di tre principali aree: Nagoya, Toyohashi e Okazaki.
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「Jerry’s Map」 © Jerry Gretzinger Collage di 3200 tasselli che compongono una mappa di una città immaginaria, realizzata tra il 1963 e il 1983 con acrilici, evidenziatori, matite colorate, inchiostro.
Come vi dicevo, non ero mai stato a Nagoya, che la Lonely Planet descrive così: “si potrebbe dire che Kyōto è una geisha dalle movenze aggraziate, Tokyo una teenager sicura di sé all’eterna ricerca delle novità più trendy e Nagoya la loro leale sostenitrice. Magari non sarà la più attraente della famiglia, ma con intelligenza, perseveranza e senso del dovere fornisce alle altre due la ricchezza che permette loro di vivere il tipo di vita che hanno scelto.”
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Boh guardate io sinceramente non saprei dirvi di che sostanze abusino quelli della Lonely Planet, però se qualcosa vogliamo salvare di questa loro sparata è questo: se per diversi aspetti, dal piano urbanistico al tipo di attrazioni che offre, si può dire che Nagoya ricordi più Tokyo, d’altra parte è innegabile che si respiri un’atmosfera più tranquilla, rilassata e leggera, che mi ha ricordato per varie ragioni le città del Kansai. Un’atmosfera che perfino in metropolitana è riscaldata da familiari caldi timbri latini perché, credo unico caso in tutta la nazione, gli annunci non sono solo in giapponese, inglese, cinese e coreano ma pure in PORTOGHESE, che la prima volta che l’ho sentito vi giuro mi è quasi preso un colpo, WTF?? Però pare che sia pieno così di brasiliani, ma proprio a grappoli, che lavorano per la Toyota a Nagoya, e che quindi sia stato deciso di integrare anche il portoghese nelle lingue degli annunci sui mezzi pubblici.
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In quanto città turisticamente non proprio esaltante non poteva mancare la Torre della Televisione elevata a sito turistico anche qui come a Sapporo, con la variante che stavolta pure questa come i castelli che vedremo nei giorni successivi si autoproclama la più vecchia di tutto il Giappone, completata nel 1954 e distrutta da Godzilla dieci anni dopo.
Visto che once a LICAO always a LICAO, uno dei motivi per i quali mi incuriosiva andare a Nagoya era visitare l’Atsuta-jingū, un santuario dove si dice sia custodita la kusanagi-no-tsurugi (草薙の剣, ‘la spada che falcia l’erba’), una delle tre insegne imperiali insieme allo specchio di Amaterasu (custodito a Ise, been there done that) e alla gemma ricurva (custodita nel Palazzo Imperiale di Tokyo, dove però ancora non mi hanno invitato lol). La leggenda rintracciabile nel Kojiki vuole che il dio Susanoo l’avesse trovata in una delle code del drago a otto teste Yamata no Orochi da lui ucciso. Passò poi per diverse mani fino ad arrivare a Yamato Takeru, leggendario eroe che, trovatosi intrappolato in un cerchio di fuoco appiccato da un nemico che gli aveva teso un agguato in un pascolo, scoprì che la spada poteva controllare il vento e la usò per estinguere le fiamme fendendo l’aria tra l’erba, da cui appunto il nome.
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La spada Kita Kita?? La danza Kita Kita!!
Insomma vabbè tutta sta storia e poi tanto comunque non la potete vedere, però vabbè willing suspension of disbelief e te passa la paura.
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Tappa imprescindibile durante una gita a Nagoya è chiaramente il castello, uno dei simboli della città, fatto costruire dal terzo unificatore del Giappone Tokugawa Ieyasu tra il 1610 e il 1614 e ricostruito poi nel 1959 dopo che era stato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, anche lui da Godzilla.
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E adesso non c’è più il castellobbello.
Caratteristiche del castello di Nagoya sono le decorazioni poste alle estremità del tetto che raffigurano degli shachi (鯱), animali marini che si credeva avessero il potere di evocare l’acqua così da proteggere dal fuoco (quello appiccato dai nemici tanto per fare un esempio) e che letteralmente dovrebbero essere delle... orche? O_ò
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Free Willy, ti ricordavo un filino diverso...
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Gli shachi sono talmente tipici che ve li ritroverete in tutte le salse nei negozi di souvenir e persino nei cartelli della metropolitana.
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Ora, io non faccio il graphic designer, ma... non è profondamente sbagliato che quello che dovrebbe essere il corpo sia parte della faccia e che abbia un altro corpo umanoide? È mostruoso D:
A una mezz’oretta di treno da Nagoya si trova la tranquilla cittadina di Inuyama. Attraversata dalle placide acque del Kisogawa, considerato il Reno giapponese, lungo le cui acque si pratica ancora la famosa attività dell’ukai (鵜飼い ‘pesca col cormorano’), ospita anch’essa un castello, uno dei cinque nominati patrimonio nazionale insieme a quelli di Himeji, Hikone, Matsumoto e Matsue. Beh dai, me ne mancano solo due da vedere, siamo a buon punto lol
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Il maschio è datato 1537 ma si è sviluppato da un forte difensivo risalente addirittura al 1440, e questo dovrebbe fare del castello di Inuyama il castello più antico del Giappone.
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Poco distante, si trova poi un bel giardino, l’Urakuen 有楽苑, che prende il nome da uno dei fratelli minori di Oda Nobunaga, primo grande unificatore del Giappone, Oda Urakusai, che abbandonata la carriera militare in tarda età si fece monaco presso il Kenninji di Kyōto, dove si dedicò all’arte della cerimonia del tè e fece costruire una casa da tè che venne poi trasferita nel suo villaggio natìo, Inuyama, proprio all’interno dell’Urakuen. Il nome di questa casa da tè, Joan (如庵), sembra sia un gioco di parole: riprenderebbe infatti il nome cristiano che Oda Urakusai scelse per se stesso dopo essersi convertito al Cristianesimo nel 1588, Johan appunto.
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Considerata una delle tre più belle case da tè insieme alla Mittan del Daitokuji e alla Taian del Myokian, entrambi a Kyōto, non so perché ma quando leggo che “è stata trasferita a Inuyama” me lo vedo proprio Oda Urakusai che la caccia in borsa tipo mago Merlino quando trasloca.  
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Hockety Pockety Wockety Wack, Abra Cabra Dabra Da, se ciascun si stringerà il posto a Joan si troverà ♪
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On our way back from Inuyama... dopo Shimonita, un’altra imperdibile tappa per viaggiatori maliziosi.
Ora, permettetemi di aprire una parentesi Instagram dato che, viaggiando con un giapponese, ovviamente non potevamo non passare ore a discutere principalmente di cosa e dove avremmo mangiato. Questa è una cosa che mi lascia sempre abbastanza sconcertato: nonostante da italiano mi ritenga parte di un popolo che dà importanza alla buona tavola, trovo comunque sempre un filino disarmante che per i giapponesi la priorità in ogni viaggio sia il cibo, ma a livelli che quando raccontate a qualcuno che andate da qualche parte, nella maggior parte dei casi la prima domanda non sarà “cosa vai a vedere?” ma molto più verosimilmente “cosa si mangia di buono da quelle parti?”, e molti dei commenti e/o dei suggerimenti riguarderanno molto più spesso cose da mangiare che non da visitare. Ad ogni buon conto, sono stato ben felice di assaporare quello che la cucina di Nagoya aveva da offrire: in particolare, lo hitsumabushi 櫃まぶし, una scodella di riso con anguilla grigliata in cima che andrebbe mangiata facendone tre diverse porzioni in una ciotola a parte, la prima volta gustandola così com’é, la seconda aggiungendo wasabi e cipolla, e la terza versandoci sopra tè o brodo di pesce; e il morning, questa sorta di colazione/brunch che come abitudine è tipica di Nagoya e che prevede un pasto a base di caffé e toast (tipicamente l’ogura toast, pane tostato con crema di fagioli rossi). Con Y. abbiamo ordinato il morning al Komeda Café, una catena nata proprio a Nagoya e famosa per il suo Shiro no Whirl, una sorta di pasta dolce con gelato alla vaniglia sopra e sciroppo. Per carità, un negozio di questa catena c’è anche vicino a casa mia per cui non è che servisse andare fino a Nagoya, però nel luogo d’origine fa sempre un effetto più autentico lol
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#instafood #instagood #foodporn #foodie
Dai, per risollevarmi da questo scivolone gustoso ma di cattivo gusto e ridarmi un tono vi lascio con degli scatti dell’opera che forse mi è piaciuta di più all’Aichi Triennale, “Art & Breakfast”, un progetto di Mitamura Midori che consiste in una serie di installazioni che combinano oggetti quotidiani o comunque di facile reperibilità e citazioni per creare uno spazio che l’osservatore possa avvertire come familiare e in cui ritrovarsi, che adesso che ci penso è un po’ quello che anche a me piacerebbe che questo blog potesse essere sia per me che lo scrivo che per quei due che lo leggono (ciao mamma, ciao papà lol). Motivo per cui, anche se come è successo mi ricapiterà sicuramente di non riuscire ad aggiornarlo per lungo tempo, cercherò di trovare il tempo per continuare a scriverlo.
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“My grandma said: ‘Your failures that happened in a world will be settled in that world as well’.” 「私のおばあちゃんは言いました『世の中で起きたことは世の中の方でおさまる』と」
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“‘Today’ will get away from you, while you think too much of ‘tomorrow’.” 「明日のことばかり考えているうちに今日が逃げてしまわないように」
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“The problem is that the way, which I developed myself, sways me.” 「問題なのは自分でつくりあげた自分らしさに振り回されてしまうことです」
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“New one becomes old one so soon.” 「新しいものはすぐ古くなるのね」
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“The only truth we can understand about each other is that we can never understand each other” 「人はお互いと理解することはできないとのことを理解しなくてはなりません」
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“The only person who can take me home is myself” 「自分を家に連れて帰れるのは自分だけ」
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“There is always a reason for failure” 「うまくいかないことには理由があるのです」
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sempredirebanzai · 3 years
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La lingua giapponese ha più di 70 parole dedicate ai fiori di ciliegio
La lingua giapponese ha più di 70 parole dedicate ai fiori di ciliegio
La lingua giapponese ha più di 70 parole dedicate ai fiori di ciliegio I Sakura, i fiori di ciliegio, sono uno dei simboli più iconici del Giappone. La bellezza mozzafiato di questi delicati petali rosa incanta nipponici e visitatori da sempre. Le poche settimane in cui si può ammirare la loro fioritura sono considerate dai giapponesi il periodo più prezioso e bello dell’anno. E il paese…
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