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#Luis Di Filippo
dergarabedian · 1 year
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Luis Di Filippo y sus novedades del año viejo 2022
Luis Di Filippo y sus novedades del año viejo 2022
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omarfor-orchestra · 23 days
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Ew
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felipe-v-fanblog · 1 month
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"Familia de Felipe V", de Jean-Ranc.
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Ok, ho perso il conto
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massimogilardi · 6 months
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Spartacus che spezza le sue catene (1847) “Bronzo, 219 x 94 x 6 cm” [Palais des Beaux-Arts de Lille, Lille, Francia] -- Denis Foyatier (Francese; 1793 - 1863)
“Ci fissa, con un aspetto severo, allo stesso tempo tristemente determinato e furioso. Nella mano destra, una spada. A sinistra, le sue catene rotte. Spartaco, il soldato dell'esercito romano diventato un gladiatore, si è appena liberato dai suoi catene ed è determinato a combattere.
La vita di questo personaggio storico è difficile da rintracciare. Tutto quello che sappiamo con certezza è che nacque in Tracia - oggi nella penisola balcanica - e che guidò una rivolta di schiavi tra il 73 e il 71 a.C. Questa rivolta fu repressa violentemente dal generale romano Crasso.
Spartaco è ancora oggi visto come l'epitome della resistenza contro un regime totalitario. Lui è un esempio di virtù. Non sorprende allora che la scultura sia stata oggetto di sfruttamento politico!
In effetti, qui vedete un simbolo dei Trois Glorieuses, i tre giorni di rivoluzione. Questi tre giorni di rivolta, nel luglio 1830, portarono alla rimozione di Carlo X e all'ascesa di Luigi Filippo. Infatti sappiamo che non era intenzione dell'artista denunciare la reale, anzi... La versione marmorea di Spartaco, ora conservata al Louvre, fu commissionata all'artista, nel 1828, dall'amministrazione reale di Carlo X! La storia stessa crea i suoi paradossi. ”
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(Fonte: Palais Beaux-Arts Lille)
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abr · 2 months
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I soliti scontati noiosi parenti serpenti in casa Pd
Se si fan questo tra loro, figuratevi cosa sian pronti a inventarsi per i non parenti.
" Il «caso Bari» (...) si era trasformata per Decaro in un atout politico: sindaco popolarissimo, con percentuali altissime di consenso e descritto dagli stessi pm che conducono le indagini penali come gran nemico dei boss locali, aveva capito al volo che il ruolo del perseguitato politico gli giovava.
All'esterno, proiettandolo sulla scena nazionale, portato in processione antimafia da Don Ciotti e acclamato sabato dalla folla barese radunata in suo supporto dalla Cgil. E all'interno, blindando la sua candidatura da capolista nel Sud alle Europee e il suo ruolo di potenziale contraltare nel Pd a Elly Schlein. Il voto del 9 giugno, nei piani dei suoi supporter dem (come il governatore campano De Luca, il sindaco di Reggio Falcomatà, il lucano De Filippo, l'abruzzese D'Alfonso) poteva diventare una sorta di primaria virtuale (...): se Decaro - come assai probabile - la battesse nelle preferenze, la segretaria ne uscirebbe indebolita. (...)
Ma Emiliano (volutamente, per qualcuno; o inavvertitamente, nell'ansia di dimostrare di essere solo lui il vero padrone di Puglia, secondo i più) gli ha rovinato la festa, sollevando un polverone con quell'imbarazzante esternazione sull'incontro con la sorella del boss, fatta dal palco di Bari (...). Grazie a lui ora Decaro è costretto a giocare in difesa, mentre alcuni suoi sostenitori picchiano duro contro Emiliano: «Parole scomposte, stile sopra le righe, fa danni», accusa Nichi Vendola. «Decaro è un bravissimo amministratore e persona perbene. Non posso dire lo stesso di Emiliano», infierisce".
via https://www.ilgiornale.it/news/politica/linciampo-sindaco-nella-scalata-nazareno-2301341.html
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fioredialabastro · 7 months
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Una rabbia costruttiva
La vicenda di Giulia mi ha sconvolto più delle altre. Penso a quando mi sono laureata alla triennale quattro anni fa e il mio ragazzo di allora, malato di depressione, arrabbiato col mondo e per nulla intenzionato a farsi aiutare nonostante gli sforzi, era palesemente invidioso, al punto da sussurrarmi all'orecchio, un minuto prima di essere chiamata sul palco e proclamata dottoressa: "Certo che qua i 110 e lode li regalano, alla mia facoltà te li sogni". Quella frase, ovviamente, fondava le radici su parole e gesti ben più gravi, come quando prendevo bei voti agli esami e mi diceva che ero stata solo fortunata a ricevere le domande giuste, o quando mi costringeva a studiare con lui e mi lasciava rinchiusa nella stanza, impedendomi di tornare a casa o di andarsene dalla mia finché non aveva finito ciò che doveva. Allora penso all'invidia di Filippo per i successi professionali di Giulia, a come la sua rabbia si sia trasformata in un agghiacciante omicidio premeditato e realizzo quanto io sia stata fortunata del fatto che le violenze del mio ex si fossero fermate a qualche passo dall'inevitabile, anche dopo averlo lasciato.
È una sensazione terribile, perché solo adesso, a distanza di tutti questi anni, mi rendo conto profondamente della gravità della situazione che stavo vivendo. Tante volte, di fronte all'ennesima sopraffazione da parte sua, ho pensato: "Stiamo insieme da quattro anni, mi ama ma non riesce a dimostrarlo e poi non sono mai tornata a casa con un occhio nero, non può essere paragonabile a quelle storie che sento al telegiornale". Invece sì, lo è. Probabilmente, se non lo avessi lasciato facendogli credere che la scelta fosse sua, se mio papà non fosse intervenuto in maniera diplomatica dopo la rottura, a lungo andare avrei fatto la stessa fine di Giulia e di tutte le altre vittime. Perché quando vivi una relazione tossica, non sei consapevole di dove può arrivare la persona che dice di amarti e che credi di amare, anche se conosci bene i suoi problemi e ciò che un rapporto sano richiede. Si minimizza, si giustifica, si muore, lentamente.
Così, quando credo di aver superato il passato perché mi sento in pace per essere riuscita a perdonarlo e a non augurargli il peggio, ecco l'ennesima donna che muore per mano maschile, ricordandomi che il perdono ha senso solo se non si dimentica il male ricevuto. Perciò sì, sono stata fortunata, ma non per questo vado a ringraziare il mio ex per non avermi ammazzato. Piuttosto, voglio che questa rabbia rimanga, per continuare a lottare per una società più giusta, per non sentirmi più una sopravvissuta ogni volta che si parla di femminicidio.
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soldan56 · 7 months
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Lui è l'avvocato di Filippo Turetta.
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ilpianistasultetto · 11 months
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Se non paghi le tasse da qualche anno, se hai una denuncia per stalking dall'ex moglie tra calci e schiaffi e sei pure un ex cocainomane (come lui stesso ha ammesso), in questo Paese puoi avere il privilegio di condurre un programma tutto tuo sulla Rai. Filippo Facci, docet. Gia' circolano voci su prossime possibili new-entry come conduttori di programmi rai in prima serata. Il martedi, Parolisi condurra' un programma sui femminicidi; il giovedi, Pietro Maso portera' la sua esperienza sul rapporto padri e figli. La domenica, sempre in prima serata, Marcello Dell'Utri in coppia con Toto' "vasa vasa" Cuffaro, si cimenteranno in un programma-inchiesta contro la mafia.
E gli italiani che ne pensano? Ridono, prendono tutto a cojonella. Non sono questi i problemi importanti. Perche' alla fine, chi non ha mai tirato cocaina? E chi non prende a pizze la propria ragazza o moglie? Ma, dai, pensiamo alle cose serie e non a queste caxxatelle.. @ilpianistasultetto
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canesenzafissadimora · 4 months
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Una delle domande più frequenti che mi pongo è: come andrebbe affrontata la vita, affinché risulti leggera, spensierata, felice?
Massimo Troisi direbbe che andrebbe presa come viene, anche se a lui verrebbe sempre e comunque una "chiavica".
Totò direbbe che la vita andrebbe presa con dimenticanza, perché è in quegli attimi che risiedono brevi istanti di felicità. Nella dimenticanza!
Gigi Proietti direbbe che la vita andrebbe vissuta come al teatro dove tutto è finto ma nulla è falso.
Giorgio Gaber direbbe che la vita va affrontata senza il buonsenso comune ma neanche con la retorica di un pazzo.
Rita Levi Montalcini direbbe che è meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita.
Mogol direbbe che non si nasce giovani ma lo si diventa affrontando le difficoltà. Ma, ad ogni modo, si lascia la vita in vecchiaia perché così si prova meno dolore distaccandosene.
Pino Daniele direbbe che nella vita andrebbe fatto e dimenticato, così da poter dare al futuro l'occasione per poter essere migliore del nostro presente.
Charles Bukowski direbbe che la vita sarebbe orribile se non si avesse la possibilità di impazzire almeno una volta.
Eduardo De Filippo direbbe che affrontare la vita da superstiziosi sarebbe da ignoranti ma, non essere superstiziosi, ahimè... porterebbe male.
Fabrizio De Andrè direbbe che condurre una buona vita è un obbligo che ci farà sopportare male la nostra morte.
Cesare Pavese direbbe che va affrontata con amore, perché esso è l'anestetico che rende tutto meno doloroso.
Luciano De Crescenzo direbbe che la vita è divisa in tre fasi: rivoluzione, riflessione e televisione. Si comincia col voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali alla televisione.
Daniele Luttazzi direbbe che dovremmo anche ringraziare perché la vita è un attimo appena, altrimenti, sai quante persone dovremmo mandare a quel paese?
Nelson Mandela direbbe che la vita è composta da tanti impossibili passi che vengono, finalmente, compiuti.
E potrei continuare all'infinito ad elencare personaggi più o meno noti e il loro pensiero sull'esistenza comune. La verità resta una: nessuno conosce la verità. Nessuno sa in che modo va affrontata la vita. Esiste un solo modo per scoprirlo: vivere.
Luigi Mattiello
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dergarabedian · 1 year
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Las novedades del año viejo 2022
Las novedades del año viejo 2022
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omarfor-orchestra · 9 months
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Eccola che piange
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mezzopieno-news · 4 months
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LA FAMIGLIA CHE HA OSPITATO 600 MIGRANTI IN CASA PROPRIA
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Filippo Lombardo è un artigiano nato a Reggio Calabria, insieme alla moglie Loredana Crivellari, vivono a Ventimiglia in Liguria a pochi chilometri dalla frontiera con la Francia. Negli ultimi quattro anni hanno ospitato nella loro casa circa 600 migranti.
Sono ormai conosciuti come ‘quelli del furgoncino rosso’, accolgono e danno rifugio a tanti che vengono respinti al confine con la Francia. “Il primo si chiamava Hussain. Era un ragazzo tunisino. Lo abbiamo trovato malconcio, era stato picchiato”. A Natale è arrivata una ragazza nigeriana. Camminava per strada assieme al figlio di quattro anni. Erano stati respinti. Scaricati al confine. “Il problema – continuano nel racconto – è che non si fidano più di nessuno”. “Quando avvicini queste donne che sono state violentate e imprigionate in Libia, donne in viaggio da anni, donne che hanno attraversato il mare, senti tutta la loro preoccupazione”. In cambio, Filomena e Filippo non vogliono nulla. “Ci dividiamo i compiti” racconta Filomena, infermiera in pensione. “Io mi occupo dell’accoglienza in casa, lui va con il furgone quando sappiamo che ci sono donne o famiglie in mezzo alla strada”.
Alle volte l’afflusso è massiccio, anche trenta persone in una settimana. “Non ce ne siamo mai dovuti pentire”, racconta Loredana: “Nessuno ha mai portato via un solo euro”. “Vedevamo questi ragazzi e ragazze sulle strade… Forse perché ci siamo conosciuti negli scout, e quando sei scout lo sei per tutta la vita”. “In questi anni abbiamo capito che aiutare gli altri è bellissimo, ti cura l’anima” raccontano.
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Fonte: La Stampa; La Repubblica; foto di August de Richelieu
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aminuscolo · 7 months
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Specchi infranti
Ho scritto un pezzo per doppiozero ma ha suscitato contestazioni dunque lo posto qui.
Ho sentito spesso dire alle donne che sono a pezzi. Le ho viste in pezzi. E ho, davanti agli occhi, donne in pezzi al lavoro, donne in pezzi a correre. Donne in pezzi al ristorante, e donne in pezzi sul divano. Donne in pezzi truccate.
Raramente ho sentito questa espressione in bocca a un uomo. Può un uomo andare in pezzi?
Centocinque donne uccise per mano d’uomo dall’inizio del 2023. Centocinque. Centocinque donne fatte a pezzi. Può un uomo andare in pezzi?
Giulia Cecchettin, Filippo Turetta. Una nuova storia, altri nomi, un dibattito pubblico che si infiamma, molto rumore destinato a durare qualche settimana. Meccanismi di risposta primitivi: difesa del proprio pensiero già pensato; ricerca di un colpevole; denigrazione dell’avversario; rivendicazione di innocenza. C’è chi vuole accusare le donne e c’è chi pensa di evirare gli uomini; c’è chi risolve tutto con la teoria del mostro e chi impiccherebbe i genitori del mostro. C’è chi dice “a me mai”, “ma io no”, “non in mio nome”, “se l’è cercata”, “è la famiglia”, “è il patriarcato”, “è la libertà delle donne”, “siete tutte puttane”.
E soluzioni improvvisate: si tratta di fare educazione sessuale (sic); chiamare psicologi e influencer a intervenire nelle scuole è il gesto di cui abbiamo bisogno (sic); insegnare alle donne a non accettare l’ultimo appuntamento (sic); redigere un opuscoletto che aiuti noi donne a intercettare i segnali e proteggerci (sic). Perché di questo si tratta, sempre: non provocare, non esagerare, non bere, non accettare l’ultimo appuntamento, non laurearci, non alzare la voce, non truccarci se stiamo soffrendo. Ah, però si tratta pure di non sparire, altrimenti è ghosting: come potete essere così insensibili?
Elena Cecchettin prende parola, elabora il proprio lutto provando a dare un senso alla tragedia che si trova a dover attraversare: parla come sorella, come donna, come cittadina. Porta il proprio corpo, la propria voce, e quel corpo e quella voce diventano bersaglio. Violenza su violenza e ancora ci sorprendiamo. Eppure Elena Cecchettin prova a non scegliere l’odio, la via più semplice. Hannah Arendt scriveva che ognuno di noi ha il compito, a partire dalla nascita, di portare nel mondo la propria differenza assoluta, provare a pensare quel che non è già stato pensato. Assumersi la responsabilità del proprio dire, portarlo, con il corpo, in uno spazio condiviso, dove possa essere occasione di confronto. Altre singolarità, altri corpi. La politica come spazio sorgivo, esito della costruzione di questo “tra”, avendo cura del corpo dell’altro davanti a noi, della sua alterità radicale. Arendt invitava a coltivare con cura la possibilità di pensare insieme. Arendt, soprattutto, ci ha insegnato che pensare al mostro è facile, umano, ma non ci aiuta a comprendere e a ricordarci che dietro il singolare c’è il sociale. Elena Cecchettin vuole comprendere e comprendere non è perdonare, è provare a stare in una complessità e a implicarsi in questa complessità. Voler comprendere è politica.
Vorrei che si provasse ad abitare tale complessità.
Vorrei che ogni uomo fosse più capace di assumersi la responsabilità di vincere la vergogna che prova ogni volta che si trovi, in una birra con amici, a interrompere la goliardia, mostrando agli interlocutori come parlano e da dove parlano. Vorrei che ogni uomo interrogasse il maschilista che ha in sé. Vorrei che lo vedesse. Vorrei che interrogasse il da dove spiega. Vorrei che si accorgesse quanto spiega. Vorrei che si accorgesse della postura che ha quando entra in una stanza, vorrei che si interrogasse su cosa è per lui la macchina, o il lavoro. Vorrei che si domandasse che cosa ama in chi ama, vorrei che guardasse dalla finestra della propria casa la gestione domestica. Vorrei che potesse fare i conti con la vergogna, metterla in parola, vorrei che potesse sentire di non dover essere potente. Vorrei che ogni uomo non fosse tutto di un pezzo. Vorrei che sapesse (e potesse) andare in pezzi. Può un uomo andare in pezzi?
Vorrei che le donne si accorgessero di quanto maschilismo introiettato, di quanto potere agito, di quanta competizione, quanto odio, quanta logica patriarcale assorbita. Quanto perdersi in una gara a diventare, loro, tutte di un pezzo, invece che danzare, insieme, cucendo i pezzi staccati ogni volta con un’invenzione nuova.
È complicato, per gli uomini, fare i conti con un femminile che si emancipa. La crisi – e per fortuna – di un modello violento e verticale, quello patriarcale, ha determinato una necessità di ripensarsi che non è stata presa in carico da nessuna agenzia sociale. La cultura continua a proporre modelli di vincenti, di eccezione, di genialità, di prestazione. Tutto è competizione e il mondo è diviso in chi ce la fa e chi soccombe. Farcela a fare che cosa? È la felicità in campo?
In questo tempo di transizione, in cui il patriarcato domina ancora, ma messo in questione, il maschile non sa interrogarsi su una nuova posizione possibile, non avendo mai abitato altro che la posizione dominante.
La crisi del legame sociale è pervasiva: vivere con gli altri comporta una rinuncia, la rinuncia ad avere tutto, quale è la contropartita? Quale è il valore aggiunto che mi viene dall’altro se l’altro è un rivale e mai un’occasione? Se a scuola i genitori si preoccupano che le differenze degli altri rallentino la formazione e se contano i risultati più che la relazione? Nella crisi del legame sociale, che ha investito le famiglie, i figli sono troppo spesso il completamento narcisistico, il senso che resta quando tutto vacilla. Proteggerli dalla frustrazione, dai no, dagli inciampi: essere lo specchio che li conferma perché siano lo specchio che ci conferma. Assicurarsi il loro “funzionare” – il loro rispondere a un modello di rendimento e di successo – più che la loro capacità di “amare” – costruire legami, sopportare le differenze, smarcarsi da modelli simbiotici in cui nulla resta dell’alterità e delle differenze. Nessun spazio per fare i conti, i conti davvero, con delusione, invidia, frustrazione, aggressività, rabbia, nessuno spazio per poterle dire. Nessuno spazio per imparare ad andare in pezzi, per imparare la perdita. La psicoanalisi ci insegna come l’aggressività sia figlia della seduzione speculare: se lo sguardo dell’altro è stato lo specchio buono che ci ha rimandato una immagine amabile di noi, la sottrazione di quello sguardo porta con sé il crollo di quell’immagine. L’altro speculare è l’altro che ha nelle mani il potere di farci sentire dio o merda. Non c’è amore per l’altro nello specchio perché non c’è alterità: è la nostra immagine, in gioco. Amo te ma perché ne va di me: la tua presenza conferisce alla mia vita un senso altrimenti assente. Ecco perché non si può lasciarlo andare, ecco perché si teme il suo distacco, la sua indipendenza, la sua libertà. Ecco perché da idealizzazione a odio; da cura a rabbia cieca; da ragione di vita a persecutore cui dare la morte.
Come costruire relazioni non immaginarie? Relazioni in cui il legame si prenda carico dell’assoluta alterità dell’altro? Relazioni in cui l’altro possa andare e tornare, essere interlocutore, amante, differenza, libertà? Relazioni in cui non ne va di me, della mia individualità, ma di un tu e di un io? Come promuovere un discorso sociale in cui lo spazio sia uno spazio “tra” tutto da costruire, fatto di corpi che devono coesistere, intrecciarsi, dialogare, costruire, a partire da ineliminabili differenze?
Fare a pezzi gli specchi è compito di ognuno di noi. Fare a pezzi gli specchi per poter andare in pezzi. E ripartire dalla vergogna, dalla fatica, dalla mancanza.
E dalla piena coscienza che siamo animali sociali: non ci si salva da soli.
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francobollito · 5 months
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Una delle domande più frequenti che mi pongo è: come andrebbe affrontata la vita, affinché risulti leggera, spensierata, felice?
Massimo Troisi direbbe che andrebbe presa come viene, anche se a lui verrebbe sempre e comunque una "chiavica".
Totò direbbe che la vita andrebbe presa con dimenticanza, perché è in quegli attimi che risiedono brevi istanti di felicità. Nella dimenticanza!
Gigi Proietti direbbe che la vita andrebbe vissuta come al teatro dove tutto è finto ma nulla è falso.
Giorgio Gaber direbbe che la vita va affrontata senza il buonsenso comune ma neanche con la retorica di un pazzo.
Mogol direbbe che non si nasce giovani ma lo si diventa affrontando le difficoltà. Ma, ad ogni modo, si lascia la vita in vecchiaia perché così si prova meno dolore distaccandosene.
Pino Daniele direbbe che nella vita andrebbe fatto e dimenticato, così da poter dare al futuro l'occasione per poter essere migliore del nostro presente.
Charles Bukowski direbbe che la vita sarebbe orribile se non si avesse la possibilità di impazzire almeno una volta.
Eduardo De Filippo direbbe che affrontare la vita da superstiziosi sarebbe da ignoranti ma, non essere superstiziosi, ahimè... porterebbe male.
Fabrizio De Andrè direbbe che condurre una buona vita è un obbligo che ci farà sopportare male la nostra morte.
Cesare Pavese direbbe che va affrontata con amore, perché esso è l'anestetico che rende tutto meno doloroso.
Luciano De Crescenzo direbbe che la vita è divisa in tre fasi: rivoluzione, riflessione e televisione. Si comincia col voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali alla televisione.
Daniele Luttazzi direbbe che dovremmo anche ringraziare perché la vita è un attimo appena, altrimenti, sai quante persone dovremmo mandare a quel paese?
Nelson Mandela direbbe che la vita è composta da tanti impossibili passi che vengono, finalmente, compiuti.
E potrei continuare all'infinito ad elencare personaggi più o meno noti e il loro pensiero sull'esistenza comune.
La verità resta una: nessuno conosce la verità. Nessuno sa in che modo va affrontata la vita. Esiste un solo modo per scoprirlo: vivere.
~Luigi Mattiello
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a-dreamer95 · 7 months
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"Non ci sono mostri qui, solo uomini. Uomini che hanno imparato che il loro desiderio, la loro volontà, il loro ego hanno più valore della vita di una donna. E mentre cerchiamo di etichettare l'assassino come un'anomalia, un errore della natura, dobbiamo guardare in faccia la verità: è uno di noi. Un prodotto perfetto di ciò che ogni giorno, consapevolmente o no, nutriamo e lasciamo fiorire."
La violenza è frutto della nostra società. Io non mi stupisco più di fronte a certi orrori, forse perché ormai ne sono come avvezza. La nostra realtà è malata alla radice, estirpare il male penso che ormai non sia possibile. Ho una visione totalmente pessimistica su tutto e questa mia attitudine rende la mia vita alquanto dolorosa, ma reale e concreta. Giulia si sarebbe laureata due giorni fa in ingegneria biomedica, se solo il suo ex fidanzato non avesse deciso di mettere fine alla SUA vita. Giulia era più brava di lui all'università e si sarebbe laureata prima di lui. Ma lui questo proprio non lo accettava, non era possibile che la sua ragazza FEMMINA fosse più intelligente di lui.
I fatti reali non li sappiamo, ma probabilmente l'imminente laurea di Giulia ha scatenato questa reazione nel ragazzo. In tutto ciò, questo Filippo, "quel bravo ragazzo" ora diventato un "mostro", è sicuramente vittima della cultura del patriarcato. Probabilmente le persone a lui vicine lo hanno fatto sentire in difetto per non essere riuscito a laurearsi prima della sua ragazza FEMMINA. Lo avranno fatto sentire inferiore a lei, e lui questo non lo digeriva. Lui ora è un mostro agli occhi di tutti, ma la causa che lo ha spinto a fare questo gesto di un'atrocità immensa risiede nella cultura malsana in cui siamo cresciuti e in cui siamo immersi. Questo ragazzo è colpevole e, allo stesso tempo, vittima. L'invidia verso gli altri è un veleno che distrugge la felicità in entrambi i lati. Dovremmo cercare di ispirarci reciprocamente, condividere le nostre esperienze e sostenere i sogni altrui. Solo così potremmo costruire una vita significativa, lontana dalla gabbia dell'invidia e vicina alla bellezza della condivisione e dell'empatia. "Giulia potevamo essere noi tutte, nessuna esclusa".
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