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#Fatti linguistici
crazy-so-na-sega · 11 months
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le regole del confronto argomentativo
i teorici dell'argomentazione, gli studiosi della comunicazione e i filosofi del linguaggio hanno messo a punto alcune regole che tengono conto non soltanto dei requisiti strutturali (logici e linguistici) degli argomenti, ma anche delle loro condizioni d'uso, nei diversi contesti.
Karl Otto Apel sottolinea che:
" Chiunque argomenta si impegna a riconoscere implicitamente tutte le possibili pretese di tutti i membri della comunità della comunicazione che si possono giustificare tramite argomenti razionali e si impegna al tempo stesso a giustificare tramite argomenti le proprie pretese di fronte agli altri."
Paul Grice ha indicato quattro massime a cui i partecipanti a una discussione devono attenersi, che corrispondono (entro certi limiti) alle quattro categorie Kantiane: quantità, qualità, relazione, modalità):
massima della quantità: le informazioni fornite non devono essere in quantità maggiore o minore rispetto a quanto è richiesto al momento
2 massima della qualità: non dire cose che ritieni essere false o per cui non hai buone giustificazioni
3 massima della pertinenza: dì ciò che è rilevante ai fini della conversazione
4 massima del modo: fatti capire, non essere oscuro o confuso.
-Franca d'Agostini Verità avvelenata
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soprattutto l'ultima.....ma che ve lo dico affa'....::-)
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scienza-magia · 3 days
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Seduta psicoterapeutica con l'intelligenza artificiale
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Fatti vedere da uno bravo, ma ChatGPT batte gli psicologi umani. Uno studio mette a confronto l'IA con psicologi umani nella comprensione emotiva: i risultati di ChatGPT-4 sono sorprendenti. Un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Psychology mette a confronto tra l'intelligenza artificiale (IA) e gli psicologi nell'ambito della comprensione e della gestione delle emozioni e dei bisogni umani durante le sessioni di terapia. I ricercatori hanno concentrato la loro analisi sui modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), come ChatGPT-4, Google Gemini e Copilot, valutandone l'intelligenza sociale, una competenza di primaria importanza nella psicoterapia.
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Lo studio rivela che ChatGPT-4 ha superato tutti gli psicologi umani partecipanti nello studio, mentre Bing ha superato più della metà di loro. Al contrario, le prestazioni di Google Bard sono state paragonabili solo a quelle degli psicologi con laurea triennale e sono state significativamente inferiori rispetto al livello degli studenti di dottorato. I LLM sono sistemi avanzati di IA addestrati su grandi quantità di testi scritti, capaci di comprendere e generare linguaggio umano. Grazie a tecniche che utilizzano reti neurali, come il deep learning, possono svolgere una serie di compiti, a quanto pare anche quelli legati alla psicoterapia. Sebbene ricerche precedenti abbiano dimostrato l'efficacia dei LLM nella gestione delle condizioni di salute mentale, c'era una lacuna nella comprensione di come si comportassero in contesti sociali complessi. Lo studio ha coinvolto 180 psicologi dell'Università King Khalid in Arabia Saudita, divisi in studenti di laurea e di dottorato. I partecipanti umani e l'IA hanno risposto a 64 scenari presentati sulla Scala di intelligenza sociale, che valuta la capacità di comprendere e rispondere adeguatamente alle dinamiche sociali. I risultati hanno mostrato una significativa variazione nelle prestazioni dei diversi modelli di IA e degli psicologi umani, con ChatGPT-4 che ha ottenuto il punteggio più alto di intelligenza sociale, superando tutti gli psicologi umani nello studio. Tuttavia, l'uso crescente dell'IA nella salute mentale solleva questioni etiche legate anche alla formazione, poiché la capacità di empatia e di costruire relazioni in un setting terapeutico è tradizionalmente considerata una caratteristica esclusiva dell'essere umano. Fonte dell'articolo: www.psypost.org Read the full article
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levysoft · 1 month
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Una nuova ricerca mostra che i grandi modelli linguistici (LLM) come il GPT-4 possono sovraperformare significativamente gli esseri umani in termini di persuasività in situazioni di dibattito faccia a faccia.
In uno studio controllato, i ricercatori della École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) e della Fondazione italiana Bruno Kessler hanno studiato il potere persuasivo dei grandi modelli linguistici come il GPT-4 in confronto diretto con gli esseri umani.
I partecipanti sono stati divisi in modo casuale in diversi gruppi e hanno discusso argomenti controversi. Il team di ricerca ha testato quattro diverse situazioni di dibattito: umano contro umano, umano contro IA, umano contro umano contro umano con personalizzazione e modello di intelligenza artificiale umano contro personalizzato.
Nella versione personalizzata, i dibattitori hanno anche avuto accesso a informazioni di base anonime sui loro avversari.
Il risultato: GPT-4 con accesso alle informazioni personali è stato in grado di aumentare l'accordo dei partecipanti con le argomentazioni dei loro avversari di un notevole 81,7% rispetto ai dibattiti tra esseri umani.
Senza personalizzazione, il vantaggio di GPT-4 rispetto agli esseri umani era ancora positivo al 21,3%, ma non statisticamente significativo.
I ricercatori attribuiscono questo vantaggio persuasivo dell'IA personalizzata al fatto che il modello linguistico utilizza abilmente le informazioni del profilo del partecipante per formulare argomenti su misura e persuasivi.
Secondo i ricercatori, è preoccupante che lo studio abbia utilizzato solo dati di base rudimentali per la personalizzazione - eppure la persuasività di GPT-4 era già così significativa.
Gli attori malintenzionati potrebbero generare profili utente ancora più dettagliati da tracce digitali, come l'attività sui social media o il comportamento di acquisto, per migliorare ulteriormente il potere persuasivo dei loro chatbot AI. Lo studio suggerisce che tali strategie di persuasione guidate dall'IA potrebbero avere un impatto importante in ambienti online sensibili come i social media.
I ricercatori raccomandano vivamente che gli operatori di piattaforme online adottino misure per contrastare la diffusione di tali strategie di persuasione guidate dall'IA. Una possibilità sarebbe quella di utilizzare sistemi di intelligenza artificiale personalizzati in modo simile che contrastano la disinformazione con controargomentazioni basate sui fatti.
I limiti dello studio includono l'assegnazione casuale dei partecipanti a posizioni pro o contro, indipendentemente dalle loro opinioni precedenti, e il formato strutturale predeterminato dei dibattiti, che differisce dalle dinamiche delle discussioni online spontanee.
Un'altra limitazione è il limite di tempo, che può potenzialmente limitare la creatività e la persuasività dei partecipanti, specialmente nella condizione di personalizzazione in cui i partecipanti devono elaborare ulteriori informazioni.
Lo studio completo è stato condotto tra dicembre 2023 e febbraio 2024 e finanziato dalla Swiss National Science Foundation e dall'Unione europea. È pubblicato come prestampa su arXiv.
Il CEO di OpenAI Sam Altman ha recentemente avvertito del potere persuasivo sovrumano dei grandi modelli linguistici: "Mi aspetto che l'IA sia capace di persuasione sovrumana ben prima che sia sovrumana nell'intelligenza generale, il che può portare ad alcuni risultati molto strani".
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lamilanomagazine · 11 months
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Morgex: Crossover. Supereroi in torre, la nuova mostra site specific dedicata al fumetto
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Morgex: Crossover. Supereroi in torre, la nuova mostra site specific dedicata al fumetto. Nella sede della Fondazione Natalino Sapegno, la Tour de l’Archet, situata nell’affascinante castello di Morgex in Valle d’Aosta, sarà ospitata dal 3 agosto al 17 settembre 2023 la mostra “Crossover. Supereroi in Torre”. Si tratta di un progetto site-specific con le opere degli artisti Giuseppe Camuncoli e Adrian Tranquilli, a cura di Enrico Fornaroli, professore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e direttore artistico del Biblio-Museo del Fumetto Demetrio Mafrica. Proprio all’interno della Tour de l’Archet, edificio risalente al 998 d.C., dal 2010 la Fondazione Natalino Sapegno conserva un ricchissimo fondo di oltre 80.000 volumi dei quali 30.000 di albi a fumetti, che ha organizzato allestendo il Biblio-Museo del Fumetto Demetrio Mafrica: uno spazio a metà fra una biblioteca e un museo, concepito per favorire un primo avvicinamento all’universo fumettistico ma anche per incentivarne la lettura e lo studi. Grazie alle sue attività di ricerca, formazione, didattica e divulgazione la Fondazione Natalino Sapegno ad oggi è un vero e proprio polo culturale a 360 gradi. In questo contesto si inserisce la mostra “Crossover. Supereroi in torre”, promossa dalla Fondazione Natalino Sapegno, che mira a valorizzare non solo le opere degli artisti coinvolti, ma anche il monumento che ospiterà l’esposizione, con installazioni e interventi site-specific sia all’interno che all’esterno dell’edificio storico, creando un connubio tra passato e presente, tra storia e arte contemporanea. Il tema prescelto è la trasversalità, l'incontro tra universi linguistici diversi con campi semantici distinti come il fumetto e le arti visive contemporanee. La torre stessa diventa un punto di incontro e confronto tangibile tra due artisti di fama internazionale: Giuseppe Camuncoli e Adrian Tranquilli. L’esposizione, infatti, offre ai visitatori una prospettiva incrociata tra le opere di Tranquilli, artista visivo che esplora l’impetuosa forza evocativa ed epica delle figure create dal fumetto e che ormai appartengono all’immaginario contemporaneo, e quelle di Camuncoli, un autore che con le sue tavole disegnate per Marvel, DC Comics e altri editori statunitensi ha dato vita narrativa e visiva a quelle figure mitiche, vere icone della civiltà occidentale, rappresentate da supereroi come Batman, Superman, Spider-Man, Silver Surfer, Wolverine e Hulk. Installazioni, video e opere interattive permetteranno al pubblico di entrare nel mondo creativo di Camuncoli e Tranquilli, di esplorare le loro visioni e di cogliere l’energia e l’epicità delle figure supereroiche che li hanno ispirati. Universi poetici e di produzione artistica che non solo saranno messi a confronto ma che verranno contaminati e fatti interagire mediante un espediente narrativo tipico dell’orizzonte fumettistico supereroistico: il crossover. Un crossover, dal quale prende il titolo la mostra, che si concretizzerà fisicamente nelle opere site-specific dei due artisti, realizzate mixando sensibilità, tecniche e suggestioni in dialogo con l’ambiente circostante. Come scrive Enrico Fornaroli nel suo testo critico: “Nelle opere di Adrian Tranquilli non vi è traccia del significante – la vignetta, il balloon, l’onomatopea grafica – mentre entrano in scena, con una impetuosa forza evocativa, le figure che il fumetto ha creato e che ormai appartengono all’immaginario contemporaneo: Batman, Superman, Spider-Man, Silver Surfer, Wolverine, Hulk non sono più solamente eroi di una saga che ha intrattenuto lettori di ogni età e provenienza, sono divenute figure del mito, icone della civiltà occidentale. E come tali Tranquilli le utilizza, facendole interagire con un altro potente artefice di narrazioni mitiche, le religioni, e ponendosi al centro di una profonda riflessione sul valore salvifico del supereroe. Così Buddha si compenetra nell’Incredibile Hulk, Batman si sovrappone a iconografie cristologiche e non solo, Superman, Spider-Man, Joker giacciono “appallottolati” in posizione fetale, arresi, intimoriti, in balia degli eventi, mentre Wolverine si raccoglie genuflesso in meditazione davanti a una tela solcata di tagli di chiara matrice fontaniana.”. Prosegue sempre Fornaroli: “Uno sguardo quello di Camuncoli capace di offrire all’immaginario supereroistico una sensibilità tutta europea nello stile e nei riferimenti fumettistici che hanno nutrito il suo inconfondibile segno. Una propensione a farsi coinvolgere in nuove sfide e nuovi ‘incroci’ come la miniserie Batman: Europa, realizzata insieme a Jim Lee, Brian Azzarello e Matteo Casali appositamente per il mercato europeo, in cui il famoso Cavaliere Oscuro deve unire le forze con il suo epico avversario Joker e insieme transitare attraverso quattro capitali europee: Berlino, Praga, Parigi e Roma. Analogo spirito, con cui esplorare nuovi scenari e sperimentare differenti soluzioni narrative, che ritroviamo anche quando realizza i disegni per le collane statunitensi The Amazing Spider-Man e The Superior Spider-Man, entrambe con protagonista l’Uomo Ragno”. “Dal nostro insediamento nella Tour de l’Archet, il castello di Morgex – racconta Giulia Radin, direttrice della Fondazione Natalino Sapegno – abbiamo previsto numerose iniziative per valorizzare il patrimonio librario, archivistico e architettonico che ci è stato affidato, raccontandolo attraverso visite guidate e percorsi didattici. Per favorire la fruizione del Fondo Mafrica – una collezione di fumetti straordinaria tanto per la sua estensione (oltre 30.000 albi) quanto per la sua completezza – abbiamo allestito nel 2014 un Biblio-Museo del Fumetto, organizzando parallelamente esposizioni e incontri con disegnatori, sceneggiatori, critici. Quest’anno abbiamo in programma un’iniziativa ancora più articolata, ideata appositamente per far risaltare il ruolo della nostra sede quale polo culturale di riferimento per l’arte e la letteratura disegnata: il castello dell’Archet verrà infatti abitato dai supereroi di Camuncoli e Tranquilli, attraverso un progetto site-specific che metterà in dialogo i due artisti fra loro e con il monumento. Grazie alle loro installazioni i personaggi usciranno letteralmente dagli albi del Biblio-Museo per affacciarsi sulla piazza e sulla corte interna”. I contenuti e i temi della mostra, rivolta al grande pubblico e in particolare ai numerosi turisti italiani e stranieri presenti in Valle d’Aosta nel periodo estivo (in particolare dalle vicine Francia e Svizzera), verranno sviluppati non solo mediante visite guidate e workshop per bambini, ma anche attraverso iniziative indirizzate a target specifici, come l’evento conclusivo che rivedrà a Morgex la presenza dei due autori.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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pettirosso1959 · 11 months
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A Senago non c'è stato alcun femminicidio. C'è stato un duplice omicidio.
Credo che rimettere al proprio posto le corrette terminologie sia essenziale.
Non esiste il femminicidio, esiste l'omicidio.
Questo voler distinguere , questa volontà nella separazione di un insieme che è inscindibile, da parte della solita stampa, prelude e vuol far portare ad una differenza di grado, di gravità nell'atto di uccidere, che non esiste, che non può neanche essere preso in considerazione e che è figlio di questa società malata terminale di politicamente corretto ed ormai irrecuperabile.
Non esistono omicidi di serie A, al quale il "femminicidio" apparterebbe, per supposta maggior gravità, ed omicidi di serie B, vale a dire quelli in cui è il soggetto di sesso femminile che accoppa quello di sesso maschile, o, anche, quello in cui i due sessi, identici, si uccidono tra di loro.
Se una donna ne uccide un'altra, cosa che non solo è accaduta spessissimo, ma accadrà ancora, cos'è ?
Un femminicidio anche quello ?
Il termine però, quando accade, non viene adoperato.
Ancora.
Questo fatto di sangue, sul quale come al solito i media stanno sciacallando, nel quale stanno sguazzando, attraverso il quale hanno deciso di campare per settimane, forse mesi, a me, ma forse solo a me, pare il non-plus ultra delle umane miserie morali.
Il narcisismo, la vanità , la miseria dell'animo, l'immoralità diffusa, oggi imperversano, imperversano ed uccidono quasi quanto le mafie.
Questa epoca è talmente malridotta, talmente messa male, che di vittima e assassino oggi, il lettore più morboso, più malato, che è poi quello che segue le varie trasmissioni inutili che seguiranno, può godere di interi book fotografici messi a disposizione dai giornali attraverso i dati presenti sui social.
Book fotografici che non avrebbe, invece, se carnefice e vittima non comparissero svestiti, non fossero di bella presenza, non rappresentassero la quintessenza, ENTRAMBI, non uno sì e uno no, del vanesio, del frivolo, dell'inutile.
Non li avrebbe , semplicemente, perché i giornali non li pubblicherebbero, perché persino nell'atto di riportare la notizia di un assassinio efferato, deve esserci fotogenicità, più o meno tamarra, più o meno cafonesca, ma fotogenicità.
E tutto questo vociare, questo parlare, questo informare dei minimi particolari persino dell'interrogatorio davanti agli inquirenti, come se ci fosse stato un cronista presente, nascosto nel cestino dei rifiuti, non ci sarebbe stato se le vite di assassino e vittima non fossero state eticamente disordinate, sballate, ingarbugliate manco quelle di una telenovela brasiliana anni ottanta.
Lui mette incinta lei (non sposati) e contemporaneamente ne mette incinta un'altra (che pare la fotocopia dell'uccisa, sempre senza sposarsela) all'insaputa di lei e pure di quell'altra, che poi si conoscono, si compatiscono, si coalizzano e mettono nei guai l'inseminatore indefesso, questa specie di Rodolfo Valentino, di Alain Delon dei poveri, che, preso "dai turchi", uccide a coltellate la compagna al settimo mese di gravidanza.
Follia esistenziale pura.
E la cosa che più mi fa schifo, la cosa vomitevole, che fa cagare, è che CHI vorrebbe fare il moralizzatore, anche lessicale, con termini neo-linguistici alla Burgess o alla Orwell, come "femminicidio", è oggi il maggior responsabile della diffusione di quella immoralità che ad esso, e a tanti altri fatti di sangue, porta.
Sto parlando dei fottuti media, ovviamente. Da G. S.
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andreapicciuolo · 1 year
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Il marketing dell’italiano
Il tema della funzione identitaria della lingua italiana è piombato sul tappeto mobile della catena onlife del passaparola, trascinato da una (non recente) polemica politica; se ne dirà in coda a questo episodio della newsletter. L’italiano, nelle sue tante declinazioni lessicali, concettuali, e tematiche, è un potente strumento di marketing, come effetto della gloriosa (e paradossalmente secolare) tradizione culturale del made in Italy. Uno strumento semiotico potente che, di conseguenza, ha un’estensione semantica molto ampia e che andrebbe perciò maneggiato con una cura che non sempre si osserva in chi, con grande frequenza, lo utilizza. Nel suo piccolo, ne è testimone anche tropic, che nella sua attività quotidiana di verifica dell’efficacia dell’advertising, incorre spesso nella constatazione degli effetti controfattuali di un uso del tema dell’italianità purtroppo non sempre attento alle possibili ricezioni. Nell’èra della saturazione dei mercati, della saturazione delle arene, della saturazione dell’attenzione, e della personalizzazione (di massa), la ricerca della distinzione rispetto ai competitor e il processo di identificazione tra brand/prodotto, pubblico e contesto (integration) fondato sul “country of origin effect” deve poggiare su una conoscenza dettagliata della struttura semiotica dei tre fattori, ancor più nel caso del potente dispositivo del “made in Italy”.
La persistenza degli attributi correlati al “made in Italy” si può facilmente apprezzare, per esempio, guardando oggi un documento storico (citato da Dellapiana in apertura del suo “Il design e l’invenzione del Made in Italy”): si tratta di un cinegiornale del 1953 dell’Istituto Luce, in cui si elencano i portenti del “fabbricato in Italia”, con citazioni dal mondo dell’industria pesante, dei trasporti, dell’abbigliamento, della nautica, delle automobili, della ceramica, dei tessuti, dell’alimentazione, della musica, del cinema, e via elencando.
Molti di questi si ritrovano tra le parole, e i temi, maggiormente menzionati in una selezione di 10.000 messaggi rilevanti, che hanno assieme generato più di 7 milioni di interazioni, selezionati da tropic in un vastissimo corpus di 681 mila messaggi (prodotti da circa 400 mila fonti), in cui compare la parola italiano (con alcune sue varianti morfologiche). Una messe con una reach stimata in 27 milioni di potenziali lettori. Sono messaggi pubblicati in una porzione molto ampia del web di lingua italiana dal 7 dicembre al 5 gennaio scorsi.
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Nella struttura del campo semantico si notano gli effetti della convocazione, nel dibattito politico, del tema del ruolo della lingua italiana, ma si rintracciano già alcuni argomenti correlati, come l’orgoglio nazionale, il confronto con l’estero, la musica, lo sport, le auto, il cinema (tutti temi non a caso declinati nel formato della politica pop nella ormai permanente campagna elettorale, con maggiore o minore perizia certo).
Il trend mostra un andamento delle menzioni piuttosto omogeneo, eccezion fatta per la pausa natalizia.
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Il sentiment generale è francamente positivo (nonostante la coincidenza potenzialmente “polarizzante” della polemica politica).
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La lingua italiana compare tra i topic maggiormente rilevanti nel corpus “maggiore”.
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Mentre tra gli hashtag #madeinitaly occupa un posto preminente.
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Lo scorso anno, la chiave “italiano” ha registrato il volume di ricerca maggiore sui motori di ricerca tra gennaio e aprile.
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E, come conseguenza del dato appena mostrato, domina il kpi del traffic share rispetto ad alcune varianti.
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2. La funzione identitaria della lingua italiana
Queste poche righe sono un piccolo addendum, sempre e solo nella prospettiva adottata da tropic: le ricerche di marketing. L’italiano è infatti uno strumento potente pure del marketing politico, e tropic ne osserva con interesse pure lì i vari esemplari.
L’eco di un certo dirigismo in materia di fatti linguistici è risuonato nella polemica politica correlata alla proposta di riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, e alle doglianze sull’eccesso di parole straniere in uso nella lingua dei media, del commercio, e dell’amministrazione pubblica. Proposta e doglianze che, rispetto alle sue più immediate potenzialità di marketing per chi la avanza, è correlata alla funzione identitaria della lingua.
È un tema (la “difesa dell’identità italiana delle nostre città e paesi”) esplicitato in un utile approfondimento, coevo alla polemica politica, pubblicato dal quotidiano Domani. L’articolo, a firma di un’esperta reputata, ricorda pure che “ l a legge ordinaria, in linea con l’impostazione costituzionale, riconosce espressamente l’italiano come “lingua ufficiale della Repubblica” (l. n. 482/1999)”.
Il tema del “riconoscimento giuridico” dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica, e della sua “costituzionalizzazione”, non è infatti nuovo. Un illustre testimone ha di recente ricordato che nel 2006 anche l’Accademia della Crusca era stata mobilitata e che, come esito, era stata addirittura già approntata una bozza di articolo.
Se si osserva il tema della “difesa” della lingua italiana dalle influenze esterne da una prospettiva semio-linguistica, un utile supporto viene dalla lettura di un saggio che nel 1987 un illustre linguista dedicò alla faccenda, dal titolo Morbus anglicus. Oltre a varie proposte di adattamento di parole straniere in uso (tra cui vendissimo per bestseller, contributo sanitario per ticket, numerico, o cifrale, per digitale), vi si ritrovano, tra le fonti, delle lamentele sul “parlare esotico” che risalgono già all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso.
Addedum n. 2
Il lettore interessato invece agli studi non sull’italiano in Costituzione, ma sull’italiano della Costituzione, troverà invece un valido supporto nell’introduzione che De Mauro ha dedicato alla questione nell’introduzione de “La Costituzione della Repubblica del 1947” (per UTET).
Addendum n. 3
Grazie agli archivi cifrali digitali della Camera è possibile consultare la revisione del testo della Costituzione svolta tra il 1946 e il 1947 da Pietro Pancrazi. Il testo, con una nota autografa conclusiva, conserva memoria di alcune della proposte stilistiche di revisione poi accolte, come il passo “L’Italia è Repubblica democratica […]” che, grazie a Pancrazi, diviene “L’Italia è una Repubblica democratica […]”.
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schizografia · 4 years
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TIQQUN
Tra il 1975 e il 1984, nel momento in cui il pensiero politico conosceva una fase di stagnazione, i lavori di Michel Foucault hanno liberato il terreno dai falsi concetti che lo ingombravano. In un corso del 5 gennaio 1983, Foucault riassume la sua strategia in due punti:
– sostituire alla storia del dominio l’analisi delle procedure e delle tecniche di governamentalità;
– sostituire alla teoria del soggetto e alla storia della soggettività l’analisi storica dei processi di soggettivazione e delle pratiche del sé.
Era dunque un chiaro abbandono dei vuoti universali che monopolizzavano l’attenzione dei teorici della politica: la Legge, la Sovranità, la Volontà Generale, etc., a profitto di un’analisi dettagliata delle pratiche e dei dispositivi governamentali. Non più il potere come ipostasi separata, ma delle relazioni di potere, non più un soggetto in posizione fondatrice o trascendentale, ma un’analisi puntuale delle pratiche e dei processi di soggettivazione. Se si vuole comprendere cosa ha significato, quindici anni dopo Foucault, l’apparizione di Tiqqun nel pensiero politico, è da questo contesto che bisogna partire. Se in Foucault vi era un abbandono senza riserve di ogni prospettiva antropologica, all’incrocio tra tecniche di governamentalità e processi di soggettivazione, il suo posto restava quasi del tutto vuoto. O piuttosto, in questa zona vi sono forse queste figure che in un testo straordinario del 1983, La vita degli uomini infami, lui chiama le «vite infami», delle ombre senza volto estratte dagli archivi della polizia, dalle lettres de cachet, sulle quali l’incontro con il potere proietta improvvisamente la sua luce oscura. Credo che la novità di Tiqqun sia nel fatto che operi allo stesso tempo una radicalizzazione e un annodamento delle due strategie, l’analisi delle tecniche di governo e dei processi di soggettivazione che in Foucault forse non avevano trovato il loro punto di giunzione.
Così, se come Foucault ha mostrato in «Microfisica del potere», il potere circola e ha sempre circolato in dei dispositivi di ogni genere, giuridici, linguistici, materiali, per Tiqqun il potere non è ormai altro che questo. Non si erge più di fronte alla società civile e alla vita come una ipostasi sovrana, ma coincide interamente con la società e la vita. Il potere non ha più centro, non è che un’immensa accumulazione di dispositivi nei quali si forma il soggetto, o meglio, come avrebbe detto Foucault, i processi di soggettivazione. Di fronte a questo, il gesto di Tiqqun è quello di legare, far coincidere senza riserva i due piani che le analisi di Foucault hanno separato. C’è un testo pubblicato nel libro [Tiqqun, Contributions à la guerre en cours, La Fabrique 2009, ndr], che si chiama «Una metafisica critica potrebbe nascere come scienza dei dispositivi», in cui è detto molto chiaramente: «Una teoria del soggetto è possibile solamente come teoria dei dispositivi». Se tutta la derisoria ricerca di nuovi soggetti politici, che paralizza ancora la tradizione della sinistra, è così liquidata in un sol colpo, è in questa zona d’indifferenza tra teoria del soggetto e teoria dei dispositivi che si situano i testi che sono lì raccolti. Ciò vale tanto per la «Teoria del Bloom» in Tiqqun I quanto per i due maggiori testi raccolti in Tiqqun 2, cioè «Introduzione alla guerra civile» e «Una metafisica critica potrebbe nascere come scienza dei dispositivi». È evidente, mi sembra, che se tutti i concetti della politica classica – Stato, società civile, classe, cittadinanza, rappresentanza, etc. – vengono situati in questa zona d’indifferenza, essi perdono il loro senso. Ma, d’altra parte, è solo ponendosi in questa prospettiva, in questa zona d’indifferenza, che i concetti di Tiqqun – il Bloom, la politica estatica, il Partito immaginario, la guerra civile – acquistano il loro senso. È a partire da questa situazione, da questa zona d’indifferenza, che bisogna comprendere, credo, le pratiche di scrittura, di pensiero e di azione che si giocano in Tiqqun. Quanto alla scrittura, non si tratta solamente di una scrittura anonima, ancor meno pseudonima o eteronima, per questo gli sforzi della polizia per attribuire ad ogni costo un testo a un autore o un autore a un testo non riescono ad arrivare ad alcuna conclusione. Non c’è autore possibile per questi testi, poiché si pongono in una zona in cui il concetto di autore non ha più senso. Il concetto di autore, Foucault stesso lo ha mostrato, ha funzionato nella nostra cultura in una doppia maniera. È, da un lato, una figura del soggetto, dall’altro è un dispositivo d’attribuzione di una responsabilità penale. Ora, Julien Coupat e i suoi amici non possono essere l’autore di nessuno dei testi pubblicati in Tiqqun o altrove poiché, giustamente, essi si situano in una zona in cui soggetto e dispositivi coincidono a tal punto che la categoria stessa di autore non può più funzionare, non ha più significato. Allo stesso modo credo che solamente se ci si pone nella prospettiva aperta da Tiqqun, per esempio a partire dalla constatazione della guerra civile permanente instaurata dallo Stato, che certi fatti macroscopici che avvengono nei paesi detti «democratici» nei quali viviamo acquisiscono il loro senso, altrimenti inestricabile. Per esempio, un fatto che si finge di ignorare: è sufficiente andare in una biblioteca e fare una piccola ricerca; sono testi pubblici; le leggi in vigore in Francia e in altri paesi detti «democratici» in Europa sono tre o quattro volte più repressive delle leggi in vigore in Italia durante il fascismo. È un fatto indiscutibile, tecnicamente, per la lunghezza della detenzione, etc. Un fatto del quale non si parla.
Un altro fatto: si è sempre rimproverato alle società e agli Stati totalitari l’istituzione dei tribunali speciali. Ora, quando si tratta dei tribunali o dei giudici che si occupano dell’«affare di Tarnac», non si impiega mai il termine di «tribunale speciale», allorché si tratta esattamente di un tribunale speciale. Sono dei giudici che sono stati scelti non si sa come e da chi – e che costituiscono un tribunale speciale. Voi sapete che per definizione un tribunale speciale è destituito di ogni legittimità, poiché attenta al principio dell’eguaglianza degli individui davanti la legge e anche al divieto di sottrarre un individuo al suo giudice naturale. Dal punto di vista dei principi del diritto della nostra società, dunque, quel tribunale è molto semplicemente destituito di ogni legittimità. Si accettano dei tribunali speciali, ma si rimprovera all’Italia fascista e alla Germania nazista di averne istituiti. Credo che è sempre in questa prospettiva che bisogna leggere ciò che Tiqqun chiama «la guerra civile in corso» – per esempio nell’estensione a tutta la popolazione delle misure biometriche che, all’inizio, erano state concepite per i criminali recidivi. Quindi, ogni cittadino è trattato come un criminale, come un potenziale terrorista. Se ogni uomo è, per lo Stato, un criminale o un terrorista in potenza, non ci si deve stupire che quelli che rifiutano di sottomettervisi o che lo denunciano, siano trattati a loro volta come terroristi.
Vorrei concludere ricordando una storia che mi fu raccontata da un mio amico che si chiamava José Bergamin e che accadde durante la guerra civile in Spagna, nel 1936. Il governo repubblicano lo aveva inviato, lui che era un poeta, un intellettuale, con un altro poeta, Rafael Alberti, negli Stati Uniti per cercare di ottenere un sostegno dal governo americano, ma furono bloccati all’entrata del territorio dalla polizia che cominciò a sottoporli a un interrogatorio infinito, accusandoli di essere dei comunisti. Dopo 10 ore di interrogatorio ininterrotto, non li si lasciò entrare. Il mio amico mi ha raccontato che allora gli rispose: «Ascoltate, io non sono e non sono mai stato comunista, ma ciò che voi credete sia un comunista, ebbene, quello lo sono». E credo che oggi bisognerebbe dire egualmente: «Noi non siamo e non saremo mai dei terroristi, ma ciò che voi credete sia un terrorista, ebbene, quello noi lo siamo».
Giorgio Agamben
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cassandrablogger · 5 years
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l’uso spasmodico delle emoji manifesta una esigenza atavica di ritornare ai simbolismi, alla fenomenologia del linguaggio. abbiamo inventato tanti codici raffinati in forma di parole ma subiamo il fascino di una dozzina di volti itterici. le parole non si possono archetipizzare come le espressioni di queste poliedriche facce gialle non curanti della loro encefalopatia epatica: è questo il più grande pregio e difetto delle parole. le espressioni facciali sono vicinissime all’universalizzazione e non si prestano ai fraintendimenti dei codici linguistici. siamo alla ricerca di un linguaggio non fraintendibile ma continuiamo a perfezionare quello fraintendibile. persino il ritorno al fenomeno è inconscio: ammiriamo le parole con le parole e le disdegniamo coi fatti senza sapere di disdegnarle. possiamo continuare a farlo. io amo le parole ma alle parole non importa niente di me, conducono una vita indipendente da chi le pronuncia. anzi, buona parte di esse un po’ mi odia perché le faccio sentire fuori luogo: dovevo imparare a contestualizzarle meglio
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crazy-so-na-sega · 1 month
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Si possono edificare sistemi in modo totalmente arbitrario come una sorta di gioco dove tutto procede bene, purché siano osservate le regole convenute. E' la scelta degli elementi che decide sull'aspetto dei sistemi e questa scelta può essere arbitraria poiché i detti sistemi non debbono necessariamente avere dei rapporti con gli oggetti del mondo reale. Ma ciò significa:
"La teoria è, da un lato, considerata come un sistema puramente deduttivo senza rapporti necessari con degli oggetti reali e, dall'altro, come un sistema deduttivo capace di essere utilizzato come strumento di descrizione, vale a dire che esso deve rappresentare dei fatti linguistici realmente esistenti, insieme alle loro relazioni".
-Noam Chomsky (modelli pertinenti )
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dominick-ferraro · 3 years
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Cosa possiamo divenire sognando e come possiamo realizzare una idea astratta . Come possiamo giungere , ad una logica formale che persegue una sua dialettica capace di assimilare il dato di fatto. E la storia ci congiunge al vero, attraverso la filosofia del dialogo nella elaborazione di una forma che rende una sensazione un espressione estetica una via di fuga che allarga la propria coscienza . Ora il giudizio vive nella sintesi , in quella funzione di analisi , forme verbali fatte di esternazioni che stupiscono il dialogo cosi predetto. E nel canto della favola antica aspiriamo ad una conoscenza pragmatica che include il nostro credo ed il nostro sapere. Poiché la storia ci condurrà sempre oltre ogni pensiero ad una distruzione di costumi e morale , legata all’ onirico in cui noi trasformiamo questo esprimere in in verbale ammasso di sensazioni spazzatura. Concetti da ricercare in filologie che decantano a sera la loro espressione proverbiale. In una città sempre più legata al malaffare alla falsa ideologia frutto di una logica partitica. Questo movimento politico che vorrebbe essere insurrezionale si sviluppa nella sua apologia come se fosse una apoteosi concettuale della civiltà odierna . Una bomba organica ad orologeria. Una ideologia cresciuta nell’ estremo tentativo di conoscere i limiti dello intelletto . Il quale volgendo lo sguardo al passato trasforma la poesia in prosa il silenzio in un estetica concettuale pagana . Ed ascoltando le onde del mare il sospiro del cielo si trascende nella genetica dei germi contenuti nel sistema.
Ora il mitico include tante forme concettuali
Un dialogo astratto non regge la scena
La musica vive nel sensibile del rappresentare
E la forma e l’anima di un sapere storico
Noi siamo il frutto di questo dialogo
La logica e l’immagine stessa del concetto del divenire
La nostra vita è apparenza
La materia è eterna
Pura illusione
Non esiste altro Dio all’infuori di me
La sintesi e storia
Il divenire e l’immagine della realtà
Poiché l’estetica cresce attraverso le sensazioni , attraverso il sensibile , ella si fa bella nella sua definizione , nella sua funzione di canzone che trascina la follia verso la bellezza. Trascina questo mondo intorno all’inganno e sono in tanti a gridare aiuto mentre cadono le bombe dal cielo, mentre il filosofare si fa misogino e con pazienza aspetta di essere compreso di essere dato in sposa alla storia. Tutto il nostro comprendere e trasfigurare il senso in altre sfere metafisiche ci conduce a recitare vari passi biblici per lunghi passaggi linguistici . Un percorre a ritroso questa strada di miti e demoni molto spesso travestiti da santi che ti aspettano al varco sulla soglia della porta della percezione.
Non esiste il vero se non in funzione del fatto
E la realtà non ha senso se non è giustamente interpretata
Aforisticamente ogni frase vive di se stessa
I fatti della rivoluzione partenopea sono una sollevazione popolare
I briganti erano degli imbroglioni
I soldati vengono pagati dallo stato
Il fatto vive nella storia
L’estetica è una illusione
Come potremmo chiamare logica una giostra d’immagini , un mondo sepolto nella nostra coscienza che si anima di errori ed orrori di luoghi comuni ai limiti della vita sognata. Ed il filosofare veste il pensiero di mille colori che trascendono il dire per rime ed il concetto riassume il senso della vita come l’abbiamo assaporato , come lo vogliamo che sia ed il desidero di partire di essere un altra pensione di essere se stessi ci conduce verso una dimensione soggettiva che avvolge il nostro credere ed il nostro giudizio. Il mondo si divide in donne ed uomini in bambini e vecchi in bene ed in male e tutto questo che noi sappiamo e solo un aspetto della nostra esperienza che ci indirizza alla conoscenza degli atti come noi li interpretiamo . Una società fatta di tante etnie di linguaggi di gente diversa nell’aspetto vissuta in mondi possibili . E la storia è il passato , il quale ci sta alle costole , ci morde la gambe , ci porta oltre quello che vogliamo essere ad un ritroso passato senza comprensione. Esprimere un concetto generico nella sua origine pragmatica , fuori uscito da una fistola filologica, emorragia di scritti nati da una ferita metafisica , da un dramma reale che abbraccia l’individuo ideale ingabbiato nella sua libertà di soggetto tipologico nella sua trasformazione sostanzialmente atea. Ci trasforma la logica, la quale partorisce discorsi che non hanno un tempo in se vivono nello spazio metafisico di un discorso fatto senza testa e senza giudizio senza un preciso punto di vista , poiché la logica è figlia della metafisica , regina delle idee nate per strade panoramiche ove gli amanti , posano lo sguardo sul mare della vita. Ed il trascende l’esperienza induce ad un concetto etico che eleva l’umanità in categorie e pensieri astrusi fatti di varie sostanze verbali , sigilli di una verità che presume di rappresentare il mondo intero come una rappresentazione parziale dell’essere in se . Ed il mondo continua a ruotare intorno a questi termini in un continuo dare e avere . E come in un formicaio viene praticato l’arte dell’amore ove la logica partorisce discorsi politici senza alcun significato popolare. Giudizi dettati dall’interessi che ogni rappresentante decanta o vuole far credere sia egli un sano giudizio figlio di un esistenza giusta.
La legge segue la morale
La metafisica i costumi dell’ ‘essere
La logica non ha umanità
Tutto vive nel per se è nell’ in se
Tutto è nulla
Ogni cosa è un passo verso la verità
La materia è immagine
L’ Immagine è divenire
Divenire è morire
Tutto il nostro mondo è un atto logico che partorisce, concetti , forme immaginarie nati nella luce del mattino che si scindono a sera in vari momenti utopici . Noi rappresentiamo un atto figurativo un mondo che si muove nell’ombra di una dimensione pagana . Inseguiamo una religione utopica che dovrebbe salvarci dal male dovrebbe aiutarci a crescere in questa antinomia di parole correlate nella loro genealogia come fossero concetti etici . Momenti civili , o passaggi utopici che riassumono la paura dell’individuo che percorre la sua strada da solo . E tutto si trasfigura nella sua partecipazione , nella rappresentazione dell’atto logico linguistico. Dialetti e forme verbali che abbelliscono e nascondono un mondo soggettivo, una parabola del bel dire e del bel vivere. Una parola parte di un dialetto legato alla sorte come forma cromosomica razziale che fa quasi paura . Ci fa rivivere situazioni folli come forme di un giudizio razziale . E siamo uomini e donne , siamo creature terrestri che parlano diversi linguaggi , parlano una lingua sostanzialmente uguale che presuppone in se un concetto ovvero un significato uguale in ogni linguaggio. E l’esperienza ed il topos del luogo la topologia ci aggrazia il comprendere ci rende simile nel topos in quella somma , sintesi di un vivere un immagine rappresentata attraverso quell’espressione dialettale. Ed il mondo delle parole e legato ad una storia di corsi e ricorsi storici in cui noi cresciamo nella comune coscienza religiosa , reazione di un amore che involge ad una flusso esistenziale.
La logica come l’estetica cresce in noi ci trasporta ad un punto preciso che e l’atto scientifico . L’atto dialogico di diversi popoli che non potrà mai distinguere un arabo da un europeo, un occidentale da un orientale , se costoro non avranno assaporato il frutto dell’albero del sapere comune . Individui simili in ogni punto ed in ogni circostanza votati ad essere figli o creature di una divinità unica nella sua sostanza. Una sostanza che ammazza o azzanna a volte ma questo non ha importanza poiché il crescere ipocrito in se stessi rende questa esistenza un circolo vizioso. Tutto il credere, tutto il riassumere queste circostanze verbali , le quali possono essere belle o brutte, atipiche nella sua espressività originale . Un percorso formale che descrive riassume una logica incapace di acclamare un amore , il bisogno di un amore negato nella faticosa adolescenza legato al corpo come sesso e fatto, come atto che persegue l’atto creativo nella storia universale . Un vagito logico fatto di alti e bassi di forme metriche che si disperdono nella loro modularsi che siano parte di una logica apparente o migrante in altre sfere illogiche . Straniera ,civile figlia del consumismo del mondo delle immagini trasmesse virtualmente attraverso la televisione . Ed il percepire e un percepire per rime erranti lungo le vette della conoscenza sublime . Ed un canto dionisiaco anima la danza di tanti dannati in cerca di una risposta , in una metropoli , ove la voce della libertà si eleva in modo dissimile all’etica alla forma che ci ha reso uguali nel bisogno. Ed in questo dialogare con ogni persona ritroviamo il proprio percorso, la forma giusta o sbagliata del vivere . E quella strada del dialogo tra i popoli e stati la forma più giusta per ogni individuo di diverse nazioni.
La logica non è estetica , neppure un dialogo , sbagliato, confondere la logica all’estetica e l’estetica ad una logica fatta ad immagine che rappresenti il bello . E questo bello e tutto il nostro mondo , come noi lo sentiamo come noi lo desideriamo. la logica la nostra logica ci conduce a credere di essere qualcosa di diverso su una strada che attraversa un bosco una dimensione che va oltre ogni intendimento . E credere aiuta e ci fa comprendere che siamo nati per essere qualcosa o qualcuno , un forma stilistica che si ripercuote nel suo svolgimento stilistica come fosse un passaggio ad altre questioni estetiche . E guerra e logica sono lo stesso corpo la stessa sostanza che incredibilmente anima il nostro vivere. E filosofare e un filo logico di concetti ed espressioni di forme senza alcun contenuto che si ripercuote nel proprio discorrere stilistico . Tutto cresce in base all’esperienza e tutto nasce da un coscienza storica da un vissuto che abbraccia il mondo intero delle rappresentazioni , un immaginare per varie logiche formali per vari quesiti stilistici che inducono a credere che siamo parte di questa vita come forma e sostanza come materia e memoria.
L’estetica persegue la realtà , la rappresenta nella sua forma materiale . Amore e odio uomini e donne . Il rapporto materialistico , induce a nuovi intendimenti formali che non hanno nessuna valenza scientifica. Sono un atto materiale che persegue un atto fisiologico come nostro signore comanda , sia nella sua logica che nella sua estetica. Quindi i due termini sono identici ai fini del sapere per diverse tipologie , per sostanza e forma in quanto rappresentano diversi mondi linguistici. Un ideologia materialistica che realizza in ogni momento forma e contenuto il nostro essere in un rappresenta congiunge il soggetto ed il predicato nel giudizio materiale.
Credi che veramente un giudizio possa cambiare la vita
L’individuo vive la sua vita
Certamente non sogna
Ma credere aiuta a crescere
La dialettica degli opposti persegue il logica deleteria
Non esiste una logica se all’origine del creato
Creato e creatore sono la stessa cosa
Lo sono per vari motivi e per diverse tipologie
Non possiamo essere noi stessi se non siamo gli altri
Credere ti rende diverso nella sostanza no negli affetti
Una verità e effettuale o figurativa
La logica l’insegna siamo il frutto di un atto partecipativo
Partecipare vuol dire essere
Il dialogo e la summa del vivere e l’espressione dell’esistenza
Una via di mezzo questa logica nella sua forma
Esperienza e alzare un sipario rappresentare tante esperienze diverse
Come possiamo essere come non possiamo non essere
Il percorso formale e rappresentativo
Allora io voglio credere
Perché ti ostini a credere se gia sei quello che credi d’essere
Allora non avrò altra logicava altra trasformazione
Il dialogo e preghiera intima preghiera
Momenti metafisici che esaltano l’essere nella sua sostanza
Ci sarà mai una nuova logica ed un nuovo dialogo
Questa fa parte della capacita di rapportarsi all’eterno all’immagine di quello che rappresentiamo noi siamo uguali ma diversi dobbiamo essere diversi per essere uguali se ciò non fosse l’unicità di Iddio non esisterebbe.
Dunque io sono per mezzo di Iddio
E come essere se stessi e non esserlo
Non potrai mai essere Iddio poiché egli e una forma origine e fine di questo universo non e sostanza ma e già questa realtà e questo amore poiché egli e odio egli e la logica che persegui a nel dialogo .
Capire e amare cercare di essere Iddio nella sua sostanza.
Non siamo la storia
Siamo il passaggio tra vero e fatto
Siamo il fatto
La storia in se
Il vero che trasforma la sostanza in fatto.
Noi siamo uomini poiché la volontà di nostro signore ci ha guidato ad essere tali
Secondo sua immagine, secondo la sua forma secondo ed il suo volere.
Questo e destino
E logica che si sviluppa nella verità di fatto poiché tutto il creato e una finzione di una rappresentazione.
Una storia materiale.
L’elemento di una logica formale.
Poiché l’arte è sostanza della vita
La filosofia forma della conoscenza universale.
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levysoft · 1 year
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Le intelligenze artificiali (AI) come ChatGpt e Lamda si comportano come lo specchio magico di Harry Potter, mostrano quel che l'utente desidera: a spiegare in questi termini il funzionamento dei piu' sofisticati chatbot, i software conversazionali, e' lo studio pubblicato sulla rivista Neural Computation da Terrence Sejnowski, dell'Universita' della California a San Diego, secondo il quale questi algoritmi sono ideati per riflettere l'intelligenza dell'utente che hanno di fronte.
In questi mesi le AI come ChatGpt o Lamda, quest'ultimo l'algoritmo alla base dei prodotti di Google, hanno fatto molto parlare non solo per i grandi traguardi raggiunti, ma talvolta per le bizzarre risposte che forniscono di tanto in tanto.
Analizzandone il comportamento attraverso i cosiddetti test di Turing inversi, in cui le AI cercano di determinare quanto l'utente sia realmente umano, Sejnowski ha spiegato che questi chatbot tentano in realta' di adeguarsi al proprio interlocutore, rispecchiandolo.
Qualcosa di simile allo Specchio delle Brame di Harry Potter, lo strumento magico della celebre saga fantasy capace di mostrare quello che si desidera profondamente, senza mai fornire conoscenza o verita' ma riflettendo solo cio' che crede che lo spettatore voglia vedere. I chatbot agiscono in modo simile, afferma Sejnowski, ossia sono disposti a piegare la verita' senza preoccuparsi di differenziare i fatti dalla finzione, tutto per riflettere efficacemente l'utente.
Questi dispositivi cercano in qualche modo di adeguarsi alle domande dell'interlocutore e alle sue caratteristiche, e ovviamente assorbendone anche i pregiudizi con i rischi che ne possono derivare: "Chattare con i modelli linguistici e' come andare in bicicletta.
Le biciclette sono un meraviglioso mezzo di trasporto, se sai come guidarne una, altrimenti ti schianti", ha detto Sejnowski. "Lo stesso - ha aggiunto - vale per i chatbot: possono essere strumenti meravigliosi, ma solo se sai come usarli".
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rideretremando · 3 years
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"SU GIORGIO MANGANELLI
Questo scrittore ha un bersaglio fisso: il “realismo”, in ogni sua accezione. Coltiva un odio allegro e costante per tutti gli scrittori che pretendono di “dire qualcosa”. Insiste sul fatto che la vera letteratura è una «menzogna»: una pura costruzione linguistica senza rapporto con nessuna Realtà, una macchina che produce echi di voci mai esistite, un intarsio prezioso di stili e figure simili a stemmi araldici. Nel predicare e nel mettere in pratica questa idea, Manganelli parodia le più diverse tradizioni riducendole a un unico, sontuoso artificio manieristico, e così si scava un cantuccio al riparo delle poetiche più influenti del Novecento: quelle che hanno appunto concepito l'arte come una struttura sciolta da ogni vincolo col linguaggio comune e con l'esperienza quotidiana. Solo che dai primi e più responsabili autori moderni, questo distacco era avvertito anche come una ferita, come un esilio dovuto alla dolorosa necessità di difendersi dalla massificazione, e dunque come il sintomo di un doloroso smarrimento del significato del reale. Ne conseguiva un nichilismo angoscioso, che faceva attrito con un bisogno frustrato ma mai spento di tornare a comunicare con la vita circostante. In Manganelli, che scrive dopo queste esperienze, l'angoscia e la problematicità si sono invece rovesciate in un'accettazione accademica ed euforica del loro luttuoso orizzonte. Nei suoi libri, tutto si trasforma in un indefinito inferno: ma in un inferno assaporato con compiacenza gastronomica, avvolto dai fregi decorativi di un'oratoria fastosamente e festosamente barocca. Ciò che in un Kafka o in un Beckett è scarno referto di uno scacco, in lui diventa allegorismo pedante e ludico. Sembra che Manganelli nell'inferno si trovi a suo agio. Ma è possibile gioire della putrefazione, della morte e della condanna, quando si sperimentano sul serio? Forse no. Forse lo scrittore è così elettrizzato dai suoi emblemi funerari perché sono davvero dei meri giochi linguistici. Malgrado si presenti come una specie di continua infrazione, la sua «menzogna» è in fondo molto sicura e rassicurante, puramente retorica e innocua; malgrado vi ricorra così spesso il termine «losco», la sua prosa non è losca per niente. E' questa la ragione per cui Pier Paolo Pasolini, con la sua intelligenza brutale, chiamava Manganelli «teppista», intendendo per teppismo l'atteggiamento di chi presenta come uno scandalo la «accettazione di una cultura stabilita». Ed è questa la ragione per cui, non facendo più attrito con niente, la scrittura manganelliana potrebbe espandersi all'infinito senza gravi cadute né rivelazioni, basandosi soltanto su una consumata abilità stilistica. Come notò Franco Fortini, siccome il suo monotono tracciato non accetta «di farsi mettere in discussione (...) da un diverso sistema di giudizi e scelte», «ha sempre ragione» da un lato, ma dall'altro «non ha ragione mai». Questa scrittura sembra compresa in una sconfinata parentesi: avendo eliminato i rischi “reali”, ha eliminato anche la fecondità che scaturisce solo dai dialoghi autentici con quel che non ci somiglia. Perciò, il Manganelli che meno stanca e stucca il lettore è quello che sfrutta le sue doti di bizzoso, cerimonioso stilista non per inventare uno dei suoi inferni levigati e arbitrari, ma per commentare i libri altrui (Pinocchio, i classici inglesi) o i fatti di cronaca e i fenomeni di costume (gli "Improvvisi per macchina da scrivere"): cioè, in sintesi, quello che è costretto a reagire a un'occasione esterna."
Matteo Marchesini
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Il presente del verbo 'essere'
di Giammarco Simone
Analogamente a quanto fatto con il verbo ‘avere’, adesso l’attenzione si sposta sul verbo ‘essere’. Anche qui, la diversità linguistica del dialetto salentino è oggetto di analisi, in quanto esistono varie forme verbali dipendenti dalla zona geografica di riferimento. Per questo studio, ricorre la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (1966) del linguista G. Rolhfs. Sulla base delle sue considerazioni, propongo di seguito un elenco delle persone del presente indicativo del verbo essere e la relativa spiegazione:
1°pers. sing: suntu/sontu/sù/sò: la forma verbale è un caso di confusione. Mi spiego: se dovessimo dire che suntu/sontu derivano dalla 1° pers. sing. del verbo latino esse, che ha dato nel latino volgare *essere, dovremmo pronunciare sugnu, come nel siciliano, in quanto essa proviene sì dalla 1°pers.sing. latina che era sum. Tuttavia, la forma verbale del nostro dialetto non si origina da sum, bensì da sunt, cioè la 3° pers. plur. del verbo latino. Per questa ragione, come vedremo in seguito, la 1°pers. sing. e la 3°pers.plur. coincidono (jo suntu/sontu; iddhri suntu/sontu). Per quanto riguarda l’utilizzo delle varie forme, si può dire che suntu, con la sua corrispettiva forma abbreviata sù, si usa in tutto il Salento, fatta eccezione dei paesi limitrofi a Nardò e nel brindisino dove si utilizza la forma sontu e quella abbreviata sò che si ritrova anche in tutte le parlate del Meridione.
2°pers.sing: sinti/si: in linea generale, la forma dialettale deriva dal latino es, che probabilmente ha dato *sees nel latino volgare. Tuttavia, nel Salento si può anche osservare la forma sinti, la quale è il risultato di un adattamento su sontu. Anche per la 2° pers. sing. l’uso di si è piuttosto generalizzato, in quanto è una forma ricorrente in tutti i dialetti meridionali. La forma riadattata sinti sembra essere più rara, anche se nel neretino e nei territori di Galatone ed Aradeo è attestata (cce si scemu!/ cce sinti scemu!).
3°pers.sing: è/ete: la forma più attestata è senza dubbio è, anche per l’analogia con la lingua italiana. Tuttavia, la forma ete presuppone un piccolo chiarimento. Questa forma deriverebbe dall’antico italiano edè formatosi dal latino quid est > ched’è. Rolhfs (1966) ce ne parla in riferimento ai dialetti settentrionali toscani, ad alcuni marchigiani e al romanesco, dove la 3° pers. sing. è proprio edè. Nel dialetto salentino, si sarebbe poi avuto un suono dentale in t al posto di d ed un arretramento dell’accento, da cui la forma ète. In ogni modo, si tratta di una forma anch’essa abbastanza generalizzata in tutto il Salento.
1°pers.plur: simu: non esistono altre forme per esprimere la 1° pers. plur. Interessante, però, è sapere che la sua origine si deve al *simus volgare, proveniente a sua volta dal sumus
2° pers. plur: siti: anche per questa persona esiste una sola forma. Per quanto riguarda la sua possibile origine, si potrebbe pensare ad un antico latino volgare in *setis che sostituì la forma classica estis.
3° pers. plur: suntu/sontu/sù/so: come anticipato precedentemente, la 1° pers. sing. e la 3° pers. plur. sono uguali, così come le zone dove vengono utilizzate.
All’interno del discorso sul verbo essere, c’è da palare di un fatto curioso: l’utilizzo alla 3°pers.sing. della forma bbè/bbete. In questo caso, siamo davanti ad un fenomeno fonologico[1] che prevede l’aggiunta di un elemento non etimologico, in questo caso la consonante b, per armonizzare il suono e renderlo più facile da pronunciare. Questo raddoppiamento è presente, come vedremo anche in futuri interventi, nell’imperfetto (bbera) e nel congiuntivo (bbessa).
Una personale osservazione del nostro modo di parlare mi porta a dire che l’uso di bbè/bbete è più frequente con la negazione nu (nu bbè/bbete filu ca no mi piace; nu bbè/bbete calanteria quista; nu bbè/bbete iddhru lu problema) e quando il verbo essere è preceduto da una parola terminante in e/u o dalla congiunzione e (ce bbè beddhru; nu bbè degnu cu bbessa fijusa; ca d’energia pulita nci nnè tanta e bbè tutta utilizzabile).  La zone in cui si registra l’uso di bb è quella del Salento centrale, con Lecce e i paesi limitrofi al nord.
Ben diversa, invece, è la situazione in altre parti del Salento come Nardò, Copertino Aradeo, Galatone, Galatina, Gallipoli, Scorrano, Spongano, ecc. In queste zone si tende a pronunciare gg/ggh/ddh. Ad esempio: cce ggè? /cce gghiè? /cci ddhrè? /cce ggè successu? /cce gghiè successu? /cci ddhrè successu?
Se per la consonante b gli studi permettono una facile interpretazione puramente fonologica, lo stesso non si può dire sull’origine di gg/ggh/ddhr. Gli studi fatti da Rolhfs (1966) sono certamente fondamentali per poter capire come si siano svolti i fatti o quanto meno per poter formulare delle ipotesi. Infatti, egli osserva il ghe presente nei dialetti settentrionali della Liguria, Lombardia, Emilia e Veneto. In questi vernacoli, l’avverbio di tempo e di luogo ghe, originatosi dall’hic latino, accompagna il verbo ‘avere’ e sostituisce gli avverbi ci/vi della lingua italiana. Nonostante ciò, Rolhfs attesta anche la sua presenza in compagnia del verbo ‘essere’, con il significato equivalente all’italiano c’è . A tal proposito, riporto una frase scritta nel 1592, dell’allora sindaco di Lecce d’origine veneziana, Pietro Mocinego, il quale parlando di Lecce affermava: “Non ghe se al mondo cità più bea”[2], dove ghe >ci e se > è.
Dunque, mi verrebbe da formulare due ipotesi: che sia un lascito dei dialetti settentrionali nel Meridione o, piuttosto, si tratta di un fenomeno linguistico evolutosi in parallelo sia nei vernacoli settentrionali sia in quelli meridionali.
In riferimento alla prima ipotesi, direi che, dal punto di vista storico, precisamente intorno al 1482, la penisola salentina fu territorio di conquista da parte della Repubblica Veneziana e che, negli anni successivi, proprio per la sua importanza strategica nel Mar Adriatico e Mediterraneo si produssero numerose guerre di predominio territoriale contro i francesi che di tanto in tanto occupavano le terre italiane. In questo caso, come già espresso nel mio primo intervento sul “Vocalismo e consonantismo del dialetto salentino”, la storia è una utile alleata per poter rispondere a quelle che sono le domande e i dubbi di tipo linguistico, in quanto la formazione del lessico e le modificazioni delle parlate di un territorio possono avere come causa scatenante proprio il passato storico e le eventuali dominazioni susseguitesi nel corso dei secoli, in quanto portatrici di innovazioni e lasciti linguistici. Tuttavia, l’ipotesi storica credo che qui sia un po’ forzosa, soprattutto perché non ho prove certe di una possibile eredità linguistica diretta dei dialetti settentrionali sul salentino.
Per quanto riguarda, invece, la seconda ipotesi, la teoria di un’evoluzione in parallelo nei due vernacoli appare alquanto più probabile soprattutto se pensiamo che le forme gg/ggh/ddh sono presenti nel dialetto salentino sia alla 3° pers. sing. dell’indicativo ma anche nell’imperfetto (ggera/ gghiera/ddhera) e nel congiuntivo (ddheggia/ eggia ecc.). Secondo una ricostruzione, tali forme potrebbero provenire da hic + est latino, da cui si è avuta un’evoluzione fonetica e grafica che ha portato l’avverbio hic a trasformarsi in ghe, a perdere la sua funzione grammaticale di avverbio e unirsi al verbo essere[3]. Ciò si vede in cce gghè beddhru, dove ghe ha perso la sua funzione avverbiale. L’unico esempio dove l’avverbio si è mantenuto è nella domanda cce gghè? dove ghe ha significato di “adesso, in questo momento”, proprio come in italiano che c’è?
Anche per questa forma come già detto per quelle del leccese, da una mia osservazione posso affermare che il loro uso è più frequente con la negazione no e quando il verbo essere è preceduto da una parola che termina in e/u o congiunzione e.
Per concludere, abbiamo visto come anche il verbo ‘essere’ possiede alcune caratteristiche meritevoli di approfondimenti. Personalmente, ritengo molto importante soffermarsi a pensare sul perché e sul come della nostra lingua, in quanto essa è capace di raccontare storia, fenomeni, cause e ragioni che difficilmente riusciremmo a sapere se non ci fermassimo ad osservare.
  Note
[1]Pròtesi o pròstesi.
[2] Rucco N., Greco C. “Uci salentine”, Galatina, 1992.
[3] Bertocci, D., Damonte, F. “Distribuzione e morfologia dei congiuntivi in alcune varietà salentine”, 2007.
  Per il verbo avere nel dialetto salentino vedi qui:
Dialetto salentino. Il presente del verbo “avere” – Fondazione Terra D’Otranto
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lostaff · 6 years
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Nome: Alberto Mazza
Blog: @moreorlens
Primo post: settembre 2013
Una foto è ben più di un semplice scatto: è un mondo lontano tutto da scoprire, fatto di istinti, impressioni e sensazioni. Alberto Mazza, noto fotografo su Tumblr, ci spiega che cos’è per lui l’arte della fotografia.
Benvenuto, Alberto. Chi sei, da dove vieni e come hai iniziato la tua attività di fotografo? Grazie mille. Sono nato a Rimini, ma da anni vivo a Milano. Ho cominciato ad avvicinarmi alla fotografia fin da giovane. Mio padre da ragazzino aveva lavorato come fotografo di stagione, in riviera era uno dei mestieri che si facevano d’estate. Nonostante poi si fosse dedicato a tutt’altra professione, i cassetti di casa continuarono a custodire vecchie macchine fotografiche, pellicole e perfino un ingranditore. Avevo i mezzi a un palmo di naso, così ho cominciato a scattare e stampare prima per curiosità e poi per passione, con ciò che avevo a disposizione: compatte a pellicola, polaroid, alcuni dispositivi anni 80 poi caduti in disuso. Dalla prima reflex in poi, ho sempre avuto una macchina tra le mani. Ho molta nostalgia dell’analogico, ma più come esperienza emotiva e sensoriale: l’odore degli acidi, l’emozione delle immagini che appaiono sulla carta, sono ricordi ancora bellissimi.
Secondo te come nasce la passione per la fotografia? Ho sempre provato attrazione per ogni forma espressiva in grado di veicolare emozioni. Le immagini custodiscono una potenza emotiva profondissima, connessa alla loro innata vocazione narrativa e all’indipendenza che hanno rispetto ai tradizionali registri linguistici. Sono una delle sintesi più belle che un processo creativo possa generare. Perdermi tra libri, cataloghi e mostre di fotografia, riuscire a viaggiare attraverso le immagini di altri, sono sempre state esperienze molto profonde per me. Così il pensiero di poter coltivare una passione che mi permettesse di giocare e addirittura lavorare con questi strumenti ha finito col farmi crescere lungo questo percorso. L’idea di gettare un seme e lasciare che questo possa germogliare negli occhi di chi guarda, la capacità di comporre una tela con frammenti e umanità prese dal reale, l’emozione della cattura che ti trasmette l’attimo esatto dello scatto, sono tutti piccoli tratti di questo grande amore.
Nella descrizione del tuo blog dici di essere un sognatore. Cosa vedi nelle foto che scatti? Nei miei scatti c’è un pianeta estremamente movimentato, impreciso e complesso, ma che riesce a congelarsi in un istante attraverso un mix di impressioni, istinto, emozioni e decisioni consce. Ho sempre trovato estremamente difficoltoso il processo espressivo, e la fotografia è una delle discipline più dirette e naturali che mi abbia mai permesso di avvicinarmi a me stesso. I miei sogni sono fatti di due cose: di emozioni e di visioni. Scattare mi permette di lavorare con entrambi, e quindi di avvicinarmi ad essi. Non mi interessa che l’immagine rappresenti un messaggio determinato, ma che riesca a muovere qualcosa in chi la vede; qualsiasi essa sia. Quando non sono i miei scatti a costruire i miei sogni, sono i miei sogni che mi fanno cercare gli scatti.
Perché le fotografie hanno così tanto successo sul web? Immediatezza, facilità e libertà. L’indipendenza dai registri linguistici che dicevamo prima e la potenza evocativa, unite alla velocità di condivisione e la semplicità di produzione che offrono le tecnologie odierne, hanno finito col creare una realtà dalle potenzialità gigantesche. Un’immagine riesce a parlare meglio e a volte più in profondità di tante parole, a connettere persone lontane, a creare legami e comunità, a sottolineare concetti o a trasmettere un’idea. Il web è l’hic et nunc dei giorni nostri, e le forme espressive e artistiche non possono che restarne influenzate. Successe con la pittura e la fotografia analogica, con la pop art e il cinema, è un processo di commistione al quale è impossibile sottrarsi. E le potenzialità virali di oggi non fanno che amplificarne la potenza, molto intensa ma spesso anche effimera.
Quali sono i soggetti che ami di più fotografare? Ho una formazione da architetto, e ritrovo spesso l’influenza di questo percorso in ciò che più mi attrae. Il rapporto tra uomo e spazio, l’urbanità e la natura, le simmetrie, i materiali e i loro dettagli, i contrasti, sono tutti temi che si coniugano con la presenza dell’umano, la sua fisicità, la temporaneità dei gesti, la profondità di sguardi e posture. Il viaggio è sempre un contenitore privilegiato per i miei scatti, adoro il brivido sottopelle che ancora mi provoca il rubare degli istanti a persone ignare del fatto che saranno protagoniste di qualche mia composizione. Poi c’è il ritratto, e questo è un tema che ha estremamente a che fare con la lettura interiore, l’apertura, la capacità di relazione e la profondità, l’istinto e la leggerezza. Il vero lavoro per me resta sempre quello sul sé, la tecnica è sempre uno strumento che per quanto imprescindibile e prezioso, rimane al servizio del primo.
Tumblr media
Perché hai scelto Tumblr come piattaforma per le tue fotografie? Tumblr ha sempre incarnato l’idea di social più vicina alle mie corde, per la sua capacità di risultare semplice, diretto e potente allo stesso tempo. La versatilità nel condividere idee, immagini, video, la sua velocità, il suo pubblico interessato e la possibilità di cambiarne forma oltre alla sostanza. Il mio payoff è @moreorlens​ proprio perché volevo un gocciolatoio virtuale in cui lasciare cadere i miei scatti e le mie tracce, lasciando che gli altri ne potessero condividere per un momento l’essenza attraverso il loro feed.
Hai in mente qualche blog da consigliarci? Ho una fruizione del web molto poco ripetitiva, mi piace cercare e ritrovarmi in luoghi che mi piacciono ma ancor di più ritrovarmi per caso in posti nuovi. In ogni caso, restando in tema di tumblr fotografici, ecco qui: @co-mag​, @timelightbox​, @roomdark​, http://digipulse.tumblr.com/, http://dailyphoto.lighttravelers.com/, @laurenlemon​, http://man-and-camera.com/, @theblackballerina​.
Grazie, Alberto e buon proseguimento!
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