Tumgik
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la capitale (pt.2)
Il tumulto si spense immediatamente e tutti cercarono di aiutarsi l’un l’altro. Poi i garbugli furono sgarbugliati, il Gran Mogol, sporchissimo, si ripulì e la testa del Brahmano venne rimessa a posto. E quindi riprese l’allegro clamore.
“Mio buon signor Drosselmeier, cos’è questa storia del pasticciere?”, domandò Marie.
“Mia cara signorina Stahlbaum”, rispose lo Schiaccianoci, “Pasticciere è il nome che diamo a un potere sconosciuto ma terrificante che secondo noi può fare qualsiasi cosa a un essere umano. È la minaccia che pende su questa nazione piccola e allegra. E questa piccola nazione ne ha talmente tanta paura che basta pronunciarne il nome per placare i tumulti peggiori, come ha appena dimostrato il sindaco. Allora ognuno smette di pensare alle cose materiali, come spintoni nei fianchi e botte in testa. Invece si ritrae in se stesso e dice: ‘Che cos’è l’uomo? E cosa può esserne di lui?’”
Marie non poté trattenere un’esclamazione di ammirazione, anzi, di estremo stupore. Improvvisamente si ritrovò davanti a un castello rosa tutto luccicante con aeree torrette rosa. Ma qua e là sulle mura erano sparsi odorosi bouquet di violette, narcisi, tulipani e garofani. E i loro colori scuri, intensi erano semplicemente abbacinanti quando facevano risaltare la tinta rosea contro lo sfondo bianco. L’ampia cupola della costruzione centrale e i tetti a piramide delle torrette, erano cosparsi da migliaia di scintillanti stelle d’oro e d’argento. “Siamo davanti al Castello di Marzapane”, disse lo Schiaccianoci.
Marie era totalmente assorta dalla visone di quel palazzo incantevole, ma non le sfuggì che mancava del tutto il tetto di una delle grosse torri. Alcuni omini, appollaiati su un’impalcatura fatta di bastoncini di cannella, sembravano intenti a restaurare il tetto. Prima che lei riuscisse a chiedere qualcosa allo Schiaccianoci, lui disse:
“Non molto tempo fa questo bel castello venne minacciato di distruzione, se non addirittura di totale devastazione. Arrivò il Gigante Dentidolci e morsicò quel tetto, e stava già per mangiare la cupola. Però gli abitanti di Feliciburgo gli portarono un intero distretto cittadino, più una notevole porzione del Bosco di Marmellate, come tributo. Lui li mangiò e andò via.”
Nello stesso istante si sentì una musica dolcissima e piacevole, i cancelli del castello si aprirono e uscirono dodici paggi che portavano tra le manine dodici steli di trifoglio come lanterne. I paggi avevano una perla come testa, il corpo fatto di rubini e smeraldi e camminavano su piedini bellissimi fatti di oro lavorato. Erano seguiti da quattro dame grandi quasi quanto la Clara di Marie, ma così elegantemente lustre e splendide che Marie non poté non riconoscerle all’istante come principesse nate. Una di questa abbracciò teneramente lo Schiaccianoci ed esclamò, con gioia malinconica:
“Oh, mio principe! Mio caro principe! Fratello mio!”
Lo Schiaccianoci ne fu profondamente commosso. Si asciugò le copiose lacrime dagli occhi, prese la mano di Marie e disse con magniloquenza:
“Questa è la signorina Stahlbaum, la figlia di uno stimatissimo ufficiale medico, colei che mi ha salvato la vita. Se lei non avesse lanciato la scarpa al momento giusto, se non mi avesse portato la spada di un colonnello in pensione, io a quest’ora sarei nella tomba, divorato da quel maledetto Re dei Topi. Oh, la signorina Stahlbaum! È forse da meno di Pirlipat in bellezza, gentilezza e virtù, anche se lei è una principessa nata? Io dico di no!”
E tutte le dame gridarono “No!”, corsero ad abbracciare Marie e dissero: “Oh, salvatrice del nostro principesco fratello, meravigliosa signorina Stahlbaum!”
Poi le dame scortarono Marie e lo Schiaccianoci all’interno del castello, un ambiente vasto le cui mura erano fatte di cristalli scintillanti. Ma le cose che a Marie piacquero di più furono le graziose seggioline, i tavoli, le credenze e i secrétaire sparsi dappertutto. Erano fatti di legno di cedro e verzino ed erano tutti cosparsi di fiori dorati. Le principesse invitarono Marie e lo Schiaccianoci a sedersi e poi loro avrebbero preparato da mangiare. Tirarono fuori un sacco di pentolini e scodelle fatti di finissima porcellana giapponese; e poi coltelli, cucchiai, forchette, griglie, casseruole e altri attrezzi da cucina tutti fatti d’oro e d’argento. Poi portarono deliziosi frutti e dolci, come Marie non li aveva mai visti, e delicatamente spremettero i frutti con le loro manine bianche, pestarono le spezie e grattugiarono le mandorle zuccherate. In breve, sapevano cavarsela in cucina. Ed era chiaro che le principesse stavano preparando un pranzo delizioso.
Mentre comprendeva chiaramente che sapevano bene quel che facevano, Marie in segreto desiderava partecipare attivamente al lavoro delle principesse. Come se le avesse letto nella mente, la più bella tra le sorelle dello Schiaccianoci mise in mano a Marie un piccolo mortaio d’oro e le disse: “Dolcissima amica, cara salvatrice di mio fratello, mi pesti lo zucchero candito?”
Marie pestò così allegramente che il pestello suonò con la grazia e il fascino di un bel motivetto.
Lo Schiaccianoci cominciò a raccontare la sua storia, in verità dilungandosi e divagando. Raccontò della spaventosa battaglia tra il suo esercito e quello del Re dei Topi, della sua sconfitta causata dalla codardia delle sue truppe. Lo Schiaccianoci disse anche che quel repellente Re dei Topi voleva mangiarlo, e che perciò Marie aveva sacrificato alcuni dei suoi sudditi.
Durante il racconto Marie si sentì come se le sue parole e lo stesso battere del pestello si allontanassero, si facessero sempre più confusi. Ben presto Marie vide come dei veli argentei che sorgevano come leggeri sbuffi di vapore nei quali si muovevano le principesse, i paggi e lo Schiaccianoci. Sentì un canto, un ronzio, un sibilo in lontananza. E poi si sentì sollevare, come spinta dalle onde, sempre più in alto. Sempre più in alto.
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