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#scultori in legno
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Roberto Manzano Hernandez, "Equilibrio - Balance", 2010, scultura in marmo bianco, collezione privata.
" LASCIAMI sciolte le mani
e il cuore, lasciami libero!
Lascia che le mie dita scorrano
lungo i sentieri del tuo corpo.
La passione - sangue, fuoco, baci -
mi incendia con fiamme tremule.
Oh, tu non sai cosa significa questo!
È la tempesta dei miei sensi
che piega la giungla sensibile dei miei nervi.
È la carne che urla con le sue lingue di fuoco!
È l’incendio!
E tu sei qui, donna, come un legno intatto
ora che tutta la mia vita vola ridotta in cenere
verso il tuo corpo pieno di stelle, come la notte!
Lasciami libere le mani
e il cuore, lasciami libero!
Voglio solo te, voglio solo te!
Non è amore, è desiderio che svanisce e si spegne,
è precipitazione di furie,
avvicinamento dell'impossibile,
ma ci sei tu,
ci sei tu per darmi tutto,
e per darmi ciò che possiedi sei venuta sulla terra –
come io son venuto per contenerti,
e desiderarti,
e riceverti! "
[Pablo Neruda, "VI - LASCIAMI sciolte le mani" da "Poesie erotiche", 1933 ]
Roberto Manzano Hernemez, nato a Madrid nel 1972, è attualmente uno dei più importanti scultori spagnoli. Dal 1996 vive a Urrácal (Almería), dove ha realizzato importanti progetti e ha vinto numerosi premi. Le sue opere, quasi tutte in marmo bianco di Macael (ma anche in creta e bronzo), richiamano l'estetica dell'ultimo periodo del Rinascimento, il Manierismo e il concetto scultoreo di figure così importanti della Storia dell'Arte come Michelangelo o Bernini.
I soggetti che crea possono esprimere i sentimenti e le forme più complesse degli stati della condizione umana: purezza e sensualità, amore e dolore, felicità e malinconia, bellezza e bruttezza ... Nelle sua opere dominano i contrasti: forme morbide e ruvide, temperamento e delicatezza, semplicità e complessità ....
Tra le sue opere principali ricordiamo: Yerma; Monumento al poeta caduto Cano Cervantes; Omaggio all'intelligenza.
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Sculture in legno sui 4 elementi naturali, ecco i vincitori
Il Comune di Campobasso ha approvato le graduatorie degli artisti, scultori e artigiani che hanno partecipato all’iniziativa promossa dalla Fondazione ‘BCC Valle del Trigno’ finalizzata alla promozione, attraverso l’arte, dell’impegno di tutti i cittadini per il raggiungimento degli obiettivi climatici italiani ed europei. I partecipanti hanno realizzato opere in legno sul tema dei quattro…
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edicoladelcarmine · 1 year
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CHIESE DEL TERRITORIO DEDICATE ALLA MADONNA DEL CARMINE
Il Santuario della Madonna del Carmine si trova in Via Pietro Corvi nel Comune di Ceprano (FR) ed insieme all’annesso Convento dei Padri Carmelitani Scalzi, è stato edificato nel 1897 per desiderio di Mons. Pietro Corvi, nativo di Ceprano, Nunzio Apostolico in Polonia. L’intento del fondatore era quello di dotare di una sede definitiva il Collegio Teologico della Provincia Romana dei PP. Carmelitani Scalzi, di cui rimase privo a partire dal 1873, anno in cui lo Stato italiano soppresse il convento di Santa Maria della Vittoria. La Chiesa conventuale, che dipende dalla Parrocchia di Santa Maria Maggiore, è opera dell’architetto bolognese Prospero Sarti è in stile rinascimentale, presenta una pianta a croce latina ed è a navata unica. La facciata è ornata da elementi decorativi in terracotta, realizzati degli scultori perugini Francesco Biscarini (1838 – 1903) e Raffaele Angeletti (1842-1899). Le numerose opere di pregio presenti nel Santuario sono state eseguite su disegno dello stesso Sarti, mentre quelle in legno appartengono all’estro dell’artista Carlo Magni di Ceprano. Le decorazioni pittoriche sono state eseguite da noti artisti dell’epoca, tra i quali Alberto Albani ed Ettore Ballerini. Mons. Carlo Livraghi, Vescovo della Diocesi di Frosinone-Ferentino-Veroli, il 21 Gennaio 1962 elevò la chiesa a Santuario Mariano Diocesano e, in ricordo di tale evento, sulla piazza del santuario fu inaugurata la monumentale fontana dedicata alla Madonna. Per saperne di più: https://edicoladelcarmine.suasa.it/Ceprano.htm lPer aggiungere informazioni: [email protected]
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano: La presentazione del volume “Rossella Gilli. Il Potere degli Elementi” a Palazzo Reale
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Milano: La presentazione del volume “Rossella Gilli. Il Potere degli Elementi” a Palazzo Reale. Lunedì 6 marzo, nella Sala Conferenze di Palazzo Reale a Milano ci sarà la presentazione del volume “Rossella Gilli. Il potere degli Elementi”, edito da Skira a cura di Fortunato D’Amico. All’interno dell’importante monografia, in tre lingue, sono presenti testi di Fortunato D’Amico fra cui un’esaustiva intervista che si sofferma sui punti salienti del lavoro di Rossella Gilli. L’evento coinvolgerà come relatori Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale, Fortunato D’Amico, curatore del volume e l’artista Rossella Gilli. Il libro traccia una dettagliata panoramica del percorso artistico di Rossella Gilli, dall'inizio della sua carriera fino alle ultime opere realizzate. Analizza con precisione le evoluzioni del suo fare arte e la continua ricerca attraverso tecniche e materiali differenti. Le opere di Gilli sono molto variegate e ricche di simbolismi, trovando espressione su tele, sculture, incisioni e gioielli. La sua arte è influenzata dai grandi maestri dell'arte come Caravaggio, Leonardo, Tiziano, Degas, Turner e Casorati, così come dai celebri scultori come Medardo Rosso. L'attenzione al disegno, alla resa dei volumi, alla luce e al colore emerge in modo evidente nelle tele con soggetti architettonici, naturalistici e nei nudi. Inoltre, l'aspetto spirituale è spesso legato ai 5 elementi della filosofia cinese: metallo, legno, acqua, fuoco e terra. L'artista definisce le sue opere "alchemiche", poiché mostrano quanto sia labile il confine tra realtà concreta e astratta. La sua poetica mette in evidenza una continua rielaborazione e reinterpretazione dei segni e dei simboli, che determina un cambiamento esteriore connesso alle dinamiche e ai moti interiori dell'animo. Questo percorso avviene in maniera indipendente, senza un iter prestabilito, ma richiede una particolare sensibilità e conduce a riconoscere lo spostamento dei saperi oltre la provvisorietà della materia. Le ottanta immagini delle opere sono raggruppate in macro-temi, come Nudi e Ritratti, Mare, Terra Sabbia Roccia, Architettura, Sculture, Fiori, Gioielli. Ognuno di essi mostra la messa a punto del processo alchemico, ovvero la trasformazione di soggetti reali in rappresentazioni allegoriche. Le immagini dell'acqua, delle sabbie, delle rocce, delle pietre e delle architetture lasciano intravedere letture differenti che danno vita a molteplici interpretazioni. Il fiore è il simbolo alchemico più adatto a rappresentare Rossella Gilli, spesso raffigurato dall'artista. In esso sono nascosti i misteri della vita svelati attraverso l'analisi attenta della forma e della perfetta geometria. Rossella Gilli è un'artista milanese laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Milano e ha conseguito un dottorato di ricerca presso l'Università di Firenze. La sua ricerca artistica si concentra sul disegno, che l'ha portata ad aprire una galleria a Milano dedicata alle incisioni e ai disegni antichi, frequentata da importanti personalità del mondo dell'arte come Federico Zeri e Dennis Mahon. Ha esposto in importanti sedi istituzionali e private, tra cui la 54a Biennale di Venezia (2011) e la 14a Biennale di Architettura di Venezia (2014) insieme a Michelangelo Pistoletto. Nel 2013 ha realizzato una grande tela intitolata "Guglia della Madonnina" per la sede della Regione Lombardia a Milano. Nel 2015 espone alla Galleria di Arte Moderna di Genova Nervi e nel 2021 partecipa alla Biennale di Firenze alla mostra collettiva Eternal Feminine, Eternal Change. Le opere di Rossella Gilli fanno parte di importanti collezioni private e pubbliche. Da anni vive e lavora tra Parigi Milano e Marrakech, dedicandosi alla pittura, alla scultura, all’incisione e alla creazione di oggetti e gioielli artistici. http://www.rossellagilli.com  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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The Sculpture Show
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È interamente dedicata alla scultura la mostra che la Accesso Galleria di Pietrasanta propone per la stagione estiva 2022: sono infatti quattro gli scultori figurativi protagonisti della collettiva “The Sculpture Show”, esposta fino al 7 agosto 2022. The Sculpture Show, le opere in mostra Peter Simon Mühlhäußer, Alex Rane, Kelly Robert e Bruno Walpoth presentano un nucleo di circa dieci opere di medie e grandi dimensioni, in bronzo, marmo, terraglia, legno e sabbia, realizzate appositamente per l’esposizione a partire dall’invito della stessa galleria a creare sculture che li allontanassero dalla loro “comfort zone” per dare alla luce pezzi inusuali e innovativi. La spinta a muoversi su territori nuovi è stata interpretata da ciascun artista in modi differenti: chi ha rivoluzionato i propri soggetti, chi ha sperimentato sui materiali, chi sulle dimensioni. Sulle grandi misure ha per esempio lavorato l’artista tedesco Peter Simon Mühlhäußer che in mostra presenta tre sculture di cui due calchi in bronzo ondulato e un’opera in sabbia, la più grande mai creata dall’artista.  Lo stile Nelle nuove sculture si ritrovano però anche alcuni punti fermi del suo stile: la necessità di raccontare attraverso di esse una storia o di riflettere su un tema di attualità, oppure di concentrarsi talvolta sulla pura armonia estetica delle forme sperimentando nuovi materiali in modo che risultino sempre funzionali al messaggio che l’opera intende trasmettere. L’elemento di novità nelle opere del newyorchese Alex Rane è rappresentato dalle posizioni inconsuete che per questa occasione ha fatto assumere alle sue figure. Una delle due sculture in marmo è inusualmente seduta, quasi compressa in se stessa, ed è affiancata a una scultura in piedi che risulta così spiccare in modo esagerato. Da sempre, del resto, Rane indaga con il suo lavoro la gestualità esprimendo attraverso di essa la sua personale visione della spiritualità. Read the full article
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ohpen · 5 years
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Il profumo del cirmolo Circa tre anni fa mi trovavo a Belluno per un incontro pubblico e in piazza c’era un’esposizione di scultori in legno.
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claudio1959 · 2 years
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Il Cristo Rotto
Quando le cose rotte venivano aggiustate...
A Napoli ,nella Chiesa di San Carlo all’Arena in via Foria ,giace un’opera di commovente bellezza che in pochi conoscono, ricavata da un unico blocco di pregiato marmo: è il Cristo Crocifisso di Michelangelo Naccherino, uno dei maggiori scultori trasferitosi a Napoli nel 500.
Adagiato su un tappeto di velluto rosso, ha il corpo segnato da migliaia di fratture e il volto che, in quella posizione, sembra quello di un uomo addormentato, con una espressione serena non più sofferente.
Nato per la basilica dello Spirito Santo in via Toledo ,sparì dalla chiesa durante i lavori di restauro settecenteschi. Fu ritrovato dopo 70 anni, nel 1835. Giaceva nascosto e abbandonato in una cassa posata in un angolo della sagrestia della chiesa.
La scoperta fu ad opera di Tito Angelini, altro grande scultore della scuola napoletana perché gli parve "di grande valore" e fece in modo che il Cristo fosse ripulito, e sollevato su di una croce di legno, perché potesse essere esposto al pubblico. Il solo restauro subìto fu nelle dita delle mani, perché trovate rotte.
Trasportato nella chiesa di San Carlo all’Arena nel 1836, dopo l’epidemia di colera, fu collocato sull’altare maggiore e li vi rimase per circa cento anni.
Nel 1923 un furioso incendio devastò la chiesa e bruciò il crocifisso di legno che per secoli aveva retto la statua di marmo. Il Cristo crollò al suolo frantumandosi in mille pezzi.
Fu un gruppo di fedeli mossi da commozione e fede a raccogliere i frammenti della statua. Con lo stesso amore furono ricomposti i pezzi con gli unici strumenti che avevano a disposizione: colla e amore.
I lavori di restauro restituirono alla chiesa un Cristo ferito con tanto di cicatrici ma sereno e rilassato. Non fu possibile ricostruirne le braccia ma l’espressione del Cristo tuttavia non sembrava più sofferente, come se una volta sceso dalla croce avesse trovato finalmente pace.
Al di fuori del circuito classico del turismo, giace oggi quasi dimenticato. Tutte le sere un piccolo gruppo di vecchiette col capo chino veglia su di lui e mormorando litanie accarezza il bianco marmo martoriato.
Il Cristo Arremeriato, è l’ennesima testimonianza della bellezza e dell’importanza di una città che fu una grande capitale, ricca di opere e di artisti. Una città di struggente e dolente bellezza, nei cui vicoli tracciati da greci e romani, racchiude incastonati nel marmo, nel tufo, nel piperno, le tracce di una antica grandezza.
Tracce malinconiche e suggestive, come le cicatrici sul corpo del Cristo ferito.
L’Arte riaffiorando attraverso le sue fratture comunica un messaggio prezioso. Si deve cercare il modo di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di crescere attraverso le proprie esperienze dolorose, di valorizzarle, esibirle e convincersi che sono proprio queste che rendono ogni persona, come ogni opera, unica, preziosa.
Non tutto è perduto.
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freedomtripitaly · 4 years
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La nostra bella penisola è in grado di regalare tante tipologie di relax e divertimento: montagna, mare, mercatini di Natale e città d’arte. Immergersi nell’atmosfera magica di questo periodo dell’anno non sarà quindi difficile. Una semplice gita fuori porta con i bambini, un weekend romantico in due o giorni spensierati con amici. Abbiamo selezionato alcune delle possibili mete per le prossime vacanze di Natale 2019, diverse tra loro, per accontentare proprio tutti i gusti. Dove andare a Natale: i mercatini da non perdere Prima di tutto, un grande classico: i mercatini di Natale! Fanno brillare gli occhi e non solo ai più piccoli! Ce ne sono tanti, soprattutto nel Nord Italia, primo fra tutti il Trentino Alto-Adige che vanta alcuni dei più antichi ma non solo. Eventi, prodotti artigianali e specialità enogastronomiche sono alla base di questi splendidi luoghi sparsi in giro per l’Italia. Pronti a girovagare per le varie bancarelle cercando il regalo perfetto per il prossimo Natale? Eccovi alcune mete. Trento: storico mercatino in Piazza Fiera e Piazza Cesare Battisti, tra le 90 casette di legno ricche di artigianato locale e specialità gastronomiche come canederli, speck, vin brulé, strudel, polenta e molto altro. Alle famiglie e ai bambini è dedicata la casa di Babbo Natale, in Piazza Santa Maria Maggiore, con laboratori ricreativi e il trenino che porta grandi e piccoli ad esplorare il suggestivo centro storico illuminato in occasione della festività del Natale. Da sottolineare l’attenzione “green” che viene riservata alla manifestazione in cui viene utilizzata energia da fonti rinnovabili. Bolzano: il Christkindlmarkt, in Piazza Walther è il famosissimo mercatino di Natale del capoluogo altoatesino dal centro medievale. L’influenza nordica che si respira ovunque, compresi i piatti tra cui gli Schlutzkrapfen ovvero delle mezzelune, dei ravioli ripieni di spinaci e ricotta tipici della regione del Tirolo. E poi i vini, dai rossi come il Lagrein ai bianchi come il Gewürztraminer e il Müller Thurgau. C’è anche una sezione dedicata solo ai libri, il Natale dei Libri in cui noti scrittori presentano le loro opere e tanti altri eventi. Rovereto: a Rovereto spettacolari giochi di luce per il Natale, che oltre a colorare le vie e i palazzi, porta con sé il messaggio di pace e fratellanza. Il grande albero di 18 metri in piazza Rosmini e il villaggio di Babbo Natale per i più piccoli. Merano: il Villaggio Natalizio Storico è allestito in piazza Rena, prevede buon cibo, laboratori creativi per bambina e musica con bande e cori. La città è ricca dell’eredità ricevuta durante la Belle Epoque come ad esempio il castello degli Asburgo. Vipiteno: la Torre delle Dodici fa da sfondo al mercatino natalizio, in cui le luci, il caldo legno e i profumi delle spezie la fanno da padrone. Candelara: siamo nelle Marche, questo borgo medievale dedica una festa al suo simbolo: la candela. Durante il giorno invece street food, artisti di strada, il presepe vivente che sfila per le vie del centro e ovviamente gli artigiani alle prese con la creazione delle candele di cera d’api. Per i più piccoli l’Officina di Babbo Natale e tante altre magie del Natale. Limatola: nella provincia di Benevento, il Castello di Limatola, diventa la location del mercatino di Natale: “Cadeaux al Castello”. Evento che oltre ad offrire l’opportunità di acquistare addobbi, statuine del presepe realizzati direttamente dagli artigiani locali, assaggiare prodotti enogastronomici come struffoli e zeppole, si può assistere a spettacoli di artisti circensi e attori. Arezzo: un vero e proprio villaggio tirolese in Toscana. Vengono portati prodotti tipici come lo speck, il cioccolato e la birra. Ci sono gli scultori del legno, la casa di Babbo Natale, una grande baita e tour organizzati per esplorare la città. Perugia: un luogo quasi incantato tra le montagne in cui ci sono diversi mercatini di Natale. Particolare quello di Rocca Paolina che offre un suggestivo tour sotterraneo per visitare gli antichi passaggi che proteggevano la città dalle incursioni esterne. Si possono acquistare ottimi prodotti d’artigianato. Taneto di Gattatico: ci troviamo a Reggio Emilia, qui si estende il mercatino al coperto più grande d’Italia. Ideale per fare acquisti compreso l’albero di Natale, con un apposito show room. Dove andare a Natale 2019: le mete in montagna Lo sport, il relax e i piatti tipici assaporati tra cime innevate e davanti al camino, parliamo della montagna. Per molti irrinunciabile in questo periodo dell’anno. Madonna di Campiglio: una meta rinomata, una piccola perla delle Dolomiti. Un posto perfetto per chi ama sciare e non mancano lussuose spa dove rilassarsi e vie delle shopping super glamour dove fare acquisti. Cortina d’Ampezzo: da sempre sinonimo della ricca vita di vip e della settimana bianca per eccellenza. Tra le dolomiti e nel lusso. Cervinia: un paradiso per gli sciatori, a quota 2000 metri, alle pendici del Monte Cervino. Un grande comprensorio sciistico collega la località al Plateau Rosa, ghiacciaio. Bormio: per gli amanti delle Terme nell’Alta Valtellina, è perfetta questa bella località. Relax dopo le sciate, garantito dalle acque termali solfato-alcaline conosciute già dall’epoca romana. Claviere: Val di Susa, Alpi e bei panorami paesaggistici tra boschi, laghi e animali. Chalet e baite, ristorantini con piatti tipici e ovviamente lo sci. Roccaraso: passiamo agli Appennini per un altro luogo da favola per gli amanti degli sci, che si sviluppa intorno ai monti di Roccaraso. Natale 2019: la bellezza tra città d’arte e borghi Per chi desidera trascorrere le vacanze di Natale 2019 in una città d’arte, non c’è che l’imbarazzo della scelta: ecco le mete migliori. Roma: non ha bisogno di presentazioni la Capitale che diventa ancora più magica sotto Natale, tante le possibilità di scelta in giro per la città ma una su tutte è il Vaticano. Il mondo cristiano e la celebrazione in questo luogo è un’esperienza indimenticabile. Da non dimenticare il famoso mercatino di Natale nella splendida cornice di Piazza Navona. Firenze: godersi la bellezza e i tesori di questa città approfittando anche dell’atmosfera regalata dai mercatini di Natale e del pattinaggio sul ghiaccio nelle piste del Winter Park, presso l’Obihall. Napoli: unico il Natale a Napoli, con le sue botteghe artigiane nel centro storico, che producono le statuine dei presepi ispirandosi a personaggi noti, contemporanei o intramontabili. Gubbio: in Umbria, l’albero di Natale più grande del mondo sulle pendici del monte Ingino, oltre al ChristamasLand. Un circuito in cui i bambini possono divertirsi tra giochi innovativi in un’atmosfera tradizionale, nella cornice dello splendido borgo. Manarola: il presepe luminoso del borgo ligure è uno degli eventi più attesi nel territorio delle Cinque Terre. Uno spettacolo regalato da 17000 luci. Matera: il presepe itinerante, uno spettacolo unico nella Città dei sassi, patrimonio Unesco. Un borgo che sembra fuori dal tempo. Natale 2019 al mare Se alla montagne preferite il mare per trascorrere le vacanze di Natale 2019, ecco alcune mete imperdibili. Puglia: il Salento è una meta prediletta da molti italiani e stranieri in estate ma non perde fascino nemmeno d’inverno. Presepi viventi e presepi monumentali in bellissime location, come ad esempio i cortili di palazzi antichi. Famoso quello dell’Anfiteatro Romano a Lecce. Sicilia: un inverno mite senza perdere l’atmosfera natalizia tra mercanti e luci, è quello che offre Catania. Se invece volete scappare su un’isola, c’è Pantelleria con i suoi giardini pieni di agrumi oppure Lampedusa o Linosa. Un po’ di primavera nel cuore dell’inverno. Il Natale 2019 in Italia L’Italia ovviamente offre ancora di più, sono davvero tantissimi gli eventi e le manifestazioni tipiche legate al Natale, di natura religiosa, dedicate al divertimento per i più piccoli o alla sola magia di questo periodo dell’anno, che affascina proprio tutti. Si può approfittare di qualche giorno per una fuga dalla routine verso luoghi incantevoli, senza allontanarsi troppo. C’è la montagna, c’è il mare, ci sono le città d’arte e i piccoli borghi. Volete approfittare delle vacanze natalizie per visitare una città e i suoi monumenti? Volete scaldarvi al sole di un clima mite o scatenarvi sulla neve? Ogni opzione è valida, potendo inoltre approfittare degli squisiti piatti tipici che ogni regione italiana offre. Per queste vacanze di natale 2019 c’è quindi solo l’imbarazzo della scelta. Abbiamo stilato un breve elenco ma sarebbe impossibile racchiudere le tante località. Villaggi di Babbo Natale per intrattenere i più piccoli ci sono in moltissime località, ad esempio anche a Montepulciano in Toscana, la bellezza delle città e dei mercatini anche a Verona e a Torino, le montagne del Terminillo nel centro Italia, le luminarie a Salerno. Tra destinazioni glamour e luoghi incantati, la favola del Natale, si può vivere davvero ovunque. Senza contare che anche disponendo di un budget più ridotto è possibile prenotare un weekend in un luogo vicino, abbattendo quindi i costi dei grandi spostamenti che i luoghi esteri ci richiedono. Quando è meglio prenotare? Molti studi indicano il mese precedente a quello di partenza come quello più conveniente. Tuttavia c’è chi preferisce anticipare di molto e chi opta per il last minute. Certamente una famiglia con bambini piccoli avrà esigenze diverse da un gruppo di giovani amici. Se si è alla ricerca di un viaggio low cost, badate bene anche al giorno di partenza e di ritorno, spesso la flessibilità ripaga, 24 ore fanno sovente la differenza. In macchina, in treno, in aereo, in pullman, raggiungete la vostra meta felice e godetevi la bella Italia per le prossime vacanze di Natale 2019. https://ift.tt/2qRjgXS Vacanze di Natale 2019: le mete italiane più belle La nostra bella penisola è in grado di regalare tante tipologie di relax e divertimento: montagna, mare, mercatini di Natale e città d’arte. Immergersi nell’atmosfera magica di questo periodo dell’anno non sarà quindi difficile. Una semplice gita fuori porta con i bambini, un weekend romantico in due o giorni spensierati con amici. Abbiamo selezionato alcune delle possibili mete per le prossime vacanze di Natale 2019, diverse tra loro, per accontentare proprio tutti i gusti. Dove andare a Natale: i mercatini da non perdere Prima di tutto, un grande classico: i mercatini di Natale! Fanno brillare gli occhi e non solo ai più piccoli! Ce ne sono tanti, soprattutto nel Nord Italia, primo fra tutti il Trentino Alto-Adige che vanta alcuni dei più antichi ma non solo. Eventi, prodotti artigianali e specialità enogastronomiche sono alla base di questi splendidi luoghi sparsi in giro per l’Italia. Pronti a girovagare per le varie bancarelle cercando il regalo perfetto per il prossimo Natale? Eccovi alcune mete. Trento: storico mercatino in Piazza Fiera e Piazza Cesare Battisti, tra le 90 casette di legno ricche di artigianato locale e specialità gastronomiche come canederli, speck, vin brulé, strudel, polenta e molto altro. Alle famiglie e ai bambini è dedicata la casa di Babbo Natale, in Piazza Santa Maria Maggiore, con laboratori ricreativi e il trenino che porta grandi e piccoli ad esplorare il suggestivo centro storico illuminato in occasione della festività del Natale. Da sottolineare l’attenzione “green” che viene riservata alla manifestazione in cui viene utilizzata energia da fonti rinnovabili. Bolzano: il Christkindlmarkt, in Piazza Walther è il famosissimo mercatino di Natale del capoluogo altoatesino dal centro medievale. L’influenza nordica che si respira ovunque, compresi i piatti tra cui gli Schlutzkrapfen ovvero delle mezzelune, dei ravioli ripieni di spinaci e ricotta tipici della regione del Tirolo. E poi i vini, dai rossi come il Lagrein ai bianchi come il Gewürztraminer e il Müller Thurgau. C’è anche una sezione dedicata solo ai libri, il Natale dei Libri in cui noti scrittori presentano le loro opere e tanti altri eventi. Rovereto: a Rovereto spettacolari giochi di luce per il Natale, che oltre a colorare le vie e i palazzi, porta con sé il messaggio di pace e fratellanza. Il grande albero di 18 metri in piazza Rosmini e il villaggio di Babbo Natale per i più piccoli. Merano: il Villaggio Natalizio Storico è allestito in piazza Rena, prevede buon cibo, laboratori creativi per bambina e musica con bande e cori. La città è ricca dell’eredità ricevuta durante la Belle Epoque come ad esempio il castello degli Asburgo. Vipiteno: la Torre delle Dodici fa da sfondo al mercatino natalizio, in cui le luci, il caldo legno e i profumi delle spezie la fanno da padrone. Candelara: siamo nelle Marche, questo borgo medievale dedica una festa al suo simbolo: la candela. Durante il giorno invece street food, artisti di strada, il presepe vivente che sfila per le vie del centro e ovviamente gli artigiani alle prese con la creazione delle candele di cera d’api. Per i più piccoli l’Officina di Babbo Natale e tante altre magie del Natale. Limatola: nella provincia di Benevento, il Castello di Limatola, diventa la location del mercatino di Natale: “Cadeaux al Castello”. Evento che oltre ad offrire l’opportunità di acquistare addobbi, statuine del presepe realizzati direttamente dagli artigiani locali, assaggiare prodotti enogastronomici come struffoli e zeppole, si può assistere a spettacoli di artisti circensi e attori. Arezzo: un vero e proprio villaggio tirolese in Toscana. Vengono portati prodotti tipici come lo speck, il cioccolato e la birra. Ci sono gli scultori del legno, la casa di Babbo Natale, una grande baita e tour organizzati per esplorare la città. Perugia: un luogo quasi incantato tra le montagne in cui ci sono diversi mercatini di Natale. Particolare quello di Rocca Paolina che offre un suggestivo tour sotterraneo per visitare gli antichi passaggi che proteggevano la città dalle incursioni esterne. Si possono acquistare ottimi prodotti d’artigianato. Taneto di Gattatico: ci troviamo a Reggio Emilia, qui si estende il mercatino al coperto più grande d’Italia. Ideale per fare acquisti compreso l’albero di Natale, con un apposito show room. Dove andare a Natale 2019: le mete in montagna Lo sport, il relax e i piatti tipici assaporati tra cime innevate e davanti al camino, parliamo della montagna. Per molti irrinunciabile in questo periodo dell’anno. Madonna di Campiglio: una meta rinomata, una piccola perla delle Dolomiti. Un posto perfetto per chi ama sciare e non mancano lussuose spa dove rilassarsi e vie delle shopping super glamour dove fare acquisti. Cortina d’Ampezzo: da sempre sinonimo della ricca vita di vip e della settimana bianca per eccellenza. Tra le dolomiti e nel lusso. Cervinia: un paradiso per gli sciatori, a quota 2000 metri, alle pendici del Monte Cervino. Un grande comprensorio sciistico collega la località al Plateau Rosa, ghiacciaio. Bormio: per gli amanti delle Terme nell’Alta Valtellina, è perfetta questa bella località. Relax dopo le sciate, garantito dalle acque termali solfato-alcaline conosciute già dall’epoca romana. Claviere: Val di Susa, Alpi e bei panorami paesaggistici tra boschi, laghi e animali. Chalet e baite, ristorantini con piatti tipici e ovviamente lo sci. Roccaraso: passiamo agli Appennini per un altro luogo da favola per gli amanti degli sci, che si sviluppa intorno ai monti di Roccaraso. Natale 2019: la bellezza tra città d’arte e borghi Per chi desidera trascorrere le vacanze di Natale 2019 in una città d’arte, non c’è che l’imbarazzo della scelta: ecco le mete migliori. Roma: non ha bisogno di presentazioni la Capitale che diventa ancora più magica sotto Natale, tante le possibilità di scelta in giro per la città ma una su tutte è il Vaticano. Il mondo cristiano e la celebrazione in questo luogo è un’esperienza indimenticabile. Da non dimenticare il famoso mercatino di Natale nella splendida cornice di Piazza Navona. Firenze: godersi la bellezza e i tesori di questa città approfittando anche dell’atmosfera regalata dai mercatini di Natale e del pattinaggio sul ghiaccio nelle piste del Winter Park, presso l’Obihall. Napoli: unico il Natale a Napoli, con le sue botteghe artigiane nel centro storico, che producono le statuine dei presepi ispirandosi a personaggi noti, contemporanei o intramontabili. Gubbio: in Umbria, l’albero di Natale più grande del mondo sulle pendici del monte Ingino, oltre al ChristamasLand. Un circuito in cui i bambini possono divertirsi tra giochi innovativi in un’atmosfera tradizionale, nella cornice dello splendido borgo. Manarola: il presepe luminoso del borgo ligure è uno degli eventi più attesi nel territorio delle Cinque Terre. Uno spettacolo regalato da 17000 luci. Matera: il presepe itinerante, uno spettacolo unico nella Città dei sassi, patrimonio Unesco. Un borgo che sembra fuori dal tempo. Natale 2019 al mare Se alla montagne preferite il mare per trascorrere le vacanze di Natale 2019, ecco alcune mete imperdibili. Puglia: il Salento è una meta prediletta da molti italiani e stranieri in estate ma non perde fascino nemmeno d’inverno. Presepi viventi e presepi monumentali in bellissime location, come ad esempio i cortili di palazzi antichi. Famoso quello dell’Anfiteatro Romano a Lecce. Sicilia: un inverno mite senza perdere l’atmosfera natalizia tra mercanti e luci, è quello che offre Catania. Se invece volete scappare su un’isola, c’è Pantelleria con i suoi giardini pieni di agrumi oppure Lampedusa o Linosa. Un po’ di primavera nel cuore dell’inverno. Il Natale 2019 in Italia L’Italia ovviamente offre ancora di più, sono davvero tantissimi gli eventi e le manifestazioni tipiche legate al Natale, di natura religiosa, dedicate al divertimento per i più piccoli o alla sola magia di questo periodo dell’anno, che affascina proprio tutti. Si può approfittare di qualche giorno per una fuga dalla routine verso luoghi incantevoli, senza allontanarsi troppo. C’è la montagna, c’è il mare, ci sono le città d’arte e i piccoli borghi. Volete approfittare delle vacanze natalizie per visitare una città e i suoi monumenti? Volete scaldarvi al sole di un clima mite o scatenarvi sulla neve? Ogni opzione è valida, potendo inoltre approfittare degli squisiti piatti tipici che ogni regione italiana offre. Per queste vacanze di natale 2019 c’è quindi solo l’imbarazzo della scelta. Abbiamo stilato un breve elenco ma sarebbe impossibile racchiudere le tante località. Villaggi di Babbo Natale per intrattenere i più piccoli ci sono in moltissime località, ad esempio anche a Montepulciano in Toscana, la bellezza delle città e dei mercatini anche a Verona e a Torino, le montagne del Terminillo nel centro Italia, le luminarie a Salerno. Tra destinazioni glamour e luoghi incantati, la favola del Natale, si può vivere davvero ovunque. Senza contare che anche disponendo di un budget più ridotto è possibile prenotare un weekend in un luogo vicino, abbattendo quindi i costi dei grandi spostamenti che i luoghi esteri ci richiedono. Quando è meglio prenotare? Molti studi indicano il mese precedente a quello di partenza come quello più conveniente. Tuttavia c’è chi preferisce anticipare di molto e chi opta per il last minute. Certamente una famiglia con bambini piccoli avrà esigenze diverse da un gruppo di giovani amici. Se si è alla ricerca di un viaggio low cost, badate bene anche al giorno di partenza e di ritorno, spesso la flessibilità ripaga, 24 ore fanno sovente la differenza. In macchina, in treno, in aereo, in pullman, raggiungete la vostra meta felice e godetevi la bella Italia per le prossime vacanze di Natale 2019. Chi desidera trascorrere le vacanze di Natale 2019 in Italia può scegliere tra splendide location di montagna, città d’arte e persino località marine.
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pikasus-artenews · 2 years
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ARON DEMETZ. AUTARKEIA. IL RICHIAMO DELLA MATERIA Aron Demetz, discendente da una famiglia di scultori della val Gardena, in linea con la tradizione di famiglia usa prevalentemente il legno, ma andando oltre queste tradizioni affida al legno un valore che va ben oltre il fatto di essere materiale di lavoro.
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annalisalanci · 3 years
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Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
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Il Giudizio universale di Bruegel il Vecchio, 1558
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La bocca dell'Inferno, Jacobus da Theramo, Das Buch Belial, Augusta, 1473
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I demoni contendono l'anima di un moribondo agli angeli. Ars Moriendi, Augusta, 1471 circa
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San Michele che sconfigge il drago,  di Martin Schongauer, 1420-1488
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Per tutta l'epoca in cui il cattolicesimo resse le sorti spirituali dell'Europa, ci fu - a opporsi alla chiesa del bene - una chiesa del male; contro la chiesa di Dio, una chiesa del demonio che come l'altra aveva i suoi preti, i suoi riti, il suo culto, i suoi libri, le sue adunate, le sue apparizioni.
La chiesa indicava l'esistenza del diavolo non come uno scherzo o una facezia ma come un articolo di fede. Non potendo le masse analfabete andare a ricercare nei libri di teologia riservati al clero i particolari necessari per farsi un'idea esatta di questo principe delle tenebre, la sua effige, a uso del volgo, si trovava riprodotta a profusione nei timpani dei portali delle cattedrali, sulle vetrate delle chiese, nei bassorilievi dei cori, agli angoli delle grondaie e dei tubi pluviali che si popolavano di tutta una fama fantastica rappresentante in lineamenti presunti degli abitatori e padroni dell'inferno.
Il giudizio universale è il soggetto ricorrente preferito dagli scultori del periodo ogivale, probabilmente d'accordo col clero, per la decorazione delle facciate delle chiese sino al secolo XIV. Tali scene contengono sempre un certo numero di demoni nella rappresentazione dei quali gli artisti hanno dato libero sfogo alla loro straripante immaginazione.  
Uno dei più antichi esempi di scultura di questo genere è quello che orna il timpano della facciata occidentale della cattedrale d'Autun, che risale all'IX secolo; nella sua fattura arcaica e nella sua esecuzione primitiva non mancano tratti di viva bellezza e i visi di alcuni angeli e di alcuni beati sono d'una perfezione stupefacente.
Questo timpano è suddiviso in tre piani sovrapposti. Nel piano inferiore i mortali, risvegliati dal sepolcro, si avviano verso il giudizio in fila, e quì è particolarmente acccentuata l'espressione degli atteggiamenti dei volti. Giunti verso l'estremità destra della composizione, essi vengono afferrati da due mani gigantesche che ne serrano il volto in una specie di morsa e li sollevano al piano superiore in cui ha luogo il Giudizio.
Alla volta celeste è sopra una bilancia l'anima del defunto viene messa su uno dei piatti che un angelo cerca di far pendere dalla propria parte. I demoni sono cinque e d'una bruttezza uniforme, quasi stilizzata; uno d'essi cerca di far pendere la bilancia dalla sua parte tirando il piatto, mentre con l'altra mantiene un dannato per la collottola, quasi fosse un gatto: una specie di serpente gli sta aggrovigliato intorno alle gambe. Un altro demonio più piccolo si è addirittura messo senza tanti complimenti sul piatto stesso della bilancia; un terzo con in mano un rospo enorme sembra assistere in preda alla rabbia all'operazione. Dietro a questi, un demonio, in una posizione alquanto inverosimile, infila alcuni dannati in una tinozza, mentre un quinto, sporgendosi col busto fuori dalle fauci mostruose d'un drago, afferra con due braccia alcuni dannati che già forse credono, poveretti, di sfuggire al supplizio eterno.
Lo scultore, ha riservato ai demoni i più vistosi difetti di proporzioni: essi sono allampanati e scheletrici, hanno gambe e toraci scanalati come colonne romane, mentre il rictus della bocca ispira tale raccapriccio da rendere più terribile la ferma serenità del Giudice eterno, assiso nella sua gloria e sovrastante tutta la scena.
Molto più ricca e varia è la scena del timpano della cattedrale di Bourges che tratta lo stesso tema. Un angelo ampio e disteso tiene nella mano destra la bilancia del giudizio, che un piccolo diavolo dalle orecchie di pipistrello installato su uno dei piatti non riesce a far pendere dalla propria parte (fig. 4.) Con l'altra mano l'angelo accarezza affettuosamente la testa di un grazioso bambino nudo che non manifesta alcun timore di essere dannato osservando che la bilancia su cui viene pesata la sua anima pende decisamente dalla parte delle buone azioni.
Un diavolo lo spia, ma si tratta d'una creatura ben diversa di quelle d'Autun, con un viso maligno e sarcastico che fa di lui il diretto predecessore di Mefistofele: questo è già indubbiamente il diavolo dei maghi, il diavolo dei patti, colui che assisterà più tardi troneggiando al sabba e giocherà tiri scandalosi alle suore di Loudun. Egli è persino più conforme all'antica tradizione dei padri del deserto, in quanto ritroviamo in lui il naso a uncino e i corni del demonio che, a quanto dice sant'Antonio, tentò san Paolo l'eremita.
Gli altri due diavoli di questa scena presentano caratteri diversi e notiamo in essi deformità anatomiche e patologiche che diventeranno d'ora in poi gli attributi essenziali del demonio: due d'essi hanno infatti sul ventre un secondo viso tondo come la Luna, mentre un altro diavolo con ali sul posteriore, presenta sul petto due seni a forma di testa di cane.
All'estremità della scena c'è la caldaia infernale, d'un realismo fantastico e sconvolgente. Il fuoco è fornito da una mostruosa figura riversa che dalla bocca smisuratamente larga sputa fiamme; su queste soffiano, per attizzarle, due demoni dal volto avvinazzati, patibolari e truculenti; è questa la famosa gola dell'inferno, il gorgo dell'abisso, il marasma di zolfo e pece che non si estinguerà per tutta l'eternità.
Questo fuoco riscalda una vasta tinozza in cui cuociono i dannati, azzannati per di più da animali ripugnanti; un diavolo di cui non si vede il volto li pigia con brutalità, mentre un altro li ammucchia con una specie di bastone dalla lunga impugnatura. Nello spaventoso realismo con cui è trattata questa scena si riscontra l'influenza, di alcune pagine della letteratura medievale, come le visioni di san Salvo e dall'abate Sonniulfo riferite da Grégoire de Tours, o quelle del monaco d'Eversham del XII secolo, di cui Mathieu Paris ci ha lasciato una impressionante descrizione.
I monumenti della scultura medievale, quale che sia la loro importanza, non sono altro che vestigia, dato l'incalcolabile numero di distruzioni dovute alle cause più disparate - vandalismi, trasformazioni o demolizioni di edifici - non sarà difficile giungere alla conclusione che la scena del giudizio universale doveva essere riprodotta in tutte le chiese d'un certo rilievo della cristianità.
Sul timpano dell'abbazia benedettina di Conques nell'Oveyron, un diavolo brandisce una specie di minaccioso bastone col quale batte i dannati; nel portale del duomo di Bamberga in Baviera un altro demonio tira un dannato con una catena.
Di fronte alla teologia, o scienza di Dio, la demonologia, o scienza del demonio, sua odiata rivale, trovava posto sul portale stesso dei templi che ospitavano la <<carne di verità>>. Chi avrebbe dunque potuto dubitare dell'esistenza di tutto questo mondo invisibile e oscuro che opponeva l'esercito dei diavoli a quello degli angeli?  E' ben vero che i teologi dissertavano con molto maggiore insistenza sulla natura di Dio, sulla sua bontà, sulle sue qualità infinite, che non sui diavoli: volontariamente o no, questi li lasciavano in una specie di indeterminatezza che non poteva non eccitare la curiosità popolare.
Nel momento in cui la scultura religiosa comincia a decadere per aver voluto rinnovarsi alle fonti pagane, l'arte cristiana accetta di piegarsi a forme primitive, come alla miniatura dei manoscritti o alle incisioni su legno degli incunaboli; le rappresentazioni infernali comunque passano nelle nuove arti ed esercitano sullo spirito umano la stessa influenza. Il famoso affresco diabolico della cappella di Stratford-on-Avon e quelli del camposanto di Pisa continuano la tradizione dei secoli passati, andando, grazie alla loro arte più facile, ben al di là delle già audaci creazioni degli scultori.
Un incunabolo tedesco di Jcobus da Theramo stampato ad Augusta nel 1473 e intitolato: Hie hebt sich an das bich Belial genant o più semplicemente Don bich Belial contiene un'incisione su legno rappresentante la bocca dell'inferno (fig. 5) che non ha nulla da invidiare  alle più orripilanti composizioni scultoree del XII secolo. La gola del drago è tenuta aperta da un solido palo di legno ai lati del quale stanno due diavoli, l'uno con l'occhio atteggiato a un'espressione spaventosa e l'altro con un riso da buontempone sul volto, espressione tanto più minacciosa dato il tipo di personaggio. Sul fondo ce n'è un altro che mostra un volto rabbioso, mentre il loro padrone Belial se ne sta al di fuori dell'abisso tenendo con essi un misterioso conciliabolo.
I pittori del XVI secolo, mitigarono la crudezza dei particolari e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni del giudizio universale, adottandone la rappresentazione alle esigenze di un'epoca già intaccata dallo scetticismo; ma gli incisori soprattutto fiamminghi e gli olandesi, dando libero sfogo al loro temperamento, si abbandonarono a vere e proprie orge della fantasia in cui si nota ancora una certa ingenuità, o una certa mancanza di rispetto.
Luca Cranach. il Vecchio (1472-1553), interpreta la scena in cui al termine del giudizio i dannati sono gettati nell'inferno (fig. 3). Il diavolo-istrice, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntuta, sono creature che ritroviamo spesso negli incisori del XVI secolo. il diavolo-istrice che vediamo a destra, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntita, sono creature che ritroveremo spesso negli incisori del XVI secolo.
In una stampa del maestro fiammingo Bruegel il vecchio, incisa nel 1558 da Cock (fig. 6) che, in una composizione a prima vista severa, introduce i particolari più stravaganti. La composizione di questa scena del giudizio è uguale a quelle delle cattedrali: il Figlio dell'uomo, assiso tra le nuvole, pronuncia le parole fatali: <<Venite, benedicti Patris mei, in Regnum aeternum; ite, maledicti Patris mei, in ignem sempiternum>>. La gola immensa dell'inferno occupa la parte destra del quadro ed è rappresentata dalla bocca di un pesce di proporzioni coloniali. Il torrente dei dannati vi si precipita; i demoni che li spingono non hanno più la figura umana deformata dei secoli precedenti, ma assumono le forme più assurde: uccelli da preda, rettili, batraci inverosimili gnomi dal becco piatto e dalle mandibole mostruose che sembrerebbero ispirati dalla forma preistorica e dalla paleontologia, se queste scienze a quell'epoca fossero state conosciute.
Nelle incisioni di Hieronymun Bosch, incisore olandese (1460-1518). La sua composizione dal respiro immenso è animata da un movimento, da una frenesia e da una vita tumultuosa e malata: e un turbinio di esseri indefinibili e malefici, nelle pose più indecenti e contorte, qualcosa che ricorda il sabba.
Una scena analoga a quello del giudizio universale, del XVI secolo, è quella della Discesa di Gesù all'inferno ci mostra Gesù Cristo che trionfa su un demonio, mentre altre due creature infernali cercano di impedire la figa dal limbo ai giusti che il Salvatore viene a liberare; i tre guardiani dell'inferno hanno quì volti d'uccelli rapaci, complicati da tentacoli e speroni, come corazze d'ippocampo o armature bergamasche.
Bruegel: I giusti liberati dal limbo. Il Cristo in un medaglione centrale mantiene tutta la imperturbabilità nel liberare la folla dei giusti dal limbo, senza alterarsi di fronte alla grottesca fama infernale che lo circonda, come quell'essere indefinibile sormontato da un elmo con visiera e il cui corpo è qualcosa di mezzo tra un maggiolino e l'uovo; il guscio si apre per lasciare uscire una nidiata di bambini liberati.
L'arcangelo Michele trionfa su Lucifero. Questa scena, si ricollega alle più profonde radici della teologia: l'angelo sconfitto identificato col Satana dell'Antico Testamento viene di solito rappresentato in forma di drago, così come appare nelle vetrate delle cattedrali dei secoli precedenti.
Verso la fine del medioevo la scena del giudizio individuale, che di rado la scena del giudizio individuale, che di rado figura nelle chiese, assume una certa importanza e tende anzi a sostituirsi a quella del giudizio universale, fino al punto che uno dei soggetti trattati più sovente dagli artisti diventa il moribondo affiancato da angeli e demoni che se ne disputano l'anima.
(Fig. 10)L'Ars moriendi, pubblicato ad Augusta tra il 1470 e il 1471. Un monaco consegna a un moribondo un cero acceso, mentre il coro degli angeli ne raccoglie l'anima rappresentata da una figurina nuda, a destra la crocifissione per significare che il moribondo partecipa ai meriti della croce del Salvatore. Ai piedi del letto però troviamo i nostri bravi demoni del timpano delle cattedrali sotto apparenze grottesche e orride: uno ha la testa di cane rabbioso, un alto di asino che getta alti ragli; un terzo, ai piedi della croce, è una caricatura di ebreo, mentre altri due con occhiali si contorcono mostrando zoccoli biforcuti di capra e poggiando su zampe a tre dita da gallinaceo. In un coro di rabbia e di disperazione nel vedersi sfuggire quell'anima, gridano come spiega la scritta delle banderuole:
Heu insanio
Spes nobis nulla
Animam amisimus
Furore consumor
Confusi sumus
IL poema, la cui influenza fu fin dalla fine del XIII secolo piuttosto importante in Europa, contribuì ad affermare le verità religiose incontestabili. Eppure questo inferno più moderno, più filosofico, con i suoi cerchi di dannati e il suo particolare simbolismo e diverso dall'inferno tradizionale. Il poeta, immaginando il castigo supremo per Giuda Iscariota, il più grande criminale dell'umanità, lo fa divorare dallo stesso Satana: .. è Giuda Scariotto Che'l capo ha dentro e fuor le gambe mena (Inferno, Canto XXXIV).
La vigorosa incisione su legno è tratta da un'edizione italiana: Opere del divino poeta Danthe; Venezia, Bernardino Stagnino, 1512, in 4°. Satana vi è rappresentato con una testa a tre volti, e mentre con la bocca anteriore diversa l'Iscariota, le sue due bocche laterali divorano ciascuna un dannato.
In tempi a noi più vicini, in paesi arretrati poco sensibili alle raffinatezze della civiltà, la chiesa presenterà ancora al popolo il diavolo sotto una forma più volgare; ricorrendo alle risorse della meccanica per dar luogo ad una puerile fantasmagoria.
In un mobile conservato al museo di Cluny a Parigi, probabilmente d'arte calabrese, eseguito verso l'inizio del XVII secolo, alcuni hanno creduto di riconoscervi una rappresentazione del cattivo ladrone mentre è abbastanza certo che il personaggio oscuro dal viso contratto e orribile che mostra una enorme lingua rossa è un diavolo che appare ad una finestra praticata nel mobile, simile ai teatrini per marionette. Un ingegnoso sistema di corde, pulegge, molle e contrappesi, che funziona ancor oggi, permetteva di far apparire a comando questa figura mostruosa, per terrorizzare qualche peccatore incallito e ribelle che si rifiutava di confessare le proprie colpe.
In fine se arriviamo all'epoca delle creazioni popolari, sono innumerevoli i documenti iconografici che hanno come fine quello di produrre nelle anime lo stesso terrore suscitato in molte epoche delle sculture delle cattedrali.
La buona confessione: un penitente arriva dalla destra della scena incatenato da un diavolo cornuto e ricoperto solo d'un perizoma; una penitente confessa le sue colpe nel confessionale e la grazia che discende dai meriti del Cristo spezza le catene che la legavano ad un altro diavolo, un terzo penitente esce a destra del confessionale condotto dal suo angelo custode, mentre un altro angelo gli tende una corona dal cielo. Nei due medaglioni degli angoli superiori vediamo il figliol prodigo peccatore e quindi lo stesso che si concilia col padre.
La cattiva confessione: un diavolo dal grugno sordido si è infilato sfrontatamente nel confessionale e tappa la bocca d'una penitente che nasconde le proprie colpe. A destra e a sinistra sette diavoli conducono sette penitenti incatenati, che si direbbe abbiano commesso ciascuno uno dei sette peccati capitali, a giudicare dai quadri retti dai diavoli essi rappresentano la collera mediante un uomo che brandisce una spada, l'orgoglio nelle vesti di un pavone che fa la ruota, la lussuria un convegno d'amore, la pigrizia con un uomo che dorme Due diavoli tendono alle loro vittime una borsa di scudi e una bottiglia che simbolizzano l'avarizia e l'ubriachezza; infine c'è l'invidia, che il diavolo cerca di suscitare mostrando la borsa di scudi dell'avaro.
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lamilanomagazine · 2 years
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Aosta, torna il Marché Vert Noël
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Aosta, torna il Marché Vert Noël. A partire dal 19 novembre tornerà per il quattordicesimo anno il Marché Vert Noël, il mercatino di Natale della città di Aosta che si è ormai affermato come una tra le manifestazioni del settore più amate del Nord Italia, con decine di migliaia di visitatori che ogni anno vengono attratti dalla magia dell’ambientazione che ricalca quella di un villaggio alpino con i suoi chalet, le piazzette, i vicoli, gli scorci addobbati e illuminati, inseriti in un vero boschetto di abeti nel cuore di Aosta. La grande novità dell’edizione 2022/23 dei mercatini di Natale è rappresentata dalla sede: al tradizionale e scenografico scenario rappresentato dal teatro Romano di Aosta si sostituisce, a partire da quest’anno, un allestimento diffuso nel centro storico del Marché Vert Noël che avrà un triplice sviluppo in tre piazze tra loro prossime: piazza Caveri, la “location” storica dei mercatini di Natale fino al 2012; piazza Giovanni XXIII oggetto di un importante progetto di riqualificazione prossimo al termine, e piazza Roncas, “casa” del Museo Archeologico Regionale e “cerniera” tra il centro storico e la zona Nord del capoluogo. Quest’anno verranno allestiti 36 chalet: in particolare, in piazza Caveri saranno presenti sette stand espositivi, sei dedicati agli espositori e uno informativo. In piazza Giovanni XXIII verranno allestiti 18 chalet , 14 singoli, due doppi per preparazione e somministrazione di alimenti e bevande e due per attività di promozione. Qui troverà posto anche l’area eventi curata dall’Amministrazione regionale. Infine, 10 stand espositivi troveranno spazio in piazza Roncas, tra cui quello tradizionalmente destinato alla sezione valdostana dell’ANA per la raccolta di offerte da devolvere in beneficenza, oltre a un altro punto informazioni. Le produzioni artigianali esposte comprenderanno, tra l’altro, candele, saponi artigianali, ceramica, oggettistica artigianale in legno, articoli e accessori di abbigliamento in lana cotta e feltro, canapa, pizzi, addobbi natalizi, prodotti eno-gastronomici tipici valdostani, dolciumi e pasticceria, oggetti realizzati con la tecnica del découpage o con altre tecniche manuali. Nelle piazzette e nelle stradine del piccolo villaggio alpino prenderanno vita momenti di animazione: dagli atelier en plein air, che proporranno ai visitatori artigiani scultori e intagliatori all’opera, laboratori per bambini, parentesi musicali. Si ricorda, poi, che in concomitanza con l’inaugurazione del Marché Vert Noël, dal 18 novembre aprirà in piazza Chanoux la pista di pattinaggio all’aperto con l’Ecole du patinage e uno spettacolo di pattinaggio artistico in serata. Lo stesso giorno saranno accese le luminarie in città. Il perimetro delle vie rallegrate dalle luci di Natale è stato allargato anche grazie alla collaborazione con la società Telcha, ma comunque con particolare riguardo al contenimento dei costi energetici sia per quanto riguarda la tecnologia utilizzata, prediligendo i meno energivori led, sia in relazione all’orario di accensione che sarà limitato alle ore serali e notturne fino alla mezzanotte (l’una nel fine settimana). In piazza Chanoux troverà posto un imponente abete di 12 metri la cui illuminazione sarà garantita da Confindustria della Valle d’Aosta. Oltre al Marché Vert Noël, ad allietare turisti e residenti nel periodo delle feste di Natale e di fine/inizio d’Anno ad Aosta sarà anche un programma di animazioni, piccoli concerti e spettacoli per bambini che verrà dettagliato nei prossimi giorni. Ad abbellire la città concorrerà anche la Chambre che provvederà a posizionare lungo il cardo e il decumano 115 vasi arricchiti con rami luminosi a led, a basso consumo energetico, di circa 180 cm di altezza. A questi si affiancheranno 19 alberelli di Natale realizzati dagli studenti del Liceo artistico riutilizzando il materiale dell’albero di Natale tecnologico che per alcuni anni ha animato piazza Chanoux. La cerimonia d’inaugurazione, alla presenza delle Autorità regionali e comunali, si terrà venerdì 18 novembre 2022 alle ore 17,30. "La proposta del mercatino di Natale – commenta il sindaco di Aosta, Gianni Nuti – riveste un’importanza ancora più significativa che nel passato perché alla manifestazione cittadina più importante dopo la Fiera di Sant’Orso chiediamo quest’anno di aiutarci a mettere in rilievo una parte importante della storia di Aosta rappresentata da luoghi simbolici che vogliamo restituire alla piena fruizione della collettività, contribuendo a concretizzare la proposta della candidatura di Aosta a Capitale italiana della Cultura 2025 unitamente ad altre iniziative che organizzeremo nel periodo delle festività per valorizzare alcuni monumenti cittadini". Dichiara l’assessora allo Sviluppo economico, alla Promozione turistica e allo Sport, Alina Sapinet: "Ciò che si prospettava come un grave motivo di apprensione per il futuro del mercatino natalizio, vale a dire l’indisponibilità del Teatro Romano a causa dei futuri lavori che interesseranno il sito, è stato trasformato in una grande opportunità di promozione di alcuni luoghi meno valorizzati del centro storico grazie alla collaborazione di tutti i soggetti che collaborano alla riuscita della manifestazione. Con l’allestimento del Marché Vert Noël in tre diverse sedi concretizziamo il progetto di diffondere il mercatino di Natale nel cuore di Aosta, senza penalizzare o privilegiare una zona rispetto a un’altra e, unitamente alle altre animazioni del periodo delle feste, garantiamo fin d’ora una città più vivace e accogliente per i residenti e i turisti che ci verranno a trovare". "Promozione, sostenibilità e coinvolgimento sono i tre concetti che hanno guidato l’impegno della Camera di Commercio per questo Natale" – spiega il presidente della Chambre Valdôtaine des entreprises et des activités libérales, Roberto Sapia – "Per quello che rappresenta uno dei periodi più importanti dell’anno per le imprese valdostane abbiamo voluto mettere in campo iniziative in grado di valorizzare e supportare tutte le attività del centro storico, senza però tralasciare aspetti rilevanti e di grande attualità come il consumo energetico e l’attenzione all’ambiente, grazie al riutilizzo dei materiali. A questo abbiamo poi voluto affiancare un importante aspetto sociale e culturale come quello del coinvolgimento dei ragazzi del Liceo Artistico che, grazie alla loro passione e al loro impegno, ci hanno permesso di garantire un significativo valore aggiunto a queste festività. Una vera e propria ciliegina sulla torta per i residenti e per tutti coloro che visiteranno il nostro mercatino".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Un inedito di Giuseppe Sarno: san Giuseppe con Gesù Bambino presso la chiesa teresiana di Gallipoli
di Antonio Faita
  Nell’ambito delle arti figurative e, in particolare, di quelle che si svilupparono meravigliosamente fra il XVII ed il XVIII secolo nel Regno di Napoli, la scultura lignea è sempre stata considerata a torto come arte minore[1]. A lungo trascurata rispetto alla pittura e alla scultura su marmo, in questi ultimi anni è divenuta oggetto di maggiore attenzione da parte degli studiosi, sviluppando, in maniera esponenziale, un nuovo filone di ricerca rivolto allo studio della scultura lignea napoletana[2] nell’acquisita consapevolezza che si tratti di uno dei principali fenomeni storico-artistici dell’intero Meridione in Età Moderna.
A seguito della mia pubblicazione dedicata agli scultori Francesco e Giuseppe Verzella e alla loro bottega[3], è mio intento fornire un piccolo contributo in argomento, segnalando nelle pagine che seguono, un’opera inedita di un poco noto scultore napoletano, Giuseppe Sarno.
Meno nota, o quantomeno poco conosciuta dagli storici d’arte, è la statua di san Giuseppe con Gesù Bambino ubicata nella sacrestia della chiesa di santa Teresa in Gallipoli e per questo, poco visibile dalla gente. Sul lato corto della base pentagonale, cui poggia il simulacro, vi è apposta la firma e la data «Giuseppe Sarno Scultore Napoli 1797».
L’accento plastico delle figure è caratterizzato dall’incedere del santo e dalla distribuzione dei drappi, ricordando soluzioni adottate nel linguaggio pittorico di Francesco De Mura, tra dolcezza rococò e splendore neoclassico[4].
Proprio in questo linguaggio sono ispirate le sculture di Giuseppe Sarno, realizzandone diverse per le chiese di Napoli e nel Regno di Napoli, e qui egli fu attivo dal 1764 ai primi dell’Ottocento (1820, santa Sofia, Santuario omonimo ubicato in Poderia, frazione di Celle di Bulgheria, SA).
Le fonti ottocentesche, dal Filangieri al Perrone, lo menzionano come modellatore di animali e pastori in terracotta, di cui alcuni firmati[5], per la produzione presepiale che con l’avvento di Carlo di Borbone, a Napoli trovò terreno fertile, vedendo impegnati una numerosa schiera di artisti[6] delle varie arti. L’esiguo numero di opere datate non consente di stabilire con molta precisione quando iniziò a plasmare figure in terracotta, ma è certo che tale interesse ebbe a seguire quello per le sculture lignee[7].
E proprio in una fonte ottocentesca il Sarno viene citato per la prima volta a Gallipoli. Pietro Muisen (1811-1880), valtellinese di origine, e trasferitosi a Gallipoli, per motivi di lavoro, fu autore del libro “Gallipoli e i suoi dintorni”, pubblicato nel 1870. Il Muisen, nel descrivere la ‘Congregazione del SS. Crocifisso’, così scrive: «In questa chiesa si ammirano pure due eccellenti scolture in legno, nelle statue di S. Michele Arcangelo e della Vergine Addolorata, lavoro dello scultore mastro Sarno Napoletano»[8]. Il Muisen non riporta il nome, come neanche l’anno della loro realizzazione.
Consultando l’archivio storico della confraternita del SS. Crocifisso, e precisamente il ‘Domenicale 1794-1826’, si evince che nel 1796, in occasione della festività di san Michele Arcangelo, loro protettore, viene portata in processione per le vie della città la statua di san Michele[9]; il Venerdì Santo, del successivo anno, si fece la processione penitenziale per i Sepolcri, portando ‘La nuova Statua Maria Addolorata venuta da Napoli’[10]. Come si può notare il nome del Sarno non compare sulle pagine del ‘Domenicale’. Si può ipotizzare che sia stata una dimenticanza del segretario verbalizzante oppure il passare del tempo abbia fatto affievolire la firma sulle basi dei rispettivi simulacri, fino a scomparire del tutto o, ancora, il nome dell’artista sia stato riferito da qualche anziano confratello al Muisen, durante la sua visita all’oratorio confraternale.
Fatto sta, che dagli interventi di restauro, eseguiti in questi ultimi anni, non è emersa nessuna scritta dai vari strati pittorici rimossi. Se così fosse, perché il Muisen si limita a riportare solo il cognome? In ambito storiografico, emergono alcuni nomi, come: Ignazio Sarno, allievo dello scultore Pietro Patalano, che a dire, da Borrelli, forse padre del nostro Giuseppe[11]; Luigi Sarno, il cui nome si evince, attraverso la firma segnata a tergo della pettiglia di un ritratto di uomo[12]; Giovanni Sarno, citato dal Mancini[13]. Tornando al simulacro di san Giuseppe e alla sua venerazione presso la chiesa delle suore teresiane, è bene ricordare che, il culto del santo nel Carmelo entra già dalle origini dell’Ordine. La devozione a san Giuseppe, a livello personale e locale, si viveva fin dalla venuta dei carmelitani in Europa, anche se la festa del santo Patriarca, a livello di Ordine, non appare sino alla seconda metà del XV secolo[14].
Tale devozione nel Carmelo teresiano, va essenzialmente unita a santa Teresa. È uno dei legati più ricchi e caratteristici che la Santa lasciò ai suoi figli. Non si comprende il Carmelo teresiano senza san Giuseppe, senza l’esperienza giuseppina della Santa. Per la Santa Madre, i conventi che fonda, a immagine del primo (Avila 1562), sono ‘case’ di san Giuseppe. Per questo procura che la maggior parte di essi porti il nome e titolo di san Giuseppe. Dei diciassette, fondati dalla Santa, undici stanno sotto il titolo di san Giuseppe. Se non tutte le fondazioni della Santa Madre portano quel titolo, non ce n’è nessuna dove non ci sia un’immagine del Santo che presieda e protegga la comunità. È un’ulteriore manifestazione, più della sua devozione ed esperienza giuseppina, il diffondere nei conventi le immagini del santo, la maggior parte delle quali ancora si conserva. È da notare, a questo riguardo, il dato che portava con sé in tutte le fondazioni, una statua di san Giuseppe, che riceveva il titolo di “Patrocinio di san Giuseppe”.
  Quarto, in Puglia, dopo quello di Lecce (1620), Bari (1630) e Brindisi (1672)[15], il monastero di Gallipoli, sotto il titolo dei SS. Nomi di Gesù, Maria e Giuseppe, fu terminato il 23 aprile 1690, contestualmente alla chiesa intitolata alla santa di Avila, per devozione e volontà di mons. Antonio Perez de la Lastra,[16] vescovo di Gallipoli. Secondo quanto si può presumere, il culto di san Giuseppe fu introdotto nel monastero gallipolino, seguendo l’esempio e la dottrina della santa Madre Teresa, che lo venerava con affetto speciale. Alcune sorelle scelsero, da religiose professe, il nome del santo[17] e tutte si affidarono, con la preghiera, alla sua intercessione invocandolo quale provvido protettore della chiesa e dell’Ordine. Introdussero la celebrazione del «Patrocinio di san Giuseppe», una particolare festa concessa ai Carmelitani da Papa Innocenzo XI, il 6 aprile 1680.
Presso l’Archivio Storico della Curia Vescovile di Gallipoli, in alcuni registri degli introiti ed esiti a partire dal 1798, vi è traccia delle spese sostenute dalle sorelle per la festività del «Patrocinio di san Giuseppe»[18]. In particolar modo, nella minuta degli esiti del 1799 si rileva una cospicua spesa di ducati 29 e 55 carlini per la buona riuscita della festa[19]. Nell’anno successivo si aggiunse alla spesa del Patrocinio anche quella per l’acquisto di «Due aste nuove alla Bara di S. Giuseppe», corrispondente alla cifra di carlini 30[20]. Questo dato importante ci fa dedurre che la statua di san Giuseppe, dopo qualche anno del suo arrivo da Napoli, veniva portata in processione.
Tale festività è attestata in tutte le annate dei libri dei conti fino al biennio 1811/12, a parte un vuoto dal 1808/09 al 1810/11, in quanto mancanti[21].
Nel 1836 ne fa cenno anche Bartolomeo Ravenna: «Vi si celebrano annualmente le festività di Santa Teresa, del Carmine, e del Patrocinio di San Giuseppe»[22].
Custodito in una teca di legno e vetro, il simulacro è intagliato a tutto tondo con grande perizia e tecnica. Il Sarno, nel rispetto della tradizione iconografica, lo rappresenta in una postura classica, di mezza età, con un folto casco di capelli, la barba ricciuta e la fronte corrugata. Il santo indossa una tunica con bavero di colore marrone; è avvolto in un manto ocra e denso di pieghe che avvolge il corpo per poi girare dietro, cadendo sulla base, come sostegno del simulacro stesso. Giuseppe tiene fortemente tra le braccia il bambino Gesù, parzialmente coperto da un panno decorato a racemi vegetali su una pellicola pittorica di colore verde chiaro. Il Bambinello protende il braccio destro con la manina aperta delicatamente verso il mento del santo, invece il sinistro, sospeso, crea una perfetta simmetria con gli arti inferiori.
La tensione naturalistica del Sarno si è concentrata sui gesti e sull’espressione, in particolare nello sguardo intenso del Santo che non osserva il Bambinello ma, perso nel vuoto e con la bocca semiaperta, è in procinto di parlare. Nel complesso la scultura è caratterizzata da un vigoroso plasticismo ed evidente gusto per le ricche forme corpose. L’inedito san Giuseppe (firmato e datato), fino a pochi anni fa completamente ignorato dalla storiografia, dipende da uno schema d’imitazione intimamente assimilato dalle opere di Giuseppe Picano, al quale il Sarno si ispirava, attingendo dal repertorio tradizionale innervando quelle che erano le antiche forme.
Le conformità stilistiche di san Giuseppe con le altre opere note dell’artista in vari centri della Campania, Puglia, Calabria e oltre, fino alla Spagna (soltanto recentemente si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un bellissimo san Michele Arcangelo firmato e datato 1775, presso il monastero di santa Clara di Hellín (Murcia), la cui scoperta si deve alla studiosa Isabella Di Liddo [23]), appaiono evidenti, specie nella resa del panneggio, nello studio dell’anatomia e nel movimento delle figure.
Il poco conosciuto Giuseppe Sarno doveva risultare, nel suo tempo, un maestro molto celebre, come risulta dalle numerose commissioni documentate e dalle tante opere a lui attribuite[24]. Ancora scarne sono le notizie e le citazioni biografiche per delineare un profilo e inquadrare la sua formazione e lo sviluppo della sua bottega[25]. Sulla scorta, di queste osservazioni e del san Giuseppe, opera ‘certa’, di Giuseppe Sarno, credo si debba ora procedere a un esame delle due statue del san Michele Arcangelo e della Madonna Addolorata, argomento di discussione per gli studiosi di storia locale, riguardo la loro autenticità: il raffinato intaglio del san Michele e la dolcezza della Vergine; lo studio meticoloso delle forme; l’attenzione scrupolosa alle giuste proporzioni fra le diverse parti del corpo; il vario atteggiarsi degli aspetti esteriori che assecondano l’espressione dei sentimenti rappresentati; la posizione delle mani; lo studio delle dita affusolate e bene intonate alla figura nell’insieme, per la similitudine con le altre opere, datate e documentate, si può determinare l’autenticità prima e la paternità poi, al ‘nostro’ Giuseppe Sarno.
La presenza di queste opere dell’artista a Gallipoli, considerato uno dei più sensibili interpreti delle moderne istanze rococò alla fine del XVIII secolo, stanno a testimoniare rapporti intensi tra lo scultore e la committenza gallipolina. A rendere ancora più significativa la circostanza è la restituzione al pubblico del san Giuseppe, opera importante, riemersa dall’oblio, che va ad arricchire quell’immenso patrimonio artistico di Gallipoli e ad aggiungersi, insieme al san Michele Arcangelo e alla Madonna Addolorata, a quelle opere del Sarno finora sconosciute dalla bibliografia.
  Note
[1] U. Di Furia, Il “San Francesco Saverio” di Bernardo Valentinoa Calvello: Opera ineditadi un poco noto scultore napoletano, in Basilicata Regione Notizie, n. 119-120, Anno 2008, p. 217.
[2] G. Borrelli, Sculture in legno di età barocca in Basilicata, Napoli, Ed. Paparo, 2005; Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, catalogo della mostra, a cura di R. Casciaro e A. Cassiano, Roma, Ed. De Luca, 2007; I. Di Liddo, La circolazione della scultura lignea barocca nel Mediterraneo. Napoli, la Puglia e la Spagna. Una indagine comparata sul ruolo delle botteghe: Nicola Salzillo, Roma, Ed. De Luca, 2008; Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra, a cura di P. Leone de Castris, Napoli, Ed. Paparo, 2009.
[3] A. Faita, Gli scultori Verzella tra Puglia e Campania. Committenza e devozione, Galatina. Ed. Congedo, 2015.
[4] Cfr. G. Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, la più parte ignoti o poco noti, sì napoletani e siciliani, sì delle altre regioni d’Italia o starnieri, che operano tra noi, con notizia delle loro opere e del tempo del loro esercizio da studi e nuovi documenti, vol.II, Napoli, p.426.
[5] G Borrelli, Il presepe napoletano, Napoli, Ed. De Luca-D’Agostino, 1970, p. 236.
[6] F. Mancini, Il Presepe napoletano nella collezione Eugenio Catello, Napoli, Ed. Sadea/Sansoni, 1967, s.n.
[7] G. Borrelli, op. cit., p. 107.
[8] bcg, p.muisen, Gallipoli e i suoi dintorni, Gallipoli, Tipografia municipale, 1870, p. 108; il nome del Sarno è citato da mons. Gaetano Muller nella visita pastorale effettuata all’oratorio confraternale il 7 luglio 1905, in adg, Visita pastorale di Mons. . Muller, Gen. 1903 – Lugl. 1907, p.319.
[9] acssg, Domenicale 1794-1826, Anno 1796 «8 detto [Maggio] giorno di Domenica dedicato alla festività del Glorioso S. Michele Arcangelo nostro Protettore si celebrò in detta nostra Congregazione la sua festa con pompa si celebrarono varie messe, e col Padre si cantò la messa con assistenza de ministri, e dopo si portò processionalmente alla Città la Statua di S. Michele. La tassa là fatta il Primo assistente Nicola Fontana ed il 2° assistente Domenico Pisanello», s.n.
[10] Ibdem, Anno 1797 «14 detto [Aprile] Venerdì Santo Radunati la matina li fratelli si fece la processione di penitenza per li Sepolcri, a Cappuccini portando La nuova Statua Maria Addolorata venuta da Napoli e dopo sene andarono in santa Pace», s.n.; g. f. mosco, Gallipoli – Venerdì Santo. Moviola per una processione, Tuglie, Tip. 5EMME, 2003, p. 14.
[11] G Borrelli, op. cit., p. 56.
[12] Ibidem, p.100; a. di lustro, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano, in La Rassegna d’Ischia, n. 9/1987, s.n.
[13] F. Mancini, op. cit., s.n.; m. liaci, Simulacri sacri. Statue in legno e cartapestadel territorio C.R.S.E.C. di Ugento, a cura di Regina Poso, Taviano, GRAFEMA, 2000, pp.198-201.
[14] l. di San Gioacchino, Il culto di San Giuseppe e l’Ordine del Carmelo, Barcellona, 1905, c. 2, p. 48.
[15] C. Casole, Il Monastero delle Carmelitane scalze di Gallipoli, Manduria (TA), Tip. Tiemme, 1992, p. 63.
[16] Ibidem, p. 66.
[17] La prima fu proprio la cofondatrice e prima Maestra delle novizie, suor Maria di san Giuseppe, al secolo, Anna Maria Chirlingort, professata nel 1693.
[18] Acvg, Documentazione recuperata dal Nucleo Polizia Tributaria di Lecce, Carpetta n.1: Libro di introito ed esito del monastero di Santa Teresa per l’annata 1798-1799. Purtroppo non si dispone di altri documenti di introito ed esito antecedenti al 1798. Come ne anche presso l’archivio del monastero delle carmelitane.
[19] Ibidem, Patrocinio di S. Giuseppe: «Al Sigr. Chiriatti per la musica d.6; Panegirico d.2:50; Al Capitolo per l’assistenza d.7:50; Ai chierici, e Ministro della messa cantata c.80; facchino per i mantici, e sedie c.35; Al Fochista per mortaretti e Batterie d.9:50; Trombetta e due tamburri d. 1:90; Apparatura di chiesa d.1» tot. d.29:55
[20] Adg, Carpetta n.1: Libro di introito ed esito del monastero di Santa Teresa per l’annata 1799-1800. Minuta di spese.
[21] Ibidem, 1800/01, 1801/02, 1802/03, 1803/04, 1804/05, 1805/06, 1806/07, 1807/08, 1811/12.
[22] Cfr., B. Ravenna, Memorie istoriche della fedelissima città di Gallipoli, presso Raffaele Miranda, Napoli 1836, p. 385.
[23] I. Di Liddo, op. cit., p. 240.
[24] Cfr., E. Valcaccia, i Tesori Sacri di Castellammare di Stabia. La scultura del Settecento e dell’Ottocento, Castellammare di Stabia (NA), Ed. Longobardi, 2016, p. 48.
[25] Ibidem, p. 49.
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giancarlonicoli · 5 years
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10 OTT 2019 11:00ARRIGO CIPRIANI SI CUCINA MONSIGNOR ZUPPI: "IL TORTELLINO DI POLLO PER FAVORIRE L’ACCOGLIENZA DEI MUSULMANI? LE RELIGIONI NON HANNO MOTIVAZIONI SUINE'' – IL RE DELL’HARRY’S BAR: GLI CHEF IN TV? ''DITTATORI NARCISI, TUTTO È CAMBIATO CON MASTERCHEF, UN PROGRAMMA INVENTATO DA GORDON RAMSAY, UNO CHEF CHE HA VISTO FALLIRE MOLTI SUOI RISTORANTI” – MONTALE "MANGIAVA MALISSIMO" E WOODY ALLEN, AL TAVOLO, DA SOLO. UNA SERA SI È ALZATO, E'ANDATO VERSO UNA DONNA E..."
Maurizio Caverzan per la Verità
Bettoliere. Si definisce così, Arrigo Cipriani, con quel grado di attenuazione che è proprio dei grandi. Nonostante le 87 primavere vanta una forma invidiabile: lucidità, schiettezza, carisma. Messaggia su WhatsApp, prende voli intercontinentali, guida sportivamente una Mercedes Amg.
Eppure ha già deciso la frase per la lapide: «Sto da Dio». L’ultimo libro, il tredicesimo, scritto con Edoardo Pittalis del Gazzettino e il figlio, Gian Nicola, intitolato Tutti gli chef sono in tv… e noi andiamo in trattoria (Biblioteca dei Leoni) è un programma di vita. L’appuntamento è all’Harry’s Bar, la famosa «stanza» 4 metri e mezzo per nove, in Calle Vallaresso, San Marco (Venezia): «Se prende la linea uno, ferma proprio davanti».
In cravatta e doppiopetto, mi guida a uno dei tavoli rotondi circondati da poltroncine in legno e cuoio. «Nel 2001 questo locale è stato promosso monumento nazionale dal ministero dei Beni culturali come testimonianza del Novecento italiano. L’ha fondato mio padre Giuseppe nel 1931, io sono nato l’anno dopo e lo dirigo da 65 anni. Nel 1960 abbiamo aperto una sala al primo piano, ora abbiamo 80 dipendenti, di cui 15 cuochi». Quand’era barman all’hotel Europa, papà Cipriani prestò diecimila lire a un giovane cliente americano perché potesse pagare il conto e tornare a casa. Due anni dopo, quel cliente ritornò in Italia per restituire il dovuto e, con l’aggiunta di 30.000 lire, aprire un bar in società.
Si chiamava Harry Pickering e quella stanza era un magazzino di cordami. Nacque così l’impero odierno: 27 attività in diversi continenti, tremila dipendenti, 300 milioni di fatturato, cinque ristoranti a New York, altri a Los Angeles, Miami, Città del Messico, Montecarlo, Ibiza, Londra, Hong Kong, Dubai, più la coltivazione intensiva del carciofo violetto all’isola di Torcello… «Vede gli arredi? Le proporzioni tra la persona seduta e il soffitto, il legno e il marmo, le luci e l’acustica: è tutto studiato. Zero imposizioni: lo scopo è la semplicità».
Una semplicità complessa.
«Nei miei libri la chiamo proprio così».
Merito di qualche architetto?
«Non ho molta stima degli architetti. È il nostro stile, qui il cliente deve stare meglio che a casa».
Perché non le piace il fatto che gli chef vadano in televisione?
«Perché mettono in scena qualcosa che va contro la libertà. Sono dei narcisi che impongono uno spettacolo al quale il cliente deve assistere come un devoto. Invece, dev’essere il principe: se non c’è lui possiamo andare tutti a spasso».
Senza i clienti si chiude.
«Il lusso sono le persone. Questi chef non seguono la cucina italiana. Siamo un Paese ricco di tradizioni nella letteratura, nell’arte, nell’architettura. La cucina nasce da qui. L’anima dell’uomo si trasmette attraverso la cultura. La cucina è cultura. Se va alla Pinacoteca di Brera, sotto i quadri di Giovanni Bellini e di Vittore Carpaccio trova la storia del nostro cocktail e del nostro piatto di carne affettata ispirati alla loro pittura. Ma non l’ho voluto io».
Che cos’è il narcisismo degli chef?
«Il ristorante si identifica con loro, invece per me è un insieme di componenti. Lo chef conta, ma se diventa il tutto finisce per imporre il suo ego. Qualche giorno fa mi è capitato di assistere a una scena in un importante ristorante. Un cliente voleva del formaggio; “No, l’ho già messo io”, ha replicato lo chef. “Mi scusi, vorrei del formaggio”, ha ribadito il cliente. Alla fine, quello l’ha fatto aggiungere manifestando tutto il suo disprezzo. Il cliente dev’essere un allievo obbediente».
Nei menu le descrizioni dei piatti devono essere decodificate.
«Vede? Il cliente è un allievo a scuola».
Come sintetizzerebbe le qualità dell’Harry’s Bar?
«Assenza di imposizioni. Accoglienza nella cucina e nel servizio. Per questo preferisco le trattorie, che sono il posto dove si conservano le tradizioni e l’accoglienza dell’oste. Vede i nostri bicchieri? Noi non abbiamo calici. Per bere si compie un gesto semplice, non si fa ginnastica».
Uno dei suoi ultimi libri s’intitola Elogio dell’accoglienza. Cosa pensa del «tortellino dell’accoglienza» inventato dall’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi, che ha proposto di sostituire il ripieno di maiale con quello di pollo per facilitare la devozione dei musulmani a San Petronio, patrono cittadino?
«Mi sembra una grande stupidaggine, un segno lampante di quanto poco i cattolici, specialmente certe gerarchie, capiscano le altre fedi monoteistiche. Mi sembra anche una manifestazione supponente. Non è la diversa visione gastronomica che concorre a dividere i fedeli. Qualche giorno fa, ho visitato il nostro ristorante di Ryiad dove mi piacerebbe invitare monsignor Zuppi perché possa capire che l’accoglienza è un valore immateriale, difficile da comprendere solo da chi pensa che le differenze religiose abbiano motivazioni… suine».
Gli chef sono tutti uomini, ma le ricette le hanno inventate le nonne e le hanno tramandate le mamme. La cucina della tradizione è femminista?
«Gli chef sono uomini perché è un lavoro pesante, bisogna sollevare le pentole, ci sono 50 gradi… La cucina della tradizione è nata prima dell’invenzione del frigorifero, quando i cibi venivano affumicati, salati e conservati nelle cantine. In cucina comandavano le donne e si mangiavano la trippa, il fegato alla veneziana, il baccalà, lo spezzatino. Era un modo di mangiare legato ai bisogni primari del dopoguerra».
Invece la nouvelle cuisine viene dalla cultura dell’immagine?
«Dalla rivoluzione del Sessantotto che ha fatto morire la tradizione. In America quella rivoluzione è finita subito, qui l’abbiamo ancora in casa».
Nel libro scrive che «dalle cucine degli anni Settanta sono usciti molti pittori e scultori, ma pochissimi cuochi».
«Se guarda con attenzione un piatto della nouvelle cuisine si accorgerà che la forma è talmente curata da sembrare un piatto morto. Non a caso si parla di impiattamento: pietanze che sembrano sculture. Infatti, non propongono mai un piatto caldo perché è difficile da comporre e può creare problemi estetici».
I critici gastronomici sbagliano a penalizzare la cucina tradizionale o la ricerca fa crescere l’industria del cibo?
«La maggior parte dei critici gastronomici segue la moda. Chi propone una vera cucina tradizionale non è interessato a stare sui giornali, ma ad avere clienti che tornino per la qualità del menu».
L’innovazione non serve?
«L’innovazione è far bene la tradizione. Ci sono talmente tanti dettagli che il gusto è sempre migliorabile, perfezionabile. Adesso tutti adoperano la curcuma e le spezie e non si capisce che cosa c’entrino con noi».
Cosa favorisce l’invasione della telecucina?
«L’audience e il mercato. Tutto è cambiato con Masterchef, un programma che viene registrato in una settimana, inventato da Gordon Ramsay, uno chef che ha visto fallire molti suoi ristoranti».
Perché ce l’ha con i francesi e chiama «guida dei copertoni francesi» la Guida Michelin?
«Qualche anno fa, un mio cliente, il ministro della Cultura francese Rennaud Donnedieu de Vabres mi invitò a una cena al ministero, c’erano 200 persone. A un certo punto si alzò: “Questa cena è in onore di Arrigo Cipriani”. I francesi sono grandi intenditori di cibo e di vini, non ce l’ho con loro. Ma mi chiedo perché noi italiani dobbiamo copiarne la cucina. E anche perché dobbiamo copiare gli americani nella robotizzazione del servizio».
Robotizzazione del servizio?
«Se telefona all’Excelsior si sente rispondere: “Grazie per aver chiamato l’Excelsior, sono Francesco, in che cosa posso esserle utile?”. Un robot, un disco. Le persone dicono: “Buongiorno, come sta?”».
Perché ce l’ha con le guide?
«Perché vogliono teleguidare i clienti. Lei va in un locale perché lo dice la guida o perché glielo consiglia un amico?».
Perché i suoi locali non sono stellati?
«Perché non voglio entrare in una classifica lontana dalla cucina italiana. La stessa cosa vale per quella dell’Espresso o del Gambero rosso. L’unica classifica che mi interessa è quella stilata dai miei clienti».
Non è un po’ drastico dire «se volete mangiare bene spegnete la tv»?
«Trovo che molti di questi programmi siano fatti da dilettanti che s’improvvisano cuochi. Io sono qui da 65 anni, i piatti della nostra cucina li so fare, ma li lascio cucinare ai nostri cuochi che sono più bravi».
Negli anni Cinquanta e Sessanta la tv ha insegnato a mangiare.
«C’era uno come Mario Soldati, con la sua cultura e la sua genuinità».
Chi potrebbe essere il Soldati di oggi?
«Forse uno come Philippe Daverio, un critico d’arte, non gastronomico».
È merito della tv il boom degli istituti alberghieri?
«Certo, ma è un’ondata che sta rallentando, tanti ragazzi si cancellano. Ogni anno paghiamo tre borse di studio perché altrettanti studenti possano fare degli stage nei nostri ristoranti. C’è stato un boom enorme d’iscrizioni, poi è iniziata la ritirata. Si comincia a capire che è una vita faticosa e che spesso si ha un’idea romanzata della vita dei cuochi».
È anche per questo che molti tra i più famosi cadono in depressione e si suicidano?
«Anche. Molti hanno successo, ma non hanno cultura e mancano dei fondamenti. Qualcuno si accorge che è tutta una grande finzione».
Parlando di cultura, Ernest Hemingway frequentava la vostra locanda di Torcello e l’Harry’s Bar, meta di scrittori e artisti non solo durante la Mostra del cinema. Mi regala un aneddoto?
«L’altro giorno c’era Jeff Bezos, è un continuo via vai. Montale era una persona straordinaria che mangiava malissimo. A un certo punto si era affezionato, ma voleva un tavolo nascosto. Un altro così è Woody Allen, mangia incurvato, da solo. Una sera si è alzato e si è diretto verso la signora di un tavolo vicino: “Per cortesia, signora, può smetterla di fissarmi?”. Poi è tornato a sedersi».
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freedomtripitaly · 4 years
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Se d’inverno è il paradiso alpino dello sci, d’estate la Val Gardena non è da meno quanto ad attività all’aria aperta. La regina delle Dolomiti è la valle perfetta per fare escursioni, arrampicate, ciclismo e ovviamente per fare splendide passeggiate. I paesi di Ortisei, S. Cristina e Selva Gardena all’ombra degli spettacolari massicci montuosi delle Odle, del gruppo del Cir, del Sella e dell’inconfondibile Sassolungo d’estate, con splendide giornate di sole, offrono tantissimi svaghi. Ben 600 i chilometri di sentieri escursionistici da percorrere e 15 impianti di risalita per raggiungere gli alpeggi. Sulle cime dolomitiche che circondano la Val Gardena gli alpinisti hanno la possibilità di vivere in prima persona la bellezza di queste montagne. Il Sassolungo, il Gruppo del Sella, il Sass Rigais e il Furchetta raggiungono altezze di oltre 3.000 metri. Per gli escursionisti e gli alpinisti esperti, le scuole alpine ”Catores” e l’Associazione Guide Alpine Val Gardena offrono escursioni, vie ferrate e arrampicate con l’accompagnamento di guide esperte. Bellissimo è il tour di trekking di quattro giorni ”Curona de Gherdëina”, intorno alle cime della valle. Il percorso, lungo 60 km (con diversi dislivelli), conduce al Parco Naturale Puez-Geisler, all’altopiano del Sella e alla valle del Gruppo del Sassolungo. La natura unica delle Dolomiti può essere scoperta anche in sella alla bicicletta, percorrendo le 22 escursioni intorno ai paesi da fare anche in giornata. La Val Gardena è una ”Approved Bike Area” dell’Alto Adige. Particolarmente consigliabile è il ”Sellaronda MTB Track Tour” che offre un paesaggio mozzafiato, tra il Gruppo del Sella e la Marmolada. 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Per chi desidera godersi la montagna in modo “slow”, infatti, c’è la possibilità di prendere parte alle escursioni mattutine ”Flowery Dolomites”. Ogni anno, infatti, da metà maggio a metà luglio, sugli alpeggi sboccia una moltitudine di fiori di montagna tra i quali è bellissimo passeggiare. Inoltre, per tutta l’estate, dal 15 giugno fino al 02 novembre 2020, vemgono organizzate tantissime iniziative che fan parte del programma Val Gardena Active, appuntamenti sportivi e culturali che arricchiscono una vacanza tra le più belle montagne delle Dolomiti. Infine, la Val Gardena è famosa in tutto il mondo per la tradizione dell’intaglio del legno, un’arte che viene praticata fin dal 1600. Gli scultori del legno della Val Gardena hanno dato vita oggi a un artigianato innovativo e versatile. Famose sono le bambole gardesane (bellissime quelle realizzate da Judith Sotriffer nel proprio atelier in centro a Ortisei), ma anche sculture e decorazioni, ottime come souvenir di una vacanza in Val Gardena. @Ufficio stampa https://ift.tt/3cL53xw La Val Gardena è la meta perfetta per non annoiarsi mai Se d’inverno è il paradiso alpino dello sci, d’estate la Val Gardena non è da meno quanto ad attività all’aria aperta. La regina delle Dolomiti è la valle perfetta per fare escursioni, arrampicate, ciclismo e ovviamente per fare splendide passeggiate. I paesi di Ortisei, S. Cristina e Selva Gardena all’ombra degli spettacolari massicci montuosi delle Odle, del gruppo del Cir, del Sella e dell’inconfondibile Sassolungo d’estate, con splendide giornate di sole, offrono tantissimi svaghi. Ben 600 i chilometri di sentieri escursionistici da percorrere e 15 impianti di risalita per raggiungere gli alpeggi. Sulle cime dolomitiche che circondano la Val Gardena gli alpinisti hanno la possibilità di vivere in prima persona la bellezza di queste montagne. Il Sassolungo, il Gruppo del Sella, il Sass Rigais e il Furchetta raggiungono altezze di oltre 3.000 metri. Per gli escursionisti e gli alpinisti esperti, le scuole alpine ”Catores” e l’Associazione Guide Alpine Val Gardena offrono escursioni, vie ferrate e arrampicate con l’accompagnamento di guide esperte. Bellissimo è il tour di trekking di quattro giorni ”Curona de Gherdëina”, intorno alle cime della valle. Il percorso, lungo 60 km (con diversi dislivelli), conduce al Parco Naturale Puez-Geisler, all’altopiano del Sella e alla valle del Gruppo del Sassolungo. La natura unica delle Dolomiti può essere scoperta anche in sella alla bicicletta, percorrendo le 22 escursioni intorno ai paesi da fare anche in giornata. La Val Gardena è una ”Approved Bike Area” dell’Alto Adige. Particolarmente consigliabile è il ”Sellaronda MTB Track Tour” che offre un paesaggio mozzafiato, tra il Gruppo del Sella e la Marmolada. Invece, il ”Panorama Ebike Tour powered by Bosch” offre una particolare escursione ogni giovedì: un tour intorno ai tre villaggi ladini, passando per pascoli alpini e sentieri forestali protetti, con un panorama davvero affascinante e unico. La ”Val Gardena Bike Arena” , infine, offre divertimento assoluto con un totale di sei percorsi, che possono essere ripetuti tutte le volte che si vuole, utilizzando gli impianti di risalita Dantercepies, Cir, Ciampinoi e Piz Seteur. Dall’estate 2020 la grande novità è la “Zipline Monte Pana”. Giunti in cima della seggiovia Monte de Sëura, si accede alla zona lancio di questa nuovissima zipline. Equipaggiati con imbragatura ci si lancia per 1.500 metri a tutta velocità nel vuoto, per un emozionante volo che sfrutta un sistema unico e innovativo, arrivando a toccare i 100 km/h, con un’altezza massima di cento metri dal suolo. Ci sono tante attività anche per i meno scalmanati. Per chi desidera godersi la montagna in modo “slow”, infatti, c’è la possibilità di prendere parte alle escursioni mattutine ”Flowery Dolomites”. Ogni anno, infatti, da metà maggio a metà luglio, sugli alpeggi sboccia una moltitudine di fiori di montagna tra i quali è bellissimo passeggiare. Inoltre, per tutta l’estate, dal 15 giugno fino al 02 novembre 2020, vemgono organizzate tantissime iniziative che fan parte del programma Val Gardena Active, appuntamenti sportivi e culturali che arricchiscono una vacanza tra le più belle montagne delle Dolomiti. Infine, la Val Gardena è famosa in tutto il mondo per la tradizione dell’intaglio del legno, un’arte che viene praticata fin dal 1600. Gli scultori del legno della Val Gardena hanno dato vita oggi a un artigianato innovativo e versatile. Famose sono le bambole gardesane (bellissime quelle realizzate da Judith Sotriffer nel proprio atelier in centro a Ortisei), ma anche sculture e decorazioni, ottime come souvenir di una vacanza in Val Gardena. @Ufficio stampa È la valle perfetta per fare escursioni, arrampicate, mountain bike, zipline e splendide passeggiate all’ombra delle Dolomiti.
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storiedellarte · 7 years
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Nella suggestiva cornice della sala dell’albergo della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, venerdì 29 settembre è stato presentato un importante volume sugli scultori bellunesi Andrea Brustolon (1662-1732) e Valentino Panciera Besarel (1829-1902), che contribuisce ad arricchire gli studi sulla scultura lignea nell’Alto Veneto tra Seicento e Ottocento. Quello della scultura lignea è un capitolo degno di nota nel panorama storico-artistico. Nel Bellunese, territorio che ha avuto una lunga e rinomata tradizione nella scultura lignea, a livello scientifico l’interesse verso questo settore è stato recentemente alimentato per esempio con l’allestimento delle mostre dedicate a Besarel e a Brustolon “il Michelangelo del legno”, rispettivamente nel 2002-2003 e nel 2009 in Palazzo Crepadona a Belluno, e con la pubblicazione di monografie e studi specialistici, come la lodevole collana Tesori d’arte nelle chiese del Bellunese.
La produzione di Andrea Brustolon e Valentino Panciera Besarel studiata in questa nuova pubblicazione ha idealmente dialogato con gli ambienti della Scuola Grande, tra i quali la serie di ventiquattro bassorilievi che ornano gli sportelli degli armadi nella Sala capitolare, eseguiti tra il 1741 e il 1743 dallo scultore e intagliatore altrettanto bellunese Giovanni Marchiori, e i soffitti in legno che ospitano le tele di Tintoretto.
La serata è stata introdotta da Franco Posocco, Guardian grando della scuola grande di San Rocco, che ha proprio ricordato i legami veneziani dei due scultori bellunesi protagonisti della serata culturale. Il libro che si è presentato è curato da Anna Maria Spiazzi, Ester Cason Angelini e Michele Talo e raccoglie gli atti di una giornata di studi svoltasi a Belluno nel novembre 2014, dedicata al restauro degli arredi lignei conservati al Palazzo del Quirinale di Roma ed eseguiti da Brustolon e Besarel. L’occasione dell’importante intervento di restauro ha permesso di far intrecciare successivamente una significativa sinergia, quella di Enti pubblici, di associazioni private e soprattutto del mondo della scuola. A Sedico, vicino a Belluno, sorge infatti una scuola di restauro di manufatti in legno. Dalla collaborazione fruttuosa tra la Fondazione “G. Angelini” – Centro Studi sulla montagna e il Centro Consorzi che gestisce la scuola è nata questa iniziativa editoriale di notevole spessore, sia sul piano più prettamente culturale e scientifico, sia su quello della potenzialità di un’attività lavorativa e produttiva. È infatti importante il contributo del mondo della scuola – e quindi dei giovani –  per la valorizzazione del patrimonio presente nel territorio, come base per costruire un turismo sostenibile per l’area montana. Il territorio bellunese da sempre ha sfruttato al massimo le sue principali risorse, in particolare quelle boschive, da cui ha ricavato essenze lignee per costruire molteplici manufatti, dai più semplici e artigianali oggetti per la vita quotidiana a quelli di fattura più artistica, quali arredi, statue, altari. Il volume è a più voci: non si è indagata solo la produzione dei due scultori alla luce dei restauri delle loro opere, ma si sono affrontate anche ulteriori tematiche: le peculiarità del territorio, la tradizione artistica dell’intaglio ligneo, il turismo, l’economia della cultura.
“La montagna torna a Venezia” ha osservato Ester Cason Angelini, mettendo in evidenza quanto il Bellunese ha significato per la Serenissima, in termini di approvvigionamento di materie prime (legname e metalli) per la costruzione e la decorazione della città.
L’intervento di Anna Maria Spiazzi, storica dell’arte e già soprintendente per i beni storico-artistici del Veneto orientale, curatrice di un fondamentale volume Scultura lignea barocca nel Veneto (1997), ha richiamato all’attenzione alcuni snodi centrali nel dibattito storico-artistico che tale volume suscita: il rapporto tra centro e periferia, il concetto di stratificazione, il restauro quale cantiere della conoscenza quando si intrecciano competenze e momento di divulgazione scientifica, il connubio arte e artigianato, il valore della cultura. Le vallate montane dell’Alto Veneto sono quelle che più hanno conservato nelle chiese significativi esempi di altari e arredi lignei, sfuggendo in parte alle grandi trasformazioni di molti manufatti ecclesiastici durante le congiunture barocca e neoclassica che hanno interessato soprattutto gli edifici in pianura.
A illustrare i pregevoli arredi del Quirinale recentemente restaurati è stata Luisa Morozzi, del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, ufficio per la conservazione del patrimonio artistico. Capolavoro di intaglio, sottile e raffinato, è il Tavolo portagioie della regina Margherita, eseguito nel 1884 da Valentino Panciera Besarel e citato nell’Esposizione generale italiana di Torino, un oggetto che per molto tempo è stato dimenticato. Nella sua prolifica, eclettica e rinomata produzione, Besarel si è dimostrato debitore dell’arte di Brustolon, diventandone un ideale continuatore. Il tavolo, in legno di noce intagliato, scolpito e dorato, con quattro figure di cariatidi come sostegno delle gambe e attraversato da una rigogliosa trama di decori a foglie di acanto stilizzate e mazzetti di margherite, si trovava nella camera da letto della regina, mentre ora è collocato nella biblioteca della presidenza e contiene i libri posseduti dalla regina. Quella di Besarel era una bottega fornitissima, situata a Palazzo Contarini in campo San Barnaba a Venezia, che poteva soddisfare le esigenze di diversi tipi di clientela, da quella reale a quella borghese, grazie a una precisa suddivisione dei lavori.
Dopo questo exploit, il Besarel è stato ulteriormente coinvolto per i fornimenti della Casa reale. Nel 1888, in occasione della visita dell’imperatore di Germania, vengono commissionati al Besarel quattordici sedie con schienale quadrato, tre grandi poltrone e due tavoli in legno di pero, destinati ad allestire gli ambienti per la visita ufficiale. I tavoli sono ora conservati nella Sala del Bronzino. Come nel precedente tavolo portagioie, anche in questi arredi negli elementi figurativi vegetali e nei motivi decorativi realizzati con la tecnica dell’incisione a bulino, è molto evidente il richiamo alla scultura di tradizione rinascimentale: Besarel dimostra di padroneggiare con abilità e perizia l’arte dell’intaglio, con riferimenti che vanno da Ghiberti a Giambologna e ad altri scultori della tradizione italiana. Il ricco repertorio decorativo della bottega besareliana, composto da numerosi disegni di fregi e ornamenti per mobili, è segno della sua vasta cultura figurativa. Una delle poltrone con schienale a medaglione si ispira ai seggioloni del fornimento Venier di Brustolon conservati al museo Ca’ Rezzonico di Venezia, nei dettagli dei putti adagiati allo schienale e dei mori sotto il bracciolo.
Luisa Morozzi è passata poi ad esaminare le opere del Brustolon, presenti nella Sala dello zodiaco: si tratta di dodici poltrone in legni di bosso, giunte a Roma nel 1919 con altri arredi, provenienti da Palazzo Pisani a Venezia, dopo essere state trasferite prima a Stra e poi a Monza in villa Reale. La critica non è unanime nella autografia brustoloniana.
Roberta Sugaroni, restauratrice di opere lignee, è passata a considerare i dettagli pratici e gli aspetti tecnici delle procedure di restauro. La sfida più grande ha rappresentato l’intervento sul tavolo portagioie, perché in passato ha subito un’operazione di divisione per nuove esigenze, ed è stato trasformato in due consoles: questo ha comportato l’eliminazione dei dieci cassetti interni e della struttura centrale. Si è trattato di un restauro complesso, che ha richiesto una notevole fase progettuale e una lunga discussione e riflessione, in particolare orientata a trovare una soluzione per unificare il tavolo, essendoci il problema della mancanza del nodo centrale. I disegni progettuali di Besarel hanno fornito preziosi spunti per realizzare il recupero, attraverso un’annessione ex novo, dell’elemento di raccordo, con un risultato finale di unità formale davvero ottimo, sia come qualità tecnica, sia come integrazione coerente e rispettosa del manufatto originario.
Le poltrone del Besarel sono state interessate da un’operazione di pulitura, di armonizzazione cromatica e di conservazione della superficie. L’intervento sul fornimento Pisani di Brustolon ha riservato invece una sorpresa iconografica: nella poltrona dei Pesci, con un virtuoso ed esuberante fascio a intrecci vegetali intagliato sulla traversa frontale, dal confronto con materiale fotografico di inizio Novecento e dall’analisi delle singole parti, si è scoperto che le figure sotto il bracciolo erano in origine personaggi dediti a lavori di falegnameria, reggenti in mano strumenti del loro lavoro, dei quali era stata alterata la lettura in un precedente intervento.
Una seconda restauratrice di manufatti lignei, Milena Dean, ha presentato l’intervento di restauro sull’altar maggiore di Besarel nella chiesa parrocchiale della Valle Agordina (BL), del 1885. Lo scultore zoldano è stato coinvolto dopo l’intervento interno dell’architetto Segusini. L’altare ligneo si presenta decorato in finto marmo e finto bronzo, con esiti illusionistici davvero impressionanti, che il restauro ha riportato all’originale splendore. Lo sportello del tabernacolo è da assegnare probabilmente alla figlia Caterina, pure lei artista. Come è stato fatto notare, il rivestimento policromo si ispira ai marmi veneziani rinascimentali.
Alla fine è intervenuto Michele Talo, direttore del Centro Consorzi di Sedico dove ha sede la scuola di restauro e del legno, che ha ricordato una delle finalità della pubblicazione, quella di valorizzare i giovani, la loro curiosità e creatività, e di promuovere il dialogo con i grandi maestri del passato, per imparare e apprendere il mestiere guardando con gli occhi: come si faceva un tempo nelle botteghe d’artista.
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Andrea Brustolon, Valentino Panciera Besarel. La scuola di restauro di Sedico (BL) interroga i grandi maestri Nella suggestiva cornice della sala dell’albergo della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, venerdì 29 settembre è stato presentato un importante volume sugli scultori bellunesi Andrea Brustolon (1662-1732) e Valentino Panciera Besarel (1829-1902), che contribuisce ad arricchire gli studi sulla scultura lignea nell’Alto Veneto tra Seicento e Ottocento.
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