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Il castello di San Pio delle Camere. Abruzzo , Italy.
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cassius-writer · 1 year
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. Dove sta quel memore rudere montano una volta fu l'uomo e la sua mano. Dimmi, onesto viaggiatore, sceglierai anche tu di sentir l'antico dolore? Arde come fiamma pensar chi non è stato chi è passato sotto i rami del creato, conscio che un giorno sarò io poeta da tutti ignorato, ad essermene andato. Si ricorderanno di me e dei miei versi, al mondo sempre avversi? Era dovuto rendere umano il mio saluto, prestare forse spesso aiuto. Tardi oramai son scritte le parole ed i miei gesti, marchi sulla pietra della vita, labili soltanto i miei lamenti e sono grato, che li porti il vento lontani dal creato. Daniele Scopigno Foto di: Francesca Piccardi #paesaggio #castello #letteratura #letture #lettureconsigliate #lettureinteressanti #leggere #leggerechepassione #leggerefabene #leggeremania #leggereovunque #scrittori #scrittore #scrittoriitaliani #scrittoricontemporanei #poeti #poetiitaliani #poesiaitaliana #poesiacontemporanea #abruzzolovers #igersabruzzo #vivoabruzzo #volgoabruzzo #yourabruzzo #yallersabruzzo (presso Castello di San Pio delle Camere) https://www.instagram.com/p/CocW9K9sH_1/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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pangeanews · 5 years
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“È più facile farsi inchiodare sulla croce, che divenire un bambino che balbetta”: ingresso nei pensieri di Edith Stein, la pensatrice totale amata, tra i tanti, da Battiato
Nel 1922, come si sa, accadono tante cose nel mondo della letteratura, così tante che sembra un pagliaio di luce. James Joyce pubblica l’Ulisse e Thomas S. Eliot La terra desolata; Franz Kafka scrive Il castello e Rainer Maria Rilke termina le Elegie duinesi; muore Marcel Proust e nasce Pier Paolo Pasolini. Nel 1922 Edith Stein, ebrea, ultima di sette figli, brillante allieva di Edmund Husserl e sua assistente, si converte, dopo aver letto una biografia di Teresa d’Avila. Vent’anni dopo, lei e la sorella Rosa, in quanto ebree convertite, vengono catturate in Olanda dai nazisti, tradotte ad Auschwitz e finite nelle camere a gas. Dopo qualche anno di insegnamento, Edith si avvia al Carmelo: nel 1934 si ritira tra i carmelitani di Colonia, con il nome di Teresa Benedetta della Croce. L’anno prima, poco dopo l’avvento di Hitler, scrive a papa Pio XI e al suo segretario, il cardinale Pacelli, riguardo alle persecuzioni dei nazisti contro gli ebrei. Canonizzata come Santa nel 1998 da papa Giovanni Paolo II ed eletta copatrona d’Europa insieme a Caterina da Siena e a Brigida di Svezia, la sua opera filosofica e teologica si sintetizza in libri come Essere finito ed essere eterno e La scienza della Croce. Pensatrice formidabile, ha attratto artisti come Juri Camisasca, Giuni Russo e Franco Battiato. In questi giorni leggo, a volte corroborato altre spiazzato, i Pensieri di Edith Stein: in realtà sono un regesto di frasi tratte dai suoi libri maggiori. L’edizione che ho, meravigliosa, un dono, sta nel palmo della mano, è stata pubblicata nel 1991, da ‘Il Passero Solitario’; oggi la trovate in una versione moderna per le Edizioni Ocd, dei Carmelitani Scalzi. I libri di Edith Stein sono editi da Città Nuova, Castelvecchi, San Paolo. Ogni tanto leggo un pensiero. Non allevia e non leva, per fortuna, lava, semmai, e impone il peso del pensare e dell’abbandonare. (d.b.)
***
L’essenza più intima dell’amore è la donazione.
Più una persona vive raccolta nell’intimo della sua anima, più forte è questa irradiazione che da lei parte e attira gli altri nel suo cerchio.
Il cielo non prende niente senza ripagare smisuratamente. Non dobbiamo vedere le sofferenze troppo grandi e le gioie troppo piccole.
Una cosa è certa, che noi viviamo nel momento e nel luogo presenti per raggiungere la nostra salvezza e quella di coloro che ci sono affidati.
Dobbiamo imparare a vedere gli altri portare la croce e non potergliela togliere. È più difficile che portare la propria, ma non possiamo evitarlo.
La nostalgia sparisce quando si raggiunge la propria vera patria.
È una grande scuola di umiltà dover fare continuamente cose che costano gran fatica e che riescono molto imperfette.
Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto.
La fede nella storia segreta delle anime deve fortificarsi quando ciò che vediamo esternamente (in noi e negli altri) ci toglierebbe il coraggio.
Noi dobbiamo ascoltare in silenzio per ore e lasciare agire la parola divina.
Vivere nel presente, senza il peso dell’avvenire.
Fare spazio a Dio nell’anima significa intraprendere una lotta senza quartiere contro la propria natura, prendere la propria croce e abbandonarsi alla crocefissione.
La notte oscura diventa una scuola di tutte le virtù: allena alla rassegnazione, alla pazienza, dal momento che si è fedeli alla vita spirituale, senza trovarvi consolazione e ristoro. La perseveranza in tutte le contrarietà conferisce forza e coraggio.
La speranza crea il vuoto nella memoria costringendola ad occuparsi di qualcosa che non possiede ancora. Essa c’insegna a sperare tutto da Dio e nulla da noi stessi e dalle altre creature.
Chi sa svincolare da ogni attaccamento ai beni temporali, acquista magnanimità, libertà d’animo, chiarezza d’intelletto, tranquillità profonda, pacifica confidenza in Dio.
La croce serve da bastone per accelerare la marcia verso la vetta.
L’anima deve considerare l’aridità e il buio come fausti presagi; come segni che Iddio le sta al fianco liberandola da se stessa, strappandole di mano l’iniziativa.
La fede viene indicata come oscurità di mezzanotte, perché noi siamo obbligati a rinunciare completamente al lume della conoscenza naturale per conquistare la sua luce.
È più facile farsi inchiodare con Cristo sulla croce, che divenire con lui un bambino che balbetta.
L'articolo “È più facile farsi inchiodare sulla croce, che divenire un bambino che balbetta”: ingresso nei pensieri di Edith Stein, la pensatrice totale amata, tra i tanti, da Battiato proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2vhB8dc
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giancarlonicoli · 3 years
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9 feb 2021 08:48
È MORTO FRANCO MARINI – L’EX PRESIDENTE DEL SENATO AVEVA 87 ANNI E A GENNAIO ERA STATO RICOVERATO PER COVID - ABRUZZESE DI SAN PIO DELLE CAMERE, LAUREATO IN GIURISPRUDENZA, CON UN PASSATO IN CUI SINDACATO E POLITICA SONO SEMPRE ANDATI DI PARI PASSO — ERA SOPRANNOMINATO "IL LUPO MARSICANO", IN RICORDO DEL SUO PERIODO DI LEVA, SVOLTO COME UFFICIALE NEGLI ALPINI - NEL 2013 SFIORÒ IL QUIRINALE…
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Da www.corriere.it
È morto Franco Marini, già presidente Senato, ministro del Lavoro, segretario generale Cisl e Segretario nazionale Ppi. Aveva 87 anni.
Marini era stato ricoverato per Covid lo scorso gennaio: le sue condizioni, inizialmente, non sembravano destare preoccupazioni, anche se i medici erano dovuti ricorrere alla respirazione assistita.
Abruzzese di San Pio delle Camere, laureato in giurisprudenza, con un passato in cui sindacato e politica sono sempre andati di pari passo — prima la Cisl e la Democrazia Cristiana, poi il Partito Popolare, quindi la Margherita e da ultimo il Partito democratico — era spesso soprannominato «il lupo marsicano», anche in ricordo del suo periodo di leva, svolto come ufficiale negli Alpini. Tra i suoi «vezzi» c’era proprio quello di indossare, quando possibile, il cappello con la penna nera — e quello di tenere spesso in mano una pipa spenta.
«La politica come passione e organizzazione, il mondo del lavoro la sua bussola, il calore nei rapporti umani. Ci mancherà Franco Marini. Ha accompagnato i cattolici democratici nel nuovo secolo» ha scritto Paolo Gentiloni su Twitter.
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lavocedelcerrano · 3 years
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Franco Marini, uomo umile e onesto. Il ricordo dell'on. Pezzopane e di Paolo Basilico
Franco Marini, uomo umile e onesto. Il ricordo dell’on. Pezzopane e di Paolo Basilico
Era andato via giovanissimo dalla sua terra amatissima, da San Pio delle Camere in provincia dell’Aquila per cercare lavoro e futuro nella Capitale. La sua intelligenza e la sua tenacia lo hanno portato a successi e traguardi incredibili. Sindacalista,  ha lottato per i diritti dei lavoratori e da parlamentare, ministro del lavoro e Presidente del Senato è sempre stato un promotore di modernità e…
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freedomtripitaly · 4 years
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La chiamano la “Cappella Sistina d’Abruzzo”. Date le dimensioni, c’è chi la paragona alla Cappella degli Scrovegni a Padova. Pochi ne conoscono l’esistenza, eppure è di grandissima importanza, per diversi motivi. Questa splendida chiesetta che domina l’altopiano di Navelli e che si nasconde tra i monti di Bominaco, un piccolissimo borgo che conta meno di cento abitanti, frazione di Caporciano, in provincia dell’Aquila, nasconde un vero e proprio tesoro. Si tratta dell’Oratorio di San Pellegrino, con l’annessa Abbazia di Santa Maria Assunta. Sono ciò che resta di un complesso monastico medievale che comprendeva anche un castello, iniziato a costruire nel XII secolo, e una torre cilindrica, oggi ancora visibile. La “Cappella Sisitina d’Abruzzo” @123rf L’Oratorio offre un incredibile contrasto tra la struttura esterna piuttosto anonima e l’interno, caratterizzato da un’esplosione di colori data dagli affreschi che ancora conserva e che sono stati restaurati proprio di recente. Secondo alcune ipotesi sarebbe addirittura legata al passaggio, da questa parti, di Carlo Magno. Fu comunque rifatta dall’abate Teodino nel 1263. Chi ha la fortuna di entrare in questo luogo resta letteralmente a bocca aperta. Le pareti e le volte sono completamente affrescate con episodi tratti dal Vangelo, l’infanzia di Cristo, la Passione, il Giudizio Finale e alcuni episodi della vita di San Pellegrino. Gli affreschi rappresentano uno dei più antichi calendari monastici, con le personificazioni dei mesi. A ogni mese sono dedicate due vignette in cui sono riportati il segno zodiacale, la corrispondente fase lunare, una figura allegorica che rappresenta il mese e i giorni contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto (e non da numeri). A separare la zona destinata ai pellegrini da quella dei monaci sono due transenne di marmo scolpite con l’immagine di un drago e di un grifone e l’iscrizione che ricorda Teodino e la data del 1263. Questi affreschi di scuola abruzzese risalenti al XIII secolo sono fra i più vasti e integri complessi pittorici dell’epoca. Gli affreschi all’interno @123rf A prendersi cura di questo sito di grande importanza storico-artistica sono alcuni custodi che, da decenni, guidano turisti e visitatori alla scoperta della “Cappella Sistina d’Abruzzo”. L’Oratorio di San Pellegrino è solo uno dei luoghi religiosi che si possono visitare in questo minuscolo borgo abruzzese. Vale la pena visitare l’Abbazia, la Chiesa del tratturo L’Aquila-Foggia, costruita nel XVI secolo in stile rurale, in seguito a un miracolo. Si trova al centro dell’altopiano, tra Caporciano, Navelli e San Pio delle Camere. E, infine, anche l’Eremo di San Michele, situato a poca distanza dal paese, costituito da una grotta, all’interno della quale si trova un altare e alcuni resti delle strutture necessarie per poter vivere in isolamento. @Wikimedia Commons – Pietro-Moto Itinerari https://ift.tt/2ONkEnB In Abruzzo c’è un luogo più bello della Cappella degli Scrovegni La chiamano la “Cappella Sistina d’Abruzzo”. Date le dimensioni, c’è chi la paragona alla Cappella degli Scrovegni a Padova. Pochi ne conoscono l’esistenza, eppure è di grandissima importanza, per diversi motivi. Questa splendida chiesetta che domina l’altopiano di Navelli e che si nasconde tra i monti di Bominaco, un piccolissimo borgo che conta meno di cento abitanti, frazione di Caporciano, in provincia dell’Aquila, nasconde un vero e proprio tesoro. Si tratta dell’Oratorio di San Pellegrino, con l’annessa Abbazia di Santa Maria Assunta. Sono ciò che resta di un complesso monastico medievale che comprendeva anche un castello, iniziato a costruire nel XII secolo, e una torre cilindrica, oggi ancora visibile. La “Cappella Sisitina d’Abruzzo” @123rf L’Oratorio offre un incredibile contrasto tra la struttura esterna piuttosto anonima e l’interno, caratterizzato da un’esplosione di colori data dagli affreschi che ancora conserva e che sono stati restaurati proprio di recente. Secondo alcune ipotesi sarebbe addirittura legata al passaggio, da questa parti, di Carlo Magno. Fu comunque rifatta dall’abate Teodino nel 1263. Chi ha la fortuna di entrare in questo luogo resta letteralmente a bocca aperta. Le pareti e le volte sono completamente affrescate con episodi tratti dal Vangelo, l’infanzia di Cristo, la Passione, il Giudizio Finale e alcuni episodi della vita di San Pellegrino. Gli affreschi rappresentano uno dei più antichi calendari monastici, con le personificazioni dei mesi. A ogni mese sono dedicate due vignette in cui sono riportati il segno zodiacale, la corrispondente fase lunare, una figura allegorica che rappresenta il mese e i giorni contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto (e non da numeri). A separare la zona destinata ai pellegrini da quella dei monaci sono due transenne di marmo scolpite con l’immagine di un drago e di un grifone e l’iscrizione che ricorda Teodino e la data del 1263. Questi affreschi di scuola abruzzese risalenti al XIII secolo sono fra i più vasti e integri complessi pittorici dell’epoca. Gli affreschi all’interno @123rf A prendersi cura di questo sito di grande importanza storico-artistica sono alcuni custodi che, da decenni, guidano turisti e visitatori alla scoperta della “Cappella Sistina d’Abruzzo”. L’Oratorio di San Pellegrino è solo uno dei luoghi religiosi che si possono visitare in questo minuscolo borgo abruzzese. Vale la pena visitare l’Abbazia, la Chiesa del tratturo L’Aquila-Foggia, costruita nel XVI secolo in stile rurale, in seguito a un miracolo. Si trova al centro dell’altopiano, tra Caporciano, Navelli e San Pio delle Camere. E, infine, anche l’Eremo di San Michele, situato a poca distanza dal paese, costituito da una grotta, all’interno della quale si trova un altare e alcuni resti delle strutture necessarie per poter vivere in isolamento. @Wikimedia Commons – Pietro-Moto Itinerari La chiamano anche la “Cappella Sistina d’Abruzzo” eppure pochi conoscono l’esistenza dell’Oratorio di San Pellegrino vicino all’Aquila.
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paoloxl · 7 years
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1 Maggio 2017 – 1 Maggio 1947 sono passati settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra, uno dei momenti – chiave delle lotte popolari nell’immediato dopoguerra.  Una strage il cui ricordo rimane intatto a distanza di tanti anni nel segno della sopraffazione violenta delle istanze di libertà, giustizia, equità, progresso portate avanti dai lavoratori italiani e dalle sue organizzazioni politiche e sindacali negli anni difficili dell’immediato dopoguerra.  Quei giorni della primavera del 1947 erano stati contrassegnati dall’inasprirsi delle lotte sociali in una fase di forte difficoltà economica, di disoccupazione, di carenza di materie prime e di indispensabili generi di prima necessità in clima complessivo di tensione e di scontro politico.  In pochi giorni si erano verificati in diverse parti del Paese scontri tra dimostranti e polizia: il 7 Marzo a Messina, il 13 aprile a Petilia Policastro, il 22 Aprile a Roma vi furono alcuni morti.  Il primo maggio si verificò l’eccidio di Portella delle Ginestre.  Il 1º maggio 1947, nel secondo dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime fascista.  Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).  Improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.  A compiere la strage erano stato gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, il presunto colonnello dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) in contatto con la mafia e al centro di trame oscure che avevano coinvolto i servizi segreti italiani e USA.  Quella di Portella della Ginestra fu la prima strage di cui non si sarebbero mai scoperti e punti i mandanti :si aprì così una misteriosa striscia di sangue che avrebbe attraversato una parte rilevante della storia d’Italia fino a Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Ustica, San Benedetto Val di Sambro e tante altre vicende tragiche.  Portella della Ginestra però, rispetto a quegli altri citati episodi storici, presentò caratteri del tutto specifici, data la particolarità della situazione siciliana prima fra tutte quella riguardante la reazione degli organi dello Stato che condussero indagini poco approfondite e che, come scrive Aurelio Lepre nella sua fondamentale “Storia della Prima Repubblica” ( Il Mulino) e “coprirono complicità imbarazzanti, aprendo una pagina, quella degli eccidi impuniti, che sarebbe rimasta anche in seguito tra le più nere della Storia d’Italia”.  Il processo fu celebrato a Viterbo dal giugno 1950 al maggio 1952.  In quell’occasione emersero oscure responsabilità e giudici definirono “eccezionali ed abnormi alcuni comportamenti delle forze di polizia”.  L’ispettore di polizia Ettore Messana e il colonnello dei carabinieri Ugo Luca avevano avuto rapporti con i banditi e il secondo aveva consegnato a Gaspare Pisciotta, luogotenente di Giuliano, un attestato di benemerenza firmato dal ministro dell’Interno Mario Scelba.  Luca, che poi fu promosso generale, disse che era stato lui stesso ad apporre la firma, che era perciò apocrifa, e giustificò il suo operato, che riconobbe come “spregiudicato” con la spregiudicatezza degli uomini che doveva combattere.  Solo nel 1962 fu possibile nominare una commissione d’inchiesta, che non riuscì però a produrre conclusioni unitarie.  Concludiamo quindi questo ricordo che è necessario rimanga a monito imperituro per tutti e che dovrebbe essere posto al centro della celebrazione del primo Maggio 2017 con uno stralcio della relazione di minoranza presentata dai parlamentari comunisti e della sinistra indipendente alla commissione antimafia.  E’ il caso di far notare, in precedenza della lettura del testo, che due dei parlamentari autori della relazione che segue furono poi trucidati dalla mafia.  Cesare Terranova, magistrato, deputato della Sinistra Indipendente, fu assassinato il 25 settembre del 1979 .  Questa la cronaca dell’eccidio:  “ Verso le 8,30 del mattino una Fiat 131 di scorta arrivò sotto casa del giudice a Palermo per portarlo a lavoro. Cesare Terranova si mise alla guida della vettura mentre accanto a lui sedeva il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, l'unico uomo della sua scorta che lo seguiva da vent'anni come un angelo custode  “L'auto imboccò una strada secondaria trovandola inaspettatamente chiusa da una transenna di lavori in corso. Il giudice Terranova non fece in tempo a intuire il pericolo. In quell'istante da un angolo sbucarono alcuni killer che aprirono ripetutamente il fuoco con una carabina Winchester e delle pistole contro la Fiat 131. Cesare Terranova istintivamente ingranò la retromarcia nel disperato tentativo di sottrarsi a quella tempesta di piombo mentre il maresciallo Mancuso, in un estremo tentativo di reazione, impugnò la Beretta di ordinanza per cercare di sparare contro i sicari, ma entrambi furono raggiunti dai proiettili in varie parti del corpo.  Al giudice Terranova i killer riservarono anche il colpo di grazia, sparandogli a bruciapelo alla nuca. La sua fedele guardia del corpo, Lenin Mancuso, morì dopo alcune ore di agonia in ospedale”  Pio La Torre, segretario regionale del PCI, fu ucciso il 30 Aprile del 1982.  Questa la cronaca dell’assassinio:  “ Alle 9:20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito. Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, ad uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili.] Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.” 
Senato della Repubblica — 567 — Camera dei Deputati  LEGISLATURA VI —  DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI  -  DOCUMENTI  RELAZIONE DI MINORANZA  Dei deputati LA TORRE, BENEDETTI, MALAGUGINI  e dei senatori ADAMOLI, CHIAROMONTE, LUGNANO, MAFFIOLETTI nonché del  Deputato TERRANOVA  La Commissione parlamentare antimafia non può rifiutarsi — come fa la relazione di maggioranza — di trarre conclusioni politiche dalla drammatica vicenda della strage di Portella della Ginestra e dalla morte di Giuliano. È fuori dubbio che Giuliano, sparando a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, intendeva compiere una strage in occasione della Festa del lavoro in una zona nevralgica della provincia di Palermo dove la CGIL e i partiti di sinistra si erano notevolmente sviluppati.  Tale strage si colloca in un momento decisivo della vita politica siciliana: all'indomani delle elezioni della 1“ Assemblea regionale siciliana che aveva visto i partiti di sinistra, uniti nel Blocco del popolo, conquistare la maggioranza relativa dei voti e quindi il diritto ad assolvere ad un ruolo decisivo nel governo regionale, e mentre c’è la crisi dello schieramento antifascista sul piano nazionale e internazionale, e a Roma si apre la crisi di governo con l’obiettivo di escludere il PCI e il PSI dal governo per bloccare le riforme delle strutture economiche e sociali del Paese.  Risulta evidente che ad armare la mano di Giuliano furono forze collegato al blocco agrario siciliano (e anche a centrali straniere) che intendevano sviluppare un aperto ricatto verso la DC per indurla a rompere con i partiti di «sinistra in Sicilia contribuendo cosi ad accelerare anche la rottura sul piano nazionale.  D’altro canto, la banda Giuliano diede un seguito alla sua azione terroristica, e dopo la strage di Portella, nelle settimane successive, si ebbero attacchi alle sedi del PCI e del PSI e delle Camere del lavoro in numerosi comuni del palermitano (S. Giuseppe Iato, Partinico, Monreale, S. Cipirello, eccetera) nel corso dei quali furono assassinati e feriti numerosi lavoratori.  Più in generale, nella gran parte della provincia di Palermo si creò un clima di terrore che rendeva impossibile l’esercizio delle libertà democratiche da parte dei partiti di sinistra e della CGIL. Tale clima di terrore venne alimentato sino alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 che segnarono una profonda modifica dei rapporti di forza fra partiti in tutti i comuni di influenza della banda Giuliano.  Prendiamo ad esempio i dati elettorali di Montelepre. Il 20 aprile 1947 (elezioni regionali), il MSI democratico repubblicano, la lista di Varvaro, prese 1.951 voti, la DC 719 voti, il Partito monarchico 114, il Blocco del popolo 70. Nel 1948 la DC passa da 719 a 1.593, i monarchici da 114 a 1.034, il Fronte democratico popolare, in cui è candidato Varvaro, prende soltanto 27 voti. Occorre vedere, poi, le preferenze personali di Mattarella e degli altri che non erano della zona di Partinico ed esaminare come si impedì (ci sono i documenti in possesso dell’Antimafia) (2) al Fronte democratico popolare di tenere una qualunque forma di propaganda elettorale in tutta la zona. A trarre benefici dall’«intervento» elettorale della banda Giuliano, furono il PNM da un lato e la DC dall’altro. Ciò spiega la difficoltà in cui poi si trovò il Governo nel dare conto al Parlamento e al Paese della morte di Giuliano.  Si verificò, in questa circostanza, un fatto enorme. Il Governo si servì della mafia per eliminare il bandito. Giuliano doveva essere preso morto perché non potesse parlare. Si creò, così, la messinscena della sparatoria nel cortile De Maria a Castelvetrano. Il Ministro dell’interno dell'epoca emanò un bollettino con cui si accreditava la falsa versione della morte di Giuliano e si promuovevano sul campo tutti i protagonisti dell'impresa. Il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca venne promosso generale. Il prefetto Vicari fu promosso prefetto di prima classe e da lì spiccò il volo sino a diventare Capo della polizia. Ma bisognava anche impedire che la Magistratura aprisse una qualche inchiesta sui fatti e allora si pensò di «tacitare» il Procuratore generale di Palermo, Pili, che era alla vigilia di andare in pensione.  Il Presidente della Regione (che era allora l'onorevole Franco Restivo!) si incaricò di offrire a Pili un importante incarico: al momento di entrare in quiescenza lo nominò consulente giuridico della Regione siciliana. E così il cerchio si chiuse.  (2) Vedi la deposizione resa l’8 gennaio 1971 dall’onorevole Varvaro al Comitato ristretto della Commissione antimafia presieduto dall’onorevole Bemandinetti (pubblicata come allegato 23, alle pagine 741 e seguenti del Doc. XXIII, n. 2 sexies, Camera dei deputati, l Legislatura).  Tutti gli organi dello Stato furono in verità coinvolti in una operazione che. doveva servire ad impedire che si accertasse la verità sulle collusioni fra alcuni uomini politici e la banda Giuliano. Ma per raggiungere questo risultato si fece ricorso alle cosche mafìose che ne uscirono rafforzate e accresciute nel loro peso politico. Tale peso politico la mafia lo utilizza nel contrastare le lotte contadine per ila riforma agraria e 11 rinnovamento sociale della Sicilia.  (1) Di particolare interesse, a questo proposito, appare quanto si legge a pagina 74 della «Relazione sull'indagine riguardante casi di singoli mafiosi» pubblicata nella scorsa Legislatura (Documento XXIII, n. 2quater, Camera dei deputati,,V Legislatura): «Il dottor Navarra, che era rimasto estraneo al fascismo, si schiera, secondo l’orientamento comune dei maggiorenti mafiosi dell’epoca, con il Movimento di indipendenza siciliana sin dal suo nascere. Il movimento era, come è noto, appoggiato da tutta la mafia isolana e così il Navarra ne approfittò per consolidare i vincoli di amicizia e ”rispetto" con gli altri capimafia dell’entroterra (Calogero Vizzini, Genco Russo, Vanni Sacco ed altri), incrementando, conseguentemente, il suo già alto potenziale mafioso e venendo tacitamente riconosciuto, per “intelligenza” e per essere uno dea più vicini alla capitale dell’Isola, quale influente esponente di tutta la mafia siciliana, ottenendo così non solo la stima ma anche la "deferenza” degli altri mafiosi di grosso calibro.  «Venuto meno il Movimento, il Navarra ed altri si orienteranno poi verso il PLI, partito al quale avevano dato le loro preferenze anche taluni grossi proprietari terrieri della zona.  «Solo allorquando, dopo il 1948, la DC apparve come ài partito più forte, si assistette — sempre a titolo speculativo ed opportunistico — al passaggio in massa nelle file della DC di grandi mafiosi, con tutto il loro imponente apparato di forza elettorale.  «Anche il Navarra non fu da meno degli altri capimafia e in Corleone e comuni viciniori (Marineo, Godrano, Bisacquino, Villafrati e Prizzi) attivò campagne elettorali e sensibilizzò le amicizie mafiose, onde dirigere ed orientare votazioni su personaggi ai quali, in seguito, si riprometteva di chiedere favori, così come ormai era nel suo costume mentale».
Franco Astengo
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San Pio delle Camere. Abruzzo , Italy.
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cassius-writer · 1 year
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. Quella pietra che perdona, amore mio, più non attende il passo e s'abbandona a chi la guarda al lato della strada, guardiana alla via cui non si bada. Dunque a quel temporale che lava scroscianti onde l'erba alta invoco ricordi ormai passati, dimentichi gli uomini di noi che siamo stati. Anima quel che rimane, vaga e sogna, lamenti di concordi spiriti richiama e nella notte grida ancor con quanta pena ella ancora t'ama. Daniele Scopigno Foto di: Francesca Piccardi #paesaggio #castello #letteratura #letture #lettureconsigliate #lettureinteressanti #leggere #leggerechepassione #leggerefabene #leggeremania #leggereovunque #scrittori #scrittore #scrittoriitaliani #scrittoricontemporanei #poeti #poetiitaliani #poesiaitaliana #poesiacontemporanea #abruzzolovers #igersabruzzo #vivoabruzzo #volgoabruzzo #yourabruzzo #yallersabruzzo (presso Castello di San Pio delle Camere) https://www.instagram.com/p/CoM180GsW88/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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marinidaniloph · 7 years
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presso San Pio delle Camere
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luciamosca14 · 5 years
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Statale16 e 17: Marsilio sollecita lavori urgenti
Statale16 e 17: Marsilio sollecita lavori urgenti
Il Presidente della giunta regionale, Marco Marsilio, ha convocato ieri, a palazzo Silone, a L’Aquila, i rappresentanti dell’Anas per discutere le problematiche legate alla viabilità della Statale 16, la variante Vasto-San Salvo e la Statale 17, tronco San Gregorio-San Pio delle Camere-Navelli, in due riunioni distinte, con i sindaci dei territori interessati. Presenti anche l’assessore Guido…
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sauolasa · 6 years
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Elezioni 2018, sindaco aquilano aderisce a CasaPound: è il secondo in Italia
Pio Feneziani di San Pio delle Camere (L’Aquila) ha aderito al movimento di estrema destra. Si aggiungono un assessore del Comune di Capitignano e cinque consiglieri
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    Radicofani
borgo fortificato toscano
ha in Ghino di Tacco il suo Robin Hood
  Radicofani veduta della Rocca con ai piedi il Borgo e il bosco di Isabella
    Radicofani, borgo medievale toscano in Val d’Orcia, sorge ai piedi di un poggio di circa 900 metri, la sua fortezza domina strategicamente sull’antica via Francigena, è inserito nella lista “World Heritage Site” dell’UNESCO come parte del “Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia” e Bandiera Arancione del Touring Club Italiano.
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    La storia della Rocca di Radicofani
    Ha una storia molto discontinua, avendo una importanza strategica molto importante, come il controllo del confine tra Lazio, Umbria, Toscana e sorveglianza della via Cassia, la Rocca fu da sempre contesa e quasi irrealizzabile indicarne la storia.
Inizialmente sotto il controllo dell’abbazia Benedettina del Monte Amiata, fino al 1153, quando venne riscattata dallo Stato Pontificio, dopo un breve periodo di controllo da parte dei Senesi.
La Rocca venne fatta fortificare e in seguito potenziare, prima da Papa Adriano IV, poi da Innocenzo III e fu al centro della contesa di possesso tra Siena e Orvieto.
Divenuta residenza della famiglia Salimbeni, nel 1262 e riespugnata da Siena, solo dopo un anno, divenne così un “ping-pong” tra Siena e lo Stato Pontificio, per arrivare al 1295 sotto la signoria di Ghino di Tacco, che da qui sferrò numerosi attacchi ai senesi.
La Rocca di Radicofani e il Bosco di Isabella visti dall’alto
Poi i primi del 1300, Radicofani fu di nuovo al centro della guerra, condotta da Guido di Montfort e Margherita Aldobrandeschi, ghibellini contro i guelfi alleati del papato, gli Aldobrandeschi vinsero la guerra e la rocca restò in pace per diversi decenni, sotto il controllo del papato.
Ma Siena non volle mollare così facilmente Radicofani e ricominciò ad armarsi per riottenere il potere sulla Rocca, controversia sanata in seguito con la concessione papale della signoria sul castello, nuovamente alla famiglia Salimbeni e nel 1405, la Signoria Senese e la famiglia Salimbeni sottoscrissero la pace con il passaggio del castello a Siena.
Nel 1417 iniziò la costruzione della nuova fortezza bastionata attorno al nucleo originario della rocca e nel 1555, l’ultimo fatto storico che interessò la rocca, fu assedio, il bombardamento e invasione da parte delle forze imperiali.  
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  Chi era Ghino di Tacco
    Messer Ghino di Tacco era o meglio fu un brigante, il Robin Hood italiano, nacque a La Fratta, sotto il controllo del Castello di Torrita, figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una Tolomei, insieme con il padre, e lo zio commetteva furti e rapine, la Repubblica di Siena mise una taglia sulla testa dei di Tacco, i membri maggiorenni della banda vennero giustiziati nella Piazza del Campo di Siena, mentre Ghino e il fratello si salvarono grazie alla loro minore età.
Si rifugiò a Radicofani, dove continuò la sua vita da brigante ma in forma di “gentiluomo”, lasciando sempre, ai malcapitati qualcosa di cui vivere.
Boccaccio, lo descrive come brigante buono nel suo Decameron, parlando del sequestro dell’abate di Cluny, nella II novella del X giorno, “Ghino di Tacco piglia l’abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale.”
Dante, lo inserisce, invece con un posto tra i personaggi del sesto canto del Purgatorio nella Divina Commedia, quando parla del giurista Benincasa da Laterina, “l’Aretin”, giureconsulto a Bologna, poi giudice del podestà di Siena, ucciso da un fiero Ghino di Tacco, “Quiv’era l’Aretin che dalle braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,…”
La statua di Ghino di Tacco posta a Radicofani
Con la sua fuga a Radicofani, riprese l’attività di brigante e dopo aver manifestato l’intenzione di occupare la fortezza vicino a Sinalunga, venne bandito dal territorio senese, per aver agito senza l’autorizzazione dell’autorità  del Comune di Siena, questi occupò allora la fortezza di Radicofani, facendone il proprio covo.
Da qui, continuò le sue scorribande, concentrandosi sui viandanti che passavano nella sottostante via Francigena, compiva le imboscate, si informava dei loro reali beni, poi li derubava quasi completamente, lasciando ad essi di che sopravvivere e offrendo loro un banchetto, poi li lasciava liberi di proseguire, per questo suo modo di agire viene paragonato a “ladro gentiluomo”, una sorta di Robin Hood, in anticipo sui tempi.
Riuscì, anche nell’intento di vendicare la morte del padre e del fratello, recandosi a Roma, alla ricerca di Benincasa da Laterina, diventato un importante giudice della corte dello Stato Pontificio.
Al comando di quattrocento uomini e armato di una picca, entrò nel tribunale papale, nel Campidoglio e decapitò il giudice Benincasa, ne infilò, poi la testa sulla picca, che portò nella rocca di Radicofani, dove rimase a lungo in esposizione, appesa al torrione.
Nonostante la fama di gentiluomo, che si era conquistato presso i meno abbienti, Ghino non riuscì, però a vivere a lungo nella condizione di “fuorilegge”, come morì non fu cosa certa, con tutta probabilità venne tradito, mentre altri affermano che a seguito del perdono papale e quello senese, Ghino di Tacco, non dovette più nascondersi e darsi alla macchia ma, da “gentiluomo” che era diventato, si dedicò agli altri, tanto che, morì assassinato cercando di sedare una rissa fra fanti e contadini scoppiata ad Asinalonga, l’antico nome dell’odierna Sinalunga, a soli due chilometri dal suo luogo di nascita.  
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  La Rocca di Radicofani
    La struttura della Rocca è formata da due file di mura, la prima a base triangolare, con le rovine delle tre torri angolari e un corpo centrale, il cassero, restaurato e visitabile, oggi è sede del museo dove sono conservati i reperti rinvenuti durante l’opera di restauro.
La prima cerchia di mura della fortezza bastionata, è costruita in pietre da taglio, con quattro lati irregolari, in seguito fu ampliata verso nord, essendo il lato sud già naturalmente protetto da una forte scarpata, ma di queste mura non restano grandi tracce, ad eccezione dei bastioni d’angolo, al fianco di uno dei quali si apre l’antica porta d’accesso.
La Rocca di Radicofani
Dal gennaio 1999 la fortezza è stata riaperta al pubblico, oggi è interamente visitabile, compresi tutti i camminamenti sotterranei e le postazioni di tiro.
Sotto la rocca, prima di giungere al borgo, vale una visita e una passeggiata al Bosco di Isabella, un regalo fatto alla moglie, da Odoardo Luchini, avvocato e politico italiano, che vede i natali a Radicofani, un giardino frutto della sua grande passione per la botanica, ricolmo di piante provenienti da ogni parte del mondo e al contempo tempio massonico all’aperto, dotato di una piramide ed altri simbolismi esoterici.
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La chiesa di San Pietro a Radicofani
Interno della chiesa
    Il Borgo di Radicofani
    Una passeggiata al borgo, non può non portarci a visitare il monumento più importante, la chiesa romanica di San Pietro, nella piazza centrale.
Costruita in pietra vulcanica nel secolo X-XI, con un architettura romanico-gotica, il portale duecentesco e una finestra a due aperture, con colonnina centrale e archi, in facciata, a sinistra del portale, la torre campanaria con ampie monofore nella parte terminale.
L’interno è a navata unica, con capriate lignee e pianta basilicale con in fondo, dove posto l’altare, un abside semicircolare, la copertura della navata è inizialmente a due campate con forma a capanna, mentre le tre finali a crociera costolonate.
Sulla strada principale, la chiesa di Sant’Agata, patrona di Radicofani, che conserva sull’altare una grande tavola in terracotta, finemente lavorata.
Nelle vicinanze, il Giardino del Maccione, con la statua di Ghino di Tacco, volto verso la Rocca a confermarne il possesso, un’altra tappa è il Palazzo della Posta con di fronte la Fontana Medicea.  
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  Il Palazzo della Posta e la Fontana medicea
    Si trova lungo la via Francigena e fatta costruire dal Granduca Ferdinando I de’ Medici, su un suo Casino di Caccia di fronte alla Dogana Senese.
L’imponente edificio si presenta con un doppio loggiato di sei arcate, sovrapposto, si compone di quattro piani, con nel piano seminterrato le grandi cantine, al piano terra le stalle, le cucine le sale da pranzo, gli uffici della Dogana e le stanze delle Guardie.
Al piano primo, due grandi saloni, uno dei quali si affaccia sul grande loggiato, l’appartamento dei gestori, la Cappella Regia della S.S.Annunziata e le camere importanti, mentre al secondo piano, due saloni delle stanze per la servitù e le camere per l’ospitalità più semplice.
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Il Palazzo della Posta fatta costruire da Ferdinando I de’ Medici
La Fontana Medicea
Il Palazzo della Posta, venne usata come Stazione di Posta e cambio cavalli, fino la fine del 1800, in seguito divenne dimora privata della famiglia Bologna.
Nota nei secoli come “Osteria Grossa” ha ospitato moltissimi personaggi importanti tra i quali, i Papi Pio VI e PIO VII, i Granduchi Ferdinando I, Cosimo II, Leopoldo II, lo scrittore Thomas Gray, l’imperatore Giuseppe II d’Austria, William Beckford, il Gran Maresciallo svedese Axel Von Fersen, Giacomo Casanova, Il marchese De Sade, Stendhal, François René de Chateaubriand, John Ruskin, Charles Dickens e molti altri.
La Fontana Medicea, anch’essa fatta costruire da Ferdinando I de’ Medici, per soddisfare i bisogni dei pellegrini, di fronte alla grandiosa Posta.
Riporta un elemento decorativo scolpito che spiega il motivo della sua costruzione, sopra un grande stemma della famiglia de’ Medici, sorretto dalle statue di due angeli in travertino, la fontana utilizzava l’acqua della vicina sorgente di Fonte Grande, portata appositamente con un condotto, nel retro della fontana due piccoli ambienti ad uso lavatoi per i servizi della Posta.
Completa il quadro dei monumenti il Palazzo Pretorio, una robusta costruzione che reca inseriti nella facciata numerosi stemmi antichi in pietra.
Il palazzo addossato al pendio, si compone di tre piani, al piano terra una grande sala ricavata dalle enormi stalle, oggi adibita a Sala Consiliare, al primo piano si trovano sei celle e una cappella, oggi uffici ed archivi comunali, al piano secondo, invece, la sala delle udienze, la cancelleria e l’abitazione del giudice, oggi sala del sindaco ed uffici comunali.
    Radicofani la Sherwood toscana con il suo Robin Hood Radicofani borgo fortificato toscano ha in Ghino di Tacco il suo Robin Hood Radicofani, borgo medievale toscano in Val d’Orcia, sorge ai piedi di un poggio di circa 900 metri, la sua fortezza domina strategicamente sull'antica via Francigena, è inserito nella lista “World Heritage Site” dell'UNESCO come parte del “Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d'Orcia” e Bandiera Arancione del Touring Club Italiano.
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giancarlonicoli · 3 years
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9 feb 2021 10:39
“MARINI? CHI È MARINI? IO CONOSCO MARTINI, MARINI NON SO CHI SIA…” – QUANDO PAPA WOJTYLA LIQUIDO’ "IL LUPO MARSICANO" PER DIMOSTRARE CHE IL PPI, PARTITO EREDE DELLA DC NON CONTAVA NULLA E, DI CONSEGUENZA, ANCHE IL SUO SEGRETARIO – LA DEFINIZIONE DI DONAT CATTIN (“L’UOMO CHE UCCIDE COL SILENZIATORE”), GLI ATTACCHI DI CIRIACO DE MITA, LO SGAMBETTO A PRODI (CON LA PROMESSA DEL QUIRINALE) E IL TRAPPOLONE DI D’ALEMA (“MASSIMO M’HA FREGATO). POI NEL 2013 LA CORSA ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA. ERA IL CANDIDATO DI BERSANI E BERLUSCONI MA FU SILURATO DA…
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Francesco Curridori per ilgiornale.it
Segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato. Franco Marini verrà ricordato come il 'lupo marsicano' del sindacalismo cattolico e della Democrazia Cristiana che si rifaceva alla corrente di Carlo Donat-Cattin.
A inizio 2021 era stato ricoverato in condizioni serie per Covid, ma era stato dimesso il 27 gennaio "con completa guarigione del quadro respiratorio e discrete condizioni generali".
Franco Marini, dall'Abruzzo alla segreteria della Cisl
Franco nasce in Abruzzo, a San Pio delle Camere nel ’33, in una famiglia di umili origini che ben presto si trasferisce a Rieti dove il padre lavora come operaio tessile. La madre, una sarta, muore quando lui ha appena 11 anni. Lui è il primo di 4 figli ma la famiglia si allarga a 7 quando il padre si risposa. I soldi sono pochi e la possibilità di studiare pure ma “un giorno la professoressa di lettere delle medie si presentò a casa e disse: ‘No, questo ragazzo deve andare al liceo’. Mio padre ebbe l’intelligenza di darle retta”, racconterà, poi, Marini che finisce col laurearsi in giurisprudenza. Iscritto alla Dc sin dal 1950, lavora fin da subito dentro la Cisl e nel ’64 lavora per il suo mentore, Giulio Pastore, fondatore della Cisl e all’epoca ministro per il Mezzogiorno. L’anno successivo sposa il medico Luisa D’Orazi con cui era fidanzato da 4 anni e da cui avrà un figlio.
“L’avevo già notata quando lei era al ginnasio e io al liceo, ma era una ragazzina. Poi, qualche anno più tardi,- rivelerà - in una di quelle festicciole che si facevano in provincia, i ragazzi di qua e le ragazze di là, mi sono interessato a lei. Ero in licenza. Facevo l’alpino a Bressanone”. Marini, negli anni ’70, diventa vicesegretario del sindacato fino a prenderne la guida nel 1985.
In questi anni la Cisl assume un ruolo sempre più importante nel panorama politico-sindacale, rappresentando soprattutto la categoria del pubblico impiego. Nel corso del Congresso del 1984, l’allora segretario Ciriaco De Mita attacca duramente Marini: “Devo dirti che se continui così, caro Marini, non interesserai più nemmeno i democratici cristiani”, e subito dopo “seguono nove minuti di botte selvagge, gente che grida, gente che piange, un operatore tivù malmenato (…)”, ricorda Marco Da Milano nel suo libro Democristiani immaginari.
Gli anni'90, Marini dal sindacato alla guida del Ppi
Le linee guida seguite sono sempre quelle espresse dalla corrente della Dc più vicina al sindacalismo cattolico, chiamata Forze Nuove. Corrente fondata da Carlo Donat-Cattin che, nel ’91, la affida proprio a Marini, da lui soprannominato come “l’uomo che uccide col silenziatore” per il suo essere schivo ma spietato. In quello stesso anno il sindacalista abruzzese diventa ministro del lavoro e della previdenza sociale del VII Governo Andreotti, mentre nel ’92 viene candidato per la prima volta per le Politiche e alla Camera ottiene più di 100mila preferenze. Risultato più che discreto per un ‘debuttante’ e, così, Mino Martinazzoli, all'epoca segretario del Ppi, lo sceglie quale responsabile organizzativo del partito che, nel frattempo, viene travolto dall’inchiesta Tangentopoli. Nel 1997, invece, Marini arriva alla guida del Ppi, partito sorto dalle ceneri della Dc e collocato nel centrosinistra.
“Marini? Chi è Marini? Io conosco Martini, il cardinale di Milano, Marini non so chi sia…”, dirà in quel periodo l’allora Papa Wojtyla, a dimostrazione del fatto che il partito erede della Dc non contava nulla e, di conseguenza, anche il suo segretario. In realtà, il Ppi, contribuirà alla vittoria di Romano Prodi alle Politiche del ’96. Nel 1998 Marini è ritenuto responsabile della caduta del primo governo Prodi.
È noto che i rapporti tra l’ex segretario della Cisl e il ‘Professore’ siano sempre stati tesi e che Massimo D’Alema avesse promesso a Marini il Quirinale pur di far cadere l’esecutivo. Poi, però, Carlo Azeglio Ciampi viene preferito a Marini il quale, nel ’99, abbandona la segreteria del Ppi e viene eletto come eurodeputato. “Non sono arrabbiato con D’Alema sono furibondo. Io mi sono fidato di lui, e lui mi ha fregato”, dirà Marini del 'lìder Maximo' della sinistra italiana.
Dalla presidenza del Senato alla mancata elezione al Colle
Il Ppi sparisce con la nascita della Margherita che darà vita, insieme ai Ds, al Partito Democratico tra le cui file Marini si candiderà nel 2006 per un posto a Palazzo Madama. Una volta eletto, l’ex segretario della Cisl viene eletto Presidente del Senato, al terzo scrutinio, dopo una votazione al cardiopalma.
Con 165 voti Marini batte il senatore a vita Giulio Andreotti che poteva contare sull’appoggio del centrodestra. Dopo le dimissioni di Romano Prodi, nel 2008, il presidente Giorgio Napolitano gli affida un incarico esplorativo per verificare la possibilità che nasca un governo che modifichi la legge elettorale ma il tentativo di Marini fallisce e si torna alle urne.
Nel 2013 Marini si trova di nuovo in corsa per il ruolo di presidente della Repubblica. Bersani, poco dopo le Politiche, si accorda con Berlusconi per eleggerlo fin dal primo scrutinio. Ma qualcosa va storto. Matteo Renzi, all’epoca ancora semplice sindaco di Firenze uscito sconfitto dalle primarie per la leadership dell’anno precedente, si mette di traverso considerando Marini emblema di quella ‘kasta’ tanto vituperata.
Nel libro di Mario Giordano, Tutti a casa, uscito sempre nel 2013, si scopre che Marini e sua moglie erano proprietari di un loft di circa 300mq ai Parioli che, secondo l’Espresso, sarebbe stato pagato poco meno di un milione di euro. Marini, quindi, non riesce ad essere eletto, sebbene abbia ottenuto 521 su 672. Nei giorni precedenti il voto, a far discutere, è soprattutto una lettera di Matteo Renzi, pubblicata su Repubblica, in cui il primo cittadino di Firenze aveva ricordato che Marini era stato candidato in deroga alle regole del suo partito ma non era stato eletto e, quindi, era ingiustificabile questa sorta di “ripescaggio di lusso”.
Non solo. Renzi ricorda anche che Marini era già stato ‘trombato’ 15 anni prima e smonta persino il ‘teorema’ secondo cui occorreva eleggere un ‘presidente cattolico’. “Mi sembra invece gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione e rappresentante del Paese”, scrive il sindaco di Firenze. “Con la sua lettera invece è proprio Renzi che ha commesso il grave errore che mi addebita: usare la religione a fini politici.
Cosa assolutamente inaccettabile”, sarà l’immediata e piccata replica di Marini. Qualche giorno dopo, invece, dirà:“Il dramma non è nato quando io ho avuto 521 voti, ma quando Bersani, per questo ‘non governo’ del partito, ha deciso di cambiare strategia e ha chiamato Prodi dall’Africa e lui è stato bruciato”. Concluderà la sua vita pubblica come presidente del comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale.
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aki1975 · 7 years
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Francesco Hayez - Milano - Pinacoteca di Brera - Alessandro Manzoni
Nel 1827 esce la prima edizione de I promessi sposi, in lingua italiana e ambientato in Lombardia durante il dominio spagnolo con l'intento di alludere al medesimo opprimente governo del dominio austriaco sul nord Italia. Siamo nel pieno risveglio dell'identità nazionale dopo la Restaurazione.
Dopo la sconfitta definitiva di Napoleone il Congresso di Vienna decise infatti nel 1815 l'annessione del Regno di Sicilia nel Regno di Napoli. L'influenza rivoluzionaria rimase nella vita politica italiana attraverso la diffusione di gazzette letterarie e i salotti borghesi, veri e propri club di tipo anglosassone o giacobino, spesso di modello massonico come i Sublimi Maestri Perfetti di Filippo Buonarroti.
La Carboneria, originariamente nata a Napoli nel 1814 per opporsi alla politica di Gioacchino Murat, si diffuse in tutta la penisola sostenuta anche dalla rivolta spagnola a Cadice.
I primi moti carbonari:
- Macerata (1817)
- Sicilia (1820)
- arresto di Silvio Pellico a Milano (1820)
- Torino (Santorre di Santarosa, 1821) in occasione del quale Manzoni scrisse l’ode “Marzo 1821″ e che vide la seguente successione fra Vittorio Emanuele I e Carlo Felice
- Napoli, repressa da Guglielmo Pepe (1822)
- Palermo (1822)
- Basilicata (1822)
- Romagna, repressa dal cardinale Agostino Rivarola (1823)
- Roma, condanna a morte di Angelo Targhini e Leonida Montanari (1825)
- Cilento (1828)
- Modena, Ciro Menotti (1831)
- Romagna (1832)
- Nola (1832)
- Genova, esilio di Mazzini e Garibaldi (1834)
- Messina, Catania e Siracusa (1837)
- Napoli, fratelli Bandiera (1844)
- Rimini (1845)
- Reggio Calabria (1847)
Nel 1832, fu pubblicata a Torino (nel 1831 Carlo Alberto era succeduto a Carlo Felice) l'autobiografia di Silvio Pellico, Le mie prigioni, e nel 1833 venne pubblicato il romanzo storico Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta di Massimo D'Azeglio, allo scopo di risvegliare il patriottismo degli Italiani. Giuseppe Mazzini nel 1831 a Marsiglia fondò la Giovine Italia. Nel biennio delle riforme 1846-1848, a seguito del fallimento dei moti rivoluzionari mazziniani, prendono vigore progetti politici di liberali moderati (Massimo d'Azeglio, Vincenzo Gioberti, e Cesare Balbo): nasce così il movimento neoguelfo in coincidenza con l'elezione nel 1846 di papa Pio IX.
Sotto la spinta di queste novità molti stati italiani attuarono diverse riforme modernizzatrici e nel 1847 Pio IX prese la decisione di proporre al regno piemontese e al granducato di Toscana l'unione in una "Lega doganale" per favorire la circolazione delle merci anche se le agitazioni del 1848 fece definitivamente tramontare il progetto.
Il 28 novembre 1847 re Carlo Alberto effettuò l'unione politica e amministrativa di tutti i territori da lui governati, trasformando il Regno di Sardegna in un unico Stato, con un unico parlamento e medesime leggi per tutti i sudditi dei diversi territori.
Nel 1847 a Genova il musicista Michele Novaro, sul testo del patriota e poeta Goffredo Mameli uno degli organizzatori della giornata, compose l'inno noto come "Fratelli d'Italia". Cavour e Cesare Balbo il 15 dicembre 1847 pubblicano il primo numero della rivista Il Risorgimento.
Nel 1848 si ebbero i moti nel Regno delle Due Sicilie che, per essere placati, portato alla concessione delle costituzioni da parte di Ferdinando II e poi di Leopoldo II di Toscana e di Carlo Alberto ed infine dello Stato Pontificio. Ferdinando II, dopo un'ulteriore insurrezione indipendentista in Sicilia, pochi mesi dopo la concessione della costituzione a Napoli, sciolse le camere ripristinando l'assolutismo: ciò provocò la ribellione dei liberali in diverse zone del regno e a Napoli, in Via Toledo, dove i patrioti eressero barricate, che furono espugnate a colpi di cannone.
La Prima Guerra d'Indipendenza, anti austriaca, scoppiò quindi a seguito della rivolta vittoriosa antiaustriaca delle Cinque giornate di Milano (1848): la guerra condotta e persa da Carlo Alberto a seguito delle sconfitte nella battaglia di Custoza e nella Battaglia di Novara, si concluse territorialmente con un sostanziale ritorno allo statu quo ante e, a seguito dell'abdicazione del padre, con la salita al trono di Vittorio Emanuele II che, diversamente da quanto fecero gli altri governanti italiani, non ritirò lo Statuto Albertino concesso dal padre. Il suo regno, unico stato preunitario italiano a conservare il tricolore come bandiera nazionale, rimase l'unico Stato costituzionale nella penisola italiana, con istituzioni di tipo rappresentativo in cui l'autorità del re era bilanciata da un parlamento bicamerale con una camera dei deputati elettiva ed un senato a nomina regia.
I moti indussero anche l'imperatore Ferdinando I d'Austria ad abdicare a favore del nipote Francesco Giuseppe, che divenne imperatore il 2 dicembre 1848. Dal febbraio 1849 al luglio 1849 si svolse la vicenda della Repubblica Romana, che vide Pio IX fuggire dalla città e rifugiarsi nella fortezza di Gaeta come ospite di Ferdinando II di Borbone, mentre il governo a Roma veniva assunto dal triumvirato di Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. La Repubblica Romana, che comprendeva tutte le terre già pontificie, fu sciolta con gli interventi militari degli austriaci che assediarono Ancona, entrandovi dopo un duro assedio navale e terrestre il 21 giugno 1849, e dei francesi che attaccarono Roma vanamente difesa da Garibaldi con i suoi volontari.
Anche il Veneto insorse: il 17 marzo 1848 nasceva la Repubblica di San Marco fino alla capitolazione il 27 agosto 1849. Altri tentativi furono condotti e sedati a Brescia, Livorno e Palermo nel 1849: il forte bombardamento per la riconquista di Messina costeranno a Ferdinando II l'appellativo di "re bomba" L'ascesa in Francia di Luigi Napoleone - poi Napoleone III - modificò gli equilibri politici esistenti in Europa dal Congresso di Vienna: il cambio di politica di Pio IX e la difesa del papato permise alla Francia di Napoleone III di ampliare la sua sfera d'influenza nella penisola in opposizione a quella austriaca che si trovò indebolita. Nel 1849 Cattaneo, Garibaldi e Mazzini erano in esilio e a Napoli vennero messi in carcere Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, Carlo Poerio e Francesco De Sanctis e a Bologna gli austriaci fucilarono Ugo Bassi.
Nei dieci anni successivi alla sconfitta riprese vigore il movimento repubblicano mazziniano favorito anche dal fallimento del programma federalista neoguelfo:
- i martiri di Belfiore (1852) a Mantova
- la spedizione di Sapri (1857) nel Regno delle Due Sicilia di Carlo Pisacane
La crisi del movimento mazziniano favorì, in probabile accordo con Cavour, la creazione nel 1857 in Piemonte, ad opera degli esuli Daniele Manin e Giuseppe La Farina, della Società nazionale italiana che operava alla luce del sole nel regno sabaudo e clandestinamente negli altri stati italiani a supporto del movimento unitario che si stava formando attorno al Regno di Sardegna. Nel 1850 Camillo Benso conte di Cavour entra nel governo piemontese: inizialmente come ministro per il commercio e l'agricoltura, divenendo poi anche ministro delle finanze e della Marina; infine diventò primo ministro il 4 novembre 1852, grazie ad un accordo tra le forze di centro-destra e di centro-sinistra.
Il biennio 1859-1860 costituì una nuova fase decisiva per il processo d'unificazione, iniziò con l'attentato di Felice Orsini contro Napoleone III colpevole di aver represso la Repubblica Romana: Orsini, prima di essere ghigliottinato, inviò una lettera Napoleone III, che ne fu favorevolmente colpito autorizzandone la pubblicazione sui giornali che presentarono Orsini come un eroe. Il biennio fu quindi caratterizzato dall'alleanza sardo-francese siglata nel gennaio 1859 e preparata con l'incontro di Plombières fra Cavour e Napoleone III del 21 luglio 1858.
Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II, inaugurando i lavori del Parlamento subalpino, pronunciò un famoso discorso della Corona con l'affermazione: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi»; frase che esprimeva un'accusa di malgoverno austriaco sugli italiani ai quali il re sabaudo si proponeva come loro soccorritore e una velata ricerca del "casus belli": nel frattempo Garibaldi veniva autorizzato a condurre apertamente una campagna di arruolamento di volontari nei Cacciatori delle Alpi.
Dopo mesi, durante i quali sembrava si potesse giungere a una pacificazione, giunse l'ultimatum austriaco al Piemonte con l'ingiunzione di disarmare l'esercito e il corpo dei volontari. Cavour in risposta all'intimazione austriaca dichiarò di voler resistere all'«aggressione» e a fine aprile giunse la dichiarazione di guerra degli austriaci che attaccarono il Piemonte attraversando il confine sul fiume Ticino. I ducati emiliani, le legazioni pontificie, e il Granducato di Toscana, ottenevano l'annessione al Regno sardo.
Il 12 maggio 1859 Napoleone III, entrò in guerra al comando dell'Armée d'Italie. Tuttavia, nonostante il corso favorevole della guerra (Battaglia di Magenta, Battaglia di Solferino e San Martino a seguito delle quali nacque la Croce Rossa), questa venne interrotta per iniziativa francese prima di conseguire tutti gli obiettivi concordati fra Francia e Piemonte: le richieste di annessione da parte dei ducati emiliani, delle legazioni pontificie e del granducato di Toscana, non previste negli accordi di Plombieres sulla spartizione degli stati italiani, il malcontento dell'opinione pubblica francese per l'alto numero di morti nella guerra in Italia, l'opposizione dei cattolici francesi che vedevano realizzarsi i loro timori per la perdita dell'autonomia papale, spinsero Napoleone III ad accettare di firmare un armistizio (11 luglio 1859) con l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo ("preliminari di pace di Villafranca") che concedeva ai Piemontesi la sola Lombardia (eccetto Mantova e Peschiera del "Quadrilatero") in cambio dell'abbandono delle terre già occupate nel Veneto e della rinuncia a soddisfare le richieste di annessioni. Vittorio Emanuele accettò le condizioni di pace che prevedevano la cessione della Savoia e il Nizzardo alla Francia, in cambio del riconoscimento da parte di quest'ultima delle annessioni dell'Emilia-Romagna e della Toscana che, tramite i plebisciti dell'11 e 12 marzo 1860, entrarono a far parte del Regno di Sardegna.
Ulteriore passo verso l'unità fu la spedizione "dei Mille" garibaldini in Sud Italia. Garibaldi, salpato da Quarto in Liguria e sbarcato a Marsala l'11 maggio 1860 giunse il 30 maggio alla conquista di Palermo. Mentre Garibaldi avanzava da sud con il suo Esercito meridionale fino all'ingresso a Napoli. Dopo Napoli, le truppe garibaldine si scontrarono un'ultima volta con quelle borboniche nella Battaglia del Volturno il 1º ottobre 1860. Con la vittoria di Garibaldi l'Italia meridionale veniva definitivamente sottratta ai Borbone. Le truppe di Vittorio Emanuele II intanto entravano nello Stato della Chiesa scontrandosi il 18 settembre con l'esercito pontificio nelle Marche, durante la Battaglia di Castelfidardo, che sarebbe stato l'ultimo grande scontro armato prima dell'unità italiana. Garibaldi, pur di idee repubblicane, non pose ostacoli all'unione dell'ex Regno delle Due Sicilie al futuro Stato unificato italiano, che già si profilava all'epoca sotto l'egida di Casa Savoia. Tale unione fu formalizzata mediante il referendum del 21 ottobre 1860. Il nuovo governo era presieduto da Cavour e il 17 marzo 1861 il parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II re d'Italia: tre mesi dopo dello stesso anno moriva Cavour.
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