Tumgik
#quasi sempre è cosi
s-a-f-e-w-o-r-d--2 · 6 months
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Tu sei cosi..... oramai conosco bene la tua anima, tu tendi sempre agli eccessi, è vero, hai sempre avuto problemi con le sfumature. Sei eccessivamente insicura, terribilmente sensibile, molto incostante, piuttosto indomabile, nonostante la tua indole tendi al troppo in tutte le sue forme, troppo impulsiva, troppo lunatica, troppol scontrosa, spesso fastidiosa, da mandarti quasi a fanculo, sei troppo sognatrice, troppo pensierosa, troppo emotiva. Pretendi tanto da chi ti sta vicino, ma solo perché tu dai tutta te stessa quando ami. Piangi spesso, ridi molto, sogni troppo. Starti accanto di certo è impegnativo.. Ci vuole coraggio con te, e forse anche un po' di incoscienza. Però è anche vero che se ti abbracciassi stretta tu non avresti più paura di nulla e se ti tenessi per mano, allora non scapperesti più. Eh già...tu sei fatta cosi....
~ Soul ~
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ilpianistasultetto · 2 months
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RINGO, IL MIO MIGLIOR NEMICO
Uno nasce per vivere in pace e i politici, invece, ti trovano sempre un nemico da combattere.
Da ragazzino, il mio nemico era Ringo, il cane del fornaio sotto casa. Non ci siamo mai piaciuti. Quando scendevo ero obbligato a passare davanti al fornaio e quel cane, non ho mai capito di che razza fosse, un marrone chiaro di stazza media, non mi aveva in simpatia e io, per non farmi correre dietro, dovevo camminare piano senza dare nell'occhio.
Qualche volta facevo tardi a scuola, cosi uscivo di corsa dal palazzo ed ecco quel cane; se almeno avesse abbaiato me ne sarei accorto subito, ma quel bastardo senza cuore mi arrivava dietro silenzioso; lo sentivo zampettare veloce e ringhiare, quella cosa che fanno i cani prima di morderti. Dovetti accelerare, ma lui era più veloce di me. Nemmeno la chiamata di Ginetto il fornaio, il padrone di Ringo, lo fece desistere. insomma, il cane tentò di mordermi ma io ebbi la freddezza di fermarmi di botto e gridargli sul muso: "fermo Ringo! Devo andare a scuola!"
Non mi crederete ma il cane si fermò di botto, quasi mortificato, probabilmente non mi avrebbe mai morso, era solo chiacchiere e distintivo.
Altri nemici si formano con il tempo, ma sempre roba di poco conto, avversari in amore, avversari nello sport, avversari a scuola, come Falasconi e Tardiola, due esseri insopportabili, due geni in matematica da fare schifo, capitati per mia sfortuna nella mia stessa classe.
Oggi, la politica mi offre dei nuovi nemici: i russi, i terroristi islamici, i cinesi, i coreani del nord, gli africani che c'invadono, il povero che ruba il reddito.
Scelgono loro per me, decidono chi devo odiare. Tu non puoi scegliere, altrimenti sei fuori dal sistema democratico. Se non hai pianto per la morte di quel tizio russo sei un filoputiniano! Se non ricordi ogni giorno il 7 ottobre israeliano, sei antisemita! Se parli di pace e antifascismo, sei identificato! Se protesti in piazza per la Palestina libera, ti manganellano.
Taci che il nemico ci ascolta..., il nemico di chi?
Povero Ringo, quante sgridate che si è preso, ma almeno lui abbaiava solamente, questi, oltre ad abbaiare, pretendono che tu lo faccia insieme a loro.
@ilpianistasultetto
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klimt7 · 2 months
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24 febbraio 2024
Un sabato pomeriggio
speso bene
A volte ci sono storie che meritano di essere raccontate. Lo capiamo solo dopo.
Quando comprendiamo che la scintilla iniziale, quella luce da cui ci siamo fatti guidare, seguendo la nostra intuizione, era fondata.
Nel mio caso, tutto è iniziato da un articolo della stampa locale. Un articolo apparso su CesenaToday, un sito web, che si occupa di dare informazioni e portare all'attenzione di tutti, le iniziative, gli eventi e molte delle manifestazioni del territorio, tutto ciò che accade - insomma - nel Cesenate e nei Comuni della vallata del Savio.
Riporto di seguito il testo dell'articolo, che avevo letto alcuni giorni fa :
Di notizie di questo tipo, sulla stampa e in Rete, ne appaiono decine, ogni giorno, eppure, in questo caso, qualcosa deve avermi colpito ad un livello più profondo della semplice curiosità.
Sarà che anche io, durante gli anni del Liceo Classico, mi sono appassionato alla pittura da autentico autodidatta, dopo che ho conosciuto le opere di Van Gogh e di Gustav Klimt! Sarà che il disegno, fin dalle scuole Elementari, era una delle attività preferite...
E così dai disegni a matita e coi pastelli, ero passato ai primi lavori a tempera (colori acrilici) e poi ai primi quadri su legno e alle prime tele ad olio.
Sarà che il mondo dell'Arte, mi ha sempre attratto e incuriosito...
Sarà che dopo l'aggressione russa all'Ucraina del 24 febbraio 2022, ho sempre fatto il tifo per il popolo ucraino e ho partecipato a diverse iniziative di volontariato, per inviare aiuti e soldi, agli ospedali di Leopoli e Kyiv, sia per dare supporto ai bambini e ragazzi universitari e alle madri ucraine fuggite dal proprio paese e arrivate in italia, nei primi mesi di questa assurda guerra, scatenata dal sanguinario dittatore di Vladimir Putin...
Sarà anche che io sono sempre stato affascinato della storia di chi è costretto ad abbandonare la propria Patria a causa di una guerra e a reinventarsi una vita.
Saranno stati tutti questi motivi assieme, ma qualcosa mi ha spinto a voler visitare la Mostra di questa artista ucraina, che grazie all'aiuto concreto del Comune di Mercato Saraceno è riuscita a coronare uno dei suoi sogni e presentare al pubblico parte dei suoi lavori.
Oggi alle 16, quindi, sono andato a Mercato Saraceno, a questo piccolo-grande evento : l'inaugurazione della Mostra di pittura di Kira Kharchenko.
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E così, in un pomeriggio piovoso di metà febbraio, mi son trovato ad essere investito dall'energia dei quadri di questa ragazza che giunta in Italia, per colpa della guerra, ha intrapreso un percorso scolastico nel nostro paese, iscrivendosi al Liceo Artistico di Forlì.
Conversando con Kira, è diventato chiaro come il suo soggiorno in Italia sia stata anche una svolta della sua vita. Nel giro di appena due anni, ha infatti imparato ad esprimersi nella nostra lingua e ha cominciato un percorso artistico importante, adottando la tecnica dei colori ad olio.
Ma la cosa, ancora più importante è che Kira in questi anni è riuscita a portare avanti un progetto personale di grande valore:imparare ad esprimere grazie alla Pittura e al disegno il proprio mondo interiore fatto di idee e sentimenti.
Cosi come ha scoperto l'importanza della Filosofia come strumento per leggere il mondo e comunicare le idee che ci guidano nella vita.
Ciò che infatti colpisce di questa ragazza è il fatto che una sua opera, qualsiasi sua opera, parte sempre da uno stato d'animo, una riflessione, una emozione profonda. Tutti i suoi quadri, sono un mezzo per fare arrivare un messaggio legato alle emozioni e al mondo dei propri sentimenti.
È sufficiente allora, leggere le didascalie che accompagnano le sue tele per immergersi nel mondo interiore di Kira, continuamente in bilico fra pensieri cupi e paure legate alle minacce che ha portato la guerra nel suo paese, e la sua forza di volontà che la sorregge e la porta a credere alla speranza e a un futuro migliore, più umano e orientato al valore della Libertà.
Un futuro dove ogni sentimento trova la forza di emergere per esprimere la propria umanità.
Ed ecco che visitare la sua esposizione significa leggere molte delle pagine del suo personalissimo "romanzo di formazione".
È un pò come leggere il libro che Kira crescendo e prendendosi responsabilità del tutto nuove, sta scrivendo in questi anni.
Ci sono pagine chiare, luminose, abbaglianti che tuttavia non cancellano i momenti bui e i colori più cupi che esprimono le paure e le preoccupazioni.
Ma Kira ha dalla sua parte, due energie incredibili: è guidata da due stelle polari.
La sua fede religiosa ( kira è ortodossa) e la forza del dialogo ininterotto che lei stessa, ha con la propria anima.
Un confronto fertile con se stessa, con la persona che è e con il mondo dei propri pensieri, oltre che con i pensieri eterni, quelli validi in tutte le epoche, quelli che per comodità, noi indichiamo col termine "FILOSOFIA".
Perchè Kira non è soltanto una pittrice.
È prima di tutto una filosofa, una persona riflessiva che esprime le sue convinzioni profonde, le sue visioni, il modo di percepire la realtà, attraverso il linguaggio potente che è la Pittura.
Prossimamente dedicherò uno o più Post ai suoi quadri.
Per oggi, sono felice di aver partecipato a questa Mostra, di aver conosciuto questa promettente artista ucraina e aver iniziato a comprendere il suo linguaggio pittorico.
Piu di tutto, credo che il suo mondo interiore, la potenza del linguaggio che ha scelto, la profondità del suo modo di esprimere i sentimenti con immagini potenti e insieme, piene di armonia e grazia, ne fa un talento precocissimo, dal grande potenziale .
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aitan · 2 months
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CHARLES MINGUS E ORSON WELLES
CAPODANNO AL FIVE SPOT
Capodanno 1959, seduto in prima fila, proprio sotto il contrabbasso di Mingus c’era Orson Welles, quasi un alter ego del jazzista, per genialità, esuberanza, fierezza, complessità. E anche per le tante disavventure artistiche. Per Mingus era un idolo, lo seguiva dai tempi radiofonici di The war of worlds, adorava Quarto potere (dove in una scena c'era il suo amico d'infanzia Buddy Collette che suonava il sax in una festa sulla spiaggia), ammirava il suo modo di vestire, il suo impegno politico (sempre in prima linea per la difesa dei diritti civili, il suo Macbeth tutto nero è del 1936), la sua voce (“mi ricorda Coleman Hawkins. Potevi sentirla a un miglio di distanza”). E non era il solo jazzista a essere stato sedotto dalla voce radiofonica di Orson Welles, anche Miles Davis lo citava come un’influenza sul suo modo di suonare: “Fraseggio, tono, intonazione: tutte queste cose possono avere come modello un maestro della parola”.
Il 1959 sarà un anno d’oro del jazz per quantità, qualità, creatività. Al Five spot, piccolo, fumoso, maleodorante locale di Bowery, scelto come luogo di riferimento da artisti e intellettuali, l'anno comincia con un formidabile double bill: sono di scena, uno dopo l’altro, Sonny Rollins, alla testa di un trio con il bassista Henry Grimes e con il batterista Pete La Rocca, e Charles Mingus con il pianista Horace Parlan, il batterista Roy Haynes (che sostituisce il fedelissimo Dannie Richmond arrestato) e i sassofonisti Booker Ervin e John Handy. È la prima sera dell’anno, ma nel club di Bowery dei fratelli Joe e Iggy Termini è anche l’ultimo impegno di quel prestigioso, favoloso cartellone con Mingus molto irrequieto per tutta la scrittura. Aveva appena registrato la musica per il film di John Cassavetes Shadows, una colonna sonora bocciata nel rimontaggio finale (la stessa cosa sarebbe successa anni dopo con Todo modo di Petri), aveva ripreso i suoi musicisti brutalmente e una volta aveva minacciato violentemente i clienti di un tavolo che, durante il suo set, non smettevano di parlare. Oltretutto ogni sera tendeva ad allargare il suo set e Sonny si inferociva, talvolta rifiutandosi di suonare. Ma era un gran clima, entusiasmante e effervescente. Rollins era in un momento di transizione, alla vigilia di un ritiro clamoroso per rinnovare il linguaggio del suo sax tenore con il leggendario e solitario corso di aggiornamento stilistico sul ponte di Williamsburg: «In un posto tranquillissimo, un angolo morto che oggi sarebbe impossibile ritrovare con il traffico che c’è» il suo racconto, dove poteva esercitarsi liberamente.
Anche Welles, come Mingus, era reduce da una delusione cinematografica: la Universal gli aveva tolto di mano la post-produzione del nuovo film, L’infernale Quinlan, ne aveva tagliato una ventina di minuti e aveva fatto girare nuove scene, modificando il primo montaggio. Più o meno nello stesso periodo era finito in soffitta un documentario intitolato Viva Italia (Portrait of Gina) perché Gina Lollobrigida aveva messo un veto, non gradendo il suo ritratto di giovane attrice ambiziosa e la Abc tv lo aveva bocciato ritenendolo cosi poco ortodosso da non poter essere trasmesso. Era un film di mezz’ora scarsa sull’Italia, paese che Orson ha frequentato per 20 anni (la terza moglie è stata l’attrice italiana, Paola Mori). Dopo un lungo oblio (Orson aveva perduto l'unica copia esistente all'Hotel Ritz di Parigi) è stato riscoperto nel 1986, proiettato al festival di Venezia ma poi di nuovo bandito su intervento della Lollobrigida.
La presenza del regista di Quarto potere al Five spot non era casuale
Nel club di Bowery si poteva incontrare chiunque, da Jack Kerouac che leggeva le sue poesie, alla mitica baronessa Pannonica de Koenigswater scesa dalla sua Rolls Royce, a William de Kooning che voleva respirare la libertà del jazz, a Leonard Bernstein che si divertiva a curiosare nella notte, allo scrittore Norman Mailer con la sua passione per quella musica. Ma la musica da sempre è stata una grande passione di Welles. La mamma pianista gli aveva fatto prendere lezioni di piano e violino e Orson aveva anche mostrato un certo talento, tanto da essere considerato un ragazzo prodigio. In gioventù era stato un grande sostenitore del jazz di New Orleans, ma sicuramente ammirava Charles Mingus per la sua musica e la sua personalità, il suo impegno, il suo agire tellurico.
(Marco Molendini)
Non potevo non condividerlo.
Due miei ingombranti miti nella stessa foto, nello stesso locale, nello stesso articolo.
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elperegrinodedios · 7 months
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Se non curi il tuo giardino non nasceranno fiori e se non li annaffi la loro bellezza sfiorirà presto e si seccheranno. Sai quel famoso pollice verde altro non è che l'amore che riversi, che tu riesci a trasmettere e a trasferire, a tutto ciò che vuoi curare, piante, animali, persone. So quello che dico, posso sostenere con certezza queste mie affermazioni e convinzioni. Ci fu un tempo, nel quale la mia compagna ricchezza, mi lasciò per fare spazio ad una meno desiderata povertà. E cosi, non potevo permettermi neanche più una bottiglia di vino buono, bevevo il "Tavernello" in cartone, e acqua del rubinetto di casa. Passavo tutto il tempo libero, a curare la mia mini serra di bonsai. Si bonsai, che però io non potevo più neanche comprare per poterli curare e dunque estirpavo le radici di alberi a Castelfusano o nei vari luoghi, tuttintorno il mio centro sportivo, la "taverna del pellegrino". Erano piccoli arbusti di alberi appena nati ed erano umili e poveri come me cosi che li sentivo miei compagni di viaggio.
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E li amavo li curavo li controllavo giorno e notte e come ci insegnano e ci tramandano i maestri giapponesi, incredibilmente li accarezzavo e, ci parlavo e loro mi rispondevano crescendo. E fu cosi che piano piano mi resi conto che tutto mi cresceva rigogliosamente (una volta piantai per prova pochi semi di marijuana che mi regalò un amico senza neanche trattarli prima, beh, dopo pochi mesi, mi è toccato chiamare il mio amico per regalargli a mia volta quattro, cinque piante di cannabis quasi pronte per la raccolta).
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Erano belli quei bonsai ed io li amavo sempre di più. Li annaffiavo il dovuto e li potavo a seconda della forma che volevo dare loro e li cambiavo di posto ed ogni volta che germogliava una nuova fogliolina io mi appassionavo sempre di più. Già, proprio come l'amore, che più ne dai più ti viene voglia di darne, più ne bevi, e più arsura ti viene.
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Per raccogliere, devi seminare, il pollice verde è niente altro che amore e per essere amato, devi amare, curare, annaffiare, accarezzare e parlare.
Si, funziona per le piante, gli animali, le persone.
lan ✍️
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canesenzafissadimora · 3 months
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Le donne lo sanno...
Le donne lo hanno sempre saputo...
che non si muore per amore,
ma che di amore al massimo si vive.
Ogni giorno.
Che certe delusioni,
bruciano come sapone negli occhi
e che i rimpianti fanno più male dei rimorsi.
Che anche quando il cielo
sembra essere troppo pesante,
avremo spalle abbastanza forti da sorreggerlo.
Le donne lo sanno che
lo sfarfallio allo stomaco
è l’anticamera di grossi guai.
Che nella vita si possono dare molti baci,
ma quelli che ce la cambiano,
sono al massimo un paio.
Che certi amori grandi iniziano quasi per gioco.
Che certi amori grandi durano per sempre.
O almeno fino a quando è bello crederci.
Che le amiche vere sono leali e discrete.
E un po’ pagliacce quando serve.
Che si può essere amiche di un uomo,
fino a quando uno dei due
non perderà la testa per l’altro.
Che gli ex si, sono buoni.
Ma solo se ripassati in padella.
Le donne lo sanno (bene)
che questo non è un mondo per donne.
Che ci sarà sempre il prepotente,
il maschilista, il cafone.
Che spesso si sarà giudicate
in base alla taglia del reggiseno
e non a quella del cervello.
Che le notti buie non sono mai troppo sicure.
Che la maternità non è spesso un diritto,
ma una scelta.
Che dovranno impegnarsi il doppio
per ottenere metà di quello che meriterebbero.
Le donne lo sanno che si può piangere
anche senza motivo.
Che essere emotive e lunatiche
non è poi cosi malaccio.
Che la sindrome premestruale
e le paturnie, sono un buon motivo
per prendersela con il prossimo.
Che l’ottimismo ha il sapore
del dolce della domenica
e il colore di un nuovo paio di scarpe.
Le donne lo sanno che essere sexy
è una questione di testa. E di lingerie...
Che gatte morte, paradossalmente, si nasce.
Che sono pochi, anzi rarissimi,
gli uomini ad avere il dono
di farti sentire come Mae West tra le lenzuola
e come Grace Kelly in mezzo alla gente.
E che sono questi gli uomini che ci piacciono.
Le donne, infine, lo sanno che
essere donne è un dono.
E forse anche un danno.
Che da loro tutto ha inizio e tutto finisce.
Che si nasce femmine
e che donne e libere
lo si diventa per propria scelta.
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cit.
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raccontiniper18 · 3 months
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Prima esperienza lesbo
Visto il poco successo dell'esperienza omosessuale,abbiamo deciso di non scrivere il continuo che consisteva in un piccolo amplesso ma di scrivere della prima esperienza lesbo di lei.
Se siete lettori ''veterani'' del blog sapete che mi sono approcciato al mondo lesbo prima ancora di scoprire cosa fosse un orgasmo, si perchè mia sorella mi ha placato le mie prime voglie.
Eravamo rimasti al patto di doverci calmare almeno una volta a settimana le nostre voglie assieme, e raccontarci magari di esperienze vissute.
Ci raccontammo tutto, davvero tutto nei minimi dettagli e per raccontare tutto dovrei scrivere un libro, ma racconto la scena che mi fece impazzire più di tutto e ancora oggi a ricordarla mi fa bagnare come un adolescente, un lago.
Era periodo di influenza ed entrambe restammo a casa ammalate per 3 giorni, i primi 2 li trascorremmo a letto mezze morte, guardando delle serie sul pc per ammazzare il tempo ma eravamo talmente ammattite che non pensavamo al sesso, cosa che al terzo giorno lei mi sveglio, mi chiese come stessi e gli dissi che stavo meglio, allora mi sorrise e mi disse di seguirla.
Andò in camera dei miei (ovviamente vuota dato che loro erano a lavoro e noi due eravamo a casetta sole sole) apri un cassetto e tolse due o tre vestiti ed estrasse un piccolo cimelio, una scatoletta di latta grandicella si girò e rise ma io da povera innocente e credo ancora un po' influenzata non capii. Lo apri' stile affari tuoi, scavicchi ma non apra e dopo 1 minuto interminabile lo apri' del tutto e SORPRESAAAAAAAA quattro bei dildi di varie dimensioni, tre plug uno piccolissimo uno medio e uno cicciosissimo, e una cinghia che lei chiamò strapon e disse che papà molto probabilmente lo prendeva dietro da mamma.
Io esterrefatta e un po' stralunata rimasi male ''Ma come? papà è gay?''
Lei '' Nooooooooh, gli uomini alla prostata e piace tanto anche a loro prenderlo nel culetto''.
Io affermai ''Ma cosa, che schifo nel culetto, sai che dolore?''
Lei a sua volta ''Macchè,poi vediamo qualche pornino e vedi che piace ad entrambi''.
Lascio la scatoletta di latta sul letto dei miei e ci dirigemmo in camera nostra, e al pc cercò 2 porno ovviamente uno anal femminile e uno strapon.
La mia patata era bella eccitata e bagnata, più per la situazione che per la voglia di culo o di essere inchiappettata dato che il mio sederino era fatto solo per ''cacciare'' e non per ''entrare'' cose.
Glielo dissi ''Sorellina il mio culetto non è cosi' grosso e largo come quello della donnina e del uomo''
Lei rispose con un freddo ''Poi si allarga''
Io sempre più confusa le sorrisi, ma in cuor mio sapevo che il mio culo,non era cosi' e non mi stimolava minimamente nulla.
Ovviamente come detto ero ed eravamo verginelle entrambe e quindi ci divertivamo quasi ogni giorno con i nostri clito, sia reciprocamente che in solitaria. Le voglie c'erano e anche un sacco, sognavamo piselli che ci si infilavano dappertutto ma mai nel sederino, almeno io. Lei a quanto disse, lo desiderava anche dietro. CHE PORCA MIA SORELLA, CHE VACCA pensai.
Ma lo dissi ad alta voce e lei invece di arrabbiarsi, sorrise e annui , e disse certo come tutti,maschi femmine tutti hanno il culo e tutti ne traggono piacere, e anche tu vedrai, vieni in bagno zoccoletta.
(Non ci eravamo mai chiamate cosi' saranno i residui di influenza ma eravamo diventate un po' scurrili nel linguaggio e non lo eravamo mai state, ma in quella situazione a me piaceva e anche a lei).
Mi diressi in bagno mi spogliai ed entrai in doccia, lei mi segui' andò prima a fare pipi' e poi mi segui' entrò in doccia, non era la prima volta che ci lavavamo assieme quindi era ''normale'' solo che questa volta lei dopo essersi insaponata per bene le mani mi insaponò prima le tette e senza farmi fiatare scesce giù, torturò per 2 minuti buoni il mio clito. E quando stavo per venire mi sorprese e scivolò nel mio ano con un dito e subito me lo ficco dentro. O per la paura o per la sorpresa venni', e mi abbracciai a lei per la poca forza nelle gambe.
Dopo essermi ripresa, alzai lo sguardo e mi ''rialzai'' con il viso. Lei mi sorrise e disse ''Hai capito la porcellina, non entra niente nel mio culetto e invece sono entrate 2 dita.''
''Scemaaaaaaa, non entra niente ed era un dito'' le urlai a 2 cm dal viso.
Lei si morse il labbro e disse ''Guarda che sono due ce le ho ancora dentro di te, vedi?'' E fece su e giù nel mio sfintere ''Diooo non era ancora uscita e io al suo su e giù godevo'' Cazzo che mi piaceva altro che, altro che utilizzare quel buco per lo scopo principale. Serve, e dico SERVE anche a godere.
Senza pensare le dissi '' In genere quando godo mi da fastidio toccarmi nuovamente il clito,ma adesso sto impazzendo dal piacere vuoi che ti entri anche io nel tuo culetto? voglio sentire cosa si prova ad inculare''
Usciamo dalla doccia, mettiti lo strapon e inculami come se avessi il cazzo, ma non devi pensare che io sia io, ma che sia papà mettiamo una foto al pc e mi inculi ok?
Come potevo dire di no?????????
Al pc però non c'era un porno ma...
Continua.
Se vi è piaciuto fatecelo sapere in chat, ovviamente questo racconto non è come gli altri è più esplicito è molto più ''volgare'' non so se può piacere o meno. Aggiornateci vi aspettiamo in chat per discutere e magari raccontateci anche voi la vostra prima esperienza omo o lesbo.
Buona giornata e grazie per la lettura se siete arrivati qui'
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greenbor · 6 months
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Poesia di https://www.tumblr.com/s-a-f-e-w-o-r-d--2
Tu sei cosi..... oramai conosco bene la tua anima, tu tendi sempre agli eccessi, è vero, hai sempre avuto problemi con le sfumature. Sei eccessivamente insicura, terribilmente sensibile, molto incostante, piuttosto indomabile, nonostante la tua indole tendi al troppo in tutte le sue forme, troppo impulsiva, troppo lunatica, troppol scontrosa, spesso fastidiosa, da mandarti quasi a fanculo, sei troppo sognatrice, troppo pensierosa, troppo emotiva. Pretendi tanto da chi ti sta vicino, ma solo perché tu dai tutta te stessa quando ami. Piangi spesso, ridi molto, sogni troppo. Starti accanto di certo è impegnativo.. Ci vuole coraggio con te, e forse anche un po' di incoscienza. Però è anche vero che se ti abbracciassi stretta tu non avresti più paura di nulla e se ti tenessi per mano, allora non scapperesti più. (Soul)
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susieporta · 13 days
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L’harem del narcisista.
Quasi tutti i narcisisti, o meglio quelli che appartengono ad un subcategoria di narcisi cioe’ OVERT.
I narcisi overt a mio parere sono meno pericolosi, perché più facilmente sgamabili, ne parleremo in un altro post.
In ogni caso, molti narci, hanno il proprio HAREM.
E il bello è che non lo nascondono.
Ora possono etichettarsi come ‘ poliamorosi’, avendo anche il benestare di una società, sempre più aperta e ben disposta verso nuovi modelli di interazione amorosa.
Per lui è normale avere un harem e te lo dice.
A volte tu presenta persino le altre sue ancelle, e gli piace che andate d’accordo.
Gli piace che tu sia compiacente di fronte alla sua scelta, e se osi contraddire o mostrarti infastidita, sei una rompi palle, o una all’ antica o una che ‘ pretende troppo’.
Dunque ricordate bene questo:
Lui ve lo dice.
Non c’e’ NULLA DA INTERPRETARE.
Non si sta proteggendo o non sta accampando scuse.
Lui ha altre donne.
Ci va a letto
Ci esce
Gli regala le rose e gli invia gli stessi identici messaggi che invia a voi.
Dovete purtroppo accettare questa realtà, che lui, proprio per deresponsabilizzarsi, vi scodella sotto gli occhi.
Perché il Narci-O si comporta cosi?
Egli NON e’ in grado di andare in profondità, di vivere l’intimità che richiede una relazione, di essere autentico.
Bensì lui è perfettamente in grado di MIMARE sia amore che EMPATIA.
Ma e’ un copione.
Le sue ferite, come ho scritto molte volte, sono profonde e laceranti, e lui non riesce a metterci mano, perciò è costretti a crearsi un trono, uno scudo di alterigia, per rendersi invulnerabile.
Non puoi curarlo
Non puoi salvarlo
E ne tanto meno, sperare che vada in terapia.
Devi semplicemente ascoltare quello che lui stesso ti dice e cioe’ che lui non sa amare e non vuole impegnarsi.
Non sei TU che hai qualcosa che non va .
Non si impegnerà MAI e e se lo fara’ sarà sempre un teatro, una finzione una messiscena.
Fin quando accadrà qualcosa che lo destera’ dalla sua pantomima.
Ma non puoi sapere quando e come sarà.
Puoi solo allontanarti e uccidere la maledetta speranza.
Se ti aggancia, vuol dire che fa leva sul TUO bisogno di sentirti SPECIALE E UTILE.
E quindi sul TUO narcisismo.
Quindi l’umiltà è la cura.
E imparare che non hai bisogno di qualcuno per sentirti speciale o utile .
Puoi lavorare su di te e sul tuo bisogno di dover sempre dimostrare e non sentirti mai abbastanza.
_ClaudiaCrispolti_
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ilpianistasultetto · 1 year
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Da marzo 2023, con l’entrata in vigore dell’assegno universale e l’anno prima con l’assegno unico per i figli a carico, questo Paese sta rischiando il paradosso. Quest’anno serve ISEE 2021 mentre lo scorso anno si è provveduto con ISEE 2020. Viste le due annualità di piena Pandemia dove i lavoratori dipendenti  hanno mantenuto il loro reddito grazie alla cassa integrazione non e' stato cosi' per le partite iva che hanno perso quasi tutto l'intero fatturato. Così succede che avremo avvocati, artigiani, commercianti, Ingegneri, architetti, imprese e tantissime altre categorie del lavoro autonomo che fino al 2019 hanno avuto redditi elevati, con un’ISEE per queste due annualita' pari a zero. Risultato? Un Architetto ha percepito nel 2022 un assegno di 160 euro a figlio e un operaio 70 euro e quest'anno succedera' la stessa cosa, anche se quell’architetto fino al 2019 puo'aver avuto un reddito di 100mila euro.. Altro enorme paradosso e' anche l'accesso al bonus energia. Stessa situazione, visto che il metodo e' sempre legato a ISEE... Moltissimi liberi professionisti e p.iva in genere si ritrovano ad aver diritto al bonus energia visti i redditi 2020-2021 e i lavoratori dipendenti con buste paga da 1000 euro al mese a pagare 300 euro a bimestre di bolletta elettrica.. @ilpianistasultetto
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melanchonica · 11 months
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è da un po' che mi frullano in testa dei pensieri un po' slegati che non riesco mai a buttare giù e mettere in ordine, vediamo se stavolta ci riesco.
io credo che ognuno di noi abbia un bagaglio con se. per la precisione uno di quelli senza ruote, lo immagino più come un baule con una maniglia. lo portiamo dovunque andiamo, sempre. negli anni lo riempiamo delle nostre esperienze, positive e negative, e ciò che più di tutto lo rende pesante da trasportare è ciò che ci ha fatto male. questo lascia intendere che c'è chi ha un bagaglio più leggero, e chi ha un bagaglio più pesante. ecco, è come se sentissi che il mio bagaglio è diventato troppo pesante. non mi piace il vittimismo, mi sento sempre quasi in colpa al pensiero di dire ad alta voce tutto questo, infatti lo sto chiamando vittimismo anche se in realtà non credo neanche che lo sia davvero. per essere breve, va a finire che non sono mai queste le cose di cui parlo con le persone, neanche con chi mi è più vicino come alcuni amici o la famiglia. questo bagaglio, questo baule, lo sento più pesante ad ogni passo che faccio, ogni giorno che vivo. si stanno accumulando tante cose al suo interno, tante provocate da persone da cui non me lo sarei neanche aspettata, e questo ne raddoppia il peso. ognuno di noi ha un bagaglio, e alcuni giorni pesa più di altri. poi, credo che se hai qualcuno che ti aiuti a trasportarlo, non sembri neanche più cosi pesante. e forse è proprio questo il punto, forse è trasportarlo continuamente da sola da così tanto tempo, che mi sta sfinendo. ma come si fa a capire di chi fidarsi per trasportarlo assieme? come faccio ad essere sicura che non lo spalanchi davanti a tutti e butti fuori tutto quanto, lasciandomi poi sola di nuovo a rimettere a posto? come faccio ad essere sicura che quella persona non usi proprio quelle cose trovate all'interno del baule per ferirmi? è più facile, se sai dove colpire. ed è più facile, se chi vuoi colpire è già a terra, se è già sanguinante. e ciò che rende il tutto ancora più facile, e disgustoso da fuori, e devastante da dentro, è la consapevolezza che chi è a terra non ti farà nulla neanche dopo che avrai finito, perché ti ha lasciato aprire il suo baule e sarà troppo sofferente e troppo impegnata a rimetterne insieme i pezzi, una volta che l'avrai rivoltato. ecco, a volte quando questo baule non riesco più a portarlo e inizio ad inciampare e cascare a terra piangendo, quasi mi pento di non aver fatto o detto qualcosa dopo, a quelle persone. ma in fondo, cosa avrei potuto fare? a cosa sarebbe servito? poi infatti ci penso meglio, e non mi pento affatto di essere una brava persona, di non aver causato a qualcun altro lo stesso dolore che ha causato a me, e di averle aiutate dopo quando avevano bisogno, fregandomene del prima. l'unica cosa di cui posso pentirmi è di non aver ascoltato quel dolore prima, ai primi oggetti buttati con foga fuori dal baule, posso chiedermi scusa perché oggi avrei vissuto meglio senza tutte quelle scene impresse nella mente. non sono frammenti, io non ho frammenti, ho lungometraggi. ricordo ogni cosa, ogni singolo secondo. potrei chiedermi scusa, si, ma ancora non riesco, non mi sono affatto perdonata, per averlo permesso. per fortuna non sogno quasi mai, almeno sono scene che vedo e rivivo soltanto durante il giorno. e questo bagaglio è pieno zeppo di queste scene, e pesa tantissimo, e con le braccia non ce la faccio più a portarlo, e continuo ad attirare l'attenzione quando passo, che si nota che trasporto qualcosa che pesa più di me e arranco da morire, e mi si legge in faccia, e sono come un'incidente stradale che tutti si fermano a guardare.
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raffaeleitlodeo · 9 months
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A pochi mesi dall'avvio della macchina delle primarie, l'America si interroga: meglio un ottuagenario rimbambito che sta in piedi perché non tira vento e confonde la Svezia con la Svizzera - per non dire di Slovacchia e Slovenia - o meglio un giovanotto di 77 anni eversore bancarottiere mezzo fascio e bugiardo che se non va alla Casa Bianca va direttamente in galera?
I pareri divergono ma una cosa è già acclarata: non c'è la possibilità di nessun altro candidato.
Cioè, su 332 milioni di abitanti, non si trova uno meno cretino dei due di cui sopra, che in circostanze normali sarebbero gentilmente accompagnati in una Rsa (il democratico) e in una struttura psichiatrica (il repubblicano).
Ciò non toglie agli Stati Uniti la patente di "più grande democrazia del mondo", giustamente guadagnata in decenni in cui ha quasi sempre vinto il candidato con più budget, più lobbisti e più sponsor, un paio di volte conquistando la Casa Bianca con meno voti del perdente: una simpatica peculiarità del sistema elettorale locale che tuttavia nessuno si sogna di mettere in discussione perché va bene cosi, vinca quello che ha preso meno voti, bah.
Anche noi europei siamo dilaniati dal dubbio, seppur da spettatori.
Meglio quello che ha dissolto la Ue nella Nato approfittando delle follie putiniane o meglio quello che vuole dichiarare la terza guerra mondiale alla Cina?
Meglio quello che non capisce una cippa ma tanto fa quello che gli dice il deep state o meglio quello che non capisce una cippa manco lui però non si fa manovrare da nessuno?
Meglio fare la pace con la Corea del Nord e sciogliere i poli come vuole Trump o meglio salvare i ghiacciai e sciogliere l'Europa come vuole Biden?
In sintesi estrema: meglio uno affetto da demenza senile e Alzheimer o uno affetto da narcisismo patologico maligno?
Si prevedono lunghi dibattiti anche nostrani.
L'unica cosa certa è che Cacciari indicherà uno dei due come sicuro vincitore, aggiungendo "come si fa a non capire", poi vincerà l'altro e lui ci spiegherà che è trent'anni che lo dice.
Alessandro Gilioli, Facebook
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elperegrinodedios · 8 months
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Testimonianza di un convertito...
(Terza parte)
Ora, questa non era un'idea nuova, già prima di essere fatto Grande Druido io avevo pensato di tirarmene fuori, e cosi pure una giovane attrice in California, della quale, era già stata ordinata l'esecuzione e che era stata lasciata appesa per un piede con la gola tagliata ch'è una delle carte dei tarocchi, per informare tutte le streghe, che aveva tradito la stregoneria ed era morta per tal motivo. Dopo aver visto questo e quello che era già successo a Sharon Tate decisi di restare, ma ora volevo andarmene a tutti i costi. Tutti i costi.
Non sapevo come uscirne, ma non consideravo per niente il Cristianesimo, come una sicura via d'uscita. Ma volevo venirne fuori, ad ogni costo. Cosi passò un mese ed io rimasi più coinvolto in varie droghe. Anzi, la notte che mi sono salvato pesavo 67 kg. perchè facevo 150$ al giorno di metredina "speed" in vena, quella che, la gente della strada chiama "cristalli". Ero letteralmente in uno stato di paranoia a causa di questa droga e tutti questi piani mi avevano reso ancor di più irrequieto. Poi un sabato pomeriggio un pastore battista mi venne a trovare in uno di quei nostri negozi di occultismo. Si trovava là perchè da un giorno all'altro, si era reso conto, che la famosa Stregoneria era reale, mentre lui l'aveva sempre considerata una favola di streghe che volano su manici di scopa con porri sul naso e i cappelli a cono. L'aveva scoperto, perchè aveva scoperto che sua figlia, era una sacerdotessa iniziata di una congrega della Stregoneria! L'aveva vista e sorpresa in una notte, mentre lanciava sortilegi nella sua camera da letto. Non riusciva a parlare e nè comunicare con sua figlia, cosi pensava di dover andare alla radice e, se loro si salvavano, forse si sarebbe salvata anche sua figlia. È cosi che mi trovò in un nostro negozio di occultismo, lo "Spanish Bazaar" a San Antonio e cominciò a testimoniarmi. Lui sapeva chi ero, perchè io mi presentavo sempre con il mio nome di stregone, Lance, e quasi tutti in città mi avevano già visto alla televisione o avevano letto di me su giornali in servizi sulla Stregoneria. Cominciò a parlarmi e testimoniarmi e in parole molto profane io gli dissi, che non me ne importava proprio nulla, e che volevo che se ne andasse. Cosi quando fallì in questo, decise che non riusciva a passare su quei demoni che erano in me ed iniziò allora ad ordinare a quei demoni di stare zitti e poi subito procedette a pregare per me, che mi piacesse o no, e quella preghiera era qualcosa del genere:
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"Esigo che Satana smetta ora di darti i suoi benefici, compreso le droghe; ordino che sia cosi nel nome di Gesù! E comando ora a Satana di smettere di comunicare con te, soprannaturalmente ed ora spezzo il tuo forte potere di Stregoneria, fino a che verrai faccia a faccia con il Vangelo e poi comando che la tua mente venga liberata, cosi che tu, possa ricevere il Vangelo, e prendere da solo la tua decisione".
Poi se ne andò. Nelle mie condizioni questo era necessario, indispensabile perchè io non avevo una mente mia. Pensai che fosse pazzo e cosi andai di sopra e presi molta altra droga, perchè non riuscivo a capire come mai mi sentivo in tal modo e cioè, non molto bene. Quella sera, usai tutta la droga che avevo, perchè aspettavo una grossa partita che doveva arrivare da Laredo in Messico. Successe però, una cosa che non era mai successa prima: si, la droga fu sequestrata! Quella notte al confine c'era la guarda sbagliata, che non era pagata da noi, e usarono persino la macchina sbagliata, pure con il numero di targa sbagliato. Tutto quello che poteva andare storto andò storto e la spedizione fu sequestrata ed io ero senza droga. Feci alcune telefonate in varie zone degli USA, cercando di trovare della roba che mi potesse arrivare in fretta. Nulla. Dovevo aspettare il martedì mattina, per me era troppo tempo da aspettare per una persona assuefatta come lo ero io! Il lunedì sera poi, dato che stavo avendo dei sintomi piuttosto forti di astinenza, salii sulla mia auto, feci per uscire dal posteggio e quasi finii nel fiume! Cosi la lasciai lì e andai a fare una passeggiata. Camminai per quattro o cinque isolati e arrivai ad un cinema normale e là pagai ed entrai, mi sedetti in terza fila deciso a pensare solo al film. Era intitolato: "La croce e il pugnale". Può sembrare divertente, ma non lo era per me a quei tempi.
Fine terza parte
lan ✍️
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Lascia stare, è impossibile! non ci è mai riuscito nessuno". Dico facendo spallucce e chiudendomi in bagno per ingoiare la sensazione di inadeguatezza che mi pervade sempre arrivata a questo punto.
mi sciacquo il viso e mi convinco che non importa, che è addirittura sopravvalutato.
Torno in camera e prima di salire sul letto tolgo la maglietta che gli ho rubato e che uso come vestito cosi da non dover girare nuda.
mi sdraio per un secondo a pancia in su con gli occhi chiusi ma riesco a percepire il suo sguardo su di me, riesco a percepire i suoi movimenti e sento che si sta avvicinando al mio viso.
mi bacia, con delicatezza quasi tema di infastidirmi ma contraccambio quel bacio e mi abbandono. mi sfugge un debole gemito di piacere e senza nemmeno pensarci gli do libero accesso al mio corpo.
si stacca lentamente dalle mie labbra e vedo qualcosa nel suo sguardo, conosco quella luce e so bene cosa sta per accadere o almeno cosi credo...in realtà non sono affatto pronta per quello che sta per succedere!
si avventa sul mio collo e mi ricopre di baci leggeri che, uno dopo l'altro, iniziano a farmi sentire i brividi. sento il suo respiro farsi più corto e basta questo per far crescere il calore tra le mie cosce
si ferma per un breve attimo e mi sorride, con l'espressione di chi la sa lunga e ha tutta l'intenzione di prolungare la tortura a suo piacimento.
torna di nuovo all'assalto, stavolta le vittime designate sono i miei capezzoli che vengono succhiati e leccati e stretti tra le labbra. sento il cuore battere più forte e l'eccitazione salire, vorrei chiedergli di smettere ma le parole mi muoiono in gola.
per fortuna arriva una tregua inaspettata e lo vedo staccarsi da me per dirigersi verso il comodino alla ricerca di non so cosa, lo guardo con fare interrogativo ma lui, senza smettere di sorridere o staccare gli occhi da me, fa un breve cenno con la testa come a dire che tutto quello che sta facendo non mi deve interessare.
tremo al solo pensiero di quello che ha in mente e tremo ancora di più quando lo vedo tirare fuori un sacchetto di raso viola, ne conosco fin troppo bene il contenuto!
"che hai intenzione di fare?"
non ricevo risposta ma l'ennesimo sorriso furbo che preannuncia solo guai.
si avvicina lentamente, famelico e mi mette entrambe le mani sulle ginocchia
"apri le gambe"
"cosa?"
"hai capito!" mi ringhia mentre mi spalanca le gambe a forza e gode del mio imbarazzo.
si inginocchia tra le mie gambe e sospira facendomi tremare tutta
"sei cosi bagnata!"
non non ho il tempo di replicare che mi posiziona il vibratore, acceso al minimo della velocità, proprio sul clitoride ma lo tiene li solo un istante.
bonfonchio qualcosa e questa protesta sortisce il giusto effetto perchè sento di nuovo il vibratore lì, che viene mosso dal basso verso l'alto con lentezza estenuante.
senza rendermene conto prendo il suo ritmo e i miei fianchi iniziano a ondeggiare con velocità sempre crescente, alla ricerca di quella sensazione che mi sta offuscando i pensieri.
ma lo stimolo cambia, non è più il vibratore a stimolarmi bensi la sua lingua...e ricomincia tutto da capo.
leccate lente ed ampie che piano piano si concentrano sul quel microscopico punto cosi sensibile.
mi adatto a quel tocco, mi abbandono e assecondo i suoi movimenti.
 il solo suono che riesco a sentire è quello del mio respiro che diventa sempre più corto e affannato fino a quando non si aggiunge un ronzio appena percettibile e so che ha di nuovo messo in funzione il mio caro vibratore, amico di tante notti solitarie.
lo fa entrare dentro di me e ne aumenta la velocità man mano che anche la sua lingua si fa più veloce. lo muove, mi penetra e mi scopa con quello.
le sensazioni, a questo punto, sono cosi tante che non so su quale concentrare la mia attenzione... gemo e decido che alla fine è tutto cosi intenso che non devo per forza focalizzarmi su uno stimolo solo.
lui è implacabile, le sue attenzioni si fanno sempre più incalzanti e io sono scossa da spasmi di piacere man mano più intensi fino a che...sento l'orgasmo montarmi dentro, sento quell'onda cosi famigliare che si infrange sulla mia essenza, mugolo una specie di preghiera affinchè non si fermi proprio ora, e finalmente vengo
vengo con una potenza cosi devastante che non riesco a muovermi per assecondare lui che mi mangia con cosi tanta voracità e urlo, senza più ritegno o vergogna, il suo nome!
sento le lacrime rigarmi le guance e subito dopo le sue braccia forti che mi stringono a lui, sento i suoi baci pieni di passione.
"hai visto? io non sono nessuno!" mi dice con lo sguardo trionfante di chi ha appena battuto il suo acerrimo nemico.
mi rannicchio addosso a lui con la consapevolezza che sono, finalmente, Donna.
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sciatu · 1 year
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Mattino sullo stretto
MILLE PICCOLI NEONATI
OGNI DRAMMA INIZIA CON CALMA  - Bastiano si mise lo zaino sulle spalle, prese l’ombrellone e con una corda se lo mise alla spalla destra. Prese una sedia pieghevole e la sistemò sulla spalla sinistra. Afferrò le due stampelle senza le quali non poteva camminare, controllò nel borsello se aveva preso tutto ed usci nel giardino circondato da alte mura. Percorse, tra gli alberi di limoni, mandarino e nespole, il vialetto che portava fino al portone che dava su uno stradone chiamato pomposamente “lungomare” e che separava la sua casa dalla spiaggia. Uscito dal portone attraversò lo stradone e da li scese lentamente verso il bagnasciuga, sempre mettendo avanti le stampelle poi raggiungendole spingendo per raggiungerle, le gambe magre e deboli, che a stento riuscivano a tenerlo in piedi. A circa cinquanta metri da dove le onde si appiattivano sulla sabbia, si fermò e mise giù lo zaino, aprì la sedia pieghevole e si sedette tra due blocchi di cemento che fungevano da frangiflutti, in modo da essere protetto dal vento. Da seduto piantò l’ombrellone e l’apri in così che coprisse la sedia. Cercò nello zaino e tirò fuori un tablet ma prima di immergersi nella lettura guardò il cielo per vedere come era il tempo. Osservò se si vedevano all’orizzonte lungo lo stretto, le “Calabrie” per capire quanta sarebbe stata afosa la giornata. Se le “Calabrie” fossero state nascoste da un velo grigiastro voleva dire che sarebbe stata una giornata caldissima, appiccicosa e afosa. Infine guardò la spiaggia quasi deserta con alcune barche rovesciate qua e là, dove due pescatori, ognuno con quattro o cinque canne fissate lungo il bagnasciuga,  andavano avanti e indietro seguendo il movimento delle canne ed osservando i galleggianti in mezzo al mare. Era tutto a posto. Sarebbe stata un’altra giornata di sole, rovente e normale, come cento altre e le gambe non gli avrebbero fatto male come quando cambiava il tempo e le ossa rotte in mille pezzi ed aggiustate chirurgicamente, non avrebbero fatto sentire il loro lamento simile a mille lame gelide che scavavano nei suoi arti. Bastiano sorrise soddisfatto, si sentì dell’umore giusto per un buon racconto e sul tablet andò a cercare il libro di Allende che stava leggendo. A quel punto l’imprevisto che è il protagonista inatteso di ogni racconto: una ragazza incominciò a scendere dal lungomare verso la spiaggia. Ora Bastiano, a causa dei suoi problemi fisici, non era uno che cercava l’avventura o pensava solo all’apparato riproduttivo delle donne. In vita sua poi di donne, ne aveva conosciute molte, alcune erano anche professioniste del sesso che avevano fatto di ogni loro gesto e sguardo una reclame ambulante del piacere. Però la ragazza che scendeva, con il suo prendisole nero   capelli di un nero intenso lunghi ed ondulati, gli occhiali scuri di Versace dove brillavano particolari dorati, cosi come d’oro erano le finitura del bikini nero, le scarpe e la borsa che indossava, rendevano quella ragazza Diversa da quelle poche presenti sulla spiaggia. Sapeva di sensualità armonica e selvaggia, di sesso puro, passionale e intenso. Un sesso non descritto dal corpo che non aveva un filo di grasso, dalle abbondanti curve del seno o del di dietro nervoso e ben formato e neanche evidenziato od esaltato da un bikini la cui superfice totale non superava quello del fazzoletto dentro cui la nonna di Bastiano, quando andava a prendere la pensione, metteva i soldi  per nasconderli nel seno. Il sesso, dichiarato e presente, era esplicito nel come si muoveva, in come   la sua gamba si allungava mostrandosi dritta e perfetta per conquistare la spiaggia e di come il suo corpo la seguiva sobbalzando, oscillando, vibrando prima di prendere possesso di un altro metro di universo, mentre i suoi capelli sdraiandosi nel vento che correva, salutava la sabbia alle sue spalle lasciandogli in ricordo un profumo di limoni dolce e costoso. “Chista si si pigghia a coccadunu, su suca comi si saria n’ovu” Pensò ammirato e sebbene lui fisicamente non era messo male con un torace e due braccia da palestrato, riconosceva che quella ragazza lo avrebbe messo in serie difficoltà. Poi, gustando il sapore di sesso e di vita che gli era rimasto nel corpo, tornò a leggere il suo libro assorto dalla scrittura latina dell’autrice. La ragazza nel frattempo si era seduta a una decina di metri da lui invadendo quel pezzo di spiaggia con il profumo della sua sensualità di cui restarono colpiti anche i due pescatori vicini a loro, uno alto e lungo come la fame, l’altro basso grasso e tondo come l’abbondanza. Questi avevano lasciato perdere le loro canne e commentavano con semplice lascivia, quello che quel corpo disteso al sole, suggeriva alla loro libido paesana. Dopo quasi un ora, Bastiano, contento per come la mattinata stava procedendo, allungò le gambe e appoggiando la schiena alla spalliera della sedia, chiuse gli occhi e lasciandosi cullare dal rumore delle onde e dalle grida dei bambini in acqua, cercò di appisolarsi. Ora, poiché nella vita il caos è inevitabile, entrava in scena un secondo imprevisto nella persona di un ragazzo in jeans e camicia bianca che parcheggiata una potente moto sul bordo dello stradone, appese il casco al manubrio e risoluto scese in spiaggia dirigendosi verso la ragazza con un passo veloce e cattivo tanto che a pochi metri da lei, incominciò a inveire “Accà a unni si, buttana chi non si otru? Jo ti spitava a Furci e tu si ca, stinnicchiata o suli” La ragazza al vederlo si alzò di colpo  e presa una pietra di grosse dimensioni in mano gli urlò “Vattinni chi t’ammazzu quant’e veru Diu” Ma lui senza farsi intimidire l’afferrò per i capelli e fermata la mano armata con il sasso incominciò ad urlare “Si na troia, na bucchinara, tu si peggio da medda” “Strunzu, lassimi annari chi mali finisci” Rispondeva la ragazza che malgrado bloccata dalle  forti braccia del ragazzo, non desisteva. I due pescatori si voltarono ad assistere alla scena come tutta quella parte di spiaggia, ma nessuno mosse un passo verso di loro. “Muta disgraziata chi tu si na ruvinafamigghi, a mari t’aiu ittari comi si fa ca munnizza” Per tutta risposta lei gli diede un calcio tra le gambe e dal dolore l’uomo strinse di più i capelli facendola gridare “Lassala stari” Grido Bastiano che al primo battibecco  si era alzato ed aiutato dalle stampelle si eri avvicinato ai due “Fatti i fatti toi, screncu chi  campi cent’anni” “Jo mi fazzu i cazzi toi picchì si non mi scuti, non ci nesci vivu i sta ribba mari” Il giovane stava per rispondergli quando dalla riva del mare si sentì gridare “Bastianu chi c’è cosa?” E quando i tre si girarono per guardare chi aveva urlato videro i due pescatori muoversi. Il lungo levò una canna dal tubo di ferro conficcato nella sabbia che la teneva dritta e lo liberò dal terreno, afferrandolo saldamente in mano ed incominciando a  camminare verso di loro. Il corto lo seguì con una mano in tasca ai pantaloncini da cui estrasse quello che sembrava un bastoncino nero di venti centimetri tenendolo stretto nel pugno. Il giovane capi che era uno “sfilatino” un coltello lungo sui venti centimetri che i pastori usavano per sgozzare in un sol colpo, pecore e capre. Anche Bastiano aveva fatto volare in aria la stampella prendendola al volo pronto a colpire il ragazzo al primo passo che avrebbe fatto verso di lui, e, visto i muscoli del braccio, non sarebbe stato un colpo leggero. Il ragazzo pensò qualche secondo poi spinse via la ragazza “Cu tia fazzu i cunti dopu “ Le disse rabbioso e guardando Bastianu sbottò “Ha ringraziari Diu chi nun mi voggliu luddari i manu cu genti comi a vui” E se ne ando verso la moto ostentando sicurezza e tranquillità Bastianu si avvicinò alla ragazza “Tutto a posto?” Lei fece di si con la testa massaggiandosi il polso che il ragazzo aveva stretto “Vai al mio ombrellone, c’è un po' d’acqua e ti rinfreschi” Nel mentre arrivarono i due pescatori “Oh arriva il settimo cavalleria a salvarmi…. “ “Nui a iddu sabbammu – fece il corto – che se lo prendevi tra le mani, in dui u rumpivi” “U canuscivi  a chiddu Bastià?” “No non l’ho mai visto e ha capito  che non si deve far vedere più” “A lenza a lenza,” gridò il corto sentendo il campanello posto su una canna suonare e corse via, seguito dal lungo che gli gridava “Pigghialu, pigghialu” Bastiano andò dalla ragazza che se ne stava all’ombra raggomitolata ad abbracciare le ginocchia “Tutto bene ?” “Si, si” “Aspetta un po' a muoverti magari quello è la che aspetta” “Vigliacco com’è, è capace che mi aspetta, ma io devo andare” “E non hai la macchina?” “No sono venuta cu l’autobus” “E come per cinque minuti? “Volevo distrarmi un po'” “O non volevi farti trovare?” “Tutte e du cose” Fece seria senza guardarlo “Ma ora devo andare. Conosci qualcuno che mi può portare a piazza Cairoli” Lui la guardò e ora, così da vicino, gli sembrava una bambina con occhiali troppo vistosi e un bikini troppo piccolo.
UN BAMBINO PER STRADA “Vieni, ti accompagno” Disse allora lui quasi seccato di dover lasciare prima del tempo la sua spiaggia “Hai una macchina?” Chiese sorpresa “Si, una piccolina” Si alzò dalla sedia con abilità, spostando il peso prima su una stampella poi sull’altra, raccolse velocemente zaino ed ombrellone e si incamminò. Bastiano e la ragazza salirono sul lungomare dove, una diecina di metri più avanti si fermarono di fronte ad una vecchia golf. A vederla la ragazza si mise a ridere “Sembra una scatola per le scarpe con le ruote” “Se non ti piace te ne puoi andare a piedi “ “No, no, per oggi le avventure bastano” Una volta in macchina, Bastiano partì in direzione della città. La ragazza guardava con curiosità la macchina “Ma non ha i pedali?” “li ha qua sul volante” “E le marce?” “Sempre al volante” “Ma perché? le gambe non le puoi muovere?” “Non completamente” “Ma cosa ti è successo? Pigghiasti a tubercolosi?” “No, ero su un ponteggio che è crollato e le gambe si sono rotte in diversi punti, non sono riusciti a sistemarle per come erano” “O matritta bedda e hai sofferto tanto” “Abbastanza, mi avevano pianto per morto.” Arrivarono ad un semaforo dove una famiglia dell’est stava elemosinando. Un bambino con una chioma bionda spettinata e due occhi enormi di un azzurro chiaro, con una mano sporca batté sul vetro di Bastiano e quando lui si girò a guardarlo allungò la mano con il palmo verso l’alto e la faccia da meschino disperato “Nun haiu nenti” Fece Bastianu agitando l’indice ed il pollice allargati a ribadire la sua povertà. “Nun ci diri accussì” Lo rimproverò la ragazza e preso dalla sacca un enorme portafoglio lo aprì cercandovi qualche moneta, non trovandole, prese l’unico pezzo da cinque euro che abitava sconsolato  in un enorme falda del portafoglio e glielo passò “Daccillu” Disse a Bastianu allungandoglielo “È troppo” replicò lui stupito “Daccillu!!” insistette lei arrabbiata. Controvoglia l’uomo abbassò il finestrino “Teni” Disse al bambino che presa la banconota la guardò sorpreso “Come ti chiami?” Chiese la ragazza ridendo. Il bambino li guardò e disse qualcosa in un'altra lingua. Da dietro incominciarono a suonare perché il semaforo da un millesimo di secondo era diventato verde e Bastianu mise la marcia e partì. “Come ti chiami?” Chiese ancora la ragazza voltandosi sul sedile a vedere la testa bionda che ormai era già sparita dietro il fiume di macchine. “Potevi aspettare un secondo” Disse ancor più arrabbiata a Bastianu “Lui alzò le spalle.” “Non sentivi che stavano suonando e che ci sarebbero saliti addosso” Lei alzo le spalle, cercò nella borsa il suo enorme paio di occhiali neri, li mise agli occhi e a braccia conserte fissò il parabrezza con l’aria seccata, ignorandolo. Bastianu la guardò. “Quello sulla spiaggia … era il tuo fidanzato” Chiese perché lei non pensasse che avesse il cuore di pietra. “Si, uno dei tanti” Rispose lei dura “ah si e quanti ne hai?” Chiese divertito Bastianu “Troppi – fece incazzata - troppi e tutti stronzi” “Perché?” “Perché cosa” “Perché così tanti?” “Perché sono una scema, una cretina e rovino la mia vita dietro agli uomini credendo che mi vogliano bene, invece loro pensano solo a futtiri” Restò qualche secondo in silenzio e poi precisò con cattiveria “La mia vita “di merda” senza un senso o un motivo buttata via con ziti di merda senza senso e motivo, perché non c’è nessuno che può darti quello che ti manca, quello di cui hai bisogno veramente” Bastiano tornò a guardarla Vide che da dietro gli occhiali di tartaruga con filo d’oro stava scendendo una piccola lacrima e si sentì colpevole per la semplice domanda che aveva fatto, per cui pensò di dover di dire qualcosa di serio e consolatorio. “Non devi dire così, la vita è importante, quello che facciamo noi a volte è sbagliato, ma la vita non merita di essere considerata brutta o di merda. Te lo dico io che ci voleva tanto con tanto, che la perdevo”! Lei continuò a guardare davanti a se quasi ignorandolo e allora lui continuò- “Non bisogna confondere la vita con il vivere. Prima di noi ci sono stati milioni di anni in cui non esistevamo e quando moriremo, ci saranno milioni di anni in cui non ci saremo. Pi chistu a vita è un controsenso, uno scandalo in questo universo fatto solo di materia, per questo dobbiamo vivere la nostra vita nel modo migliore, nel modo che riteniamo gli dia più senso. Invece pensiamo che questo insieme di cose e di persone – e con la mano indicò le case e le macchine che li circondavano - sia la nostra vita. In più cerchiamo di vivere negli occhi degli altri, nei desideri che la moda ci obbliga ad avere, nelle relazioni che sono l’ombra di quelle che potremmo avere. Ecco, siamo solo ombre, riflessi, voglie da saziare provvisoriamente, e chiamiamo questo: Vita. Ma non è chista a manera giusta di rispettare il miracolo che è.” Lei lo guardò con aria da compatimento e ironicamente chiese “Ma chi si filosufu?” “No sono uno ca motti a tuccoi ca manu e ha sofferto i peni ill’infennu – rispose seccato – Siamo a piazza Cairoli sei arrivata, scendi” “Graaazie mille” Fece lei con un miagolio da gatta “Pregu pregu” Rispose Bastianu velocemente, pensando che parlare ai sordi non serve a niente. Appena lo sportello si chiuse, corse via, seccato di aver sprecato una giornata dietro a una zalla come quella.
NESSUNO CONOSCE VERAMENTE QUALCUNO - Verso sera, il buio aveva legato insieme il cielo, il mare e la spiaggia accogliendoli nel suo grembo oscuro. La luce delle barche sparpagliate nel buio del mare, sembravano stelle cadenti che si muovevano al rallentatore, mentre sullo stradone   sfrecciavamo macchine, motorini, pulman pieni di persone che tornavano a casa, avvolti nei loro pensieri e storditi di stanchezza. Le falene si agitavano intorno alla luce giallognola dei lampioni e cani randagi abbaiavano lontani tra i casali dei monti nascosti dall’oscurità. Nella sua cucina, Bastianu prese sei bottiglie di birra Messina e le sistemò nello zaino; vi aggiunse un vasetto di olive schiacciate, uno di finocchi selvatici sott’olio, un vasetto di pomodori secchi sott’olio, un bel pezzo di primo sale e un chilo di pane casareccio. Si prese la sedia pieghevole e se ne scese lentamente sul bagnasciuga, raggiungendo i pescatori che al mattino erano corsi in suo aiuto. Il lungo e il corto avevano aggiunto alle punte delle loro canne delle luci giallognole per vedere quando i pesci abboccavano e si muovevano in un tratto di spiaggia che, a causa della luce biancastra delle loro lampade a gas, sembrava un paesaggio lunare. La costa a causa di tutte quelle piccole luci giallastre messe sulle punte delle canne, era diventata  una piccola via lattea. “Bastianuuu – gli grido stupito di vederlo, Nino detto u Cuttu, il pescatore piccolo e tondo che era corso verso di lui con il coltellaccio in mano – voi ncuminciari a piscari puru tu?” “Vi ho portato un aperitivo, almeno se poi mi dovete difendere sarete in forza” “Ma quale difendere e difendere, nui a chiddu sabbammu.” Rispose Filippo, il pescatore alto e si misero tutti e tre a ridere. Aiutarono Bastianu a disporre il contenuto dello zaino su una barca capovolta. Per una mezzora non fecero altro che tagliare pane e parlare delle olive o dei finocchietti, dicendo ognuno la sua: se il migliore primosale era quello di Moltalbano o di Mandanici, giudicando i pomodorini e svuotando le bottiglie con lunghi sorsi come se fossero usciti in quel momento da un deserto rovente. Ad un certo puntu Bastianu chiese “Ma oggi a quei due li conoscevate?” “Bastianu, ti nciuru supra i me figghi chi oggi si du strunzu ti tuccava quantu è veru Diu, a testa ci scippava, comi si era na custaddedda” Rispose pronto u Cuttu, sfogando la rabbia che aveva ancora dentro e che sottolineò con un lungo sorso di birra. “A iddu no canuscia, avia essiri i Missina, idda era Bittina a figghia i me cumpari Gianni, u Prufissuri” Rispose Filippu. U Cuttu sorrise e sottolineò con enfasi. “A buttana” Filippo scosse la testa contrariato “Nun è na buttana” “Ma si fa lassa e pigghia chi masculi … visti chiù minchii idda chi u me urologo” “Non è na buttana” ripetè seccato Filippo, e rivolgendosi a Bastianu come ad una persona che poteva capire e giudicare continuò “A quindici anni un ragazzo della sua età l’ha messa incinta. I parenti di lui lo hanno mandato in America perché non volevano che si la sposasse. Lei il figlio se lo voleva tenere perché era una bambina e pensava che un figlio è un dono di Dio. Invece i suoi parenti le hanno fatto firmare una carta e hanno dato il bambino in adozione. Lei non lo sapeva e quando ha partorito cercava a suo figlio e invece lui chissà dove era. Quando lo ha saputo, sballoi, si strammoi e incominciò a fari cosi strani: mivia, si drugava, annava chi masculi e quannu fici diciottu anni sinni annoi da casa. Dormiva per strada dove capitava. Ora lavora in una tabaccheria dove il padrone se la fotte quando vuole. L’assistente sociali ci dissi a Gianni chi idda fa tutti sti cosi pi sfreggiu e so parenti chi ci rubbaru u figghiu, lo fa per punirli e svergognarli. Ma dentro è rimasta bambina, non ha accettato quello che è successo. Viene al mare sempre qui perché fino a quindici anni veniva qui a divertirsi, ma dai parenti qui intorno, e ne ha tanti, non ci va, non ci interessanu e pensa chi Gianni quannu parra d’idda si metti a cianciri i quantu ci voli beni” U Cuttu non replicò perché forse questa storia la sapeva già. Bastianu mise la mano nello zaino e tirò fuori una bottiglia di spumante “Pinsamu a nui” Disse distribuendo bicchieri di carta e stappandola. “A saluti” Fece riempiendo i bicchieri “A saluti” Risposero i due pescatori e bevvero tutto d’un sorso per non pensare a Bettina e al figlio negato.
L’ALBA E’ SEMPRE UNA PROMESSA - La prima cosa che Bastianu faceva quando si alzava poco prima dell’alba, era attraversare il giardino, aprire la porta e guardare il mare. Se il mare era quieto e sembrava un tappeto azzurro l’osservava incantato, come un contadino che guarda un campo di grano o un’amante che guarda la sua amata arrivare per la strada e osserva con piacere ogni suo gesto, ogni suo sorriso, pregustando la gioia del prossimo abbraccio, il calore che il corpo amato avrebbe dato al suo. Se invece il tempo era brutto e il maestrale urlava riempiendo il cielo di inquiete nuvole color cenere, mentre il mare  sibilando si arrampica scivolando lungo la spiaggia divorandola quasi a voler alzarsi, uscire dai suoi abissi ad assalire e distruggere il mondo, allora Bastiano si avvicinava e si aggrappava al guard-rail sul lato opposto del lungomare e stava li dritto a sfidare la distesa di acqua grigiastra e spumosa, così come aveva sfidato la morte ed il dolore e respirava felice il vento che lo sferzava pieno di salsedine e di furia. Allora si sentiva vivo e capace di domare la sfortuna che lo aveva reso un invalido, un diverso, un inutile. Quel giorno il mare era invece inquieto, smosso da un vento nervoso, fastidioso ed insistente mentre l’alba, lentamente perdeva i suoi colori accesi per trasformarsi in un normale mattino. Si avvicino al guardrail ed osservò la spiaggia vuota. Casualmente guardò verso destra e vide una figura nera seduta sulla panchina sotto una palma piccola e spaurita. Il suo istinto gli diceva che la conosceva, ma da li non vedeva chi era, così si avvicinò per guardarla meglio. Con sua grande sorpresa riconobbe Bettina che avvolta in uno spolverino nero e nascosta dal solito paio di occhiali neri stava fumando guardando il mare. Notò anche che stava tremando per il vento che la investiva e che non era per nulla fermato dai suoi vestiti di cotone leggero. “Buongiorno – le disse sorridendo – cosa ci fai qui alle sei del mattino” Lei lo guardò qualche secondo prima di salutarlo “Ciao … sono già le sei? – restò in silenzio qualche secondo – mi offri un caffè? ho freddo” “Vieni, da questa parte, andiamo nel mio giardino.” La precedette nel portoncino e la fece sedere sul dondolo in un angolo protetto dal vento. Entrò in casa e prese una coperta di pile molto grande che teneva pronta per quando il freddo mordeva le ossa delle gambe e la coprì per bene. Entrò in casa e preparò un caffè lungo, gli mise del latte e un cucchiaino di miele e lo portò alla ragazza. Lei strinse la tazza tra le mani, bevendolo a piccoli sorsi, ed una volta finito gli passò la tazza e disse solo “Scusa, ho sonno” E piegandosi su di un lato si coprì con la coperta e si addormentò. “Buonanotte” Disse Bastiano scuotendo la testa. L’osservò. I capelli erano in disordine e gli occhi erano circondati da un alone nero, sporchi di rimmel colato forse da lacrime. Sulle labbra aveva ancora del rossetto di un bel colore, ma erano ancora le labbra di una bambina. Pensò che lei era un po’come lui: la vita, l’aveva spezzata dentro così come a lui aveva spezzato le gambe. La guardò di nuovo. Era una bambina come aveva detto Filippo. Ma perché stava li a guardarla? Perché era sempre lì a renderla protagonista dei suoi pensieri? Il fatto era che gli piaceva, ma non per il profumo di sesso che emanava. Non sapeva neanche lui perché. Ecco si, gli piaceva perché era fragile terribilmente fragile e reagiva a questa fragilità con durezza e cattiveria. Come un soldato nel mezzo di una guerra. Anche lui era stato un soldato e la sua guerra alla fine non l’aveva vinta. Era questo quello che in lei gli faceva sangue: lottava. Era viva, infrangibile, una donna vera. Ci pensò. Da sola, pensava che non sarebbe mai andata da nessuna parte, cercava sempre bisogno di qualcuno che le riempisse il vuoto che aveva dentro. Lui aveva il mare, i viaggi, i libri. Lei si attaccava a questo e quello sperando di trovare qualcuno che potesse aiutarla a ricucire la sua vita. Doveva trovarle un paio di stampelle con cui affrontare i suoi silenzi. Incominciò a pensare. In mattinata uscì e quando rientrò Bettina era ancora li che dormiva, immersa nell’enorme coperta, con il dondolo che ondeggiava cullandola nel silenzio del giardino. Bastianu cucinò ed apparecchiò in giardino sul tavolo di lava vicino al dondolo e quando fu pronta la tavola e la pasta chiamò la ragazza Lei si alzò lentamente ed intontita si sedette a tavola. Incominciò a mangiare senza mostrare appetito “Buono, non l’avevo mai mangiato” Disse dopo la prima forchettata “Dal pescivendolo ho visto degli scampi e mi è venuta voglia di farli come le ho mangiate una volta a Livorno.” “Ma tu lavori?” “No, non più. Quando ho avuto l’incidente l’assicurazione mi ha riempito di soldi ed io li ho investiti per non dover lavorare più. Ho comprato anche questa casa e l’ho ristrutturata. Il primo piano lo affitto in estate perché non posso salire le scale, questo piano qui sotto l’ho adattato per me e mi sono impegnato a vivere.” “Ma non sei sposato?” “Avevo una zita ma dopo il primo anno di terapie ed interventi mi ha detto che non se la sentiva di fare l’infermiera a vita” “A vita è accussi – commentò lei – amore, amore ma poi quando il “piano” diventa “salita”, tutti scompaiono” “No, non è la vita, sono i rapporti del momento” “Ed io di questi ne so qualcosa” “Ieri ti sei divertita vedo che hai gli abiti da sera” “Ma quali!! Sono uscita con uno che faceva sempre il romantico, si presentava sempre con una rosa, citava sempre versi di Battiato e Neruda, siamo saliti sul promontorio qui sopra per vedere tutto lo stretto illuminato e la prima cosa che mi ha chiesto tra il cantare dei grilli ed il cielo pieno di stelle, è stato di prenderglielo in bocca” “Però, romanticone” “Io non sono una santa, anzi mia nonna mi chiama la Buttanissima. Ma avevo voglia di coccole e tenerezze, se no sarei uscita con uno dei miei amici per cui rispettarmi vuol dire mettermelo di dietro usando la crema Nivea.” “Si molti hanno questa delicata forma di rispetto” “Allora abbiamo incominciato a discutere. Io dai maschi mi so difendere e gli ho quasi cavato gli occhi. Lui tutto incazzato mi ha buttato fuori dalla macchina e se ne è andato lasciandomi li. Sono dovuta scendere dal promontorio a piedi nudi con le scarpe con i tacchi in mano. Appena vedo dove ha parcheggiato la macchina, gli taglio le ruote” “Ma non passava nessuno?” “Erano le quattro del mattino chi doveva passare? Quando sei arrivato tu ero stanca morta e congelata” “Ma non avevi paura a fare tutta quella strada da sola? “ “Io non sono mai sola. Sono una madre, una madre non è mai sola” Bastiano la guardò incerto se chiedere come mai si definiva una madre se non aveva un figlio. Decise di cambiare discorso “Nel poco tempo che ti conosco hai già litigato con un altro zito. Ma non sei stanca di questa vita di correre dietro agli uomini, stanca di tua nonna che ti chiama la Buttanissima.” “E perché? Non faccio nulla di male? Faccio come fanno gli uomini, lascio e prendo! Se sono una troia io, anche loro sono delle troie che se ne tornano dalle loro mogli come se nulla fosse mentre è successo quello che ha fatto Giuda: hanno tradito chi li ama? Cristo ha sempre avuto pietà delle buttane e le ha sempre perdonate, ma a Giuda no, non lo ha ancora perdonato, è sempre all’inferno dove ci andranno tutti gli uomini con cui sono stata….” Lui la guardò facendo una faccia scettica e lei continuò “…o tu sei uno di quelli che scrive Amore con l’A maiuscola, per cui si dovrebbe solo obbedire, subire e farsi scopare?” “Ma io l’amore non l’ho mai incontrato. Quello che si è presentato per tale, è stato l’unico osso che mi è rimasto rotto veramente. Per me puoi fare quello che vuoi finché non ti faranno del male sul serio, perché il  sangue degli uomini è quello di Caino.” Raccolse i piatti e li mise nel carello con cui dalla cucina portava le vivande. “Visto che sei la prima ospite da tanto tempo, per festeggiare ti ho preso i cannoli di don Roberto” Gli occhi di lei si spalancarono dalla contentezza “Che Buoniii: quando venivo qui ne mangiavo sempre più che potevo” “Qui ti puoi sfogare: ne ho preso una dozzina” Bettina non si fece pregare e mentre ne afferrava uno le chiese “Senti dopo devo andare in città vuoi che ti accompagno?” “Se puoi mi faresti un favore “Figurati – rispose sorridendo – lo fai tu a me il favore. Devo portare un regalo ad una persona in ospedale e da solo non ce la farei”
UN ANGELO PER STRADA -  Partirono dopo il caffè.  Salita in macchina Bettina notò nel piccolo sedile di dietro una cassetta di legno con dei limoni simili ai cedri “Ho trovato quei limoni Perrini. Sono una rarità perché sono dolcissimi. Le porto ad una mia amica a Messina. Mi fermo solo per darglieli e poi ti lascio.” Lei non gli fece neanche caso preoccupata a rispondere ai messaggi sul telefonino. Arrivarono al semaforo e si avvicinò nuovamente il bambino biondo che sorridendo allungò la mano. Questa volta Bastiano abbassò il finestrino e gli allungò un euro “Come ti chiami?” Gli chiese sorridendo “Havryil” Rispose il bambino allargando il suo sorriso “Come si chiama?” Chiese Bettina che aveva pescato nella sua borsa una caramella e si era sporta dalla parte di Bastiano per dargliela. “Havryil, è un nome ucraino, vuol dire Gabriele “Che bel nome. Ciao Gabriele, ciao” Fece la ragazza mentre la macchina ripartiva. “Come sapevi che è un nome ucraino” “Ho lavorato da quelle parti, nella raffineria di Odessa.” “Allora hai girato il mondo e avrai guadagnato un sacco soldi” “E ne ho speso altrettanti per curarmi” “Bhe almeno hai visto il mondo. Io più che le baracche di Messina non ho visto” Concluse sconsolata Vi fu silenzio per qualche minuto. “Hai detto prima che una madre non è mai sola. Ma tu hai qualche figlio?” “Scherzavo” Tagliò corto restando in silenzio “No, non scherzavo – concluse dopo un minuto - è che sono una madre senza figli. Ho avuto un aborto tempo fa” Si mise subito a guardare il cellulare per dire che l’argomento era chiuso. Lui l’osservò sott’occhi. “Io volevo tanti figli, perché a casa mia eravamo in tanti. C’era tanto casino e ci divertivamo un sacco. Ma poi è andata così. Ora non saprei come fare a gestire un figlio” Restò un minuto in silenzio perché si era accorto che stava sbagliando strada “Quest’inverno vado a Parigi. Sai quando ero in ospedale pensavo ai viaggi che avrei voluto fare perché ormai non potevo più cambiare il passato, ma potevo creare un futuro diverso” “Per farlo ci vogliono i soldi” “No, bisogna volerlo. Mi avevano detto che potevo camminare solo con la carrozzella. Invece l’anno scorso sono andato da solo a Madrid, quest’anno vado a Parigi, il prossimo anno voglio andare in Norvegia. Io ho imparato questo: soffrire è la benzina delle tue passioni. Ho sofferto tanto che non ho più paura di farmi male, non ho più paura di sbagliare. È come quando il fabbro martella il ferro caldo e tutte le impurezze, le debolezze del metallo vengono fuori e saltano via e resta solo il metallo duro e temprato. È questa consapevolezza che mi da la forza di fare cose che il mio fisico non giustifica. “ Vide l’ingresso dell’ospedale ed entrò di volata salutando la guardia.
UN VERO DOTTORE CURA ANCHE L’ANIMA - Invece di dirigersi verso il parcheggio, andò verso la parte posteriore dell’edificio parcheggiando dove si mettevano i furgoni che raccoglievano le lenzuola sporche. “Per favore prendi la cassetta e vienimi dietro” la ragazza sbuffando prese i Perrini e lo seguì. Sembrava che Bastianu conoscesse tutti i meandri dell’ospedale e la guidò attraverso corridoi e stanze vuote o colme di scrivanie e letti rotti. Arrivò ad un ascensore, e con un coltellino girò la chiave della pulsantiera chiamando l’ascensore. Salirono ad uno dei piani alti arrivando in un corridoio di servizio su cui si affacciavano diverse porte Bastianu si avventurò con prudenza fino ad una porta che dava sulle stanze del ricovero. Affacciò la testa guardando a destra e a sinistra. Vide una dottoressa che parlava con una donna in attesa. Alzo una mano e chiamò “Franca…” La donna si voltò e vedendolo fece una faccia sorpresa e felice. Gli andò incontro con le braccia allargate mentre si nascondevano nel corridoio dell’ascensore. “Bastiano, questa si che è una bella sorpresa.” Lo abbracciò baciandolo “Come stai gioia mia, è tanto che non ti fai vedere, e questa bella ragazza? Non l’hai portata per farmi ingelosire?” “Mi ha aiutato a portarti un regalo” E mostrò la cassetta con i limoni “I Perrini, che buoni… grazie era tantissimo che non ne vedevo. Mi è già venuta l’acquolina in bocca” “Franca lavora qui in ginecologia e gravidanza, è l’ostetrica più brava di Messina, ha fatto nascere non so quanti bambini.” Spiegò a Bettina e si girò subito verso l’ostetrica “Lei è Bettina, le piacciono molto i bambini. Perché non gliene fai vedere qualcuno?” “Non so se si può, ma aspetta, vieni, mettiti questo camice e seguimi. Bastiano aspettaci qui non passeresti inosservato “ La fece uscire nel grande corridoio e da li, tramite una porticina, entrarono in un piccolo corridoio laterale con una parete in vetro. “Guarda, questi sono gli ultimi nati. Quello laggiù è nato ieri pesa quasi quattro chili: un gigante! Quella li è nata questa mattina con un cesareo: aveva il cordone ombelicale intorno al collo.” Bettina guardava come se fosse di fronte ad una vetrina di gioielli e dovesse sceglierne uno. Non batteva neanche le palpebre tanto i suoi occhi erano impegnati ad osservare ogni dettaglio dei bambini. Le smorfie della bocca, le dita ringrinzite che si agitavano, i colli esili e le teste grosse, gli occhi chiusi e i capelli fini e sparsi, i nasini appena pronunciati e le orecchie piccole. I suoi occhi osservavano tutto e la sua bocca, ferma in un sorriso estatico, sembrava che neanche respirasse. Un bambino incominciò a strillare diventando rosso e allargando la bocca a dismisura. Un’infermiera lo prese in braccio e gli guardò il pannolino. Franca le fece cenno di avvicinarsi e lei lo portò vicino alla vetrata proprio davanti a Bettina pensandola una parente. Il piccolo si rasserenò e tornò a dormire. “Questo poverino è il più sfortunato. Sua mamma ha una situazione particolare e verrà dato in adozione” Bettina la guardò poi si voltò verso il bambino e l’osservò con maggiore attenzione, quasi attaccandosi al vetro. Un altro bambino incominciò a piangere e l’infermiera andò a vedere cosa avesse, ma Bettina restò lì a guardare il bambino messo nella culla. “Dobbiamo andare” Le disse Franca toccandole una spalla Lei si girò a guardarla come se la vedesse per la prima volta, poi lentamente si staccò dal vetro e la seguì da Bastiano. Ma restò come assorta nei suoi pensieri e mentre Bastiano salutava l’amica lei si mise di fronte all’ascensore dando loro le spalle. Quando Bastiano la raggiunse vide che stava piangendo.
OGNI TANTO, E’ INEVITABILE FARE GLI STRONZI - L’ascensore si aprì e lei entrò dando le spalle alla porta. Non si voltò ma disse rabbiosa “Si nu strunzu. Nu ranissimu figghiu i buttana. U sai chi i carusi mi fannu cianciri.” “Si sono stato stronzo, ma a volte dobbiamo esserlo. Sono stato il martello che batte il ferro per fargli uscire quella superficialità e irresponsabilità che ti porta a vivere la tua vita alla cieca, sentendoti come di doverti punire o punire tutto il mondo” Arrivarono nei sotterranei e lei usci velocemente, con la testa bassa, le braccia conserte e il passo veloce. Bastianu continuò “Quando conoscerai meglio Franca lei ti dirà che i ragazzi adottati cercano sempre i genitori biologici per capire perché li hanno lasciati, per capire chi sono. E quando tuo figlio ti verrà a cercare e ti chiederà chi sei, cosa hai fatto, cosa gli risponderai? Che hai sucato le minchie di tutta la costa ionica per punire te stessa e la tua famiglia?” Lei si girò nell’androne dove erano, pieno di scrivanie rotte, poltrone sfondate le mura sbrecciate piene di polvere e ragnatele e spazzatura sparsa ovunque e che sembrava essere la rappresentazione dell’anima sua “E allura ? sunnu cazzi mei! Gli dirò quello che gli dovrò dire! Che nessuno mi ha rispettato che nessuno merita di essere considerato. Ma a tia chi  minchia tinni futti? Cu si tu? Me patri? No e allura picchì mi rumpi puru tu i paddi” “Picchi jo era comi a tia. Come a te, vedevo solo il passato che non esiste più. Esiste solo il dolore che ci ha lasciato e se vuoi continuate a vivere, devi tornare a soffrire per cambiarlo.” Lei si voltò inviperita e tornò a dirigersi verso la macchina a passo veloce mentre lui la seguiva affannato con la sua andatura altalenante. “Echi aviria affari? Mio figlio l’ho perso e se come dici tu mi giudicherà capirà il male che mi banno fatto, non ho potuto avere lui, non potrò averne altri, sugnu n’abbiru siccu, n’acqua motta.” “Non è vero è per questo che ti ho portato qua, fra sei mesi c’è il bando per la scuola di ostetrica, se lo chiediamo a Franca, lei ti aiuterà a superarlo, starai sempre in mezzo ai bambini, non ne avrai uno, ma cento, mille, avrai uno scopo, vivrai quello che ami di più: l’amore, l’innocenza che hai perso. Pensaci. Sarà l’ultimo treno che potrai prendere per arrivare a quella serenità che altrimenti non avrai mai” Si fermò e si voltò a guardarlo come a pesare le sue parole, poi velenosamente gli gridò “Strunzati nun dici autru chi strunzati.” Si girò e se ne andò a passo veloce superando la sua macchina senza fermarsi. Lui gli gridò “Vai vai, tanto tu non sarai mai in pace con nessuno, ne con me, ne con i tuoi ziti della minchia, e mai, e ripeto mai, con te stessa” Poi sottovoce aggiunse “Picchì si na strunza” Scosse la testa e salì in macchina. Era incazzatissimo e durante il ritorno a casa non fece altro che dirsi che doveva farsi i cazzi suoi, perché se a quella piaceva fare a sucaminchia, doveva lasciarla fare! Arrivato a casa quando era già buio prese un bottiglione di limoncello da due litri e se ne andò in spiaggia a berlo con Filippo e u Cuttu.
LE MURA DI UNA STANZA DURANTE UN TEMPORALE -Per quattro giorni Bastianu non fece altro che andare in palestra, non tanto per bisogno di esercitarsi  ma solo per sfogare la sua rabbia sollevando pesi e sforzando i muscoli ricuciti delle gambe. Il quinto giorno quando tornò da aver fatto la spesa, mentre sistemava la frutta comprata, notò dalla finestra della cucina, che nel giardino c’era qualcuno sul dondolo. Lasciava sempre la porta del giardino aperta, così che i suoi vicini potevano prendersi qualche limone o le erbe aromatiche che teneva nel giardino, però nessuno si sedeva sul dondolo, così incuriosito uscì a vedere. Trovò Bettina sdraiata sul dondolo con il telefono in mano e con accanto due trolley e un sacco della spazzatura pieno di vestiti. La guardò sorpreso e rassegnato. “E ora, chi succidiu?” Lei lo vide e sorrise “Mi hanno buttato fuori di casa” Bastianu fece una faccia sconsolata e rassegnata “Manciasti?” Le chiese “Non ho fatto neanche colazione” “Vieni che cucino i broccoli” “Non mi piacciono i broccoli” “Ti arrangi: questo c’è” Rispose Bastiano seccato Entrarono in cucina e lui si mise a cucinare. Lei si sedette e vedendo un pane fresco ne staccò un pezzo incominciando a mangiare. “Allora, raccontami daccapo: cosa è successo.” “E’ che ci ho pensato. Ho pensato che forse quello che avevi detto poteva avere anche un senso e il giorno dopo sono andata di nuovo a parlare con Franca. Le ho chiesto se quello che avevi detto tu fosse possibile, se veramente potevo diventare ostetrica e far crescere tanti batuffoli rosei. Lei ha detto che se glielo avessi chiesto tu, ti avrebbe risposto di si che era possibile, perché tu hai una forza di volontà e determinazione incredibile. Se ho anch’io la stessa forza, potrebbe essere possibile, ha risposto. Mi ha fatto andare il giorno dopo come assistente volontaria per vedere se il lavoro mi sarebbe piaciuto.” “E ti è piaciuto?” “C’erano bambini bellissimi, guarda ho fatto le foto. Guarda questo che occhioni che ha” Fece mostrandogli il telefonino e guardando estasiata le foto “Poi è arrivata una famiglia di quelle particolari che hanno più parenti in galera che al camposanto e volevano vedere a tutti i costi un bambino. Hanno aggredito la caposala e sarebbe finita male. Allora mi sono messa di mezzo io e li ho spediti tutti fuori. Franca mi ha detto subito che mi avrebbe aiutato perché aveva bisogno di qualcuno che sapesse gestire le famiglie particolari. Mi ha fatto iscrivere a un’associazione di volontari, così che posso stare li in ospedale, aiutarli e imparare le cose più pratiche. Poi mi ha dato dei libri dicendomi di farmi aiutare da Simone, uno che ha appena superato il concorso.” “Ho capito, già immagino come ti aiuterà questo Simone! E’ anche lui romantico e rispettoso” “Che dici, Simone è ghei, non sai come lo prendono per il culo i dottori! Sono degli stronzi. Lui è un bravo ragazzo e gli piacciono i bambini come a me. Al mattino sono in corsia, al pomeriggio studio con lui. “Allora tutto a posto” “No, perché dove lavoravo prima, in tabaccheria, non potevo più andare e mi hanno licenziato. Siccome il padrone era anche il proprietario della casa dove stavo, mi ha mandato via. Allora mi sono ricordata che tu hai l’appartamento di sopra vuoto e magari io posso starci per un po' di tempo” “Studiando e senza fare cazzate?” “Senza fare cazzate!: giuro su mio figlio. Bastiano, io quel lavoro lo voglio! Quando sono in mezzo ai bambini non penso a tutto quello che è successo e mi sento non dico felice, ma almeno serena. Ti prego. “ Lui si voltò a guardarla, e lei continuò “Non puoi farmi la predica e poi tirarti indietro nel momento che voglio fare quello che mi dici” A quel punto lui si arrese “Va bhe, facciamo la prova: se fai una stronzata o se Franca si lamenta di te, ti butto fuori.” La vita di Bastianu cambiò improvvisamente. Al mattino lei passava da casa sua per un caffè e quindi correva a prendere la corriera per andare in ospedale. Il pomeriggio Bastianu leggeva libri di biologia o di medicina perché la sera lei tornava e mentre pranzavano Bettina, con il libro davanti gli faceva domande a cui lui all’inizio non sapeva rispondere. Sul tardi lei se ne andava a dormire al primo piano e lui la sentiva buttarsi sul letto e li restare immobile stanca e senza forze. Il giorno dopo era la stessa cosa e così il giorno dopo ancora. Quando arrivavano sabato e domenica, Bastianu non voleva sentire ragione e se ne andava in spiaggia. Bettina lo raggiungeva più tardi si metteva all’ombra e leggeva gli appunti chiedendogli spesso il significato di una parola o di una frase. Quando passò un suo cugino e sorpreso di vederla la salutò, lei non alzò neanche gli occhi dal libro e disse tutto di un fiato “Ciao, sto studiando per fare l’ostetrica, Bastiano mi ha dato in affitto la casa al primo piano, nun futtemu e nun semu ziti, di alla nonna che la saluto e che gli voglio bene e a tutti gli altri di non rompermi chiddi chi nun aiu.” Il risultato fu che il giorno dopo, e regolarmente tutti gli altri giorni successivi, al mattino qualcuno bussava alla porta di Bastianu e quando lui apriva si trovava di fronte uno dei tanti cugini più piccoli di Bettina che ripeteva cantilenando la solita frase “Me nonna Bettina ci manna stu paccu a me cugina a dottoressa e ci manna a diri chi ci voli beni, mi studia e mi fa cosi boni” Il pacco conteneva ora zucchine fresche, ora patate, uova, un pollo o un capretto a pezzi. Bettina quando lui glielo raccontò commento solo “Lo vedi, ora da Buttanissima sono diventata Dottoressa. La nonna mi ha perdonato” Bastiano capì che lei vedeva questa salita nella scala dei valori della nonna come una mezza vittoria. Purtroppo però, la vita non è mai in discesa. Una sera, una di quelle sere quando il vento gonfiava il mare e piegava gli alberi, mentre una pioggia intensa e fredda schiaffeggiava i tetti delle case e le strade nere e viscide, Bettina tornò con una faccia scura e cupa. Bastianu le mise davanti un piatto di linguine con le cozze che avrebbe resuscitato un morto. Ma lei con la forchetta allargò la pasta nel piatto e non ne assaggiò un filo “Chi succidiu?” Chiese Bastianu stupito dall’assenza di appetito “Oggi Simone mi ha fatto fare una prova con le domande del bando” “Eh allora? “ “le ho sbagliate tutte. Simone si è incazzato. Dice che studio tutto a memoria senza voler capire. Si è proprio incazzato” “Va bhè era la prima volta….” “Si ma le ho sbagliate tutte. Sono andata nel panico e non ho capito più niente “ “Ecco vedi, c’è un motivo, la prossima volta…” “Non ci sarà una prossima volta, sono un incapace, chi voglio illudere? Scecca ero a scuola scecca sugnu, nun si cava acqua i na petra” Si alzò e se ne salì in silenzio a casa sua. Lui lasciò cadere la forchetta nel piatto e la guardò. Poi si alzo, prese una bottiglia di fuoco dell’Etna, quello che aveva novanta gradi, e se ne versò un buon bicchiere, uscendo nel giardino e sedendosi sul dondolo. Lo bevve a piccoli sorsi osservando la finestra illuminata della camera da letto di lei. Dopo un ora che era seduto sul dondolo, la finestra diventò buia e lui, finendo il liquore d’un fiato se ne andò a dormire, senza neanche sparecchiare la tavola. Era in un dormi veglia oscuro ed inquieto, dove si sentiva sveglio ma vedeva strane persone con la testa da scarafaggio mentre camminava su un’impalcatura fitta di tubi da dove, dai livelli più alti, gocciolava sangue. Qualcuno bussò alla porta. Cercò sull’impalcatura la porta poi alla fine capì che era quella di casa, così si svegliò, si alzò ed andò ad aprire. Era Bettina, avvolta in una coperta che senza dire una parola entrò ed andò dritta in camera da letto dove lui la trovò nel letto, in posizione fetale nascosta sotto lenzuola e coperte. “Allura?” Chiese Bastianu “Non riesco a dormire … il vento … il vento è lo stesso di quando ho partorito … porta disgrazie … ho paura. Stringimi per favore … stringimi.” Lui tirò un sospiro e lentamente con le stampelle, passò dall’altro lato del letto e si sedette. Con le mani alzò le gambe mettendole sotto le lenzuola. Spense la luce e lentamente si avvicinò a lei, stringendola a se. Incominciò a carezzarle i capelli “Quando ero in ospedale ad un certo punto volevo lasciar perdere. Dissi al fisioterapista che non ce la facevo più, di lasciarmi stare. Mi sarei rassegnato a camminare sulla carrozzella. “hai ragione” mi disse. “È più facile cosi. Ma renditi conto che se vuoi prendere la vita solo in discesa, resterai un handicappato. Un menomato. Ma non perché andrai sulla sedia a rotelle. No, chi va sulle sedie a rotelle ha una sua dignità. No. Sarai un handicappato perché avrai rinunciato ai tuoi sogni, a tutto quello che su questo letto hai sperato, desiderato, immaginato. Perché il vero handicappato è chi ha rinunciato, chi ha posto davanti ai suoi sogni, a quello che ha sempre desiderato, la comodità, la sua paura di soffrire, il suo rassegnarsi per piegarsi come tutti al vento che soffia. A volte ha più senso spezzarsi nel tentativo, che piegarsi e allinearsi a quello che tutti gli altri immaginano debba essere il senso della vita di ognuno. Se non hai il coraggio di ribellarti al tuo destino allora sei giustificato, sei uno dei tanti, qualcuno che non ha dato a se stesso il posto che meritava.” Io allora pensai al mio dolore. Lo immaginai brillante e tagliente come bicchiere di cristallo, immaginai di prenderlo in mano e di buttarlo per terra rompendolo in mille pezzi. Da allora non ho più sentito dolore, o meglio lo sento, ma non lo ascolto, non lo considero, non gli do modo di decidere per me.   Tu non sei diversa. Per anni hai avuto solo rabbia, ora hai modo di usare la tua rabbia per costruire qualcosa. Non sarai più la madre di un figlio perduto ma la madre di mille piccoli neonati, ognuno dei quali avrà un pezzo d’amore che a lui non hai potuto dare. E se ci pensi, non è una consolazione, non è un modo per cancellare quanto è successo. Havryil ti ha chiesto di dargli qualcosa e tu gliela hai data, ma loro non possono chiedere, dovranno fare affidamento solo sul tuo amore, sul tuo bisogno di amarli. Oggi è stato solo un incidente di percorso, un segnale che devi dare di più, che devi soffrire di più per raggiungere quello che desideri, perché la sofferenza è il metro con cui si misura la felicità. Noi due siamo uguali: non ci importa di soffrire pur di raggiungere quello che riteniamo sia un diritto della nostra vita.” Lei non rispose e lui pensò che dormisse. Cercò di levare la mano con cui le circondava i fianchi e la pancia, ma lei mugolò qualcosa e con le sue braccia strinse il suo braccio, perché lui non la lasciasse. Nel buio che li avvolgeva come una fredda coperta, pensò che non sarebbe riuscito a dormire in quella posizione scomoda, con tutti quei capelli che lo solleticavano. Sentì la pioggia battere contro i vetri delle finestra e il vento che le aveva portato via il figlio premere contro le mura ella stanza, ma lui le disse in cuor suo, che quel vento maligno non sarebbe passato, non l’avrebbe raggiunta. Lui l’avrebbe protetta. Pensando questo, dopo pochi secondi, si addormentò.
DOMANI…- Aveva sentito la sua sveglia suonare ma si ricordò che era sabato e lei non doveva andate all’ospedale, così si lascio sprofondare nel sonno, rifiutandosi di aprire gli occhi. Passò del tempo di cui non ebbe coscienza, finché sentì che qualcosa lo stava accarezzando. Senti un sussurro, una voce sottile, come lo sciacquio delle onde sul bagnasciuga. “Bastià – faceva – Bastià, rusbigghiti” Aprì gli occhi, ma era buio e vedeva poco e niente. “Bastià, rusbigghiti” Si ricordo che si era addormentato con lei e che forse lo chiamava perché aveva portato il caffè. Aprì di più gli occhi e vide i suoi, due stelle nere luminose, e la sua bocca, rossa, piccola, desiderabile come una ciliegia di maggio, velenosa, come il fiore rosa dell’oleandro. “Chi c’è ?” Chiese la sua bocca a quella di lei “Bastià, ho voglia” Le  rispose quella bocca che era l’unica luce che vedeva “Voglia di chi?” “Ho voglia” E la mano di lei gli disse di che cosa, toccandolo dove ancora dormiva Lui la guardò stupito “Ma …” Cercò di obiettare la sua bocca perché gli sembrava strano quella voglia di che poteva essere suo padre, un padre malmesso e debole. Forse doveva discuterne, ma la bocca di lei gli bloccò il ragionamento, glielo divorò, e la sua lingua, glielo porto via ogni obiezione, come il vento caldo d’agosto ruba i fiori ai gelsomini. E le restituì il bacio, con la stessa intensità perché ora aveva sete di lei, voleva conoscerla in ogni sua parte e la sdraiò sulla schiena e la baciò sul collo e nell’incavo delle spalle stringendole il seno, spremendolo per fargli uscire il succo profumato del piacere. Lei si muoveva cercandolo con il grembo e quando si trovarono e lui incominciava ad amarla lei gli prese una mano e la portò a stringerle il collo “Picchiami, chiamami troia – disse e dentro se pensò – chiamami troia, fammi sentire il nulla che sono, godi della mia umiliazione, fammi sentire un animale, una cosa giustificata solo dal tuo piacere” lui la guardò stupito “Finiscila i giucare” le disse levando la sua mano dal collo e baciandola dove le sue dita avevano lasciato un segno rosso” “Finiscila i giucari – ripeté l’anima di lui – non sono uno dei tanti, non sei per me una qualunque, sei l’innocenza che ho perso, la sofferenza che ho vissuto, il dolore che fino ad oggi mi ha nutrito, il piacere che mi dai, il desiderio che sazi, il domani che rappresenti” “Finiscila di giocare, - ripeté lei dentro di se – vuol dire che quello che dava piacere a quei porci dei miei ziti, non ha più senso, è un gioco per bambini, una ridicola farsa, che non ha motivo o senso e  che con me vuole fare qualcosa di vero, di importante perché e questo quello che io sono per lui, perché lui, contrariamente a tutte quelle inutili ombre, a quei pupi senza anima e cuore che ho conosciuto, lui mi ama, mi vuole per come sono, mi chiede di essere quello che sono.” Allora lo strinse con le braccia e le sue gambe si attorcigliarono alle sue malate e piene di cicatrici, alla sua debolezza, così che la loro pelle fosse una unica cosa, come la loro saliva, il battito dei loro cuori e la loro carne, ed infine salì su di lui perché voleva dargli in dono tutto quello che i suoi amanti le avevano insegnato e si mise a danzare, a ondeggiare a oscillare su di lui come la fiamma di un falò che nella notte brucia le cui fiamme si innalzano al cielo muovendosi come lei faceva sul suo corpo con cui era una unica carne.  Lei lo sentiva come il vento che quel fuoco accarezzava, alimentava, ingrandiva e la seguiva nel suo bruciare, finche le loro anime esplosero, annullandosi nella cenere che erano diventate, morendo l’uno nell’altra, sfinendosi esausti e sazi, dissolvendosi nei loro corpi come fa una candida nuvola nell’azzurro intenso del cielo. Vi fu un lungo silenzio, per farli rinascere e rivivere “Ti è piaciuto? Sono stata brava?” “Si” Rispose brevemente “Perché noi mi hai chiamato troia quando te lo chiedevo” “Perché non lo sei” “Per gli altri lo sono. Non ti piaceva?” “A te piaceva?” “A me … una volta si … mi intrigava dentro  … mi faceva godere di più. Ora non so, ora è tutto diverso” Si fermò disorientata come se stesse dicendo troppo “Ma io non sono così” aggiunse velocemente impaurita dall’aver mostrato qualcosa di brutto, di aver detto per sbaglio qualcosa di intimamente suo e vergognandosi di pensare questo perché sentiva che lui, a differenza di tutti gli altri, quel suo mostrarsi per com’era, in fondo lo meritava. Continuò quasi dicendolo a se stessa – Non sono una troia; è  solo un gioco come hai detto tu non penserai  …” “Non penso nulla. – le diede un bacio sulla fronte – Per me non hai un passato. Sei solo Bettina. Quello che dicono o vedono in te gli altri non mi interessa, perché io so di te quello che gli altri non vedono e che non sapranno mai.” L’osservò stupita, poi girò lentamente lo sguardo nella penombra della stanza quasi spaventata dalla verità che le aveva detto, infine tornò a guardarlo “Tu sei … forte. Riesci a portare su di te tuti i miei sbagli” “Dici? Quando qualcuno ci piace accettiamo tutto quello che è, anche quello che non avrebbe senso” E sorrise Lei ci pensò per quasi un minuto, poi decise di uscire allo scoperto “Questo lo chiamano amore” “Non lo so come lo chiamano. So che adesso è cosi. Deve essere così. Domani magari, invece di accettare tutto, odierò tutto” Lei lo guardò negli occhi e lui continuò “E questo dipenderà da te, da me, da noi” Lei sorrise e il suo sorriso illuminò la penombra “Hai detto … Noi. Vuol dire … che siamo una sola cosa, vuol dire che mi vuoi bene” “Può essere, ma stare insieme una notte non è amore. È solo un inizio” “Io di inizi ne ho avuti tanti, troppi.” Commentò amara, appoggiando la testa sul suo petto. Lui mise le mani tra i suoi capelli accarezzandole la testa “Non ha importanza quanti sono stati gli inizi. Dai senso ad una frase a seconda di dove metti il punto. Se lo metti troppo presto o troppo tardi la frase non ha senso.” “E se non lo metto?” “Vuol dire che quella frase diventa la tua vita” Sorrise ancora e si strinse a lui. Vi fu un silenzio che per i loro pensieri fu come la primavera per i fiori “Ti piace la pasta con la mollica?” “Ti vuoi mettere a cucinare?  Da quando ti conosco non hai toccato una padella neanche per sbaglio” “Voglio fare per te qualcosa che non ho mai fatto per gli altri. La pasta con la mollica mi riesce bene. È l’unica cosa che so fare” “E per ostetricia?” “È stata la prima prova, non vuol dire niente. Non ho più paura, ci riuscirò. Con te accanto ci riuscirò, avrò mille piccoli neonati da far nascere, ognuno avrà il sorriso di mio figlio e quando lui mi cercherà gli dirò che ha mille, diecimila fratelli, tutti figli miei” Si strinse ancora a lui, con la testa sul suo petto chiuse gli occhi e continuò “Sai qual è la parola più bella dopo amore” “Scopare?” Fece lui ridendo “No, scemo, è “domani”! Domani tu sarai ancora qui, domani faremo all’amore, domani farò un nuovo test, domani vincerò il bando, domani sarò ostetrica, farò nascere tanti batufoli rosa, domani vedrò mio figlio …. Domani È una parola bellissima, che adesso per me ha un senso. Una parola dove ci siamo tutti e due.”
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libriaco · 4 months
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Pale
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[…] Pale. Pale. Pale. Pale. Pale. Pale. Pale. […]
Versi tratti da Sacred Emily di Gertrude Stein.
Cannibalizzando un brano de La struttura assente di Umberto Eco:
Un uso indubbiamente inconsueto del codice. Il messaggio appare ambiguo proprio per un eccesso di ridondanza a livello dell’impiego dei significanti; e l’uso della ridondanza è cosi spinto da generare tensione informativa;
il messaggio appare ridondante anche a livello dei significati denotati; nessuna affermazione può essere meno equivocabile, il principio di identità è cosi provocatoriamente ribadito da diventare ambiguo, da ingenerare sospetto (domanda: in ciascuna delle sue apparizioni, il significante ha sempre lo stesso significato?);
scatta una informazione a livello dei lessici definizionali (scientifici e filosofici); la novità del procedimento ci impedisce quasi di riconoscere il significato denotato;
scatta una informazione a livello dei lessici allegorici e mistici: sistemi di attese retoriche in base ai quali “Pale ” connota abitualmente vari significati simbolici, che qui vengono suggeriti ed elusi al tempo stesso;
scatta una informazione a livello dei lessici stilistici e cioè di sistemi di attese stabilitisi quasi come norma in conseguenza di abitudini stilistiche acquisite nel corso di altre letture poetiche (siamo portati ad attenderci usi metaforici del termine “pale”, affermazioni emotive sulla parola "pale", ecc.).
Anche una semplice ispezione di questo tipo ci mostra come informazione e ridondanza si stabiliscono a livelli diversi interagendo tra di loro.
Infine, una mia (libera!) traduzione:
Chiara. Pallida. Smorta. Esangue. Scialba. Slavata. Triste.
G. Stein, da Sacred Emily, 1913. Online QUI.
U. Eco, La struttura assente [1968], Milano, Bompiani, 1980
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