Tumgik
#non so più cosa son
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reminding the world of this MASTERPIECE:
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mccek · 4 months
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Lettera aperta a tutti quelli che che mi hanno conosciuto. 
Passano gli anni ma mi rendo conto che chi sta meglio di me in realtà sta peggio. 
Persone che ho sempre voluto vedere felici, che mai avevo visto nemmeno di persona, hanno cercato di usarmi pensando fossi ingenuo, ma la bontà non è sinonimo di ingenuità, di debolezza, io ho aperto le porte a chiunque, perché dentro non smetterò mai di abbandonare quel bambino che sono stato, che condivideva anche i sorrisi che non aveva per sé stesso, ma che non avrebbe passato la notte se avesse saputo che il suo “amichetto/a” il giorno dopo avesse avuto il broncio. 
Perché siete “cresciuti” dando spazio all’odio? 
Perché anziché promettere ad altri non promettete a voi stessi di ritrovarvi? 
Di guardarvi dentro una volta tanto, e affondare nel male che avete condiviso con me, anziché condividere quella parte di “esseri umani” che era ancora insita in voi? 
Se foste stati di parola, come a quegli anni, non mi avreste mai abbandonato, così dicevate. 
Vedere lasciare soffrire una persona non rientrerà mai nei mei pensieri, anche se fosse qualcuno che, come successo fino all’altro ieri, ha fatto di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote, no, perché so che anche il peggiore ha dentro qualcosa di positivo da condividere con chi gli sta accanto, solo che non lo sa, ma anche se fosse, non ci proverebbe minimamente a mostrarlo, l’egoismo è letale. 
Parto sempre dal presupposto che non ho lezioni da dare a nessuno, sono anni che passo muto ad osservarvi, non ho mai commentato una virgola, chi sarei per farlo? 
È proprio per questo, che ho preso in mano una penna e ho iniziato a sfogare tutto ciò che avevo dentro, quello che avrei voluto dirvi, ma sarebbero stati guai a raccontarvi quello che provavo, perché un consiglio oggi è visto come una condanna. 
Eppure vi ho sempre lasciato sfogare con me, vi ho sempre ascoltato, anche quando ne avevo le palle piene, avevo i problemi a casa con mia mamma e la sua maledetta malattia, io per anni non sono esistito per voi, ma non me ne vergogno, ho ammesso anche io i miei sbagli, ho chiesto scusa, anche quando non non mi andava di farlo, e soprattutto quando non c’era motivo per scusarmi, ma pensavo: “Magari domani sanno che potranno sfogarsi nuovamente con me, si sentiranno più liberi dal peso che questa società ci scaglia addosso”.
Quanto male mi son fatto!
Ma rifarei di nuovo tutto, vi verrei di nuovo incontro, vi vorrei vedere sorridere solo a sentirmi parlare, vi vorrei tutti più uniti, come da piccoli ricordate? 
Non c’era bimbo/a che stesse solo. 
Perché qualcuno andava a recuperarlo, anche a costo di restarci solo assieme. 
Ma abbiamo dimenticato, come si dimentica la storia, stessa identica cosa. 
Di voi ricordo ciò che dicevate tutti: “Mattia non cambiare non diventare come gli altri, hai qualcosa in più che non riuscirò mai a spiegarti”, questa frase me la ricordo ogni mattina quando mi sveglio, da quanti anni ormai? Troppi. 
Permettetemi una domanda? 
Perché voi siete cambiati? 
Per piacere a gente che poi vi ha fatto lo stesso gioco che avete fatto con me? 
Perché farsi del male da soli? 
Perché arrivare a non guardarsi più in faccia? 
E poi c’è ancora qualcuno che pensa di cambiare il mondo? 
Sì, uno ce n’era, il sottoscritto, ma non voleva cambiare il mondo, solamente la sua generazione, il mio sogno più grande, che continuerò anche se con molto sconforto, a portare avanti, “UNO CONTRO TUTTI”, chissà se ora qualcuno, capirà/collegherà tante mie frasi passate a cosa fossero collegate. 
Siete riusciti a darmi contro per una canzone su ciò che ho vissuto sulla mia pelle, e sono stato zitto, scendeva una lacrima, ma stavo zitto, so che qualcuno ancora l’ascolta e sappiate che vi leggo spesso nei commenti, e mi fa sorridere il fatto proprio da chi mi “odiava” ingiustificatamente alla fine è finito a farmi i complimenti, ma no, io non voglio queste cose, voglio solo capire perché un giorno disprezzate e l’altro apprezzate una persona come nulla fosse, ma non sapreste spiegarmelo, ne sarei sicuro. 
Io ho tanti di quei testi scritti negli ultimi anni, che spesso mi faccio paura da solo, non mi rendo conto di quanti ne scrivo, di quante cose il cuore comunica alla mano che spesso trema, come non volesse accettare quelle cose, ma deve, dobbiamo, accettare tutto in questa vita, ma io in primis non vorrei mai. 
Come non ho mai accettato le malattie di mia madre, la morte degli unici amici che avevo fin da quando ero adolescente, che sono gli angeli in terra che hanno evitato quel pensiero maledetto che avevo di togliermi la vita…ma qui mi fermo, perché ognuno di noi non accetta il passato, quindi si blocca, respira, e sa, che se continuasse a pensare a tutto ciò, prima o poi sarebbe lui stesso ad andarsene. 
Purtroppo la rabbia generata dalla mia generazione, da chi è passato per la mia anima, e dai quali ho voluto assorbire, pur di evitare di vedervi soffrire ancor di più, mi ha ucciso dentro.
Voi tutti qui, fuori da qui, avete visto Me per quel poco che mi è rimasto da far vedere esteriormente, con un maledetto sorriso che non farò mai mancare a nessuno, gentili o meno che siate con me; quelle poche volte che stavo al centro estivo le animatrici mi dicevano che un mio sorriso giornaliero, era la carica per tutti i ragazzi dello staff, e chi sono io per tenere musi?
Dentro non esisto più, da anni, ma sto cercando di recuperarmi, pezzo per pezzo, forse non mi basterà il resto della vita, ma voglio ritrovarmi anch’io. 
Il “numero uno” non esiste, qui dietro al mio essere, c’è solo tanta fragilità, tanta voglia di donare amore, un po’ di spensieratezza, anche se momentanea, di rialzare chi è a terra e spronarlo a rigenerarsi, assieme, mai da soli. 
Questa società c’ha fatto sbranare fra di noi, fatto credere che uno potesse essere meglio dell’altro, che potesse avere tutti ai suoi piedi, e noi ci abbiamo creduto, dai più piccoli ai più grandi, passando da un social alla vita reale, visto che ormai non c’è più differenza fra quest’ultime.
Voglio essere sincero con me stesso fino all’ultimo, anche a costo di perdere qualsiasi cosa ma mai la dignità, quindi risponderò a semplici domande che mi son state fatte negli ultimi anni, alle quali non ho mai voluto dare risposta. 
Cos’è l’amicizia? 
Puro opportunismo. 
Cos’è l’amore?
A 16 anni ti avrei risposto, quello che ha verso di me mia madre, piange, urla *silenziosamente* dai dolori, passa settimane a letto, ma rinasce quando mi vede felice, anche se solo per un giorno. 
Oggi? 
La stessa cosa. 
Il significato del termine “amore” mi ha aperto gli occhi mentre pensavo inconsciamente di viverlo, ma andando avanti si inciampa negli errori degli anni passati, e l’amore per giunta non è mai stato amore, è sempre quel qualcosa con una data di scadenza, una parola inventa per stupire un pubblico di creduloni, sii sincero, per quante forme possa avere l’amore, come può essere chiamato tale, se siamo nati con l’odio e il disprezzo reciproco dentro? 
E tu come ultima cosa mi hai domandato perché scrivo? 
Perché tutto ciò chi mai avrebbe avuto il coraggio di ascoltarlo? 
Vi abbraccio con tutte le mie paure, spoglio di tutto ciò che negli anni non ho saputo tenermi stretto, consapevole che domani potrei non esserci più, e sicuro di aver raccontato tutto di me, perché l’oscurità non mi appartiene, e so di essere stato messo al mondo con uno scopo;
come ognuno ha il suo, io ho il mio, quello di far farvi splendere nel vostro piccolo, anche se per poco, assieme a me.
Chiudo mandando un abbraccio forte a mia mamma, il delfino che mi porto sempre in tasca da quando ero piccolo, per ricordarmi che non sono mai solo, anche nei momenti più disperati, mio padre, che nonostante le voragini d’incomprensioni conta su di me, per i vostri sacrifici, mi metto dalla vostra parte e riconosco tanti miei errori ingiustificabili, un abbraccio forte a tutte quelle persone che conosco e ho conosciuto che stanno passando dei brutti momenti, del resto non c’ha mai uniti così tanto il male quanto il bene…e a te che sei arrivato fin qui, l’unica cosa che chiedo sempre a tutti dopo un semplice ma per molti ormai banale: “Come stai”?! Ricordati di farti un sorriso appena puoi. 
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perpassareiltempo · 1 month
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Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi.
Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole. Probabilmente, l'incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po' di se, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute. O forse accade perché doveva accadere.
Perché le anime son destinate a trovarsi, prima o poi.
Paulo Coelho
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godisacutedemon2 · 4 months
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto» rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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sergiodb · 14 days
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Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi. Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole. Probabilmente l'incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po’ di sè, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene. O forse accade perchè doveva accadere. Perchè le anime son destinate a trovarsi... prima o poi...
..:: SdB ::..
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catsloverword · 3 months
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- Come sta?
- Insomma.
- Così male?
- Ho detto insomma.
- Lei quando dice che sta bene significa che sta male e quando dice che sta molto bene poi scopriamo che è il minimo accettabile per un essere umano. Con insomma mi fa un po’ preoccupare.
- Sempre insomma rimane.
- Vuole parlarne un po’?
- Non c’è niente da parlare, son sempre le solite cose.
- Se sono sempre le solite cose perché si sente così?
- Perché sono stanco. Sono esausto. E lo so che tutti sono stanchi e tutti sono esausti, e lo so che nel Sierra Leone ci sono i bambini soldato che immagino siano parecchio esausti pure loro, ma io questa settimana di più. Scusi.
- Non si scusi per essere stanco.
- Scusi.
- Sa cos’è lei?
- No, ma inizio a sospettarlo.
- Lei è un Atlante.
- Geografico?
- Mitologico. Conosce la leggenda di Atlante?
- Ho fatto il liceo artistico, conosco pochissime cose.
- Atlante era un titano che durante la guerra si era alleato con Crono, il padre di Zeus. Dopo la vittoria Zeus lo punì piazzandogli sulle spalle il peso del mondo.
- Ah sì, adesso mi ricordo, avevo una cosa DeAgostini con il disegno.
- Lei tiene sulle spalle il peso del mondo, del suo mondo, che poi è lo stesso. Non so quando o come, ma a un certo punto, qualcuno o qualcosa le ha fatto credere che quel peso fosse suo. Solo suo.
- Dice?
- Ci sono tante tribù in giro per il mondo, tribù affettive, tribù emotive, tribù nascoste, società segrete legate fra loro da vizi, paure, paranoie, traumi. E poi ci sono i figli di Atlante, come lei, piegati sotto il peso di tutto quello che si portano sulle spalle.
La vita un giorno vi ha detto “reggi qui un attimo” e voi, un po' perché siete stati colti alla sprovvista, un po' perché non volevate disturbare nessuno, avete risposto “va bene” e vi siete caricati qualcosa sulle spalle. E poi l'avete rifatto e poi l'avete rifatto ancora. Sa cos’è successo dopo ad Atlante?
- Si è reso conto che pagava uno psicologo per farsi raccontare puntate di Pollon?
- Un bel giorno arriva Ercole, che è impegnato nelle dodici fatiche e ha bisogno di una mano per recuperare le mele sacre nel giardino delle Esperidi. Così chiede aiuto ad Atlante, e in cambio si offre di reggere il peso del mondo per un po’. Atlante accetta di aiutarlo, si scarica il mondo dalle spalle e per la prima volta da chissà quanto tempo raddrizza la schiena e scopre com’è la vita senza quel peso costante a piegarlo.
- E poi?
- E poi niente, torna con le mele, Ercole lo frega con un trucco idiota alla “c’hai la scarpa slacciata” e gli piazza di nuovo il globo sulle spalle per il resto dell’eternità.
- Bella. Grazie. Adesso sto molto meglio. È sicuro che debba venire in studio e non possiamo semplicemente mandarci delle mail?
- Ogni tanto nella vita succede qualcosa, spesso son cose abbastanza banali, una buona giornata, un motivo d’orgoglio, un momento felice che riusciamo a non sprecare, cose che per un attimo il peso ce lo tolgono di dosso. E noi in quell’attimo percepiamo com’è vivere con la schiena dritta. Poi però arriva Ercole.
- E chi sarebbe Ercole?
- Questa è la parte deprimente. Il più delle volte siamo noi. Ci inganniamo in tutti i modi per convincerci a rimettere quel peso sulle spalle e finiamo col cascarci sempre.
- Perché non se ne andava?
- Atlante?
- Sì. Perché non mollava tutto, non mollava il mondo?
- Perché non è facile, perché era la sua punizione, e forse come succede spesso pensava di meritarsela. Ma io ho un’altra teoria.
- Sentiamo.
- Perché, a forza di reggerlo, si era convinto che quel peso fosse una sua responsabilità, che fosse lui quel peso. Lei pensa che quel peso che la schiaccia sia una sua responsabilità?
- Certo, è il mio mondo.
- Ecco, lei è un Atlante perché non ha ancora capito una cosa fondamentale.
- Cioè?
- Se è pesante non è il suo mondo.
Ordine Psicologhe e Psicologi del Veneto
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Illustrazione di Amandine Delclos
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angelap3 · 1 month
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Billie Holiday
Filadelfia, 7 aprile 1915 – New York, 17 luglio 1959
[ Nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.]
Mi hanno detto che nessuno canta la parola "fame" e la parola "amore" come le canto io. Forse è perché so cosa han voluto dire queste parole per me, e quanto mi sono costate . Forse è perché son così orgogliosa da volere per forza ricordare Baltimora e Welfare Island, l'istituto cattolico e il tribunale di Jefferson Market, lo sceriffo davanti al ritrovo nostro di Harem, e le città sulla costa da un oceano all'altro dove ho preso le mie batoste e le mie fregature, Filadelfia e Alderson, San Francisco e Hollywood; ricordare metro per metro ogni dannato pezzo di tutto questo. Tutte le Cadillac e i visoni di questo mondo, e io ne ho avuti un bel po', non possono ripagarmi e nemmeno farmi dimenticare. Tutto quel che ho imparato in tutti questi posti da tutta questa gente si può riassumere in quelle due parole: nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.
ph Herman Leonard: Billie Holiday, NYC, New York, 1949
La storia di Billie Holiday è roba da racconti di Charles Dickens. Una infanzia disgraziata e di stenti con la madre che si arrabatta a far di tutto, pure la puttana per mangiare. Un quarantenne che la violenta a undici anni. Una zia sadica e fuori di testa di cui è vittima. Il misero collegio dove passa gli anni dell'adolescenza. Pochi motivi per essere allegra. Le cose cambiano, apparentemente in meglio, quando la sua meravigliosa voce diventa nota, prima nei piccoli ambienti jazz poi sempre a più persone. Nasce così Lady Day. Nasce così Lady sings the blues. Ma la fama non lenisce ciò che è stato, e allora per resistere e campare ci vogliono droghe e alcool e amori tutti sbagliati. Lei ne e' consapevole, ma, dice: "Sono stufa di passare le notti sola con i miei cani in albergo, dopo un concerto". O peggio "risvegliarmi ogni mattina accanto a un uomo diverso". Quando il 17 luglio 1949 si spegne ha solo 44 anni. Dirà Miles Davis: "Era una donna molto dolce, molto calda; sembrava un'indiana con la pelle vellutata, marrone chiaro. Era una donna splendida prima che l'alcool e la droga la distruggessero. Ogni volta che mi capitava di incontrarla le chiedevo di cantare "I Loves you, Porgy", perché ogni volta che lei cantava "non lasciare che mi tocchi con le sue mani calde" potevi praticamente sentire quello che sentiva lei. Il modo in cui la cantava era magnifico e triste. Tutti quanti amavano Billie".
Ma tutti quanti l'hanno sempre lasciata sola.
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soldan56 · 6 months
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- Zia Giorgia?
- Sì?
- È vero che tu governi il Paese?
- Io e altre persone, sì.
- È difficile?
- Molto. Certi giorni però è anche bello. Per esempio domani inauguro a Roma una mostra su Tolkien.
- Chi?
- Non conosci Tolkien? Ma, tesoro mio, è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. L’autore del Signore degli Anelli, il mio romanzo preferito. Un libro che mi ha cambiato la vita.
- Perché?
- Perché ha influenzato la mia persona e definito quelli che oggi sono i miei ideali politici.
- E di che parla?
- È una grande storia. Un’epica fatta di onore, coraggio, fratellanza e cameratismo. Vedi, c’è questo piccolo gruppo di impavidi che deve sconfiggere un esercito molto più numeroso e attrezzato.
- Come i partigiani?
- Eh no! No cazzo! Non come i partigiani!
- …
- Scusa, io… scusami, non so che m’è preso. Mi spiego meglio: c’è questo manipolo di combattenti che muovendosi fra i boschi…
- Come i partigiani.
- No! Non sono come i partigiani! Sono diversi! Sono una compagnia, un pugno d’uomini, una… una…
- Brigata?
- Una squadra! Una squadraccia! La squadraccia dell’anello. Tosti, gagliardi, virili! Aragorno, Gimlio, Legolazzo!
- E che fanno?
- Fanno la marcia su Rohan.
- La che?
- Non importa. Ti basti sapere che questi sono uomini d’altri tempi, individui tutti d’un pezzo, come non se ne scrivono più. E insieme uniscono le forze per…
- Resistere?
- Assolutamente no! Semmai per difendere i confini della Terra di Mezzo. Pensa che nella squadraccia c’è un nano, un elfo, un umano, un…
- Che bello, sono inclusivi.
- Non sono inclusivi! Porca mignotta non possono essere inclusivi! Loro cercano l’omogeneità culturale. Via gli orchi, via i goblin, via pure gli elfi. Si tollerano i nani giusto perché ce li abbiamo in coalizione.
- Ma tu hai detto…
- Silenzio. C’è Aragorno, destinato a diventare re…
- Re?
- Reazionario. Il leader forte di cui la Terra di Mezzo ha disperato bisogno. E poi ci sono gli hobbit.
- Cosa sono gli hobbit?
- Sono i veri protagonisti della storia. Un popolo fiero e genuino che vive isolato dal mondo in una magica terra incontaminata chiamata Contea. E nella Contea trascorrono liete giornate in comunità bevendo e fumando erba rilassante.
- Come un centro sociale.
- Col cazzo! Un centro sociale! Come t’è venuto in mente?! È una comune hobbit!
- E che differenza c’è?
- Che questi stanno a piedi nudi e ballano e cazzo è un centro sociale.
- Te l’avevo detto.
- Ma non è neanche la Contea il punto. Il punto del libro è… è la guerra, il conflitto, le battaglie.
- Le battaglie contro chi?
- Contro Sauron e il suo malvagio regime. No, aspetta. Non regime, mi correggo: regno. Regno di Mordor che si trova dietro a un cancello di colore opposto al bianco…
- Cioè nero.
- Per cortesia, è solo un colore, non strumentalizziamolo. Si rischia di farlo diventare la solita coperta di Linus della sinistra. Insomma, questo Sauron ha creato una specie di stato autonomo dentro la Terra di Mezzo…
- Tipo la Repubblica di Salò?
- C’hai dodici anni! Dove cazzo hai imparato cos’è la Repubblica di Salò?
- A scuola.
- Devo assolutamente parlare con Valditara… Insieme a Sauron, che per quanto ne sappiamo potrebbe pure venir fuori da certi ambienti contestatori e sovversivi, ci sono i suoi cavalieri del colore non rilevante. Si chiamano Nazghul.
- Sembra nazisti.
- E invece no. E se volesse dire studenti? Se volesse dire zecche buoniste a cavallo di mostri alati? Mo conosci pure la lingua di Tolkien! Arrogante! Comunque non vorrei che adesso passasse l'idea sbagliatissima che i neri son tutti i cattivi e gli altri tutti buoni. Per dire, Saruman è bianco ma è anche cattivo.
- Okay. Chi è Saruman?
- Un tizio che parla da un balcone.
- E quando non parla dal balcone?
- Bonifica.
- Zia…
- …
- Perché fai così?
- Così come?
- Ti affanni nel tentativo disperato di accostare questo libro alla destra radicale?
- Be’, non ne abbiamo tanti.
- D’accordo, ma evidentemente questo non funziona.
- A noi piace questo.
- Perché proprio questo?
- Perché se riusciamo a trovare un modo per farci associare ad Aragorn e Frodo, in questa Storia vinciamo noi.
Non è successo niente
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dramasetter · 2 months
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Ciao nonna,
Tutto questo non me lo aspettavo proprio, non ora. Io non ero pronta. Non lo si è mai, certo, ma io pensavo che mia nonna avrebbe vissuto altri 50 anni.
Scusa nonna, perché alla fine non mi hai mai insegnato a fare i tuoi ravioli di patate o i cian. E scusa per tutte le volte che mi facevi trovare il budino o la ciambella sapendo che mi piacevano e io non li mangiavo perché in fissa con il mio peso. Lo so che tu nel modo più dolce ci hai sempre provato.
Grazie nonna per tutte le volte che mi portavi su dalle vigne e mi facevi scegliere un coniglietto tra quelli piccini da poter coccolare per tutto il tempo che restavamo lì. E grazie per tutti i racconti di quando eri bambina che ci riportavi la sera prima che io e F dormissimo.
Grazie nonna, perché fino all'ultimo la tua preoccupazione è stata "ma Federica sta uscendo?" no nonna, non sto uscendo, ma posso prometterti che farò del mio meglio per cercare di uscire di più. Scusa, perché a volte quando son venuta a trovarti ero triste e non riuscivo a trasmetterti il bene che ti voglio. Ma io spero che tu lo sappia. Vorrei potertelo dire un'ultima volta perché non trovo giusto non aver avuto la possibilità di salutarti, di dirti quanto tu sia stata speciale come nonna.
Ora mi fa tutto un po' paura, oltre alla tua perdita immagino che ci sarà un momento in cui entrerò in quella casa e sarà l'ultima volta che la vedrò senza saperlo. Non so cosa ne sarà della casa, del paese, niente. Quella parte delle nostre origini?
Però una cosa lo so. Io sarò sempre la tua bina, la tua ninina.
E ti voglio bene nonna
Tanto
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francesca-70 · 7 days
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Lo sai Giulia cosa diranno adesso?
Che dovevi scappare, che dovevi lasciare un uomo del genere.
Dai primi dubbi, dal sentore di quella relazione con la collega, dai segnali che percepivi.
Perché voi donne in un modo o nell'altro, un po' di colpa ve la dovete tenere.
Perché in una società come la nostra, l'uomo ha sempre qualche attenuante.
Alla fine ve lo insegnano da piccole, che se Eva non avesse mangiato la mela, vivremmo ancora nell'Eden.
Che se le donne lavorano nascono meno figli
Che le donne troppo libere sono pericolose.
Che la minigonna dà segnali inconfutabili.
Che dire no non basta se metti troppo trucco
Che se i tuoi figli son maleducati è colpa tua.
Che se la casa è in disordine è colpa tua
Che se tuo marito ti tradisce è perché non te ne occupi abbastanza.
Che se il tuo compagno ti ammazza, un po' te la sei cercata
Vivete di sensi di colpa.
In ogni contesto
Perché prima gli uomini erano mariti e padroni.
Ora sono confusi, per la vostra indipendenza, per l'intrapredenza, per la sicurezza.
E vanno capiti...loro.
Già parlano di lui come di un bravo ragazzo, sempre col sorriso, nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
I più cattivi diranno che è un narcisista patologico, un anaffettivo, freddo, calcolatore.
E invece no, Giulia
Un assassino. E' semplicemente un assassino.
E tu non sei scappata
dalle responsabilità, dal chiarimento, dal faccia a faccia.
Perché voi donne i problemi li affrontate.
Dolorosi o meno, scomodi, difficili.
E non voglio immaginare quando hai capito che era troppo tardi, per salvarvi.
E fa troppo male Giulia, pensare al tuo futuro che resta racchiuso in una foto.
E fa troppo male pensare a quel pancione che non sarà mai vita.
Fa troppo male pensare che tante, troppe Giulie vivono in ricordi, fotografie per colpa di uomini piccoli e meschini. Violenti. Perché la violenza ha mille tentacoli e mille forme.
Peccato che quando la si denuncia, in pochi casi viene creduta, o capita.
E non lo so Giulia che sarà di voi, di una società in cui non si fa mai abbastanza, in cui si insegna alle donne a scappare e non agli uomini a rispettarvi
In cui i problemi si eliminano con una lama affilata.
In cui tutto questo cordoglio sembra solo una resa.
Un fallimento.
In cui avrete voce solo da morte.
Giuseppe Frascà
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AUGURI MAMMA GIULIA ❤️❤️
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der-papero · 5 months
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Una cosa che mi ha lasciato completamente spaesato è aver ripreso ieri la stessa metro che prendevo ai tempi dell'Uni per recarmi ad Ingegneria, facevo la tratta Piazza Garibaldi => Campi Flegrei.
So' passati vent'anni.
Un cambiamento radicale di tutto. Alla nuova Piazza mi ci ero abituato, ma ieri son sceso per la prima volta dopo tutto questo tempo in metro e non c'era nulla di quello che conoscevo. La vecchia edicola dove compravo i biglietti. Le posizioni dei tornelli. E, più importante di tutti, i treni.
In rete ho faticato per trovare qualche foto d'epoca, del resto, nel 1996 i cellulari non facevano fotografie, si usavano davvero solo per chiamare (i più fortunati potevano giocare a Snake), Internet andava a gasolio, e a chi ce l'aveva.
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Ieri mi sembrava di essere atterrato su un altro pianeta.
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All'epoca io prendevo anche il C15 dell'ATAN, per andare (quando dovevo) a Monte Sant'Angelo, e stavamo appesi ai sostegni delle porte dell'autobus lasciate aperte, visto che era impossibile chiuderle, che se uno mollava la presa si ritrovava culo per strada tipo Fantozzi.
Una volta bucò pure la metro, il macchinista andava a piedi sulla piattaforma del binario con la ruota di metallo pieno della metro sotto al braccio, esclamando in preda allo choc,
int a tant ann 'e carrier, 'na cos accusì nun l'aggie mai vist!!!
E invece oggi la metro ti dice anche da quale lato devi scendere, e anche in inglese ...
E se non credete a me, credete alle parole di un mio amico dell'Uni che ancora oggi la prende e non si fa ancora capace.
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Insomma, tutto questo per dirvi che ieri era tutto bellissimo ma, non so perché, io mi sentivo a disagio.
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fatalquiiete · 1 year
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- Netflix? - Sì, dimmi. - Com’è che non riesco più a entrare nel mio account? - Mah, magari è solo un problema tecnico, oppure… - Oppure? - Oppure sei una zecca dimmerda. - Prego? - Non pigliarmi per il culo, sudicio squatter! È finita la pacchia, basta con l’estate dell’amore, tu e i tuoi promiscui amici hippie non potete più passarmi fra voi come se fossi una canna! - A parte che abbiamo trentanni e le canne non ce le fumiamo più perché siamo tutti sotto psicofarmaci. E poi come cazzo ti permetti? - Io come cazzo mi permetto? Voi siete degli schifosi parassiti! - Non eri tu quello del “love is sharing a password”. - Sì, prima. Poi mi son fatto due conti e ho scoperto che mi stavate fregando. E quindi adesso c'è il nucleo domestico, così non fate più i furbetti. - Noi siamo un nucleo domestico. - Ma stai zitto che uno sta a Viterbo e l’altra sta a Bolzano. Quanto è grande sta casa? - Ma scusa, c’hai i miliardi, che ti frega se condividiamo l’account? - Mi frega perché voglio i triliardi, voglio i bizzilioni, forse persino i paperdollari. - Ah, è così? E allora sai che ti dico avido bastardo? Lì fuori è pieno così di servizi di streaming migliori di te. Ti mollo e me ne trovo un altro! - Non oseresti! - Addio! … - Ciao sono Disney+! - Ciao Disney+, io è da un po’ che non esco con un altro servizio streaming quindi non so bene come… - Lascia fare a me. Ti piace Star Wars? - Io adoro Star Wars. - A posto. Ce l’ho. - Ma che figata! E cos'hai? - Tutto. - Come tutto? - Tutto. Ho fatto una serie su tutto. - Ma Star Wars è un gigantesco universo di… - TUTTO! Ti ricordi il droide protocollare che compare brevemente in episodio IV? - No. - Mo c’ha una serie sua. Tre stagioni. Nella seconda mi diventa ludopatico. Indovina chi gli dà la voce? - Non lo so. - Dai, indovina. - Non lo so. - Servillo. - Un droide protocollare con la voce di Toni Servillo? - Che fuma! Fuma a tutto spiano! Però sigarette elettroniche perché è pur sempre Disney… - Io non so se… - Marvel! Ti piace la Marvel? - Magari ha un po’ stuccato… - TUTTA LA MARVEL. - Tutta? - Una serie ogni due settimane, pém pém. La prossima è sul commercialista di Thor. Il multiverso delle fatture, lui che fa delle gabole assurde in CGI per detrargli il martello. Una roba pazzesca. - Forse è un po’ troppo… - Live action! - Ti prego… - Un bel live action! Un grande classico della tua infanzia reso più freddo e inquietante dai potenti mezzi del digitale. - Quale classico? - Taron e la pentola magica. - Mai sentito. - Ma come? Il grande Taron e la pentola magica. Tu immagina la meraviglia di avere Taron e la pentola magica in live action. - Io devo proprio andare… - Non andare! È bello! La pentola magica è nera! … - Amazon Prime? - Prego, accomodati. - Perché sei alto due metri, pelato e pieno di gioielli? - Perché io sono il Re dei Re. E, se mi paghi, tu puoi diventare mio suddito. - Cliente no? - No, ci piace suddito. Ho risorse economiche infinite, posso produrre qualunque cosa, posso darti tutto ciò che vuoi. Mi basta guardarti per sapere esattamente quali sono i tuoi desideri più reconditi. - … - Una serie tv su Angelo Pintus. - No. - Un film con Lillo in cui lui fa delle scoregge magiche che viaggiano nel tempo. - No. - Uhm, sei tosto. Vediamo così: una produzione da settecento milioni di dollari basata su un franchise solidissimo, venerato e impossibile da rendere noioso. - Uau. Com’è? - Molto noiosa. … - Sky. - Eccomi qua. - Che mi proponi? - Ho solo una parola per te. Calcio. - Mi piace il calcio. - Certo che ti piace. Guarda qua: Conference League. - Ottimo. - Europa League. - Addirittura. - Champions League. - Meraviglioso. - Scusa, che squadra tifi tu? - Juve. - Oh no. … - DAZN. - €Kkom1 Q#a! - Va tutto bene? - Hò zoLL0 uñª pA@rlllll P*r ttt3. - Uhm. Che parola? - INTERRUZIONE DEL SERVIZIO. Ci scusiamo per il problema tecnico. Stiamo facendo tutto il possibile per ripristinare il servizio. … - Ciao, sono Apple TV! Ho delle serie decenti. - Tutto qua? - No, no, e se ti dicessi che a breve potrai vedere quelle serie con un’esperienza rivoluzionaria a 360° grazie ai nostri futuristici visori? - Be’, è fantastico! - A solo 3500 euro. - Non posso spendere 3500 euro per un visore. - Perché? - Perché devo mangiare. - Mi dispiace, non sei il nostro target. … - Ciao MUBI. - Fammi indovinare, vuoi una serata rilassante? - Magari. - Un bel filmetto scacciapensieri dopo una lunga giornata di lavoro? - Sarebbe l’ideale, sì. - E invece Tarkovkij. - No dai… - Herzog. - Magari una roba un po’ più leggera. - Lee Chang-dong. Coreano. Secret Sunshine. Storia di questa che impazzisce perché le muore il marito e poi le ammazzano il figlio. Se non ti ricordi il titolo basta che vai al tag tragedia. - Hai un tag tragedia? - Per forza. Ho duecentosettanta titoli solo sul suicidio. - Addio MUBI. - Torna qui! Mi sento così solo! C’ho Bergman in offerta! … - Non ci posso credere. - Ciao RAI. - Sei tornato. - Sì - Sei tornato da mamma. Dalla tua mammuzza. - Sì, boh, mo vediamo… - Come vediamo? Ma io lo sapevo! Non aspettavo altro! Il mio bambino! Guarda come sei cresciuto. Ti ho già preparato tutto. Tutte le cosette che ti piacciono tanto. C’è Don Matteo, Un Ciclone in Convento, l’Eredità e tutto il Posto al Sole che vuoi. Adesso ti metti qua col plaid, tranquillo e pacifico per tutta l’eternità. - Dov’è Fazio? - Non cominciamo, manco ti piaceva Fazio. - Mamma, tutti i servizi in streaming mi trattano male. - Non pensarci. Adesso non ti devi più preoccupare di quelle piattaforme cattive. Adesso c’è mamma tua. Vieni, abbracciami. Sai che ti voglio tanto tanto bene? - Anche io te ne voglio. - E mamma non è come quelle brutte avide piattaforme. Mamma ti vuole bene esattamente come sei. - Grazie mamma. - L’hai pagato il canone? - No. Sono due anni che non ti guardo. - Tranquillo. Non fa niente. Tu stai qui, rilassati e io intanto chiamo due amici di mamma che ti vengono a spezzare le rotule.
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passeracea · 5 months
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Manco da un bel po'. Ogni volta che sto via da qui per qualche settimana quando torno è cambiato qualcosa, qualcuno che seguivo è sparito, qualcuno ha cambiato nome e qualcuno c'è ma non scrive più e questa cosa un po' mi disturba. Non so perché ma leggendovi da tanto tempo penso sempre che siate una costante a cui poter sempre tornare, ma come nella vita reale in effetti non è così. Io negli scorsi mesi son stata risucchiata da Netflix, da TikTok, dai lavori agricoli e dalla pigrizia. Travolta dal caldo dell'estate finalmente finita, dal fastidio crescente verso le persone che si ricordano di te solo quando hanno bisogno e da un bilancio della crisi di mezza età in arrivo che a malapena è in positivo. Ma poi penso chi se ne frega, faccio del mio meglio. Posso permettermi di stare, come ora, sul divano di casa mia con in braccio un gatto ciccione che fa le fusa, i disegni delle nipotine appesi sul frigo, poche doti ma tanti interessi. Il post l'ho scritto il mese scorso ma poi non l'ho più postato, concludevo dicendo che avevo liberato un pipistrello che si era incastrato in una zanzariera e che mentre bagnavo i fiori mi si era posata una farfalla sul braccio ed ero felice. E più o meno lo sono ancora.
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ilsalvagocce · 7 months
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io e babbo portiamo i fiori al cimitero, prima che la notte scenda
nonno e nonna assistono al cambio di fiori di stoffa, sì di stoffa e pure di fiori veri. un compaesano in giro di cimitero, che non conosco e chiameremo signor mattone, perché ha un cardigan color mattone, si avvicina e attacca bottone, con mio padre, risaputo cordiale parlatore, ma sai, dico ma non lo dico, anche babbo desidera i silenzi di fronte ai suoi morti, sbuffo dentro, e per tutto il cambio vasi cambio fiori, colpetti di tosse, il signor mattone parla parla parla, dei tempi andati dei parenti suoi che non stanno lì, del chicchessiaqualunquecosa. Nonno Attilio sbuffa, giovane ragazzo quando mio padre aveva un mese soltanto, o non so cosa pensa. Ci guarda col volto basso, un po’ interdetto un po’ faccia di bronzo, capello impomatato sigaretta sospesa sulle labbra, pinces sui pantaloni, james dean prima di james dean, maledetta la vespa, maledetta la strada dell’incrocio dei paesi. Gina, dall’alto del suo gran petto che riempie l'ovale della foto e dal basso della sua minutezza, paziente, paziente per forza per amore, aspetta, che il signor mattone ci lasci soli, con la nipote mai conosciuta e il figlio adorato dagli occhi cerulei come i suoi, in bianco e nero. Sospira, la sento che sospira. Io faccio le faccende dei fiori, magari il signor mattone s’accorge e va via, però non so se ho scelto i fiori giusti per lei, se amava questi o preferiva i cristantemi, ma a me non piacciono tanto nonna, e poi non riesco a concentrarmi sull’ikebana, se non posso stare da sola qui con mio padre e con voi, questo signore marroncino continua a parlare della giunta comunale e di chi ruba i fiori alle tombe.
Mattone poi se ne va e io chiedo a babbo un ricordo di tutti e due, anche inventato, è la nostra preghiera. Poi ci prendiamo sottobraccio e andiamo verso la tomba di Grazia, saliamo le scale, c’è un tragitto da fare per raggiungerla, anche se casualmente, è stato un caso, ma nulla è per caso, nel cimitero la tomba di mamma e quella dei nonni si guardano, mamma dal balcone, loro da basso, attorno all’aiuola verde. Una prende l’alba, loro il tramonto.
C’è un sacco di via vai, tutti sembrano più di me provvisti di fiori speciali acque e spruzzini e lavette, io con le mie rose color malva chiaro, e poi volevo pure le foglie e pure le melagrane dell'orto nostro, ma i vasetti son piccini, e tra poco cala il sole.
Arriviamo da mamma a ovest, e come fantasma urlatore scorgiamo il gomito del signor mattone lì davanti la pietra di mia madre. Non ci credo, ci stava aspettando lì, per parlarti ancora! Facciamo un altro giro, un po’ di silenzio vi prego su questa terra, magari si stufa e se ne va, intanto babbo racconta, saluta di qua, io invidio la nebbiolina fiorita di là, che annuvola i vasetti, passa tempo, cala la luce ancora un po', e poi ritorniamo da mamma, ora addirittura s’è creato crocicchio di altrettanti a me sconosciuti, in quei tre metri quadri di fronte alla parete di piccole lapidi. Sospiriamo, giriamo l’angolo verso mamma, facciamoci vedere, tanto qui non se ne va nessuno mi sa.
Ciao mamma dico piano, perché tutti attorno parlano forte di gente che sta male, di un marito che pensa! imbocca la moglie, e io mi dico ma ma ma, ma no, non dico, io e mamma ci guardiamo, la vedo con gli occhi all’indietro, che dice santa pace e qualche parolina di sarcasmo beffardo, babbo sorride contrito alle mie spalle, costretto alle parole degli Altri, è più silenzioso del solito, è scocciato mio padre, è scocciato anche lui, da signor mattone e signor senape e signora muschio, ma mai dirà Potete un attimo lasciarci soli?, Possiamo un attimo raccoglierci, zitti, zitti vi prego, su questa terra, d'altronde lui è il figlio di quei due là sotto all'aiuola dell'est, è il marito della donna qui davanti che sta di fronte al mare coi capelli al vento, e se ne frega dei capelli scapecciati, lui è quello che sta qui, lui accoglie.
Io invece sono la figlia di questo qui che accoglie, e della donna in foto di fronte al mare in tempesta, metto le tre rose color malva nel vasetto, come graffiare il muro della lavagna, mi avvicino alla pietra faccio quasi per entrare dentro il ritratto, cerco di immaginare le battute di mia madre scaccia-urlatori inopportuni, analfabeti della gentilezza, la guardo, chiedo suggerimenti, la vita fa ridere un sacco, ora mi metto un lenzuolo in testa e faccio BOOOO a tutti, così se ne vanno.
invece no, fingiamo di andarcene noi, salutiamo, gli Altri si dileguano, non c'è più da chiacchierare spettegolare a voce alta, torniamo indietro, zitti zitti, non abbiamo gabbato la morte, gabbiamo l'inopportuno, non è poco. Dai sistema i fiori, dimmi i ricordi.
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sisif-o · 9 months
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dopo un anno di terapia e di fatica sono riuscito a raccimolare le forze per decidermi ad iscrivermi all'università.
ma mi ritrovo a non sapere assolutamente su quale corso od indirizzo puntare; mi sono concentrato talmente tanto sullo scegliere se studiare o no, che ho tralasciato completamente il cosa.
e non poteva essere altrimenti, ho imparato che le scelte devono essere progressive, che sono un percorso, un susseguirsi di scalini.
e son contento, davvero, di aver fissato almeno un punto da seguire, ma ora mi ritrovo stordito e ubriaco di tutte le possibilità che mi si parano davanti.
non so come scegliere il corso: quello più adatto a me? quello che mi ispira? quello che mi fa lavorare?
devo studiare basandomi sul lavoro che vorrei fare? perché io non lo so che lavoro vorrei fare, io proprio non vorrei lavorare
devo studiare ciò che mi piace? leggo i corsi e le descrizioni, almeno virtualmente, mi piacciono tutte, anche e soprattutto perché sono fumose e vaporose, dicono tutto e niente e non si capisce veramente di cosa si tratta; un giorno fantastico sull'idea di studiare storia, il giorno dopo economia, la sera psicologia, il mattino seguente di tornare a lettere.
devo studiare qualcosa di utile? e come faccio a studiare qualcosa se non mi appassiona? se quantomeno non mi interessa?
avessi almeno la risposta ad una di queste tre domande probabilmente avrei già scelto il corso
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astra-zioni · 1 year
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Lungi dal fare la paternale a qualcuno, ma qui su Tumblr è pieno di persone depresse, spezzate, con storie allucinanti, persone sofferenti, ed io non posso che istintivamente provare amore per ognuno di voi. A volte questa vostra sofferenza diventa soverchiante, perché non ho alcun mezzo utile da offrirvi, perché alcuni di voi son persone meravigliose, belle, luminose, e non mi rassegnerò mai al fatto che persone così son spesso quelle che patiscono dolori più atroci degli altri. Stavo pensando alla mia condizione poco fa. Ho 24 anni, si può dire che combatto da tutta la vita con vari problemi, psicologici, esistenziali, quasi adattativi, nel senso che in qualsiasi contesto sociale io mi sento una merda indegna. Pensavo soprattutto a quanto tempo ho sprecato facendomi pipponi allucinanti sul divano, sul letto, incolpandomi per cose insignificanti, autosabotandomi, non dandomi mai l’opportunità di essere serena, di uscire da questo circolo vizioso. E non so voi, se vi ritrovate in qualche modo in questa descrizione, ma io mi sono incazzata. Ho sentito il peso di quest’ingiustizia come quando sento il peso delle ingiustizie che capitano a voi, ma provare empatia per gli altri è sempre più facile che provarla per noi stessi. Quindi è questo che vi volevo dire: se vi trovate in questa condizione, sentitela fino in fondo, dentro le ossa, sentite la rabbia, la rabbia per i vostri genitori che v’hanno traumatizzati, per i vostri partner che vi hanno calpestati, per tutte quelle volte che avete pagato col sangue gli errori commessi da altri e provate compassione per voi, tenerezza, fate crescere il senso di giustizia per voi stessi. Perché non è giusto che a 24 anni non si ami più, non si abbia voglia scoprire, di imparare, di crescere, di vedere il mondo, mentre merde che camminano lo fanno senza porsi alcun problema. La vita è davvero breve, potrei morire domani e aver fatto un decimo di quel che avrei voluto fare, e per cosa, in definitiva? Quale difetto o colpa che mi attribuisco arbitrariamente dalla nascita hanno il diritto di strapparmi la vita a vent’anni? Era questo che vi volevo dire. Pensateci, a volte. Io vi abbraccio.
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