Tumgik
#ironia ma non troppo
dottssapatrizia · 8 months
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A vent'anni pensi di poter cambiare il mondo, a 35 cerchi di cambiare il mondo intorno a te, a 50 capisci che è meglio cambiare l'arredamento di casa tua…
Ps: io ho appena comprato il divano nuovo.
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lasincera · 2 years
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daddyb00m · 9 months
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Inviti a matrimoni e comunioni dovrebbero essere considerati minacce di morte.
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mccek · 9 months
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Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
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angelap3 · 2 months
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"Poi la porta si spalancò. Ed entrò quella donna. Tutto quello che posso dirvi è che ci sono miliardi di donne, sulla terra, giusto? Certune sono passabili. La maggior parte sono abbastanza belline, ma ogni tanto la natura fa uno scherzo, mette insieme una donna speciale, incredibile. Cioè, guardi e non ci puoi credere. Tutto è un movimento ondulatorio perfetto, come l'argento vivo, come un serpente, vedi una caviglia, un gomito, un seno, un ginocchio, e tutto si fonde in un insieme gigantesco, provocante, con magnifici occhi sorridenti, bocca leggermente piegata in giù, labbra atteggiate in modo che sembrano scoppiare in una risata alla tua sensazione di impotenza. E sanno vestirsi, e i loro lunghi capelli incendiano l'aria. Troppo di tutto, accidenti".
(Charles Bukowski, da "Pulp", romanzo postumo, 1994)
Lontano dalle atmosfere tenebrose delle ordinarie follie, "Pulp", ultimo libro di Bukowski, è il testamento spirituale di uno scrittore che non ha mai esitato a immergersi nel degrado della società contemporanea. È un libro incredibile che, pur lasciando invariato e riconoscibile il suo stile, si discosta per molti aspetti dalla sua produzione ordinaria, a partire dal genere che è quello pulp. Tornando all' autore, il 9 marzo 1994 ci lasciava Charles Bukowski, e probabilmente alle celebrazioni di questa ricorrenza avrà guardato con sarcasmo, soprattutto quelle corredate da luoghi comuni sul suo conto. Di essere uno dei grandi scrittori americani del Novecento, lo sapeva e non fingeva di negarlo. Anche perché scrivere era ciò che, oltre al bere e all'amore per le donne, lo definiva e lo salvava. Scrittore puro, senza sforzo né costruzione: ogni notte a ticchettare sui tasti della macchina da scrivere insieme a una bottiglia e alle sue sigarette. Bukowski è stato se stesso e ha raccontato il suo mondo, con quello che è stato definito "Realismo sporco", quel realismo senza abbellimenti e senza pudore, come sentiva di voler fare. A qualcuno non piace, come se davvero i suoi scritti si limitassero a parolacce e a racconti di abbuffate di sesso e alcol, compiacendosi della propria gratuita sgradevolezza. La produzione di Bukowski è, invece, costante e grandiosa alternanza di dramma e ironia. Storie di dolore, sconfitta e rassegnazione, che portano il lettore a toccare il fondo insieme ai personaggi e poi lo fanno scoppiare in una sonora risata poche pagine dopo.
(Fonte web)
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tiaspettoaltrove · 2 months
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Sentitevi libere di diffidare delle altre donne.
Le donne migliori che conosco, sono alquanto scettiche nei confronti delle altre donne. Critiche, diffidenti, disinteressate a cercare un vero contatto. Le conoscono bene, e sanno quello che ci si può aspettare. Il loro non è un odio, non avrebbe senso, e da persone intelligenti le squalificherebbe. Ogni essere umano è a se stante, sempre, e pertanto generalizzazioni assolute non se ne possono mai fare. Questa è una regola aurea. No, loro semplicemente sanno chi hanno di fronte (a parte eccezioni, appunto). Paradossalmente, una persona superficiale dall’esterno potrebbe dire che sono più misogine di me. Con la differenza, però, che io misogino non lo sono. Sono solo estremamente critico, sia nei confronti delle donne, che degli uomini (soprattutto per quanto mi riguarda personalmente). Quello che voglio dire, è che le donne che disprezzano le altre donne le comprendo benissimo. A patto che non sia per invidia, perché la questione lì cambia radicalmente. No, dico solo che secondo me è normale, quasi auspicabile in una parabola ideale, che le donne abbiano delle forti rimostranze nei riguardi delle altre posseditrici della vagina. Sto facendo un discorso molto concettuale, ideologico se vogliamo. Quando trovo un tallone d’Achille del mondo femminile, parlo con queste donne e trovo un riscontro. È quasi un conforto, se vogliamo. So che con loro posso confrontarmi senza peli sulla lingua, dicendo quello che penso. E solo se avrò ragione, allora ci sarà un compiacimento. Ma non è necessario, non è scontato. Ci si confronta e basta, in serenità. Però lo ammetto, che una ragazza che si esprime in modo duro (e non necessariamente volgare) nei confronti di un’altra, mi smuove qualcosa dentro. Nel senso che mi fa sentire meno sbagliato, mi fa capire che non sono matto, ma solamente attento alle dinamiche umane. Anzi, il paradosso è che spesso sono più io a delineare pregi e caratteristiche positive, piuttosto che loro. Sono io a cercare il buono che loro non sempre vedono. Perché dobbiamo dirlo, dai: mica è tutto brutto e terribile, assolutamente. Ci sono difetti, ma anche qualità nascoste. Bisogna solo farle venire fuori, quando le si possiedono. Io penso che il problema vero del mondo femminile, sia un timore nell’andare fino in fondo. Per ipocrisia, per immaturità, per finzione. Non tutto è deprecabile, assolutamente. Ma serve più verità. Serve più testa, e meno corpo. Serve una profondità di pensiero che, ahimé, troppo raramente riscontro. E logicamente (senza ironia), la colpa è ovviamente di noi uomini. Che troppo spesso rincorriamo in maniera infantile e animalesca ideali di donna sbagliati, che vengono quindi esaltati anziché soffocati dall’oblio. Siamo noi la causa di tutti i problemi che riguardano le donne, perché tutto è partito e a tutt’oggi parte ancora da noi. Un giorno, auspico, ci sarà un risveglio collettivo. E si riprenderà in mano il destino delle sorti del mondo. In modo assolutamente serio, maturo, lungimirante. Verso cose più grandi.
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artemisx78 · 4 months
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Ho preso il controllo..
Vivo in questa vita falsa e piena di delusioni...
Ho perso il controllo...
Vivo in questo mondo di falsità e di bugie..
Ho perso il controllo..
Vivo in questo mondo dove la sincerità e' solo una utopia...
Ho perso il controllo...
Sto iniziando a pensare che la vita sia solo una bugia..
Ho perso il controllo anche per quello che pensavo fosser vero..
Il gioco e la passione..
Ho perso il controllo...
Ma e' possibile che le sensazioni siano false anche quelle....
Questo mondo..sta facendo di tutto per spegnere i miei sogni..
Ho perso il controllo...
Ed ora ci sei solo tu cuore mio che come la tua sincerità nonostante tutto rimani come la speranza accesa e mi fai lottare...
Spogliandomi di questa rabbia...
Lotta e vivi con me questa passione...
fammi vivere ogni battito...
dell' attimo del nostro coraggio...
fammi vivere sfiorando la pelle ...
Fammi assaporare quel suo profumo...tu ne senti o vivi il suo sapore..immagini la dolcezza di ogni brivido di quelle labbra...ad ogni suo bacio...come nessun altro sa fare...
qul rapimento che ci unisce..tu che eri nella mia mente..ti che giochi incessantemente con me ..e con quell' ironia mi continui a sfidare...per essere sempre più forte...ma non HAI capito...che ognuno si noi ha un limite...si chiama STANCHEZZA E RISPETTO... io voglio presenza...
Ma tu riesci sempre a farmi abbassare ogni mia difesa... perché il mio cuore si arrende ancora troppo facilmente davanti a te...
Ma chi sei...
Allora fammi perdere il controllo si.....
ma solo con il fuoco che brucia tra i nostri corpi...
Perché la vita e' una ...
Ma poi sparisci...
perché sei l immenso vuoto per me...
E il mio cuore ha bisogno di battere non di sofferenza...
Dolcezza e passione 🌹
@artemisx78
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canesenzafissadimora · 3 months
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"Lloyd, la vita è un pendolo che oscilla tra ansia e delusione"
"Tutto questo ottimismo di prima mattina mi sorprende, sir"
"Ironia o no... cosa dovrei pensare in questo periodo nero?"
"Che a ragionar troppo di pendoli ed orologi, si finisce per guardare il tempo anziché viverlo, sir"
"Quel che sto vivendo non è un granché, Lloyd"
"Motivo per cui bisogna usare il tempo per cambiarlo, sir"
"Il pendolo però rimarrà sempre quello"
"Ma sarà lei a non oscillare più, sir"
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chez-mimich · 6 months
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UNA QUESTIONE CULTURALE
Quando, sotto l’onda emotiva provocata da uno spaventoso fatto di cronaca (come nel caso recente del giovane uomo che ha ucciso la compagna), ci sentiamo in dovere di esprimere tutta la nostra indignazione e la nostra rabbia, spesso, cercando di non essere impulsivi e alla disperata ricerca di una causa per fatti che non riusciamo razionalmente a spiegarci, diciamo che “è una questione culturale” e ci affanniamo subito a dire che dovremmo cambiare mentalità, e cultura appunto. Solo che le “questioni culturali” non si cambiano da un giorno all’altro e nemmeno da una generazione all’altra: per cambiare abitudini e forme mentali ci vogliono dei secoli. Se in Italia, e anche altrove, la donna è stata fatta ed è, talvolta ancora, oggetto di sentimenti di possesso, questo atteggiamento non data qualche decina d’anni, ma millenni. È ora evidente che non si possa decidere a tavolino che “l’approccio culturale” vada cambiato e, tantomeno, che questo possa accadere in una decina d’anni o nel corso di un ciclo di studi. Vale però la pena anche di ricordare che non tutti hanno avuto verso le donne lo stesso “approccio culturale”. Io mi ricordo ancora quando, l’otto marzo di circa quarant’anni fa, sfilavano i cortei delle femministe e metà della cittadinanza le guardava con compatimento, pensando di loro tutto il male possibile e mettendo persino in dubbio la loro “moralità”. Mi ricordo bene quanta velenosa ironia sugli zoccoli e sulle gonne a fiori, così come mi ricordo bene i saluti romani dei “camerati” che hanno sempre considerato la donna un puro oggetto di piacere, una macchina per fare figli e, nella migliore delle ipotesi, una domestica a tempo pieno che lavora gratuitamente. Altrettanto ricordo bene i democristiani che si indignavano e ancora si indignano, contro la legge sull’interruzione della gravidanza. Oggi quelli che facevano il saluto romano si sono dati una (salutare) calmata, almeno esteriore, ma maschilisti e “machisti” erano e tali restano (nonostante le indignazioni di facciata). Ricordo anche molto bene la destra italiana, insofferente al massimo grado, per gli slogan come “il femminismo non è separatismo, ma lotta per il comunismo” urlato delle ali più estreme del Movimento. Ricordo con tristezza quali epiteti riservava la destra italiana a personaggi come Franca Rame, Lidia Menapace, Rossana Rossanda o, per non andare troppo lontano nel tempo, ricordo come le organizzazioni di destra appellavano la Presidente della Camera, On. Laura Boldrini. Sì è una questione culturale, ma non dimentichiamoci, figlia di quale cultura, tanto per non fare di tutte le erbe un fascio. Anzi un Fascio. Se qualcuno poi, volesse approfondire l’argomento in senso “culturale”, mi permetterei di consigliare la lettura di un librettino di qualche annetto fa (1884) dal titolo “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”: lo ha scritto tale Friedrich Engels. Visto che si tratta di una “questione culturale” qualche riferimento culturale va pur fatto…
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t-annhauser · 7 months
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Questo parlare scherzoso, questo trattare con ironia talvolta anche le cose e gli uomini più augusti, è forse la più sincera forma di amore, la più preziosa, la più pudica. Amore sottintende possesso, almeno desiderio di possesso (non dico "volontà di possesso": è troppo forte). Amando una cosa la facciamo nostra, la pensiamo come nostra. Ed è questo bisogno di rimpicciolire le cose troppo grandi per renderle più facilmente nostre, rammorbidire le troppo dure, flettere le troppo rigide, che ci porta al tratto scherzoso, ironico. Le cose che amiamo cerchiamo di farle figlie nostre e le trattiamo come tali. Ma non tutti capiscono queste astuzie sentimentali, e vedono irriverenza in quello che è soltanto amore. E si scaldano, si fanno paladini dell'offesa grandezza. Oh inutile furore!
Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città
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belladecasa · 1 year
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L'ultima volta che ho sentito il dottore m'ha chiesto se io abbia mai provato a prendermi meno sul serio, domanda che mi ha spiazzata perché io avevo una sola certezza: di essere comica, burlesca, autoironica. Questo magari può essere vero con gli altri, ma con se stessa, con le sue opinioni, la sua visione della vita, riesce a giocare, a fare ironia? A me sembra sempre così seria.
Allora ho capito che si riferiva a quella parte di me che io ho sempre chiamato il mio animo russo, da quando adolescente lessi Le memorie dal sottosuolo e capii che quello che c'era là dentro era molto di più di un'estetica che apprezzavo, ero io: una percezione della vita assoluta, primordiale, una morale manichea, ortodossa. Lo psicologo mi ha parlato della pretese dei Santi, cioè la perfezione. Il mondo scandito tra assoluzione e colpa. La mia individualità è oscillante, indefinibile: sono laconica, ma anche logorroica, tendo al mutismo e al monologo enfatico, all'annullamento ma anche all'egocentrismo, alla sofisticatezza, ma pure alla volgarità.
Io sono troppo consapevole, scriveva. Ed è proprio questo: un difetto della coscienza. La mia coscienza della vita è analitica, chirurgica, come quella di un medico che del corpo conosce l'anatomia precisa, il nome di ogni singola fibra, nervo. Sa che il corpo è carne debole e morente ma si dimentica che è anche magia, possibilità di godere, percepire un profumo, una musica.
Negli ultimi mesi in terapia ho parlato molto della maternità. Ha ragione, i figli si fanno per se stessi, fare figli è un gesto egoistico. Si fanno per vedere qualcuno crescere, perché che ne sa che un giorno non faranno lo stesso, che ne sa che un giorno le cose non miglioreranno.
Di solito quando mi autodisprezzo così tanto lo psicologo mi parla di deliri di onnipotenza: ho delle pretese disumane verso di me, cose che non pretenderei da un altro essere umano, cose che non si possono pretendere da un essere umano. Accetti che l'essere umano alla fine è anche poco di buono, non è lei, è la natura umana.
Ma come si accetta? Come mi accetto? Non lo so, io so solo disprezzare, decomporre così tanto la vita che non ne rimane niente, non rimane che strisciare verso le viscere della terra, il sottosuolo, che sono comunque io, io, io. Che ego smisurato ci vuole a sentirsi l'essere peggiore di questo mondo? Visto, ora sto facendo ironia con me stessa. Il punto è che con l'odiarmi ci possono pure convivere, ma se non imparo come accettarmi, se non imparo l'incoscienza, la magia, non mi amerà più nessuno. Se il seme non muore rimane solo
Di leggere romanzi russi ho smesso da sei anni, ma di essere russa non ho smesso mai
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musicaintesta · 9 months
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“Le tocco il cuIo(ne) e mi rendo conto che, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi.
Lei sorride.
Per quanto di cattivo gusto, soprattutto all'interno di un locale pubblico, questo mio gesto da teenager in calore sembra farle piacere.
Abbiamo passato una vita insieme.
La verità è che mi auguro di poterle toccare il cuIo anche nel corso della prossima.
I nostri figli sono diventati genitori.
I loro figli, i nostri nipoti, sono invece alla prese con i primi amori.
Corrisposti e non.
Tutto come da copione.
Non sento più come una volta.
Sessant'anni fa il rumore prodotto dalle onde del mare contro gli scogli era la mia sveglia mattutina. Oggi, quando voglio fare una chiacchierata con gli amici, devo mettermi uno stupido aggeggio nell'orecchio.
Una specie di alveare pieno di api isteriche impiantato nel cervello.
Con lei è diverso.
Noi ci parliamo con gli occhi.
Basta uno sguardo ed è già tutto chiaro.
Poche parole.
Solo quando è necessario. Praticamente mai.
Dopo cinquant'anni di matrimonio, almeno un milione di sacchi di immondizia gettati nei vari cassonetti, e altrettanti rimproveri per non aver fatto, o per aver fatto ma non nel modo corretto, siamo ancora qui: nel pub di un paesino di provincia, aspettando che un sabato pomeriggio qualunque si trasformi in oscurità.
Lo so che fa ridere.
Due più che ottantenni seduti al banco di un bar a bere due pinte di Guinness.
Alla faccia della gastrite e della prostata ingrossata.
Sembra la scena di un film di Fellini.
Parlano di qualche mese.
Tre, forse addirittura sei.
Probabilmente quattro.
So che non dovrei prendermela troppo.
In fondo ho campato parecchio. Ci sono migliaia di bambini che muoiono ogni giorno. Anche ora: in questo preciso instante.
Se sommando le loro giovani età fino a raggiungere i miei anni, avessi la certezza che questa mia uscita di scena potesse salvare loro la vita, beh... me ne andrei più tranquillo.
So che non è così.
Non lo sarà mai.
Non esiste alcun contratto dove sta scritto che la vita è una questione di algebra.
Non esiste alcun contratto, per la verità.
Lei non lo sa ancora.
Non ho il coraggio di dirglielo.
Come si reagisce alla notizia che il tizio con cui dormi da più di mezzo secolo, tra qualche mese sarà solo un cuscino vuoto?
Non lo so.
Ho paura.
Non solo per me. Anche per lei.
La verità è che non siamo fatti per morire.
Lo so che sembra infantile come ragionamento, ma vi posso garantire che le cose stanno proprio così. Ogni giorno vivi la vita ai cento all'ora con la voglia matta di alzare il piede dall'acceleratore. Poi, senza alcun preavviso, si accende la spia rossa e allora ti fermi a fare rifornimento. Sali di nuovo in macchina, giri la chiave e – colpo di scena – non accade nulla. Il motore non ruggisce più. È morto. Ma com'è possibile? Ti chiedi. Stavo viaggiando alla velocità della luce proprio un attimo fa. Avevo dei progetti, degli assi nella manica da giocare al momento giusto, e ora invece mi ritrovo con le mutande calate all'altezza delle ginocchia in attesa che un corpo estraneo penetri nelle mie stanze e faccia piazza pulita.
Credetemi: anche a ottant'anni si fanno progetti.
E uno di quelli più ricorrenti, ironia della sorte, è proprio quello di non morire.
Comico, no?
- Ci facciamo un altro giro?
La guardo. E' bellissima. Con il vestito a pois e gli occhiali in tinta.
- Perché no! - esclamo - In fondo...
Lascio la frase a metà.
Lei aggrotta le sopracciglia.
Forse ha capito.
Forse no.
Forse... chissà.
Faccio segno al barista di portarne altre due.
Lui annuisce.
- Hai ancora un gran bel cuIo - le dico aggiustandomi il berretto.
Lei sorride.
Una carezza sulla guancia.
Chiudo gli occhi e mi preparo al prossimo giro.
Di Birra.
Di Vita.
Alessandro Casalini
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papesatan · 8 months
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Verrà la luce - un omaggio a Walter Benjamin
Non posso far a meno di sventrarmi l’animo leggendo l’atroce storia di Walter Benjamin, spirito perdente perseguitato dalla sfiga in aeternum, roso da quel folletto dispettoso che pur ammattiva il Tasso. Re del fallimento quale sono, sento mie le sue acri sconfitte e prego per un finale migliore. Puntualmente respinto da Accademia e accademici, Benjamin aveva il dono funesto di viver sempre al momento sbagliato. Quando finalmente un pio editore gli proponeva un progetto o una rivista, ecco che questi dichiarava bancarotta prima d’avergli pagato il primo numero. Ma più tentava la vita, più il malefico coboldo s’accaniva sulle sue fragili spalle, ridendo dei suoi atroci scherni. Un giorno Benjamin trovò il coraggio di metter fine alle ipocrisie del suo matrimonio, lasciando la moglie Dora per darsi anima e sangue alla sua amante, la regista Asja Lacis, ma questa per tutta risposta lo liquidò malamente il giorno dopo (lui totalmente me). Come se non bastasse, fuggito a Parigi dalla Germania nazista, prese a pubblicare per l’Institute for Social Research di Adorno, ma questi infastidito da Benjamin, troppo indipendente, gli voltò le spalle, negandogli così ogni sostegno economico. Fuggito a Marsiglia, in attesa d'un visto d’emergenza per l’America, scoprì che la sua biblioteca parigina, i suoi amati preziosissimi libri, faticosamente collezionati nel corso degli anni, erano stati requisiti dalla Gestapo e probabilmente bruciati, pisciati, calpestati senza ritegno. Ottenuto il visto per l’America e il permesso d’espatrio per salpare da Lisbona, Benjamin s’incamminò allora verso il confine spagnolo, stringendo a sé una borsa nera con dentro il suo mondo, manoscritti e pensieri incompiuti. Tuttavia, giunti a Portbou, sui Pirenei, lo gnomo venefico decise di tendergli un ultimo diabolico agguato: il permesso delle autorità francesi era stato revocato, sicché i profughi sarebbero stati ricacciati indietro a rischiar la vita nella Francia nazista. Sentendosi ormai disperato e sconfitto, Benjamin s’ammazzò allora di veleno, svanendo da tutto e tutti in pochi istanti. Per tragica ironia, il permesso francese arrivò il giorno dopo, sicché i suoi compagni poterono proseguire il viaggio. Come scrisse Hannah Arendt, sua cara amica: “un giorno prima Benjamin sarebbe passato senza difficoltà, un giorno dopo a Marsiglia si sarebbe saputo che in quel momento non si poteva passare per la Spagna. Solo quel giorno era possibile la catastrofe”. Arrivata negli Stati Uniti sotto l’ala protettiva di Adorno, Hannah Arendt pensava che i manoscritti di Benjamin, stretti in viaggio con sé, sarebbero stati accolti degnamente da Adorno, ma questi invece ne trascurò la pubblicazione con pigra indifferenza. Alcuni amici di Benjamin pagarono l’affitto di un loculo a Portbou per cinque anni. Dopodiché la salma fu gettata in una fossa comune ad eterno oblio. La borsa nera in cui Benjamin custodiva carte e manoscritti venne ritrovata soli molti anni dopo, ma ormai al suo interno non c’era più nulla, tranne polvere e cieco silenzio. Spero d’esser riuscito a rendere col mio post un flebile omaggio alla sua vita, ma voi che vivete come me di penosi inciampi e travagliose frane, ricordatevi di non cedere mai alla paranoia, non lasciatevi abbattere dai tragici dispetti del vostro demonico folletto, c’è una luce più avanti dove non si vede, il cammino è lungo, arduo assai e costa sangue e patimento, ma voi non fermatevi, credete, verrà la luce.
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Ortona
Una città “dalle sere dolci e profumate come quelle d’Oriente”
(Gabriele D’Annunzio)
Questa città ha una storia tutta da scoprire, dove leggende tramandate nel tempo si mescolano alla vita di tutti i giorni e sanguinose battaglie e saccheggi distrussero tanto davvero troppo tra le vie di questa cittadina.
In passato la città era completamente circondata da una cinta muraria trecentesca e al suo interno era suddivisa tra Terra Vecchia, ovvero la zona dove abitavano i pescatori e i marinai e dove si svolse la terribile Battaglia del dicembre 1943, e Terra Nuova, una zona costituita per lo più da orti e campi. Parlando di Terra Vecchia bisogna considerare un aspetto molto singolare che i pescatori avessero lì le loro casette colorate tra quelle viuzze strette nella parte alta della città e non sulla costa vicino al porto e che per raggiungere le loro imbarcazioni percorressero degli scalini che collegano ancora oggi queste due zone; inoltre bisogna dire che il porto un tempo non era situato dove lo troviamo oggi ma si trovava più vicino al Castello Aragonese quindi sotto la cosiddetta Pizzuta.
Proprio dietro al faro dell'attuale porto, dove si trova anche una statua di San Tommaso che accoglie i marinai, c'è una piccola spiaggetta di pietre nominata la spiaggetta della Ritorna perché con l'avvicinarsi del maltempo le mogli dei pescatori (ed anche secondo un'altra leggenda una principessa) urlavano e pregavano «ritorna» ai loro amati.
Percorrendo le viuzze di Terra Vecchia possiamo notare un arco in pietra tufacea, il materiale di cui sono costutuite le scogliere, una casa lasciata così com'era di cui si può scorgere il colore originale attorno alla finestra e una casa che venne distrutta dalle bombe che si trova (ironia della sorte) nella piazzetta dedicata alla convivialità nominata dell'Allegria.
Per quanto riguarda il commercio bisogna dire che Ortona aveva un commercio comune con Venezia di stoccafisso e baccalà, che un tempo era il pesce dei poveri e dei contadini.
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Terra Vecchia ha termine dove è situato Palazzo Farnese, costruito nel 1584 venne comprato dalla Madama (Margherita d'Austria) insieme a tutto il feudo di Ortona e le vennero affidati anche i restanti feudi abruzzesi che amministrò con grande maestria.
Tra i personaggi illustri di Ortona che possiamo nominare ci sono due membri del Cenacolo Michettiano: Basilio Cascella (seppur nato a Pescara) e il compositore Francesco Paolo Tosti.
Pertanto a fine 800 Ortona vive di riflesso del Cenacolo Michettiano e vengono costruite case in stile liberty.
Proprio a Ortona è stato composto il nostro "inno" abruzzese per la gioventù "Vola Vola Vola " a cui a Porta Caldari è dedicata una fontana.
Vulesse fa' r'venì pe' n'ora sole
Lu tempe belle de la cuntentezze
Quande pazzijavame a vola vola
E te cupria de vasce e di carezze
E, e vola, vola, vola, vola, vola E vola lu pavone Si tiè lu core bbone Mo' fammece arrepruvà
...
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Percorrendo la passeggiata orientale che costeggia la costa e qualche viuzza raggiungiamo affacciato sul mare il Castello Aragonese che esternamente si presenta intatto ma all'interno possiamo notare essere rimaste in piedi solo alcune mura e torrette. La sua storia è un continuo trasformarsi: da alcuni resti romani venne costruita poi una fortezza che in seguito venne utilizzata per scopi militari, per poi venire acquistata facendola diventare un palazzo signorile con all'interno un meraviglioso giardino all'inglese.
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È arrivato il momento di fare una visita al museo dedicato alla Battaglia di Ortona tra civili e soldati canadesi contro le truppe tedesche, ma intanto possiamo già rinvenire delle tracce di questo sanguinoso scontro in un vicolo della città dove possiamo ancora leggere una scritta che indicava il coprifuoco: "il coprifuoco per tutte le truppe alleate è alle 21:00" e affianco possiamo notare dei fori nel muro causati dalle schegge delle granate esplose e dai proiettili.
Il Museo della Battaglia conserva oggetti e foto che testimoniano i giorni del violento scontro urbano del dicembre 1943, ciò che caratterizza questa guerra è essere stata principalmente una guerra di "propaganda" e poco utile invece a fini strategici, anche se comunque molto sanguinosa essendosi svolta casa per casa.
I civili vennero fatti sfollare dalle truppe tedesche ma non tutti fuggirono decidendo di nascondersi nelle cantine delle loro case ma perdendo così la vita.
Ortona ha ottenuto la medaglia d'oro al valore civile perché durante il conflitto ci si è aiutati l'un l'altro civili e soldati canadesi.
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I tedeschi tra le altre cose distrussero anche la torre dell'orologio, una delle due torri della Cattedrale di San Tommaso, per evitare fosse un punto di avvistamento.
Ma perché proprio a Ortona?! Semplice, perché è qui che il Re Vittorio Emanuele III di Savoia fuggì durante la seconda guerra mondiale imbarcandosi appunto al porto di Ortona verso Brindisi; ed è qui che si trovava la Linea Gustav.
Tra gli oggetti presenti nel museo possiamo soffermarci su tre in particolare:
I papaveri ricamati sulle vesti dei soldati canadesi e delle crocerossine, che indicavano la loro morte in battaglia essendo i papaveri rossi come il sangue;
Varie radioline e giradischi militari con cassa perché anche i soldati avevano bisogno di qualche momento di svago;
Una foto particolarissima, una foto di un banchetto di natale realizzato durante la guerra per i soldati circondato da firme, firme dei soldati sopravvissuti sia canadesi che tedeschi come inno alla pace, a testimoniare che fare la guerra non conviene.
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Ora è sufficiente uscire dal museo e svoltare verso la costa per raggiungere la Cappella del Crocifisso Miracoloso. Un tempo chiamato monastero di Sant'Anna questo luogo è testimone di antiche storie di fede, mare, corsari saraceni e leggende anche culinarie.
Era il luogo di fede in cui vivevano e pregavano del monache di clausura. Si narra che un giorno mentre pregavano l'affresco del crocifisso iniziò a gettare sangue dal costato, questo venne considerato un miracolo ma anche simbolo di presagio di un'imminente tragedia. Il sangue miracoloso venne raccolto in due ampolline, di cui una si trova a Venezia e l'altra è rimasta in questa Cappella ad Ortona rinchiusa in una teca (che viene messa in mostra il secondo venerdì del mese).
Il presagio era reale infatti dalla costa arrivarono le vele dell'ammiraglio della flotta ottomanna Piyale Paşa che iniziarono a distruggere tutto. Gli abitanti di Ortona fuggirono nelle campagne ma le monache di clausura non poterono abbandonare il monastero e restarono a pregare, le loro preghiere forse le salvarono perché Ortona viene nuovamente distrutta ma i nemici non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi al monastero e alle suore di clausura perché una fitta nebbia ricoprì questo luogo come a renderlo invisibile e inesistente.
A questo luogo e alle monache di clausura sono legate anche altre due leggende di cui una è solamente la visione della realtà in chiave magica e fantasy poiché le monache di notte per lavare i panni si recavano alla fonte vicina facendosi luce nel buio e da allora quella fonte venne chiamata la fonte delle fate. Mentre l'altra è legata alla nascita del dolce tipico di Ortona: le nevole (da non confondere con le neole o ferratelle abruzzesi), dolce che appunto secondo questa leggenda è stato creato dalle monache di clausura che un giorno avendo finito le ostie presero gli ingredienti che avevano e unendoli e cuocendoli con il ferro per le ostie diedero vita alle nevole, la cui ricetta prevede solamente mosto cotto, arancio autoctono dal sapore dolceamaro e olio d'oliva (alcuni pasticceri del posto aggiungono anche della cannella).
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La Cattedrale di San Tommaso, un tempo Cattedrale di Santa Maria Vergine, custodisce le reliquie dell’apostolo San Tommaso e la sua pietra tombale dove viene ritratto l'apostolo e che presenta due fori uno per inserirvi un bastoncino di incenso e l'altro per inserirci degli oggetti che successivamente venivano recuperati intrisi dell'energia sacra per poter ottenere cure miracolose, infatti sia la pietra tombale che le reliquie stesse dell'apostolo sono importanti non per il loro aspetto fisico materiale ma per l'energia fortissima dell'anima che emana il corpo del santo apostolo, un'anima che è stata così vicina a Cristo nei suoi giorni in Palestina.
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Spero questo riassunto vi abbia fatti viaggiare insieme a me alla scoperta di questa città abruzzese e ringrazio per la visita guidata i Compagni d'Avventura e Ortona Welcome
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anaromantico · 3 months
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"Lloyd, la vita è un pendolo che oscilla tra ansia e delusione"
"Tutto questo ottimismo di prima mattina mi sorprende, sir"
"Ironia o no... cosa dovrei pensare in questo periodo nero?"
"Che a ragionar troppo di pendoli ed orologi, si finisce per guardare il tempo anziché viverlo, sir"
"Quel che sto vivendo non è un granché, Lloyd"
"Motivo per cui bisogna usare il tempo per cambiarlo, sir"
"Il pendolo però rimarrà sempre quello"
"Ma sarà lei a non oscillare più, sir"
🦖
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myshadowaandlights · 1 year
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Sola via d'uscita: Cazzuta. Edizione aggiornata.
disclaimer:
cifra stilistica= scrivo male. E sono una millennial naive nell'animo.
5/05/23, 02/02/24 , ste corrispondenze di numeri mi fanno cacare sotto. Per una volta scienziati della numerologia, avete vinto.
Questo post l'ho ritrovato tra le note del telefono dopo qualche anno, (ma secondo la mia percezione temporale potrebbe anche trattarsi di secoli fa) era molto più triste allora (eufemismo), ma c'ho fatto qualche modifica. Sta nota testimonia il mio lato cinico da emo misto ad un ironia scrausa, patetica ed eroica, vista e rivista, ma di cui dobbiamo comunque ringraziare l'universo per avercene data in dono ( in generale l'ironia eh, non la mia) .
Non so se volete conoscere davvero questo lato del mondo. Forse non vi conviene. Il titolo del post può anche sembrare figo ma un sacco di libri sono belli solo dalla copertina, è una specie di legge di murphy. Come la pizza 'sto cazzo. Vabbuo', che sto ci a fare a cercare di sbrogliarvi da qui. Fate quel che vi pare, io comincio.
Ho sempre voluto sparire in queste situazioni, quando si ricominciava tutto e niente era definito e l'ansia e la paranoia ti prendevano alle spalle e ti scuotevano violentemente.
Quanto ho odiato l'esistenza in questi momenti. E tante volte ho desiderato di morire prima, no non per scherzo (un classico per il mio animo drammatico).
Di fare un colpo prima di dover arrivare alla maturità,
di fare un colpo prima di dover scegliere l'università, di fare un colpo prima di un esame importante,
di fare un colpo prima di veder mia madre soffrire troppo prosciugata dal suo stesso male e forse anche un po' dal mio,
di fare un colpo prima di veder mia nonna morire,
Di fare un colpo nel momento in cui sarò disoccupata senza nessuna speranza per il mio futuro.
Di fare un colpo prima di vedere andarsene tutti.
Di fare un colpo prima di invecchiare e sapere che destino avrò in serbo, o in croato che ne so ( No era brutta scusate shhh, non l'avete vista ).
E sono comunque qui.
E tutto mi cadrà addosso.
E dovrò essere abbastanza forte,
abbastanza audace e razionale da affrontare tutto. Ma la razionalità non c'entra un cazzo. C'entra il perdono. e forse credere in qualcosa e se non in Dio o nella bontà delle persone, probabilmente alla rabbia.
E forse é proprio quella sensazione di essere riusciti ad affrontare il peggio( soggettivo),
ma ritrovarsi ancora in balia della vita,
in quegli attimi in cui puoi riposare e trovi po' di speranza,
perché non sei ancora morta, non davvero. lo so che pensi di non star provando più nessun sentimento se non la disperazione. Ma ti posso dire? Col cazzo.
Ti avverto:
No nonostante tutto non sei ancora morta, stai piangendo, stai provando , anche sta volta quella stronza della depressione può andare a farsi fottere, perchè sei davvero incazzata.
Cosi ti alzi, nella tua disastrata routine che routine non é mai. Non guardi in faccia nessuno, perché li conosci bene di già, dopo 15 anni passati a convivere con questo, gli sguardi di chi ha paura di quello che riesce a scorgere nei tuoi occhi. Hanno paura e disagio e non se lo spiegano nemmeno loro il perché. E tu sei cosi trasparente, un disastro totale a non fare la faccia da pesce lesso o da Boldrini disperata ( sorry la cit, non mi denunci nessuno please) , anche quando non vorresti. Per cui passa avanti, scherma il tuo sguardo e guarda quella piccola crepa sull'asfalto, che si è ribellata e che al di sotto di sé, ha ancora della terra. Lo vedi quel ciuffo verde ribelle?
Perciò prova,( e se non ci riesci cazzi), a sfidare ancora una volta quel mondo che se non scappi potrebbe caderti addosso. Ma sappi che se continui a scappare, un altro ancora potrebbe caderti addosso.
E come mi ha detto una volta una persona saggia: Cazzuta vecchia. Dobbiamo essere cazzute. Sta vita di merda ti lancia le sfide manco fossero tiri in porta. E allora tu dille: Dammene un'altra, su forza, vediamo quanto resisto, cazzutamente non mi sfonderai manco sta volta ( aha c'è la rima sdrolpa involontaria).No, manco sta volta, che giri come uno zombie per casa, solo per andare in bagno. Manco quelle volte in cui ti verrebbe da non alzarti dal letto e non hai fame e non hai sete e del tuo corpo che brontola non te ne frega un cazzo. Manco sta volta che non riesci ad aprire un libro e sforzarti a capirci qualcosa di quello che c'è scritto. Manco sta volta, comunque.
Farebbe un po' ridere sinceramente, trovare un necrologio con una foto di te sorridente con scritto sotto tipo : "sorrideva sempre, nonostante fosse diversa dagli altri, ma ha deciso di lasciarci per un male che non riusciva ad affrontare. " O uno di quei titoli sensazionalistici da giornaletti che non sono manco in grado di portare un minimo di rispetto alle sofferenze delle persone. Almeno facessero ridere, ma manco quello.
Quindi? Che gusto c'è?
Apparte gli scherzi, lo sai che hai almeno nove motivi per restare. Come le vite dei gatti. E se i gatti sopravvivono così a lungo, allora anche tu non sei messa così male. E se Una volta al giorno il tuo istinto dice: "Non dirmi che domani non vuoi svegliarti e continuare a provarci", ascoltalo.Testardo come chi ami. Testardo come chi ti ha conosciuto e tutt'ora si incazza a guardare come ti sei ridotta, ma col cazzo che ti molla. Agli amici, ai parenti stretti e a quelli lontani che senti ogni morte del papa, ma che ti capiscono a pennello. E perchè si, le merde in cui si invischia la gente si assomigliano, talvolta.
E' uno dei motivi per cui ho la sfacciataggine di pubblicare ciò che scrivo. innanzitutto perche la maggior parte del tempo non ho filtri sociali (e lo so e me ne pento, ma allo stesso tempo non me ne frega na minchia). E poi per renderlo un po' meno anormale e forse un po' piu leggero, meno importante. Perciò sì ,chi è arrivato fin qui si è dovuto subire i miei vomitini personali. Premiatevi con una medaglia o con una pasta al tonno, economica e talvolta soddisfacente. Che se un po' mi assomigliate, sì siete nella merda, ma almeno vi sentite meno soli/e, (includo anche persone non binarie , transgender etc nella mia supercazzola emo, ma scusate, faccio ancora fatica ad usare il linguaggio inclusivo con tutte quelle e strane. L'abitudine frega. Prometto che mi evolverò. )
Che poi ci ritroviamo con le frasette da boomer quarantenni su un tavolo da cucina a mangiare bistecche di pollo untissime dicendo: "la vita è una partita" con la bocca piena, perché ci piace la filosofia sporca. Una differenza? questa volta non ci si può sentire soli, perché non lo siamo. No, non è vero che lo sei. E non è vero che dovrebbe essere più semplice.
E cazzutamente, va bene così.
C.
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