Tumgik
#inafferrabile
dovevonascerequadro · 5 months
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conilsolenegliocchi · 2 months
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~ Come Eva ~
Chi sei?
Chi pretendi di essere?
Perché, tra tutto il possibile, proprio tu?
Un pensiero stranamente insistente.
Un fantasia che chiude gli occhi e inumidisce la bocca.
Perché sei inafferrabile, proibito, il tuo significato è tutto tranne che ovvio.
Mi dimeno sempre più stretta tra le spire della tentazione di scoprire che sapore hai.
Mi odio mentre la ragione soccombe e scelgo la condanna ad una silenziosa dannazione in questa eternità.
@conilsolenegliocchi 🐞
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crazy-so-na-sega · 5 months
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Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale.
Byung-Chul Han
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fenitelaminaperdue · 1 year
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Ancore... ancora.
Fuori è buio. Ancora. Dentro è buio. Ancora. Il treno di questo viaggio direzione gianduiotto però è veloce e forse questa volta mi aiuterà ad uscirne in fretta. Non so. Ultimamente mi accorgo di non sapere più molte cose. Ho spacchettato tutto il mio pacchetto di piccole certezze messe insieme in fretta e furia e tenute insieme con lo sputo dei giorni migliori. Le ho messe in fila sul tavolo della cucina sminuzzate come la cipolla lacrimante e soffritte con la carota ma senza il bastone. Dovrei rimanere concentrato ma non ci riesco, la mia testa oh la mia testa ha ripreso a vagare. Ho bisogno di ancore. Ancora. Invece il treno corre , mentre io sono seduto fermo. Sistemi relativi che si sovrappongono, sono fermo ma mi muovo lungo l'asse delle x aspettando lo zero per affacciarmi sul lato negativo del mio equilibrio. Ah se riuscissi finalmente a lasciarmi andare nel fondo dell'asse delle Y , giù fino in fondo, scendere senza sosta. Che fatica galleggiare. Incapace di affondare , incapace di volare, fisso sulla piatta linea di un orizzonte senza colore. Sono le 06.27. Il treno mi informa che sono in orario, perché il tempo sembra non sbagliare mai, ripetendosi da sempre uguale a se stesso, incurante dei secondi , minuti, ore, giorni, anni in cui abbiamo cercato di racchiuderlo. Il tempo non si cura di me dei dinosauri, dei missili termobalistici, delle supposte alla glicerina, della pioggia acida, degli indici che salgono e scendono come la tua mano quando ti masturbi, degli acidi da sballo, di chi muore ,di chi vive , di chi nasce, dell'evoluzione e della riproduzione, se quando scopiamo io sono sopra o sotto. Il tempo è freddo ed insensibile ed io vorrei essere come lui , inconsapevole e strafottente, eterno ed inafferrabile, compenetrare il tutto senza essere niente. La pseudo alternativa maglietta blu seduta di fronte a me dice" Saving Humans" e questa coincidenza mi fa sorridere , come i suoi calzini giallo fluo abbinati alla perfezione da un terribile discromia e per questo apparentemente fuori dagli schemi socialmente noti, ma pur sempre in comoda 1^ classe con colazione servita da inappuntabili post teenagers in ordinaria divisa blu, perchè anche essere alternativi in fondo richiede i suoi sacrifici ed ha dei costi da sostenere. Oggi forse il sole si è dimenticato di sorgere che poi il sole non sorge mica, cavolo, il sole è pigro e fermo nel mezzo di uno spazio buio e freddo e noi ci giriamo intorno ma il nostro umano super ego vuole che tutto sia assoggettato alla nostra immagnifica persona. Siamo solo formiche in un terrario che litigano per la briciola di pane, la foglia di fico, un buco confortevole nella terra . Hai mai scritto di "è bello" "e' divertente"?. Non so, non ne ho ricordo, forse bello e divertente non sono in armonia con la mia faccia tagliente e seriosa e quando lo sono mi sembra uno stato così poco confortevole che trovo scomodo parlarne. Sono uomo di confine che si affaccia di qua e di la senza passaporto ed identità, sono un barbatrucco, ma anche un barbapapà, un barbafiglio, un barbaporco, un barbalacrima, un barbazitto ed altri mille insulsi personaggi da pacchetto di caramelle gommose e colorate, tutte apparentemente diverse ma tutte sostanzialmente uguali. Aggregati di molecole in ordine sparso confinate in una forma più o meno gradevole a seconda di una formula basica a forma di elica in cui ci sono i migliaia di noi che ci hanno preceduto, somma di numeri casuali battuti sulla calcolatrice mentre guardi la TV. Trovo questo "tutto" banale quasi come il "niente" come quando guardi un numero di alta magia, ma poi ti svelano il trucco e l'OOHHH si trasforma in EHM EHM. Forse dovrei lavorare di più e cazzeggiare di meno, sarebbe un buon inizio ma scoprire il colore del Barbaporco, quello si, sarebbe impagabile.
"It takes a lot to know a man.
A lot to know, to understand.
The father and the son.
The hunter and the gun"
It Takes a Lot to Know a Man - Damien Rice
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artide · 1 year
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Ho iniziato questo anno qui dentro da educatore. Vivevo in un’altra casa con una persona che mi ha accompagnava per nove anni. Mi ritrovo ora quasi maestro, solo col mio gatto, con una macchina, una casa quasi acquistata. Non avrei mai creduto al processo trasformativo del vivere a contatto con i bambini seppur lo avessi intuito l’anno scorso, lavorando alla Casa dei Bambini. Sono stato testimone di un’evoluzione inaspettata ed estremamente accelerata. Se mi ritrovo ancora in piedi senza aver sentito il peso ed il colpo di questi cambiamenti un po’ è perché il lavoro su di me è stato consapevolezza ed ascolto costante che mi hanno permesso di vivere quanto accaduto per quello che era e parte grazie a meravigliosi colleghi che mi hanno accompagnato come famiglia. Questo anno è stato centrale per ridefinire concetto di famiglia, di cura, ascolto e condivisione. Dieci mesi dal 15 settembre al 15 giugno carichi e densi. Non so come questa avventura continuerà nei modi e nei tempo ma son sicuro che ciò che è accaduto in questo tempo sia una tappa fondamentale che ho attraversato e ne ho avuto percezione costante in ogni attimo: negli intervalli in giardino, nei caffè la mattina in cucina, nei difficili cerchi con i bambini. Ci siamo salutati che quasi nessuno ha abbracciato il maestro ed io non lo richiedo e quando senti A. rispondendo alla semplice domanda della cosa più bella quest’anno con ho trovato un lombrico, capisci che loro vivono di un pensiero talvolta inafferrabile proprio perché gli permettiamo di poter perdersi in una siepe, quando stiamo pensando alla didattica, ai materiali e non dobbiamo ne possiamo pretendere altro che si vivano sotto il nostro sguardo la loro infanzia.
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occhietti · 1 year
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La pioggia è tutta un’altra cosa,
liquida, inafferrabile, erotica
come un bacio che dalla bocca
scivola dappertutto.
- lilaschon, Twitter
Foto: Mario Sorrenti
Modella: Julia Bergshoeff
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Nuovo giorno nuovo giro. Questa volta posto in italiano, because why not. Piccola storia, perché a volte se gli sceneggiatori non sono capaci di scrivere cose decenti allora ci devi provare tu. Tutti i commenti sono ben accetti. Enjoy 💜
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Simone avrebbe finito la giornata vomitando, prendendo a pugni qualcuno o semplicemente andandosi a schiantare veramente sulla tangenziale, altro che spazzatura sotto casa di Manuel.
Se da un lato è sollevato che il cretino di 5C si sia svegliato, dall'altro non può fare altro che odiare un po' la situazione, Ernesto, suo padre. E forse anche un po' sé stesso.
Dopo aver salutato il commissario e lasciato l'ospedale, non gli era rimasto altro su cui concentrarsi a parte quelle due parole: futili motivi. Gli risuonavano nelle orecchie, gli rimbalzavano nel cervello, gli pugnalavano il cuore.
Suo padre non sembra notare niente, ma quella non era una novità. Poteva essere così attento in alcune situazioni, tipo in classe con i suoi studenti, e allo stesso tempo l'opposto a casa. O forse era così distratto solo con Simone.
Forse, dopo Jacopo, aveva concluso che Simone non ne valeva la pena.
Forse era Simone il problema.
Chissà se le cose sarebbero state diverse, se a morire fosse stato lui. La vita dei suoi genitori sarebbe stata migliore? Jacopo sarebbe stato migliore? Avrebbe scoperto la cura per il cancro?
Tutte domande idiote, ma che a volte si palesavano nel suo cervello e non volevano uscirne.
C'era solo una persona che lo aiutava a zittire tutto il caos in testa, ma in questo momento non era lì, e lui doveva imparare a sopravvivere da solo.
Improvvisamente sente una pressione sulla spalla, e si accorge in ritardo che il padre stava parlando con lui.
"Come?" si limita a chiedere.
Il padre lo guarda per un attimo come se davanti a lui ci fosse un nuovo filosofo che ancora non capisce ma che è disposto a studiare, per poi distogliere lo sguardo.
"Niente, dicevo ci vediamo a casa?"
"Sì sì, a casa."
Simone riesce a stento a processare quello che gli ha detto Dante che già non lo vede più, scappato verso chissà dove.
Ora è solo, Simone, in un'area affollata. Troppe persone, troppi sguardi, troppi rumoriodorilacrimeviavai.
Non riesce a concentrarsi su niente, tutto troppo presente ma totalmente inafferrabile.
Vede di fronte a sé un parco, e decide di entrare, perché qualsiasi cosa è meglio della strada, e sa già che non riuscirebbe a tornare a casa in moto.
Si addentra nella piccola zona verde, piena di spazzatura e con una vecchia panca arrugginita.
Si siede, e aspetta che il tempo passi. Ogni tanto un soffio di brezza gli accarezza il viso, o il suono di un clacson gli infastidisce le orecchie, ma lì, su quella panca, si ritrova ad esistere, senza doversi sforzare di essere il figlio perfetto, lo studente modello o l'amico comprensivo. Lì è semplicemente Simone, un corpo senza una volontà.
È solo quando gli vibra il telefono in tasca che ritorna un po' in sé, notando il sole sempre più basso e la sua pelle d'oca, nonostante la giacca pesante.
Con mani malferme risponde alla chiamata.
"Pronto?" la voce rauca, chissà se per il freddo od il disuso.
"Ao, a Simò, ma dove cazzo stai? So' du' ore che t'aspetto pa'a cosa de fisica!" la voce di Manuel è come un balsamo per le sue ferite, ma le parole lo fanno sprofondare. Sì, si era completamente dimenticato di qualsiasi cosa che non fossero quelle parole. Aveva lasciato perdere tutto perché non riusciva neanche ad essere felice quando avrebbe dovuto.
Ma che cazzo c'è di sbagliato in me? si chiede, perché ormai è disposto a tutto pur di non sentirsi sempre nel torto, sempre sbagliato.
"Ao, Simò, ce stai?" chiede Manuel, voce leggermente più seria.
"Sì sì, sto qua." e non sa proprio cosa aggiungere.
Nonostante voglia disperatamente la presenza dell'altro al suo fianco, non può che risentire l'eco di vecchie parole e porte di un garage che sbattono.
"Simone, che c'è? 'Ndo stai?"
"Sto tornando, a dopo."
Simone non aveva la minima idea di come tornare a casa. Si sentiva distaccato dal proprio corpo, quindi il motorino era escluso. Ma non aveva la forza di pensare ad altre alternative.
Il telefono continua a squillare, ma lui lo ignora spegnendolo.
Si riposiziona sulla panchina, ma poi sente una voce familiare.
"Accidenti!"
Si alza e trova Viola all'entrata del parco.
"Ehi Viola, tutto bene?"
La testa della ragazza scatta nella sua direzione, e si rilassa leggermente quando lo vede.
"Ehi Simone. Sì, tutto bene. Solo queste stupide buche che non aiutano le ruote."
In effetti il danno era visibile a chiunque: la ruota destra era deformata e lo pneumatico sgonfio.
"Mi dispiace. Vuoi chiamare qualcuno?"
"Probabilmente."
Quando la ragazza non continua, Simone la squadra velocemente. Ha gli occhi lucidi e sembra anche lei un po' distante da tutto.
Anime in pena entrambe. Ma si sa, mal comune mezzo gaudio.
"Se vuoi possiamo sederci sulla panca ed aspettare."
"Aspettare cosa?"
"Che ad entrambi torni la voglia di tornare a casa."
Questa volta è Viola a guardarlo attentamente, ma Simone non ha niente da nascondere, quindi rimane fermo ad aspettare una qualsiasi risposta.
"E come ci arriviamo alla panchina, genio?" chiede la ragazza, uno strano misto di rabbia e divertimento a tingerle la voce.
"Le opzioni sono due. O ti sollevo, oppure spingo la sedia."
"Ma sei scemo? O sei solo cieco? La ruota è completamente andata, non ce la faresti mai a spingerla."
"E secondo te io perché faccio rugby?"
"Ah, quindi non è la prima volta che ti trovi in questa situazione?" cerca di rimanere seria, ma si vede che trattiene a stento la risata.
"Pfff, tutti i giorni. Non sei così speciale."
Finisce la frase e, appena si guardano, scoppiano entrambi a ridere.
Quando entrambi riprendono fiato, Viola gli lancia l'ultimo sguardo, e poi sembra convincersi su qualcosa.
"Va bene, ma non ti fare strane idee."
"Non mi permetterei mai, my lady." dice nel suo miglior peggior accento british. Poi lentamente si avvicina, le passa un braccio sotto le gambe ed uno dietro la schiena e la guarda, aspettando un cenno di assenso che arriva poco dopo.
Allora, la solleva il più delicatamente possibile e la porta fino alla panchina, depositandola e poi tornando indietro per la sedia a rotelle, non pesante quanto si aspettava ma sicuramente non leggera.
Una volta riseduto, lascia cadere la testa all'indietro, e fissa il suo sguardo sulle nuvole arancioni che lentamente percorrono il cielo.
Non ha idea di quanto tempo sia passato, quando sente Viola sospirare.
Allora si gira verso di lei, e la vede con il viso ancora rivolto verso il cielo.
Il silenzio che si crea non è imbarazzante, anzi.
"Perché stavi piangendo prima?" le chiede Simone sussurrando.
"Non sono cazzi tuoi, ti pare?" risponde lei stizzita, lanciandogli un'occhiata torva.
E tutto questo fa sorridere Simo, perché lui a persone che si comportano da porcospini è abituato.
"Non è per sapere gli affari tuoi. È solo per sapere se ti posso aiutare in qualche modo." risponde pacato.
Lei lo squadra di nuovo, e per qualche motivo quella diffidenza, quella poca fiducia nel prossimo gli è molto familiare.
Sospirando, la ragazza distoglie lo sguardo.
"Non credo proprio che il ragazzo perfetto della classe possa capirmi,no?"
E Simone lo sa che è la cosa più scortese che possa fare, ma a sentire quelle parole scoppia a ridere.
Viola lo guarda torvo, e lui ha bisogno di qualche secondo per ricomporsi.
"Viola, ma che cazzo stai a di'? Solo durante l'anno scorso ho scoperto di aver avuto un gemello che è morto quando avevamo tre anni, me lo sono scordato come se non fosse mai esistito, ho quasi perso l'anno perché mi sono immischiato in giri loschi ed ho scoperto di essere gay. Non posso lamentarmi di come vivo perché so che c'è chi sta peggio, ma non è sempre stata una passeggiata, ah."
Finisce il discorso e vede gli occhi di Viola sgranarsi. Ma in quel momento non sente vergogna, o rabbia, o alcun sentimento in particolare. Quasi non si sente più umano.
"Scusa, non lo sapevo." comincia lei, ma lui scuote la testa.
"Non te l'ho detto per farti sentire male o in colpa. Voglio semplicemente dirti che le persone non sono tutte così cattive come pensi."
"Soprattutto tu?" chiede lei.
"Oh no, io sono il peggiore. Ma qualcuno di veramente buono c'è. Tipo Ryan" continua lui, vedendo la ragazza arrossire. Ah, gli etero e i loro stupidi motivi per non stare insieme.
"Non voglio parlarne."
"Va bene." annuisce svelto, e ritorna quel silenzio, come una coperta spessa che li avvolge.
"Ma tu perché sei qui?" chiede la ragazza, senza però girarsi.
"Ernesto si è svegliato e la polizia mi ha contattato per farmi sapere che non continueranno le indagini." dice in un tono di voce neutro, quasi robotico.
Viola si gira verso di lui e corruccia le sopracciglia.
"È un bene, no? Significa che non sei più sotto accusa."
"Si, per carità. Ma significa anche che non proseguiranno le indagini per l'aggressione nei miei confronti. E sai perché? Perché la rissa è scoppiata per quelli che ritengono motivi futili." non si accorge di aver gli occhi lucidi fino a quando Viola non gli tocca il braccio.
Sposta velocemente le mani, stropicciandosi gli occhi fino a vedere dietro le palpebre le stelle.
"Scusa, non volevo scaricarti addosso la situazione." dice dopo aver abbassato le mani.
"Macché. Mi dispiace per quello che ti hanno detto. Se vuoi mio padre conosce degli avvocati, potrei provare a parlargliene."
Ed è in quel momento che Simone vede davanti a sé non la nuova arrivata in classe, ma una persona che sa cosa significa soffrire e che, come lui, non vuole che altri soffrano.
"No, grazie, tanto non porterebbe a nulla."
"Se non ci provi non lo puoi sapere. Però sappi che è una scelta tua."
Ed è una cosa stupida realizzare che sì, la scelta è solo sua. Nessun fattore esterno, non suo padre né la scuola possono decidere se Simone denuncerà o meno.
In un mare in tempesta, dove la sua vita non gli era sembrata altro che sopravvivi o muori, questa è una scelta solo ed esclusivamente sua.
"Io..." inizia, senza saper bene come continuare.
"Ehi, prenditi il tempo per rifletterci. Ma sappi anche che qualsiasi cosa vorrai fare non sarai solo."
Ed eccolo di nuovo qua, a piangere perché qualcuno ha capito il suo dolore, non lo ha minimizzato ed anzi gli sta dando l'opportunità di fare qualcosa a riguardo.
Ed allora non può non buttarsi sulla ragazza ed abbracciarla e, dopo un attimo di esitazione, sente le braccia di lei stringerlo.
Rimangono così finché non le vibra il cellulare. È il padre preoccupato, e Simone coglie benissimo l'ironia, grazie tante.
Dopo che Viola dà l'indirizzo al padre, ritornano a guardare le stelle che ormai fanno capolino nel cielo blu.
Non c'è bisogno di altre parole.
Quando arriva la macchina di Nicola, Simone non ci pensa due volte a prendere Viola in braccio e portarla fino alla vettura, e lei non protesta, anzi gli posa il capo sulla spalla.
Dopo aver recuperato anche la sedia, Simone fa per andarsene, quando sente la manica del cappotto venire tirata, e si gira verso la ragazza.
"Ma che fai? Sali va, che incomincia a fare freddo e voglio tornare a casa."
"Ed allora lasciami?" dice Simone, anche se sembra più una domanda.
"Ho il motorino parcheggiato di là." indica una direzione che ad essere onesto non sa neanche se sia quella giusta.
"Se pensi che ti permetta di metterti alla guida in queste condizioni ti sbagli. Ora sali, ti porto a casa e poi domani torni a riprendertelo"
Simone avrebbe voluto ribattere, ma un'altra voce lo interrompe ancor prima di iniziare.
"Tu sei Simone, no? L'amico di Manuel? So già dove abiti. Sali che ti diamo un passaggio"
Simone allora accetta, per non sembrare scortese eh, non perché non riuscirebbe a distinguere la luce verde del semaforo da quella rossa.
"Abiti a casa di Manuel?" chiede la ragazza dopo essersi allacciata la cintura.
"No, in realtà è lui che vive a casa mia" risponde lui divertito.
Il viaggio verso casa continua silenzioso, con entrambi i giovani che guardano fuori dal finestrino e Nicola che lancia rapide occhiate alla "specie di fratello" di suo figlio.
Arrivano velocemente alla villa e Simone scende dalla macchina, dopo aver ringraziato ancora un paio di volte.
"Buonanotte, Simo. E, pensaci, ok?"
Si salutano così, con Viola che lo guarda serie, lui che annuisce piano e Nicola confuso.
Non fa neanche in tempo a chiudere la porta di casa che è assalito da un'ondata di ricci ribelli e giacca verde.
"Ao, ma dove cazzo sei stato? Vedi che se nun t'è successo niente de grave, te meno io, ah!"
Non ha la forza di rispondere, perché è a casa, in una villa che non ha mai ospitato la sua famiglia, o almeno non che lui lo ricordi. È a casa perché Manuel è lì, preoccupato ed arrabbiato, ma sempre accanto a lui.
E Manuel lo conosce, lo capisce, e gli toglie le mani di dosso, ma non si allontana. Studia attentamente il suo volto, poi lo prende per la manica e lo porta sul bordo della piscina, dove si siedono in silenzio, le gambe penzoloni ed i cuori pesanti.
"Vuoi dirmi che cazzo è successo?" sbotta Manuel, dopo un lungo silenzio.
Simone sospira. Non sa che cosa dire. Come si spiega alla stessa persona che ti ha insultato perché gay neanche sei mesi prima che ora il suo orientamento sessuale non è considerato un'aggravante abbastanza importante per un'aggressione?
"Niente Manuel, sono andato in ospedale per vedere il cretino di 5C, e poi ho incontrato Viola e abbiamo passato il pomeriggio insieme, tutto qui"
"Simò, smettila de dì cazzate che lo sai che n'e sopporto. Ch'è successo?"
Simone sa che dovrebbe mentire, minimizzare, non mostrarsi debole né sofferente. Ma non è mai riuscito a mentire a Manuel. Forse un giorno imparerà, ma quel giorno non è oggi. Allora fa un ultimo disperato tentativo.
"Mi crederesti se ti dicessi che mi sono incantato a guardare il cielo?"
"No, primo perché è palesemente 'na cazzata, e secondo perché a te il cielo fa schifo, troppo grande senza movimento. Preferisci guardare il mare, con la schiuma e le onde ed i pesci."
Vorrebbe ribattere, ma riflettendoci bene Manuel ha ragione, Simone odia la monotonia piatta del cielo. Solo che questo non lo aveva mai detto a Manuel.
"Come fai a saperlo?"
"Cosa che è 'na cazzata? Perché..."
Ma Simone non gli dà il tempo di distrarsi con le sue chiacchiere.
"No, scemo. Come fai a sapere che odio il cielo?"
Manuel sembra studiarlo per un lungo minuto, per poi distogliere lo sguardo.
"Eh, non lo so Simò, me sembri più 'n tipo da mare."
Manuel sta evitando l'argomento, e per quanto Simone vorrebbe insistere, lascia perdere il discorso. Ma solo per il momento.
Allora sbuffa e torna a guardare un punto indefinito davanti a sé.
"È successa una cosa, niente di grave, ma stavo a rosicà, così sono rimasto fuori a sbollire. Poi ho incontrato veramente Viola."
E come poco prima, anche Manuel deve percepire che Simone non ha voglia di parlare in quel momento. Allora si limita ad abbracciarlo per dargli conforto e calore. Simone gli sembrava così pallido al chiaro di luna, come una statua triste e sola.
Simone sente piano piano la stanchezza distendergli i muscoli e rallentargli i pensieri, e si rilassa tra le braccia dell'altro ragazzo.
Si potrebbe addormentare qui, ma sa che sarebbe peggio, anche se il solo pensiero di muoversi sembra impossibile. Così, si scosta leggermente dal corpo dell'altro e cerca di trovare la forza per alzarsi.
Manuel deve aver pietà di lui e, dopo essersi alzato, lo aiuta sù e lo porta praticamente di peso fino alla loro camera.
Simone usa le ultime facoltà fisiche e mentali per togliersi i vestiti e mettersi il pigiama e poi crolla sul letto.
Quando Manuel torna dal bagno, anche lui già in pigiama, trova Simone steso con ancora i piedi su pavimento e sopra le coperte. Sbuffa divertito, ma poi realizza che, se la giornata lo ha sfiancato fino a questo punto, qualcosa di grave deve essere successo, anche se Simone cerca di minimizzare. Si ripromette di farsi dire tutto la mattina, e poi si mette a lavoro per spostare quel testone sotto le coperte ed in un posizione più comoda.
Dopo essere riuscito nell'impresa, resta un attimo a guardare quel volto, ora disteso, e quei ricci arruffati.
Senza neanche accorgersene, si china e sfiora la sua fronte con le sue labbra, prima di ritirarsi. Non è esattamente imbarazzato, e si ripromette di riflettere anche sull'istintiva tenerezza che sente nei confronti del più giovane.
Ma tutto questo domani. Per ora c'è la sua branda che lo aspetta, e magari qualche sogno pieno di mare, di risate e di ricci ribelli.
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canesenzafissadimora · 6 months
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Occorre un tempo straordinariamente breve per ritirarsi dal mondo.
Ho viaggiato, fino ad arrivare ad una vita tutta mia.
Quello che ci fa diventare come siamo è inafferrabile, va oltre il nostro sapere.
Ci abbandoniamo all'amore perchè ci da un qualche senso di ciò che è inconoscibile. Nient'altro conta, non alla fine.
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Juliette Binoche & Jeremy Irons dal film il danno
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il-gualty1 · 2 years
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La pioggia è tutta un’altra cosa, liquida, inafferrabile, erotica come un bacio che dalla bocca scivola dappertutto …
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUINTO - di Gianpiero Menniti
L'INAFFERRABILE E L'ACCADENTE
L'accadere conserva una suggestione: l'esserci mentre l'evento "cade" trascinando con sé ogni presenza di persone e cose racchiusa in un confine fisico. Ai fini della rappresentazione dell'accaduto, nulla è più falso. La possibile descrizione è un'impressione che non può cogliere l'attimo: lo deve interpretare. Necessità. Come tale, lascia sullo sfondo ogni anelito verso l'istante. Così, la fotografia, forte della sua presunta imperturbabilità, affermò la rottura della barriera millenaria fin dal suo apparire, nella quarta decade del XIX secolo: l'istante è realizzabile. Ma il suo effetto espressivo sconta la tecnica e trascolora, ancora una volta, fino all'interpretazione. Non è più vivida di un ritratto o di un paesaggio pittorico le cui potenzialità di dettaglio sono addirittura maggiori. Eppure, la suggestione permane: l'imperfezione visiva non riduce l'affermazione di possesso dell'attimo sottratto per sempre all'accadere. Un fantasma salvato dalla caduta. Niente più che un fantasma, tanto quanto l'immagine dipinta. Fantasma della luce e fantasma della mente: simulacri che rincorrono il tempo risalendo almeno all'effigie della tradizione romana (prima etrusca ma certamente ancora più antica), le maschere funerarie, le "imagines maiorum" degli antenati, il rapporto diretto con la figura dei defunti. Anche in quei casi, si assiste alla prevalenza della tecnica nella ricerca di un effetto naturalistico. Più impressionante poichè agevolato dalla fissità di un corpo ormai spento: dunque, sottratto all'accadere, fuori dai limiti temporali dell'istante. No. L'istante, in quanto tale, rimane un inafferrabile. Oppure, ha avuto ragione Emanuele Severino a intenderne la condizione di "eterno" che solo in apparenza scorre perdendosi nel "nulla". In questo verso, la fotografia o il calco di cera evocano l'errore millenario contestato dal nostro massimo filosofo contemporaneo, trasfigurando lo sguardo dell'osservatore in malinconico silenzio. Ma il ritratto dipinto, anche il "ritratto" di un luogo, colti attraverso la lente dell'impressione, accendono un dialogo, improvviso, senza dubbio incerto, forse inaspettato. Il suo esito finale non è scontato: l'accadere non ha più la necessità dell'istante. In definitiva, il dipinto può essere l'unico "accadente" che ci è dato cogliere.
- William Merritt Chase (1849 – 1916): “Woman in White” (dettaglio), 1902, Indianapolis Museum of Art - Alfred Stieglitz (1864 - 1946): "A Snapshot, Paris", 1911 - Maschera mortuaria di Napoleone di Antommarchi, Musée de l'Armée, Parigi
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flavio-milani00 · 1 day
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Erano i primi mesi della sua cura in Svizzera. Il principe parlava male e spesso non capiva neppure quello che gli altri volessero da lui: era un vero e proprio idiota. Durante una giornata limpida e piena di sole andò verso i monti, tormentato da un pensiero vago e inafferrabile. In alto il puro azzurro del cielo, in basso un lago, tutt'intorno la curva sterminata dell'orizzonte. Il principe guardava. Guardava e si rodeva. Distendeva le braccia verso l'azzurro lontano del cielo e piangeva. Piangeva perché si sentiva estraneo alla festa a cui stava partecipando tutto il creato. [...] Ogni cosa, ogni essere ha una strada da seguire e la percorre, cantando: solo lui non sapeva nulla e non capiva niente, né la parola degli uomini, né le voci degli animali; solo a lui, estraneo a tutto, la natura era matrigna. Oh, certo, allora il principe non avrebbe potuto esprimersi con parole come quelle che stava usando adesso; allora, lui si limitava a soffrire, sordo e muto nel grande e giocondo concerto dell'esistenza...
Fedor Dostoevskij - "L'idiota"
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himeros-erote · 1 month
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A volte non c'è nessun mistero da svelare. A volte, come diceva un filosofo, c'è la maschera, e dietro la maschera il niente, ma la seduzione della maschera è tale che in quel niente si continua a cercare, cercare e cercare, e si finisce per precipitare nel vuoto - un vuoto magari esteticamente o edonisticamente allettante, distraente, analgesizzante, ma pur sempre vuoto. Quindi la vera bellezza potrebbe essere nient'altro che la bontà di un volto senza maschera - concreto, semplice, storico, ma sostanzialmente pieno e inamovibile. Un volto che può essere interlocutore, un Altro che diventa un Tu per l'Io, in reciprocità, in datità e accoglienza. Con le maschere non si può parlare, perché sono un Altro, sì, ma indifferenziato, disincarnato e adialogico in quanto non sono un Io individuato, ma un riflesso di un Io inafferrabile, astorico, adialogante in quanto monologante, e quindi sostanzialmente inaffidabile. La maschera è una deviazione dall'Io dialogico, il suo svuotamento, l'annullamento dell'alterità. Il comunicare con essa ha la ripetizione dell'eco, la risonanza del bronzo cavo. E, di conseguenza, nessuna garanzia di redenzione. L'assenza di mistero, l'intimità che deriva dalla caduta del velo, è invece opportunità dell'incontro, l'apocalisse relazionale; è un frammento tipografico a cui si può desiderare di tornare. È la restituzione della propria immagine nello specchio di uno sguardo che consapevolmente e con intenzionalità guarda e riconosce, e restituisce quella propria immagine non per come ci sembra, ma così come ci viene vista: contornata cioè dall'impronta altrui.
@himeros-erote , 27.04.24
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C'è un filo che lega una persona alla vita.Il filo si tende,si accorcia e si dilata,ma è quel filo che permette a un’anima di lottare nei momenti di buio assoluto,il legame indissolubile con la voglia di continuare a vivere,una forza che si chiama istinto di conservazione.Secondo me,la parola «anima» non dovrebbe avere genere,come qualcosa di etereo,inafferrabile,qualcosa che racchiude chi siamo,il nostro senso profondo.
📚🪡
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crazy-so-na-sega · 5 months
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Benché le parole si approprino in noi di quasi tutta la vita […] sussiste in noi una parte muta, nascosta, inafferrabile. Nella regione delle parole, del discorso, questa parte è ignorata. Di solito sfugge anche a noi. Solo a certe condizioni possiamo raggiungerla o disporne. Sono moti interiori, vaghi, che non dipendono da alcun oggetto e non hanno intenzione, stati che, simili ad altri legati alla purezza del cielo, al profumo di una stanza, non sono motivati da alcunchè di definibile, tanto che il linguaggio, il quale, quanto agli altri, ha il cielo, la stanza cui fare riferimento, […] è spossessato, non può dire nulla.
-Georges Bataille, L’esperienza interiore
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violamilalba · 2 months
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quando cerco di farmi forza provo una gran pena e una gran tenerezza per me. mi figuro immediatamente bambina compiere da sola la fatica sovrannaturale di crescere e capire, vedere l'amato padre oggi vivo domani morire, con gran senso di responsabilità diventare grande senza nulla da chiedere. ed una madre perennemente infelice. ero promessa e salvezza. "così ordinata, non ti sporcavi mai". mi sentivo fluttuare nel mondo, come un embrione che appena appena si stacca. e così ancora. non mi è mai stato chiesto come stai. quanto grassa sono diventata per questo. quanto magra. richieste. richieste. nell'unica lingua che conosco: rituale del volere e rifiutare. ero promessa e salvezza, così ordinata. se solo fossi stata in grado di controllarmi. di controllarvi. di poter controllare il mondo per dare ad ognuno la felicità che pensavo di potervi promettere.
ho fallito tutto. sono rimasta così piccola, in realtà gigante, col viso paffuto ma più lungo, nel vuoto atavico del mio cuore. a volte, la sera, la testa inizia a girare, perchè si apre un varco verso quel vuoto. in quel momento, ogni possibile realtà si separa da quelle coesistenti. scivolano le une sulle altre per mostrarmi il luogo dove non c'è più nulla. se non un singolo oggetto vagante, sottile e inafferrabile. così sottile da non poter essere afferrato da una mano. mi ha sempre dato molta angoscia, ma conservo questa sensazione come una tra le cose più preziose che ho, perchè mi accompagna dall'infanzia, nonostante spiegarla in maniera esaustiva mi sia impossibile.
sento arrivare ora una febbre.
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copihueart · 2 months
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PENSIERI DI PRIMAVERA
L’AMORE
Ognuno lo legge in modo diverso, perché altra spiegazione non sa dare al suo ridere di spore, ai bruschi abbassamenti di temperatura, ai movimenti del fascino e dell’ignoto. Amare è come essere dentro una bolla d’aria, è come sopravvivere ad una immersione prolungata, riuscire a diventare bersaglio, come mordere una mela vistosamente colorata, in un estremo labirinto per liberarlo dal piacere, così da sussultare e agonizzare, accarezzandosi il corpo con la calma di una costellazione. L’amore è come uno stregone indiano,che ad un’ora imprecisata, in un giorno che non so, in un luogo che non conosco, certe volte o forse mai, ci chiamerà a raggiungerlo, approfittando del tempo di un mare tranquillo, o sotto la pioggia battente o dentro il vortice di un uragano. Spenderà il suo buon calore, disegnerà teli sgombri di presenze, forse seduto nella panca intiepidita dal sole autunnale, dove si stamperà il primo bacio, a succhiare sotterranee solitudini della vena cava. Sarà l’odore che si porta addosso, perché le piace appuntarsi fiori nei capelli e zuccherarsi le labbra di rossetto, nel rosso succo delle fragole, nel suo comodo nascondiglio, tra i capricci del vento dove si affollano i sogni e i desideri.
O se ne starà a bruciare accovacciato davanti al fuoco, aggrappato mani e piedi al cordame, ebbro d’aria e di vento, aspettando di ridisegnare i contorni del mondo, nell’arco di una piazza piena di fortezze dove mancano i tavolini all’aperto. Camminerà a passi brevi, nel disincanto della sera, come un musicante ubriaco, drogato dalla nafta degli scappamenti e dal luccichio delle auto in corsa, a disseppellire granchi nei deserti dove niente può turbare le nostre attese e circonderà ingorghi di nuvole, parole pronunciate senza convinzione, nel disordine inafferrabile delle gambe delle donne, con quel senso confuso di mancata intimità.
Lo si memorizzerà per assorbimento, come un impercettibile liquido, soffocato dal minimo rumore, dal prolungarsi della sua caduta o della sua vittoria e si guarderò intorno, consunto e leggero, quasi pietrificato dal sapore della melanconia, dal silenzio seppellito nell’abbandono, con il suo desiderio unico e inconsueto, a deporre i gioielli della felicità, in un groviglio di pensieri che si trasformano e strascicati illuminano le ultime voci remote di ogni attimo trascorso. Faccia a faccia con la tonda luna, mentre la poesia lo morde e lo sublima, il colore gli accarezza gli occhi e fiorisce in bocca, la musica le strugge l’anima e scoppia di desiderio e di passione sulla mia giubba scolorita. Cosa lo può distogliere dal nascere e dal morire, nella spossatezza del creato, tra la folla dai volti ignoti, nei delicati frammenti del cuore, nell’attorcigliarsi di nuovi e prossimi incontri, di anime candide che si stupiranno di esistere, negli assolati pomeriggi d’estate, nell’immobilità del mare, appassionandosi ancor di più, governando senza raggiungere nessun luogo, in attesa di quella brezza tiepida che tornerà a consumarlo-
Oggi lo ritrovo seduto in una stanza terremotata, nella nebbia bassa della terra, declinante di luce, dove cade l’antica abitudine serale, ancora un po’ smarrito, tra i soprabiti scambiati e subito ripresi, quasi che non si potesse più pronunciare il suo nome, smarrito nei vicoli che si ingolfano di memoria, nell’ingratitudine azzurra, nel sospiro e nel pianto, a non aver voglia di coricarsi con nessuno, perso nella tramontana che sgretola le siepi, nell’immobilità del mutamento. Quasi lo avessero bandito, con tutte quelle promesse che ora occupano il suo posto, nel dondolio degli steli umidi di pioggia. E’ stato tradito, più volte calpestato e ingannato, nella dimensione dei torrenti in piena, travolto dagli scandali, in questa ressa del cuore dove tutto è permesso, dove sfuma invisibile il cielo, tra quei caseggiati dove si chiude l’esistenza, decifrando il desolante possesso, a smascherare la cattiveria degli uomini, nel freddo dato dalla tristezza, nell’umile corruzione dell’orgasmo.
Ma l’amore, anche se risulta una mossa sfocata, nelle labbra che sono laghi, tra i flaconi vuoti, nello sguardo delicato tra i rifiuti, saprà risorgere, con tutta la forza dei suoi denti saprà mordere, ripetere i suoi schiocchi di frusta. Saprà rinnovarsi in quel qualcosa che spesso ci sfugge, nell’incrinatura dell’aria incerta e tra i segni indelebili che lo ammantano, impresso in uno zampillo di pellicola, come un guerriero pronto alla battaglia, scivolando leggero sulle molli flottiglie di passanti, con in mano il petalo di una rosa, così come lo abbiamo sempre sognato, unico e raro, a cercare un’anima dove riflettersi, nel senso perfetto che deterge il sudore, schermato l’obiettivo, se ne andrà a spasso in bicicletta, tra le nostre forme contorte, quasi ad indagare dove lo porterà l’umanità, con quella goccia sua che è fulgore del diamante.
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