can I ask (if you know) what style of bobbin lace your neglected project is?
Hi!
My neglected lace is called pizzo di Cantù, One of the regional laces in Italy.
Here, bobbin lace mostly constitutes in waving ribbons (fettuccia), joined by little braids and torchons (bacchetta). If you want to try some patterns look for the "Mani di fata" magazine, It has many publications about it
Other two Italian laces that I know are the Neapolitan one, for which I recommend this book
And the San Sepolcro lace, a bit more similar to othe European bobbin laces, here is an example of the bachino motif, traditionally used for weddings
For the San Sepolcro lace, you can check the M&F merletti site, Maria Elena, the owner, is a dear friend and a great teacher.
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Portone
Avete mai desiderato i Ray-Ban di Tom Cruise in Top Gun? C’è chi mente e chi risponde “certo che sì”.
Be anche io li ho voluti e la prima volta che ho visto quel film cult per la mia generazione è stato mentre “attaccavo” scuola in una sala giochi interrata nei pressi della questura di Sondrio.
Questo particolare non è indifferente… infatti fui beccato proprio grazie alla “soffiata” di un amico poliziotto a mia mamma.
Io pensavo di farla franca, come sempre andavamo a rubare i libretti delle giustificazioni ai primini (gli studenti al primo anno di superiori) così da averne uno ufficiale per i genitori ed uno abilmente falsificato per i professori.
Ti senti furbo, astuto, un piccolo truffatore inafferrabile, ed invece tua madre sa già tutto da un pezzo e ti aspetta a casa dopo l’ennesima mattinata passata a vedere film o a giocare a Tetris.
Ovviamente c’è che mi batteva a “balzare” scuola. Daniele, il mio migliore amico, si era sparato tutte le Olimpiadi Invernali di Albertville del 1992, dall’8 al 23 febbraio non stop, compresa la mitica medaglia d’oro di Tomba in slalom gigante.
Ma prima o poi mi toccava la resa dei conti con mamma Anna, ed, inesorabilmente, arrivò.
Quindi per un po’ di tempo smisi di frequentare la sala giochi a ripresi a frequentare l’ITIS Enea Mattei.
Ma il punto certo non è questo.
Vedete le prime foto?
Ecco, lei è l’Anna alla 15km della DoppiaW.
Ha appena tagliato il traguardo, la fettuccia rossa che le avevo messo come i vincitori delle gare “grandi” sta cadendo in terra.
Perché non molla mai, perché va ancora in montagna, si mette in gioco, non si ferma mai, sia per una passeggiata con le amiche, oppure per aiutarmi a balisare il percorso o partecipare alla gara.
Nonostante qualche anno all’anagrafe, nonostante le ginocchia messe male, nonostante le amiche inizino a non seguirla più.
Lei c’è.
Una certezza. Una delle certezze delle mie DoppiaW.
C’era al Rifugio Malghera quando mi aspettò sul sentiero durante la mia gara da 60km nella prima edizione.
C’era a Tirano all’arrivo della seconda edizione, quando ci abbracciamo e scese anche qualche lacrima per lo stress accumulato.
Una delle certezze di questa mia DoppiaW, insieme al Guido, mio papà, sempre pronto a darmi una mano, a forare cartelli con il trapano, ad appendere fettucce a Biancadino, a cercare percorsi sulle mappe.
Una certezza come la Vale, che quest’anno si è fatta in quattro per seguirmi e supportarmi sempre (più che altro sopportare), ma di lei parlerò in un altro racconto (anche perché mi ha esplicitamente chiesto un ringraziamento particolare).
Sono ormai sveglio da 30 ore (ora più, ora meno) e dopo una notte di tensione dovuta alle condizioni meteo che imperversavano sulla 100k, le prime luci dell’alba hanno portato un po’ di tregua sia alle mie preoccupazioni sia al tempo per 70k, 30k e 15k.
Le tre partenza sono andate via lisce e tutto sembra procedere per il meglio anche sul percorso della gara lunga.
Ora gli occhi tesi lasciano spazio ad un po’ di sereno, come in cielo ormai e ci si può scogliere in un lungo abbraccio con il vincitore della 100k, Daniele.
Come dico sempre, è molto più facile correre una gara che organizzarla.
Quando partecipi, non ti rendi conto realmente di ciò che c’è dietro.
Arrivi in albergo, lasci la valigia, ti fai un giro, passi veloce al ritiro pettorale, scatti qualche foto e poi non ti resta che pensare alla gara e a portare il tuo culo all’arrivo.
10, 20, 30 o forse 40 ore a seconda della distanza.
Poi birra, doccia e dritto a letto.
Quando sei dall’altra parte, quando il pettorale non lo metti ma lo fai stampare, quando le fettucce non le segui ma le metti, quando la birra non la bevi ma la ordini al fornitore, le cose cambiano, e anche di parecchio.
Inizi dall’anno prima, quando le luci si sono appena spente al passaggio dell’ultimo concorrente e le casse hanno appena smesso di far sentire We are the Champions.
Inizi a postare le foto, i video, perché sai che il ferro va battuto finché è caldo, fino a quando le persone parlano della gara, dei ricordi e dell’esperienza vissuta.
Da lì si costruiscono le basi per la nuova edizione, l’effetto “palla di neve” come mi ha detto pochi giorni fa il mio amico Nico, il poco che diventa tanto con il tamtam dei social e il passaparola.
E da qui i mesi che diventano via via più frenetici fino ai giorni dell’evento vero e proprio.
Evento che ti sballotta e ti sbatte come una montagna russa, con il telefono che non smette mai di suonare e la gente che si aspetta delle risposte a domande che ti bombardano a 360 gradi.
Poi, ovviamente, le preoccupazioni per i 600 atleti che si stanno muovendo sui sentieri delle varie gare con un occhio sempre alla Centrale di controllo dove Marco si destreggia tra radio, telefoni ed una buona dose di imprecazioni.
Ma alla fine ,vi chiederete, ma chi te lo fa fare?
La passione, quella fa muovere tutto, quella è alla base di tutto.
Passione per la montagna, per un territorio meraviglioso, per la condivisione di quello che provo io quando vado sui miei sentieri, per quello che vedo e per quello che sento.
I complimenti, quelli veri, detti a voce o scritti sotto ad un post.
Le facce stanche ma felici sotto quel pannello con la scritta finisher.
Conosco quasi ogni metro, quasi ogni pianta o sasso del percorso, a volte mi diverto ad indovinare il posto esatto da una foto che vedo in giro, in questi giorni sto togliendo le fettucce e riesco a ricordare il posto dove le ho posate un mese fa, accorgendomi anche che qualcuno ne ha presa una per ricordo.
Tutto questo contribuisce al successo di una manifestazione come DoppiaW, essere se stessi, metterci il cuore, il lavoro, il tempo.
Certamente non ci muove lo spirito avido di chi vuole guadagnare, siamo volontari, come le oltre 200 persone che ci aiutano ogni anno.
Ovviamente non siamo noi a dover parlare bene di noi stessi, lo devono fare i fatti e lo faranno i fatti.
Anno dopo anno.
Edizione dopo edizione.
Per questi 10 giorni ci siamo goduti le good vibes, ora tocca ancora rimboccarsi le maniche, DoppiaW non finisce il giorno della gara, comincia il giorno della gara.
Poi, come dice la scritta dei miei pantaloncini che ormai indosso scaramanticamente da tre anni, tutti i santi aiutano.
E la Gilda guarda giù dal Portone.
Sempre.
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