Tumgik
#che fatica anche avere a che fare con me
crocodilesareboring · 6 months
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Ai messaggi non letti mi approccio come ai piatti da lavare, ovvero li accumulo dicendomi "ma sì dai tanto ci penso dopo", intanto poi passano giorni, mi dico che dovrei farlo ma poi non ne ho voglia, però nel frattempo mi sento in colpa per tutto il tempo e quando finalmente mi ci approccio per togliermi il pensiero se ne aggiungono altri nel giro di due secondi
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francesca-70 · 17 days
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
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Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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kon-igi · 6 months
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NON TEMO IL PATRIARCATO IN SE' MA IL PATRIARCATO IN ME
Quando ricevo un ask anonimo di cui non è possibile estrapolare il genere della persona che mi scrive, dentro di me parto dal presupposto che sia una ragazza.
Potrei addurre a mia giustificazione il fatto che 8 persone su 10 che mi scrivono appartengono al genere femminile (poi arriviamo anche a questo) ma la realtà è un'altra.
Al netto che il variegato ramo della mia famiglia è composto ad alta percentuale di figlie di eva e che ho passato 25 anni a proteggere e a cercare di far crescere serene due figlie femmine, il fatto è che si accetta istintivamente e culturalmente che sia il sesso debole ad aver bisogno e quindi a chiedere aiuto, mentre i veri uomini ce la fanno da soli e non piagnucolano come delle femminucce.
Guardate quanti stereotipi di genere nell'ultima frase e se forse in giro se ne sente usare sempre meno, alla fine il preconcetto rimane radicato, più o meno apertamente negli uomini ma istintivamente anche e soprattutto nelle donne.
Per ciò che mi riguarda, ho peccato spesso (e succede ancora) di paternalismo ma mi dico che è un riflesso condizionato dell'essere stato una presenza rassicurante e spesso risolvente nella vita delle mie figlie, per cui il mio primo istinto diventa quello di trattare l'interlocutore come se avesse sempre bisogno del mio aiuto.
E bene o male, alla fine, chi ha bisogno del mio 'aiuto' - o meglio, mi scrive per parlare di sé - nella maggior parte dei casi è una persona di sesso femminile (non me ne vogliano le persone binarie o trans ma cerchino di capire il senso di quanto vado dicendo).
Perché i maschi si vergognano.
Non tutti ma abbastanza da rendere asimmetrica le richieste.
Chiamatela maschilità tossica, virilità forzata, machismo o mascolinità egemone ma il risultato è sempre quello.
Uomini fragili perché costretti a essere sempre all'altezza di certe aspettative culturali e sociali, ai quali non è permesso chiedere aiuto per il proprio malessere.
Però non voglio fare un torto a tutti quei figli di adamo che mi scrivono e che davvero non sono pochi, comunque.
Il malessere non ha genere, semmai si declina in contesti e con azioni differenti ma alla fine - al di là che gli effetti devastanti siano più evidenti sulle donne - se faccio fatica io per primo ad aprirmi e a rigettare certi bias patriarcali, figuriamoci se posso chiederlo a uomini decisamente meno fortunati di me.
Perché fino a oggi è dipeso molto dalla fortuna... di avere avuto un padre e una madre amorevoli nel modo giusto, amici e coetanei di un certo tipo, ambienti di studio e di lavoro predisponenti a una certa visione della società.
Fino a oggi fortuna...
Domani vediamo dove ci avrà portato questa nuova sensibilità sociale, spero non effimera e di pancia come dentro di me sento il timore.
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smokingago · 8 months
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
🍀
#smokingago
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susieporta · 8 months
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
dipinto Gill Button
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mermaidemilystuff · 9 months
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Sono stufa di quello che, sotto notizia, viene esaltato e elogiato. In questi giorni è stato dedicato (più di) un articolo ad un ragazzo, benestante figlio unico con entrambi genitori lavoratori, che andrà alla Normale di Pisa. Credo siamo arrivati a dei livelli davvero assurdi su queste glorificazioni: uno perché sinceramente ok bravo grande ma andare alla normale di Pisa non mi pare sia un evento così straordinario da ricevere titoli sul giornale, due perché credo sia profondamente ingiusto guardare solo alle "grandiosità" di persone che fin'ora nella vita avere una difficoltà non sanno nemmeno cosa significhi e per di più esaltando al massimo dei risultati che non sono nemmeno così eclatanti.
Così questo post voglio dedicarlo innanzitutto a mio cugino. Ragazzo dislessico e probabilmente con diverse altre difficoltà che non sono mai state approfondite, dopo la morte del padre ha finito con molta fatica le superiori ritrovandosi solo con sua madre Miss Testa di Cazzo che non lo aiuta men che meno supporta in nulla. Bravissimo con la musica, un quasi orecchio assoluto, si è finalmente diplomato al musicale dopo esser stato bocciato due volte e l'unica cosa che gli ha lasciato la scuola è un rigetto per gli strumenti. Nonostante tutto, nonostante a Natale quando l'ha detto quasi tutti sono scoppiati a ridere, lui quest'anno inizia informatica all'università. Ti voglio bene da impazzire, mai avrei pensato di vederti così felice e elettrizzato all'idea di continuare gli studi, grazie di esistere, mi insegni tantissimo, sono orgogliosa di te.
Voglio dedicare questo post a tutte le persone che nonostante le mille difficoltà della vita sono riuscite a raggiungere i propri scopi. Voglio dedicarlo a tutte le persone che sono dovute scendere a compromessi e a quelle che hanno dovuto rinunciare. Voglio dedicare questo post alle persone che vivono di quello che ormai passa per normalità o addirittura banalità.
In fine, vorrei dedicare questo post anche a me. Non sarò riuscita a prendere una laurea, non sarò diventata la prima italiana o la più giovane a fare qualcosa, non sono diventata ricca, non ho aperto un'attività progressista, non sarò un genio, non avrò fatto tutte le scelte giuste, non sono chissà chi o chissà cosa.
Ma sono qui. Dopo tutto quello che ho passato sono qui, sono viva e mando avanti la mia vita anche in modo funzionale. E ora dirò anche qualcosa che mi fa strano e un po' schifo perché stride molto col mio modo di affrontare e pensare le cose, ma: al mio posto il ragazzino neonormalista probabilmente si sarebbe sparato in testa a 19 anni, io al suo posto probabilmente sarei riuscita almeno a entrare come lui alla normale di pisa. Gli auguro il meglio, ma a me faccio anche i complimenti.
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libero-de-mente · 3 months
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LA LAVATRICE
«Nel mezzo di un programma di lavaggio mi ritrovai con fradici panni scuri, ché la centrifuga era smarrita»
Dopo anni di onorata carriera la lavatrice si è congedata, nel pieno di una centrifuga è partito un assolo di batteria, degno del peggior metal estremo dal vivo. Mi è bastato sentire il ritmo per capire che tutto, lì dentro, era andato a ramengo. Anche il display ha dato l'ultimo saluto con la scritta "game over".
Così di gran carriera mi sono recato al più vicino punto vendita di elettrodomestici, uno di quelli che spesso viene citato nelle pubblicità in televisione. Nonostante questo non ero sicuro di aver scelto il negozio giusto.
Forse dovevo scegliere quello dove gli esperti sono loro, magari quello dove non ci sono paragoni, oppure quelli dove batte forte sempre, magari quelli fatti apposta per me. Dubbi.
Così decido, prima di entrare, di usare la mia famosissima tecnica da medio man. Ovvero quello di non fare nulla di particolare, vi giuro che come passo inosservato io tra la gente. Nessuno. Anche se fossi l'ultimo esemplare di uomo in un pianeta di sole donne. Zero.
Entro e come nel peggior incubo ecco che subito un commesso mi punta, sta nella corsia dei ferri da stiro. Io faccio finta di nulla e mi avvio al reparto degli aspirapolvere; ma è solo per depistarlo e con in brusco cambio di direzione, passando attraverso la corsia delle lavastoviglie, arrivo in quella delle lavatrici.
Ma il commesso è già sul posto. Maledizione alle corsie con gli espositori bassi, ad altezza ragazzino.
"Le posso essere d'aiuto" - mi dice mentre con gli occhi guarda le persone dentro il negozio, come a controllarle.
"Guardi" - rispondo con voce sommessa - "Sono qui per valutare le lavatrici, sto pensando di cambiarla. Ma senza fretta" (bugiardo, bugiardo, bugiardo).
"Va bene" - mi risponde sempre guardando altre persone - "Io resto nei paraggi signore".
Continuo la mia perlustrazione tra le lavatrici esposte, ogni tanto alzo lo sguardo e lui è lì. Il commesso sta a tre/quattro corsie dalla mia fissandomi. Come un ghepardo pronto a ghermire la sua preda. Me lo immagino come i gatti, quando prima di lanciarsi in un agguato sculettano per prendere lo slancio. Avete presente vero?
Continuo a passi lenti la Via Crucis delle centrifughe, dei giri al minuto, delle classi A, B e AB qualche cosa... mi fermo, forse ho trovato quella che cerco. Credo di essermi fermato da un secondo quando alle mie spalle sento il suo fiato: "Le interessa questo modello?" - il commessopardo vuole catturarmi.
"Ehm, si"
"Ottima scelta... bla, bla... milioni di giri al secondo... bla, bla... crea vortici spazio temporali... bla, bla e bla"
"Quindi lei me la consiglia?"
"Tutta la vita"
"E questa?" - indicandogli la lavatrice a fianco.
"Questa poi... bla, bla... non le perderà mai i calzini... bla, bla... anzi le appaierà quelli persi dal 1998... bla, bla e bla"
"Quindi mi consiglia anche questa?"
"Tutta la vita"
"Mi scusi ma allora quest'altra?"
"Modello figo... bla, bla... stile Hollywood... bla, bla... potrebbe trovarci dentro un'attrice talmente è hollywoodiana... bla, bla e bla"
Così dopo altri tre modelli e altrettante assicurazioni di "Tutta la vita", scelgo quella che sarà la mia nuova lavatrice.
Arriva il giorno della consegna, mi squilla il telefono:
"Pronto?"
"El señor TomaSSeli?"
"Si sono io"
"Le dovemo conSSegnare una lavatrisie"
"Si bene, le hanno detto che la consegna dovrà essere fatta a mano fino al mio piano?"
"Si señor no es un problema"
"Le hanno detto che c'è anche il ritiro della vecchia lavatrice?"
"Si señor no es un problema"
Al cancello d'ingresso si presentano in due, padre e figlio vedendo la somiglianza. Sono sudamericani. Boliviani credo, hanno quel non so che di eredità degli inca, o forse degli aymara. In silenzio e con fatica fanno quello per cui sono pagati. Niente carrelli saliscale, tutto a mano con forza delle braccia e volontà.
Il padre è cordiale, il figlio con uno sguardo cupo non parla mai e tiene la testa bassa. Incazzoso.
Chiedo se posso dare una mano, mi sono tenuto libero proprio per aiutarli. Mi sono svegliato presto questa mattina con il pensiero della fatica che avrebbero fatto, salendo le rampe delle scale. Mi dispiaceva.
Con una tuta improvvisata, il pezzo sopra diverso da quello sotto e come una ballerino imbolsito del Bolshoi, una specie di Roberto Bolle ma più Bolla, mi agito con braccia e gambe per aiutare. Ma il padre sempre in maniera autoritaria mi dice "No te preocupes, no es tu problema" - con un sorriso.
Credo di pietà, nei miei confronti, mentre saltello con la stessa grazia di un bufalo con gli attacchi di coliche renali.
Finito la consegna mi ostino nel far parlare il figlio musone, gli chiedo: "È tanto che fai questo lavoro di fatica?"
"Toda la vida" - mi risponde secco con uno sguardo dimesso.
Se ne vanno.
Spero che questa lavatrice mi duri tanto, spero un bel po'. Almeno quanto... tutta la vita.
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ps ho scelto il modello hollywoodiano, speravo di trovarci Jennifer Aniston... mi è andata male.
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stranomavero-o · 5 months
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Oggi ho realizzato che una delle cose che mi rende così spiacevole andare in ufficio 3 giorni a settimana è la mancanza di altre colleghe donne nel team a parte una stagista che tra pochi mesi se ne va. Ho iniziato a rifletterci perché la nostra giovane stagista a volte prova a intavolare una discussione coi miei colleghi su tematiche sociali e a fargli capire che i loro commenti o certe frasi sono fuori luogo e francamente fanno schifo, e questi over 50 con le abilità sociali di un comodino riducono tutto a una discussione maschi contro femmine che era già ridicola anche in seconda media. Ma loro da lì non si sono mai mossi, non hanno sviluppato nessun livello di empatia verso chi è “altro” rispetto a loro (donne, gay, pelle di colori diversi ecc), come ha ben detto Zerocalcare sono fermi al vittimismo piagnone. Un esempio: tema della violenza sulle donne, la risposta è stata “e allora gli uomini vittime di violenza?”. Voglio dire, ma che senso ha provare a intavolare una discussione con sta gente? A lavoro poi, dove già mi gira il cazzo per mille altri motivi e dove mi tocca stare 8 ore al giorno circondata da sti personaggi. Io me ne lavo le mani, non voglio educare un figlio figurati se posso aver voglia di educare un bamboccione prossimo alla pensione, cazzi della sua famiglia. Io sono stanca, io non ne ho voglia, io ho dato forfait.
Però questo mi ha fatto riflettere, e ho capito che una delle fonti del malessere da ufficio è il costante flusso di discorsi e commenti sessisti, le battutine, le frasi che non si rendono nemmeno conto di quanto fanno salire lo schifo alle poche donne che li circondano, gli sguardi da laidi di merda… questi pensano di essere intelligenti, simpatici, dei brillantoni di grande successo. Vorrei alzarmi in piedi sulla scrivania e urlargli “Fate schifoooooo”. Ma non posso, quindi metto in atto meccanismi di difesa, li tengo a distanza, non gli parlo dei cazzi miei, cambio discorso quando si parla di temi caldi, mi isolo nella mia bolla guardando il cellulare. Ma è tutto uno sforzo, una fatica, un impegno extra che durante il giorno mi consuma energie.
E non è solo quello, mi sono resa conto che è anche proprio l’ambiente troppo maschile che mi fa male. Questi passano il tempo a urlare, discutere, litigare, fare a chi ce l’ha più grosso… se la sentono ceo di stocazzo in carriera. Ma vivi sereno che quando te ne vai in pensione finalmente nessuno si ricorderà di te, sarai solo l’ennesimo che è passato di là. Pensa a fare meno schifo con la tua famiglia, pensa a fare meno schifo nella vita, sviluppa empatia ed educazione.
Ah e questi sono tutto sommato brave persone, sono al 99% sicura che non farebbero mai male a una mosca fisicamente e che il comportamento derivi in buona parte da loro insicurezze e dal mondo in cui sono cresciuti, ma il fatto che non ammazzerebbero la moglie non cambia il fatto che, purtroppo per me, fanno schifo.
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a-dreamer95 · 6 months
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Amore mi ritrovo qui a scriverti perché ne ho bisogno. Io voglio stare con te, ho bisogno di te ogni giorno per star e bene e questo dovresti già saperlo. Quello che voglio trasmetterti è che qualsiasi cosa succeda tu sarai sempre al primo posto nel mio cuore, sei il mio cuore. Io sto investendo in te, questo termine non mi piace ma è significativo. Ti fa capire che io ho calcolato il mio futuro con te. Io ho avuto altri ragazzi, è vero, ma tu sei la prima storia seria, anche per me ciò che stiamo vivendo è la prima esperienza di vita in due, in un certo senso. Non siamo più piccoli, siamo adulti e abbiamo molte responsabilità. Io mi sono innamorata di te per molti motivi ma soprattutto per come mi parlavi e come mi facevi sentire. Mi sentivo accettata nonostante i miei difetti e amata veramente da una persona. Una persona come te che, se ti chiede come stai, te lo chiede sinceramente e non per fare due chiacchiere. Tu mi hai dimostrato questo in molte occasioni. Te ne sono riconoscente per tutto quello che hai fatto per me e lo sarò sempre. Le cose non vanno sempre bene, anzi: a noi se vanno bene è un'eccezione spesso e volentieri, ma questo non deve smettere di farci sperare in un futuro migliore. Io sono arrivata a un limite di sopportazione della famiglia, così è sempre stato, io alla fine ho sempre fatto come mi pareva ma ho sempre ascoltato le loro parole e siamo perciò tutti influenzati dai genitori e tutti i fattori che contribuiscono alla nostra crescita. Io di errori ne ho fatti tanti tanti ma l'unica certezza che ho è che tu non lo sei. Tu sei il mio orgoglio, nonostante tutto. Sì, perché da un po' di tempo facciamo fatica anche ad andare d'accordo per un'ora. Si pensa che sia una cosa normale, boh ci sta, ma io soffro, tu uguale. Io prometto che cercherò di migliorare ulteriormente, cercherò di stare meglio anche in salute. Perché, se sto male fisicamente, sono nervosa e rispondo peggio perché mi sento male. Mi capita spesso di respirare male, mi sembra che i miei polmoni non riescano ad immettere adeguatamente ossigeno nel mio corpo. Dicevo che ormai siamo grandi e che, per questo, io vorrei distaccarmi dai "nidi". Io vorrei essere indipendente ma, purtroppo, economicamente non mi è possibile, quindi dobbiamo mantenere elevati i rapporti con le famiglie. Ma riconosciamo che questi rapporti ci stanno logorando molto spesso, se non sempre. Però so che dobbiamo riconoscere di essere fortunati, anche solo per il fatto che abbiamo l'acqua in casa. Il mondo va saputo vivere. Per vivere bene dobbiamo avere un carattere forte. Io me lo sto facendo: ora, come vedi, a me non importa nulla degli altri. Forse ora sono anche troppo stronza, ma io so di essere stata troppo buona in passato. Ho sempre cercato l'approvazione altrui, ma non ha nemmeno senso questa cosa perché io voglio vivere come mi pare e piace. Ho perso anche tante amicizie. L'amicizia finta dura finché si ride insieme e va tutto bene, poi diventa solo un peso. Ma io non voglio perdere la voglia di vivere che più o meno mi caratterizzava, la voglia di ridere insieme. Io sto bene con te. Amore mio io per te ci sarò sempre, smetti di metterlo in dubbio per favore! Sei il mio cuore, essenziale.
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der-papero · 1 year
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Giovedì sera, nella mia serata con una amica, siamo finiti a parlare di un argomento a me molto caro e che ormai riempie la mia quotidianità, ovvero il sentimento anti-meridionale, che per me è una parola estremamente riduttiva, il problema è e sta diventando molto più complesso di quel "anti".
La parte facile per me è affrontare i razzisti quelli veri, perché io ho smesso con la logica buonista, melensa ed estremamente inutile del "dobbiamo essere migliori di loro", alla violenza io reagisco con altrettanta violenza, la deterrenza non è mai la soluzione al problema, ma lo è al mio. Oggi io li provoco volutamente, anche perché si legge già dalle prime parole il loro pensiero, loro VOGLIONO tirare fuori la loro "superiorità", è una necessità talmente forte dal risultare banale riuscire in questa cosa, e poi li smerdo pubblicamente, si finisce a fare la voce grossa, per ora non mi è mai accaduto ma sarei pronto ad arrivare anche alle mani, per me è un fatto personale, la vivo come una guerra perché tale è. E funziona, perché poi la merda parla con l'altra merda, e si è creato il vuoto attorno a me, ormai faccio fatica pure ad incrociarli perché "Antonio è uno stronzo, non ci voglio avere a che fare, non gli si può dire nulla". Che poi, giusto per chiudere questo paragrafo, quelli più infami sono proprio quelli vestiti da persone ultra-tolleranti (a loro modo di dire). Ultimo esempio in ordine di tempo? L'ho visto qua sopra, periodo di Sanremo, Pelù tira di botto una borsetta da una signora seduta in prima fila all'Ariston, e qualcuno ha avuto l'idea di farci subito un meme con su scritto "ED E' SUBITO NAPOLI". Da ammazzarsi dalle risate, si fa per scherzare, però io poi non capisco mai perché, se dovessi prendere una foto qualsiasi dal web di una persona con un boa rosa, piume e paillettes e ci scrivessi sopra "ED E' SUBITO FROCIO", io passerei *giustamente* per un intollerante troglodita di merda, quando io non ci vedo moltissima differenza tra i due esempi. Che ci volete fa', il mondo è quello che è, e, giusto una nota, questa persona non è nemmeno una brutta persona, ho citato la cosa solo perché "fresca", qui sopra c'è ben di peggio, c'è gente talmente di merda che se l'intolleranza fosse una materia, potrebbero tenere dei dottorati di ricerca, ed è proprio per questo motivo che io non credo in alcun tipo di dialogo o confronto o educazione, la mano in faccia, lo sputo in un occhio, l'insulto pesante è l'unica risposta valida, non esiste civiltà, umanità o persino compromesso.
Ma adesso passiamo ai miei nuovi nemici, con i quali ho molta difficoltà a capire come interagire.
In primo luogo perché, e l'ho scritto tante volte qui, non ci ritorno, io ero uno di loro. Ma la cosa che mi irrita, mi fa davvero incazzare, ancora di più della marmaglia descritta sopra è che da un lato si schierano inconsapevolmente dalla parte dei carnefici facendo finta di fare un favore alle vittime, dall'altro identificano il problema nella vittima stessa, per loro è l'origine di tutto il male, per condire il tutto con il classico velo ipocrita dell'immagine e dell'accettazione sociale, che a loro detta è più importante del vestito che uno si sceglie.
Se la smettessi di fare la macchietta, non si alimenterebbe lo stereotipo che ci colpisce.
Che è un po' come risolvere in modo facile il problema del colore della pelle, no? Che ci vuole: se i neri smettessero di essere tali e diventassero bianchi, fine del casino. O, per riprendere un po' l'esempio di prima, avete presente quando, ad ogni Pride, una buona fetta dei media riprende e documenta *esclusivamente* solo una sezione della manifestazione, dove ci sono persone che liberamente e sacrosantemente espongono il loro vivere nel modo che le rende più felici e queste immagini vengono poi puntualmente strumentalizzate con "Hai visto? Quelli sono gli omosessuali, gente che sculetta, mezza nuda, che prende cazzi ad ogni angolo di strada! Se si comportassero come tutti gli altri, non verrebbero discriminati!". Quindi la soluzione è nascondersi, cambiare identità, così le merde di prima si sentono a proprio agio e l'intolleranza, puff, scompare per magia.
L'errore di fondo e molto grave che queste persone commettono è nel non capire che il pregiudizio non è una cosa che si alimenta, è una cosa immutabile, che esiste perché fa parte della propria identità. Quello che le merde fanno non è alimentarlo, non ce ne è bisogno, hanno solo necessità di conferme per supportare il loro bias.
Vi ricordate quella storia di quel coglione di tabaccaio che rubò il biglietto vincente alla signora anziana e provò in modi ridicoli a scappare alla Giustizia facendo una delle figure di merda più eclatanti degli ultimi anni? Una persona "civile" di Tumblr postò la notizia presa da uno dei tanti quotidiani online qui sopra per farci due risate, e fin qui nulla di male, se non fosse che poi aggiunse un tag che recitava poteva accadere dovunque. Ed è qui il cherry-pick dell'intolleranza, il razzismo più infame, in questo minuscolo gesto, estremamente subdolo e che passa sempre in secondo piano, come quell'insulto detto a denti stretti, ovvero la ricerca di conferme, "ho ragione, ci ho sempre visto giusto su quella gente", che non è nemmeno il pensarlo, se dovessi dirvi tutto quello penso altro che razzista, è il volerlo affermare, urlare, pubblicamente, perché è una verità che ESISTE A PRIORI e va solo ripetuta.
Quello di cui queste nuove persone, come vogliamo chiamarle, ingenue?, non si accorgono è che l'equazione razzista esiste, pre-esiste le azioni e persiste nel tempo, ed è INDIPENDENTE da qualsivoglia episodio una persona possa essere protagonista, non c'è alcun gesto che possa cambiare le cose. Riconoscono che il problema è reale, ma oh, è colpa nostra, e se posso disegnare un pattern comune è che tutti questi soggetti non l'hanno mai subito, o lo hanno visto applicare su altre persone e hanno preferito voltarsi, e quando provo a spiegare tutto questo papiello, finisce sempre in una scena muta. Vi giuro che faccio una fatica immensa a gestire la rabbia anche verso di loro, perché tutta questa stronzata è coperta da una vomitevole buona fede, non si meriterebbero le mie uscite incazzose, ma sentirsi additati non è mai piacevole, e mi ritrovo ogni volta in un disagio infinito che mi trovo ahimè a gestire con quel poco di diplomazia che sono riuscito a raccogliere negli anni.
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elenascrive · 1 year
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Mio Carissimo Amico Fraterno,
il Nostro Giorno, come ogni anno da entrambi tanto atteso, è arrivato. Oggi festeggiamo 16 anni di Vita insieme e ovviamente anche stavolta l’emozione sta prendendo il largo. Sono commossa nel pensare che dopo tutto questo tempo trascorso, Tu abbia ancora voglia di sopportarmi, ma come ci riesci? Sinceramente non l’ho ancora capito ed incredula Ti ringrazio, perché la Tua Amicizia fraterna oramai lo sai già, per Me significa tantissimo, al punto tale da fare tremenda fatica ad immaginare la Mia Vita senza di Te! Ecco perché spero che Tu abbia ancora voglia di sopportarmi e di starmi vicino a lungo. Soprattutto in quest’ultimo periodo la Tua vicinanza è stata fondamentale, riuscendo a placare la Mia anima parecchio scossa ed in tormenta con la Tua delicatezza e la Tua saggezza che per l’ennesima volta hanno permesso di donarmi un po’ di tranquillità, la stessa di cui ho sempre un disperato bisogno per quanto sa farsi desiderare. Le Mie battaglie si fanno meno impossibili infatti, quando Tu attraverso la Tua preziosa comprensione riesci a capirmi alla perfezione, senza tanto bisogno di spiegazioni e soprattutto di giustificazioni. Tu sai già come la penso dunque e sai anche come agisco, ecco perché con Te non temo mai fraintendimenti né pregiudizi di alcun genere. Insomma tutto questo solamente per ribadire che per Te continuo ad essere il solito libro aperto, che riesci a leggere senza problemi, anche quando non c’è scritto niente, solo sfogliando pagine che nonostante alle volte siano bianche e piatte, Tu riesci comunque a trasformarle in qualcosa di colorato e di autentico e per questo già lo sai non Ti sarò mai riconoscente abbastanza. Grazie inoltre per la Tua spiccata simpatia che riesce a strapparmi un sacco di sorrisi e risate genuine.
Quando Ti ci metti infatti sai essere un vero e proprio mattacchione. Grazie infine per la Tua infinita conoscenza e altrettanto cultura che metti a Mia disposizione ogni qual volta né necessito, migliorando così facendo il Mio sapere. Quante cose, quanto termini, quanti significati ho scoperto ed imparato grazie a Te! Per questa ragione credo che anche la Mia scrittura Ti ringrazia poiché è migliorata insieme a Me! A proposito di scrittura Ti sono infinitamente riconoscente che continui ad apprezzarla un sacco, attraverso i Tuoi complimenti che mi scaldano perennemente il cuore, donandomi la straordinaria forza per non smettere mai di crederci. La verità è che con Te i complimenti si sprecano. Ho perso il conto di quanti me ne hai rivolto nel corso degli anni e tutti quanti magnifici e per questo indimenticabili. E non solo sulla scrittura, ma anche in altri ambiti, poiché Tu mi hai sempre vista come una persona dai diversi talenti e dalle tante capacità, credendo molto più in Me Stessa, di quanto non lo faccia Io, facendomi sentire unica e speciale, come pochi al Mondo.
Tutto questo fa di Te pure la voce della Mia coscienza quella che mi spinge a valorizzarmi per poi amarmi. Ogni volta che parli bene di Me mi fai un prezioso, importante Dono, e anche questo già lo sai. In effetti Ti sto scrivendo cose che Tu oramai conoscerai a memoria, poiché già lette e rilette infinite volte, però non ne posso fare a meno poiché per Me è importante che Tu capisca quanto sa essere profonda la riconoscenza che provo nei Tuoi confronti.
Qualche settimana fa, in uno dei Miei tanti lunghi messaggi, Ti avevo chiesto quale fosse il ricordo più bello della Nostra Amicizia e Tu ne hai elencati alcuni molto belli che è stato un vero piacere rivivere, aggiungendo però che la Nostra Amicizia è ricca di ricordi ed Io Ti risposi che ero d’accordo con Te! La Nostra Amicizia è un Ricordo continuo, un’Emozione dal sapore unico ed infinito. Qualsiasi cosa tocchi riesce a trasformarla in Affetto genuino. Dobbiamo andarne orgogliosi, oggi più che mai!
Bene, dopo questo, non posso che ringraziarti ancora per aver scelto di divenire il Mio Fratellino Cavaliere, restandomi fedele in tutti questi anni. Ti voglio un modo sconfinato di bene!
Tua per
Sempre
Sorellina e Principessa
Elena
@elenascrive
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belladecasa · 1 year
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Quando vivevo la mia infanzia in campagna la primavera era invasa dalle rane, nei giorni di pioggia, e dalle fegee, nei giorni di sole. Le rane si riappropriavano delle strade cancellando l'asfalto. Io ne provavo ribrezzo e fascino, le osservavo ben distante, ma mio fratello che invece era vivace e animalesco le rincorreva e le imprigionava dentro un secchio cosicché anche io le potessi guardare vigliaccamente da vicino.
Ora che sono passati tanti anni e non se ne vedono più, a volte, gli chiedo: ci pensi ogni tanto alle rane? Ci pensi a quella vita di beatitudine e crudeltà infantile? Agli animali che diventavano giocattoli? Al mozzare le code delle lucertole per la meraviglia di vederle ancora muoversi nonostante la morte? Alle fegee infilzate coi bastoncini? Ti ricordi che quella farfalla particolarissima noi la chiamavamo filamaria? In realtà è una falena che si chiama fegea. La sua ingenuità la esponeva alle peggiori cattiverie: non c'era bisogno di rincorrerla, volava goffamente e si lasciava prendere senza fatica, non aveva istinto del pericolo, non aveva idea che sarebbe diventata una marionetta per dei bambini crudeli. Bastava il minimo tocco e il nero delle sue ali trascolorava e si perdeva sui nostri polpastrelli. Col tempo mi sono accorta di avere la stessa natura. Vorrei pregare chi mi si avvicina di fare attenzione, perché anche al minimo tocco leggero e curioso io perdo i miei colori per sempre. Ma forse sono solo fatta male, non ho l'istinto di proteggermi ma di lasciarmi infilzare. Potrai giocare con me come vuoi, non mi ribellerò mai; ti laverai le mani dal mio nero, poi andrai via e io rimarrò trasparente e mutilata per sempre. Ma la colpa non è la tua, non è la mia.
La campagna mi ha insegnato che non c'è colpa, la tenerezza e la crudeltà sono nelle stesse mani, sotto lo stesso cielo, nella terra, negli animali, nei bambini, nei vecchi.
La tradizione contadina imponeva di allevare e uccidere per vivere; mia nonna aveva il compito di ammazzare i polli, d'estate. Ricordo ancora tutti i passaggi perché assistevo, anche se ovviamente nessuno mi obbligava, ma io come sempre provavo ribrezzo e fascino. Fascino dal ribrezzo. Non so cosa ne pensassi, se pensavo; ero anestitizzata a quella crudeltà perché da mia nonna avevo interiorizzato che era necessario, un dovere categorico. Non era possibile giudizio morale, era un male totalmente innocente.
La campagna mi ha insegnato la struttura della vita, l'innocenza, la crudeltà e la tenerezza che sfumano l'una nell'altra. Che si alleva, si cresce, si cura, per morire, per uccidere e per estirpare.
Ancora oggi ricordo l'odore di bruciato delle piume dei polli; dopo averli bolliti si toglievano le penne più grandi a mano e l'epidermide veniva passata sulla fiamma per eliminare il resto. Ma la pratica per me più sconvolgente era l'estrazione delle interiora, mia madre e mia nonna che toglievano le budella a mani nude. Era una parola orribile per uno spettacolo orribile e io le fissavo e pensavo: questo schifo è anche dentro di me. Io sono anche questo. E ancora oggi per me le budella sono tante cose, tutta la bassezza umana, il sesso, il sangue, la malattia che si impadronisce di te. Quando finivano e la carne veniva congelata mi sentivo sporca pur non avendo toccato niente e ancora oggi mi sento sporca, ancora oggi detesto il corpo e la carne, il sesso, la bassezza; eppure la contengo tutta ed estarla significherebbe morire.
La campagna mi ha insegnato la necessità della bassezza ma io non l'ho mai accettata. Non ho mai accettato che anche io sono fatta di budella e carne morente alla fine. Io volevo solo andarmene perché sentivo che lì era tutto sporco, che mi sporcavo inevitabilmente anche io. Me ne sono andata e ho nascosto, rinnegato, tradito quel tempo, la natura, la mia infanzia di beatitudine e di crudeltà, le rane e le fegee, che non ci sono più, mia nonna e mio nonno che non ci sono più e non sanno quello che mi hanno insegnato, ma il segno del tempo rimane
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No, non siamo tutti amici.
No, non basta aver passato una serata insieme per chiamarmi amico.
No, amico non è un modo di dire.
È una parola che porta con sé un mondo di emozioni, promesse e intimità.
Non puoi chiamarmi amico e non guardarmi negli occhi.
Non puoi chiamarmi amico e non dirmi la verità.
Non puoi chiamarmi amico e celare, evadere, passare oltre.
Non puoi chiamarmi amico se conosci le cose importanti per me e scegli di ignorarle perché ti fa fatica.
Non puoi chiamarmi amico se ti ricordi di me solo quando ti conviene.
Non siamo tutti amici.
Non sono tuo amico se ci facciamo una foto insieme.
Non sono tuo amico se ti sorrido.
Non sono tuo amico se ci prendiamo un caffè.
Sono tuo amico se mi confido.
Se ti ascolto, se non mi distraggo, io che mi distraggo sempre.
Sono tuo amico se evito i consigli stupidi.
Le frasi fatte. Le soluzioni a portata di mano.
Se so ascoltarti e semplicemente stare.
Anche in silenzio, che a volte serve.
Sono tuo amico se conosco le parti più remote e assurde di te e le amo, le amo quanto amo le parti più remote e assurde di me.
Sono tuo amico se insieme sappiamo ridere fino alle lacrime.
Sono tuo amico se so chiederti scusa guardandoti negli occhi.
Se so dirti sinceramente che mi dispiace, che ho sbagliato. E che insieme possiamo ricominciare. Non una, ma mille volte.
Perché non sei amico se non sbagli mai, ma se hai voglia di ripartire sempre.
E infine sono tuo amico se per te riesco a fare una chiamata, perché io odio chiamare le persone.
Mi sembra sempre di disturbarle.
Un amico invece non si disturba, mai.
Sei mio amico se posso dirti che ti voglio bene.
Conoscendo il significato più puro del termine e credendoci.
E se tu puoi fare lo stesso con me.
@Anna Milanese
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unafarfallablu · 8 months
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Avevo tredici anni quando hai iniziato ad insistere affinché finissi la scuola per iscrivermi all’università.
Come se avessi già programmato tutto,
“Studia, studia sempre e tanto, poi prendi il primo volo e non tornare mai più se non per salutarmi ogni tanto.”
Poi sei andato via tu, di punto in bianco non ti ho più visto la sera rientrare dal lavoro, la tua macchina non passa più su quella stradina, non parcheggi più al solito posto, e non mi vieni più a citofonare alle dieci del mattino di ogni giorno d’estate perché vuoi il caffè, per poi lamentarti che dormo troppo e non dovrei.
Io non ti vedo piu, eppure ancora come quando avevo tredici anni, tu sei l’unico che sa del mio cuore.
Hai saputo guardarmi negli occhi quella sera e riconoscere che mi ero innamorata per la prima volta, e per la prima volta stavo soffrendo per amore:
“Quindi è arrivato quel giorno? Non ti preoccupare, tutto il dolore che sentì ben presto ti sarà più chiaro. Ricordati di non smettere di mangiare, esci spesso e vivi più intensamente che puoi.”
Riconosci ogni volta nel mio silenzio tutte le mie paure.
“Guarda che ci riesci, tu provaci e se va male, provaci ancora.”
Mi hai insegnato più di tutti l’amore, il rispetto, l’educazione che serve per stare al mondo, e poi la libertà,
Quella per cui mi dici sempre di combattere, quella a cui mi dici di non rinunciare.
Mi hai insegnato la fatica, e come sia inutile e frivolo ogni cosa che conquisti senza.
“Guarda che se vuoi una cosa, devi combattere per averla, se qualcuno te la regala che senso ha?”
Mi hai insegnato l’amore per chi ti ha dato amore.
“Non dimenticare il bello che c’è stato, conserva tutto anche quando poi ti fanno male.”
Io da bimba ti guardavo come si guardano i supereroi dei cartoni, i tuoi occhi verdi erano per me tutto l’amore che avevo, oggi ho 23 anni, fingo spesso di non aver mai bisogno di nessuno e tutto quello che posso fare da sola lo faccio e se non posso, provo a cavarmela ugualmente, ma quando per un solo giorno io ti abbraccio e ti guardo negli occhi, torno quella bimba piccola che tenevi per mano, come in quella foto che ho sempre con me e che tu mi dici di conservare: “perché guarda che ragazzo bello, dimmi tu se riuscirai a trovarlo uno così.”
L’unico augurio che faccio a me stessa e di trovare un giorno un uomo che ti assomigli almeno un po’, perché tu per me sei l’esempio che il mio cuore custodisce.
A te e ai tuoi occhi io devo tutte le cose buone che sono oggi.
Mi manchi.
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ross-nekochan · 2 years
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Lunedì ho risposto ad un annuncio di lavoro. Era un annuncio per camerieri. Proprio così.
Ma sei scema? Sei laureata e ti metti a fare la cameriera? Sì. Ho sempre detto che non disegno il lavoro manuale. È un po' come la palestra: sei stanco, ma di quella stanchezza che ti fa sentire vivo. In secundis, l'avrei fatto come cosa momentanea, nell'attesa di qualcosa di più "grosso", per darmi un impegno e per racimolare qualche soldo, dato che la paga era anche più di quanto mi aspettassi (poi arriviamo alla fregatura). Era questa l'idea.
Già dal primo giorno, questa nuova realtà mi ha fatto riflettere (un po' troppo). Strano quanto possa accenderti il cervello lavorare fisicamente. Avevo venduto il mio tempo e le mie energie, un'altra volta. Ero delusa da me stessa, ma che ci posso fare se in questo mondo si campa a suon di compravendita? Non avevo più il tempo di leggere un libro, né le forze mentali per farlo. Il secondo giorno sono caduti altri altarini, come accade in quasiasi azienda: nel momento in cui si lavora, si lavora; prima e dopo, via di frecciatine, inciuci e lamentele, quando basterebbe avere le palle di parlare in faccia. Il terzo giorno il mio corpo ha cominciato a chiedere pietà (ovviamente è anche una questione di poca abitudine, but still stare in piedi quasi 10h no stop per tre giorni non è bello per nessuno). Il quarto e ultimo giorno è stato oggi: mi sono svegliata alle 11:30 perché fortunatamente avevo la mattina libera ma con un dolore lancinante alle cosce, non dico da non riuscire a camminare ma comunque molto doloranti (cammino regolarmente 10km al giorno senza dolori). Oggi, sabato sera con un turno dalle 17:00 alle 02:00, perché, come è normale che sia, dopo il servizio, non hai finito di sgobbare: tocca la mazzata finale del lavare e pulire a terra.
Parlare dei social è essenzialmente autoreferenzialità quindi quello che scrivo non arriverà a chi vorrei che arrivasse perché siamo così tanto due mondi distanti che mai leggerà queste parole, ma lo scrivo comunque: la schiavitù non è scomparsa. Nemmeno in Italia, figuriamoci nel mondo. Non dovete essere gentili con chi vi serve al tavolo, di più. Se sono lì a sgobbare chiedetevi in che cazzo di condizioni vivono. Siate umani, più del solito. Dove ho lavorato per questi 4 giorni, come cameriera c'era una madre di famiglia di 44 anni. Una madre che torna a casa alle 2 di notte e che i figli forse li vede 3h al giorno. Un'altra madre di famiglia che per mestiere lava i piatti. Un'altra che aiuta in cucina. Tutto questo per cifre ridicole. Io non lo so chi glielo fa fare. Perché ovviamente si sanno lamentare, ma pochi hanno il coraggio di cambiare. E chi sono io per dire che è mancanza di coraggio e non necessità?
Mi ha fatto male rendermi conto della mia situazione di privilegio. Non sono povera, non ho bisogno di soldi per vivere. Già questo mi mette in una condizione di superiorità a chissà quanta altra gente. Mi sono quasi commossa al pensiero di quelle madri.
Posso capire i datori di lavoro, ma non li posso giustificare quando si trovano di fronte a queste realtà, come fanno a non adeguare il compenso alla fatica messa dagli altri. D'altro canto non riesco nemmeno a capire la scelta di vita, dato che il passo da datore a imprenditore non lo si vuole compiere e per questo si finisce per vivere per lavorare. Ok bravo guadagni 1000€ al giorno ma poi lasciate vostro figlio dalla nonna per 3/4 di giornata. Quand'è che godrete di questi guadagni se sgobbate pure voi per dirigere la baracca? Questa è vita, per voi?
Stasera ho finito il turno alle 2:00, adesso sono le 5 del mattino e non voglio sapere domani quali saranno i dolori alle gambe che avrò, dopo che ho camminato altri km sui dolori che già avevo e che non ho sentito più a causa dell'adrenalina che devi necessariamente avere per essere scattante in tutto quello che fai. Lo considero un lavoro usurante eppure nessuno lo penserebbe mai, ma sì, usura. Non penso sia un lavoro da fare oltre alle 3/4 volte alla settimana e non ci voglio pensare a quelle madri di famiglia (o anche ai ragazzi più piccoli o miei coetanei) che lo fanno 6 o 7 volte alla settimana, per anni. Che macchine da guerra - letteralmente: macchine. Perchè o fai così o perisci: questo è lo schiavismo figlio diretto del capitalismo contemporaneo.
In questi 4 giorni ho lavorato (per non dire sgobbato) 26h e ho guadagnato 140€ ovvero 5€/h. Pensateci tutte le volte che venite serviti da qualcuno, al bar, al ristorante o in pizzeria.
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occhicolmi · 5 months
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Sento il disperato bisogno di fare chiarezza nella mia vita, ma al tempo stesso sto evitando sempre di più la questione perché, fondamentalmente, mi spaventa comprendere quale sia la risposta ai miei problemi. Sento il bisogno di scrivere per riflettere e prendere consapevolezza di quello che non va, ma so che fare questo richiede tempo, e finisco sempre per rimandare la questione, lasciandomi distrarre da altre cose.
Sono profondamente grata al 2023 e a tutto quello che ho imparato. Non è stato un anno semplice, ma sicuramente è stato un anno pieno di cose belle e inaspettate. Ho sperimentato per la prima volta nella mia vita cosa vuol dire avere un lavoro, andare in ferie, firmare un contratto, svegliarsi presto la mattina e impegnarsi a fare qualcosa per cui sai che, prima o poi, riceverai un compenso. Andare a scuola, studiare all'università, per quanto possano sembrare percorsi simili a quello lavorativo, sono stati per me qualcosa di completamente distante rispetto a ciò che si è rivelato essere il mio primo lavoro: all'inizio non è stato semplice abituarmi alle mansioni che mi sono state affidate, spesso schematiche e, per me che ero alle prime armi, senza una precisa funzione e collocazione. Lo studio richiede una grande organizzazione e un'ottima capacità di collegare e immagazzinare argomenti: sicuramente queste skills mi sono state utili anche al lavoro, ma di certo non rappresentano le principali qualità necessarie per svolgere le mie mansioni. Di conseguenza, mi sono dovuta adattare a ciò che mi è stato richiesto: essere veloce ed elastica, ma anche attenta e precisa, spaziare da un'attività all'altra in base all'ordine delle priorità, imparare a utilizzare abbastanza in fretta software di cui prima non conoscevo l'esistenza. Inoltre, all'inizio non è stato semplice scendere a patti col fatto che non avrei usato praticamente nessuna delle nozioni acquisite durante gli anni di università. Sinceramente trovo frustrante questo aspetto, ed è qualcosa con cui devo ancora scendere a patti. Comunque, col tempo ho imparato a cavarmela, e anche se continuo a fare errori e faccio ancora fatica, posso dire con certezza di aver fatto tanti progressi. Sto ancora imparando a comunicare, a chiedere aiuto quando c'è qualcosa che non va, o che non so fare, ed è un lavoro utile non soltanto alla professionista che voglio diventare, ma anche a livello personale. E' sempre stato difficile per me condividere apertamente i miei pensieri, non avere filtri riguardo le cose che non comprendo, soprattutto se mi viene richiesto di farlo con persone estranee. So bene quanta fatica faccio ogni volta che apro la bocca per chiedere aiuto: per tutta la vita sono sempre stata la persona che ha aiutato gli altri, la spalla su cui piangere, l'amica a cui chiedere consigli, la compagna di classe, e poi di università, su cui contare durante un compito in classe o un progetto di gruppo. A scuola, ero la persona che gestiva il proprio gruppo di studi, durante l'università, ero spesso la leader dei progetti di cui mi sono occupata, così come non di rado i miei compagni chiedevano a me quando avevano bisogno di consigli riguardo alcuni argomenti che non avevano capito, o per un esame che magari avevo già superato. Questa era l'immagine che ho dato di me, e che ho avuto di me stessa, per venticinque anni della mia vita: una persona che, tra alti e bassi, se l'è sempre cavata da sola, e che non si rifiuta mai di dare una mano agli altri. A quanto pare, però, quest'anno il mio modo di affrontare i problemi non ha più funzionato, perché in azienda - almeno, in questa - chiedere aiuto è fondamentale. Non devo cavarmela da sola, devo chiedere aiuto ad altre persone. Non sono io ad aiutare gli altri, sono gli altri ad aiutare me. Guardando la situazione dall'esterno, beh, mi sembra abbastanza logico che debba essere così: non sai fare qualcosa, chiedilo! Non capisci qualcosa, chiedilo!, un processo lineare ed estremamente semplice, purtroppo, però, non per me che sono stata abituata a un'impostazione completamente diversa (e, a dirla tutta, anche a una vita dove le persone che mi sono venute incontro tendendomi una mano sono state ben poche. Direi, anzi, quasi nessuna). Mi sento così stupida per non riuscire a fare una cosa così semplice. Prenderne consapevolezza è stato il primo passo.
Benché sia davvero grata al mio lavoro e alla fortuna che ho avuto durante lo scorso anno, mi rendo conto che non mi basta più. La vita che vivo mi sta stretta. E' difficile esprimermi apertamente su questo argomento: ogni volta che inizio a fare questi discorsi nella mia testa, mi sento terribilmente ingrata ed egoista. La verità è una soltanto: fare questo lavoro non mi rende pienamente soddisfatta. E' inutile girarci intorno e farmi prendere dai sensi di colpa. Certamente, se chiedessi l'opinione di persone estranee, mi risponderebbero esattamente come l'asfissiante voce nella mia testa: Come fai a non essere soddisfatta con un lavoro così? Con un contratto del genere? E con uno stipendio del genere, praticamente sotto casa tua! Ma sei impazzita? Altre persone farebbero carte false per essere al tuo posto! Sei fortunata e ingrata! Per quanto queste frasi continuino a riempirmi il cervello, non riesco ad evitare di sentirmi così.
Riassumendo: sono grata alle meravigliose opportunità che mi ha dato il 2023, ma vorrei creare altrettante meravigliose opportunità per il 2024 e, possibilmente, vorrei evitare di continuare ad arrancare in una situazione che non mi rende felice. Penso ci vorrà molto più tempo del previsto per trovare tutte le risposte che cerco (di certo molto più del tempo che, in questo preciso momento, ho a disposizione). Rimando quindi questo difficile lavoro di introspezione a un momento successivo, ma penso che, prima di partire con un'analisi dettagliata di tutto quello che non funziona nella mia vita in questo momento, sia prioritario farmi queste domande:
Cosa voglio veramente?
Cosa sto cercando?
Quali ricordi voglio creare?
Quali sono le cose che potrebbero rendermi orgogliosa e fiera del mio percorso di vita quando avrò ottant'anni?
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