Tumgik
#Toscana rosso
wine-porn · 1 year
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Sky Pilot
Musty and flat, the light body far into garnet–brown, basically–a tired swill of boredom and depression, completely forgettable in bouquet: worm castings and moldy detritus, swollen and bruised, fruitless to a tee. In the mouth, slight acidic burn announces rustic blandness in a projected service ideal only red-checkered-tablecloth, Linoleum-floored Italian joints could possibly pass off as vin…
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jamesthewineguy · 6 months
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18arte · 8 months
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tramonto toscany
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tramonto tra asciano e chiusure in toscana, settembre 2023. Crete senesi
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victorianrob · 2 years
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Siena
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A San Quirico d’Orcia dal 22 al 25 aprile la mostra mercato del vino Orcia. Biglietti in vendita onlineOrcia Wine Festival, degustazioni ed escursioni nelle cantine per quattro giorni con il vino Orcia nel paesaggio più bello d
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food-and-catering · 2 years
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Ottimo vino del Castello del Terriccio #vino #vinorosso #tassinaia #castellodelterriccio #2015 #ottimovino #regalo #italia #italy #red #rosso #redwine #wine #toscana #toscany #vinopregiato #vinoitaliano #wineitaly (presso Empoli) https://www.instagram.com/p/CJBFPjfjPP5/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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divulgatoriseriali · 2 years
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I vitigni d'Italia: il Sangiovese, il vitigno a bacca nera dei giorni caldi...e delle notti fresche!
Nuova rubrica Enologia!!!! A cura del nostro nuovo autore, Riccardo Gavelli, sommelier e fondatore di Wine It Uk, azienda che esporta i migliori vini italiani nel Regno Unito. non perdetevi il suo primo articolo sul vitigno sangiovese!
Il Sangiovese è il vitigno italiano più diffuso in Italia (le aree coltivate coprono l’11% della superficie viticola nazionale); è un vitigno a bacca nera e viene coltivato dalla Romagna alla Campania, nonostante sia il vitigno più diffuso nella mia casa Toscana. Sono a oggi 243 i vini DOC e DOCG dove viene impiegato il Sangiovese. Ma facciamo prima un breve excursus dei vitigni tradizionali…
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filorunsultra · 2 months
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Syrah quel che Syrah
Cortona è nota per un codice musicale del Duecento conosciuto come Laudario di Cortona Ms. 91 e conservato all'Accademia Etrusca. È un laudario, cioè un libro che contiene delle laude, canzoni a tema sacro con testo in volgare e di uso non liturgico. Il repertorio laudistico del Duecento ci è arrivato principalmente grazie a due codici: il Magliabechiano Banco Rari 18 di Firenze, che ha delle bellissime miniature ma è pieno di errori di notazione, e il Laudario di Cortona. Mi trovo con Raffaele in un'auto a noleggio sulla Modena-Brennero quando chiamo la bibliotecaria dell'Accademia Etrusca per vedere il codice: mi dice che non è visionabile, cioè, non oggi, forse se arrivassimo prima dell'una, d'altronde ogni giorno qualcuno chiede di vederlo, poi c'è il figlio da prendere a scuola, magari scrivendo per e-mail, o presentandoci come piccolo gruppo... comunque sarebbe meglio rimandare. Dopo quindici minuti di conversazione circolare riaggancio il telefono. Stiamo andando in Toscana per un convegno sul Syrah coordinato da Raffaele, a cui mi ha chiesto di accompagnarlo non so bene perché. La scusa del Laudario era stata buona fino all'uscita dell’autostrada di Affi, poi anche quella era crollata e di lì in poi mi sarebbero aspettati soltanto tre giorni di chilometri di corsa, vino biodinamico e cene a base di chianina (oltre a essere vegetariano, Chiani è il cognome di mia mamma e solo l'idea di mangiare una così bella mucca, che per di più porta il nome di mia madre, mi provoca orribili dolori enterici).
Cortona si trova su una collina affacciata sulla Val di Chiana, più o meno ad equa distanza tra Siena, Arezzo e Perugia. È un classico borgo medievale da "Borgo più bello d'Italia" (ogni borgo italiano è "il più bello d'Italia"). Una rocca sulla cima, qualche chiesa, dei cipressi, un grazioso cimitero e tutte quelle cose inequivocabilmente italiane: l'alimentari, l'enoteca, il bar (da leggersi i' barre, con raddoppiamento sintattico). Turismo, a marzo, poco, e comunque tutto anglofono e interessato solo a due cose: Cortona DOP (principalmente Syrah e Merlot, e in minor parte Sangiovese) e tagliata di chianina. La campagna sotto alla città e la strada regionale che porta in Umbria sono misurate dalle insegne delle centinaia di cantine e dai cartelli con gli orari delle degustazioni. Da Trento a Cortona si impiegano circa quattro ore e così, svincolati anche da quell'unica incombenza presso la Biblioteca Etrusca, a circa metà strada usciamo a Castiglione dei Pepoli, sull'Appennino Bolognese, in cerca di un piatto di fettuccine.
Il lago Brasimone è un bacino artificiale costruito nel 1911. Dal lago attinge acqua una delle uniche due centrali nucleari attive in Italia. Leggendo dal sito ufficiale dell'ENEA: "Il Centro del Brasimone è uno dei maggiori centri di ricerca a livello nazionale e internazionale dedicato allo studio e allo sviluppo delle tecnologie nei settori della fissione di quarta generazione e fusione nucleare a confinamento magnetico. Rilevanti sono le competenze disponibili sulla tecnologia dei metalli liquidi, sui materiali innovativi per applicazioni in ambienti severi, sulla prototipazione di sistemi e componenti per applicazioni ai sistemi energetici anche nucleari." Attraversando in auto la diga, verso la trattoria, Raffaele mi racconta che il referendum sul nucleare del 1987 bloccò la produzione di energia nucleare ma non la ricerca. La centrale nucleare del Brasimone (anche se non è una vera centrale) ricorda vagamente Chernobyl: il camino bianco e rosso, la cupola di cemento del reattore e i boschi tutto attorno, non ci sono invece i classici camini di raffreddamento, dandole un'aria più domestica. Accanto al lago c'è una trattoria sgarrupata per gli operai della centrale. Come in tutte le bettole per operai e camionisti, si mangia divinamente ma non leggero, segno premonitore dell'imminente cena.
L'albergo a Cortona è un quattro stelle e per aperitivo ci offrono cantucci e Vin Santo. Le quattro sciure che ci lavorano sono fin troppo disponibili e ci ammorbano parlandoci dei biscotti. Una volta arrivati in albergo io e il Raffa facciamo una corsa di acclimatamento attorno al paese che mi apre una voragine in pancia, rendendomi sempre più insofferente per quella cena. Restiamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Giorgia, una delle relatrici del convegno. Ho l'impressione di essere lì da delle mezzore quando finalmente Giorgia scende dalla camera.
La cena è alla Marelli, una cascina in mattoni rossi di proprietà della famiglia Marelli della famosa Magneti Marelli, e per metà affidata a Stefano Amerighi Vignaiolo in Cortona (da leggersi tutto insieme, di fila, senza virgola), amico e cliente di Raffaele e organizzatore del convegno. Mi aspetto una cena formale in cui mantenere un contegno istituzionale ma si tratta di tutt'altro. La tavola non è apparecchiata e anzi la stanza è alta e semivuota. Ci sono un grande caminetto al centro, un divano, due poltrone, una grande credenza piena di bottiglie vuote di Syrah francese e nient'altro. Siamo in dodici a cena ma arriviamo presto e ci sono ancora solo tre vignaioli francesi già piuttosto avanti col vino e coi trigliceridi, un broker di borsa collezionista di bottiglie d'annata e Francesco, un dipendente di Stefano. Come me, neanche Giorgia conosce nessuno e mi sento meno solo, inoltre lei è un'ingegnere: di vino ne sa più di me ma è comunque fuori contesto. Così ci mettiamo in fondo alla tavola, separati dagli altri commensali da Raffaele, che emana sapienza anche per noi. Il broker stappa una magnum di Champagne e così inizia una serata destinata a durare ore e inframmezzata da un'innumerabile sequela di portate e bottiglie di vino (in realtà, per scopi puramente antropologici, le ho contate: undici, di cui una magnum). L’ospite arriva solo al terzo bicchiere di Champagne: Stefano è sulla cinquantina, capelli e barba brizzolati e occhiali da vista Celine con montatura nera. Neri anche il maglione, i pantaloni e le scarpe. Sulla credenza ci sono dischi di Paolo Conte e qualche cd generico di musica classica, di quelli che si trovavano una volta in edicola e che contenevano qualche grande classico come Tchaikovsky e Beethoven, più qualche russo un po' più ricercato ma meno sofisticato, che ne so, Mussorgsky. Stefano è un melomane, ha scoperto l’opera da adolescente col Così Fan Tutte e poi da Mozart è arrivato a Verdi. Da giovane frequentava il Regio di Parma, che dice fosse il suo teatro preferito (mah), apprezzava anche l’orchestra del Maggio mentre non trovava nulla di eccezionale nella Scala (ancora: mah). Era talmente appassionato d’opera che chiese a sua moglie di sposarlo durante una Boheme, che però raccontandolo attribuisce erroneamente a Verdi. Io mi irrigidisco ma evito di farlo notare, i lapsus capitano a tutti e io non voglio fare quello che alza il ditino per correggere il padrone di casa, così annuisco e continuo ad ascoltarlo. Insieme a lui arrivano anche altri tre vignaioli biodinamici siciliani. Il più anziano, un distinto signore sulla settantina (che avrei scoperto essere l'unico altro vegetariano nella stanza) e i suoi due collaboratori, non molto raffinati in realtà. Alla terza bottiglia di bianco sono iniziati i rossi e, insieme ad essi, un simpatico giochetto in cui gli ospiti dovevano indovinare il vino. Raffale sembrava particolarmente bravo a questo gioco e per un po' ho avuto l'impressione che i due siciliani non facessero che ripetere quello che diceva lui. Anche il broker sapeva il fatto suo e la cosa aveva iniziato a prendere una piega deliziosa. In queste cene, mi ha spiegato Raffaele, ognuno porta qualche bottiglia e il cibo diventa più che altro un modo per continuare a bere. Dividendo una bottiglia in tanti, nessuno riesce a bere più di un paio di dita di ogni bottiglia, per cui il tasso alcolemico, una volta raggiunta una certa soglia, non si alza ulteriormente ma resta più che altro stazionario per tutta la durata della cena, facendo più che altro i suoi peggiori effetti il giorno dopo.
Quando chiedo a Raffaele se in quell'ambiente ci siano problemi di alcolismo, lui mi risponde che "da un punto di vista patologico, probabilmente no, o almeno non diffusamente, ma in una forma latente sì. Tra cene, presentazioni e fiere, i vignaioli bevono tutti i giorni. Inoltre, durante le cene come questa, si è diffusa sempre di più l'abitudine di aprire la bottiglia tanto per aprirla, spesso finendola in fretta per passare a quella dopo, o buttandone via metà, nella sputacchiera, passata di mano in mano con la scusa di gettare i fondi, e per far spazio alla bottiglia appena aperta. Così non ci si prende il tempo per lasciar evolvere il vino e per vedere come cambia nel corso della sera. È un atteggiamento bulimico e anche poco rispettoso nei confronti di una bottiglia che un povero vignaiolo ha impiegato un anno per produrre. Ogni volta che qualcuno prova a parlare di alcolismo in questo ambiente il gelo tronca ogni possibile discorso, e d'altronde nessuno è interessato a farlo, perché vorrebbe dire mettere in discussione l'intera economia del settore: quando dieci anni fa crollò definitivamente l'idea del vino come alimento centrale per la dieta mediterranea e si capì finalmente che berlo fa male, la comunicazione dell'industria vitivinicola si spostò sul suo valore culturale. Cosa di per sé anche vera, se non che la cultura del vino non sta nella bottiglia ma nel territorio; mentre l'esperienza enologica si ferma sempre alla degustazione e non si spinge mai alla vera scoperta del territorio e della sua storia, soprattutto in Italia." Insomma, quello che dovrebbe essere il pretesto diventa lo scopo.
Durante la cena apriamo una bottiglia di Cornas del 2006, l'ultima annata del vignaiolo che l’ha prodotta, un tale Robert Michel, prima che andasse in pensione. Raffaele mostrandomi la bottiglia mi fa notare che la parola più grande sull'etichetta non è il nome del vignaiolo, che invece è scritto piccolo in un angolo, né dell'uva, Syrah, anche questa scritta in piccolo, ma il nome del vitigno, cioè il posto in cui è stato fatto. Ed è scritto al centro, a caratteri cubitali: Cornas. In Francia il brand non è il nome di fantasia dato al vino dal vignaiolo, ma il nome del posto. Questo fa sì che le denominazioni siano molto più piccole e controllate che in Italia, e che attorno a queste denominazioni si costruisca un'identità più profonda. Lungo il Rodano francese, ad esempio, si trova questo paese, Cornas, dove si coltiva solo Syrah. Il cliente finale sa in partenza che non sta comprando tanto una cantina, ma un territorio, e una storia. Dopo il Cornas, aprono una bottiglia di Pinot Nero del 1959 (puoi avere il palato di una pecora come il sottoscritto, ma l'idea di bere un intruglio fermo in una cantina da 65 anni esalterebbe chiunque). Beviamo qualche altra bottiglia di Syrah di Stefano e in fine un Marsala perpetuo prodotto secondo il metodo tradizionale di produzione del Marsala, prima che gli inglesi lo trasformassero in una specie di liquore aggiungendoci alcol e zucchero per farlo arrivare sano in patria, e che viene prodotto con un sistema che ricorda quello del lievito madre.
Sopravvissuti alla cena, verso le 2 rientriamo in albergo per cercare di dormire prima del giorno successivo. Come accade le rare volte che bevo, il sabato mi alzo prima della sveglia. Devo rendermi presentabile per il convegno, a cui Raffaele mi ha incaricato di registrare gli accrediti per giustificare la mia presenza in albergo. Il convegno si tiene in una bella sala del Museo Etrusco di Cortona in cui sono conservate cose random: sarcofagi egizi, spade rinascimentali, accrocchi di porcellana settecenteschi di rara inutilità, collezioni numismatiche, mappamondi e altre cose. Una volta assolto il mio unico dovere, ritorno in albergo e mi cambio, metto le scarpe da corsa e imbocco la provinciale che porta al Lago Trasimeno.
Micky mi ha programmato un weekend di carico con un lungo lento il sabato e una gara la domenica (vero motivo della trasferta) che farò con Raffaele a Reggio Emilia. Si chiama Mimosa Cross ma non si tratta di un vero cross, è più che altro una 10 chilometri su asfalto, seguita da una salita sterrata sui colli di 500 metri di dislivello e da un'ultima discesa in picchiata stile Passatore. 23 chilometri scarsi e 500 metri di dislivello. Tornando da Cortona, il pomeriggio del sabato, passiamo per Firenze ad accompagnare un’oratrice del convegno, e per uno sperduto paesino sui colli bolognesi per accompagnare Giorgia, che sospettiamo ancora in hangover dalla sera prima. Infine: Reggio nell'Emilia. A cena io e Raffaele riusciamo comunque a bere una birra.
La mattina dopo diluvia, a Reggio fa freddo e tira vento. Albinea, da cui parte la gara, è invasa di persone e dimostra l'indomito podismo di queste lande. Dopo aver tergiversato per qualche quarto d'ora in macchina, per cercare di digerire una brioches troppo dolce, decidiamo finalmente di scaldarci. Poi partiamo: primo chilometro 3'41'', secondo chilometro 3'40''. Passo al quinto chilometro 40 secondi più lento del mio personale sulla distanza, ma non sto malaccio. Poi la strada gira e inizia a salire. La pendenza è impercettibile alla vista ma il passo crolla di 30'' al chilometro. Sono isolato e quelli davanti a me prendono qualche metro, sono attorno alla quindicesima posizione. Inizio a cercare scuse: sono alla fine di una settimana di carico, ho il lungo del giorno prima sulle gambe e il Cornas del 2006 sullo stomaco, poi inizia la salita. Quando inizia lo sterrato cambio gesto e inizio a rosicchiare metri a quelli davanti: via uno, via un altro, come saltano gli altarini, bastardi. In salita un tale dietro di me inizia a urlare grida di dolore, la prima volta fa ridere ma poi inizia a diventare fastidioso, così lo stacco per non sentirlo più. Il maledetto in discesa mi riprende e rinizio a raccontarmi scuse. Valuto seriamente di fermarmi al ristoro per aspettare Raffaele e penso ad altre cose ridicole a cui generalmente mi aggrappo quando mi trovo in una zona di effort in cui non sono abituato a stare. Ragiono sul fatto che è la prima volta che faccio una gara sull'ora e mezza: le campestri sono simili come tipo di sforzo ma sono molto più corte. Nel frattempo i chilometri passano e finalmente inizio a vedere il paese. Sull'ultimo strappo riprendo un tipo e lo stacco sul rettilineo finale. Traguardo, fine, casa.
Quando racconto al Micky che un paio di persone mi hanno superato in discesa mi dice che dobbiamo diminuire il volume e aumentare la forza: mi dimostro poco interessato alla cosa. Cerco di spiegargli che la priorità non sempre è migliorare e che non a tutti i problemi bisogna cercare delle soluzioni, e che preferisco divertirmi e godermi il processo senza chiedere di più alla corsa. Roby allora mi ha chiesto a cosa serva un allenatore: a migliorare, certo, ma non significa che questa sia la priorità. Non sono disposto a togliere tempo alla cosa che mi piace fare di più, e cioè correre, per fare degli esercizi orribili solo per non farmi superare da due stronzi in discesa o per correre in un'ora in meno la 100 miglia "X". Cerco di fare del mio meglio ma senza bruciare il percorso. Ho sentito spesso amici fare frasi del tipo "quest'anno voglio dare tutto quello che riesco a dare". No, non me ne potrebbe fregare di meno; preferisco arrivare tra 20 anni ancora con la voglia di correre e con qualcosa da scoprire. Non vincerò mai una 100 miglia e non sarò mai un campione, e questo è uno dei più grandi regali che il destino potesse farmi. Non devo impegnarmi a vincere niente perché semplicemente non posso farlo, così posso godermi il processo senza riempirmi la testa di aspettative e di puttanate, senza fare un wannabe e senza dover attendere le aspettative di nessuno. Posso semplicemente dare quello che ho voglia di dare nel momento in cui voglio darlo. Al 13 marzo 2024, nel TRC, sono quello che ha corso più chilometri di tutti, e forse sono l'unico che non ha ancora deciso che gara fare quest'anno. Perché non ha importanza, l'unica cosa che conta è uscire a correre, per il resto, Syrah quel che Syrah.
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crocodilesareboring · 2 months
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Grazie @mermaidemilystuff ❤️
Last song: Tu mi hai capito di Madame
Favourite colour: rosso
Last movie/TV show: Nuova scena (obv)
Sweet/Spicey/Savoury: savoury tutta la vita
Relationship status: felicemente fidanzato with the hottest tumblerina
Last thing I googled: tabella retribuzioni ccnl regione Toscana, una vita emozionante
Current obsession: ALLORA io vorrei ancora fare un terrario ma per problemi economici e felini mi sto prendendo benissimo con le scimmie di mare
Last book: il dépliant del ristorante indiano lol no in teoria sarebbe "Una terra promessa" di Obama ma sono piantato da un anno
Looking forward to: morire vedere la finale di masterchef / il pranzo di domenica all'osteria del tortellino
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carmenvicinanza · 1 year
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Caterina Bueno
https://www.unadonnalgiorno.it/caterina-bueno/
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Caterina Bueno, etnomusicologa e musicista che ha apportato un importante contributo alla nostra tradizione culturale, consentendo di recuperare molte canzoni popolari toscane e dell’Italia centrale, tramandate oralmente fino al ventesimo secolo.
Una ricerca che, fin dagli esordi, ha caratterizzato la sua attività di cantante, con esibizioni arricchite da esaustive presentazioni, rispettose delle fonti e finalizzate alla contestualizzazione dei canti.  Repertorio e arrangiamenti mai piegati alle logiche commerciali.
Nacque a Fiesole, il 2 aprile 1943 da Julia Chamorel, scrittrice svizzera e Xavier Bueno, pittore spagnolo. Aveva imparato a suonare la chitarra da autodidatta e, da subito, iniziato la sua attività di ricerca che l’ha portata a raccogliere e registrare centinaia di canti popolari toscani.
Ha fatto parte del Nuovo Canzoniere Italiano e delle prime sperimentazioni del gruppo Nuova Resistenza i cui spettacoli erano mélange di canzoni e brani teatrali accompagnati da notizie di storia e di cronaca.
Nel 1964, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nello spettacolo Bella Ciao che ha debuttato ha cantato il brano che più di tutti l’ha resa celebre: Tutti mi dicon Maremma Maremma (Maremma amara), che, negli anni è stato ripreso da un gran numero di cantanti tra cui Amália Rodrigues, Gabriella Ferri, Rosa Jimenez e Gianna Nannini.
Allo stesso anno risale la sua prima incisione La brunettina – Canzoni, rispetti e stornelli toscani che ha dato l’avvio a una carriera fatta di spettacoli e tour internazionali nei maggiori folk festival.
Il suo album La veglia, del 1968, contiene il brano E cinquecento catenelle d’oro, omaggiato in seguito da Roberto Vecchioni e Francesco De Gregori.
È stata diretta da Dario Fo nello spettacolo Ci ragiono e canto in entrambe le edizioni.
Per la sua tournée del 1971, ha scritturato Francesco De Gregori che, all’epoca, era un giovane cantautore.
In quegli anni è stata protagonista coi suoi brani e la sua ricerca di varie trasmissioni radiofoniche e televisive, italiane e internazionali e tour in Europa.
Durante un’intervista radiofonica sulla Rai, nel 1977, Caterina Bueno ha dato, in diretta la notizia che si sarebbe tenuta una manifestazione pacifica contraria alla costruzione della centrale termonucleare di Montalto di Castro. Questo ha determinato la sua esclusione dalla Tv nazionale fino agli anni 2000.
Ha continuato a esibirsi in Svizzera e in Francia, mentre in Italia veniva ospitata essenzialmente in circuiti alternativi e underground. La sua musica è stata il mezzo per agire il suo impegno politico e ambientalistico.
È stata protagonista di vari documentari come Caterina raccattacanzoni del 1967, Il tempo e la memoria del 1980 e Toscana – L’ora che volge al desio, trasmesso dalla RAI nel 1983.
Resta famosa la sua esibizione, nel 1995 quando, in un concerto di raccolta fondi, si è esibita insieme a Francesco De Gregori, Giovanna Marini, Mimmo Locasciulli, Claudio Lolli e Paolo Pietrangeli nel canto anarchico Nostra patria è il mondo intero.
Nel 1997 ha pubblicato il CD Canti di Maremma e d’anarchia, distribuito come supplemento del settimanale Avvenimenti.
Nel 2001 è uscito il suo CD Canzoni paradossali e storie popolari di dolente attualità, arricchito da una dedica di Antonio Tabucchi.
Negli anni 2000 mentre si esibiva a teatro, è stata ospite delle Lezioni di indisciplina ovvero La morte del denaro e Pensiero e gesto nell’arte e nell’economia, moderate da Philippe Daverio, alla  Sapienza di Roma e al Teatro Strehler di Milano.
Ha partecipato agli storici concerti Macchie di Rosso e Note di Rosso.
Nel 2005, ha ricevuto il riconoscimento Tradizioni ed oltre e suonato all’interno della Seconda Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria, si era impegnata a partecipare anche all’edizione successiva, ma i suoi compagni di viaggio hanno suonato anche per lei, che aveva lasciato la terra il 16 luglio 2007.
Nel 2006 il Comune di Firenze l’ha premiata col Fiorino d’oro, la massima onorificenza attribuita a personalità che rappresentano in maniera originale e significativa la cultura fiorentina e toscana in Italia e nel mondo e il Comune di San Marcello Pistoiese le ha conferito la cittadinanza onoraria.
Il suo ultimo concerto si è tenuto il primo settembre 2006 a San Giuliano Terme.
Caterina Bueno ha fatto la storia della musicale popolare italiana e ancora oggi viene ignorata dal grande pubblico.
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vinetasticsposts · 1 year
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La Loggia Toscaia Rosso Toscana IGT 2019
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wine-porn · 2 years
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Main Gig
Beautiful fire-engine ruby, deep, smoky black cherry in the nose, gracefully sharp in the way it expresses ridiculously clean old-world nuances on a bright, modern slate. Herbal and acidic notes are clean and vibrant, subdued and un-funky–more dusty than anything–edging the crisp raspberry into a calculated orbit. Equally subdued in the mouth: generous applications of pie-cherry combat overt…
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jacopocioni · 6 days
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Ubaldino Peruzzi de' Medici
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Ubaldino Peruzzi de' Medici nasce a Firenze il 2 aprile 1822, figlio di Vincenzo Peruzzi, gonfaloniere di Firenze e di Enrichetta Torrigiani. Discendente della famiglia Peruzzi che si era imparentata con la famiglia Medici alla fine del XVIII con il matrimonio tra Bindo Simone (il nonno) e Maria Luisa de' Medici ultima erede della famiglia Medici. La casa dei Peruzzi, posizionata in Borgo dei Greci, sorge sul luogo anticamente occupato da un orto di proprietà dei Peruzzi e su alcune case edificate a loro volta sui resti dell'anfiteatro romano di Firenze. Un'altra dimora dei Peruzzi, la preferita da Ubaldino, è la villa dell'Antella sulle colline fiorentine nel Comune di Bagno a Ripoli. Gli studi per Ubaldino cominciarono nel 1828 presso una scuola privata per poi proseguire presso il collegio Cicognini di Prato. Nove anni dopo, nel 1837, il granduca concesse l'ammissione al collegio Tolomei di Siena, luogo dove studiavano i figli della nobiltà toscana. Conseguì la laurea in tre anni diventando dottore in legge nel 1840. Lo zio paterno, Simone Peruzzi, insistette molto e convince il padre di Ubaldino ad affiancarlo a lui presso Parigi dove lo zio era in affari presso il re di Francia. Ubaldino nel periodo parigino frequentò la École des mines dove conseguì un diploma in ingegneria mineraria nel maggio 1843.
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Grazie a questa formazione, al suo rientro a Firenze, diversificò i suoi investimenti in nuovi settori come quello ferroviario, assicurativo e ovviamente minerario. Nel dicembre 1847, alla morte del padre ed entusiasta delle riforme di Pio IX, si lega alla realizzazione dell'ordinamento della guardia civica meritandosi nel 1848 un pubblico ringraziamento dal Municipio Fiorentino. La sua visibilità fu accresciuta anche  dall'essere diventato, nel 1848, capo della commissione incaricata di trattare il rientro dall’Austria dei prigionieri toscani. Eletto nel 1948, nel nuovo Parlamento costituzionale sostituì come gonfaloniere il cugino Bettino Ricasoli. Se pur affetto da Vaiolo contribuì al colpo di Stato del 12 aprile 1849 e a stendere il successivo proclama con cui il Comune di Firenze assumeva i pieni poteri in nome del principe, rientrò poi nel suo ruolo di gonfaloniere.
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Si sposò, il 9 settembre 1849  con Emilia Toscanelli, nata a Pisa, e conosciuta nel salotto di Carlotta Marchesini Torrigiani. Grazie ad Emilia si istaurò a Firenze un grande salotto culturale conosciuto come il «salotto rosso» frequentato da una miriade di personaggi a partire da Edmondo De Amicis per finire con Cesare Alfieri. Mentre la moglie "creava" relazioni interpersonali il marito Ubaldino si dedica alla vita politica albergando tra i moderati; negli anni che seguirono l'Unità d'Italia si affermò nella vita politica nazionale.
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Il 27 aprile 1859 entrò nel Governo provvisorio della Toscana, dopo la definitiva partenza di Leopoldo II, dove fu nominato capo del governo provvisorio toscano. A livello nazionale divenne, nel 1860, deputato e lo rimase per dieci legislature in rappresentanza del primo collegio di Firenze. Fu Ministro dei lavori pubblici con il terzo Governo Cavour mantenendo la carica con il successivo Governo Ricasoli e poi Ministro dell'interno nel Governo Minghetti.
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Nel 1865 entrò nel Consiglio provinciale Toscano, divenne, dal 1865 al 1870, Presidente della Provincia Fiorentina per poi divenire Sindaco di Firenze per 8 anni fino al 1878. Durante la sua attività di Sindaco, nel 1876, contribuì alla fondazione del Collegio degli Architetti e Ingegneri in Firenze di cui fu nominato Presidente Onorario. Furono suoi i grandiosi progetti di espansione edilizia della città di Firenze rappresentati ed eseguiti poi dal piano Poggi. Ritiratosi a vita privata nella villa dell'Antella vi mori il 9 settembre 1891.
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Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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18arte · 2 years
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Tramonto asciano
Estate22
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thefinewinecompany · 19 days
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Distretti rurali regionali: il distretto del Chianti
I distretti rurali sono aree geografiche caratterizzate da un'economia agricola integrata e diversificata. Questi distretti favoriscono lo sviluppo locale attraverso la promozione di imprese agricole, artigianali e di servizi legati al territorio. Essi mirano a creare sinergie tra agricoltura, ambiente, cultura e turismo, sfruttando le risorse naturali e culturali della regione. I distretti rurali spesso promuovono pratiche sostenibili e valorizzano la produzione locale, contribuendo così alla sicurezza alimentare e alla coesione sociale nelle comunità rurali. Questi sono motori vitali per l'economia rurale, promuovendo la crescita e il benessere nelle aree meno sviluppate. Uno dei distretti rurali più rinomati del nostro Paese è quello del Chianti, prodotto icona del Made in Italy. Chianti: eccellenza enologica toscana Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay Il Chianti è un vino rosso iconico della Toscana, noto per il suo carattere vibrante e complesso. Prodotta principalmente con uve Sangiovese, questa prelibatezza enologica incanta i palati con note fruttate e speziate. Le colline ondulate del Chianti, tra Firenze e Siena, sono il territorio perfetto per la sua coltivazione, offrendo un equilibrio unico di clima e suoli. Celebrato per secoli, il Chianti rappresenta l'arte e la passione della tradizione vinicola toscana, continuando a deliziare gli intenditori di vino in tutto il mondo con il suo gusto distintivo e avvolgente. Le uve Sangiovese Le uve Sangiovese sono il cuore e l'anima non solo del Chianti ma anche di molti altri dei grandi vini rossi della Toscana come il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano. Queste pregiate uve hanno caratteristiche uniche nel loro genere: - Aromi e sapori: le uve Sangiovese producono vini con un'ampia gamma di aromi e sapori, che possono includere note di frutti rossi come ciliegie e fragole, accenti floreali e sottili sfumature speziate e terrose. - Acidità: questa varietà è nota per la sua acidità vivace, che conferisce ai vini una freschezza e una vivacità distintive. L'acidità ben bilanciata aiuta a dare struttura e longevità ai vini. - Struttura tannica: i vini prodotti con uve Sangiovese tendono ad avere una buona struttura tannica, sebbene non siano solitamente così potenti come alcuni altri vini rossi. I tannini contribuiscono alla sensazione in bocca e alla capacità di invecchiamento dei vini. - Versatilità: le uve Sangiovese possono essere vinificate in una varietà di stili, che vanno dai vini freschi e fruttati a quelli più complessi e strutturati. Questa versatilità consente ai produttori di creare una vasta gamma di vini che riflettono le diverse caratteristiche del territorio e lo stile di vinificazione. Un nome più sapori Il Chianti è suddiviso in diverse categorie, ognuna con le proprie specifiche normative e caratteristiche: - Chianti Classico: è il cuore tradizionale della regione del Chianti, caratterizzato dal simbolo del Gallo Nero sulle etichette. Deve essere prodotto nella zona del Chianti Classico, che comprende parti delle province di Firenze e Siena. - Chianti: è la categoria più ampia e può provenire da una vasta area che circonda quella del Chianti Classico. - Chianti Superiore: la designazione è riservata ai vini che provengono da un'area specifica all'interno della regione del Chianti e che hanno un tasso alcolico leggermente più elevato rispetto al Chianti tradizionale. - Chianti Rufina: è un sottotipo di Chianti che proviene da una zona specifica nella provincia di Firenze, nota come Rufina. - Chianti Colli Senesi: un altro sottotipo di Chianti provieniente dalla zona dei Colli Senesi, nella provincia di Siena. In copertina foto di Dieter Ludwig Scharnagl da Pixabay Read the full article
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