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#JacopoCioni
jacopocioni · 1 year
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Stracotto alla fiorentina
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Lo stracotto alla fiorentina è una preparazione che permette di usare tagli di carne di minor pregio e che di solito si presentano duretti dopo la cottura. Un piatto che segue gli stessi principi del peposo. Il tempo, lo stracuocere, permette di trasformare questa carne più ostica in un piatto delizioso. Di solito si usa la sorra che è un taglio di carne bovina sito nella parte anteriore della spalla. A Firenze si chiama sorra, ma in altre parti d'Italia trova nomi diversi. A Bologna, Perugia, Roma si chiama polpa di spalla, a Messina e Reggio Calabria è la spadda. A Bari, Foggia, Genova, L'Aquila, Napoli, Potenza, Torino, Trento e Vicenza è la spalla mentre a Rovigo si chiama il taglio lungo la spalla e per i veneziani è zogia. Ingredienti: 1 kg di sorra 1 cipolla 5 carote 4 coste di sedano 6 pomodori 2 bicchieri di Chianti sale pepe rosmarino olio toscano extravergine 1 spicchio d'aglio Preparazione:
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Perfetto sarebbe un coccio, cioè un tegame in terracotta, ma va bene anche l'acciaio. Per prima cosa si esegue un battuto di cipolla e aglio e lo si mette a soffriggere per alcuni minuti. Poi si introduce un rametto di rosmarino e la carne,  in modo da farla rosolare bene su ogni lato. Occorrerà circa 15 minuti. Ne frattempo che la carne rosola pulite le carote e il sedano. Tagliateli grossolanamente. Rosolata la carne metteteli nel tegame e togliete il rosmarino. Fate cuocere per altri 15 minuti e poi sfumate con i due bicchieri di chianti. Continuate la cottura per altri 30 minuti rigirando spesso la carne sui vari lati e a questo punto aggiungete i pomodori tagliati grossolanamente. Se volete potete prima sbollentarli e rimuovere la buccia ed anche i semi. Se i pomodori non hanno fatto abbastanza acqua aggiungetene un bicchiere, o il alternativa del brodo, avendo cura di alzare la fiamma per tornare velocemente all'ebollizione.
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Appena ricomincia a bollire abbassate la fiamma, coprite con un coperchio, e cominciate la lunga cottura. Anche sino a tre ore, dipende anche dalla dimensione del pezzo di sorra. La carne va girata 2/3 volte nell'ora e questo vi permette di vedere che non si asciughi troppo la preparazione, nel caso aggiungete liquidi. Terminata la cottura va fatta riposare la carne per una mezzoretta. Nel frattempo raccogliete tutte le verdure stracotte e la salsa e passatele con il passatutto. Potete impiegare questo tempo anche per preparare del purè che è un compagno perfetto per lo stracotto. Tagliate a fette la carne e servitela con la salsa passata e il purè. Non vi pentirete delle ore di attesa.
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jacopocioni · 10 months
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L'arte di Dory
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A differenza di cosa porta a pensare il titolo non parliamo di arte propriamente detta, ma di arte culinaria. L'arte di Dory è un ristorante di là d'Arno e questa è una recensione del locale in oggetto. In realtà l'arte c'entra perchè nel ristorante sono esposti quadri di contemporanei che sono anche acquistabili, tanto che c'è un angolo divano dove potersi sedere, dopo aver mangiato, e instaurare una contrattazione. Data la mia natura però, se decido di scrivere una recensione su un locale fiorentino è perchè sono stato conquistato dal lata mangereccio del posto, e di questo vi parlo. Dory è la donna con "le mani in pasta" perchè questa è la caratteristica del locale, la pasta fresca. E' inevitabile non accorgersene dato che la cucina da sulla vetrina stessa e basta soffermarsi per vedere la preparazione della pasta sul momento. Ravioli, pappardelle, tagliolini, tortelli di patate e relativi sughi a completare. Il sugo della casa, il classico ragù, il cinghiale, i funghi, senza dimenticare la classica ribollita o la pappa al pomodoro. Ognuno di questi piatti è fatto con amore e si sente.
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Sono stato tre volte a mangiare al L'Arte di Dory, con la moglie, con gli amici del consiglio dello Struscio Fiorentino (stasera struscio verde!!) e ci ho portato anche mia madre. Adesso cerco una nuova scusa per tornare. Purtroppo lo stomaco non consente di assaggiare tutto e quindi si deve reiterare.
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Ho parlato dei primi, della pasta fatta in casa, ma non posso non onorare l'ottima "ciccia" presente; che sia una tagliata o un filetto al pepe verde si percepisce subito che la materia prima è di qualità, come si apprezza subito la capacità di gestirla gustandosi un peposo. Un piatto difficile a differenza di ciò che si crede, dove la cottura nel vino fa la differenza e un errore nella quantità di pepe può rovinare tutto. Ecco, quello che ho mangiato era un perfetto equilibrio. L'imprinting del posto è quello che piace a me, un'evoluzione della trattoria, locale piccolo, familiarità nel gestirlo, prezzi onesti, cordialità. Tre persone in tutto, con la controparte di Dory che serve ai tavoli, sempre con una parola gentile o un consiglio per lo straniero che non conosce le pietanze. In mezzo ad una lacustre ed eccessiva presenza di ristoranti "acchiappa straniero", che ormai caratterizzano Firenze, L'Arte di Dory è un'eccezione. Ormai è diventato difficile trovare chi fa ristorazione per passione curando il sapore e non il marketing, a giro c'è apparenza ma non sostanza, ed è questa la ragione per cui recensisco di rado un locale. Quando lo faccio è perchè ne vale la pena. Quindi concludendo, a chi piace smandibolare consiglio una, o più di una, capatina in via dei Serragli al 78 rosso, sono certo che non sarà una serata dimenticabile.
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jacopocioni · 11 days
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Jacopo di Cione detto il Robiccia
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Jacopo di Cione, detto Robiccia, è nato a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella nel 1325 da una famiglia di artisti, primo tra tutti il fratello Andrea di Cione detto l'Orcagna (da non confondere con Andrea di Cioni detto il Verrocchio), ma anche gli altri due fratelli, Nardo e Matteo, furono pittori e architetti. Si formò come artista presso la bottega di Andrea Pisano e in quella di Giotto di Bondone, assieme ai suoi fratelli Andrea, Matteo e Nardo di Cione con i quali collaborò tutta la vita tranne nel periodo che va dal 1366 e il 1368 in cui lavorò da solo. In quel periodo realizza gli affreschi nel palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai. Ricordiamo una pala d'altare "La Crocifissione" un dipinto a tempera e oro su tavola che, dall'attuale via del Proconsolo, passò per svariate mani fino a quelle del reverendo Jarvis Holland Ash che nel 1896, dopo la sua morte, lasciò alla National Gallery di Londra dove ancora oggi è conservato.  Alla morte del fratello Nardo di Cione nel 1368 Jacopo è nominato erede al pari dei suoi fratelli Andrea e Matteo. Quando morì il fratello Andrea (l'Orcagna), sempre nel 1368, svariate commissioni rimasero incomplete e fu Jacopo che le terminò. Tra queste i dipinti della "Vergine e di San Matteo" per Orsanmichele e la grande tavola con "S. Matteo e quattro storie della sua vita" (conservata agli Ufizi) che era stata commissionata nel settembre 1367 dai consoli dell'arte del cambio.  Mel 1369 era impegnato in decorazioni ad affresco nella sede della Misericordia presso l'oratorio del Bigallo a Firenze. Jacopo di Cione era iscritto dal 12 gennaio 1369 all'Arte dei Medici e Speziali e ne divenne console nel 1384, 1387 e 1392.
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Tra le varie collaborazioni fu sovente quella con il pittore Niccolò di Pietro Gerini con cui dipinse l'altare della chiesa di San Pier Maggiore commissionata dalla famiglia Albizi. Anche buona parte di queste opere, i dodici pannelli principale, sono conservate alla National Gallery di Londra. Assieme a Niccolò Gerini realizzò anche l'affresco dell'"Annunciazione" nel Palazzo dei Priori a Volterra e L'"Incoronazione della Vergine" che fu commissionato dalla zecca fiorentina. Tra il 1378 e il 1380 Jacopo di Cione lavorò con l'ultimo fratello rimasto, Matteo, presso Santa Maria del Fiore all'epoca ancora in cantiere. Durante questo periodo anche Matteo morì e Jacopo lo sostituì nella scelta dei marmi da impiegare nel rivestimento esterno del Duomo. Jacopo di Cione morì a Firenze nel 1399. E con questo ho voluto ricordare un antico cugino...
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jacopocioni · 28 days
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Per chi abita in… Via Toscanella tra il Pozzo Toscanelli e la Madonna del Puzzo
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Via Toscanella è una stretta via che parte dallo Sdrucciolo De' Pitti e con un andamento leggermente curvilineo termina, diventando un vicoletto, in Borgo San Jacopo. In passato la via era frammentata in più vie con denominazione diversa. Da Borgo San Jacopo a Via dello Sprone, la parte più stretta della via, si chiamava Chiasso de' Marsili che poi diventò via del Forno. Qui la via si apre sulla famosa Piazza della Passera. Il tratto successivo da Via dello Sprone a Via de' Vellutini assumeva il nome di Via del Canto a' quattro Pagoni. Il tratto seguente da Via de' Vellutini a Via de' Velluti prima assumeva il nome di Canto a' quattro Leoni e poi Via Pagni. Lo spezzone successivo da Via de' Velluti fino allo Sdrucciolo de' Pitti si chiamava prima Via della Cella de' Fantoni e poi via Toscanella.
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Il nome via Toscanella dell'ultimo tratto, che poi diventa nome dell'intera via, derivava dal fatto che la via costeggiava posteriormente il Palazzo Dal Pozzo Toscanelli (con la facciata sulla Piazza de' Pitti).  La famiglia Toscanelli, antichissima famiglia fiorentina, era detta anche “dal Pozzo” perché in vicinanza della casa si trovava un pozzo pubblico denominato Pozzo Toscanelli. Addirittura il pozzo compariva nel loro stemma familiare.
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Pozzo Toscanelli disegno S. Valentini La falda acquifera che alimentava il pozzo proveniva quasi certamente da una sorgente presente sulla collina di Boboli, e l'abbondanza d'acqua faceva si che la cisterna del pozzo fosse sempre piena tanto da superare il livello massimo e riversarsi, grazie alla pendenza, in Via Sguazza che magari assumeva questo nome proprio per le pozze generate dall'acqua che la percorreva.
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Il pozzo era andato perduto nelle successive edificazioni, probabilmente nella costruzione del palazzo della famiglia Ridolfi di Piazza costruito circa nel Trecento, in via Maggio. Estendendosi con il giardino sino a via Toscanella hanno probabilmente chiuso il famoso pozzo. Dopo anni di ricerche recentemente è stato individuato grazie a Marco Conti e al proprietario del ristorante "Toscanella Osteria" Fabrizio Roberto Gori. Durante i lavori di realizzazione del ristorante hanno riportato alla luce il perduto Pozzo Toscanelli e con lungimiranza l'hanno restaurato ed è oggi visibile.
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Proiettandosi dall'altra parte di Via Toscanella, dove si restringe in un caratteristico vicolo, appena prima di aprirsi su Via San Jacopo si nota una rappresentazione in terracotta della Madonna. Questa rappresentazione è del 1984 ed è stata commissionata a Mario Mariotti e posizionata ad opera degli abitanti della via in segno di protesta. Tra spazzatura abbandonata e ricorrenti minzioni sui muri la via si caratterizzava per un fetido odore. La madonna è infatti rappresentata in un atteggiamento conseguente e ha preso il nome di Madonna del Puzzo. La via nasceva quindi come "retro" di palazzi signorili con le facciate in vie e piazze di più rinomata fama, ma nel corso del tempo il suo lastricato si è impregnato di storia ospitando anche le abitazioni di uomini illustri come Giovanni Boccaccio o Ottone Rosai. Oggi, grazie a piazza della Passera, è diventata un angolo di aggregazione.
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jacopocioni · 1 month
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Baldaccio d’Anghiari e il suo fantasma
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Baldaccio d’Anghiari al secolo Baldo di Piero Bruni è vissuto ai primi del 1400. Nato ad Anghiari da Piero ed Assunta divenne un famoso condottiero. La sua famiglia in Anghiari era molto antica, addirittura blasonata, ma questo figlio di nome Baldo si scostò da essa per il suo carattere irruento e attaccabrighe, non a caso ebbe modo di scontrarsi con la giustizia più volte. Per il popolo il suo nome da Baldo diventò Baldaccio ad indicare non certo un santo.
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La sua stessa Famiglia non era a proprio agio in sua presenza e quindi il giovane Baldo decise di dedicarsi alle armi abbandonando la sua dimora, il famoso Castello dei Sorci. Lasciare Anghiari gli avrebbe permesso la vita che desiderava densa di avventure e scorrerie. Con i compagni d'arme ne combinò di ogni sorta tanto che nel 1420 fu addirittura accusato d'omicidio e condannato a morte. La sua fortuna fu riuscire a fuggire e questo gli permise di sopravvivere alla condanna.
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Divenne un soldato mercenario al soldo di chi offriva maggior denaro per le sue azioni di guerriglia. Fu spesso usato dagli stessi fiorentini, assoldato da il Conte d’Urbino, da i Malatesta, dagli Orsini, da Piccino poi a sua volta combattuto sotto le insegne di Papa Eugenio IV. Questi servigi resi a destra e a manca lo resero cosi famoso da essere graziato delle condanne accumulate ed addirittura la città di Firenze gli concesse la cittadinanza il 19 giugno del 1937. Francesco Sforza visto la sua indole e le sue capacità lo nominò maestro di campo dell’esercito fiorentino, ma si accorse ben presto che non era un uomo facilmente imbrigliabile tanto che tra i due si generò uno scontro che arrivò ad una sfida alle armi che il milanese perse. Lo stesso Machiavelli lo definì: "uomo di guerra eccellentissimo".
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Il prestigio di cui arrivò a godere Baldaccio nella città di Firenze, e non solo in questa città, era tale che taluni personaggi politici dell'epoca cominciarono a temere che potesse diventare un punto di riferimento politico e quindi un possibile, formidabile, avversario. Uno dei nobili che temeva di più questa possibile circostanza era Cosimo de' Medici, e forse fu proprio lui il mandante della fine di Baldaccio.
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Il 6 settembre del 1441 a Baldaccio fu recapitato un invito a presentarsi presso Palazzo Vecchio dove lo attendevano una schiera di sicari che rendevano conto al gonfaloniere di giustizia Bartolomeo Orlandini, uomo sicuramente nelle grazie di Cosimo de’ Medici e che con Baldaccio aveva un vecchio conto da regolare. Infatti tempo addietro Baldaccio aveva stigmatizzato l'operato dell'Orlandini nella difesa del Castello di Marradi, asserendo addirittura che si era dato alla fuga. Orlandini lo accolse al portone e lo accompagnò lungo i corridoi conducendolo nella trappola che lo attendeva. In pochi secondi Baldaccio fu circondato e sfruttando il vantaggio della sorpresa, fu colpito alle spalle, tramortito, ed in seguito buttato da una finestra di Palazzo Vecchio. Accasciatosi in piazza della Signoria un altro gruppo di persone lo trascinò per la piazza stessa sino a che esanime non fu decollato e lasciato a terra innanzi agli occhi dei fiorentini. Il monito per Firenze era capire la fine che faceva chi anche solo aveva le possibilità di imporsi politicamente contro il potere costituito. Pochi giorni dopo il corpo di Baldaccio giaceva ancora alla vista dei cittadini e solo la preghiera della vedova di Baldaccio, Annalena Malatesta di Rimini, donna di mirabile bellezza, rivolta al Papa Eugenio IV permise la sua tumulazione presso la Basilica di Santo Spirito.
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Cessata la fama e la gloria in vita cominciò la leggenda nella morte. Baldaccio d'Anghiari non abbandonò Firenze, ma vi restò come fantasma. Un fantasma che si è manifestato più volte ed addirittura fu anche fotografato. Sembra che si aggiri per Palazzo Vecchio e il rumori da lui provocati, sordi e lontani, si odono solo dopo l'orario di chiusura quando il brusio turistico cessa e il silenzio mette in evidenza echi d'oltretomba. Il 6 settembre è il giorno in cui si materializza in vari luoghi, talvolta per la festa di ognissanti il 1 novembre, non solo nei luoghi della sua morte, ma anche in quelli della sua nascita.
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Il 6 settembre del 1991 apparve sul Ponte Vecchio e il giovane fiorentino che lo vide lo descrisse come una figura che si stagliava in maniera vivida e vestito in arme. Il 6 settembre del 2001 si presentò al Piazzale Michelangelo ma non fu visto bensì fotografato. Due ragazzi, scattando una foto ricordo, lo immortalarono senza accorgersi e solo il giorno dopo osservando la foto al computer si accorsero della sua presenza. La fotografia mostrava una faccia arcigna e spaventosa che li guardava in cagnesco. La foto fu addirittura inviata ad alcuni esperti che le certificarono come autentica e in seguito altri esperti del paranormale sancirono che si trattava proprio di Baldaccio d'Anghiari. Sembra che ogni 40 anni (che dovrebbero essere i suoi anni vissuti) il 6 settembre o il 1 novembre il suo fantasma si presenti presso il Castello dei Sorci ad Anghiari, antica dimora della sua famiglia. Si presenta decollato e con la testa sotto il braccio forse con un messaggio che ancora oggi nessuno ha compreso.
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jacopocioni · 1 month
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Vicolo dei Davizzi per colpa di una foto
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A seguito della pubblicazione di una splendida foto, realizzata da Enrico Fontanelli, rappresentante Vicolo dei Davizzi mi è venuta la curiosità di leggere in merito al vicolo. Non si trova molto in rete, ma alcune informazioni sono interessanti. Innanzi tutto il nome, si chiama Vicolo dei Davizzi in quanto i primi proprietari dell'attuale Palazzo Davanzati era appunto la famiglia Davizzi. La ricca famiglia dei Davizzi, mercanti, fece costruire il palazzo nel trecento. Il vicolo si apre sulla destra del Palazzo quindi su via Porta Rossa. Il vicolo costeggia in un primo tratto il fianco destro del palazzo, poi gira a sinistra e ne costeggia una parte posteriore. Oggi termina qui, con un muro, ma in passato si suppone che proseguisse collegandosi con Vicolo del Panìco (già vicolo del Capaccio) per arrivare in via Pellicceria. Di vicolo del Panìco ne parla anche Franco Ciarleglio nel suo libro "Da piazza della Passera al vicolo dello Scandalo". Si suppone che potesse anche collegarsi, attraverso alcuni passaggi privati, con via delle Terme. Come si vede nella foto di Fontanelli il vicolo presenta in alto i classici archi di rinforzo che inquadrati dall'ottimo fotografo disegnano, in questa foto, una splendida armonia.
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jacopocioni · 2 months
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Gli strumenti astronomici di Santa Maria Novella
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Nella Repubblica fiorentina l'affermarsi della famiglia Medici, salita al rango nobile, necessitava di una evoluzione da status di banchieri a qualcosa di più prestigioso.  Cosimo I intuì, o meglio copiò Lorenzo il Magnifico, che il mezzo per fare questo era la cultura. E' noto che Cosimo I fu mecenate per le arti ma allo stesso tempo, oltre scultori pittori ed architetti, chiamò a se anche scienziati impegnati in varie branche di studio. Una delle scienze a cui Cosimo I teneva particolarmente era il "tempo" e il calendario. All'epoca era in uso il calendario giuliano basato sul ciclo delle stagioni. Questo calendario era stato elaborato dall'astronomo greco Sosigene di Alessandria e poi introdotto da Giulio Cesare (per questo chiamato giuliano) nell'anno 46 a.C.. All'epoca era fondamentale l'individuazione del corretto giorno della Pasqua Cristiana, questo sia perché era una festività importantissima, sia perché si organizzava poi, di conseguenza, tutto il calendario liturgico cristiano. Per individuare il giorno della Pasqua si partiva a fare il calcolo dal giorno dell'equinozio. L'equinozio è il giorno in cui la notte e il giorno hanno la stessa durata, cioè quando il sole si trova allo zenit all'equatore e lo illumina perpendicolarmente. Perché questa lunga introduzione? Perché il calendario giuliano era impreciso e perdeva 11 minuti per ogni anno trascorso, rendendo i calcoli molto complessi. A questo, Cosimo I, aveva velleità di porre rimedio e sostituire il nome di Giulio Cesare con il suo. Sappiamo oggi che fu Gregorio XIII nel 1582 ad attuare questo cambiamento ed infatti ancora oggi ci basiamo sul calendario gregoriano che ha ridotto a soli 26 secondi la "perdita di tempo" in un anno.
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Questa "gara" dell'epoca per la riforma del calendario indusse Cosimo I a chiamare presso di se a Firenze uno dei più grandi astronomi del tempo, un frate domenicano che si chiamava Egnazio (Ignazio) Danti. L'incarico che aveva il frate era di trovare con la massima precisione il giorno dell'equinozio di primavera.
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Fu scelta la chiesa di Santa Maria Novella con la sua meravigliosa facciata di Leon Battista Alberti per realizzare ed applicare tre strumenti astronomici che ancora oggi sono osservabile dal fiorentino curioso e dal turista pellegrino. Questi strumenti furono realizzati tra il 1572 e il 1575 e sono: un grande quadrante con orologi solari, un'armilla equinoziale, e un foro gnomonico per una meridiana a camera oscura. Con questi strumenti si contava di individuare con estrema precisione il momento dell’equinozio di primavera, quindi studiare nuovi calcoli astronomici per riformare il calendario giuliano e alla fine individuare incontestabilmente il giorno di Pasqua.
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Il grande orologio, o meglio quadrante astronomico serviva a calcolare l’inclinazione dell’asse terrestre e l’altezza del sole durante tutto l’anno. Attraverso questo si poteva disporre di tutte le ore di tutti i sistemi orari dell’epoca, questo ma per la massima distribuzione del sapere.
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L’armilla è invece uno strumento poliedrico in quanto ha più scopi. Primo era ovviamente l'individuazione esatta dell’equinozio. La struttura consta di due cerchi di bronzo con un diametro di 130 centimetri che sono posti perfettamente perpendicolari tra di loro. Con il cerchio verticale, quello meridiano, si individua il mezzogiorno solare, cioè quando il sole è alla sua massima altezza. Il cerchio proietta sulla facciata della chiesa l'ombra di se stesso e quando questa ombra sovrappone perfettamente i lati del cerchio allora siamo al mezzogiorno preciso. L'altro cerchio, quello orizzontale o equatoriale, farà la stessa cosa al momento dell'equinozio. Quindi nel giorno dell'equinozio, a mezzogiorno preciso, le due ombre si porranno sulla facciata perpendicolari l'una all'altra disegnando una croce.
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Infine furono realizzati due fori gnomici per una meridiana a camera oscura all'interno della chiesa. La luce passando dai fori avrebbe dovuto indicare l'ora e i solstizi, ma si presentarono due problemi. Il primo fu che uno altro foro sarebbe dovuto essere realizzato nella volta, creando un probabile danno strutturale e l'altro problema fu l'allontanamento del Danti da Firenze. Il Danti si trasferì a Bologna dove continuò i sui studi e poté mettere in atto il suo progetto nella cattedrale di San Petronio. Egnazio Danti riuscì comunque, grazie ai suoi strumenti di misura a calcolare la vera durata dell’anno solare commettendo un errore di soli 38 secondi e dimostrando come la riforma del calendario giuliano fosse imprescindibile. Nonostante il miglioramento ancora oggi necessitiamo di un anno bisestile ed infatti oggi è il 29 febbraio un giorno di più per recuperare il tempo perso.
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jacopocioni · 2 months
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Per chi abita in… via della Colonna
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Via della Colonna va da piazza D'Azelio a piazza della Santissima Annunziata. Un tempo la via era però divisa per tratti.
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La parte che andava dall'incrocio di via della Pergola fino a Borgo Pinti era l'originale via della Colonna. In nome via della Colonna derivava dal fatto che in questa via era presente un tiratoio appartenente all'Arte della Lana sito proprio all'incrocio con Borgo Pinti. Questo tiratoio che era caratterizzato da un'enorme colonna che sorreggeva la tettoia. Infatti prima la via si chiamava via del Tiratoio alla Colonna, nome poi accorciato sparito il tiratoio. Nella via era presente anche un altro tiratoio, sempre di proprietà dell'Arte della Lana ed era chiamato "della Pergola" dando origine al nome di via della Pergola. All'epoca del Magnifico invece questo tratto era conosciuto come via Laura a Pinti, per la presenza di un maestoso Lauro (Alloro), a cui era aggiunta la desinenza "a Pinti" per distinguerla da via Laura poi divenuta via dell'Agnolo.
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La parte di via della Colonna che andava da via della Pergola sino a piazza Santissima Annunziata era conosciuta come via Nuova degli Innocenti, ovviamente in riferimento allo Spedale degli Innocenti. Il nome di questa parte cambiò varie volte; prima via del Roseto, poi via del Rosaio e infine via della Crocetta a causa del monastero di Santa Maria della Croce. Il tratto attuale da Borgo Pinti a piazza D'Azelio all'epoca non esisteva in quanto la strada terminava al monastero di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Intorno al 1865, quando il monastero fu soppresso, il complesso fu spaccato in due con la demolizione della parte centrale, aprendo così l'attuale tratto di via che permetteva il collegamento al nuovo quartiere della Mattonaia. Il residuo del monastero è oggi occupato dal Liceo Michelangelo. Infine nel 1870, secondo il progetto dell'architetto Felice Francolini i tre tratti di strada furono unificati tutti sotto il nome di via della Colonna.
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Una curiosità è che in via della Colona si ritrovano ben quattro lapidi dei Signori Otto. Una prima del 1636 si trova vicino all'ingresso del monastero di Santa Maria degli Angiolini con lo scopo di garantire la quiete, ed un suo duplicato è anche vicino a via Laura in prossimità di dove c'era un altro monastero. Due invece si trovano sotto la volta degli Innocenti ed entrambi vietano ogni sorta di gioco. Il testo della lapide più leggibile riporta: "I Signori Otto, sotto pena di scudi 2 e tratti 2 di fune, proibisono tutti i giochi e ogni sorte di sporcizia vicino alla muraglia dello spedale degli Innocenti per dieci braccia attorno ". .
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jacopocioni · 2 months
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Tanti auguri al Pieraccioni
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Leonardo Pieraccioni è nato a Firenze, e non poteva essere altrimenti, nel 1965. Il 17 febbraio per la precisione, quindi oggi, ma qualche annetto fa. Come Rivista Fiorentina vogliamo fargli gli auguri di buon compleanno, ma ci pare inutile elencare film e attività artistiche per descriverlo, ci vorrebbero troppe pagine. Quindi racconterò due episodi in cui ho avuto un contatto diretto con lui; di cui ovviamente il buon Leonardo non ha certo memoria. Per buona parte della sua infanzia (e non solo) ha abitato in via della Mattonaia assieme ai genitori Osvaldo e Carla. In via della Mattonaia andavo a prendere la mia futura sposa, qui l'ho incontrato per la seconda volta. Usciva da casa e si girò a salutare sua mamma Carla che era alla finestra. Mise un piede in fallo e ruzzolò dal marciapiede sulla strada. Io partivo in quel momento dal civico 25 con il mitico Peugeot 205 GTI e strombazzai per attirare la sua attenzione. Non si capiva chi rideva di più, se noi in macchina, il Pieraccioni che nel frattempo si era rialzato e ci salutava, o sua mamma alla finestra.
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Foto: Instagram – (cassanoweb.it) Come dicevo era la seconda volta che lo incrociavo. La prima volta è stato al Castello di Sammezzano per un ultimo dell'anno. Lui, non ancora cosi famoso, faceva anche queste serate. Dovrei anche avere, da qualche parte, una foto che ci ritrae assieme, entrambi ben sbarbati. Forse meglio non ritrovarla 'sta foto perché vedere due facce cosi giovani rispetto ad oggi mi porterebbe alla malinconia. Sono però convinto che quella sera indossasse la stessa giacca e cravatta di questa foto a destra. Nel frattempo il Sor Pieraccioni ha avuto una splendida carriera artistica, e mi fa piacere che rimanga ancora oggi un fiorentino nell'anima, scanzonato, pronto alla battuta e autoironico come allora. Dato che non c'è due senza tre la prossima volta lo incontrerò chi sa dove, ma sempre nel bacino della nostra amata Firenze. Buon compleanno e 1000 altri successi; auguri miei e da parte di tutta la redazione della rivista fiorentina!
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jacopocioni · 3 months
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Per chi abita in… Borgo la Croce
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Chi non conosce Borgo la Croce? Una via che da piazza Sant'Ambrogio comincia costeggiando la chiesa omonima e il suo campanile, incrocia via dell'Ortone, poi via della Mattonaia e termina in piazza Beccaria. Come si arriva al nome Borgo la Croce? Un tempo l'Arno non aveva un percorso cosi lineare, anzi. Nei pressi di piazza Beccaria aveva un ansa cosi stretta nel suo percorso da generare un gorgo che sin dall'anno 1000 era chiamato Gurgo. Questo gorgo era in prossimità della porta presente in fondo alla via costruita nel 1284. Fu chiamata porta alla Croce per la presenza di una croce che ricordava dove era caduto San Miniato. Per questa ragione all'epoca la via assunse il nome di Croce al Gorgo. Il nome poi cambiò in Borgo della Porta alla Croce e rimase tale sino al fascismo che intitolò la via ad un caduto fascista; assunse il nome di via Dante Rossi. Finita l'era fascista alla via fu riassegnato il nome storico accorciandolo a Borgo la Croce.
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La via comincia con un tabernacolo dedicato a Sant'Ambrogio e presenta , o presentava, svariati e famosi palazzi, alcuni spariti in seguito a modifiche toponomastiche. Oltre ad una caratterista buchetta del vino al civico 59 vi troviamo l'Oratorio della Compagnia di Santa Maria della Neve al civico 36 e un grande tabernacolo al civico 15. Non vi si trova più, perché demolito nel 1961, il "mitico" Teatro giardino Alhambra oltre c'è lo Spedale di San Niccolò degli Aliotti, ultima sede della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio. La compagnia fu trasferita da via San Giuseppe in Borgo la Croce perché cambiò il luogo della condanna a morte. Un tempo era presso i Prati della Giustizia nell'attuale piazza Piave e i condannati percorrevano come ultimo tratto via de' Malcontenti, poi fu spostata nell'attuale piazza Beccaria dove c'erano i pratelli della giustizia. Per questa ragione il percorso dei condannati a morte fu spostato attraverso Borgo la Croce e di conseguenza fu spostata la suddetta Compagnia di cui facevano parte i Battuti Neri, coloro che accompagnavano i condannati dal Bargello sino alla ghigliottina. La via ha sempre avuto una desinenza molto commerciale data la sua vicinanza con il mercato di Sant'Ambrogio. Oggi è per metà ancora carrabile e per metà esclusivamente pedonale ed è una zona ricca di vita non solo diurna, ma anche notturna grazie soprattutto agli studenti ed ai turisti che mangiano e bevono nei locali della via e circostanti.
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jacopocioni · 3 months
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Il Censimento del Ponte Vecchio di Cosimo I
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Oggi il Ponte Vecchio è storicamente considerato sede di negozi di gioielleria, ma come sappiamo non è sempre stato cosi. Un tempo le botteghe presenti sul ponte erano eterogenee e contavano più categorie commerciali. Intorno al 1550 Cosimo I fece eseguire un censimento, per vedere quante e quali botteghe erano presenti sul ponte. Dal censimento venne registrato che a quel tempo sul ponte vi erano svariate attività, queste seguenti le maggiori registrate: - 3 beccai, come sappiamo i beccai appartenevano ad una delle 14 Arti Minori. Trattavano l’acquisto, la macellazione e la vendita di carni bovine, ovine, suine. Vi erano iscritti anche i portatori di carne (i facchini), mercanti di bestiame, gli osti e i tavernai, pollaioli e pescivendoli. - 3 pizzicagnoli, facevano parte delle Arti Minori. Vi erano iscritti gli addetti alla conduzione dei frantoi, i venditori di olio nelle botteghe, gli ambulanti che vendevano olio e generi alimentari, i caciaioli e i pizzicagnoli. - 5 calzolai, facevano parte delle Arti Minori, vi erano iscritti i calzolai, i pianellai, i ciabattini e gli zoccolai. - 2 legnaioli, facevano parte delle Arti Minori. Vi erano iscritti i fabbricanti di cofani, forzieri, cassapanche, stipetti, barili, banchi, tini, bigonce, telai, rastrelli e anche i riparatori, pittori e venditori di mobili. - 2 biadaioli, facevano parte delle Arti Minori iscritti in quella dei Fornai. - 1 bicchieraio, rientrava nelle Arti Maggiori come Compagnia dei Vetrai, ed erano accolti nell'Arte Maggiore dei Medici e degli Speziali. - 1 merciaio, erano parte delle Arti Maggiori e rientravano in quella dei Medici e degli Speziali. I Merciai vendevano una svariata ed eterogenea quantità di mercanzia che andava dai cappelli ai guanti, lame, scarpe, oggetti in argento battuto, funi, stoppa e via dicendo, erano l'antitesi dei grandi magazzini Duilio 48. - 1 rivendugnolo, che suppongo essere un cenciaiolo, - e una decina di venditori di generi diversi tra cui un osteria che presentava come insegna un drago. Come sappiamo una 40ina di anni dopo,  il 25 settembre 1593, il Gran Duca Ferdinando I emanò un bando che ordinava lo sgombero di tutta questa "massa" di botteghe che rendevano indecoroso il ponte Vecchio. Il Vasari aveva realizzato il famoso corridoio e il ponte era o meglio, doveva diventare, un luogo consono al passaggio di gentiluomini e stranieri illustri. D'altronde poco prima, fino al 1566/7 in piazza del Pesce, oggi Lungarno degli Archibugieri, vi era il mercato del pesce che già aveva subito la sorte dello spostamento in piazza del Mercato Vecchio. Il bando assegnava le botteghe del Ponte Vecchio solo ed esclusivamente ad oreficerie, gioiellieri ed argentieri, e cosi è ancora oggi.
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jacopocioni · 4 months
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Michele Arcangelo Palloni, pittore fiorentino all'estero
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Michele Arcangelo Palloni Michele Arcangelo Palloni è nato a Campi Bisenzio il 29 settembre 1642. Figlio di Cosimo di Fiorindo Palloni e Maria Maddalena Palloni, nonché cugino del predicatore locale, Rev. Andrea di Fiorindo Palloni. Si tratta di un pittore che la critica definirebbe minore in quanto poco conosciuto. Questa suo anonimato è anche a causa della sua abitudine di lasciare alcuni dipinti senza firma. Addirittura la sua firma fu mal interpretata in passato ed alcuni suoi lavori attribuiti ad altri; persino a pittori inesistenti. Talvolta si firmava semplicemente come Florentinus. Alla sua epoca era però un artista conosciuto e ben pagato. Sicuramente talune opere del pittore saranno riscoperte nel corso del tempo, magari qualche tela conservata in una polverosa cantina di qualche museo o sotto un'opera vergata da un altro artista.
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Franceschini "Il Volterrano" autoritratto La sua vena pittorica deriva, ovviamente, della pittura fiorentina conseguenza dal mecenatismo della corte medicea. Durante l'infanzia, ed in seguito nell'adolescenza, furono principalmente le opere fiorentine del Caravaggio, e dei suoi seguaci, a colpirlo. A questi studi fu accompagnato dal suo maestro, a sua volta affascinato da queste opere, Baldassarre Franceschini, noto come “Il Volterrano”. Franceschini introdusse Palloni ai segreti sia dell'affresco che della pittura ad olio. Nella sua formazione il Franchescini spiegò molto bene al Palloni l'arte decorativa, quella moderna di Pietro da Cortona, ed allo stesso tempo gli inculcò la tradizione fiorentina dell'affresco derivata dall'arte del Correggio.
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Maria Maddalena dolente Le opere conosciute del Palloni su suolo italiano si trovano presso due chiese di Campi. Una è la chiesa di San Martino sita nel quartiere San Lorenzo dove troviamo la "Madonna con San Giovanni e San Girolamo ai piedi della Croce" e l'altra è presso la chiesa dei Santi Quirico e Giulitta a Capalle dove troviamo "I Dolenti" tra cui la "Maria Maddalena dolente". Probabilmente la Madonna con San Giovanni e San Girolamo ai piedi della Croce (datato a cavallo tra il 1650 e il 1660) è stata la sua prima opera indipendente.
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Cappella di San Casimiro - Il miracolo della resurrezione Possibile che, in stretta collaborazione con il maestro Il Volterrano, Palloni contribuì all'affresco della Cappella Niccolini in Santa Croce e alle decorazioni della chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Perché Palloni è cosi poco conosciuto in patria? Semplice, oltre al fatto della sua pessima abitudine di non firmarsi o di firmare non chiaramente, il Palloni lasciò Firenze e nel 1676 si trasferì in Polonia assieme alla moglie. In Polonia ebbe come mecenate il Gran Cancelliere Cristoforo Sigismondo Pac che gli affidò la decorazione del Monastero del Mons Pacis a Pazaislis, nei dintorni della città lituana di Kaunas. Nel 1683 gli venne commissionato di affrescare a Varsavia il palazzo di Jan Dobrogost Krasiński, dal nome del proprietario che era un nobile polacco che a quel tempo sindaco della città di Varsavia. Palloni riuscì ad adattare la propria tecnica pittorica dell'artistica Firenze del XVII secolo alla religiosità monastica o popolare dei magnati dei confini orientali. Questo all'epoca gli permise di essere apprezzato nella terra dell'est e di avere in cantiere sempre nuovi progetti. Allo stesso tempo questo suo "adattarsi" allo stile locale ha contribuito non poco alle attribuzioni errate delle sue opere.
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Cappella di San Casimiro - Apertura della bara di San Casimiro Nel 1688 Palloni divenne pittore di corte. Il re di Polonia Giovanni III Sobieski in persona gli affidò l'incaricò di affrescare la reggia di Wilanów, a sud di Varsavia. La reggia era stata realizzata in uno stile barocco italiano e sembrò logico al sovrano chiamare il pittore italiano cosi famoso in Polonia. Terminato il suo incarico per il re si spostò a Bielany a nord di Varsavia dove affrescò la chiesa dei Camaldolesi ed in seguito a Poznań dove si dedicò al castello di Rydzyna. Nel 1692 Palloni cominciò quella che è probabilmente la sua opera più celebre, la decorazione della Cappella di San Casimiro nella cattedrale di Vilnius. La sua opera decorativa fu in seguito dedicata a Palazzo dell'Atamano e alla chiesa di Sant'Ignazio, sempre a Vilnius, ma entrambe queste opere sono andate perdute. Rientrato in polonia decorò il seminario di Łowicz. Michele Arcangelo Palloni è deceduto a Węgrów in Polonia nel 1712.
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jacopocioni · 4 months
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Caterina de' Medici, l'ultimo viaggio
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Segue da: Caterina de’ Medici, la duchessina Caterina de’ Medici, regina madre Caterina de’ Medici, vedovanza Caterina de' Medici, le redini del potere Caterina de' Medici, notte di San Bartolomeo
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Quando il terzo figlio di Caterina, il duca d'Angiò, rientrò in patria dalla Polonia assumendo il nome di Enrico III, assunse la piena carica e Caterina, certa dell'intelligenza di Enrico, si ritirò dalle decisioni di corte. Il suo defilarsi dalle politiche di palazzo non le impedì però di perseverare nei suoi ideali: la pace. Cominciarono una serie di viaggi per Caterina atti a negoziare e far rispettare gli editti di pace. Attraversò tutta la Francia, e non soddisfatta nel 1578 cominciò un nuovo viaggio attraverso i territori francesi sino ad arrivare a Nérac. Qui, conscia che la figlia Margherita si era allontanata dal marito il re di Navarra, a causa di un amante agì facendo imprigionare e poi condannare a morte l'amante della figlia e la riportò in seno al suo sposo. Le conseguenze di questa azione pesarono su Caterina che non rivide più sua figlia, rientrata si in famiglia, ma profondamente ferita. Le  grane familiari non cessavano mai ed anche a palazzo la sua presenza fu preziosa quando nacque un conflitto tra il re e suo fratello Francesco duca d'Alençon. Caterina conoscendo i suoi figli fu ambasciatrice di pace tra i due che scesero a miti consigli.
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Caterina aveva ormai sessant'anni ma nonostante l'età non cessava di prodigarsi per il regno e la Francia, anche nel 1585 affrontò un nuovo viaggio verso l'est della Francia per "bacchettare" i Guisa che nuovamente fomentavano contro la pace. Nel 1588 ci fu lo scoppio della "giornata delle barricate" a causa della Lega Cattolica che voleva prendere ordini solo dal Duca Enrico di Guisa e da nessun altro. Caterina, ancora una volta, era presente e non esitò ad affrontare le strade parigine percorrendole a piedi e aprendo, in prima persona, un varco tra le barricate. Per Caterina l'armonia del regno veniva prima di qualsiasi cosa e questo fu percepito dal popolo che si muoveva verso questa sessantottenne acclamandola e inneggiando a lei come promotrice dell'ideale della concordia. in questo aspetto si deve cercare una grossa parte della grandezza di Caterina.
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Nel dicembre del 1588 Caterina si ammalò. In quel momento era al castello di Blois e stava affrontando il suo ultimo viaggio. Morì attorniata dai propri cari e da coloro che la avevano apprezzata in vita. Morì probabilmente conscia che nonostante i suoi sforzi la pace e la concordia non era ancora stati raggiunti. Dato che la basilica di Saint-Denis era controllata dai congiurati il corpo rimase al castello di Blois e solo ventidue anni dopo fu sepolto a Saint-Denis.
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jacopocioni · 5 months
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Filippo Neri un fiorentino santo a Roma
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Filippo Neri è il secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia da Mosciano, nato a Firenze il 21 luglio 1515 nel popolo di San Pier Gattolini. La famiglia Neri arriva a Firenze dalla valle sopra l'Arno nel sec. XV, più precisamente da Castelfranco Valdarno, e si affermarono come notai. Nel 1520 la madre morì ed il padre si sposò con Alessandra di Michele Lensi, una donna tenera e capace di amare i figli del della precedente moglie come fossero i suoi. In particolare rivolse un affetto speciale a Filippo. Questi aveva un carattere docile ed amabile, era pacifico e allegro, ma nascondeva una certa vanità che si esprimeva soprattutto nella ricercatezza nel vestire. Filippo frequentò le scuole pubbliche, ma in lui attecchì soprattutto una formazione spirituale che si sviluppò tra le stanze e i chiostri del convento domenicano di San Marco. Firenze gli rimase nel cuore e sovente affermava che tutto ciò che di buono era in lui l'aveva appreso dai Frati di San Marco.
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All'età di 18 anni fu inviato dal padre presso suo fratello Bartolomeo Romolo Neri a Montecassino. Lo scopo era addestrare Filippo all'arte del commercio. Filippo era però restio a questa attività come anche a quella notarile del padre. Pur non coltivando una vera vocazione Filippo amava isolarsi e pregare e spesso lo faceva su un monte, a picco sul mare, chiamato “Montagna Spaccata”. Fu cosi che dopo 2 anni di vita presso lo zio decise di seguire Cristo. Lasciò quindi Montecassino e senza denaro si incamminò in direzione di Roma.
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Giunto alla capitale fu un altro fiorentino a dargli alloggio e lavoro, tal Galeotto Caccia. L'incarico affidatogli era prendersi cura dei figli come precettore. Lo stipendio percepito nell'educare Michele e Ippolito consisteva in vitto alloggio ed sacco di grano. Nel tempo libero approfondiva gli studi di filosofia all'Università della Sapienza e di teologia al Sant’Agostino. Rimaneva comunque un solitario atto alla contemplazione era spesso fatta in chiese semivuote o presso i cunicoli di san Sebastiano.
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Proprio all'interno di queste catacombe, nel 1544, durante la preghiera, successe che un globo di fuoco penetrò nel petto di Filippo. Fu un evento che cambiò la sua vita, anche in senso fisico dato che questo fenomeno determino una tale dilatazione del cuore da rompergli due coste, cosa di cui Filippo, in vita, mai si rese conto. Decise di lasciare la casa di Galeotto Caccia iniziando una vita da eremita, aggirandosi tra le strade di Roma dormendo sotto i ponti o i portici di una chiesa e cibandosi attraverso l'elemosina che riusciva ad ottenere. In lui il concetto di carità si affermava ogni giorno di più ed infatti si recava spesso a visitare i malati negli 'spedali, allo stesso tempo esercitava una costante e ripetuta visita di sette chiese: San Pietro, San Paolo fuori le Mura, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura ed in fine Santa Maria Maggiore.
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Filippo Neri progressivamente cambiò il suo modo di vivere, da eremita distaccato cominciò a colloquiale con la gente, sempre con un sorriso disarmante ed anche con un vocabolario romanesco. Spesso deriso dai giovani di strada coglieva l'occasione, anche attraverso l'autoironia, per conquistare la simpatia proprio di quei giovani sbandati. Talvolta sembrava un predicatore sortendosene con frasi del tipo: "Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!". Il suo sorriso e la bonarietà con cui affrontava i giovani fece si che svariati di loro cominciarono a seguirlo. Si trattava di giovani sbandati che trovarono in Filippo una guida e quindi un rifugio. così nacque l'oratorio.
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Fu nella Chiesa di San Girolamo il primo oratorio, anche grazie a due figure fondamentali nella vita di Francesco Neri; Persiano Rosa e Buonsignore Cacciaguerra. Soprattutto il primo, che possedeva le stesse idee caritatevoli di Filippo, indusse e determinò la decisione del Neri di ordinarsi presbitero il 23 maggio 1551. Parlare di Dio e radunare i ragazzi divenne una missione tanto che Filippo, dopo la lettura comune della parola di Dio, spesso raccoglieva molte ragazzi nella sua camera per continuare a parlare delle cose di Dio. I ragazzi che lo seguivano cominciarono a diventare troppi e fu necessario spostare queste "riunioni" nel granaio della Confraternita della Carità della chiesa di San Girolamo. Questa sua iniziativa fece s che la Confraternita accogliesse ogni sorta di pellegrino. Una moltitudine fu nell’anno del Giubileo del 1550,
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Uno dei discepoli di Filippo, Cesare Baronio, abbracciò lo stesso cammino spirituale di Filippo e sotto la sua guida scrisse delle catechesi per raccontare, all'interno dell'oratorio, la storia della Chiesa. La raccolta di questi scritti determino la nascita dei famosi Annali, i primi libri della Storia della Chiesa. La parola di Filippo diventò molto richiesta e i cittadini e mercanti fiorentini abitanti a Roma chiedevano spesso Filippo come rettore della loro chiesa di san Giovanni in via Giulia. L'impegno divenne talmente pressante che a Filippo fu richiesto di spostare la vita presso San Giovanni, ma questi assolse il compito solo a condizione di rimanere a san Girolamo. La comunità crebbe cosi tanto che fu necessario scrivere alcune costituzioni per la vita in comune. In queste Filippo impose la sua praticità e spiritualità caritatevole. La formazione derivante era di preti per l'oratorio uniti da pochi vincoli e obblighi affermandosi in prevalenza una comunità familiare che viveva nella semplicità.
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La comunità crebbe cosi tanto che il Papa Gregorio XIII decise di assegnarli in perpetuo la chiesa di Santa Maria in Vallicella definendo anche una nuova congregazione denominata "dell’Oratorio". Filippo fu uno degli ultimi a trasferirsi presso Santa Maria sia perchè non voleva essere considerato il fondatore della nuova comunità, sia perchè non voleva assumere incarichi superiori. Rimase a San Girolamo sino a che nel 1583, per ordine del Papa si trasferì. Nel tempo l'oratorio di Santa Maria in Vallicella fu famosa in tutta Roma e divenne punto di riferimento spirituale per tantissime persone. Il 25 maggio Filippo Neri confessò e celebrò l'Eucaristia poi spossato decise di sdraiarsi a letto e li disse: “bisogna finalmente morire”. All'alba del 26 maggio 1595 morì. La Vita e le opere di Filippo Neri hanno ispirato anche due opere cinematografiche, la prima è "State buoni se potete" un film italiano del 1983 diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy, il secondo è "Preferisco il Paradiso" una miniserie televisiva italiana in due puntate andata in onda su Rai 1 il 20 e il 21 settembre 2010. La miniserie era diretta da Giacomo Campiotti e come interprete principale c'era Gigi Proietti nel ruolo di Filippo Neri. Cliccando i due link potete vedere il film e la serie TV.
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jacopocioni · 5 months
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Caterina de' Medici, notte di San Bartolomeo
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Segue da: Caterina de’ Medici, la duchessina Caterina de’ Medici, regina madre Caterina de’ Medici, vedovanza Caterina de' Medici, le redini del potere
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La politica della tolleranza non funzionava più. Ovviamente Caterina, in una situazione che imponeva delle scelte, si dimostrava vicina ad una posizione Cattolica tanto che nel 1568 abbandona al suo destino  Michel de l'Hôspital. In Francia sviluppano vari moti che sfociarono in svariati scontri, qualcuno tanto da assomigliare ad una battaglia, quindi anche molto sanguinose. Questo determinerà una reazione di Caterina imponendo ai protestanti, nel 1570, il trattato di Saint Germain. Un trattato, stipulato da Carlo IX di Francia e dall'ammiraglio Gaspard II de Coligny, che determinò la fine della terza guerra della Francia contro gli Ugonotti. In realtà il partito ugonotto attraverso l'ammiraglio di Coligny esercitava sempre più un'influenza sul re trasmettendo allo stesso i rancori di una nobiltà piuttosto turbolenta. Per ovviare a questa deriva politica Caterina cercò una nuova forma di pace tra i due partiti, attraverso il matrimonio di sua figlia Margherita con il principe di Borbone Enrico III di Navarra. L'annuncio del matrimonio non sortì lo scopo sperato in quanto i due partiti mantennero entrambi i loro punti politici senza smuoversi di un millimetro.
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La decisione che prese Caterina fu piuttosto drastica, sfruttare il matrimonio per eliminare i capi rivoltosi.  Infatti i principali capi ugonotti che si erano recati a Parigi, proprio per assistere al matrimonio, furono uccisi. Oggi è molto discusso se questa fu una decisione di Caterina o del figlio che, per tagliare con le politiche di tolleranza della madre, ordinò il massacro con puntualizzazione di uccidere per primo l'ammiraglio Gaspard II de Coligny, tra l'altro ferito pochi giorni prima in un attentato. Nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572 ci fu il massacro passato alla storia come "il massacro di San Bartolomeo". Ci furono migliaia di vittime soprattutto concentrate a Parigi, ma molte anche in provincia. Coloro che furono demandati ad organizzare le uccisioni non si resero conto che avevano innescato una miccia che non riuscirono più a controllare; l'eccidio divenne indiscriminato, tra l'altro incoraggiato dai preti. Gli assassini si moltiplicarono sulla scia dell'odio represso e dal centro di Parigi si estese alle campagne ed ad altre città. Oggi si calcola che probabilmente quella notte, e nei giorni successivi, morirono 30.000 persone ed a nulla valse l'ordine emanato dal re il 24 agosto di arrestare immediatamente l'ondata di violenza, la strage proseguì inalterata.
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La figlia di Caterina, Margherita, da poco sposata e quindi regina di Navarra, scrive nelle sue memorie di aver passato una notte da incubo a fianco del marito Enrico III di Navarra e con alcuni membri ugonotti della sua corte. Il mattino il re di Navarra assieme al cugino Enrico di Condé si recarono al Louvre dove furono catturati. Furono graziati solo perchè di sangue reale ma costretti ad abiurare la loro fede. Margherita racconterà in seguito, sempre nelle memorie, che fu interrogata dalla madre Caterina se il matrimonio era stato consumato. Nel caso negativo Caterina offriva alla figlia l'annullamento ma la regina di Navarra rifiutò la possibile scappatoia per proteggere il marito. La conseguenza alla notte della di San Bartolomeo fu l'inizio della quarta guerra di religione alla cui base sussisteva persino il dubbio che i nobili e il popolo dovessero mantenere la fedeltà al re. A distanza di due anni, il 30 maggio 1574, Carlo IX morì di tubercolosi. La reggenza cadde nuovamente nelle mani di Caterina sino al ritorno in patria dell'erede Enrico.
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jacopocioni · 6 months
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Caterina de' Medici, vedovanza
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Segue da: Caterina de’ Medici, la duchessina Caterina de’ Medici, regina madre
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Caterina assunse quindi il titolo di regina di Francia, ma la sua influenza politica non era sorretta da un reale potere. Il ruolo prestigioso gli permetteva di influenzare la Corte in termini ludici ed amministrativi ma niente di più. Questo suo ruolo indusse molti italiani a trasferirsi in Francia, soprattutto una schiera di fiorentini, ed alcuni di essi, grazie a Caterina, assunsero dei ruoli amministrativi alla Corte Reale.
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I fratelli Strozzi e cioè Piero, Leone, Roberto e Lorenzo quali cugini di Caterina furono tra i più beneficiati, ma anche l'astrologo Cosimo Ruggieri e l'umanista Gabriel Simeoni, il maggiordomo Luigi Alamanni e sua moglie Maddalena Bonaiuti, Antonio Gondi e la moglie Marie-Catherine de Pierrevive trovarono il loro spazio a Corte; in particolare Catherine de Pierrevive diventò confidente della sovrana. Enrico II ingaggiò nuovi combattimenti a est del regno e la sua assenza determino la nomina di Caterina a reggente. Questo suo ruolo, soprattutto amministrativo, gli permise di controllare gli approvvigionamenti e i rinforzi da inviare ad Enrico, coadiuvata da Anne de Montmorency. Nell'ambito di questo ruolo il Re la inviò presso il Parlamento di Parigi a chiedere finanziamenti per proseguire gli scontri in Italia dove si raggiunse la pace solo nel 1958 siglandola presso  Cateau-Cambrésis nel 1959. L'accordo non piacque a Caterina in quanto molti possedimenti conquistati in Italia andarono persi.
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Nella data del 30 giugno 1559, durante un torneo cavalleresco svoltosi in occasione delle nozze della figlia Elisabetta con Filippo II di Spagna, Enrico II fu ferito alla testa. La ferita procurategli da Gabriel de Montgomery determino che a distanza di 10 giorni di sofferenza Enrico II morì, lasciando Caterina vedova.  Da quel momento Caterina iniziò a vestirsi esclusivamente di nero e modificò il suo emblema rappresentando una lancia spezzata accompagnata dal motto "Da qui le mie lacrime, da qui il mio dolore".
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Francesco II di soli quindici anni subentrò al padre e la nuova Corte prese la residenza al Louvre. Molto velocemente i Guisa, famiglia principesca francese, sfruttarono il matrimonio di Francesco II con Maria Stuarda, (discendente dai Guisa per parte di madre, Maria di Guisa), e data la loro ricchezza centralizzarono il potere su di loro. Caterina de' Medici non rimase inerme e, infrangendo il rituale periodo di 40 giorni di lutto, si presentò a Corte, ma senza intenzioni bellicose, anzi. Intervenne però nella "distribuzione" dei favori reali. Ciò che in realtà interessava veramente a Caterina era la salute del figlio, infatti Francesco II soffriva di una malformazione congenita. Nella realtà si ritrovò in mezzo alle dispute tra i Guisa del partito cattolico e i protestanti costringendola ad un doppio gioco. Nonostante tutto i Guisa, dato i suoi contatti con Luigi di Borbone, protestante, la isolarono nel consiglio di Corte tanto da rendere vano il suo parere. A seguito dell'esecuzione di Anne du Bourg nel dicembre 1559 lo scontro tra cattolici e protestanti determinò rapporti talmente tesi che nel marzo del 1560 la congiura di Amboise fu inevitabile. Si trattò di un colpo di mano dei protestanti per tentare di impadronirsi della persona del re Francesco II in modo da sottrarlo al controllo dei Guisa. Questo fu il primo episodio di quelle che furono le guerre di religione in Francia.
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