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#Eugenio Mascagni
persinsala · 4 years
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Tra Colle Brianza, Ello, Olgiate Molgora e Olginate, la sedicesima edizione de Il Giardino delle Esperidi fa muovere i primi passi alla stagione festivaliera del Belpaese.
L’aspirazione era già alta prima che inverno e primavera venissero compromessi dalla diffusione del Covid-19 e dalle relative misure restrittive. Oggi, superato il primo mesiversario della ripartenza e lanciato il cuore oltre l’ostacolo, la brigata di Campsirago Residenza, organizzatrice del festival, decide che è arrivato il momento di provare a ripensare le condizioni materiali in cui sarà possibile esperire l’atmosfera del teatro en plein air e mettere alla prova tanto la disponibilità e l’interesse del pubblico, quanto la creatività e la resilienza degli artisti.
Il risultato è un cartellone ampio e fitto di spettacoli dal mattino alla sera, con la novità di una sezione dedicata ai ragazzi e la conferma della propria declinazione sul contemporaneo. Dalla Natura, tema inizialmente individuato, alla Luna, focus attuale, il passo è stato breve, perché le Esperidi confermano de facto la necessità di una riflessione artistica sul corretto e responsabile posizionamento del Pianeta rispetto a un ecosistema che deve, per forza di cose, dalle sue radici ai suoi sviluppi, essere rivisto in maniera radicale.
Un riposizionamento dalla terra alle stelle che, dunque, non ha sconvolto (e forse non sarebbe potuto essere diversamente, vista la complessità organizzativa imposta dalle norme nazionali e regionali sulla gestione postpandemica) i fondamentali di una manifestazione che, ormai adolescente e a vele spiegate verso la maturità, anela a cogliere entrambe le facce della crisi di un’epoca le cui fondamenta sono ormai franate, ma in cui, allo stesso tempo, sarà possibile scorgere nuove e feconde opportunità di ricostituzione per reggere l’urto del pessimismo in un’ottica scevra da nichilismo.
La nostra presenza è stata limitata ai primi due giorni di festival, quando le novità sono ancora tangenti all’incertezza, ogni cosa, anche la più scontata, necessita – dopo essere stata definita sulla carta – di essere sperimentata sul concreto e ogni routine deve affrontare gli inevitabili imprevisti che sempre possono minacciare lo spettacolo dal vivo e, in particolare in questi tempi bui, attendere al varco i coraggiosi organizzatori di ambiziose attività culturali come le Esperidi.
La prima giornata è stata aperta dallo spettacolo per bambini Favole al telefono di e con Anna Fascendini. Si tratta della messa in scena di un progetto di riflessione sulla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari che ha coinvolto decine di compagnie su tutto il territorio nazionale durante il periodo di confinamento e che vede il coinvolgimento attivo dei bambini nella costruzione di storie fantastiche a partire dal loro stesso vissuto. L’allestimento, purtroppo un po’ perché incastrato in una gestione macchiettistica della relazione con i piccoli complici, un po’ perché ingessato in un forzato spontaneismo creativo, è sembrato essere ancora lontano dal restituire in maniera adeguata nella forma e nei contenuti l’audace tentativo di riscoprire e attualizzare il genio di Rodari.
A tarda serata, è scoccata l’ora di Weiss Weiss. L’essere del non essere. Sulla sparizione di Robert Walser, un esplicito omaggio al controverso e geniale scrittore elvetico da parte della compagnia sperimentale del Teatro della Contraddizione con la direzione di Marco Maria Linzi.
Lo spunto drammaturgico è il Jakob von Gunten, il poetico e immaginifico romanzo in cui, con tratti profondamente autobiografici, Walser raccontò l’eccentrica vicenda di un giovane che, alla ricerca dell’indipendenza, decise di iscriversi alla scuola di formazione per servitori Benjamenta.
Il dramma dipana una storia contorta e intrecciata, letteralmente interminabile, con svariati pseudo-finali e un alto tasso di paradossalità – ulteriormente potenziato da riferimenti visionari ad altre opere dello stesso autore. Suggestivo nella composizione scenografica, funzionale nella vestizione dei personaggi (anche se stucchevole nei banali echi burtoniani e alla The Walking Dead dei tableaux vivants attraverso i quali si realizza scenicamente), ottimo nella tenuta attoriale e poderoso nella disciplina nella loro direzione, lo spettacolo del Teatro della Contraddizione aderisce a un registro brechtiano con innesti kantoriani e si mostra volutamente freddo – per l’impostazione straniante – e consapevolmente lontano da ogni fruizione popular – per la restituzione onirica slegata dalla razionalità e i tempi estremamente dilatati.
Weiss Weiss, al netto della lodevole volontà di proporre un personaggio che in Italia non gode del meritato riconoscimento, è un esempio di teatro ingenuamente furioso nella reazione alle secche del conformismo, ma clamorosamente disciplinante, dunque perfettamente contraddittorio rispetto alle proprie intenzioni di scardinamento dello status quo e, di conseguenza, arido per chi si aspettava in qualche modo mutuata la controversa poetica di Walser in un atto visivamente meno legato a un flusso di parole degno del Novecento di Baricco trasposto nel kolossal da quasi tre ore di Tornatore.
Se da un lato lo spettacolo cerca di sfidare l’accomodante comprensione borghese collocandosi maldestramente nella prospettiva di un lirismo patetico e moralistico, dall’altro esso risulta essere talmente esasperante nel ripetere ad libitum momenti e scelte insignificanti – se non proprio contraddittorie – dal punto di vista storico, psicologico ed estetico da vanificare soluzioni che parevano essere se non proprio vincenti, quantomeno efficaci. Dall’improbabile accento russo degli interpreti all’esondazione zombie oltre la quarta parete nel corso dell’ennesimo finale, dall’insistito frontalismo alla pedante predica di Jacob, dalla piatta bidimensionalità in cui viene degradata l’interessante composizione scenografia alla dirompente dolcezza e ingenuità con cui il protagonista inveisce contro i benpensati esplicitando didascalicamente la propria alterità, Weiss Weiss rimane purtroppo inconsistente per chi non conosce il soggetto della narrazione ed estraneo per chi, avendone già cognizione, ne avrebbe avuto abbastanza dopo un quarto d’ora.
Ombre, ma anche luci, hanno caratterizzato la seconda giornata. Tra gli eventi di assoluto livello, il secondo talk del festival, un interessante incontro tra Vittorio Agnoletto, Oliviero Ponte di Pino e Michele Losi sul tentativo di esplorare gli abissi della relazione tra teatro e contesto pandemico, e soprattutto il «cammino esperienziale e sensoriale» Alberi maestri, un percorso drammatizzato per un numero limitato di spettatori erranti e muniti di cuffie ambientali capaci di riprodurre, insieme al racconto, una «performance itinerante ed esperienziale alla scoperta del mondo degli alberi e delle piante, principio e metafora della vita stessa» (note di regie tra caporali).
Nonostante alcuni passaggi risultino superficiali (in particolare l’affermazione secondo la quale una costruzione civile necessiterebbe di fatica mentre un albero crescerebbe quasi spontaneamente sottovaluta il portato etico e politico della cura ecologica che pure rappresenta il core del progetto) e il fatto di aver esperito un percorso senza perfomer (perché donato fuori programma a un piccolo gruppo che, partendo in giorno successivo, non avrebbe avuto modo di partecipare), il «viaggio, collettivo e individuale al tempo stesso», promosso da Alberi Maestri rimane un momento potente, catartico e convincente della semplicità di un’arte in grado di recuperare la propria connessione intima e diretta con la vita di ognuno.
Trattandosi ancora di uno studio, sospendiamo il giudizio su Annotazioni per un Faust _studio per luoghi remoti di Tommaso Monza e della compagnia Natiscalzi DT, anche se la pochezza creativa e la sensazione di aver assistito a un disegno coreografico poco più che amatoriale siano state, rispettivamente, preoccupanti e imbarazzanti.
Il rapporto tra l’essere individuale e il corpo sociale presentato attraverso una successione di sketch comici e la decostruzione di una comunicazione superflua rispetto al gesto (e viceversa) caratterizza il nostro ultimo spettacolo, TRE_quanto vale un essere umano?, il working in progress diretto da Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, con la collaborazione drammaturgica di Marta Dalla Via, e prodotto da Qui e Ora Residenza Teatrale e Zebra.
Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli rappresentano donne comuni, comuni come i vestiti che indossano. Lo schema è semplice, quasi spartano: le tre performer si dimenano di fronte al pubblico in una danza semplice e senza sosta; ognuna di esse, senza soluzione di continuità, risponde in maniera caustica o beffarda alle domande proiettate sul fondo del palco alle loro spalle; il pubblico partecipa euforicamente prima con grasse risate, poi lasciandosi contagiare dall’esplosione del ballo di gruppo sulle melodie di Mueve la colita nella versione di Dj El Gato.
A perplimere non è tanto la percezione di una serie di quadri giustapposti e non ancora adeguatamente legati o la snervante reiterazione di un unico meccanismo drammaturgico basato sulla ricerca della complicità del pubblico attraverso passi di danza infantili, tantomeno le pantomime forzate, le strizzatine d’occhio alla parte più commerciale della cultura pop o un testo scritto in un italiano sgrammaticato che non ha alcuna motivazione drammaturgica specifica.
Di questo allestimento che prova ad aggredire con gioiosa polemica parole (clandestino, omosessualità) e atteggiamenti mainstream (il sessismo, il body shaming), che cita statistiche più o meno a caso su vizi e virtù cui il genere femminile sarebbe costretto dal patriarcato, che estremizza il proprio sarcasmo fino a essere irritante e che individua la catarsi nell’autocompiacimento, a deludere sorprendentemente è stato l’acritico atteggiamento di superiorità di cui è figlio, ossia l’insopportabile prosopopea progressista di chi vede nell’auto-accettazione il fulcro della felicità di coloro i quali, trovandosi per vari motivi in una situazione di alterità, dovrebbero semplicemente sottomettersi senza inficiare o, quantomeno, rendere problematica la norma da cui enfatizzano la propria distanza,
Il problema non è la vetusta forma drammatica dello spettacolo, quanto i contenuti con cui la riempie e nei confronti dei quali mostra una sconcertante ricezione passiva.
Di fronte ai mortificanti cliché culturali che TRE utilizza in un regime totalmente comico e non umoristico, quindi di completa omologazione, lo spettacolo risulta incapace di innestare alcuna riflessione e di farsi carico dell’intima sofferenza della realtà che rappresenta. Guardando i suoi personaggi sembra che i mostri che quella realtà la abitano e a cui pure fa allusione (per esempio, con la sconfortante battuta sulle donne con una costola in meno per colpa di Adamo, quando non è vero neanche il contrario) si possano lasciare alle spalle semplicemente non pensandoci troppo, chiudendosi bene a chiave nel proprio ottimismo.
Un conato buonista che, sinceramente, non fa ben sperare per la versione definitiva di questa produzione.
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Esperidi on the Moon – XVI Edizione da sabato 27 giugno a domenica 5 luglio 2020 Colle Brianza, Olgiate Molgora, Ello, Olginate
sabato 27 giugno, ore 16.00 Villa d’Adda Sirtori, Olginate Campsirago Residenza presenta: Favole al telefono da un’idea di Anna Fascendini regia Anna Fascendini produzione di Campsirago Residenza (debutto live teatro ragazzi)
ore 21.30 Villa d’Adda Sirtori, Olginate Teatro della Contraddizione presenta: Weiss Weiss. L’essere del non essere. Sulla sparizione di Robert Walser di e diretto da Marco Maria Linzi con Micaela Brignone, Fabio Brusadin, Silvia Camellini, Simone Carta, Sabrina Faroldi, Arianna Granello, Alessandro Lipari, Marco Mannone, Eugenio Mascagni, Stefano Montani, Magda Zaninetti video artist Stefano Slocovich costumi Margherita Platè aiuto regia e foto Daniela Franco suoni live Leonardo Gaipa scene Marco Maria Linzi, Sabrina Faroldi, Fabio Brusadin, Ryan Contratista foto bdyuri_video (teatro)
domenica 28 giugno, dalle ore 10.30 alle ore 16.00 Alberi maestri Da Mondonico a Campsirago composizione nello spazio Michele Losi drammaturgia Sofia Bolognini, Michele Losi coreografie Silvia Girardi costumi e scene Stefania Coretti suono Luca Maria Baldini, Diego Dioguardi in scena Luca Maria Baldini, Liliana Benini, Sofia Bolognini, Noemi Bresciani, Silvia Girardi, Arianna Losi, Michele Losi, Valentina Sordo un progetto di Pleiadi, Campsirago Residenza in collaborazione con The International Academy for Natural Arts (NL) Sponsor tecnico Fratelli Ingegnoli
ore 18.00 Villa d’Adda Sirtori Olginate talk a cura di Oliviero Ponte di Pino, in collaborazione con Ateatro, con Vittorio Agnoletto
ore 20.30 Parco di Villa d’Adda Sirtori, Olginate Natiscalzi DT presenta: Annotazioni per un Faust _studio per luoghi remoti un progetto di Tommaso Monza coreografia e regia Tommaso Monza, Claudia Rossi Valli danza e azioni sceniche Compagnia Natiscalzi DT musiche originali dal vivo Giorgio Mirto produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni, Natiscalzi DT con il sostegno di Anghiari Dance Hub, Tendance Festival, Festival OrienteOccidente organizzazione Vittoria Lombardi / cultureandprojects (prima replica sperimentale, danza, site-specific)
ore 22.30 Parco di Villa d’Adda Sirtori, Olginate Qui e Ora Residenza Teatrale presenta: TRE_quanto vale un essere umano? Working progress ricerca materiali Francesca Albanese, Silvia Baldini, Silvia Gribaudi, Laura Valli con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli regia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti collaborazione drammaturgica Marta Dalla Via produzione Qui e Ora Residenza Teatrale e Zebra (performance)
Per aspera ad astra / Il Giardino delle Esperidi Tra Colle Brianza, Ello, Olgiate Molgora e Olginate, la sedicesima edizione de Il Giardino delle Esperidi fa muovere i primi passi alla stagione festivaliera del Belpaese.
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livornopress · 3 years
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“Mascagni Night”, passeggiata musicale da Ardenza ad Antignano
In collaborazione con l’Istituto Superiore di Studi Musicali Pietro Mascagni di Livorno Soprani Oleksandra Dery, Eleni Komni, Maria Luisa Lattante, Angeliki Vardaka Mezzo Soprano Karatepe Tugce – Tenore Enrico Terrone – Baritono Luca Bruno Pianoforte Massimo Salotti, Eugenio Milazzo, Chiara Mariani Quintetto di fiati, Quartetto d’archi e Quartetto di clarinetti dell’ISSM Mascagni   Livorno 13…
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rudyroth79 · 4 years
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Hariclea Darclée – „Măiastra pasăre de basm” Personalitate marcantă a muzicii românești, s-a născut la Brăila, pe 10 iunie 1860, într-o familie cu rădăcini elene.
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itinerario · 5 years
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LA BANDA SONORA DE MIS  RECUERDOS
Recuerdo la primera vez que mi Papá me llevó a un concierto, fue en el Teatro Ángela Peralta, pero no en el fastuoso y exquisito recinto remodelado, era un dramático local sin techo, con un árbol que creció en medio del escenario, una rara combinación entre lo tétrico y lo romántico; la primera impresión del lugar fue de temor, pero luego se disipó, surgió la voz de una soprano interpretando “Azulao” la pieza clásica brasilera de Ovalle.  Desde ese momento supe que sería un melómano insufrible.
 Revelo sin pudor alguno que  el Intermezzo de Cavalleria rusticana (Pietro Mascagni), provoca en mí unas profundas ansias de llorar, pero logro contenerme (la mayoría de las veces), gran placer y júbilo el escuchar la Barcarola de Les contes d’Hoffman (Offenbach), me cautivan los versos magníficos de Delirio y Contigo en la Distancia (César Portillo de la Luz) y me re-enamoro con tan devota declaración como lo es Nocturnal de Sabre Marroquín: “A través de las palmas que duermen tranquilas/ se arrulla la luna de plata en el mar tropical/ y mis brazos se tienden hambrientos en busca de ti”
La música y yo tenemos una relación peculiar. Al comentario anterior es necesario hacerle ciertas adecuaciones, el silencio y yo no nos soportamos, por lo que la música viene a ser  siempre una buena acompañante.
Nuestra vida transcurre con banda sonora, evocando a Muñoz Molina: “Qué misterio, las canciones. Cuánta poesía y cuánta música y cuánta experiencia y cuánta fiebre y cuánto dolor y cuánta belleza en dos o tres o cuatro minutos, cuántas historias dichas para siempre, en unas pocas palabras, en tantos idiomas”. 
La música está en todas partes. Todo es sonido incluso hasta el silencio tiene su propio ritmo, los latidos del corazón tienen cadencia y las palabras se vuelcan en sinfonías. 
Ecos para la remembranza y resonancias  para el alma. El catalán Eugenio Trías Sagnier En su libro El canto de las sirenas, sugiere el consumar un giro musical en la filosofía de este siglo, que el pensamiento deje de girar planetariamente alrededor del sol lenguaje, y suscitar  argumentos musicales, ya que según Trías en ellos están “la más fecunda síntesis de belleza y conocimiento.”
Porque de que tuvo razón, la tuvo, Facundo Cabral quien  aseguraba que: “cuando un pueblo trabaja Dios respeta. Pero cuando un pueblo canta, Dios lo ama”. Ojalá y nuestro tiempo transcurriera como lo expresara el poeta Jaime Torres Bodet: “Se nos ha ido la tarde en cantar una canción, en perseguir una nube y en deshojar una flor…”  que en pensar en nimiedades y ver cruzados de brazos la vida pasar.
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Volterra
borgo medievale
le streghe e i vampiri
  Volterra con Piazza dei Priori e alle spalle Piazza del Battistero nel complesso architettonico medievale
      Volterra terra dell’alabastro, città dell’antica Etruria che conserva grandi testimonianze di manufatti etruschi, la ottimamente conservata Porta all’Arco, costruita, in epoca etrusca e poi rimaneggiata nel medioevo, con pietra locale, grandi blocchi di tufo sovrapposti a secco, uniti all’utilizzo di tre tipi diversi di roccia, un calcare arenaceo di color giallastro, un grigio calcare di scogliera e la selagite rossastra, porta d’accesso principale a Volterra lato sud, contrapposta a nord a Porta Diana, tutte e due le porte sono parte della cinta muraria in panchino, una pietra arenaria della Toscana e presente in due varietà, livornese e volterrana, di quest’ultima porta rimangono soltanto gli stipiti, la copertura doveva essere in legno.
    Il Masso di Mandringa a Volterra
    Venendo da nord, proprio a lato del cartello Volterra, si trova un anonimo masso, in pochi ci fanno caso, leggermente coperto dalla vegetazione e come tanti massi a lato di strade collinari o montane, passa inosservato.
Questo è il Masso di Mandringa, con un’apertura che conduce alla fonte inferiore, già citato nel romanzo di Gabriele D’Annunzio, “Forse che sì, forse che no”, dove scrive “…Chi sciacqua le lenzuola alla Docciola, convien che l’acqua attinga alla Mandringa…”, ma questo masso è conosciuto anche perché ha alimentato nei secoli, la leggenda delle streghe di Volterra.
Nelle ore del giorno, la fonte si è sempre animata dal parlottare delle donne che si portavano a lavare panni o a rifornirsi di acqua, con lo scalpiccio e urla gioiose dei bambini intenti a giocare nei pressi, sotto l’occhio vigile delle madri, ma il sabato sera lo scenario cambiava, il masso diventava luogo di riunione e celebrazione di riti, danze sabbatiche, atte a celebrare il principe delle tenebre.
Il Masso di Mandringa lungo la strada che porta a Volterra
L’accesso alle fonti sotto il Masso di Mandringa
“…Era però il sabato notte, poco prima che l’orologio di Piazza scandisse la fine di un altro giorno, un fruscio lento e rabbrividente penetrava l’aria già greve e pregna di zolfo, seguito da un brusio che, sempre più marcato ed intenso, faceva da macabro preludio alla vorticosa danza delle streghe. Le donne e i ragazzi ascoltavano terrorizzati nel dormiveglia le voci stridule e sghignazzanti delle streghe e, quando il lugubre stridio della civetta e il lamentoso miagolio dei gatti annunciavano l’arrivo di altre entità malvagie, neppure gli uomini avevano il coraggio di uscire di casa. Sull’orlo delle Balze, un’altra notte di tregenda si stava consumando in onore del Principe delle Tenebre, ai piedi delle antiche mura, fra il sacro tempio dei Patroni e il diruto cenobio dei Camaldolesi…”
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Volterra non sono solo streghe, come testimoniano i nomi di alcune strade del centro antico, che rievocano situazioni di disagio o pericolo, di luoghi infestati da presenze spettrali, il vicolo delle Streghe, il chiasso delle Zingare, il vicolo castrati, il vicolo degli abbandonati, il vicolo delle Prigioni e via delle Prigioni, la strada vicinale Podere smorto, via Vecchi ammazzatoi e altri vicoli e stradine che richiamano antichi mestieri di “signore allegre”, ma è stata anche location della serie televisiva che ha raggiunto la fama di Harry Potter, Twilight, aggiungendo vampiri alle streghe.
    Tour per Volterra
    Lungo via Padre Eugenio Barsanti, passato il Masso di Mandringa e il nuovo ,si arriva alle mura che circondano il borgo antico, il cui accesso è tramite Porta San Francesco.
      Porta San Francesco, anticamente chiamata Porta Santo Stefano o Pisana
  Costruita in epoca medievale, è l’unica porta che al suo interno, nell’arco superiore, reca tracce di affreschi recentemente restaurati e sulla destra è scolpita quella che era l’unità di misura pisana, leggermente più lunga di quella di Volterra, quella pisana con tutta probabilità perché, tramite questa porta attraverso la Val d’Era si raggiungeva Pisa.
Porta San Francesco reca ancora i portoni in legno stupendamente conservati, che venivano chiusi all’imbrunire per mettere al sicuro il paese durante le ore notturne.
Entrando a Volterra da Porta San Francesco, si entra nel mondo medievale che il borgo rilascia, attraverso i vicoli, le case e la struttura urbanistica perfettamente conservata, da qui si giunge alle due piazze principali, quella civica, amministrativa con il Palazzo dei Priori e il Palazzo Pretorio, piazza che prende il nome dall’omonimo palazzo, Piazza dei Priori e quella, invece che è il centro religioso del borgo, Piazza del Battistero.
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Palazzo dei Priori
    Il più antico palazzo comunale della Toscana, fu eretto nella prima metà del 1200, la costruzione proseguita a rilento, venne edificata nei pressi del Duomo, per imporre il potere cittadino comunale sul potere del vescovo che emanava leggi, riscuoteva tasse e ne regolava l’attività mercantile.
Vi  si affacciano anche il Palazzo Pretorio, Torre del Porcellino, il Palazzo vescovile, Palazzo Inghirami e altre dimore delle più influenti famiglie cittadine.
Costruita interamente in pietra, la facciata viene alleggerita da cornicioni che delimitano i piani e reca tre file di finestre bifore.
Decorata con targhe di terracotta smaltate, rappresentano gli stemmi delle famiglie fiorentine, che la governarono, vi si trovano anche i porta-fiaccole e i porta-stendardi, mentre una torre pentagonale a due ripiani merlati, sormonta l’intero palazzo.
Palazzo dei Priori a Volterra
La sala del Consiglio a Palazzo dei Priori di Volterra
Oggi è sede di parte degli Uffici Comunali e le sale visitabili sono la Sala del Consiglio e la Sala della Giunta, la prima al suo interno, decorata con scritte e stemmi nel XIX secolo, spicca l’affresco riportato su tela dell’Annunciazione fra Santi Cosma e Damiano e San Giusto e Ottaviano di Jacopo di Cione e Nicolò di Pietro Gerini.
La parte destra della sala, una tela lunettata, raffigurante le Nozze di Cana di Donato Mascagni.
Nella seconda sala una tavola raffigurante Persio Flacco di Cosimo Daddi, un affresco monocromo riportato su tela riproducente San Girolamo, due piccole tele raffiguranti Adorazione dei Magi di Giandomenico Ferretti e Nascita della Vergine di Ignazio Hugford, una tela con il Giobbe di Donato Mascagni, mentre nella controparete un disegno preparatorio, dell’affresco dell’Annunciazione esistente nella sala del Consiglio.
Altra importante testimonianza di antica città Etrusca è l’Acropoli Etrusca alle porte di Volterra.
  L’Acropoli Etrusca alle porte di Volterra
    Il Palio dei Caci a Volterra
    Molto curiosa è la manifestazione che si tiene nella penultima domenica di ottobre, ed è il Palio dei Caci, una sfida tra “corridori” scelti dalle otto contrade cittadine, questi devono far ruzzolare lungo il percorso, di una  strada in forte pendenza nel centro storico di Volterra, una forma di formaggio impiegandoci il minor tempo possibile.
Il Palio dei Caci a Volterra
Un percorso serpeggiante costruito con forme di paglia, i tiratori, due palette di legno e una forma di formaggio delle “Balze Volterrane” sono gli strumenti per far divertire il pubblico gremito lungo il percorso.
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Volterra e le streghe della Mandriga Volterra borgo medievale le streghe e i vampiri Volterra terra dell’alabastro, città dell’antica Etruria che conserva grandi testimonianze di manufatti etruschi, la ottimamente conservata Porta all’Arco, costruita, in epoca etrusca e poi rimaneggiata nel medioevo, con pietra locale, grandi blocchi di tufo sovrapposti a secco, uniti all’utilizzo di tre tipi diversi di roccia, un calcare arenaceo di color giallastro, un grigio calcare di scogliera e la selagite rossastra, porta d’accesso principale a Volterra lato sud, contrapposta a nord a Porta Diana, tutte e due le porte sono parte della cinta muraria in panchino, una pietra arenaria della Toscana e presente in due varietà, livornese e volterrana, di quest’ultima porta rimangono soltanto gli stipiti, la copertura doveva essere in legno.
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