L’ULTIMA VOLTA (non penso sia un racconto erotico)
Si girò di lato raggiungendo il bordo opposto del letto. Era tutto sudato e respirava velocemente mentre il cuore piano piano tornava al suo ritmo normale dopo la corsa in crescendo per seguire il crescendo del piacere. Anche Sonia respirava affannosamente mentre nella stanza si spargeva l’odore di seme e sudore. Chiuse gli occhi e gli sembrò di galleggiare sulla superfice del mare mentre la sua coscienza lentamente si spegneva facendolo sprofondare in un assoluto nulla. Perse il senso del tempo e restò così, non capì per quanti secondi o minuti.
In fondo era per questo che faceva sesso con lei, per stordirsi, dimenticare tutto senza sensi di colpa e sentirsi bene nel nulla in cui scompariva.
Ad un certo punto Sonia, con la lentezza dovuta alla sua stazza, si spostò nel letto. Si sentì addosso il suo grosso seno che schiacciava metà del suo corpo. Aprì gli occhi e vide i suoi occhi nocciola, tondi e grandi come quelli di una bambina. Vide il piccolo naso e le labbra allargate in un sorriso simile a quello della Gioconda.
“Ciccino, si sempri u megghiu”
Le rispose con un sorriso. Poteva essere un complimento ma lui era sicuro che lei lo diceva a tutti i suoi amanti.
Le labbra di Sonia baciarono velocemente le sue
“Pero ora sbrigati che dopo il rosario mio marito rientra”
Il materasso incominciò a muoversi nuovamente come se fosse un canotto nel mezzo dei cavalloni. Lei si stava girando per alzarsi e fare la doccia.
Chiuse gli occhi
“Ogni volta mi dici la stessa cosa. Tanto prima delle otto non rientra”
Sonia recuperò la sua vestaglia rosa e la indossò.
“Questa sera torna prima, perché deve andare alla Confraternita”
La sentì andare verso il bagno, ma non si mosse.
Aspettò cinque minuti per evidenziare la sua indipendenza, poi ubbidiente, si alzò. Non per la paura del marito, che era una brava e santa persona, ma per non creare imbarazzo mostrandosi e confermando cose che tutti e tre preferivano restassero nascoste per continuare a recitare la loro commedia esistenziale di coniugi felici e studente di medicina modello.
La loro non era ipocrisia, si disse, ma solo pigrizia di dover affrontare il peso che cade addosso a chi infrange convenzioni che tutti considerano come assolute ma che nessuno rispetta. E quindi, se nessuno era disposto a rinunciare alla propria maschera, perché dovevano essere loro a doversi fare carico di questa antipatica incombenza. L’eventuale problema si risolveva facilmente non facendolo nascere.
Si alzò e si sedette su water per fare due gocce ed osservarla. Sul suo corpo correvano infiniti rivoli d’acqua sottili, mentre lei lo ricopriva di un profumato bagnoschiuma, il cui sentore di mughetto e tuberosa, intenso e delicato, galleggiava persistente nel bagno. Era una cicciona, si disse sapendo di mentire perché il sovrappeso che allargava la sua sagoma, era perfettamente distribuito lungo il suo corpo soffice, mostrando un seno importante, un ventre piatto con la vita stretta e un sedere perfettamente tondo su cosce larghe che erano, come lui ben sapeva, profumate e delicate. Era il corpo ben proporzionato e gioioso di una soprano o di una giunonica divinità. Anche se era in quella età che sta lasciando la giovinezza ma non era ancora maturità aveva la freschezza della primavera e la pienezza interiore dell’autunno. Questa sua età indefinita, quel suo essere piacevolmente abbondante e il suo volto da bambina, gli facevano sangue ogni volta che la vedeva, gli scaldavano la carne rendendolo arso di lei. Lo eccitava pensare che ogni parte di quell’innocente, soffice corpo era dedicata al piacere, per inventarlo, rubarlo e donarlo. Con Carmen, la sua fidanzata, era tutto diverso. Il suo corpo nudo, essenziale e rustico, gli faceva nascere una intensa tenerezza. Avrebbe voluto cullarlo, accarezzarlo prima di santificarlo nel sesso. Con Sonia invece ammirare il suo corpo (e lei sapeva bene come e quanto farsi ammirare e desiderare) voleva dire trasformarsi in cantori del piacere carnale, in maratoneti insaziabili del semplice godimento.
Dalla doccia lei gli fece segno di raggiungerla. Lui seguì la sua amicante richiesta e una volta dentro l’abbracciò, lasciando che le mani di lei scivolassero esperte sul suo corpo. Anche lui accarezzò tutta quella calda pelle che fino a poco prima avevano esplorato con labbra avide e una lingua complice. Le sue braccia lo strinsero in modo che ogni sua parte fosse immersa nella sua piacevole e peccaminosa sofficità
“Saresti capace di rincominciare”
“perché no? Sei stanco?”
“Anche se fossi morto sapresti resuscitarmi”
“Sicuro …”
lo baciò liberando la lingua a caccia della sua.
Ricordò che era iniziato tutto così. Gli stava mostrando la casa dove avrebbe affittato una camera. Dopo aver visto la cucina e il bagno, gli mostrò la stanza grande e comoda che voleva affittargli.
“Ecco vede, la camera è ampia ed i mobili sono un po' datati ma li ho fatti riprendere da un ebanista di mia fiducia. Mi raccomando: come glieli do li rivoglio, senza graffi o rotture. Se qualcosa non funziona me lo dice ed io mando l’operaio a sistemarli.”
Chiuse le ante dell’armadio con cautela.
“La raccomandazione vale anche per il letto: non ci salti sopra come un selvaggio e non si butti a peso morto come fanno i lazzaroni”
Sistemò la coperta e si avvicinò a lui guardandolo seria e sottovoce aggiunse
“e per favore non incominci a portare avanti e indietro ragazze che poi i condomini si lamentano con mio marito che sta più tempo in chiesa che a casa sua.”
Lo guardò attentamente negli occhi
“ma lei non mi sembra il tipo che corre dietro alle ragazze…”
“è che non ho tempo signora, con tutti gli esami che ho da fare è già tanto se posso respirare”
Lei sorrise divertita e si avvicinò ancor di più così che il suo profumo dolce lo assalisse e percepisse la sua sensualità come un’onda calda dal sapore speziato, delicata ma nello stesso tempo, aggressiva. I suoi occhi lo trafissero e il loro colore cioccolato lo ingolosì. Il delicato fucsia con riflessi setacei del rossetto, la scollatura ampia, a mostrare una pelle chiara, senza alcuna imperfezione, il seno dominante, sfacciatamente invitante, tutta la sensualità che fino a quel momento aveva ignorato gli esplose davanti, e sentì, dentro di lui, il fuoco impetuoso del sesso bruciare ogni altro ragionevole pensiero. I suoi capelli ondulati, di un nero corvino intenso e naturale, sembravano la corona fiammeggiante di una oscura sacerdotessa e davano ai suoi occhi un riflesso magnetico, mentre la sua voce bassa, calda, vellutata, scivolava sensualmente a rimproverarlo
“Fa male! Una ragazza ci vuole sempre: stimola, soddisfa, motiva, giustifica! – ogni parola era accompagnato da un lampo dei suoi occhi e dal suo respiro che gli arrivò profumato, sottile, invitante - E poi lei è un bel ragazzo: scommetto che bacia molto bene”
“non lo so signora, finora nessuna si è lamentata”
Fece sorridendo nervosamente perché sentì che qualcosa stava succedendo ma non riusciva a capire bene che cosa stesse accadendo
“Vediamo”
Fece lei improvvisamente guardandolo dritto negli occhi, e mentre lui era ancora con il suo sorrisino in bocca, lei superò con un passo la poca distanza che divideva i loro corpi , gli mise un braccio intorno al collo, lo stringe tirandolo a se tenendo fissi gli occhi nei suoi, esitando quando le loro labbra stavano quasi toccandosi, ma solo per far aumentare il desiderio ed il prossimo piacere, poi fece combaciare le loro bocche, violando la sua con la lingua, una lingua decisa, dominante, lasciva, liquida di voglia.
All’inizio restò sorpreso, non dal suo seducente gesto, ma dal piacere che provava, un’onda di miele che lo sommergeva risvegliando ogni suo muscolo con una intensa vibrazione vitale di puro desiderio. Poi reagì assecondando il suo gioco orale per stringerla e attirarla a sé, sentendo il corpo di lei premere contro il suo. L’abbracciò e succhiò la lingua che aveva dischiuso le sue labbra a trattenerla giocandoci vorticosamente, mentre le sue mani esploravano quel corpo tondo, pieno, morbido, così come lei stava facendo con il suo, senza alcuna vergogna e con tanta inarrestabile voglia.
La sua mano scese a stringere la sua virilità e sentendolo pronto, disse solo
“dammilla”
Quella parola, detta in un modo volgare, popolare, oscena, fù l’unica che si scambiarono nel silenzio della stanza, nella sua complice penombra, tra l’ondeggiare ritmico delle tende e le voci lontane dei bambini che giocavano felici nel cortile.
Solo quella parola l’eccitò, più del suo tastare e dell’intrecciarsi delle loro lingue.
Capì il motivo della sua richiesta di non buttarsi a peso morto sul letto. Capì che fino ad allora, malgrado le sue esperienze fugaci e mercenarie, non aveva mai fatto veramente l’amore, non aveva mai morso e leccato come lei aveva fatto e preteso, non aveva conosciuto la passione, la forza, il desiderio, che un corpo poteva dare e ricevere. Un’oretta dopo mentre si rivestiva, gli disse di uscire per primo e di passare domani da casa sua per firmare il contratto. In quel momento ebbe la certezza che tutto si sarebbe ripetuto come in quel pomeriggio forse con ancor più passione, con meno paure o freni e che quella signora pacifica e neutrale che lo aveva divorato, bruciando ogni sua forza, saziando ogni suo desiderio, gli era entrata nel sangue e lì sarebbe rimasta per molto, moltissimo tempo da padrona esigente e serva devota, abisso profondo e dominante bisogno.
Staccò la bocca sfuggendo alle sue esperte e golose labbra.
“Devo andare, tra venti minuti arriva la corriera di Carmen devo prenderla per fare delle spese”
“Ah, va bene … salutala”
Disse ironicamente e staccandosi uscì dalla doccia. Fini di levarsi la schiuma dal corpo ed uscì anche lui
“Ti ho portato il mensile”
Le disse mentre di asciugava ed incominciava a vestirsi
“In ritardo come al solito”
“sono stato preso … comunque, ti lascio l’appartamento. Vado via, ad Aosta a fare la specialistica … Per qualche anno non ci sarò”
Lo guardò seria mentre in vestaglia si spazzolava i capelli.
“Dovevi dirmelo prima, così ci perdo il mese: come faccio ad affittarlo adesso che siamo a fine mese, - il suo volto si irrigidì - mi devi pagare anche il mese prossimo come è scritto nel contratto”
“È stata una occasione improvvisa, l’altro ieri mi ha chiamato un collega che avevano bisogno e giusto oggi ho avuto la conferma – sorrise nel modo che a lei piaceva per addolcire la bugia – e poi, pensavo che visto il nostro rapporto, avresti lasciato stare questa cosa dei soldi”
Si avvicinò e gli sistemo il colletto della camicia e con voce delicata, come se parlasse ad un bambino, sottolineò
“Ciccino, noi non abbiamo un rapporto, facciamo sesso e basta, per sfogarci, per distrarci o solo perché ci piace, punto. Tu sei in affitto e io sono la padrona come sono la padrona di un'altra decina di case, e tu per me fuori dal letto, sei uno dei tanti studenti a cui affitto le case e basta: non ti far venire strane idee alla “futtemu-futtemu”. Devi pagarmi il prossimo mese! c’è scritto nel contratto … o vuoi che ne parli con tuo padre, o con … Carmen”
La guardò con la faccia seccata
“ni sarivi capaci!”
“lo sai che non farei mai del male a qualcuno, ma quel che è scritto, è scritto”
rispose sorridendo. Aveva sempre quei modi da bambolina con cui smorzava ogni conflitto. Era così che lo fregava sempre.
Si rilassò e dalla tasca della giacca tirò fuori una busta bianca
“Sapevo che quando si tratta di soldi non guardi nessuno. Ti ho messo pure i soldi del mese prossimo”
Buttò la busta sul tavolino a cui era solita sedersi per truccarsi. Sonia si chiuse la vestaglia e avvicinandosi a lui, lo abbracciò
“Ciccino te l’ho detto dall’inizio: ne amore, ne sentimento, solo sesso finché ne abbiamo voglia e poi basta, ognuno per la sua strada, e tu hai risposto “mi va bene così” e da allora, così siamo rimasti. Questo non vuol dire non rispettarsi: a modo nostro un po' di bene ce lo vogliamo”
E gli sorrise
“Si l’ho detto, ma a volte mi sembrava che ci fosse qualcosa in più del semplice “un po' di bene””
“Ah si e quando ti è venuta questa strana idea?”
“ti ricordi il professor Santoro, quando mi bocciò all’esame di anatomia e sono venuto qui tutto incazzato? “
“si mi ricordo, eri nero dalla rabbia, ti ho preso e ti ho portato a letto per parlare. Sarà stata l’unica volta che non abbiamo fatto l’amore…”
“È vero, mi hai chiesto perché ero rabbioso come un cane randagio chiuso in una gabbia e io te l’ho spiegato. Allora tu ti sei messa a ridere e hai detto che ogni cristiano ha una porta da cui si arriva al suo cuore. Bastava conoscerla e quell’uomo avrebbe fatto quello che gli chiedevi. Per trovare la porta però bisogna, frequentare, conoscere, condividere, partecipare. Il professore Santoro mi aveva bocciato perché mi ero messo in testa tutto a memoria. Lui aveva capito che pensavo solo a superare l’esame anche con un diciotto. Allora mi avevi suggerito di andare a trovarlo, di chiedergli spiegazioni, libri, appunti, insomma di mostrarmi appassionato alla sua materia”
“Infatti, hai fatto così e hai preso trenta”
“Si ed ero contentissimo. Ricordo che ero venuto felice a portati una rosa per ringraziarti per il suggerimento”
“Questo lo ricordo, e mi ricordo anche cosa abbiamo fatto dopo”
Fece ridendo maliziosamente
“hai preso la rosa e l’hai buttata dicendo che i fiori si portano ai morti, poi mi hai stretto come fai adesso e mi hai detto “Ciccino, per premio fammi tutto quello che vuoi””
“Si, si questo me lo ricordo … e tu lo hai fatto … Ciccino porcellino”
Ricordò con imprevisto piacere, la sua schiena, lucida di sudore, larga e pallida, distesa davanti a lui, i fianchi stretti, il sedere meravigliosamente tondo.
Ricordò l’urto ripetuto del corpo di lei contro il suo mentre le stringeva i capelli con la destra, facendogliela piegare all’indietro e con l’altra mano sul fianco di lei, l’attirava con forza verso di se. La sentiva ansimare di gioia in quell’osceno dondolare, in quel lasciarla andare per allontanarla da lui, per poi tirarla ancora a se, con più forza, quasi con rabbia, e nel suo tornare a colpirlo con il suo tondo, enorme posteriore, sentire il suo respiro più forte, ogni volta sempre più forte, sentire il suo eccitante lungo lamento e il corpo vibrare per la sua intensa estasi, e colpirla con una manata sul sedere, per farla sentire schiava di quel suo piacere e punirla per questo. Alla fine lei si distaccò, si sdraiò sul letto, stanca, stordita da quanto provava, restò ferma qualche secondo, ansimando, poi si voltò sulla schiena e allungando le braccia, con il volto rosso e le labbra socchiuse, gli implorò
“Vieni”
Raccogliendolo tra le sue braccia mentre le sue gambe si allargavano per poi stringerlo nel nido del suo piacere, ed ancor di più stringerselo con le braccia al cuore, come fosse il bene più grande che avesse.
Ricordò quel suo continuare a darle piacere, colpo dietro colpo, convito che niente lo avrebbe fermato e provare per questo inarrestabile dominio del suo corpo, una forza degna di un dio, finché d’improvviso ogni suo muscolo si sciolse, diventando liquido e inutile, ed il suo corpo affondò in lei come un ferro rovente buttato sulla neve, mentre ogni sua forza vitale scompariva nel candore immenso del suo corpo, in cui stava inabissandosi, raffreddandosi, appassendo e planando nel nulla assoluto. Si girò di lato per respirare, per lasciar volare via con il sudore anche la sua anima liberandola da quel debole involucro carnale.
Ricordò lei, che ansimando si avvicino in quell’enorme letto in cui era disteso guardando senza vederlo il soffitto. Ricordò che lei lo osservò per poi baciarlo e quindi alzarsi sul letto inginocchiata su di lui, guardandolo negli occhi per scendere lentamente con il suo sesso sulla sua bocca, chiedendogli con lo sguardo, di darle quello che il resto del suo corpo non era riuscito a farle provare. Lì, circondato dalle sue cosce, meravigliosamente prigioniero di quell’intimo, liquido sapore di miele, ricordò il suo lento pendolare ritmato dal crescendo lamentoso del piacere che provava; ricordò le sue piccole dita tra i suoi capelli, il suo spingere delicatamente, ma con decisione, la sua testa verso il centro del suo godere, a guidarlo in quel crescente ondeggiare che la stava bruciando.
Ricordò l’effluvio liquido che accompagnò il suo improvviso ed ultimo lamento e lo stordimento che la prese lasciandola esausta, mentre si accasciava lontano da lui, senza forze. Subito però lo raggiunse, strisciando e ansimando l’abbracciò e con il lenzuolo gli pulì il volto dagli umori del suo paradiso e lo baciò, intensamente, perdutamente, appoggiando poi il capo sul suo petto, lasciando che il respiro si calmasse, che le loro anime tornassero in quel mondo, che il tempo tornasse a scorrere, lì dove erano morti e rinati nel mezzo dell’immenso candido letto. Tornò a guardarlo negli occhi ed improvvisamente, come presa da una necessità inevitabile, sembrò che gli volesse dire qualcosa
“io ….”
Ma si fermò a pensare e fu incapace di continuare, fissando i suoi occhi, la sua bocca ed ancora i suoi occhi, incapace di confessare quello che sentiva e che lui doveva assolutamente sapere. Alla fine si arrese appoggiando il suo capo sul suo petto e chiudendo gli occhi, lunghe lacrime le scivolarono sulle gote a dire più di quanto lei stessa volesse dire. Vi fu solo un silenzio che sembrava quello che segue l’ultima rima di una poesia d’amore, l’ultima onda, prima della quiete assoluta ma che in fondo riassumeva il loro rapporto fatto solo di piacere da rubare e di silenzi in cui immaginare il prossimo godere. E nulla di più. Tutto questo ricordò con inesauribile, indomabile gioia.
“ho fatto alla fine tutto quello che piaceva a te”
“… e a te, Ciccino, anche a te, non dimenticarlo: nel sesso ci vuole eguaglianza se no è violenza”
“e sei stata tenera, come non lo eri mai stata, lì ho pensato che per me avevi un sentimento particolare”
Lei sorrise
“volevo solo premiarti per il trenta”
Lui la guardò in silenzio
“Era un premio che agli altri non hai mai dato”
“Ne sei sicuro?”
La guardò negli occhi cercando la sua sincerità
“Si, per questo ho pensato in quel momento che non era solo il sesso ad unirci, che anche tu provavi quello che io sentivo, una intensa complicità, che era un amore che non avevamo il coraggio di confessare”
Sul volto di lei tornò il solito sorriso della gioconda
“Ciccino, mi dispiace contraddirti ma non era così. Se avevi qualcosa per me, dovevi dirmelo o venirmelo a cercare. Ora non ha più senso a parlarne. Tu si zitu, io sono sposata non siamo soli e indipendenti: abbiamo dei doveri che non sono più, solo formali”
La guardò negli occhi
“Ma tu non ti sei mai innamorata?”
Sorrise divertita. Si staccò da lui e andò a sedersi al suo tavolino di bellezza incominciando a spazzolarsi.
“All’inizio, come tutte le ragazze ingenue, anch’io mi ero innamorata. Poi quando ho saputo che mio marito non voleva figli perché non poteva farli, mi sono detta che l’amore è solo uno stordimento temporaneo, creato per motivare due persone a rinunciare alla loro libertà. Allora l’ho messo da parte e mi sono dedicata solo alle cose che contano: il sesso e i soldi.”
“Ma i soldi, non li aveva tuo marito”
Scoppiò a ridere
“Gustavo non ha niente, ha speso quel poco che aveva per diventare santo. Io sono partita affittando la casa di mia madre ed ora, visto il numero, il prezzo che faccio per le mie stanze, vale per tutta la città. Per questo non può dirmi niente, perché posso divorziare quando voglio e avere l’annullamento alla Sacra Rota perché lui non poteva consumare il matrimonio e non me lo ha detto. Lo butterebbero fuori anche dalla confraternita. Ma ora non voglio scandali, non mi servirebbero. Dai Ciccino, si sta facendo tardi, vai per favore.”
Fece preoccupata simulando con le labbra da bambolina un piccolo broncio, e si alzò per accompagnarlo alla porta
Lui la guardò serio
“Tra sei mesi mi sposo….”
Lei si fermò e batté gli occhi come faceva quando qualcosa la prendeva in contropiede
“… Non ci vedremo più Sonia. Dopo Aosta, andrò a lavorare all’ospedale di Taormina e andremo a stare a Letoianni, nella casa di Carmen.”
“E che cosa cambia Ciccino? Anche adesso stai andando a prenderla, ad abbracciarla, a chiamarla “Amore” con sulla schiena i segni delle mie unghie e del mio piacere.”
“Cambia che lei mi vuole bene ed io ne voglio a lei. Fino adesso era solo un sentimento minore perché stavamo bene insieme, ma ora che abbiamo deciso, che dobbiamo programmare una vita nuova, non voglio più giocare.”
Si avvicinò guardandola negli occhi.
“Tu sei pericolosa, mi piaci, mi sei sempre piaciuta, ma con te non c’è futuro. Carmen forse a letto non sa fare tutti i tuoi giochetti, ma mi ama, mi considera il centro del suo mondo ed abbiamo fatto progetti per il domani. Con te vicino non durerei molto come marito. Per questo non ti vedrò più”
lei sorrise
“… non ci indurre in tentazione… non è vero Ciccino? Perché anche tu non resisteresti, e non per colpa mia, ma per quel piacere, quel serpente oscuro che dentro di te si contorce quando mi vedi. Invece di liberarlo e dargli quello che vuole preferisci accecarlo, negargli l’esistenza. Ad un certo punto ti si rivolterà contro perché lui è più forte di te e ce ne saranno altre come me che distruggeranno quello che adesso pensi di provare”
La prese per le braccia
“Tu non sei bella, non sei socievole, non sei simpatica, ma leghi tutti a te semplicemente dandogli quello che vogliono, quello che in loro nasce al vederti. Io non voglio più dipendere da te. La vita con te si ferma in uno stato di continuo desidero che la soffoca. Io voglio tornare a vivere, ad avere progetti, a costruire un domani con Carmen, perché la vita non è solo futtiri e futtiri, almeno non per me. Ho provato ad amarti, ma tu non sai amare nessuno o forse non vuoi amare nessuno perché se no diventeresti debole, vulnerabile e allora se non puoi stare con me, è meglio trovare un'altra strada.”
Si liberò dalla stretta e lo guardò con occhi di fuoco, ma al solito la sua voce era lenta, mielosa, sinuosa, come lo scivolare tra l’erba di un serpente
“Ciccino, queste sono parole da maschio che ha paura di perdere il controllo della situazione e cita l’amore a giustificare i suoi presunti diritti. Perché non usi i concetti giusti? Io sono libera! E grazie a quel Dio a cui mio marito è devoto, non dipendo da nessuno, perché a nessuno do il vantaggio di ricattarmi sentimentalmente.”
Si avvicinò guardandolo dritto negli occhi con aria quasi di sfida
“Parli di amore…. Che non so amare…. Ma quando sei venuto a parlarmene, a dichiararlo, a darmi il tuo sentimento oltre quel pezzo di carne che mi mettevi tra le gambe? Mi hai mai chiesto di vedermi fuori da un letto? Di incontrarci su un lungomare per prendere il sole insieme o mangiare due cose allo stesso tavolo? Hai mai detto qualche frase affettuosa dopo ogni scambio carnale che abbiamo avuto? No, solo silenzio e la fretta di andartene. Cosa ti aspetti allora? Che ogni volta che venivi a trovarmi mi buttavo ai tuoi piedi ad onorarti come la statua di un santo perché così tu vedi l’amore? – lo guardò con occhi di fuoco – Perché poi? visto che te ne sei venuto a sfidarmi, ad umiliarmi, dicendomi che ti eri fidanzato con quell’ingenua di Carmen, che di te conosce solo la facciata, il sorriso da primo della classe e non sa ancora l’ipocrisia con cui sei vissuto in tutti questi mesi, quando la baciavi con ancora in bocca il gusto della mia.”
Si allontano risiedendosi al suo tavolino
“Ciccino, vattene per favore, stiamo degenerando e anche se non era una gran cosa, non è giusto buttare via la nostra storia in questo modo. Non lo merita. Vai per favore, e auguri per la tua nuova vita. Cosa ho provato per te, se ho provato qualcosa, a te non è mai interessato. Ormai è solo cosa mia, e qualsiasi cosa fosse, grande o piccola, vera o falsa … Ciccino non te lo meritavi. Se volevi farmi uscire dalla tua vita non c’era bisogno di darmi della Messalina e considerarmi una puttana. Fai il maschio: salutami con rispetto, girati e vai senza tornare più. Non nasconderti dietro a scuse o risentimenti”
Lui sistemò nervosamente il giubbotto e si avviò verso la porta
“Non di là, esci di dietro, vieni ti accompagno”
Attraversarono le stanze del grande appartamento per arrivare in corridoio che dava su una porta secondaria, il vecchio accesso di uno dei due appartamenti che Sonia aveva unito. Lei aprì la porta e guardò sulle scale se vi fosse qualcuno.
“Puoi andare.”
Uscì sul pianerottolo
“Aspetta – gli disse – mi devi dare l’ultimo bacio”
Si voltò a guardarla
“Vuoi cercare di svegliare il serpente?”
“Non c’è bisogno, si sveglierà da solo, quando l’amore per Carmen di oggi diventerà obblighi, doveri, rinunce. Malgrado la tua paura delle mie voglie, io ti ho fatto felice: devi ringraziarmi con un attimo di tenerezza: almeno per questo, Ciccino”
Sorrise pensando che la cicciona aveva un po' di ragione. Lei dischiuse le labbra, lui si avvicinò e le guardò quelle labbra con cui tutto era iniziato. Poi si abbassò e la baciò sulla guancia, fece un sorriso di circostanza, si voltò e se ne andò giù per le scale.
Restò ad osservarlo, poi, chiusa la porta, se ne tornò lentamente nella sua stanza da letto con la sua andatura leggera e sensuale.
“Ipocrita, come tutti i maschi: se amore era, e se per te aveva un qualche valore, dovevi insistere nel farmelo accettare, pretendendo il mio malgrado, anche se sono una donna sposata e più vecchia: dovevi contagiarmi con la tua incoscienza e farmi credere in quanto provavi e in un possibile futuro.”
Spalancò la finestra per far cambiare l’aria alla stanza e tornò a sedersi al tavolino con i suoi prodotti di bellezza. Aprì la busta con i soldi e li contò, prese da un cassetto un quaderno con la copertina nera l’aprì ad una pagina piena di nomi e di numeri e dopo aver cercato quello di lui, scrisse in linea i due mensili.
Guardò la pagina studiando chi ancora doveva pagare, poi chiuse il quaderno e lo ripose nel cassetto.
Aprì un grande portagioie e levò il primo ripiano fatto a scacchiera colmo di orecchini e bracciali. Dal doppio fondo tirò fuori una rosa ormai secca e scura con ancora attaccato un nastrino rosso con il suo nome. La osservò facendo ruotare il gambo.
“Eri il migliore a letto Ciccino, ma nel mio cuore eri l’unico! Non hai mai avuto ne l’intenzione né coraggio di esserlo per sempre. Avevi già avuto tutto e subito, senza fatica e non hai capito che questo era stato il mio primo dono d’amore. Non hai mai fatto nulla per tenertelo o ricambiarlo. Stupido, nessuna potrà mai darti la felicità che provavo per tè e parlartene sarebbe stato inutile: avresti raccontato al bar del paese della cicciona che si era innamorata di te e a cui facevi fare a letto tutte le porcate che volevi”
Diceva così alla rosa mentre la faceva girare su sé stessa e osservava rapita il suo ruotare. La ripose delicatamente nel portagioie e con ancor più delicatezza la copri con il ripiano a scacchiere.
“Ciccino l’amore rende deboli ma non perché rende vulnerabile chi ama, ma perché rende debole chi non ama abbastanza per accettare i sacrifici che l’amore impone. Il tuo amore Ciccino, era sempre debolissimo, perché vi cercavi solo il piacere e non i sacrifici, i problemi, le contraddizioni e le spine che avrebbero reso il tuo sottile sentimento forte ed invincibile.”
Restò a guardarsi allo specchio mentre gli occhi si inumidirono.
“Io, quei sacrifici, per te li avrei accettati, ma tu hai avuto paura di quello che avrebbero detto gli altri a vederti con una grassona più vecchia di te. Sapevi che per me eri speciale e l’unica cosa che hai fatto è stato cercare di non pagare una rata d’affitto. Ciccino, mi hai deluso. Ti sei trasformato in un maldestro cigolò anche se nei tuoi momenti bui sono stata io la tua unica forza”
Prese un fazzolettino e si soffiò il naso. Raccolse il cellulare e compose un numero
“Si, signora, buonasera sono la signora Loiacono, come sta …. Bene grazie… volevo dirle, mi si è liberata una camera, … si una camera, se a suo nipote interessa…. E che vuol fare, se ne è andato senza avvertirmi prima, così sono i ragazzi … inaffidabili. Non sanno capire che tra il rispetto che si riceve e quello che si dà deve esserci un equilibrio che loro purtroppo, non sanno ancora raggiungere, … bisogna aver pazienza perché a volte si perdono dietro ai loro stessi capricci … Comunque signora, mi mandi domani suo nipote che gli faccio vedere l’appartamento … le mando l’indirizzo per Whats Up. Se è suo nipote, sarà sicuramente un bravo ragazzo? … Ah l’ho già visto? … Quello alto si, me lo ricordo …. Un bel ragazzo …. Va bene, va bene a domani la saluto buonasera.”
Guardò lo specchio sorridendo e mordendosi il labbro inferiore come faceva quando le venivano strane voglie. Osservò un sopracciglio e preoccupata incominciò a cercare la pinzetta per risolvere una terribile asimmetria.
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𝙔𝙤𝙪 𝙖𝙧𝙚 𝙢𝙮 𝙡𝙞𝙩 𝙘𝙖𝙣𝙙𝙡𝙚. 𝙄 𝙖𝙢 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙞𝙜𝙝𝙩.
N: nemmeno a dire che i passi verso la posizione dell’altro li compie a velocità aumentata, la curiosità è salita come un treno in corsa grazie al discorso fatto sia con lo stesso Tsume che con Kou .. sapere poi che il compagno ha la medesima curiosità rende tutto ancora più semplice. Nobu lascia il cellulare sopra ad un mobile, seguendo l’odore altrui per raggiungerlo in camera ed avvicinarsi quatto quatto. Le guance appena colorate di rosa, ma non appena giunge davanti a lui si sporge per baciarlo teneramente sulle labbra. Lo ama, si fida totalmente, metterebbe anche la propria anima nelle sue mani se potesse. « Ehi, mr meraviglia. »
T: i passi di Nobu lo raggiungono fin da subito a causa dell'udito sviluppato e di primo acchito lo costringono, in un certo senso, a spostare lo sguardo sull'uscio della porta, seppur poco dopo s'accinge a fingere di star guardando una cosa molto casuale sullo schermo del cellulare. Eppure sulle labbra del maggiore è dipinto un sorrisetto quasi beffardo, sottoposto ad una curiosità ed una malizia eccessiva che gli pulsa persino nello stomaco. Quand'egli si spinge ad allungarsi verso di sé, rischiando di fargli oltretutto cadere il cellulare dalle mani, Tsume abbandona suddetto tra le lenzuola e va a stringere gli indumenti che il compagno sta indossando in una presa salda. Un presa che si tramuta nello spintone che gli rilascia quando lo afferra e lo adagia poco gentilmente con la schiena contro il materasso sulla quale stava poltrendo in una inoperosità quotidiana. « Ciao bel principe. Hai un certo colorito sulle guance, a cosa lo devo? » lo osserva oltre un ghigno divertito, a cavalcioni su di lui, con le labbra ormai distaccate dalle sue e due dita ingrate che gli punzecchiano una gota a caso.
N: il colorito non fa che accentuarsi quando il proprio corpo viene spostato poco gentilmente e la schiena si scontra con il materasso morbido, al giovane lupo viene quasi spontaneo accennare una sorriso divertito poco prima di lasciare un morsetto delicato sulla guancia del maggiore. Tutto di Tsume lo fa sorridere, ammaliato ed ipnotizzato dalla bellezza che l’altro emana anche solo sbattendo gli occhi. È completamente andato, da anni ormai. Le braccia si spostano ad accarezzare le gemelle, mentre tranquillo come sempre si sistema allungando le gambe per distenderle. « Forse ad un certo argomento recentemente scoperto? Chissà, tocca verificare, bel lupetto. » commenta, voltando appena il capo per mordicchiare anche le falangi che punzecchiano la guancia senza tregua. Niente di nuovo, quello, le carezze e i morsetti — talvolta anche più seri di quello appena dato — ci sono sempre stati tra loro.
T: va quasi in iperventilazione ad averlo lì sotto, tutto suo, finalmente suo, con la possibilità di toccarlo ovunque, di potergli dire senza tregua quanto ne sia follemente, profondamente, sinceramente, innamorato. Lo fa andare su di giri. Un sogno ad occhi aperti che spera non si interrompa mai; Risulta malizioso il modo in cui Tsume si ritrova a leccarsi le labbra, ammaliato dalla visione posta sotto, il qual travolto da un impeto si getta verso l'incavo del collo che Nobu ha scoperto nel modo in cui ha voltato il capo per mordergli le dita: affonda contro quello spazio dove spesso si è nascosto, in quel sentirsi a casa, ma questa volta fa qualcosa di nuovo. La bocca si schiude, ne accoglie un lembo di pelle, ed invece di morderlo si ritrova a succhiarlo, cospargendolo di umida saliva. « Aish — sospira — ti piace giocare con la mia pazienza. » Sembra contrariato. Sembra, termine appropriato, poiché sulla faccia ha un ghigno che si espande quando lascia combaciare i loro corpi e successivamente le loro intimità, affinché vi si sfreghi sopra con l'iniziale intenzione di stuzzicarlo.
N: ci ha messo un po’ per realizzare che quello che è sembrato un sogno proibito per tanto tempo, adesso si è trasformato in una quotidianità che calza perfettamente col loro essere. Esistono in quel momento come una cosa sola, poiché le loro anime sono da sempre legate da quel filo indistruttibile … forse chiamato anche destino, fato, ma potente in ambo le versioni. Nonostante gli ostacoli messi sul loro cammino, eccoli lì insieme liberi di mostrare al mondo quell’amore così puro, per troppo celato dietro brevi frequentazioni o notti di passioni con sconosciuti. Quella frizione sul collo lo porta a schiudere le labbra in un mormorio un po’ ovattato, mezzo spezzato in gola. Il tocco di Tsume contro la propria pelle è leggero ma deciso, e la pelle brucia come non mai. Rapida una mano si sposta per raggiungere la schiena del maggiore, sorpassa la maglietta ed arriva a sfiorare la pelle abbronzata .. si aggrappa al fianco e stringe, quasi ad impedirgli di allontanarsi da sé. « Sempre — mi piace provocarti tanto quanto piace a te. » L’altra mano continua invece ad accarezzare il braccio che ha più vicino, Nobu non si trattiene dal passare le dita su ogni porzione di pelle, dalla spalla al polso.
T: « Hai ragione. Mi diverte. » La punta della lingua traccia un segno circolare attorno alla macchia leggermente violacea che ha rilasciato sul collo di chi ormai detiene come suo ragazzo, soddisfatto di non doversi più trattenere. C'è qualcosa che non gli piace? Non crede. Oltre al suo odore, gli piace persino il gusto che la pelle di Nobu gli ha lasciato in bocca. E' il suo punto debole: lui. Tsume sta mettendo tutto il proprio autocontrollo per godersi ogni secondo di quel momento così tanto atteso e di non finire a strappargli letteralmente i vestiti di dosso, addentando con esagerata voracità tutto ciò che ha desiderato e sofferto sotto mano di chi ha odiato. « Mi basta sentire il tuo odore per non capirci più niente. Sarebbe un problema se non avessi voglia di provocarti. » Sospira quell'ennesima confessione, più vera che mai, osservandolo dritto in quelle pietre che non ha mai smesso d'ammirare come la prima volta. Ne è sempre più innamorato. Quel sentimento non sembra mai raggiungere il limite, così come le proprie mani non vogliono arrestare il modo in cui si sono spinte ad accarezzargli i fianchi. Si posizionano al fondo della sua maglietta e afferrandone il bordo adempiono al dovere di tirargliela verso l'alto, per spogliarlo.
N: Oh, lo sa benissimo. È pienamente consapevole di quanto all’altro piaccia tenerlo sulle spine, stuzzicarlo, provocarlo, far colorare le proprie guance di una nota più pesca … lo sa perché si divertono a fare le stesse identiche cose, entrambi. Anche a Nobu piace, è lo stesso Tsume che lo istiga a quelle piccole provocazioni anche solo stando fermo. Ogni centimetro del suo corpo pare chiamare il beta minore, lo attrae come polline per le api.
E non se lo lascia sfuggire, ora che può averlo sotto le mani. Tasta il terreno, passa le dita ovunque, accarezza e stringe più che può. « Amo il tuo odore, ed amo ancora di più averlo addosso. » Si lascia accarezzare, spingendo in un gesto automatico i fianchi contro i suoi e sollevandosi appena col busto per permettergli di sfilare la propria maglia. Fa lo stesso con la sua, afferrandone i lembi e tirandola su.
T: il corpo del maggiore freme ad ogni misero tocco o sospiro che sente provenire dall'altro, segno più che evidente di com'egli sia il suo punto debole, e non è aiutato dal modo in cui sente Nobu spingersi contro di sé: il proprio rigonfiamento all'interno dei pantaloni della tuta si fa più evidente e per qualche istante l'epidermide si cosparge di piccoli rilievi cutanei ravvicinati tra loro in una pelle d'oca da brividi ... di piacere, s'intende. « Ti posso assicurare che d'ora in poi io avrò sempre il tuo odore addosso e tu avrai il mio. » Tsume porta il proprio petto a combaciarsi con quello del suo ragazzo e si permette, in continui sfregamenti giocosi di bacino dovuta alla posizione comoda, di azzannargli morbidamente le labbra. Ciò che in realtà risulta un piccolo bacio, poiché la sua intenzione è quella di andare finalmente alla scoperta di una novità nel loro rapporto, alla ricerca dei punti deboli di Nobu e un modo oltretutto di cancellare segni invisibili di un passaggio che non è stato il proprio. O almeno ciò che pensa. Non gli ha mai chiesto cos'abbia fatto con qualcun altro, dove e come sia stato toccato. E non ci perde neanche troppo tempo: è già scivolato minacciosamente verso il basso, con la bocca che schiudendosi porta la punta della lingua ad istigargli un capezzolo. Tutto di Nobu è ormai suo.
N: sente il bisogno quasi viscerale di averlo vicino, il più vicino possibile. Forse per la lunga attesa per poterlo anche solo baciare, forse per la paura di perderlo quando ha visto qualcun altro farsi avanti … O più semplicemente perché si sono sempre appartenuti l’un l’altro, anche quando pensavano d’esser solo migliori amici, erano di più. Quei sentimenti che adesso travolgono entrambi come fiumi in piena, lasciandoli con la testa che gira e le farfalle nello stomaco. È così che si sente una persona felice? Una persona innamorata, completa, appagata. La bocca calda del maggiore contro il petto spinge il minore a schiudere le labbra e lasciarsi sfuggire un sospiro spezzato dal piacevole calore che nuovamente torna ad infiammarlo, come un fuoco scoppiettante spinto dalla legna. Tsume è la legna, che ogni secondo alimenta quel calore: che sia con delle carezze, che siano gesti più profondi come quello appena compiuto, che sia solamente un respiro contro la guancia o labbra premute contro le proprie. « Me lo prometti? » Porta entrambe le mani tra i suoi capelli, accarezzandoli con dolcezza e scendendo poi col viso per sfiorare la sua fronte e donargli dei bacetti altrettanto dolci. Quando ritiene di averne dati abbastanza intreccia le mani alle sue, stringendole senza nemmeno esitare.
Le gambe invece si allacciano al suo bacino, per ancorarsi definitivamente a lui ed avere modo di stargli ancora più vicino, corpo contro corpo.
T: persino i denti accolgono con piacere quella piccola zona delicata, rilasciando dei morsi talmente dolci che potrebbero quasi non essere percepiti. L'intento di Tsume è quello di eccitarlo, percepire il respiro dell'altrui appesantirsi e spezzarsi, non certamente di fargli male. Amare una persona significa sempre e solo volere il bene per lei. Sempre. Fino alla fine. Quando alle orecchie gli giunge il sospiro spezzato che Nobu si è lasciato sfuggire, intenzionale o non intenzionale che sia, può sentirsi appagato come non mai. Diciamo che ... potrebbe ambire a sentirlo implorare il proprio nome. « Sì. » Il capo, che dapprima s'era spostato a lasciargli veri e proprio morsi umidi un poco più in la, si alza al tocco percepito tra le crini scure. Se ne bea, ad occhi leggermente chiusi, i quali si serrano nel tangente in cui Nobu gli lascia quei baci sulla fronte, un gesto così tenero da fargli perdere qualche battito. Pensa addirittura che il miocardio gli ha compiuto una piroetta, o magari anche due, nel chiasso che gli sta facendo dentro al petto. E' una danza così piena di vita, d'allegria, un senso di libertà, che Tsume non può proprio far a meno di sorridere come se stesse assaggiando la felicità per la prima volta. « Te lo prometto, Ikigai. » C'è del tessuto di troppo che li separa, ma la dolcezza del momento viene interrotta dall'affondo di bacino che Tsume compie grazie al modo in cui l'altro gli si è avvinghiato, permettendogli di sentirsi a vicenda. Il modo in cui gli si sfrega questa volta è più deciso, vorace, travolto da una passione che ha decisamente smesso di tenere a freno. La incorona con il modo erotico con cui lascia scorrere la punta della lingua da sotto al suo mento, al di sopra della mascella, fino a prorompere contro le labbra.
( ... )
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Selvatica - 2. Imprevisti
Ante scese dall'auto e tornò a grandi falcate verso il portone della sua abitazione, sbuffando per la perdita di tempo. Era atteso ad una cena con uno sponsor ed era già in terribile ritardo. In macchina si era accorto di aver lasciato il cellulare a casa e doveva recuperarlo. Poggiò la mano sulla maniglia del portone nel momento in cui una ragazza gli si scaraventò addosso.
«Ehi, stai attenta.» Ante le lanciò un'occhiataccia. Ci mancava solo una fan che lo fermasse per una foto.
«Ascolta, posso entrare un attimo con te?»
La voce della ragazza tremava un poco e lui si accigliò, scrutandola con più attenzione. Aveva le guance arrossate e il fiato corto. Stava scappando? Ma no, forse lo aveva riconosciuto da lontano e aveva corso per raggiungerlo.
Lei voltò più volte la testa indietro, verso la strada. «Solo un paio di minuti...», continuò con tono supplicante.
Anche lui spostò lo sguardo verso la strada. Non aveva tempo da perdere, ma c'era qualcosa negli occhi della ragazza che lo fece fermare. «C'è qualcuno che ti sta seguendo?»
Lei esitò. «Sì, sì. Un ragazzo, mi seguiva. Fai finta di parlare con me.»
Ante capì che la ragazza non voleva una foto o un autografo da lui. Probabilmente non lo aveva nemmeno riconosciuto. Sbuffò, per l'ulteriore seccatura, e la fece entrare. «Vado di fretta. Qui non puoi stare senza permesso, quindi seguimi.»
«Grazie.»
Con la ragazza che lo seguiva a pochi centimetri di distanza, si diresse verso l'ascensore. Sperava solo che il suo ritardo non indispettisse i due signori che doveva incontrare. Non gli piaceva arrivare tardi agli appuntamenti, specie quelli di lavoro.
«Come ti chiami?»
La voce delicata, dalle note basse, della ragazza lo distolse per un attimo dal nervosismo che stava iniziando a vibrare dentro di lui. La guardò in volto. Gli occhi castano chiaro erano grandi e la paura si nascondeva dietro quello sguardo che voleva apparire sorridente. Aveva bellissimi riccioli castani lunghi fino alla vita e delicate labbra rosse come le guance, accaldate dalla corsa.
«Ante. Tu?»
«Corinna. Non sei italiano?»
«No. Sono croato.» Possibile che non lo conoscesse? Aveva giocato in serie A per diverso tempo e ora giocava per il Milan. Era abbastanza famoso. Poggiò con la schiena contro la parete metallica dell'ascensore e incrociò le gambe. «Che ti è successo?»
La ragazza spostò lo sguardo dal suo. «Niente, c'era... un ragazzo che mi... importunava.»
Ante continuò a fissarla. Qualcosa nella voce della ragazza lo mise in allarme. Mentiva, ma non avrebbe saputo dire riguardo a cosa. «Lo conosci?»
Lei scosse la testa, tornando a guardarlo. «No, no. Che fai qui in Italia?»
Stava deviando il discorso. «Gioco a calcio. Nel Milan.»
Corinna strabuzzò gli occhi. «Tu sei un giocatore di serie A?» nascose lo sguardo dietro la mano. «Che figuraccia», sussurrò.
Ante si concesse di sorridere. Le guance della ragazza avevano assunto un adorabile colorito rosa scuro. «Sì ma non mordo, tranquilla.»
«Beh, scusami per questa cosa», balbettò.
Ante uscì dall'ascensore e aprì la porta di casa. Si diresse a grandi passi verso la camera da letto, dove era sicuro avesse lasciato il cellulare. Lanciò in aria i vestiti rimasti sul letto, tirò via le lenzuola. Porca miseria, non c'era. Lo cercò nel bagno, poi nella sala. Era sul divano. Tirò un sospiro di sollievo mentre leggeva i messaggi da parte del suo agente. Niente di preoccupante, ancora non gli aveva chiesto dove fosse e che fine avesse fatto. Era ancora in tempo.
Lanciò uno sguardo a Corinna, era rimasta immobile vicino all'ingresso e si guardava intorno.
«Vuoi un po' d'acqua?»
«No», scosse la testa. I suoi grandi occhi lo catturarono per un istante. Sembrava spaesata e indifesa.
«Io devo andare, sono veramente in ritardo.» Non poteva più aspettare.
A quel punto la ragazza si irrigidì. «Non è che potresti darmi un passaggio a casa con la macchina? Loro potrebbero essere qui fuori.»
Ante sollevò le sopracciglia. «Loro?» I dubbi sula sua sincerità cominciarono a farsi più consistenti. «Avevi detto che era un ragazzo solo.»
Dentro era un fascio di nervi. Si avvicinò alla ragazza, lei si stringeva le braccia in vita e cercava di evitare il suo sguardo. Le toccò un braccio affinché lo guardasse, aveva da fare e lei doveva andarsene. Poteva trattarsi di una messinscena, poteva essere una svitata come tante.
Si accorse che tremava come una foglia. No, lei non stava mentendo perché voleva abbindolarlo, come aveva iniziato a pensare. Lei stava mentendo solo perché era spaventata. C'era davvero qualcuno che la infastidiva.
Avrebbe voluto aiutarla, sapere di più, ma aveva una cena importante e non poteva dar retta a Corinna. Non poteva nemmeno lasciarla in casa sua. Sospirò e fece scivolare lo sguardo lungo il suo corpo. Indossava una graziosa gonnellina a scacchi rosa scuro e marrone e un paio di stivaletti, un maglione rosa.
«Senti Corinna, io devo andare. L'unica soluzione che posso offrirti è quella di venire con me.»
Lei lo fissò. «Con te? Dove? Hai appuntamento con la tua fidanzata? Io non voglio essere d'intralcio ma sono sicura che se spiegassi alla tua ragazza la mia situazione non ci sarebbero problemi. Lei potrebbe capire.»
Ante roteò gli occhi al cielo. Parlava un pochino troppo per i suoi gusti. «Tranquillizzati, non c'è nessuna ragazza. È una cena con il mio procuratore e uno sponsor.»
Uscì di casa, invitando Corinna a fare lo stesso. Sembrava ancora più spaesata di prima. In che diavolo di situazione si stava cacciando? E se Corinna fosse stata davvero una schizzata, una pazza in cerca di attenzioni? Entrò in ascensore e schiacciò il pulsante per il piano terra.
«Allora. Se dobbiamo fare finta di conoscerci voglio sapere almeno qualcosa di te. Quanti anni hai? Che fai nella vita?»
«Sono molto in imbarazzo. Non so cosa dire.» Manteneva gli occhi bassi, evitando il contatto diretto coi suoi.
«Inizia a rispondere alle mie domande.»
«Ho ventidue anni, studio storia dell'arte e lavoro in un negozio di intimo. Dietro l'angolo.»
Ante la guardò con un sorriso. «Però, ti dai da fare.»
«C'è qualcosa che dovrei sapere io di te?»
«Sono croato, ho ventisette anni e gioco nel Milan.»
«Già. Ma cosa dovrò dire ai tuoi amici? Come mai ci conosciamo?»
«Parla il meno possibile, lascia fare a me. Capito?»
Lei annuì, sorridendo un poco. Prima di uscire dal palazzo, Corinna esitò qualche secondo sulla soglia, scrutando bene la strada. Poi corse in macchina. Ante rise per la reazione che gli era sembrata eccessiva. Poi però si ricordò delle parole della ragazza. Tornò serio e le gettò un'occhiata.
«Ti va di dirmi che cosa ti è successo davvero?»
«Te l'ho detto. C'erano due tipi che mi stavano importunando.»
Si vedeva che non aveva voglia di parlarne, ma lui voleva capire. «Quindi sono due.»
«Sì.»
«E li conosci.»
«No, davvero.»
Non se l'era bevuta ma decise di lasciar perdere. La conosceva da dieci minuti, di sicuro non si sarebbe aperta con lui. La osservò mentre infilava la cintura di sicurezza, sembrava più calma. Forse a fine serata sarebbe riuscito a farsi dire qualcosa di più.
In quel momento aveva altro a cui pensare, questioni più urgenti. Ingranò la marcia e partì.
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